ANNO V. — 31. Sabbato 25 Maggio 1850. EPI&RAFE I8TRI1M pubblicata e spiegata dal cav. Dr. Giovanni Labu§. lius Veteranus Legionis Vlili Triumphafricis, Septumiae Publii Filiae Sabinae uxori, Vinusiae Tertullae Filiae Anno I. Ho detto che preziosa e la lapide ; non gia pel nome di Lucio Vinusio comeche manchi di esempi: ognun sa quai nomi gentilizi gli antichi romani derivassero da vi-num per la stima in che aveano 1' agricoltura, le sue i produzioni, e sopratulto il soave liquore di Bacco, delizia dei conviti, ristoro della vecchiaia. Chi scorre di volo i i tesori epigrafici vi scopre le famiglie dei Vinii, Vinicii, Vinidii, Vinucii, Vinedii, Vinei, nomi tutti di simili fat-tezze ed usali da persone, qual piu qual meno, di non volgar qualita *). Sicche non per questo dico preziosa la lapide, bensi per 1' epiteto di Trionfalrice che ostenta la legion IX, il quale unicamente si appara dal nostro marmo; e vuol sapersi come e quando le sia stato apposto, e perche non trovisi ripetuto negli altri marmi che della stessa legione fan ricordanza. Scrive Cesare che avendo saputo voler gli Elvezii occupare il paese dei Sequani e degli Edui, in Italiam magnis ilineribus contendit, duasque ibi legiones conscri-bit, et tres, quce circum Aquilejam hiemabant, ex hiber-nis educit 2). Fra queste legion i vi era la IX che appena valicate le Alpi fierainente percosse gli Atrebati, poi si affronto coi Nervii, indi coi Bellovaci3), e segui fedel-mente il prode suo capitano in tutte le gloriose sue im-prese. Domala la Gallia, surse la guerra civile, e la IX legione condotta da Cajo Fabio legalo di Cesare pugno J nella Spagna contro Afranio presso Lerida con varia j fortuna4). Discese poscia in ltalia e ardi ammutinarsi a Piacenza, perloche Cesare, ancorche gli fosse assai cara, indispetlito la congedo, ne la ripiglio se non dopo molte preghiere, nec nisi exacta de sontibus parnar>). A Du-razzo gravi giatture sofferse dali'esercito di Pompeo 6) e nondimeno si cimento tuttavia coraggiosa nei campi Far-salici 7). Rinforzata con nuova gente sostenne animosa il suo duce nella guerra Afričana ; e intervenne alla battaglia di Tapso8) lo segui pure nella Ispanica, dove Rarissima, preziosa ed inedita lapide di granitello, alta 1,510; larga 0,810; grossa 0,200, usci ali'aprico nel 1822 a Visinada, paese distante circa dodici miglia da Parenzo nell'Istria, la quale per essere ita ad arricchire il Museo del seminario patriarcale di Santa Maria della Salute in Venezia merita d' essere partecipata a chi legge P Isfria e si diletta d' antichita. Essa e conforme a que-sto disegno: le parole sono: Lucins Vinusius Lucii Fi- 0 Grut. n. 15, 5; Doni, cl. XVI, 7; Mur. p. 779, 15; Fabr. c. III, n. 289; X, 389; ec. 2) Bell. Gall. I, 10. 3) Ibid. I, II e seg. 4) Bell. Civ. I, 45. 5) Appian. Bell. Civ. II, 47; Svet. Ca>s. 69. 6) Bell. Civ. III, 45 e seg. 7) Caes. Bell. Civ. I, 45. 8) Bell. Afric. 53. compresa fra le otto legioni che dispersero a Munda gli estremi avauzi deli' esercito di JPompeo rendette Cesare padrone della Repubblica '). Nel Triumviralo la IX le-gione fu tra le trenta di Mare' Antonio 2), e sotto Augusto, forse perche rifornita con leve fatte in Ispagna sorti il titolo d' lspanica-, del qual predicato certamente gloriavasi imperando Tiberio3), e avea le stanze in Pannonia, ove eolla VIII e XV tumullud") ; fu quindi spedita in Africa per la guerra contro Tacfarinate, e vi rimsse quattro anni comandata dal legato Publio Cornelio Lentulo Scipione per fede d' un marino insigne che i Collettori piu antichi Bresciani attestano rinvenuto nelle fondamenta del monastero di S. Giulia, ed ora e mi-seramente smarrito 5). Reduce in Pannonia fu da Claudio spedita in Britannia, e vi fu assai malconcia presso Ca-meloduno, avendovi perduto quasi tutta la fanteria 6). Re-integrata di nuovo coi legionari Germanici, un distacca-mento di essa venne in Italia a pro di Vitellio, e qui pure fu di nuovo batluta 7), sicche debole assai ed invalida la disse Tacito nella vita di Agricola8) dopo il qual tempo tranne i suoi tribuni Barbulejo Optato Liga-riano 9), 0- Roscio Eliano 10), L. Emilio Caro" ) che poi ascesero al consolato; e tranne qua'che milite di poca importanza 12) non si lv, dopo Trajino, piu contezza di lei, non e annoverata fra le romane legioni dali' istorico Dione l3), manca nelle colonne Maffejana e Capitolina che tutte deserivono le legioni esistonti ai tempi di Settimio Severo l4), perloche sapendosi che ultimamente avea i ') L' Autore De Bell. Hispan. c. 30 attribuisce la vittoria di Munda alle tre legioni III, V, e X; afTerma pero che fra le altre .cu^ue vi avea la VI (ibid. c. 12), la quale perciocche avea colle prefate V e X pugnato per Cesare nella guerra Afričana (Bell. Afr. c. 35) e insieme con esse eravi la IX (Bell. Afr. c. 53), par chiaro che questa pure, poi detta Hispanica, fosse loro associata eziandio nella guerra di Spagna. 4) Eckhel. D. N. VI, 51. 3) Manut. Ort. Rat. p. 352, ove nella 1. 2 leggasi PRAE- tori non PRAEFecčo, che la cura deli' erario, soste-nuta pria dai Questori, fu alfidata a due Pretori da Auguslo nel 709 l"Dio. LIII, 2), e restituita ai Que-stori da Claudio nel 797 (id. LX, 24; Svet. in Claud. c. 24). 4) Tacit. Ann. I, 23 e 30. 5) Capriol. Chronic. Brix. p. 7; Tolti, Volpato, Corsini Monum. Vrb. et agri Brix. MS. presso di me. Confr-Tacit. Ann. III, 9; IV, 23. 6) Tacit. Ann. XIV, 32. 7) Tacit. Hist. III, 22. s) Agric. c. 26. 8) Borghesi Memor. alla R. Accad. Ercol. Napoli 1838. I0) Morcell. De stil. p. 76; confr. Marini Fr. Arv. p. 177. n) Kellerm. Vigil. n. 213. 12) Grut. p. 391, n. ove nella decima Iinea IN • LEG • IX • III • SP non dee leggersi col Gudio Trirerni Spei m a IN LEGione IX HISPanica; Bertoli AA. d" Aquil. p. 168; Allessi AA. d' Este, p. 253. ,3) Hist. Rom. LV, § 23. ,4) Grut. p. 513, n. 2 e 3. quartieri in Britannia puo credersi, come opina il Borghesi, che fosse oppressa in qualche ribellione di cui non da sentore la storia, o che seguisse le parti di Albino e nella strage di Lione rimanesse distrulta ')• Da questa succinta notizia raccolta dai classici e dai monumenti parmi si poss* fidatamente conchiudere, che a malgrado d'aver la legion IX durato tanti anni, d' avere avuto i quartieri in varie provincie, e corse tante campagne, pure il feroce conflitto di Munda in cui dei Pompeiani ceciderunt milia hominum circiter XXX et si . p. 52. r liano. La semplicitž deli' epigrafe, i caratteri poco ele-ganti, le tre stelle iuelegantemente delineatevi, che de-notano il trij>lex triumphus, triplaque pompa Romae habita de victoria Hispaniensi attestata da Dione '), mi paiono ainminicoli non disprezzabili per avvalorare la con-geltura essere il marmo degli ultimi respiri della moriente romana liberta. La legion IX prima di Cesare non ha voce nei greci o nei latini scrittori, e dopo Cesare ve-demmo che denotninossi Ispanica, e non piu le avvenne ' in Germania, ne in Italia, in Africa, in Inghilterra j di segnalarsi con tali prodezze da meritarsi il fastoso titolo i di Trionfatrice. Del qual titolo pero non vorrei facesse sorpresa la novita, che ben altre legioni si conoscono i cui predicati insoliti venner loro da speeiali circostanze, o da luoghi e da coloro che le comandarono; e queste parimente note ci sono o da un autor solo, o da uno o due monumenti. La Iegione Veterana, la Vernacola, l'ala Petriana, per dir d'alcune, si hanno unicamente negli scritti di Giulio Cesare; la Iegione Prima Macriana da qua!che medaglia e da Tacito2); la II Italica Divi-tense da una lapide dello Smezio, edita dal Grutero 3), posla in sospetto dal Maffei ') forse perche divenisse sincera ed autentica nel suo museo5); la IV Sorana da una sola lapide del Manuzio 6); la V Urbana da un marmo del Doni e da un altro del Furlanetto 7); la X Veneria da una sola epigrafe del museo Bresciano; la XII Antu/ua, e la XVIII Libica dalle sole monete di Mare'Antonio 8); la XXII Dejotariana da un marmo del Torremuzza 9), da un altro pessimamente interpretato dal Passionei t0) e da uno di Egitto 'O- Che piu; non chiama forse Tacito la stessa Iegione ora Classica, ora Prima, ed ora Adiulri-ce? ,2) Indubitabile essendo Pautenticita del nostro marmo, ho per fermo che tornera non discaro agli studiosi delle antichita militari, i quali potranno accrescer la serie dei titoli singolari onde furono decorate le romane legioni. DISS£RTAZIOHE sul FIUME TIMAVO del def. cons. Francesco Dr. Savio. (Continuazione. V. n. 19 e 20.) Altri s' immaginarono che quest' acqua abbia a ri-petersi da un grosso rivo che si vuole tra Monfalcone 0 Hist. Rom. XLIII, 42. 2) Khell. Suppl. p. 27; Tacit. Hist. II, 97. 3) Grut. p. 542, 8. 0 Art. Crit. Lap. p. 346. 5) JI/ms. Ver. p. 256, 6. 6) Orl. Rat. p. 166. 7) Doni cl. VI, 109; Furlanet. Mus. d' Este n. XXI. s) Mus. Theup. p. 10; Schulz. Numoph. I, p. 90. 9) Inscr. Sicul. p. 118. ,n) Class. III. 10; Donati, p. 218, 7. ") Orelli, Collect. Insc. Latin. T. I. n. 519. I2) Hist. I, 31; II, 23, 43., ec. e S. Canziano con molto strepito s' imbuchi sotterra e sparisca ')• Altri finalmente vogliono che la Reka sia quell'ac-qua che dopo aver pereorso Iungo spazio nei ciechi meati delle viscere della terra ricomparisce sulla superficie e da corso al Timavo. La Reka, che in idioma carniolico si-gmifica fiume, nella villa di S. Canziano del Carso si pre-cipita in un abisso da cui indi a non molto si sprigiona per subissarsi di bel nuovo, e poi comparisce un' altra volta e viene in seguito ingoiata da nuova voragine per non lasciarsi piu vedere che dopo Iungo viaggio sotter-raneo nel seno Diomedeo 2). La derivazione delle acque del Timavo dalla Reka ha piaciato al P. Atanasio Kircher, il quale nella supposizione, che le sorgenti di questo fiume andassero soggette al flusso e riflusso, come lo e il mare. e per spiegare un fenorneno che non e vero, si e immagi-nato uri'ipotesi, merce della quale si studia di far compren-dere come succeder debba cio che in realta non succede 3). Ouesta ipotesi del P. Kircher puo leggersi anehe presso il bar. Valvasor, che la riporta in tedesco4). Per quanto pero probabile sia, che il Timavo ri-conosca la sua esistenza dalla Reka; nulla di meno pero quest' opinione non puo dirsi piu che probabile, ed in sostanza puo essere anehe falsa, perche non e possibile d'aver certezza sopra la provenienza delle acque d'un fiume che nasce dalle radici d' un monte legato con una lunga catena d' altri consimili, sotto dei quali senza dubbio trovar si devono quelle immense masse d' acqua, che gi-rano sotto le vastissime volte che sostengono le mon-tagne del Carso. Chi puo determinare quante altre acque *) Ouelli che vollero ripetere P origine del Timavo, da un fiume che tra S. Canziano e Monfalcone s' imbu-ca e sparisce, si sono solennemente ingannati; questi non devono aver avuto alcuna notizia di S. Canziano del Carso, ed indotti forse dalla vicinanza del Timavo hanno immaginato un fiume che non e-siste, ed hanno cercato in S. Canziano del territorio di Monfalcone quello che vedesi in S. Canziano del Carso, il quale, per quanlo ci assicura il conte Aga-pito al § 19 delle sue deserizioni, e distante 14 mi-glia dal luogo di nascita del Timavo. 2) Strabone nel lib. V della sua Geogra/ia racconta, che Possidonio, il quale visse molti secoli pria, derivasse il Timavo da un fiume, che ingoiato veniva da un abisso, e dopo pereorso Iungo spazio sotterra in distanza di stadi 130 veniva a perdersi nel mare, cioc-che otlimamente s' adatta al fiume che si perde sotterra in S. Canziano, ed alla comparsa che vi fa il Timavo sopra la superficie, ed al perdersi dello stesso nel mare dopo brevissimo corso. AlPopposto quello che dice Plinio nel libro II, cap. 103 non quadra in conto alcuno al Timavo, di cui ripete P origine da un fiume che s' imbuca nel-1' agro Altino, sia che con cio intendersi voglia deli' Altino d'Italia, sia deli'altro della Pannonia. 3) Si legga su di cio 1' opera del padre Atanasio Kircher che ha per titolo: Mundus subterraneus tom. I, pag. 303. Edizione d' Amsterdam del 1678. ') Vedasi su questo particolare P opera del bar. Erasmo Valvasor. Tom. I, pag. 614. concorrano a riempire quelle caverne? Chi sa, se quelle che formano il Timavo sieno precisamente quelle della Reka? Io non mi fo mallevadore, diceva lo Schonleben di questo fatto, perche so, che i monti del Carso e della Carniolia sono pieni di fonti ed acque sotterranee in gui-sa, che stabilir non si puo, ove vada a sbucare ciocche si e una volta internato nel seno della terra ')• Per procurarsi un maggior grado di probabilila, che la Reka sia Porigine del Timavo, sarebbe duopo che si facessero delle diligenti indagini, come giudiziosamente suggerisce il conte Filiasi. II con. Agapito nelle sue descrizioni discorrendo della Reka, da cui ritiene che ripetersi debba P origine del Timavo, racconta, che, secondo le fatte esperienze i-drauliche, si voglia, che la quantita d' acqua che la Reka colla sua cascata va a tributare al bacino che la riceve, non sia minore di 1000 orne per ogni minuto 2). Converrebbe percio sottomettere al calcolo anche la quantita d' acqua che vomitano le bocche del Timavo o-gni minuto per farne indi il confronto; e vi e molta probabilita per chi conosce da vicino questo fiume, che il risultato del calcolo sarebbe, che le 1000 orne d'ac-qua, le quali precipitano ogni minuto nel bacino, non sieno sufficienti a formare un fiume perenne qual si e il Timavo. IV. Se le sorgenti del Timavo sieno salate o dolci, se le acque sieno nocive o meno. Polibio, che lascio scritto che da tutti i fori le acque del Timavo escono salate fuorche da un solo che le tramanda dolci, non fu per certo mai in queste vicinan-ze, ne mai assaggio le acque di questo fiume, altrimenti non avrebbe detto cio che per esperienza avrebbe co-nosciuto esser falso. Noi che siamo qui vicini alle sorgenti e che abbiamo avuto di spesso la comodita di gu-stare le di lui acque, possiamo assicurare, che queste non abbiano niente di salso e che al palato non facciano sen-sazione differente da quella che fa ogni altra acqua bevibile. Questa verita e conosciuta da tutti quelli che hanno avuto Pincontro di farne P esperimento 3). Si e dubitato pure della salubrila delle medesime; ') Sulla derivazione del Timavo dal fiume Reka, che si precipita in S. Canziano del Carso, lo Schonleben opina molto giudiziosamente al cap. V del tomo I, § 1. Egli s'esprime in questa guisa: De hoc ego nolim promitlere, quod sciarn montes Carniae, et Carnioliae plenos subterraneis aquis et fontibus, ut non facile statui possit, unde rursus emergat, quod semel terrae illibitur. 2) Tutto cio si ritrova nelle descrizioni del co. Agapito § 17, pag. 177. s) Strabone nel lib. 5, racconta che Polibio sia quello che lascio scritta la fola, che da tutti i fori le acque che danno corso al Timavo escano salse, ecceltua-tone un solo da cui escono dolci. ma questo punto non & piu oggetto di questione, ne un problema; e dacche fatte si sono delle diligenti esperienze sulla loro qualita, si e potuto con sicurezza conchiudere che quest' acque non sieno nocive ne agli uomine ne alle bestie ')• L' estrema loro freddezza puo averle accidentalmente discredilate, poiche bevute o da chi era eccecsivamente riscaldato, o da chi era senz' altro indisposto, possono aver alterata la salute, e si e poi preteso d' attribuire alla qualita deli' aequa cio ch' era in realta effetto di concorrenza di particolari combinazioni. V. Se le sorgenti soggette vadano al flusso e riflusso. Si ha gratuitamente supposto, che le acque, che si sprigionano da quelle sotterranee carceri, per venir alla luce del giorno e formare un fiume di breve durata bensi ma rinomato quanto ogni altro piu grande, vadano soggette al flusso e riflusso non altrimenti che il rnare stesso , cd in quest' erronea supposizione, rintraeciando la provenienza di quest' acquc, si ha presunto nel tempo stesso d' averne esplorata la cagione per cui succede che d' esse vanno soggette a quelle perpetue vicissitudini che si esperimentano nel mare. II P. Atanasio Kireher senza pria accerlarsi della verita di questo fenomeno si e impegnato nell' imaginare un'ipotesi per dame la spiegazione, priva pero d'ogni fondamento, indarno essendosi egli lambiccato il cervello nel cercare la causa d'un effetto che non e, vale a dire il flusso e riflusso nelle sorgenti del Timavo. Quello che tutto il mondo puo aver osservato, e che tutti lo sanno si che le vicinissiine acque del mare col periodico loro crescere e calare, facciano che il fiume corra o piu lento o pili rapido; in occasione di maree straordinarie succede, che le acque del fiume si gonfino a segno che tutto quel tratto di strada il quale dal ponto che vedesi a lato della foce del Timavo si estende fino alla chiesa di S. Giovanni, sia sott' acqua in guisa da non potersi transitare ne a piedi, ne in carrozza 2). VI. Se il Timavo nutrisca pešci. II bar. Valvasor nella citata sua opera racconta, che nel Timavo si prendano delle belle e grosse trote, J) II Dottor Giov. Fortunato Bianchini, medico d' Udine, ha fatte diverse esperienze sulla pretesa insalubrita delle acque, ed il risultato di queste si fu, che si conobbe non essere nocive quest' acque ne agli uo-mini, ne alle bestie. 2) Al padre Kireher e accaduto quel!o che intervenne ad un medico, il quale dopo essersi sparsa la voce, che ad uno cresciuto fosse un dente d' oro, si pose a tavolino, e scrisse una dottissima dissertazione con cui spiegava la causa del fenomeno. Ma scopertasi la falsitd di questo fatto, comprese d' esser stato troppo corrivo nell'impegnarsi a dimostrare la causa senza esserne pria certo deli' effetto. persino del peso di lib. 25 e per rendere la cosa piu maravigliosa (nella supposizione, che 1' acqua della Reka sia quella precisamente che forma il Timavo (soggiunge che nella Reka non si trovino trote. Ma se e vero che nel Timavo vi sia di questa sorte di pešci, e se vero e che nella Reka madre del Timavo non se ne trovi di tale qualita, allora saremmo nella necessita di conchiu-dere, che altre acque concorrino a dar corso a questo fiume ') e che con queste vengano portato le trote. Che nel Timavo vi sieno trote, o che ne sia no di cosi smisurata grandezza, non e cosa ne attestata da al-cuno ne esperimentata. L' autorita del bar. Valvasor non e, per dire il vero, tale, che meriti che se gli presti fede alla cieca; perche nella voluminosa opera della Carniolia, racconta tante maraviglie sia dei siti, sia dei prodotti di qualunque sia natura, sia di tanti altri oggetti, che senza fargli torto, da tutti gli assennati, ritenute vengono per vere fanfaiuche, e come che negar non se gli possa il merito d' una sterminata erudizione, resta nulla di meno motivo di dubitare del suo giudizio e della sua critica 2). Ritenuto come vuole il bar. Valvasor, che nel Timavo si trovino trote, quando queste portate non vengano nelP alveo dalle acque che sbucano alle sorgenti, non si saprebbe ripelerle d'altronde, che dalla Sdoba ove 1'Isonzo va a mettere nel mare, ciocche facilmente succeder potrebbe non essendo molto distante il sito ove 1' Isonzo mette nel mare dal Timavo. 0 Ove scorrendo il Timavo da una region media tra oriente e mezzodi verso settentrione, va a mettere nel mare, la vi concorre anche un canale provenienle dalle paludi di Monfalcone che viene ad intersecare la strada commerciale. Per lo passato questo canale si transitava mediante una barca d' una particolare costruzione. Ouesta era tronca a prora ed a poppa, e vi aveva da ambe le parti un tavolato raccoman-dato con gangheri e catene alla barca e stavano questi a fior d' acqua e servivano quasi di ponte sia agli uomini sia ai cavalii per entrare nella barca e per uscire. Ouesta barca fu abolita 1' anno 1809, durante il governo francese e vi fu eretto un ponte che non si distingueva ne per la costruzione, ne per la so-lidita. Disparsa da queste conti ade la signoria francese, fece il governo austriaco edificare quel ponte che ora vi esiste tanto comodo pei viaggiatori e com-mercianti.Da questo ponte alla sinistra comincia un mu-ro basso, che si estende fino alla chiesa di S.Giovanni il quale divide quella tenuta dei conti della Torre di Duino, in cui cresce il tanto famoso refosco, dalla strada maestra, la quale corre tra 1' alveo del Timavo a destra ed il detto muro a sinistra, e quando vi sono straordinaric maree, essa e inondata in modo che il passaggio e affatto impedito. -) 0«esto laboriosissimo scrittore, dopo P annalista della Carniolia Schonleben, ha saputo mettere insieme quattro voluminosi tomi in folio sopra il medesimo oggetto, e nella compilazione di questa sua opera si e servito di 1211 autori. Ouello pero che non va soggetto ad alcun dubbio si e, che questo fiume nutrisce pešci in abbondanza per la massima parle poi della specie dei cefali ossia mug-gini che qui in paese e conosciuta sotto il nome cevolo, ed a questa appartengono le bosighe, le volpine ecc. e prova luminosa di questa verita sono le abbondanti pe-scagioni che si fanno annualmente in questa fiumana. II bar. Valvasor soggiunge che si trovino in queste acque anche delle grosse anguille: prende quindi motivo di sospettare che Marziale nell' epigramma XXV del lib. IVabbia chiamata felice Aquileja per la vicinanza del Timavo, in cui si pescano queste anguille; ma colle stesse parole del Marziale si ha dimostrato che questa non sia stata la sua mente allorche scrisse quei versi. II fatto che il Timavo sia abbondante di pešci e una prova convincente, che la freddezza delle sue acque non sia tanta da non potersi sopportare dai pešci. II co. Filiasi che per questa ragione lo dice privo di pešci, deve esser stato ma! informato, se non che con fondamento si puo dubitare, se egli stesso abbia creduto questa fola. Per altro se egli avesse conosciuto da vi-cino questo fiume, sarebbe stato in grado e di potersi convincere deli' opposto, e di smentire tutti quelli che hanno detto non trovarsi pešci nel Timavo per 1'eslre-ina freddezza delle di lui acque. Ouanto si e qui unito in questo breve trattatello abbraccia in sostanza tutto quello che si e detto in tutti i tempi di questo piccolo fiume si, ma rinomato quanto ogni altro sappia essere, e chi desidera d' avere esatta contezza dello stesso vi trovera cio che basta ad appa-gare la sua curiosita, sicuro che le notizie che si sono dale, siano scevre da tutto cio che dagli storici e geografi e stato detto di falso o finto dai poeti. Li 24 maggio 1824. COIHPIMEHTO DELLE LEZIOMI del Martirio dei Santi Cancio, Canciano e Cancianilla. Nel numero 15 di questo giornale abbiamo toccato deli' antico comune romano che stava sui terreno oggidi tenuto da Monfalcone, ed in sussidio alle noslre sospi-cioni abbiamo recato frazione degli alti di passione dei santi martiri Cancio, Canciano e Cancianilla, martirizzati insieme a Proto alle acque Gradate oggidi dette di S. Canciano. Ouei bandelli di leggende furono tratte da antico breviario; ora per compiacere al desiderio di qualche benevolo diamo le altre lezioni, sperando di averie piu esatle da altri testi. LECTIO I. Temporibus Dyocleciani et Maximiani imperatorum contigit Ouestionarius prefectus pmuet urbis romanae Asclepiades praefectus cives orientalis justorum animas chrislianorum adDei laudem et gloriam Christi coronam transmisit. Cunque intente perquireret per satellites suos suggestum est ei de duobus fratribus, una cum germana eorum adventi esse in eadem urbe, nomine Cancius, Can-cianus et Cancianilla honestis natalibus sicuti fama erat ex genere Aniciorum. LECTIO II. Ouorum parentes christiani de hoc seculo receden-les copiosam et valde magnam substantiam? relique- rant...... quam pro christianitatis....... quos videbant viros et mulieres in Christo credentes uaiversa expendebant heredes qui pro Cliristi nomine in tormentia deficiebant digne eos sepellientes domino transmittebat. Audiens haec Asclepiades jassit eos honeste suis optatibus presen-tari. LECTIO ffl. Qui cuin venissent beatissimi Cancius et Cancianus primam interrogationem de eis exquisivit. Cum vos tanta ac magna curiositas ad hunc honorem perduxerunt, quid vobis videtur ut recedentes a cultu deorum immortaiium vos in prophana christianorum atque vana secta constitui-stis. Aut nescitis quod piissimi principes atque omnium nostrorum rectores terminaverunt ut si quid in hac in-sania atque perfidia inventi fecissent, diversis suppliciis puniantur. LECTIO IV. Beatissimus Cancianus respondil: Et nos hoc cu-pimus intrepidi ut magnam punicionem et tormenta vel ignem amarissimum accipientes, ad Christi coronam ve-niamus. Nam minae vestrae nos perterrere non possunt, si quid vero facturus es, cito exerce. Iratus autem prefeotus jussit eos extensos fustibus nodosis cedi. Postea jussit eos deponi et in carcerem recludi. Cumque in carcerem recluderentur psallebant domino hymnos canentes et dicebant: Domine in adju-torium nostrum intende. Domine ad adjuvandos nos fe-stina. LECTIO V. Cumque in custodia complessent diem totum. in inedio vero noctis adsumentes universi familiares eorum cum armis una cum amicis eorum comminuentes primam vel secundam januarn carceris invenerunt eos flexis genibus orantes. Cumque surrexissent ab oracione, et videntes familios suam irrumpentes carcerem cum aliquanti"s ar-matis, dixit eis beatissimus Cancianus: Ut quid huc tu-multuose ingressi estis? Sinite complere cursum agonis nostri. Universi autem rapuerunt eos, et perduxerunt foris muros urbis, et ceperunt una cum germana eorum et a-liquantis famulis eorum per oppida vel castella latitanter agere. AIUTICHITA SCOPERTE ml terreno della trnova chiesa nel Rione S. Giacomo di Trieste. Scavandosi il terreno per collocare le fondamenta della nuova chiesa nel Rione di S. Giacomo in Trieste si rinvennero parecchie anticaglie le qua!i erano nascoste ali' occhio da terra e frantumi sovrapposti. Delle cose minori quali di monete in rame dei tempi di Augusto, di embri bollati, e di altre non diremo, perchž frequenti a rinvenirsi dappertutto, e perche nulla segnano in bolli o leggende monetarie che non sia gia noto, Migliore cu-riosita destd la base di edifizio perfettamente quadrato formata in due corsi di pietra dolce istriana, ognuno dei corsi alto oncie dodici viennesi, dei quali 1' inferiore sembra essere stato anche in antico destinato- a stare sotterra, 1' altro ha le facciate esterne bene tirate, largo ogni corso le 24 oncie. Ogni lato era composto d'un sol pezzo di pietra, e la misura esterna di questi lati e di 16 piedi viennesi, e manifestamente erano questi corsi basamento di costruzione che le ingiurie dei tempi tolsero del tutto. Precisainente nel centro di questo quadri!atero ed al Iivello del casamento fu rinvenuta piccola urna cine-raria di pietra calcare dolce, di piccole dimensioni, di forma quadrilatera rozza, con coperchio, o per entro gli avanzi di cadavere bruciato, la solita ampollettu e mo-neta, non pero accolti entro vano vilreo come di frequen-te avviene. E presso questo sito medesimo fu rinvenuto pezzo in pietra calcare che ci dissero capitello (or ri-parato al museo, ma che noi crediamo piuttosto monu-mento sepolcrale ad iinitazione di quel conosciutissimo greco che si vuole abbia suggerito il capitello corinto a foglie di acanto che tutti sanno. II nostro e nel timpano omato a foglie senza dentellature che imitano la dispo-sizione a squame. Da quel sito venne tratto un pezzo di cornice, ed un roco di piccola colonna striata. Noi non dubitiano che quel basamento fosse gia di celletta sepolcrale, che alzavasi sopra la tomba di persona, che per difetto di leggenda ci rimane ignoto del tutto; fosse poi la cella praticabile internamente o soltanto di appariscenza. Ed il luogo di rinvenimento per-suade a cid; imperciocche per quel terreno correva l'an-tica strada romana che uscita da Tresle per le alture di S. Lorenzo e di S. Michele (Prandi) metteva diretta-mente a Parenzo, e su quel tratto frequentissimo fu il rinvenimento di tombe e di memorie sepolcrali come ci narra il P. Ireneo, e lungo il tratto che continua fino al magazzino odierno delle polveri. Ed era antico rito di seppellire i poveri in cimiteri comuni, lasciato agli agiati di scegliere la propria tomba che collocavano lungo le strade alle rive del mare; ed amavano di farlo per avere anche morti il saluto dei transitanti. Non era sulle alture di S. Giacomo la Necropoli, che questa fu ai SS. Martiri, ma v'era abbondanza di tombe e cippi. Ouella tomba di cui vidersi le basamenta, consi-steva furse in una celletta, la quale se fu come altre ve-dute in Trieste medesima, ebbe pavimento a mosaico, pareti e volta a stucco di gesso con decorazioni di cor-nici ed altro, con pitture di vivi colori, con pavimento a mosaico scompartito a disegno simmetrico di due od al piu tre colori; 1'uscio fu forse di pietra girante su due perni. Al di fuori stava certamente leggenda che dove-va tramandare la memoria del nome, del casato, delle cariche civili o militari sostenute in vita dal de-funto; ma la Iapida fu tolta insieme alla cella ben da lungo tempo, insieme colle parti architettoniche di miglior ornamento deli' edifizio. 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