Received: 2016-01-09 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 DOI 10.19233/AH.2017.44 LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI LONDRA. ALCUNE RIFLESSIONI INTERPRETATIVE Rosario MILANO Universita degli Studi di Bari "Aldo Moro", Dipartimento di Scienze Politiche, P.zza Cesare Battisti 1, 70121, Barí, Italia e-mail: rosario.milano@gmail.com SINTESI L 'intervento della Gran Bretagna nella Prima guerra mondiale costitui un punto di svolta per l'Italia liberale e per tutta la regione adriatica. La decisione di Westminster a favore della partecipazione britannica alla guerra rese di fatto insostenibile l'adesione italiana alla Triplice e segno l'avvio del lungo percorso che avrebbe portato l'Italia a tradire quella Alleanza, incentrato principalmente intorno alla questione dell'egemonia italiana nell'Adriatico. Di fatto, la guerra ripropose quei problemi che il ritiro dell'Im-pero ottomano dai Balcani aveva da tempo sollevato che le Potenze, prima fra tutte la Gran Bretagna, avevano tentato, senza successo, di risolvere in modo stabile e pacifico nell'ambito del concerto europeo prima dello scoppio della Grande guerra. Parole chiave: Grande Guerra, Intesa, Patto di Londra, egemonia, Mare Adriatico, Albania, partizione THE ALBANIAN QUESTION AND THE ADRIATIC ORDER ACCORDING TO THE TREATY OF LONDON. SOME REFLECTIONS SUMMARY The intervention of the Great Britain in the First World War represented a turning point for liberal Italy and for the Adriatic region as whole. That made the Italian participation to the Triple unsustainable and marked the beginning of the long path that would have led Italy to betray that Alliance, in return of the issue of the acknowledgement of the Italian hegemony in Adriatic by the Entente. Indeed, the war arose once again the problems the Ottoman Empire's retreat from the Balkans had already set, a longstanding question to whom the Powers, first of all the Great Britain, had tried unsuccessful to settle in a stable and peaceful way in the framework of the concert of nations before the outbreak of the Great War. Keywords: Great War, Entente, Treaty of London, hegemony, Adriatic Sea, Albania, partition 961 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELLADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI LONDRA L'intervento in guerra della Gran Bretagna nell'agosto del 1914 segnó il destino del Regno d'Italia, che nove mesi dopo avrebbe denunciato la Triplice Alleanza per aderire all'Intesa. Del resto, le questioni sollevate dalla politica del giovane regno di Vittorio Ema-nuele III erano entrate anche nel dibattito pubblico che precedette la decisione britannica del 3 agosto 1914. Nel corso della discussione parlamentare che preparó il voto, trattando delle conseguenze che le scelte britanniche avrebbero avuto sul futuro degli equilibri continentali e imperiali, sir Edward Grey, Secretary of State for Foreign Affairs del governo guidato da Herbert Henry Asquith, entrambi esponenti di spicco degli Imperialisti Liberali, spiegó come in quel momento non fossero in gioco unicamente il destino del Belgio e della Francia e il controllo dei porti del nord Europa. Grey pensava infatti alla possibile estensione del conflitto nel Mediterraneo orientale quale conseguenza della neutralità di Londra, con tutte le implicazioni negative che sarebbero derivate da questa nuova condizione per la sicurezza e la libertà di navigazione lungo le rotte vitali dell'impero. Un più esplicito riferimento venne quindi formulato rispetto alle conseguenze che la neutralità britannica avrebbe avuto, non solo sul destino della Francia, ma anche sull'atteggiamento dell'Italia. Il problema della presenza italiana nel Mediterraneo orientale e della minaccia per gli interessi dell'Intesa costituiva di fatto già da tempo un argomento centrale nelle analisi dei due alleati (Lowe, Dockrill, 1972, 170; Matthew, 1973, 126; Hinsley, 1967, 650). Nel discorso tenuto presso la Camera dei comuni, il ministro britannico denunció il pericolo rappresentato dal vuoto eventualmente creato dallo spostamento delle navi francesi, dal saliente occidentale del Mediterraneo verso il Mare del Nord, al fine di proteggere le proprie coste e il naviglio dagli atti ostili della marina tedesca. Il vuoto di potere generato dalla rimozione del consistente deterrente costituito dalla armata navale francese, che Raymond Poincarè aveva progressivamente consolidato nel Mediterraneo in seguito alla firma della Convenzione navale franco-britannica, avrebbe alimentato le ambizioni italiane sulle spoglie di Costantinopoli. Sul governo di Londra sarebbe quindi ricaduta la responsabilità di avere riavvicinato l'Italia alla Triplice Alleanza, concedendo a Roma una libertà d'azione lesiva degli interessi britannici, ma, soprattutto, a quel punto la Royal Navy sarebbe dovuta accorrere in difesa del Mediterraneo orientale e delle rotte imperiali custodite dall'agonizzante Impero ottomano. ALLE ORIGINI DEL NEGOZIATO DI LONDRA La rinuncia alla neutralità da parte britannica rese l'adesione italiana alla Triplice alleanza insostenibile, poiché, evidentemente, la "clausola sarda" costituiva ancora il più valido caposaldo della politica italiana, più solido e imprescindibile dello stesso triplicismo. Paradossalmente, questa implicita subalternità dell'Italia rispetto alle scelte di Londra non ne limitó la libertà di manovra, e le prime offerte territoriali che giunsero dalle sedi diplomatiche estere furono incoraggianti per il governo guidato da Antonio Salandra (Gottlieb, 1957, 199-201; Clark, 2015, 587; Williamson, 1969, 357-360). 962 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E LASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 Rispetto al problema dell'assetto dell'Adriatico, questo drastico mutamento all'interno del sistema europeo, avvenuto nel contesto del conflitto mondiale, mise in discussione l'assetto della Penisola dei Balcani, riproponendo all'attenzione delle Potenze l'annosa questione che la definitiva ritirata dell'Impero ottomano aveva da tempo imposto e che le cancellerie europee, sotto gli auspici di Londra, avevano cercato di gestire per vie pacifiche all'interno del Concerto. Nel corso delle prime settimane di guerra, il governo russo fu costretto a fare fronte in solitaria all'enorme pressione bellica esercitata dalla Triplice sui propri confini, che ne determinó una forte soggezione a livello diplomatico, soprattutto nei confronti dei paesi neutrali come l'Italia, che in caso di intervento al fianco dell'Intesa avrebbero potuto aprire un nuovo fronte contro Vienna. Il ministro degli Esteri zarista Sergei Dmitrievich Sazonov dichiaró pertanto all'ambasciatore italiano presso la capitale dell'Impero russo che, in caso di un immediato intervento in guerra, sarebbe stata ricono-sciuta all'Italia l'acquisizione dell'intera regione della Dalmazia, da Zara a Ragusa. I diritti italiani sulla costa sarebbero stati limitati soltanto dal riconoscimento del diritto allo sbocco sull'Adriatico per la Serbia in Albania e dalla necessaria rettifica del confine epirota a favore della Grecia. Evidentemente, le dichiarazioni di Sazonov erano giustificate dalle condizioni delicate per la Russia sul piano militare, ma anche dal fatto che, comunque, al pari della Serbia, la Russia non aveva ancora sposato la causa del panslavismo e non ancora assunto un orientamento favorevole alla causa delle popolazioni di lingua slava della Dalmazia (Pastorelli, 1970, 8; Petrovich, 1963, 178; Monzali, 2007, 290). A Sazonov rispose il ministro degli Esteri italiano, il Marchese di San Giuliano, il quale informó i propri interlocutori che gli obiettivi di guerra dell'Italia consistevano nell'ottenimento del Trentino e, possibilmente, di altre parti delle province italiane dell'Impero austro-ungarico, dunque, ottenendo questo, l'Italia non si sarebbe opposta «a che l'Albania, se Francia e Inghilterra lo desiderano, venga divisa tra Grecia e Serbia, purché le sue coste da Capo Stylos al confine montenegrino vengano neutralizzate e Valona col suo distretto venga non solo neutralizzata ma anche dichiarata autonoma e interna-zionalizzata a condizione analoghe a quelle adottate per Tangeri e con la partecipazione dell'Italia, al pari delle altre potenze adriatiche, alla sua amministrazione». In merito a questo argomento, sir Grey aggiunse che, in caso di partecipazione al conflitto in corso, oltre alle garanzie di cessioni territoriali del Trentino e della regione di Valona, l'Italia avrebbe dovuto ottenere anche la seconda provincia irredenta di Trieste, che i britannici ritenevano costituisse, al pari dell'Albania, una concessione decisiva per compromettere definitivamente i rapporti tra Roma e Vienna e ottenere dal governo italiano una decisione favorevole all'Intesa (Gottlieb, 1957, 199; Lowe, Dockrill, 1972, 169; Pastorelli, 1970, 6; DDF, 1914-19/2, 113; DDI, 5/I, n. 55). Il favore dimostrato dagli alleati confliggeva tuttavia con i margini di «ipotetica eventualità» all'interno dei quali intendeva districarsi il governo italiano, che riteneva quella una discussione teorica dato che il Paese non era pronto per la guerra, sia sul piano militare che sul piano della opinione pubblica. Tra i tanti ostacoli che impedivano allora l'adesione italiana all'Intesa c'era l'incolmabile distanza tra gli obiettivi di guerra dell'Italia e quelli delle Potenze dell'Intesa. Infatti, mentre per il governo di Roma la pri-orità era costituita dalla sconfitta e dal ridimensionamento dell'Impero austro-ungarico, 963 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 in continuità con l'opera risorgimentale, per Londra, Parigi e Pietrogrado il nemico da battere, il nemico della pace mondiale e dell'Europa era rappresentato dal militarismo tedesco (Gottlieb, 1957, 203; Lowe, Dockrill, 1972, 172). Questa prima fase si concluse pertanto senza esiti concreti ma non fu priva di effetti. Secondo Pietro Pastorelli, i primi contatti tra l'Intesa e l'Italia furono gravidi di conseguen-ze future per l'assetto dell'Adriatico. Di fatto, il progetto che venne presentato all'Intesa dal ministro degli Esteri italiano nei primi giorni di agosto limitó in maniera irreversibile le aspirazioni italiane, imponendo di scegliere tra le proprie ambizioni in Albania e quelle in Dalmazia. L'originale esclusione della Dalmazia dal novero delle rivendicazioni italiane e la pronuncia a favore della formula della spartizione dell'Albania ebbero profonde con-seguenze diplomatiche, che risultarono evidenti soprattutto in seguito, quando i margini di manovra italiani si sarebbero ristretti e il credito della Russia nei confronti dell'Italia vanificato dall'atteggiamento attendista del governo di Roma. Subito dopo questi primi scambi di vedute, l'Ambasciatore italiano a Pietrogrado Andrea Carlotti di Riparbella riportó alcune considerazioni di Sazonov, dalle quali emerse come il ministro russo avesse già rivisto a ribasso le proprie proposte, vincolando la spartizione e la creazione di uno Stato albanese centrale alla soddisfazione della Serbia, non solo in Albania, ma anche in Bosnia e in Dalmazia. Un'altra conseguenza di questa primo scambio di vedute tra l'Italia e l'Intesa fu quindi la constatazione del fatto che l'idea di uno Stato indipendente albanese era stata accantonata, come risulterà in maniera più evidente nel corso delle settimane successive, anche dall'Italia, storico sostenitore dell'indipendenza dell'Albania. Nel corso della fase che precedette il negoziato della primavera 1915, l'Albania rappresentó una variabile rilevante all'interno del contesto dei rapporti tra l'Intesa e l'Italia contraddistinti da un complesso intreccio tra gli interessi contrastanti dei paesi coinvolti e l'evoluzione della guerra, che, ad esempio, avrebbe portato nel volgere di qualche mese all'ingresso dell'Impero ottomano nella coalizione degli Imperi centrali (Ferraioli, 2005, 435; Toscano, 1934, 136; Pastorelli, 1970, 14). Il primo accordo tra l'Italia e i paesi dell'Intesa circa il futuro dell'Albania prese forma nel contesto del mutuo riconoscimento degli interessi specifici delle Potenze e degli stati balcanici, non certo delle popolazioni albanesi. Il 10 ottobre 1914 venne siglato un accor-do segreto tra Italia e Grecia, grazie al quale la Grecia avrebbe potuto procedere alla rioc-cupazione di alcune regioni del Nord Epiro e l'Italia all'occupazione dell'isola di Saseno e della regione di Valona. Per i governi dell'Intesa questo accordo risultava funzionale al coinvolgimento egli stati balcanici nel conflitto ed era fondato sul consenso che sembrava essere stato raggiunto riguardo la spartizione e la progressiva occupazione dell'Albania da parte di Italia, Grecia e Serbia. Un orientamento rispetto l'Albania che rappresentó, come detto, un drastico mutamento d'indirizzo da parte della politica italiana verso l'altra sponda del Canale di Otranto. Per San Giuliano, le mutate condizioni intervenute nei Balcani e l'involuzione delle relazioni internazionali rendevano ormai insostenibile l'idea di Stato albanese indipendente, che era stata una creatura del Concerto europeo, la cui sopravvivenza era comunque strettamente legata al funzionamento e alla conservazio-ne del Balance of Power. D'altronde, vi erano altre motivazioni che potrebbero avere giustificato il riorientamento operato dalla Consulta rispetto ai paesi albanesi. Malgrado 964 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E LASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 il pronunciamento del ministro rispetto alle rivendicazioni in Dalmazia dell'Italia, nel Paese e tra le popolazioni italiane di Dalmazia il problema del ricongiungimento all'Italia era da tempo oggetto di dibattito. Secondo Tommaso Tittoni, le rivendicazioni in Albania e quelle in Dalmazia non erano cumulabili, e pertanto sia per l'Italla che per la Serbia sarebbe stato necessario scegliere tra queste due aspirazioni, tenendo bene presente come per l'Italia la priorità fosse Valona e non tutta l'Albania (Monzali, 2007, 300; Martini, 1966, 397)1. Di fatto, diversamente dal recente passato, l'interesse italiano in Albania non coincideva più con la difesa della sua integrità territoriale, e il governo di Roma sembrava allora pronto a rinunciare al caos albanese in cambio dell'ottenimento della base di Valona. Questo nuovo orientamento aveva un duplice positivo effetto per l'Italia, in quanto avrebbe consentito di soddisfare sia le aspirazioni di Grecia e Serbia, quindi, dell'Intesa, e sia di eliminare un permanente motivo di contrasto tra Roma e Vienna, due paesi ancora alleati che, almeno fino al maggio del 1915, avrebbero conservato un canale diplomatico aperto al fine di salvaguardare la neutralità italiana e di scongiurare la distruzione della Triplice. Sir Edward Grey consideró quelle ottenute dall'Italia in Albania delle concessioni necessarie per aprire la strada all'allargamento dell'Intesa e all'accordo nei Balcani. A parere di Edward Grey, l'Albania avrebbe dovuto rappresentare un «free success» da offrire all'Italia a prescindere da quelli che sarebbero stati gli impegni specifici richiesti per l'avvio di un negoziato a Londra: questa fu la sola concessione territoriale che l'Italia ottenne fino alla firma del Patto di Londra. Stando al parere del responsabile della politica estera britannica, era necessario dimostrare all'Italia una buona predisposizione, sia per sedurre l'immaginario della pubblica opinione e sia per scongiurare il rischio che la Triplice potesse ricompattarsi attorno alla soluzione bilaterale, tra Roma e Vienna, del problema albanese: «It's clear that if we oppose this step we shall impair, if not destroy, the chance of Italy of joining us; we may even throw opinion on to the other side» (Lowe, Dockrill, 1972, 174). Tuttavia, queste decisioni, pur maturate nel contesto del coinvolgimento italiano, non consistevano in un concreto tentativo di superare nel breve periodo le tante incognite che ancora pesavano sulla scelta del governo di Roma. Le concessioni promesse in Albania, ottenute significativamente senza oneri da parte italiana, testimoniavano invece la consapevolezza, maturata grazie all'opera dell'Ambasciatore britannico a Roma, sir Rennel Rodd, che l'intervento in guerra del governo Salandra sarebbe stato determinate 1 Tommaso Tittoni, l'Ambasciatore d'Italia in Francia, ebbe al contrario del governo italiano un punto di vista costante circa il problema albanese, considerato nella sua dimensione balcanica. In particolare, per Tittoni occorreva fare i conti con le ambizioni serbe e, pertanto, per l'Italia e per la Serbia occorreva scegliere tra l'Albania e la Dalmazia. Per il diplomatico italiano le condizioni minime per il controllo dell'Adriatico erano il controllo del Dodecaneso, di Valona e Trieste, occorreva dunque rinunciare alla Dalmazia a favore delle popolazioni slave: «Per parte mia non tengo affatto all'interno dell'Albania, económicamente povera e con popolazione selvaggia e ribelle. Percio mi intenderei volentieri colla Russia se le convenisse dare l'Epiro alla Grecia. Ugualmente lascerei al Montenegro Scutari e San Giovanni. Quanto alla Serbia, essa non dovrebbe insieme litorale dalmata e albanese, ma l'uno o l'altro. Adogni modo noi dobbiamo insistere per avere Valona in piena sovranità rifiutando qualunque soluzione ibrida. Diro di più: io metto per noi in prima linea ilpossesso di Valona e saltante dopo quello delle terre irredente» (Pastorelli, 1970, 13). 965 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 esclusivamente dalla valutazione degli interessi vitali del Paese, ma che i tempi per l'Italia non erano ancora maturi. Più in generale, la soluzione che venne allora determinata per l'Albania non si limitava al riconoscimento delle istanze italiane, ma era un indicativo segnale degli equilibri interni all'Intesa. Al di là della funzione tattica attribuita alla soluzione albanese, l'accordo sull'Albania fu raggiunto infatti a condizione che fosse condiviso da greci e serbi, quindi, avvallato da Londra e, soprattutto, da Pietrogrado. La politica di Grey in Albania riconfermava l'assoluta predominanza dei russi sulla diplomazia britannica, in modo particolare nei Balcani, un'evidenza confermata dal fatto che Pietrogrado era riuscito a determinare gli orientamenti dell'Intesa anche nei confronti di due paesi come l'Italia e la Grecia, storicamente legati alla Gran Bretagna. Anche l'atteggiamento francese nei confronti dell'occupazione e della spartizione dell'Albania era generalmente favorevole alla spartizione, in particolare perché in questo modo il governo francese si illudeva di ottenere da Pašic le concessioni necessarie per l'accordo serbo-bulgaro circa la Macedonia (Lowe, 1969, 73; Pavlovic, 2015, 165). L'OCCUPAZIONE ITALIANA DI VALONA L'occupazione di Valona nel giorno di Natale del 1914 era stata decisa contestualmente alla missione sull'isola di Saseno, avvenuta il precedente 31 ottobre, ed ebbe luogo ufficial-mente per gli stessi motivi e con le stesse giustificazioni della precedente, ovverosia con lo scopo dichiarato di proteggere il governo albanese e con esso i risultati della Conferenza di Firenze. L'intervento umanitario consolidó l'impressione favorevole della popolazione locale nei confronti dell'Italia, che poteva riconoscere questa come l'unica Potenza da sempre a loro sostegno. Il problema dell'occupazione italiana dei territori albanesi, una questione ereditata dal nuovo ministro degli Esteri Sidney Sonnino, poneva importanti interrogativi sia sul piano militare che sul piano politico-diplomatico. In particolare, la missione militare inviata a Valona mirava a creare il fait accompli, a sanzionare le legittime aspirazioni italiane, ma avrebbe avuto anche la funzione di sanzionare l'orientamento interventista impresso da Sonnino alla politica dell'Italia e, quindi, di toccare la sensibilità delle masse. Di contro, l'intervento in Albania ebbe anche l'effetto di introduire un vincolo nei confronti dell'Intesa a carico dell'Italia, che nel lungo termine avrebbe visto limitata la propria libertà di manovra garantita dalla condizione neutrale, nota come «baragainig without deciding» (Lowe, Dockrill, 1972, 172; Vigezzi, 1961, 400). Il problema principale per i paesi dell'Intesa in Albania era di limitare, piuttosto che rimettere in questione, l'intervento italiano e, di conseguenza, di contenere le reazioni dei paesi balcanici a questo fatto nuovo nei Balcani. Il rischio concreto era di innescare l'esplicita spartizione di quei territori, che avrebbe leso la sensibilità della popolazione albanese e affossato definitivamente il governo di Essad Pasha Toptani, scoperchiando prematuramente il vaso di Pandora rappresentato dalla ridefinizione dell'assetto precario dei Balcani. L'intervento degli stati balcanici avrebbe infatti determinato l'apertura di un nuovo fronte in Albania, autorizzando, ad esempio, l'Austria-Ungheria a infrangere la promessa, precedentemente fatta agli italiani, di non violare il Monte Locevn in assenza di validi pretesti (Caccamo, 2QQ8, 39; Gottlieb, 1957, 243; Ferraioli, 2QQ5, 25Q; Vigezzi, 966 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E LASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 1966, 123). Il timore dell'Intesa di una possibile escalation nei Balcani sembró essere fondato quando il 4 gennaio 1915 due navi da guerra Italiane, la corazzata Sardegna e la cannoniera Misurata, fecero fuoco su Durazzo. L'intervento armato, diretto contro le posizioni delle bande albanesi ribelli che avevano attaccato Durazzo e minacciavano il governo in carica di Essad, sembró preludere un nuovo sbarco italiano, come veniva infatti richiesto dal governo albanese e dai vertici della Marina militare italiana. Tutta-via, Sonnino non autorizzó quello sbarco, affermando che l'Italia non era interessata a estendere la propria occupazione alla città di Durazzo, e soprattutto chiese di ottenere rassicurazioni dalla Serbia e dalla Grecia circa l'adozione di un atteggiamento speculare a quello dell'Italia. Di fatto, serbi e montenegrini erano fortemente tentati di intervenire in Albania per aprire un nuovo fronte contro Vienna, cedendo nella trappola delle provoca-zioni che gli agenti austriaci avevano tessuto in territorio albanese. Al fine di scoraggiare gli agguerriti stati balcanici fu determinante l'intervento di Sazonov. Dietro le pressioni esercitate dalla Russia, decisa a non distrarre le forze dei piccoli regni balcanici dallo sforzo militare contro l'Impero austro-ungarico a nord, Grecia, Serbia e, con maggiori difficoltà, il Montenegro si rassegnarono ad accettare l'impegno formale a non procedere a nuove occupazioni in Albania. La rinuncia multilaterale a estendere l'occupazione dell'Albania verso la regione di Durazzo, attribuita alla Serbia dal compromesso di ottobre, non era comunque sufficiente a rassicurare il governo di Niš e a rimuovere le cause del nascente contrasto con Roma (Caccamo, 2008, 43; Sonnino, 1972, 53; Petrovich, 1963, 176). Nonostante le dichia-razioni ufficiali del governo italiano, sin dall'agosto del 1914 la priorità per il governo Salandra non era più quella di sostenere l'esistenza dell'Albania definita dalla Conferenza degli Ambasciatori di Londra, un'entità statuale che si riteneva, in maniera molto diffusa, non fosse in realtà mai esistita. La politica dell'Italia in Albania aveva infatti ormai ca-rattere preventivo, poiché di fatto mirava a rimuovere le condizioni per un colpo di mano diretto a creare il fatto compiuto, come già era avvenuto in Kosovo nel 1913 da parte dell'esercito del Regno dei Karadjordjevic. I presupposti che Tittoni e San Giuliano ave-vano puntualizzato erano stati solo parzialmente accettati da Sonnino che, consapevole delle conseguenze irreversibili della revisione dei confini e della spartizione dell'Albania, riprese l'argomento della creazione di uno Stato indipendente in Albania, modificando nuovamente la politica italiana nei confronti del Paese delle Aquile. La questione più urgente per Sonnino era la difesa del territorio albanese da una nuova espansione degli stati vicini, che implicava il rischio dell'affermazione di un soggetto politico egemone sull'atra sponda dell'Adriatico. Nelle intenzioni del ministro Sonnino, la riformulazione della politica albanese era considerato in termini strettamente anti-jugoslavi: il possesso della base di Valona e la neutralizzazione non erano più sufficienti a garantire la sicu-rezza, ma soprattutto non avrebbero potuto garantire la necessaria posizione egemone dell'Italia nell'Adriatico. Tra Roma e Niš stava maturando un sentimento di reciproca ostilità, poiché anche il governo serbo e gli slavofili di Pietrogrado identificavano nel Regno d'Italia il nemico futuro, l'ostacolo maggiore sulla via della unificazione degli slavi sotto l'egida serba. Il programma jugoslavo stava diventando quello del governo serbo, e per l'Italia era diventato chiaro che l'egemonia adriatica sarebbe stata contesa 967 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELLADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 dagli slavi, cosi come venivano definiti, in maniera semplicistica e con una certa dose di disprezzo, accomunando in questa definizione non solo gli slavi meridionali ma anche i fratelli maggiori dell'Impero degli zar, che offrirono un crescente supporto al programma panslavista, ben identificabile nell'attitudine del duca Nikolai Nikolaevich. Del resto, i timori italiani vennero confermati dal progressivo consolidamento della Serbia che, dopo la riconquista di Belgrado da parte dell'esercito di Pašic e in attesa dell'offensiva militare dell'Austria-Ungheria, aveva ormai adottato il programma del Comitato jugoslavo, facendo di quel programma quello della Serbia stessa, come infatti venne chiarito dalla Dichiarazione di Niš datata 7 dicembre 1914 (Petrovich, 1963, 178; Bucarelli, 2015, 253; Dragnich, 1974, 112). In definitiva, le difficoltà di un compromesso lungo le linee delle aspirazioni italiane avevano condotto il governo di Roma a rivalutare l'importanza di un'Albania indipen-dente. Dopo la fase di San Giuliano, l'Italia era tornata a difendere l'idea di uno Stato indipendente albanese, declinando le proprie richieste in termini di sicurezza nazionale, l'unico linguaggio comprensibile a Londra, a condizione di rispettare le aspirazioni degli altri paesi balcanici. Tuttavia, Sazonov considerava il rinnovato interesse dell'Italia per l'Albania indipendente non solo un valido strumento da impiegare in sede negoziale a favore del coinvolgimento dell'esercito di Roma, ma soprattutto rappresentava un argomento decisivo per ottenere dall'Italia la rinuncia a parte delle proprie richieste circa i territori della Dalmazia. La disponibilità russa a trattare su questo tema non era mutata rispetto all'agosto 1914, ma le scelte di San Giuliano avevano invece concesso a Sazonov di far della Dalmazia una contropartita jugoslava per le discussioni sul destino dell'Albania. La Russia poteva giocare con le aspirazioni italiane e con il timore del governo di Roma di arrivare in ritardo all'appuntamento con la guerra e con la Storia: la preoccupazione di Sonnino di giungere in ritardo alla spartizione del bottino di guerra e la sua volontà di non condividere con la Romania il negoziato di adesione consentirono di fatto il rapido avvio del negoziato di Londra. IL NEGOZIATO PER IL PATTO DI LONDRA Il fallito assalto ai Dardanelli e l'intesa con il governo di Pietrogrado sugli Stretti imposera alla Gran Bretagna, tra le altre cose, di accelerare il percorso che avrebbe portato all'ingresso in guerra dell'Italia. Dopo lo stallo dei mesi invernali, il ministro Sonnino diede un nuovo impulso al negoziato, presentando per mezzo dell'ambasciatore Imperiali il prezzo dell'adesione italiana all'Intesa. I 16 punti che componevano il promemoria di Sonnino contenevano richieste piuttosto eccessive, come venne dichiarato da sir Edward Grey. Anche se le richieste di Sonnino non erano considerate in diretto contrasto coi «Bri-tish interests», i desiderata degli italiani crearono imbarazzo a Londra in quando urtavano gli interessi degli alleati serbo-russi, i quali, al contrario dell'Italia, erano già da mesi impegnati nella lotta per la propria sopravvivenza. Anche il governo francese contestava la portata delle richieste italiane, pur riconoscendo che per Roma l'ottenimento di tali condizioni era indispensabile al fine di spostare gli equilibri interni a favore dell'ingresso in guerra del Paese, che era diventato di capitale importanza per tutta l'Intesa. 968 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 Imperiali rispose infatti alle obiezioni degli alleati richiamando l'attenzione sui costi della partecipazione italiana piuttosto che sui possibili ricavi, poiché come scriveva lo stesso ambasciatore «Paris vaut bien une messe». Tuttavia, il diplomatico italiano impose su questo tema una riflessione all'interno della Consulta: in particolare, relativamente al tema dell'Albania, chiese al governo di chiarire meglio i motivi della presa di posizione italiana circa il destino di uno Stato centrale musulmano indipendente albanese. Imperiali conosceva infatti le obiezioni dell'Intesa legate alle aspettative serbe, in relazione allo sbocco al mare, quindi, più in generale, era consapevole del fatto che il problema principale per l'Italia risiedeva nella volontà da parte serba di estendere una sorta di protettorato sul governo di Essad. La volontà di Sonnino di imporre la nascita di uno Stato albanese indipendente venne pertanto specificata dal ministro, che giustificó la richiesta dell'Italia su di un piano umanitario, utilizzando le medesime considerazioni che avevano già giustificato la presenza italiana a Valona dall'autunno del 1914, nonché su un piano meramente strategico. Secondo Sonnino, occorreva legare il possedimento costiero di Valona a quello del territorio interno, un entroterra considerato vitale dal punto di vista economico, sociale e militare: cosi come l'occupazione di Valona aveva seguito quella dell'isolotto di Saseno, la richiesta dell'Albania centrale segui l'occupazione di Valona. In compenso, alla Serbia, che rivendicava uno sbocco legittimo sul Mare Adriatico, l'Italia avrebbe riconosciuto i diritti sul porto di San Giovanni, oltre che, in prospettiva dell'u-nione con il Montenegro, l'acquisizione di Cattaro e Antivari. Di fatto, la sistemazione del Basso Adriatico e quella dell'Alto Adriatico erano due aspetti tra loro interdipendenti che rimandavano al più complesso problema della sicurezza e dell'egemonia in quel settore del bacino Mediterraneo. Il rebus adriatico aveva anche una rilevante dimensione economico-finanziaria. In particolare, da tempo erano stati elaborati progetti, tra di loro competitivi, relativi al completamente di reti ferroviarie trans-balcaniche, che avrebbero dovuto estendersi nella regione e trovare sbocco presso i porti principali della penisola, motivo per il quale risultava di capitale importanza la creazione di basi marittime "nazio-nalizzate" lungo la costa balcanica. D'altronde, sullo sfondo di questa rivalità tra gruppi finanziari europei, in Italia i diversi gruppi di interesse si confrontavano sulla opportunità e sugli effetti che la possibile acquisizione del porto di Trieste avrebbe avuto sugli altri porti, come Venezia, e tutto questo al netto dei sentimenti popolari artificialmente costruiti (Gottlieb, 1957, 387; Otte, Neilson, 2006, 154). La risposta alle richieste italiane fu affidata al capo della diplomazia britannica Grey, il quale, anche se si era già espresso in termini generali a favore delle richieste italiane, formuló alcune considerazioni critiche relative alle rivendicazioni italiane in Dalmazia e al destino dell'Albania indipendente. Rispetto a quest'ultimo aspetto del problema adriatico, i dubbi dei governi dell'Intesa erano legati alla sostenibilità di un futuro Stato albanese, la cui edificazione era sostanzialmente fallita tra il 1913 e il 1914 e nei confronti del quale continuava a persistere un dato scetticismo, se non un sentimento di ostilità. A parere di Londra, la creazione di uno Stato indipendente musulmano in Albania sarebbe stata condizionata dall'oggettiva difficoltà per questa entità statuale di sopravvivere al disordine interno e di resistere alla pressione esercitata sui suoi confini dai paesi vicini e ostili all'indipendenza albanese (Lowe, Dockrill, 1972, 120; Sonnino, 1974, 387). 969 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELLADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 La conquista russa della fortezza austriaca di Przemysl (21 marzo 1915) ebbe, tra le altre cose, l'effetto di irrigidire ulteriormente le autorità di Pietrogrado rispetto al caso dell'Italia, screditata agli occhi dei russi a causa del suo atteggiamento ondivago. La vittoriosa offensiva di Brusilov, giunta a ridosso della sconfitta nei Dardanelli (19 marzo 1915) e dell'accordo su Costantinopoli, provocó invece l'effetto contrario sul governo della Gran Bretagna, che si ritrovó costretto ad accelerare la preparazione di un'azione militare alleata nei Balcani e, dunque, fu indotto a cercare nuove alleanze tra gli stati ancora neutrali. Si puó affermare che il Foreign Office inizió solo allora ad apprezzare, nuovamente, l'importanza della diplomazia anche in tempo di guerra, come di fatto l'influente missione di Bernhard von Bülow a Roma stava dimostrando. A partire dal marzo del 1915, sir Edward Grey divenne l'ambasciatore aggiunto per Roma presso il governo dello zar a Pietrogrado e, contemporaneamente, cercó di intac-care il "sacro egoismo" sonniniano per limare le rivendicazioni dell'Italia nei Balcani. A partire da quel momento, a condizionare l'atteggiamento italiano fu anche il sempre più vivo timore di giungere troppo tardi alla scelta di rinunciare alla neutralità, dopo che per un dato periodo, nell'autunno 1914, il governo Salandra aveva invece temuto di giungere prematuramente alla decisione dell'intervento in guerra. La difficile soluzione del negoziato passó quindi attraverso un parziale e progressivo adeguamento di Sonnino rispetto le indicazioni del Foreign Office, ma fu reso in definitiva possibile soltanto dalla dinamica del conflitto che nelle successive settimane sarebbe stata caratterizzata dall'arresto dell'offensiva russa sui Carpazi. Le posizioni delle parti erano tuttavia ancora distanti, poiché sussisteva un equivoco di fondo irrisolvibile tra i diversi interlocutori. I vantaggi territoriali promessi all'Italia erano considerati necessari ma non sufficienti, dal momento che, secondo Imperiali, non soddisfacevano l'obiettivo strategico dell'Italia, che allora, alla luce della parziale affermazione dei serbi a ridosso dell'altra sponda del Canale di Otranto, era di garantire il predominio e la sicurezza strategica. Le aspettative del governo di Roma si scontravano con quelle dei serbi, i quali, venuti anticipatamente a conoscenza delle richieste italiane grazie all'opera degli esponenti del Comitato ju-goslavo, già gridavano al tradimento del sacrificio del popolo serbo. Inoltre, l'opera di mediazione che la Gran Bretagna era chiamata a svolgere era limitata dal fatto di non riuscire a ripagare l'Italia per il suo ingresso in guerra attraverso concessioni territoriali in altre preziosi regioni per l'Impero britannico, soddisfacendo, ad esempio, le ambizioni italiane sulle regioni asiatiche dell'Impero ottomano. D'altronde, quando si inizió a per-cepire che le rivendicazioni in Africa e nel Mediterraneo orientale avrebbero complicate le acquisizioni italiane in Adriatico, il governo di Roma ridimensionó rapidamente le proprie richieste a riguardo (Imperiali, 2006, 126; Toscano, 1968, 185). Grazie alla maggiore risolutezza della Gran Bretagna la distanza negoziale venne comunque progressivamente colmata. Il 14 aprile Sonnino comunicó a Imperiali che la proposta del Primo ministro Asquith veniva accettata da Roma, che in questo modo rinunciava al principio della cessione dell'intera provincia dalmata e al possesso di Sabbioncello; ponendo tuttavia come ulteriore condizione di ottenere il riconoscimento della protezione internazionale dell'Albania da parte della monarchia italiana. Questa nuova richiesta avrebbe costituito un ulteriore motivo di preoccupazione per sir Grey, 970 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E LASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI 961-976 Fig. 1: Le richieste dell'Italia e il risultato del Patto di Londra 1915 nell'Adriatico (Tos-cano, 1934). tomato a capo della politica estera britannica dopo un periodo di riposo. In via teórica, anche se critico sul futuro dell'Albania, il Foreign Secretary non era contrario all'indi-pendenza di quel Paese, ma temeva le conseguenze di sempre nuove richieste rispetto alia conclusione, in termini utili, dell'accordo che avrebbe dovuto portare l'esercito italiano 971 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELLADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 a combatiere al fianco dell'Intesa. Di fatto, Grey reagi negativamente alle nuove osserva-zioni italiane che Imperiali comunicó a Londra. In particolare, a turbare i britannici era il contenuto delle osservazioni relative all'articolo VII della proposta Asquith, poiché, stando alle affermazioni di Grey, non sarebbe stato possibile presentare ai russi simili richieste senza aprire infinite discussioni con Pietrogrado, anche perché Sazonov aveva già formulato ben quattro richieste per la revisione del progetto di trattato, che il Foregin Office era riuscito con difficoltà a respingere al mittente. Secondo il parere del politico londinese, continuando a insistere sulla definizione preliminare dei futuri confini albanesi si sarebbe aperto un contenzioso che, in quella fase e in quelle condizioni, non sarebbe stato gestibile2. CONCLUSIONI La firma del Patto di Londra il 26 aprile 1915 fu raggiunta grazie all'opera di me-diazione dei britannici e fu resa possibile dal ridimensionamento militare dell'Impero zarista. Dall'agosto 1914 all'aprile del 1915, i contenuti delle richieste da parte italiana erano mutati profondamente. Le condizioni che all'inizio del conflitto l'Italia aveva posto alla Triplice al fine di conservare la propria neutralità erano state contenute e limitate alla cessione immediata del Trentino. All'Intesa, per la futura e condizionata partecipazione al conflitto, Roma aveva richiesto, oltre al Trentino, soltanto la base di Valona, che allora era stata ritenuta una condizione necessaria e sufficiente a garantire la sicurezza dell'Italia. In meno di un anno di negoziati, le richieste italiane erano schizzate a rialzo, seguendo l'evoluzione degli obiettivi strategici, mutati dalla ricerca della sicurezza nazionale alla conquista dell'egemonia. A determinare questa tendenza erano stati i mutamenti interve-nuti nel contesto bellico e, subordinatamente, a livello diplomatico nel corso del primo conflitto mondiale. A determinare questo atteggiamento da parte italiana contribui in parte anche il ricordo della precedente esperienza delle guerre di indipendenza, in particolare quello del conflitto del 1866, che aveva dimostrato ai politici italiani l'utilità di richieste massimaliste al fine di ottenere risultati diplomatici più soddisfacenti (Monzali, 2007, 290; Pavlovic, 2006, 168; Pastorelli, 1997, 27; Salandra, 1951, 147). In riferimento all'assetto del Basso Adriatico, per mezzo del Patto di Londra l'Italia ottenne dagli alleati la promessa del protettorato albanese e la garanzia della parcelliz- 2 Le nuove richieste italiane di revisione del progetto di trattato contenute nell'ultimo telegramma di Sonni-no riguardavano gli artt. 3, 7, 8, 9 e 13. Tra questi punti solo le osservazioni italiane circa l'aiticolo sette furono contestate dalle Potenze. Frontiera comune Grecia e Serbia a Ovest del Lago Ochrida: «Art. 7° - Il nuovo testo compromette senz'altro la questione che era rimasta impregiudicata intorno al dove lasciare un qualche confine comune tra la Serbia e la Grecia, addossandone addirittura tutto intero il carico all'Al-bania, col voler determinare fin da ora che esso debba essere preso dal lato Ovest del lago di Ochrida. La formula dovrebbe lasciare più indeterminata questa ubicazione, non escludendo magari dette località ma nemmeno fissandole. Noi non potremmo consentire a privare l'Albania dei monti che dominano le vallate delloSkumbi, essenzialiperpremunireElbassan, che è il cuore dell'Albania musulmana.» (DDI, 5/III, 402, Sonnino a Imperiali, 21 aprile 1915). La contropartita che venne richiesta da Pietrogrado per l'accettazione del protettorato dell'Italia sull'Albania riguardava: a. la specificazione degli articoli relativi alla costa del Montenegro; b. la nota integrativa dell'art. 5. 972 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E LASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 zazione, «le découpage», della costa adriatica. Di fatto, più che la neutralizzazione della costa, originariamente richiesta dagli italiani, sarebbe stata la sua partizione a porre i presupposti per l'egemonia italiana, garantendo quella posizione dominante che avrebbe portato nel lungo termine l'Italia a trasformare l'Adriatico in un mare chiuso, con la stessa funzione che il Mar Nero aveva allora per l'Impero zarista. Infatti, se l'Italia era riuscita ad ottenere "soltanto" il controllo diretto di una parte delle isole e della costa dalmata a sud di Spalato, il riconoscimento formale del protettorato italiano sul futuro stato alba-nese musulmano e l'attribuzione a ciascuno degli altri stati rivieraschi di una porzione limitata di costa adriatica venivano considerate due condizioni comunque sufficienti a garantire l'obiettivi del governo. Per la destra liberale italiana, l'obiettivo principale era diventato quello di affermare l'egemonia italiana in quel settore del Mediterraneo e di impedire, dunque, l'affermazione di un potente soggetto statuale sull'altra sponda dell'Adriatico, per evitare di sostituire all'egemonia austro-ungarica quella dei popoli slavi, che di fatto nell'immediato dopo guerra avrebbero costituito il Regno dei Serbi, dei croati e degli sloveni. Dietro l'impulso dell'esecutivo Salandra-Sonnino, l'Italia avrebbe dovuto affermarsi tra le grandi Potenze, portando a conclusione il percorso intrapreso dal 1871 e che Giolitti non era riuscito a portare a compimento. Il Patto di Londra e le sue conseguenze di lungo periodo, non solo non avrebbero fatto dell'Italia una compiuta Potenza adriatica, ma avrebbero creato i presupposti per la fine dell'età liberale. I con-tenuti del patto, contestati dalle autorità di Niš e del Comitato jugoslavo, determinarono nel breve termine l'iniziô di un'aspra competizione tra l'Italia e gli stati balcanici, che in parte era incentrata sull'obiettivo di conquistare l'egemonia sul protettorato albanese. La difficile posizione in cui venne a trovarsi Essad in Albania nelle settimane successive alla firma del Patto di Londra spinsero quest'ultimo a chiedere e ottenere l'intervento dell'esercito serbo, che il 29 maggio 1915 intervenne nella regione di Elbasan, sancendo di fatto l'ingresso dell'Albania nell'orbita serba, una condizione che verrà capovolta solo in seguito alla Dichiarazione di Argirocastro (1917). La rivalità italo-serba in Albania ruotava allora principalmente intorno alla figura di Essad Pascià, un aspetto che consente di apprezzare quella che, come sostenuto dallo storico Pietro Pastorelli, sarebbe stata una costante nei rapporti tra l'Italia e la sponda di fronte anche negli anni successivi, che furono dunque contraddistinti dalla pericolosa tendenza italiana «di giungere attraverso un governo fantoccio al dominio diretto sull'Albania» (Pastorelli, 1970, 26). 973 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 ALBANSKO VPRAŠANJE IN UREDITEV NA JADRANU V OKVIRU LONDONSKEGA PAKTA. NEKATERA INTERPRETATIVNA RAZMIŠLJANJA Rosario MILANO Universita degli Studi di Bari "Aldo Moro", Dipartimento di Scienze Politiche, P.zza Cesare Battisti 1, 70121, Bari, Italija e-mail: rosario.milano@gmail.com POVZETEK Vprašanje o politični ureditvi Jadranskega morja in usodi narodov, ki živijo na območju albanske države, je bil od zmerom za italijanski vodilni razred, intelektualce in politike eden izmed osrednjih problemov. Jadransko vprašanje je predstavljalo enega izmed tistih argumentov, ki so jih najpogosteje uporabili, da se je naposled italijanski parlament leta 1915 odpovedal t. i. kompenzirani nevtralnosti. Problema niso zadovoljivo rešili glede na želje vseh držav obalnega območja - med katerimi je bila tudi novonastala Kraljevina Srbov, Hrvatov in Slovencev; če obenem k temu prištejemo neposredne in posredne posledice svetovne revolucije Velike vojne, je jasno, da je v nekaj letih prišlo do zatona t. i. liberalne Italije. Zaradi vseh teh razlogov ostaja analiza specifične tematike italijanske zunanje politike dvajsetega stoletja - čeravno je bila pogosto predmet znanstvenih publikacij - še zmerom zanimiv zgodovinopisni izziv, zlasti ob upoštevanju obdobja, ko jo bila Italija nevtralna. Ključne besede: Velika vojna, Londonski pakt, hegemonija, Jadransko morje, Albanija, delitve 974 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 FONTI E BIBLIOGRAFIA DDF, 1914-19/2 - Documents diplomatiques français 1914-1919 (DDF, 1914-19). Ministere des Affaires etrangeres, Commission de publication des documents diplomatiques français. Volume 2: janvier-25 mai 1915. Bruxelles et al., P. Lang, 2002 (DDF, 1914-19/2). DDI, 5/I - I Documenti Diplomatici Italiani. Ministero degli Affari Esteri, Commissione per la pubblicazione dei documenti diplomatici (DDI). Quinta serie: 1914-1918, Volume I (2 agosto-16 ottobre 1914). Roma, Istituto poligrafico dello Stato e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1954 (DDI, 5/I). DDI, 5/III - DDI. Quinta serie: 1914-1918, Volume III (3 marzo-24 maggio 1915). Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1985 (DDI, 5/III). Imperiali, G. (2006): Diario 1915-1919. Soveria Mannelli, Rubbettino. Martini, F. (1966): Diario 1914-1918. Milano, A. Mondadori. Salandra, A. (1951): Memorie Politiche (1916-1925). Milano, Garzanti. Sonnino, S. (1972): Diario 1914-1916. Bari, Laterza. Sonnino, S. (1974): Carteggio 1914-1916. Bari, Laterza. Bucarelli, M. (2015): Allies or rivals? Italy and Serbia during the First World War. In: Zivojinovic, D. R. (ed.): The Serbs and The First World War 1914-1918. Belgrade, The Serbian Academy of Sciences and Arts, 247-262. Caccamo. F. (2008): Il Montenegro negli anni della prima guerra mondiale. Roma, Aracne. Clark, C. (2013): I sonnambuli. Come l'Europa arrivé alla Grande Guerra. Roma, Bari, Laterza. Dragnich, A. N. (1974): Serbia, Nikola Pasic and Yugoslavia. New Jersey, New Brunswick. Ferraioli, G. (2005): Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo: vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914). Roma, [s. n.]. Gottlieb, W. W. (1957): Studies in Secret Diplomacy during the First World War. London, G. Allen & Unwin. Hinsley, F. H. (ed.) (1977): British Foreign Policy under sir Edward Grey. Cambridge, Cambridge University Press. Lowe, C. J. (1969): The Failure of the British Diplomacy in The Balkans (1914-1916). Canadian Journal of History, 4, 1, 73-99. Lowe, C. J., Dockrill, M. L. (1972): The Mirage of Power. Volume II: British foreign policy, 1914-22. London, Boston, Routledge & Kegan Paul. Matthew, H. C. G. (1973): The Liberal Imperialists. The Ideas and Politics of a Post-Gladstonian Élite. London, Oxford University Press. Monzali, L. (2007): Italiani di Dalmazia, 1914-1924. Firenze, Le Lettere. Otte T. G., Neilson, K. (eds.) (2006): Railways and international politics: paths of empire, 1848-1945. London, Routledge. Pastorelli, P. (1970): L'Albania nella politica estera italiana 1914-1920. Napoli, Jovene. 975 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 4 Rosario MILANO: LA QUESTIONE ALBANESE E L'ASSETTO DELL'ADRIATICO NEL PATTO DI ..., 961-976 Pastorelli, P. (1997): Dalla prima alla seconda guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943. Milano, LED. Pavlovic, V. G. (2006): Le conflit franco-italien dans les Balkans 1915-1935. Le rôle de la Yougoslavie. Balcanica, 36, 163-201. Pavlovic, V. G. (2015): De la Serbie vers la Yugoslavie. La France et la naissance de la Yugoslavie 1878-1918. Belgrade, Institut des études balkaniques, Académie serbe des sciences et des arts. Petrovich, M. B. (1963): The Italo-Yugoslav Boundary Question 1914-1915. In: Dallin, A. et al. (eds.): Russian Diplomacy and Eastern Europe 1914-1917. New York, King's Crown Press, 162-193. Toscano, M. (1934): Il patto di Londra. Storia diplomatica dell'intervento italiano (1914-1915). Bologna, Zanichelli. Toscano, M. (1968): Imperiali e il negoziato per il patto di Londra. Storia e Politica, 2, 177-205. Vigezzi, B. (1961): I problemi della neutralità e della guerra nel carteggio Salandra-Sonnino (1914-1917). Nuova Rivista Storica, 45, 397-466. Vigezzi, B. (1966): L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale. Volume 1: L'Italia neutrale. Milano, Napoli, Edizioni scientifiche italiane. Williamson, S. R. (1969): The Politics of Grand Strategy. Britain and France Prepare for the War. Cambridge, Cambridge University Press. 976