II. ANNO. Sabato 24 Luglio 1847. ^44-45. Al nob. Sig. Crio. Andrea dalla Zotica DIGNANO. Lode, gratitudine, onore a quello zio paterno di lei Gio. Francesco, se delle molteplici relazioni, se delle illustri amicizie che tenea nella Dominante seppe trarre partito per raccogliere documenti interessanti alla storia patria! Lode, gratitudine, onore al fratello di lui, al di lui vivente nipote, a quanti della famiglia, animati dai medesimi sentimenti, lungi dal disperdere, ordinarono e custodirono con ogni miglior cura le carte da lui con affetto previdente raccolte !— Oh ! sì; continui l'opera dei di lei maggiori; coordini il domestico archivio; esamini con diligenza paziente quell'ammasso polveroso di vecchi scritti da tanti e tanti anni non tocchi; chè la sola Scrittura del Savio Battaglia intorno alle cose dell'Istria l'ha già compensata ad usura di qualunque noia, o perdita di tempo, o fastidio dovesse a ciò sostenere.—Ella infatti, gongolante di gioia per tale scoperta, non potè rattenersi dallo spedirmi il manoscritto colla primissima occasione che le si offerse, senza troppo riflettere che arrischiava quasi di perderlo: io, per evitar quind' innanzi un tal rischio, glielo restituisco stampato: così ne facciam parte ad un tempo a quanti sono gli amici nostri vicini e lontani, a quanti sono gli amici dell' Istria. — Chè certamente, chi non è affogato nei pregiudizi fin sopra i capegli; chi ha vergine il cuore e la mente d'idee preconcette; chi non teme l'aspetto della verità coraggiosa; chi non è ritroso a confessare gli errori propri; chi del passato non è nè ammiratore nè disprezzator cieco, ma apprezzatore avveduto; chi non confonde cogli effetti le cause; chi nelle attuali condizioni della provincia ravvisa tuttora l'influenza di cause lontane, remote; chi ha la convinzione che per giudicar rettamente il presente, prima è d'uopo conoscere rettamente il passato; chi della storia conosce gli alti uffici e tremendi, non può non leggere e rileggere con meditazione severa una tale scrittura ; non può nel deporla non esclamare con Nicolò Tommaseo : — questi sono sensi degni di vero cittadino : sensi, ìlei buono significato del vocabolo, liberali. — Colle quali parole m'avviso richiamare l'attenzione di lei su que' tratti dell' Orazione di Marco Foscarini — de g C inquisitori da spedirsi nella Dalmazia. — che, pubblicati già nel Dizionario Estetico del Tommaseo, furono testé riprodotti in quel volumetto prezioso che fruttava duemila fiorini al povero popolo di Sebenico. — Le quali cose io le vengo qui rammentando perchè, ravvolgendo in mente le storie, parmi che le due provincie abbiano avuto finora troppi momenti di comuni calamità, di comuni dolori; perchè troppi sono i vincoli onde furono negli andati tempi annodate; perchè troppo sarebbe a desiderarsi di vederle anche in oggi 1'una all'altra meno straniere. Ma, prescindendo anche da ciò, non giova forse raccostare gli esempi di quel coraggio civile che onorano ad un tempo il ministro ed il principe? Non è forse consolante a vedersi come, anche nei tempi di maggior corruttela, la Veneta Repubblica contasse fra i suoi senatori e impiegati, uomini i quali sapevano spingere in alto ed in largo le loro vedute? uomini nei quali è incerto se sia da ammirarsi più la saggezza, la perspicacia de'ben ponderati giudizi, o la rettitudine, la bontà delle massime, de' principi, de' sentimenti veramente cristiani? uomini i quali nell'atto stesso che a-dempievano in maniera scrupolosamente leale ai doveri del pubblico ministero, si erigevano in proteggitori dei popoli o dimenticati od oppressi, e non dubitavano di far risuonare in quell' aule temute i giusti lamenti delle due sciagurate provincie? — Oh! non permetta Iddio che vadi perduta fra noi la memoria di uomini così benemeriti! Non permetta Iddio che i loro scritti sieno mai dagl'istriani e dai dalmati dimenticati o dispersi! Ma, per ritornare ai particolari della Scrittura del nostro Battaglia, non ridonda forse a sua lode grandissima l'udirlo notare gli errori e i difetti di quella pubblica amministrazione con franche ed aperte parole, e non far precedere, come suolsi, all'accusa la scusa? rimproverare a quel suo governo la mala distribuzione, applicazione e sistemazion de' tributi, una tra le cause prossime dello scoraggiamento, della inerzia, della miseria di questi popoli, una tra le cause rimote della caduta di quello stato? rimproverargli quell'avaro sistema proibitivo che si opponeva cotanto al vero interesse de' governanti e de' governati, che faceva così aperto contrasto ai larghi fini, alle universali vedute della Provvidenza? E a chi sopra tutto, a chi non dee parer bello P udire da oltre mezzo secolo addietro e con tanta convinzione e persuasione annunziati quei principi di onesta libertà: commerciale sui quali stanno oramai con ardente desiderio fissati gli sguardi d'Europa? —Ma s'io ancora proseguo, arrischio colla mia mia cicalata di togliere il luogo alla Scrittura del Savio. Sarà dunque miglior consiglio il deporre la penna, e lasciar che ciascuno tragga dalle verità esposte in detta Scrittura quelle de- duzioni che gli vengono suggerite dalla niente o inspirate dal cuore. — Però, non imprechiamo ai caduti, e consoliamoci, che molti di quei fatti sono entrali nel dominio della storia; che molti di quei desideri son fatti; che molti di quei lamenti al di d' oggi non suonerebbero veri. Tomaso Luciani. Intorno alle condizioni dell' Istria nella seconda metà del secolo XVIII. Scrittura del Savio Battaglia. La frequenza dei soccorsi in questi ultimi tempi domandati dalla provincia dell' Istria essendo una certa prova della progressiva decadenza sua, per quanto si creda, conseguili, che se ne abusi, determinò il Senato col decreto 11 aprile 1789, a volerne conoscer le cause. Comandò a tal fine al magistrato dei deputali di riferire con quali leggi sieno governati i prodotti di codesta penisola, conoscendo che particolarmente da ciò dipende di una provincia la felicità o la miseria. È cosa a dir vero dolente che P Istria sia ridotta ad una popolazione scarsissima; che la maggior parte de' suoi abitanti offrano l'idea di una condizione infelice; che le terre sieno abbandonate di quel genere di coltura di cui sariano capaci; che, circondala dal mare abbondantissimo di pesci, sia, si può dir, senza pesca; che, con dello opportunità manchi di commercio così interno come esterno; senza arti, senza prodotti e ridotta per ultimo termine della miseria nella necessità di sostenere un passivo di granì per otto mesi dell'anno; di quasi tutte le carni di macello; di quasi tutti i bovi d'aratro; d'ogni sorte di tele; dell'intiero vestiario per ogni ordine di persone, nessuno eccettualo; ferrareccia, strumenti rurali, pelli concie e pesce insalalo per buona parie dell' anno con altre di minor conto, come si legge nella lettera del Fiscale di Capodistria, nonché in quelle del N. H. rappresentante, interrogati dal magistrato dei deputati; sebbene intorno ai bovi non sia coincidente il loro giudicio, come pure sopra alcune cause credute da essi generanti lo stato infelice della provincia. Di queste cause poco importa parlare giacché nè l'uno nè 1' altro coglie nel segno : e P uno e 1' altro è strascinato dagli errori comuni, che sono di correr dietro alle cause prossime perdendo le rimote di vista. Per mostrare che lo sialo infelice in cui si trova la provincia dell'Istria (senza correr dietro ad oggetti minuti) dipende solo dal modo con cui la si governa, basta confrontarlo coi tempi da noi lontani, senza che da quelli a questi ne sia cangiala la fisica costituzione. Si può veder per tal mezzo, che l'Istria fu domata dalla Repubblica Romana, ma dopo di averci resistito colla sconfitta dell' esercito mandato per soggiogarla, della qual circostanza ed altre, indicanti lo stato florido della provincia, celebri scrittori ne fanno prova, come Livio, Plinio, Tolomeo, Pausania. E per mostrare anche in tempi a noi un po'meno lontani la di ler floridezza anche rispetto alle arti, basti il dire che al tempo degli imperatori romani era celebrata in vicinanza di Pola una tintoria di porpora come consta da qualche antica iscrizione. — Cassiodoro nel secolo sesto ne parla come di una provincia celebre per la di lei fertilità di vino, di olio e frumento, non lasciando di far menzione dell'abbondanza di pesci nel mar che la bagna. Ora la è ridotta a non poter somministrar che leggieri tributi senza «he fosse possibile l'accrescerli neppur d' un soldo. — Parte di codesti tributi formano le principali rendite di molte comunità; parte vengono riscosse da giurisdicenti, e parte costituiscono la rendita pubblica. Ciò che le indicale comunità ne riscuotono arriva a ducati 11,026:22; ciò che appartiene a' giurisdicenti a ducali......., e ciò che il senato ne trae, sono ducati 10,592:11 valuta corrente, che non equivale a quanto costa il governo della provincia, che giunge a ducali 15,997:10, nella qual somma non si comprendono i soccorsi che, in numero di cinque ed in biade, gli à porti il senato dal 1764 in quà, i quali, comechè sotto titolo di prestanza, pure col fatto si convertono quasi in dono; per guisa che il senato possede una vasta provincia che gli è di peso e grave, sebbene i di lei confini non esigano truppe per difenderli, nè una guerra vicina vi abbia diffuso la desolazione e la miseria. La massa dei tributi pagati dalla provincia dell' Istria cade immediate sopra tutti i prodotti col titolo di decima, o di dazio, ed oltreciò sopra quelle azioni che rendono alcuni di essi usabili dagli uomini, come sarebbe il pane, il pesce salato ed altri: cosicché non vi è prodotto della natura, o dell'arte che prontamente non senta la mala influenza d'uno o più tributi nel luogo stesso ove nasce, e non ne incontri di egualmente dannosi e pesanti o si rendesse genere di commercio per l'interno o per 1' esterno della provincia. E quanto all'interno, mancando il quale manca ogni base per l'esterno, egli è reso anche più angustialo dagli interni impedimenti generati dalle varie mani posseditrici i dazi sugli stessi generi, come sarebbero gli Abbnccatnri delle due camere di Raspo e Capodistria, le comunità ed i giurisdicenti; per guisa che si può dire la provincia dell'Istria costituita di tante parti quanti sono i distretti suoi grandi e piccioli, che non hanno tra esse che una difficile e scoraggiante comunicazione. Qualche esame minuto è necessario onde toccar con mano gli errori di una tale amministrazione, o le cause di tanta infelicità. Le lettere succitate fanno menzione di tre prodotti che sarieno per costituire la base principale del ben essere di codesta provincia: l'olio, la pesca, ed i vini. Non si parla del sale nè delle legna da fuoco, comechè prodotti nominati nelle citale lettere, perchè, avendo più estese attinenze, il porci mano per ora saria non solo quasi impossibile, ma polria render più difficile, tentandolo, ogni regolamento sul resto. Cominciando dall' olio, di cui vien parlato nella lettera del magistrato agli olii, diretta a quello dei deputali, e lasciando di far menzione di mille estorsioni, decimo delle olive, dazio del torchio, inquisizione d' o- gni genere per i defraudi, cose tutte che hanno luogo a carico delle olive, vi considererò l'olio ridotto tale. 11 proclama, che appunto riguarda l'Istria, 6 febbraio f786, e la citata lederà che lo accompagna, mostrano qual sia tutta la legislazione su tale proposito. Due cose questa legislazione si propone : l'una che l'olio sia buono, l'altra che venga tutto a Venezia. Per la prima si sottopone il torcolista ad un inutile pedantismo sempre incomodo, e come se l'interesse noi determinasse a cercar che sia tale. Per conseguir la seconda lo si costringe a notificare l'olio spremuto, e con l'articolo primo del citato proclama si comincia a sottoporlo alla solita filiera ministeriale, ogni passo della quale, come ognuno sa, porta conseguenze dannose. L'articolo secondo rende schiavo della legge il possessor delle olive.—Il sesto fa cadere di nuovo il genere nelle mani ministeriali per nuovi confronti al momento di caricarlo per Venezia, ove giunto finalmente va soggetto a nuova rassegna di confronto, di fedi, di mandati ecc. ecc., e per dirlo in una parola, il possessor delle olive, il torcolista, e ciascuno di quelli per le cui mani passa, o può passare in proprietà il genere, ha sopra il capo pendente una inquisizione che può rovinarlo per tutta la vita. Ma ciò che risulterà strano nella lettera stessa del magistrato si è il confessarvi, che prima del 1775, a fronte di proclami, di custodie, di processi, di pene, il genere venia distratto, disperdendosi particolarmente nella provincia del Friuli con danno del dazio consumo, e che dopo tal epoca non accadono conlrafTazioni alla legge che ne comanda la venuta a Venezia. Dunque non lo fa venire a Venezia la legge, ma il nuovo metodo. — Perchè dunque mantenere una legge che l'esperienza fa conoscere inutile, giacché l'oggetto si conseguisce senza di essa, ed il mantenerla porta conseguenze tanto dannose? — Ma niente più farà risultare la dolente stravaganza con cui si governa codesta sciagurata provincia, quanto il vedere che nel dazio mule della comunità di Raspo vi è una inquisizione sull' olio che uscisse per stato alieno. Veggasi ora se le piantagioni degli olivi si animeranno, e se potranno accrescersi sul supponimelo che vien dato nelle sopracitate lettere di proibire l'estrazione dalla provincia degli divari novelli, togliendo ai possessori di un tal genere anche questo leggiero vantaggio, e credendo che la Provvidenza sia così avara da costituire il ben essere di una provincia col sacrifizio dell' altra. Quanto alla pesca non si parla di quella che concerne agli usi giornalieri col pesce fresco, soggetta anch'essa ad un dazio ed a mille estorsioni; ma dell'altra che somministra il pesce per conservarlo lungamente con diversità di mezzi, secondo le varie specie di pesci, ed il gusto dei consumatori.— La sola circostanza enunzia-ta nelle citate lettere del Fiscale, che cioè T Istria soffrì un passivo per avere del pesce salato, e ad un tempo ne faccia un qualche attivo commercio, fa prova degli errori senza numero di amministrazione, giacché niente di più naturale quanto consumare il genere proprio anziché uscire dalla provincia per procurarselo. — Ma un così strano fenomeno lo spiega il sistema daziale della provincia offerto nei due libretti che raccolgono tutti i dazi delle due camere Capodistria e Raspo, ed ai quali è necessario aggiungere e quelli che appartengono alle comunità, e gli altri a' giurisdicenti. Ma perchè a tutto non si può tener dietro, si ritorni alla pesca come oggetto importante dell' attivo commercio per una provincia bagnata dal mare; importantissimo per uno stato che sulla marina sola può fondare 1' altrui estimazione verso di sè medesimo. Appena uscito il pesce dal mare ha il peso di una imposizione col titolo di decima o di doana, e varie altre verso reggimenti, cancellieri ecc., la maggior parte arbitrarie, eh' è quanto dire senza misura fissa, da ributtare ognuno che si sentisse inclinato ad un tale mestiere. Altri ostacoli si aggiungono rispetto al sale che non si può avere in tutti i luoghi ove ogni circostanza inviterebbe a salare il pesce che non può insalarsi se non nello stesso sito in cui vien tratto dal mare: nè insalazioni per le quali abbisognasse altro sale che quello dell' Istria se ne possono fare attese le leggi colle quali si governa un tale abboccamento; ma finalmente il pesce superati tutti gli ostacoli è ridotto in barile. — Una legge statutaria lo costringe a venire tutto a Venezia, e per assicurarsi della esecuzione d'una tal legge distruggitrice, a mille vincoli lo si rende soggetto; — notifiche, quadri, mandati, pieggierie, giuramenti; le quali cose sono registrate in proclami nati in vari tempi che tutti si querelavano di defraudi, ognuno dei quali, citando gli anteriori, qualche cosa vi aggiunse, per guisa che non v' è individuo che si adopera in un tale mestiere che sia in istato di sapere comme possa u-sare del proprio per non esser reo, ed ha, come si disse dei possessori di olive, di torchi, d'olio, mille processi che gli pendon sul capo. Giunto il pesce in porto paga un dazio andando soggetto a mille confronti che debbono combinarsi colle prescrizioni comandate prima di partirsi dall'Istria;—per conto del primo possessore è finalmente venduto a chi ha un privativo per farne 1' acquisto e rivenderlo. — La libertà poi, di cui si fa tanta pompa, concessa al primo possessore per farne a Venezia la vendita, col fatto si riduce un vocabolo dali i vincoli anteriori e posteriori ad un tale mercato ; e che ciò sia vero lo prova il fatto. — Chi poi volesse esaminare le provvidenze instituite per conseguire un commercio attivo di questo genere e per la suddita Terraferma, e per 1' estero, nonché per averne in Venezia abbondanza, sarebbe cosa lunghissima da esaurirsi, ma potria agevolmente mostrare o dimostrare che gli effetti debbono essere affatto contrari a quanto si propone il senato. Le leggi relative al vino, pari quanto all' effetto alle esaminate sopra 1' olio e la pesca, se ne propongono de' contrari. Comincia già il coltivator della vigna ad essere tormentato col dazio del vino nella giurisdizione di Raspo che gli sottrae la decima sopra l'uve con mille distinzioni per i contribuenti che gli rendono soggetti a mille abusi. Nella giurisdizione poi di Capodistria vi è il dazio imbnttadura che rende schiavo d' un abboccatore in mille guise chiunque possede anche una piccola quantità di vino, e l'altro denominato per terre aliene di cui il secondo articolo toglie al proprietario perfino la facoltà di misurarlo. Anche la giurisdizione di Dignano ha un dazio sopra il vino, che non si sa in che misure, mentre i dazi di una tale giurisdizione non hanno tariffa. — Ma se non bastasse i vincoli di cui si è parlato per distruggere ogni coltura delle viti nella provincia dell' Istria, c' è una legge sul vino contraria alle indicate sull' olio e sul pesce che gli proibisce di venire in Venezia.— Potria pei vini dell' Istria restare un asilo, se fosse concesso ad ogni uno il distillarlo per farne acquavite e rosoli; ma un privativo ne restringe la facoltà in un ab-boccatore che per il prezzo di soli ducati 264 distrugge anche questo poco di bene che potria rimanerci. Errori pari ai discorsi per i tre generi olio, pesca e vino sono comuni ad ogni altro senza eccettuarne nessuno. In fatti i sommi capi dei dazi dell'Istria, le cui rendile entrano nella pubblica cassa, sono ventiquattro, ai quali debbono aggiungersi tutti gli altri che si levano per conto delle comunità e dei giurisdicenti, e che tutti o quasi tutti sono levali in genere, e quasi nessuno sui consumi, che pure alquanto temprerebbe la concussione. Questo stato di oppressione fece sì che non si ricorresse al genere di coltura domandata dal suolo, ma invece a quello che fosse per risultare un po'meno oppresso. Perciò i generi del frumento e del sorgoturco quasi ributtati dal suolo in alcuni siti, e particolarmente quest' ultimo, vengono coltivati, comechè anch' essi sieno soggetti alla decima; e nel distretto di Raspo ci sia il dazio denominato frumento che sembra appunto diretto a fare che le terre non sieno mai coltivate. Ma siccome questi generi non possono risultare così abbondanti da farne commercio, e consumansi appunto ove sono raccolti, per questo sentono un po'meno l'oppressione di tutti gli altri. — Sebbene i fatti soli sino qui riportati bastino per conchiudere che lo stato della provincia dell'Istria esser non può diverso dal presente; pure si aggiunga ragionando una qualche cosa prima di parlar dei rimedi e dei mezzi onde preservare la pubblica rendita. Ogni uomo cerca colle proprie azioni la felicità, e tutti concorrono a riporla nei comodi e nelle ricchezze. Lo stesso pungolo agisce sopra di tutti: chi si trova mancante del necessario, agisce per procacciarselo: assicurato questo, studia di acquistare i comodi della vita, e dopo di questi le ricchezze: nella scelta dei mezzi per conseguire cotali oggetti ciascuno è giudice migliore d' ogni altro. Se dunque un governo abbandonasse ogni individuo a sè stesso, siccome l'unione della prosperità dei singoli è appunto ciò che costituisce la felicità nazionale, così quella nazione sarebbe la più felice di tutte che non avesse nessun pensiero per esserlo, purché nel governarsi non fosse sulla via dell'errore. S'opporrà dunque ad una tale felicità ciò che viene fatto dell'Istria, ove nessuna azione in grazia del sistema daziale è libera. — Più, qualunque bene uno si propone, dee cominciare dall' incontrare un dispendio o un lavoro, e d'ordinario il bene non è sicuro, e certamente dee un tempo aspettarsi. Se dunque il governo sopra quelle prime azioni pesanti per sè stesse impone degli altri pesi, co- tali azioni saranno neglette da tutti. — E ritornando all' Istria: Chi coltiverà con certo ardore le terre se egli è obbligato di pagare un dazio per i bovi di aratro più grave se sono in più numero? La decima del frumento essendo per lui più pesante quanto più il raccolto è abbondante, è castigato per la sua diligenza. — Chi sarà eccitato a coltivare qualunque altro genere, se ad ognuno si dee per l'Istria applicare lo stesso ragionamento? — La necessaria conseguenza di questi fatti si è, che essendo il peso certo, il profitto incerto, sorge invece delle azioni l'inerzia ; la quale di effetto convertendosi in causa, sorge invece della felicità la miseria; e siccome gli uomini hanno gran ritrosia nel confessare gli errori propri, così si calunniano i popoli anziché accusare i governi. Gli operatori s'ingannano nel fissare le cause dei mali, e non imaginandosi mai che la cagione di essi sia anzi l'azione che la inazione del governo, ricorrono a nuove leggi che peggiorano l'istesso male. — Se una nazione per reggersi non avesse bisogno di tributi, ne saria ben più agevole l'amministrazione; ma ciò non essendo, nè potendosi consigliare il senato di rinunziare, comunque piccole, alle rendite della provincia di cui si parla, sarà necessario di cercare, sopra qual base fossero per appoggiarsi, giacché si è veduto che il corrente sistema è la sola cagione del suo squallore. Non vi è sulla terra vera e permanente ricchezza se non se quella che vien tratta dal suolo in generi che servono all'immediato alimento degli uomini, e a quegli usi sociali che non sono soggetti all'umano capriccio, essendo la sola che periodicamente si riproduce, e di cui tutti in tutti i tempi hanno eguale bisogno. In fatti quante nazioni non sono passate dalla dovizia alla miseria, e da questa a quella per essere le possedute ricchezze appoggiate a basi non fitte nel suolo? Ciò posto, quando uno se ne possegga capace di qualche coltura, sarà un vero bene fare in guisa che ogni ostacolo sia rimosso nel coltivarlo, lasciando che l'interesse de'singoli agisca da sè, azione che naturalmente va a coincidere col bene universale, come si è detto.— Di questa verità, assai mal conosciuta per sciagura degli uomini dalla maggior parte dei governi dell'Europa, si potriano addurre vari esempi appresso di noi e positivi e negativi, ed illustrare con essi ciò che di sopra si è detto. Nè un fatto che si potria addurre distrugge questo ragionamento, che, cioè, il bene di alcune classi non è d' accordo col bene universale, e che perciò può giovare l'azion del governo per temperarne i cattivi effetti. La cosa è vera non solo di alcune classi ma di tutte, quando si prendono ad una ad una, ed è appunto perciò che l'abbandono diventa miglior dei consigli, perchè gli urti scambievoli distruggendosi gli uni cogli altri ne nasce un equilibrio fecondatore, equilibrio che dal sovrano si toglie anche cogli stessi favori, e si può togliere colla percezione dei tributi, i quali, esatti con cattivo consiglio, fanno quello che accaderebbe se si volesse che un uomo robusto si strascinasse un peso colle gambe, piuttosto che portarlo sopra le spalle. Colle discorse premesse ne viene, che le imposizioni debbano cader immediate e non mediate come si fa sulle terre; imposizioni delle quali essendo stata finora esente l'Istria, forse credendosi di procacciarle un bene, si è commesso il massimo degli errori. Per verificare questa imposta tre mezzi vi sono; ottimo l'uno, pessimi gli altri due; uno in sè stesso, l'altro in grazia degli abusi impossibili da evitarsi, sebbene e l'uno e l'altro abbia chi li crede opportuni. II pessimo in sè stesso sè è quello di levare il tributo in generi, del che essendosi ad altro passo parlato, non occorre tornargli sopra, sebbene alle dette, molte cose potrieno aggiungersi, una delle quali, la più importante, si è quella, che il dispendio per raccogliere i tributi levati in tal guisa è assai grande, ed ogni anno per necessità si ripete. Il pessimo, per gli abusi e per gli errori ai quali per necessità si va incontro, si è 1' altro, di gettar l'imposta sul valore delle terre determinando col mezzo delle rendite questo valore. — Il mezzo più comune è quello di raccogliere le affittanze, e, per que' beni che si coltivano immediate dal proprietario, esaminare i conti tenuti; e per l'esattezza degli uni e degli altri si ammette, anzi si esige il giuramento del proprietario: così almeno si è fatto a Venezia per la nuova redecima. In primo luogo le affittanze non possono essere una misura della bontà assoluta delle terre, dipendendo, caeteris paribus, da mille circostanze che ogni dì possono cambiarsi:—un proprietario negligente; un affettuoso verso qualche coltivatore ecc. ecc. Cosa ne segue? j Che il diligente proprietario che trae da' suoi terreni tuttociò di che sono capaci è più aggravato di ogni altro. Quanto alle altre terre accennate, si va incontro nell' apprezzare le rendite a mille cure minute : e per l'une e per 1' altre è necessario gran tempo, e grande dispendio. Oltre ciò perchè l'imposta fosse gettata con giustizia, sarà necessario una separazione dei prodotti per vedere quali si debbano attribuire alla fecondità del ter- ! reno, quali alla pura diligenza del possessore; ma ciò è impossibile; dunque non potrà mai con tal metodo levarsi con giustizia i tributi. Finalmente grave si è il vizio di questo metodo di far uso dei giuramenti, ponendo ad una lotta pericolosa l'onestà e l'interesse; ed un sovrano dee guardarsi da una tal lotta come da uno scoglio, perchè alla lunga introduce negli uomini i maggiori vizi morali con grave danno della nazione, giacché la corruzione, checché se ne dica, non generò mai nè può generare buoni effetti. Gli abusi finalmente di questo metodo sono tutti a danno dei fedeli agli ordini del sovrano, e dei diligenti, e i negligenti, i spergiuri ne godono il frutto; mentre, se l'imposta dee render tanto, il meno che pagano gli uni dovrà accrescere il peso degli altri che è quanto dire due ingiustizie in una sol volta: pagare inegualmente, e pagare più di quello che non si dovrebbe pagare. Resta il terzo di stimare le terre, e sopra il loro valore gettare 1' imposta. Una carta topografica, per quanto è necessaria, che distingua la proprietà di ciascuno, dividendosi in classi i beni, e dandosi un prezzo che niente importa se si alterasse nelle vicende de'tempi, giacché la proporzione tra una classe e l'altra dee restare la stessa. Questo metodo per la prima volta esige molto tempo, e grave dispendio; ma fissato un catastico con esso, senza ricorrere sulla faccia del luogo per rinnovare l'imposta, com'è necessario nell'altro metodo, senza tante minute cure, senza cadere nei discorsi disordini, si può con dei mezzi semplici ogni dieci anni rilevare a qual classe debba appartenere un dato terreno, e seguirlo, per dir così, in tutti i cambiamenti che avesse subiti. — È inutile il cercarsi se per tal mezzo solo si potesse raccogliere le somme che ai dì nostri esigono da'sudditi gli stati di Europa, mentre parlandosi dell'Istria non s'ha bisogno che di trarre le somme che corrispondano alle suenunciate, cioè raccogliendosi tutto dalla mano pubblica, e somministrando un equivalente all' odierno delle comunità, i dispendi delle quali è facile che in seguito si potessero moderare con profitto dell' erario, giacché non si vede che in nessun tempo il governo siasi proposto di esaminare il modo con cui si governano, affine di togliere quegli abusi che si fossero in esse introdotti, come facilmente sarà accaduto. Il primo passo da farsi dunque sarebbe quello di formare dell'Istria veneta una carta topografica (e senza descriverne le circostanze) colla precisione di quella che venne fatta per il Polesine. Il dispendio ne saria temperato con ciò che si fece anni sono per avere una mappa esprimente tutti i boschi dell' Istria. Sulla base del catastico fatto con tal precisione si registrano in un quaderno tutte le dite, e per dirlo in una parola, si segua il metodo semplice instituito dall'........... anzi tanto più semplice quanto che si tratta di far cosa nuova, e non viziata nè dalla malizia, nè dalla ignoranza, come era seguito tanto di ........... come di ........... Classificate le terre e gettata l'imposta nell' atto che si comincia a governar la provincia con un tal metodo, si pubblica con un proclama 1' abolizione di tutti i dazi, decime ecc. ecc., cosicché e le azioni e le cose godessero d'una intiera libertà. Se il magistrato crederà esser questo il miglior consiglio onde dar vita ad una provincia di solo peso al senato, diverrà argomento delle zelanti sue cure il modo da tenersi onde presentarlo alla pubblica autorità. Del Duomo di Parenzo attribuito all'imperatore Ottone II. Corre voce ripetuta anche da storici, essere il duomo di Parenzo opera della liberalità dell'imperatore Ottone II, consacrata dal patriarca Rodoaldo. Questa voce crede trovare prova in alcuni diplomi che furono anche più volte stampati, e che piace ora di prendere ad esame, per giudicare quale credenza meritino queste asserzioni. Le carte che di tali avvenimenti fanno cenno non furono vedute in originale da alcuno, per quanto si sappia; ai soli criteri interni di veracità devesi quindi por mente. Giovanni XII papa, secondo una di queste, nell'anno I di suo pontificato avrebbe ordinato al patriarca Ro-doaldo di Aquileia di consacrare la chiesa di Parenzo, raccogliendo quanti arcivescovi e vescovi gli venisse fatto di trovare; accordava indulgenza plenaria ai penitenti che visitassero in futuro la chiesa nell' anniversario di sua dedicazione, e diceva di commettere la consacrazione a motivo che l'imperatore Oltone gli si era presentato in persona, e l'aveva personalmente pregato di recarsi a Parenzo. Questo papa è il nolo Oltaviano figlio di Alberico, il quale veniva ordinato nel gennaio 956; scrivendo desso nel marzo del primo anno di suo pontificato, ciò essere doveva nell' anno 956. In questo anno nè il papa poteva vedere Ottone in Roma, che non vi fu, nè poteva chiamarlo imperatore, dacché appena nel 962 fu Ottone in Roma e nel dì 2 di febbraio venne coronato imperatore. Prima di questo tempo lo avrebbe potuto dire re d'Italia, che nel 950 conquislò difalti Ottone la Lombardia. Nel 963 fu Ottone di nuovo in Roma, ma per deporre papa Giovanni, occasione la quale non sembra propizia per chiedergli che si porli in Parenzo a consacrare una chiesa. Strana assai sarebbe invero la domanda che un papa si muova dalla sede sua per esercitare un atto che è di ordinaria autorità episcopale, in piccola città; che certamente nel 956 non brillava Parenzo; né molivo alcuno si presenta di questa predilezione di Oltone. Ottone a Parenzo non fu mai, seppure vi avesse potuto approdare ciò sarebbe stato nel 983 quando recavasi a deporre papa Giovanni, ma esso Otlone imprese il viaggio di terra, non quello di mare; la venuta di lui°a Parenzo è una pietosa invenzione non suffragala da un solo argomento di credibilità. Il papa autorizza il patriarca di raccogliere quanti arcivescovi potesse; or di questi arcivescovi esso patriarca non ne aveva un solo soggelto a cui potesse dare precetto, e per invilo avrebbe dovuto far muovere l'arcivescovo di Milano, o quello di Ravenna. Non fece tanto nemmeno il patriarca Popone quando consacrava la sua chiesa metropolitana, quella chiesa che di tutta la provincia era matrice, e che i suffraganei avevano debito di visitare una volta all'anno. La bolla del papa è indiretta a Rodoaldo patriarca di Aquileia. Nel 956 Radaldo non era patriarca di Aquileia; era all'invece quello stesso Engelfredo il quale intervenne nel 963 al concilio che depose papa Giovanni e che in quest' anno medesimo moriva in Roma. Radaldo montava la calledra di Aquileia, dopo che Oltone aveva deposto Giovanni XII. Non è poi al patriarca di Aquileia che si sarebbe rivolto il papa, sibbene a quello di Grado, che era metropolita deli' Istria ed a! quale reslò soggetta la provincia ancor per un pezzo. Ancora nel 1010 Sergio papa nella questioni fra Grado ed Aquileia ordinava lasciarsi le coso come erano fino a decisione di concilio, e nel 1053 il concilio romano ratificava quei diritti metropolitici che Leone IX aveva riconosciuti con bolla del 1049. Prima che del 1024 Popone prendesse Grado colla forza, non sembra che i vescovi istriani fossero suffraganei di Aquileia, nemmeno di fatto, non che di diritto; papa Giovanni certamente conosceva la geografìa ecclesiastica. In questa carta si adduce, per motivo delle premure di Ottone, avere questi dotata la chiesa di Parenzo. Si ha diploma genuino di Ottone III dell'anno 983 nel quale esso conferma alla chiesa di Parenzo le donazioni fatte dai suoi antecessori dei quali nomina il solo tigone, di altre donazioni non vi ha un solo motto, un solo cenno, e certamente le avrebbe menzionale se fatte le avesse il suo antecessore. Altra carta registra l'adempimento della volontà del papa, ed essere dovrebbe dell' anno 961 degli 8 di maggio. Il patriarca consacrante sarebbe quello stesso Radaldo il quale appena nel 963 fu patriarca, sarebbe il patriarca di Aquileia, anziché il patriarca di Grado. Vescovi consacranti sarebbero stati un Alberico di Con-! cordia, un Alberto di Feltre, un Martino di Treviso, un Giraldo di Vicenza, un Fredeberto di Pedena, dei quali fuori che da questa carta niuna notizia ebbesi mai. Si cita un Zenone vescovo di Padova, mentre in quell' e-poca si successero senza interruzione Sibico ed Arde-mano, un Giovanni di Cittanova, il quale se non ebbe a ! successore altro Giovanni, avrebbe pontificato anni troppi. Giovanni di Trieste, poteva benissimo essere vescovo I a quel tempo, siccome anche Gerboldo di Pola scritto Gospaldo; Milone fu veramente vescovo di Verona. Comparisce poi un vescovo di Brescia che sarebbe di altra provincia, ignoto a tutti pel nome che gli si dà di Hergeno. II papa accordava indulgenza plenaria, il patriarca all' incontro dava un anno e quaranta giorni. Di questa solenne consacrazione poi a cui intervenivano un patriarca e dodici vescovi, la quale veniva ordinata da un papa, ad istanza di un imperatore; nessun segno si poneva nella chiesa medesima, nessuna inscrizione, nessuna memoria, quasi fosse avvenimento ordinario e di poco conto, in quella istessa chiesa nella quale la rifazione dell' altare maggiore diede occasione tre secoli più tardi ad un vescovo di apporvi lunghissima leggenda, quasi avesse ricostruita dai fondamenti la chiesa, e l'avesse dotala. Nè di Ottone segno alcuno o ricordanza della tanta generosità, delle tante sollecitudini che avrebbe avuto. Per il che reiette queste due carte fra le apocrife, e poste fra le compilazioni di tempi più tardi per imitare la matrice Aquileia che da tanti vescovi era stata consacrata; ristrette le donazioni di Otlone II a semplice conferma di quelle che i suoi antecessori avevano fallo alla chiesa parentina, la venula di Oltone a Parenzo, la sua liberalità va cancellata dalle pagine della storia, e posta fra le dicerìe o false, od adulterate a segno da non poter più riconoscerne la verità. Coelanea a queste carte si è quella che porta in fronte la data 961 e colla quale il patriarca Badaldo avrebbe fatto dono alla chiesa parentina del Castello di Rovigno. Non dirassi che le note croniche di questo documento sono errate, che ciò non sarebbe a dir vero decisivo criterio; ma altre caratteristiche di sfacciata falsità si trovano. Radaldo nel 961 non era patriarca di Aquileia. Il patriarca donatore tiene tale linguaggio quale nppena Io tengono i sovrani nei diplomi; pure Radaldo non aveva alcuna giurisdizione o potere nella provincia. Le donazioni a favore dei patriarchi di Aquileia di be-nifondi cominciano appena intorno la metà del secolo XI; queste l'ebbero i patriarchi non già dagli imperatori, ma dai marchesi d'Istria, ed in tutt' altra parte della provincia venivano a collocarsi, in quella parte nella quale li mantennero anche nei tempi più tardi; dal Quieto cioè verso Capodistria e sotto le montagne. Ciò che costituiva propriamente il marchesato i patriarchi non l'ebbero che intorno il 1200, quando dichiarato fellone il marchese Enrico e posto al bando, l'imperatore dispose dell'Istria. E propriamente appena nel 1230 si possono dire legittimamente e pacificamente possessori, quando Ottone d' Andechs transigeva coi patriarchi e cedeva loro ogni diritto. Prima del 1230 non avrebbero i patriarchi potuto disporre di Rovigno ; nè mai 1' avrebbero fatto nel modo imperiale come si vorrebbe nel diploma in esame. La forma della sua spedizione corrobora la certezza di falsità. 11 nodaro autenticamente è quello stesso che autenticò la bolla di Sergio papa, e dice di averne intesa la esposizione tratta da antico papiro di Ravenna. Ma non è in Ravenna dove custodirsi dovessero o potessero carte del patriarcato di Aquileia o del vescovato di Parenzo; mentre nè Aquileia fu mai soggetta a Ravenna, nè Parenzo in quell'epoca; la stessa soggezione di Parenzo non fu delle cose di chiesa. Nel tesoro della chiesa Aquileiese si registra diploma del 1002 col quale Enrico avrebbe donato il Castello di Ruvin al patriarcato di Aquileia. Manca il diploma e non vi ha che la sola citazione. Se così fosse la cosa non avrebbe potuto il patriarca donare questo stesso Castello al vescovo di Parenzo 40 anni prima di averlo avuto. La donazione di Enrico è appena indicata, per cui nessun giudizio può farsi di quella carta; fuori di dubbiezza però si è che Ottone nel 983 riconosceva che la chiesa parentina possedeva una parte di Rovigno. Ad intendere la quale espressione giovi il ricordare alcuna cosa. Rovigno era comunità quando l'Anonimo Ravennate lo registrava nella sua cosmografia, e comunità di qualche conto si era al tempo dell'impero bizantino, se pagava imposta egualmente che Pola, Parenzo e Trieste. Comune affrancata devesi considerarla, ed abilitala al governo di sè medesima; per cui di demanio pubblico vi era la decima di tutti i prodotti. Gli antecessori di Odone dovrebbero avere fatto dono al vescovato di Parenzo d' una parte di questa decima, l'altra parie dovrebbe essere rimasta proprietà del fisco reale, la quale passò poi nei Conti di Istria che erano della famiglia dei Conti di Gorizia. Queste divisioni a parti ideali e i'ors' anco a parli materiali non erano infrequenti. Però grande oscurità regna su Rovigno. Il nome non è unico nella provincia, già il letterato Vergotlini, in MS. posseduto per gentilezza degli eredi di lui, l'ha sospettalo e ci è accaduto di vederlo ad altre località applicalo, non significando che piccolo promontorio; fra le castella e ville donate da Woldarico marchese d'Istria alla chiesa di Aquileia figura una villa di ta- le nome, la di cui posizione è sconosciuta, ma che dovrebbe cercarsi nella regione fra il Quieto e la Dra-gogna. Le questioni frequenti, occorse fra il conte di Istria 0 di Gorizia ed il vescovato di Parenzo per le decime di Rovigno potrebbe benissimo avere avuto occasione da una comunione di beni che pur troppo societas est mrtter discurdiarum, ma non azzarderemmo asserire se 1 Conti di Istria tenessero le investiture dal patriarca o dall'imperatore; forse le ebbero da ambidue. Certo che i prelati di Parenzo ebbero su Rovigno diritti secolari, siccome li ebbero ecclesiastici; vi ha sospetto che gli uni e gli altri fossero coetanei, forse del IX secolo, e tutti e due provenienti dallo stesso atto o donazione dei re d'Italia, anteriore al tempo di Ottone II. Comunque sia per essere la cosa, la donazione di Radaldo patriarca all' episcopato Parentino, è falsa, strepitosamente falsa. Però dobbiam dire che l'esame di carte antiche della provincia ci ha porlalo a convincimento, come spesso sieno piuttosto viziate che false. Cioè a dire diplomi di dala più recente vennero adulterati per farli passare più antichi di quello che realmente erano; a diplomi genuini si pose mano non sempre esperta (il mendacio non regge a critica profonda) per schiarire, por ampliare, per risolvere dubbiezze nate più tardi del diploma, o che erano alla giornata, per fare intelligibile con termini moderni, ciò che la terminologia anliquala velava; il pensare che minore malizia siasi intervenuta fu sempre cosa prudente. Non perlanto il diploma di consacrazione della chiesa di Parenzo, la commissione del papa, la donazione che il patriarca Radaldo faceva di Rovigno van riposte Ira le carte apocrife, dettate forse da zelo malinteso. Uno studio delle carte parentino varrebbe forse a segnare 1' occasione o 1' epoca di tali alterazioni, falle forse in buona intenzione, od almeno scusabile, di che oggigiorno non facile sarebbe il giudicare. Pensiamo all' invece che la donazione di Rovigno rimontare debba ad epoca più antica a noi celata, siccome avvenne di Orsera che fu dominio dei vescovi, avulo in tempi dei quali non si ha conoscenza. Sovrani di Casa d'Austria che dominarono in Trieste e la Contea d'Istria. Nell'anno 1382 il comune di Trieste con felici auspici si dava volontariamenle suddita alla Serenissima Casa d'Austria, per essere unita a perpetuila coli'allora ducato, poi arciducato dell'Austria inferiore, conoscendo che i destini di Trieste dovevano essere immedesimati coi destini della capital1; dell'impero. Ecco la serie dei principi austriaci che ebbero la sovranità di Trieste: 1382 Leopoldo il lodevole duca d'Austria 1386 Alberlo III 1406 Ernesto figlio di Leopoldo 1424 Federico Ìli Imperatore German'co 1495 Massimiliano 1 Imperatore 1521 Carlo V Imperatore 1523 Ferdinando I Re dei Romani, poi Imperatore 1564 Carlo Arciduca d'Austria Sovrano della Stiria 1589 Ferdinando II di Stiria, Arciduca, poi Imperatore 1637 Ferdinando III Imperatore 1657 Leopoldo I Imperatore 1705 Giuseppe I Imperatore 1711 Carlo VI Imperatore 1740 Maria Teresa, Imperatrice, Regina 1780 Giuseppe II Imperatore 1790 Leopoldo II Imperatore 1792 Francesco I Imperatore d'Austria 1834 FERDINANDO I Imperatore d'Austria. Osservazioni meteorologiche fatte in Parenzo all'altezza di i 5 piedi austriaci sopra il livello del mare. Mese di Maggio 184S. 1 o Ss ® s -a vazione Gra j 1 cimi Poi liei I Ll-( nee | De- ] cimi 03 ^ -o vazione Gra 1 De- I cimi Poi liei -j Li-| nee I Dolcini 1 7 a. m. 2 p. m. 10 „ Ilio ili It » 2 0 8 27 27 27 8 9 9 4 0 6 P. Maestro Ostro Levante Nuvolo detto Sereno 17 7 a. m. 2 p. m. 10 „ +17 +18 +16 0 7 0 137 27 1 27 10 il li 9 6 « L. Scirocco Maestro Levante Sereno detto detto 2 7 a. m. 2 p. m. 1 io „ fio +12 t 9 8 6 8 27 27 27 10 10 10 0 0 4 Levante Scirocco Levante 1 Sereno detto | detto 18 7 a. m. 2 p. m. 10 „ +16 +18 +16 0 5 0 I 28 28 | 28 0 0 0 0 0 0 Calma P. 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