L'ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4. Semestre e trimestrein proporzione Si pubblica ogni sabato. II. ANNO. Sabato 6 Novembre 1847. M 69 — 70. Strenna letteraria compilata da Istriani pel 1848. La pubblicazione del programma di una Strenna istriana nei N. 63-64 di questo foglio, e che ritenevamo non essere cosa da senno, ha fatto sì che venissimo in cognizione di altra strenna che si sta pubblicando pel 1848, sotto il nome di Strenna letteraria, la quale secondo le cedole di associazione si stampa in Venezia da P. Naratovich, ed è lavoro di autori o tutV istriani, o la massima parte, secondo quanto ebbimo occasione di leggere nella cedola medesima. La diversità del titolo delle due Strenne assicura già contro la possibilità di uno scambio tra 1' una e l'altra; più, la diversità totale della tendenza e degli argomenti ; imperciocché mentre la letteraria è quale il titolo la indica, e si propone, per quanto ci viene gentilmente comunicato, di promuovere la religione, la moralità e la civiltà, senza occuparsi minimamente delle cose patrie sieno storiche od altro, non assume essa titolo di Strenna istriana, e non potrebbe dirsi tale se non perché dettata da ingegni per massima parte nativi nell' Istria. Vaniamo ricercati di annunciare a scanso di equivoci che il programma inserito nei suddetti N. 63-64 non parte da alcuno dei collaboratori della Strenna letteraria, come potrebbe forse ritenersi da quelli che ebbero conoscenza del divisamento di pubblicare questa strenna, o da quelli che vi si associarono. All' invece sembra che l'autore o gli autori della Strenna istriana non si limitino nè a porzione della penisola, nè alla sola letteratura, nè al luogo di nascita della massima parte degli autori; le poesie e gli argomenti sembrano non escludere pensieri pii, e patri; seppure è possibile di giudicare in tanta misteriosità. Delia nobiltà istriana. Gli opposti e strani pensamenti che si hanno-*su!la nobiltà istriana, la frequente credenza che^wbili e titolati sieno la stessa cosa, e le meraviglie che si fanno nel vedere che da tutti non vengano tenute per equivalenti queste classi sociali, persuadono a dire qualcosa della nobiltà istriana. Facile e pronto sarebbe il farlo se come altrove è avvenuto anche nell'Istria gli elementi so- ciali fossero quali l'odierno pensare degli uomini lo intende, sia poi che lo intenda secondo i repentini cangiamenti operatisi, sia che Io intenda secondo un generale consenso riconosciuto o formato dalla legge; ma in Istria le cose procedettero diversamente. Imperciocché nel 1806 eransi tolte le antiche condizioni sociali, ed introdotte novelle secondo l'indole dei tempi d' allora; ina poco durò questo ordine di cose, ed allorquando nel 1813 l'Istria, che era già veneta, veniva interinalmente data in amministrazione ad una Commissione provinciale, questa credette di suo potere e debito -di cangiare affatto P ordine fino allora esistente, e di rimettere le condizioni tutte qualunque esse fossero, quali lo erano nei tempi anteriori al 1806. Fu questo un fatto che ebbe pieno compimento; ma che fu cagione di moltissime incertezze.. Non era dei tempi il chiamare in vita repentinamente ciò che era divenuto ormai di ragione della storia, e piuttosto dell'antiquaria, ma all' invece conveniva di surrogare all' ordine esistente altro che fosse adatto ai tempi, ed alle nuove condizioni. La Commissione provinciale (nè sapremmo vedere il perchè) nel pubblicare Je.„sue disposizioni non credette di usare il modo aiicfie allora indispensabile della stampa, ed adoperato anche dal governo veneto," e ne venne che fatti rarissimi gli esemplari a penna, gli atti allora divennero poco meno che tradizionali; queste medesime tradizioni non concordarono col pensamento generale che si adattava agli ordinamenti di altre provincie consorelle. E quando, cessati i sommovimenti di guerra, fu quella parte d' Istria unita all' impero, ed all' amministrazione provvisoria provinciale, surrogata una stabile ed imperiale, le cose non poterono disfarsi repentinamente ed in cumulo, ma surrogarsi partitamente; e fu necessità di ricorrere a mezzi di transizione, i quali non possono a meno di lasciare l'antico insieme al moderno in attesa che il tempo dia vita soltanto a questo. Ma l'antica condizione che la Commissione provinciale richiamava in vita, era una condizione storica, per conoscere la quale non v' era legge unica, o corpo di legge, anzi non era spesso scritta, molto meno che stampata, e conveniva gettarsi nel pelago delle antichità, come avvenne per tutte le altre condizioni sociali; e frattanto il bisogno di avere condizioni eguali a quelle di altre provincie diveniva sì generale che presto fu unico a tale da ritenere non vere quelle condizioni che erano peculiari della provincia, e da riguardare per istrani, per impossibili quei giudizi, sieno privati sieno pubblici, che conformandosi a ciò che era di legge diversificavano da ciò che era di generale pensamento; prova che anche questa parte di provincia sentiva il bisogno di amalgamarsi alle altre colle quali è perpetuamente unita. Il riconoscere le antiche condizioni è necessità per giudicare delle presenti; e per riconoscerle conviene risalire a quello stato sociale che durò fino al 1806, passando per le vicende della storia; la quale in questa provincia è ancora fonte di moltissime condizioni e diritti, la quale sola ha potere di chiarire le cose o dubbie o ignorate o contrastate. Le venture generazioni non avranno questo impiccio, come altre provincie non l'hanno più; ma noi non possiamo dispensarcene, a meno che non si voglia indossare l'abito altrui; il che poi non è nè di lode riè di prudenza. Or dunque venendo alle generali ragioni dell'umanità, dovrà dirsi che nobiltà vi fu e vi sarà in ogni tempo, e che le teorìe di qualche popolo non corrisposero alla pratica; fu talvolta distrutto il nome, furono tolti i diplomi, l'eredità, le eccezioni, i segni esterni; ma la cosa rimase, e si rinuova, in tutti i tempi, e dappertutto, e si muoverà fino alla consumazione dei secoli, qualunque nome, qualunque ordinamento si voglia adottare. I secoli variarono soltanto nelle attribuzioni, negli ordinamenti di acquisizione e di trasmissione. Roma anche quando fu repubblica ebbe nobili che di-cevansi patrizi, ebbe popolo, ebbe plebe; la nobiltà formava corporazione; l'ammissione alla corporazione dava la nobiltà, come 1' espulsione la toglieva. Le colonie, imitazioni di Roma, ebbero pure il loro corpo ed era quello che si diceva decurionale; il corpo decurionale era pel comune ciò che il corpo dei patrizi, il corpo senatorio era per la Repubblica intera, però ognuno nell' àmbito del proprio territorio, per cui il nobile municipale fuori del suo municipio non era tale;, njentre il romano lo era dappertutto. Le provincie ebbero proprie costituzioni simili assai fra loro. Le colonie ebbero i corpi decurionali, il territorio tributario era diviso in tante baronie (e qui notiamo che nè il nome di baro, nè la cosa era straniera ai Romani), e provinciale o possessore erano detti i baroni; e questi pure radunavansi in collegio e col preside della provincia attendevano a' pubblici affari secondo che la legge provinciale imponeva. Ma in tempi romani ogni provinciale si ascriveva alla curia di qualche colonia, e nelle città doveva tenere palazzo aperto e soggiornarvi buona parte dell'anno; per cui i provinciali partecipando degli onori decurionali, erano del corpo nobile municipale, quand' anche al corpo provinciale non si attribuisse nobiltà, siccome è verosimile non 1' avesse per la sola qualità di provinciale, sempre inferiore a quella di cittadino romano. Quantunque l'Istria non abbia patito sovvertimento delle proprie instituzioni nel medio tempo; pure sentì 1' effetto dei cangiamenti negli ordinamenti civili che operavansi in tutta Europa nel medio evo. Nel tempo dell' impero bizantino veggonsi tenute assemblee provinciali per sentire i gravami e per le imposizioni straordinarie. In uno di questi convocati vediamo formate due categorie di persone nobili, per carica e per dignità personale. Primo per carica si era il Duca della provincia, od in termini odierni il Governatore, poi i decu- rioni delle città; di baroni non vi ha traccia, perchè erano ancora aggregati alle curie delle città; entro le curie v' erano i primati, cioè il principe della curia , il primo. Di dignità erano il patriarca, i vescovi, e quelli che ottenevano dagli imperatori il titolo di Ipato, o di Consolare, perchè il titolo di patrizio era riservato a persone reali. Nel tempo corso fra la conquista di Carlo Magno ed il dominio dei patriarchi di Aquileja, fra 1' 800 ed il 1200, le preesistenti condizioni durarono, ma presero il colore dei tempi. La carica di duca prese nome di marchese, divenne poi ereditaria per successione feudale e presto convertissi in dignità, distinta dalla carica che ad altre persone poggiavasi. Si instituì la carica indi dignità di Conte, fatta anche questa ereditaria in ordine di successione feudale. Comitato dicevasi nel medio evo il complesso dei diritti di regalia in determinati distretti, cioè quelli di imposizione, di pedaggi, di giustizia civile e penale, di ripe e porti: vi si aggiunse poi anche il diritto di moneta a quelli che avevano le regalie maggiori. Di questi comitati il precipuo per estensione e potere fu quello dei conti d'Istria; non coniarono moneta istriana perchè essendo possessori anche di altri comitati, preferirono un conio per tutti colle insegne proprie della famiglia, anzi che della terra. Vi fu il comitato di Pola, il quale abbracciava le baronie situate intorno 1' agro municipale polense, e questo comitato durò più che gli altri tutti poiché il veneto rappresentante portò lino al cadere di quella Repubblica il titolo di Conte di Pola. Questo comitato era di ragione del vescovo che lo diè in feudo a privati, e passò poi nella Repubblica. E così gli altri vescovi avendo ottenuto baronie furono conti di fatto se non di titolo, titolo che poi trasportarono a baronia determinata; o fu solamente di pretensione come dicesi, per cui i vescovi di Trieste dissersi fino al cadere del secolo passato conti di Trieste, quelli di Capodistria conti di Antignano, quelli di Cittanova conti di S. Lorenzo in Daila, quelli di Parenzo conti di Orsera. Ma questi comitati, meno quello di Trieste, erano di categoria inferiore, e però non coniarono moneta, e furono soggetti al marchesato, come lo erano le città. Una classe di persone sorse allora a condizione migliore che non era in precedenza; i possessori cioè delle baronie, i vassalli del conte o del marchese, i quali erano di fatti baroni. Tali investite si diedero ai militi, in quei tempi che erano di cavalleria; furono nobili, e presero parte ai consigli provinciali o piuttosto ai tribunali provinciali che giudicavano siccome pari. Questi non erano titolati nè potevano esserlo, non avendo che le regalie minori nelle terre di loro ragione, nè tutti erano a parità di condizione. Già la legge romana aveva fatto quelle distinzioni che si fanno oggidì fra signoria e bene, fra percezione di decima con uniti diritti di pubWico governo, e semplice percezione di decima; le sole baronie perfette avrebbero potuto convertirsi in possessioni di categoria maggiore, in contee, marchesati, principali: non così le altre; ma ciò allora non avvenne, nè durante il governo patriarcale. Il quale per sentenza legittima e per forza ottenne che i baroni tutti istriani venissero contenuti entro i limiti di regalie minori, e venisse riconosciuto il principio che ogni autorità sia dei baroni, sia dei comuni partiva unicamente dal marchese. I patriarchi tennero convocazione provinciale pel loro marchesato, siccome la tennero anche i conti d' I-stria; ma non è dato ancora di conoscere in quale modo si componesse la convocazione e quali persone vi prendessero parte; puossi congetturare soltanto che vi prendessero parte i vassalli che pel possesso delle baronie erano nobili, od equiparati ai nobili, e quelle città che avevano rango nobiliare, il di cui corpo rappresentante era considerato in complesso siccome persona nobile, pari ad un barone. Nella contea i soli baroni erano membri della convocazione: nessuna comunità vi prendeva parte. Trieste che trovavasi separata e dal marchesato e dalla contea non aveva che consiglio. I baroni non portavano titolo alcuno, comunque preferissero di lasciare il loro cognome familiare denominandosi. invece dalla baronia, e si dissero de Momia-no, de Martelligli/, de Grisignana, ecc.; talvolta unirono questi predicati al loro nome di famiglia: il predicato usavasi lino a che durava il possesso della baronia, ed abbandonavasi col perdere di questa. I distintivi della nobiltà, oltre il predicato assunto dalla terra, si erano l'uso degli stemmi .coi simboli di nobiltà, corona, spada, speroni, cingolo; l'uso di vesti proprie, l'uso di epiteti che loro dovevansi concedere; ed i quali sono l'unico criterio per distinguere nelle carte una persona nobile da altra che non lo sia. I comuni che erano nobili portavano egualmente lo stemma colla corona, ed ai consigli davasi epiteto che li indicasse nobili. Questi epiteti sono bellissimi documenti a riconoscere le antiche condizioni, tino dai tempi romani; ma col variare dei tempi variarono di significato per terminare spessissimo in mero arbitrio di chi li dà, e di chi li riceve, se non sia costituito in carica od in dignità di stato. Nelle città i decurioni formavano corpo nobile, ma dall' aggregazione non ne veniva che la persona aggregata avesse nobiltà propria; ma l'uso o privilegio fece si che in qualche luogo si considerassero nobili, però di nobiltà municipale, che non sorpassava i limiti delle mura della città. Persone fregiate di nobiltà provinciale s' ascrivevano nei consigli, per cui facile poteva nascere il desiderio negli altri, come l'equivoco. E quando ciò avveniva, anche siffatti nobili dovevano usare nelle città quei soli segni che erano di nobiltà decurionale, stemma ma non corona, toga e non spada, stola e non cingolo, non speroni, non donzelli, non scudieri. V' erano di ragione del marchese d'Istria alcune ville fra Montona e Pinguente, e queste dissero il marchesato, non sappiamo se per consuetudine, se per atto legale che alzasse queste terre a tale titolo; lo. dissero il marchesato di Pietra Pelosa, ed i possessori ne assunsero il titolo anche sotto il governo patriarcale. Nel secolo XIII prima che la penisola passasse in dominio dei Veneti, e nel principio del secolo XIV nacquero grandi cangiamenti nelle famiglie baronali e decu-rionali. Assai famiglie vennero dal di fuori in sede delle antiche, estinte non sappiamo se per guerre o come piuttosto sembra per frequenti pesti; le baronie si concentrarono in mano di pochi; nelle città si ascrissero fra i decurioni persone venute di fresco; si ascrissero artigiani e mercenari, cosa che sembrava essere sconcia oltremodo. Nel principio del XIV secolo si stanziava che nessuno potesse essere accolto nei consigli nobili il di cui padre ed il di cui avo non fossero stati aggregati al consiglio, con che non venne stabilita un' eredità della nobiltà municipale, ma un' aspettativa che convertivasi in certezza. Altrettanto fecero i consigli cittadini di comuni non nobili, ma questi ordinamenti erano insufficienti, e la necessità di recrutare i consigli anche fra altre persone, si mostrò quando le antiche famiglie calarono a numero ristrettissimo. Allorquando il governo veneto prese stabile possesso di molta parte dell' Istria, le idee di quel governo vennero a trapiantarsi tanto più facilmente quantochè moltissimi elementi erano già consacrati dal decorso di più secoli. Quel governo aveva stanziato differenza tra nobiltà, e titoli, i titoli non davano nobiltà; la nobiltà acqui-stavasi per aggregazione al maggior consiglio; perdevasi per l'esclusione da questo; non si trasmetteva per eredità se non nei matrimoni approvati dal governo; i nobili veneti non potevano in Venezia portare alcuno di quei segni che in tutta Europa si ritenevano di nobiltà; non corona, non spada, non collane, non armigeri, non titolatura alcuna : gli stemmi erano generalmente un ornamento architettonico sugli edifizi e non esclusivi dei nobili; il segno unico era il N • H • e 1' epiteto di eccellenza ; erano nobili in lutto lo stato; nobiltà provinciale generalmente non esisteva, e generalmente era ridotta a semplice titolatura ; la nobiltà municipale non sortiva dal municipio, e dinanzi alla nobiltà veneta era nulla; perciò mentre i veneti dicevansi semplicemente nobili homeni, o nobile nostro, gli altri dovevansi dire nobile cretense, nobile veronese ecc. ecc. Neil' Istria nessuna nobiltà provinciale vi era durante il governo veneto; non ci è noto che sia stala mai convocazione provinciale sotto quel governo, il quale blanditi i municipi, non predilesse le baronie. Consigli nobili erano quelli di Capodistria, di Parenzo, di Pola. Non abbiamo indizi che lo fosse anche quello di Cittanova nei tempi più antichi, come sembra che abbia potuto esserlo. Non vi era altro modo di acquisire la nobiltà municipale che mediante 1' aggregazione ai consigli nobili; però il sovrano s' era riservato di ordinare a beneplacito 1' aggregazione di qualunque persona a lui piacesse. I titolali non erano nobili, nè pel titolo personale, nè pel possesso di terre titolate; potevano esserlo se per altra via avessero acquistata la nobiltà. V' erano matricole dei nobili, v'erano matricole dei titolati, siccome v'erano matricole dei cittadini. La Repubblica era poi facile a concedere titoli che si riferissero a terre; più facile a titolare una qualche possessione, dacché non ricusava di accettare 1' olTerta di una terra qualora fosse superiore ad un determinato valore, a condizione di crearla Marchesato o Contea, di darne investita a quegli che ne era prima proprietario, con patto che la terra divenisse proprietà dello stato allo estinguersi della famiglia. E di caso in caso fissava se il titolo Comitale o Marchesale dovesse passare al primogenito soltanto, od ai maschi od a tutti i discendenti, fossero anche femmine. Cosi al cadere di quel governo, due qualità di nobili vi avevano, nobili veneti, nobili municipali di Capodistria, di Parenzo o di Pola; poi classe di titolati, classe di cittadini, classe di popolani, classe di rustici. Del clero i soli vescovi avevano gli onori di nobiltà e si dicevano illustrissimi, ma non altro, i quali individualmente potevano appartenere ai consigli. I capitoli cattedrali si formavano di nobili, ma il costume non fu nè costante nè sempre possibile. Il primo governo Austriaco, non portò novazione, se non col rinforzare i consigli municipali, coli' aggregarvi distinte famiglie, che non vi avevano parte, ed è a credersi non sempre per loro volontà. Fissate stabilmente le condizioni della provincia dopo la pace Europea, e riunita a perpetuità coli' impero austriaco, la nobiltà municipale fu convertita in vera nobiltà; i titolati vennero lasciati nel possesso dei loro ti- | toli; il clero equiparato ai nobili; pei nobili instituito un tribunale provinciale; fatti partecipi i nobili di quelle prerogative che generalmente si attribuiscono loro, e che sotto il governo veneto non ebbero. E siccome nelle antiche provincie dell'impero, siccome nell' odierno sistema generale, i titoli vengono dati ed usali per indicare un grado di nobiltà, parve strano che in Istria vi fossero tilolati senza avere nobiltà; ma sarebbe stato invero assai più strano se un titolo conceduto senza riguardo alle qualificazioni o meriti per cui viene data nobiltà, fosse stato considerato per grado superiore di nobiltà quando in realtà non lo era. Neil' Istria Austriaca la cosa procedette diversamente; non vi si costumarono mai titoli semplici, nè nella città di Trieste, nè nella Contea: la nobiltà era da secoli un rango sociale impartito soltanto dal principe nelle categorie diverse. Il consiglio municipale di Trieste era patriziale, il corpo era considerato corpo nobile nel suo complesso, la città usava dei distintivi di nobiltà nello stemma; ma gli individui non divenivano nobili per 1' aggregazione, comunque P uso li facesse riguardare tali, ed essi medesimi si dicessero nobili e ne portassero i simboli. Cessato quel corpo alla conquista di guerra avvenuta nel 1809, fu mosso dubbio se quella qualunque nobiltà che attribuiva o di diritto o di uso mentre esisteva, durasse negli individui che vi appartenevano; ma fu riconosciuto, che cessato il corpo cessarono anche le prerogative qualunque che dipendevano dall' aggregazione, le quali non s' estesero, come sembra, ad accordare nobiltà a quelli che vi prendevano parte, se la nobiltà non era loro propria per altro modo. Crediamo superfluo registrare le famiglie nobili, dacché vi ha la matricola stampata, indicando di tutte il grado. Inscrizione di M. Giulio Filippo il giuniorc. L' altra inscrizione, di cui dobbiamo la rettificazione perchè malamente edita nelle notizie di Albona del Giorgini, la dobbiamo egualmente alla gentilezza del Sig. Tomaso Luciani. M • I V L I O SEVERO FILIPPO NOBILISSIMO CAESARI N O R I L 1 S SI M O PRINCIPI (PI i» nesso) IVVENTVTIS (NT in nesso) RES.PVBLI CA A L B O N E S S I (NE in nesso) VM È piedistallo, or mensa d' altare nella chiesa di S. Sebastiano, a due terzi di via fra Albona ed il porlo di S. Marina; alto piedi tre, largo piedi uno oncie sei, grosso piedi uno oncie sei, e sosteneva come sembra la statua del giovane Marco Giulio Severo Filippo mentre era Cesare, e principe della gioventù; la statua venivagli alzata dal comune di Albona. Per la pratica che abbiamo del movimento delle pietre istriane, dovremmo ritenerla collocata da antico al porto di S. Marina presso Albona; imperciocché abbondando la pietra nell' Istria di terreno calcare, i trasporti non furono frequenti, se non di arche; Capodistria soltanto vide trasportate nel suo seno lapidi di altre parti specialmente di Pola, per la occasione che offrirono quei vescovi di Pola, che furono originari di Capodistria, e che conferirono qualche feudale o simile possidenza ai loro parenti. Quell' insigne arcadiP.Elio Rasparano re dei Rossolani che serve d' abbeveratoio in Cernical, passò da Pola a Capodistria ed in tempi recentissimi venne trasferita ove si trova. 11 vedere eretto il monumento ad onore di Giulio Filippo dal comune di Albona assicura che fu alzato sul territorio del comune medesimo. Non conoscendo 1' antica condizione politica del comune di Albona, se cioè sia stata colonia, nè volendo prevenire quel giudizio che per ogni titolo ad altri spetta, non sapremmo dire se sia stata eretta la statua sul territorio proprio, quasi colonico, o sul territorio tributario; se Albona ebbe territorio municipale, si preferì di alzarla in questo e la breve distanza da Albona persuade che fosse così. Siamo giunti a riconoscere il preciso territorio municipale di una delle nostre colonie; abbiamo indizi dei territori di altre, e possiamo dire che siffatti territori non si estendevano molto, anzi erano ristretti; e, cosa singolare, due delle precipue nostre colonie li ebbero assai dilungati alle spiaggie del mare, e pochissimo profondi, e come sembra continuati, non già a superficie sparse in mezzo agli agri tributari siccome talvolta si praticò. L' agro complessivo di Albona sembra esser stato confinato dall'Arsa, dal Carnero, e dal vallone che forma il porto di Fiamma; ma quest' agro abbracciava e il territorio ed il distretto, se Albona non ebbe costituzione diversa di quelle che ebbero le altre città della penisola. La leggenda tace affatto del titolo di gratitudine che muoveva gli Albonesi verso il Cesare Filippo ; noi vorremmo supporlo in ciò che il padre imperatore avendo guerreggiato i Carpi nella Mesia, al Danubio, il figlio si fosse recato incontro al padre reduce, e facendo la traversata di mare, toccasse il Portolungo. Ciò sarebbe avvenuto nel 245 di nostra salute quando contava P età di otto anni. I titoli che gli si danno nell* inscrizione sono quelli che si leggono sulle monete di lui. Si dice di questo Cesare e del padre che professassero la religione cristiana; ma seppure ciò fosse vero, non sapremmo attribuire al culto professato, un titolo a pubblica onoranza. Il titolo di Repubblica, dato ad Albona, non esprime più che la condizione di comune; era l'uso di quei tempi di applicare nomi e di usare forme che sembrano a primo aspetto di totale emancipazione, di autonomia dei comuni, mentre in verità erano assai dipendenti dal Preside e dal Procuratore della Provincia, e sottoposti non solo a tutela assai ristretta, ma a reggime molto gravoso. Lo scriversi Albonessium in luogo di Albonensium è idiotismo, non già dicitura esalta; i tempi sulla metà del terzo secolo, piegavano a decadenza. Emende ed aggiunte alle Memorie istoriche antiche e moderne della terra e territorio di Albona. (Continuazione — Vedi i numeri 67-68) IL Ripigliando 1' esame e commento delle Memorie citate subito in principio del Capitolo II m' avvengo in asserzione alla quale non posso interamente soscri-vermi. Che Albona sia stata non pure mediocre, ma, se vuoisi, anche men che mediocre castello per più secoli precedenti al XIV e che da quest' epoca abbia incominciato in lei un viver più agiato e civile, e un, sebben piccolo e lento, però non più interrotto ingrandimento e progresso, lo credo: ma che proprio da' suoi -primordi, dalla prima epoca di sua fondazione persino a detto secolo sia stata sempre un mediocre castello, sempre ristretta sulla sommità di questo monte, sempre limitata al di sopra del sito dove esiste attualmente la chiesa di S. Stefano, nè io lo credo, nè è cosa probabile a credersi. — Dall' epoca anteriore alla conquista romana, capisco, sarebbe cosa vana e infruttuosa, e, come ben dice il Giorgini, temeraria e sciocca il parlarne, in me specialmente; ma dell'epoca romana, grazie al cielo, abbiamo abbastanza monumenti d' indubbia fede per ritenere il contrario di ciò eh' egli asserisce. — E in fatti, limitata Albona a quei ristretti confini, come avrebb' ella potuto meritare un Consiglio Decurionale? come ottenere che sieno preposti al suo reggimento due edili, e duumviri? in breve, come procurarsi il rango di municipio? più ancora, come procurarsi preponderanza non pure, ma quasi dominio sopra il comune di Fianona? sopra Fia-nona che all' epoca romana (e lo attestano avanzi materiali facilmente visibili) era almeno tre, quattro volte più ampia che adesso non sia? — Però anche in questo non è tutta del Giorgini la colpa; chè molte lapidi conosciute al dì d' oggi, erano, conte sembra, ai tempi di lui ignorate o nascoste. — Ritenuto adunque per indubitato che Albona all' epoca della dominazione romana, nei primi secoli, per alcuni secoli almeno, non fosse castello (oppidum) tanto mediocre quanto il Giorgini asserisce; a quanto poi poteva ascenderne la popolazione nei momenti di sua maggiore prosperità? a quanto e fin dove potevano estendersi le sue mura? in qual epoca incominciò a decadere? decadde per cause comuni al resto della provincia, o per cause speciali? o per queste e quelle ad un tempo? e quali esse furono queste cause speciali di sua decadenza? quale l'epoca, quale lo stadio di sua massima deiezione? Ecco una serie di domande e questioni alle quali, se è pur possibile, nessuno meglio di Lei potrebbe dare risposta, ma sulle quali io non m' azzarderei muover parola se non nel solo caso che materiali scoperte spargessero nuovo lume su questo per me troppo oscuro argomento: allora soltanto slimerei la questione di mia competenza. Ma di tali scoperte io non dispero all'intutto; chè sebbene molte materiali reliquie saranno state o distrutte o assorbite appunto nelle nuove costruzioni dal Giorgini citate, tuttavia l'aumento continuo della popolazione e i sempre nuovi e sempre ricrescenti bisogni dell' agricoltura, del commercio, della civiltà, coli' imporre sempre nuove costruzioni e riforme d' edifici, di canali, di strade, coli' imporre i il dissodamento di terreni abbandonati da secoli, non possono non riportare all'aperto ciò che v'ha di nascosto sotterra. — E intanto, perchè a chi volesse quindi innanzi tener l'occhio a tali scoperte non manchi dirò così un lume, un lilo, un indizio non Le sia discaro ch'io narri, come anni fa, escavandosi un canaletto di presso alla così delta Porla della Cisterna, furono rinvenuti sotterra rovinacci dell'epoca romana; come tra gli anni 1830 e 1840 praticandosi alcuni lavori di rislauro nel Duomo è stato rinvenuto dinanzi il presbiterio un pavimento a mosaico accennante ad epoca molto anteriore al secolo XIV, e nelle mura della cappella maggiore, tra le altre anticaglie, un capitello di marmo di veramente antico lavoro, e finalmente come tre anni or sono escavandosi nel Rivellino un canale furono ritrovate fondamenta di mura, come sembra, fortificatorie, le quali e per la forma di costruzione e per le proporzioni dei massi sono a ritenersi d' altr' epoca che non della veneta, e tanto il Duomo, che la Porla della Cisterna, e il Rivellino sono più in giù della chiesa di Santo Stefano. Del portone poi <<' ordine toscano che il Giorgini ricorda più sotto, non resta oramai che un solo pilastro, e questo probabilmente per poco. Già da otto o nov'anni parve a molti che quel portone minacciasse rovina; onde fu nell'anno 1842 demolito, e l'alato leone ch'era stato posto a segnai di dominio e quasi a guardarne l'ingresso, venne nel susseguente gennaio riportato in apposita nicchia al di sopra della porta maggiore del Duomo. La demolizione della porta e il trasferimentodel leone sono così ricordati in lapida che serve alla statua di zoccolo : DEMOLITA. LA PORTA . DEL RIVELLINO . DI ALBONA . SOPRA CVI. PER PIV. SECOLI. STETTE . FV QVESTO EMBLEMA . NEL GENNAIO DEL MDCCCXLIII. QVI COLLOCATO . DI. Nel principio del capitolo III è stata sbagliata l'in-dicazion di due epoche. — La porla maggiore il' ordine rustico tuttor sussistente è stata eretta non nel 1687, ina sì nel 1587, e gli Uscocchi assaltaron le mura d'Albona la notte dei 19 gennaio non del 1699 ma del 1599. Al di sopra di detta porta esiste tuttora integra la leggenda posta allora in memoria di sua erezione, fiancheggiata dallo stemma della comune di Albona, croce rossa in campo bianco o d' argento, e da quello del podestà d'allora Francesco Grimani che è uno scudo paleggiato d' argento e di rosso di otto pezzi. Ecco come suona la detta leggenda : SVB CLMOVIRO FRANCISCO GRIMANO IOÀNIS FILIO PRETORE OPTIMO AC INTEGER RIMO QVIPACEMIVSTITIAM ET VBER-cam, vbì„„«,») TATEM SEMPER SERVAVIT COMYNITAS ALBO NENSIVM IOANNE BAPTISTA DE NIGRIS, cne .» «»ó ET SEBASTIANO LVCIANO IVDICIBYS, HOS INTROITVS PVLCRIORI FORMA RE-STAVRAYIT, ET RECTORIS INSIGNIA GRA- cva TI ANIMI CAVSA AD FVTVRORVM MEMORIA M POSVIT- ANNO DOMINI MDLXXXVII Alcune poi delle circostanze dal Giorgini accennate circa P assalto e la ripulsion degli Uscocchi sono pur comprovate da lapida che un tempo esisteva nella cappella maggiore a sinistra; ora a metà circa della navata sinistra del Duomo. — Essa è stata già pubblicata a diligenza del sig. canonico Stancovicli nella Biografia degli Uomini distinti deli Istria-, Tom. Ili, pag. 32, ma non sarà forse inutile il qui riprodurla. D. O. M. IO: BAPTIST^ DE NIGRIS COM: EQV: CAP: PRIMV: LIBERALIA STVDIA, INDE MIL1TIA ATQ ILL: ET EXC: MELCHIORIS MICHAELIS VEN: CLAS: IMP. AVSPITIA SEQVVTO: S: C: TERCENTIS PEDITIBVS IN PATRIA I'R^ÌFECTO, ET OB EOS MILITARI DISCIPLINA EGREGIE IMBVTOS, A LEGATIS REIP: NO PARVM LAVDATO, STIPENDIIS EMERITIS, AD CONTRO VERSIAS DE FINIBVS DIRIMEDAS PLVRIES ADIIIBITO REIP: MILITES yERE PROPRIO ADIWANDO, PIRATAS DCCC A PATRIE MCENIBVS FORTITER PROPVLSANDO, LI-BERALITATIS ET FORTITVDINIS LAVDEJI QVAM- MAXIMAM CONSEQVVTO MELCHIOR, TRANQVILLYS : I: V: D : ET HORATIVS FRATRES PATRVO CARIS: ET BENE*!: P. P. VIXIT ANNOS LXII OBIIT ANNO SAL. CIO:IO:CVII L' altare votivo eretto allora ad onore di S. Sebastiano esiste tuttora, e la chiesa non manca di festeggiare ogni anno un tal giorno con processione, messa solenne, e canto dell' Inno Ambrosiano. Di quanto accenna più sotto il Giorgini abbiamo prova non dubbia nella seguente leggenda incisa sopra pilastro della loggia del Rorgo di Albona. EODEM ANO A SER° MARI pu » ,«. PRO CONSTRVENDIS PROPYGN • XII ■ .ENEA TORMENTA ET ALIA RELLICA ISTR • MELCHI cm » „«,<,) OREDE NIGRIS ČOTs 1e (te in nesso) ALB • NYNTIO INTERC. cie ™ «„.) LARGITA. • FVERE • GRATI ANIMI ET BENEVOLEN T LE SER*'REIP'EERGA FI s s DEL ALRON. OPTIMVM MONIMENTYM Com' è chiaro, essa si riferisce ad altra iscrizione eh' or più non si legge, ma che avrà esistito probabilmente su pilastro corrispondente a questo dall' altra parte della loggia medesima. — Però se non possiamo precisar 1' anno a puntino, è facile avvicinarvisi, perchè sappiam per le storie che il doge Marino Grimani è morto in sul cadere del 1605; e meglio ancora perchè al disopra del pilastro sta scolpito lo stemma Grimani con queste due sigle P. G., le quali non possono significar altro che Pietro Grimani, ed egli fu il settantesimoquinto podestà veneto in Albona negli anni 1601-2-3 come si può vedere nell' Istria, anno I, pag. 234. Degli accennati due propugnacoli poi uno sarà stalo di certo quello attiguo alla parte postica del Fondaco comunale ora Teatro, sulle cui fondamenta è stata in parte eretta una casa dai signori fratelli Calioni. L'iscrizione, ch'esisteva sulle mura del propugnacolo, si legge ora sulla facciata di detta casa, ed è la seguente: MDCVI LEONARDVS DONATO IN HIERON : DVODO RECT: INT m - O GRAT: CIVIVMQ COMODYM VT PROP: HOC • ERIG MffiNIAQ FERE RESTITVERENTVR CVRAVIT Un tempo era sormontata dallo stemma del podestà Duodo : campo vermiglio con una banda il' argento caricata dì tre gigli il' azzurro. L' altr.o propugnacolo allora eretto sarà facilmente il torrione rotondo che ancora sussiste dinanzi la porta suddetta, ma non ne abbiamo memoria certa, chè la lapida che si scorge sul medesimo non ne ricorda già la prima erezione, ma sì alcune ristaurazioni praticate in epoca assai recente: eccola. DOM pvblica propvgnacvla hinc & hinc sita famelica temporis edacitatecorrosa ad albonensivm f1dem & secvritatem tvendam danieli s ravnerio in regione prefecti sollicit vs amor in pristinvm reparayit ex s : d : anno 1ncarnationis 1725 La lapida del 1617 ricordante l'erezione del fortino terrapienato nella sommità del monte, non esiste più per quanto io mi sappia, e quella del 1729 mi sembra sì d' averla letta son già molti anni, ma non saprei additarne il destino. La lapida posta del 1662 in memoria del lastrico rinnovato della Loggia si vede anche di presente sulle interne pareti della medesima: eccone il contenuto: tesselatvm hyivs lodle pavimentvmatvgi villic corym choreis in terram conyersvm • in hanc pylchriorem lithostrotam formam svb foe mis -, .mi „ (ni innruo) licis: avspiciis ill: d • d • vlncentii fvscareni mi vs vrbis prjetoris vigilantis: procyrantir dd lydovico dragogna • et • iileronimo s mis ferri • iydicir • meritis • ciyivm pietate redactvm anno dni 1662 È sormontata da uno scudetto portante lo stemma della Cà Foscarini, campo d'oro con banda di fusi azzurri, le iniziali del nome e cognome Y. F. e le note croniche 1662. Altra lapida scritta, eh' io credo non possa riferirsi ad altro che a un nuovo ristauro di detta loggia, esiste presso Rarbara Clapcich a Sta. Domenica, e serve precisamente di limitare alla porta d'ingresso della sua casa. Per quale motivo ne sia stata sospesa la collocazione a sito opportuno, non so, nè è questo il luogo di dire per quali casi sia venuta in mano alla Clapcich: basta se ne conosca il tenore: suburbanum hoc ^dificium ad civium solamen erectum temporis ini uria dirutum eorundem sumptibvs restituititi A ' D ' mdcclxxvii ////"" D-°Angelo Cornelio Pretore Cu//// NN • VV • Francisco Francovich et Iohanne Manzoni judicibus Ma se le fin qui riportate sono le memorie de' tempi veneti che si collegano in maniera più evidente alle pic- cole vicende di questa mia terra natale, non sono però esse le sole; chè stemmi di veneti rappresentanti v'avea-no su per le mura ora diroccate del Rivellino; stemmi e lapidi scritte esistevano sulla facciata del Fondaco ora Teatro; stemmi e lapidi esistono tuttavia sulla torre dell' orologio, e sulle mura della casa comunale che serve per gli uffici dell' I. R. Commissariato, e per P abitazione dell'I. R. Commissario. Però cui pertenga la stemma posto appunto sulla ' facciata di delta casa comunale in Rivellino a destra di chi sorte per la porta maggiore (S. Fior) non io saprei dirlo; come pure non so di quale o veneto rappresentante o altro personaggio sia lo stemma che si vede nel Rivellino stesso a sinistra di chi, proseguendo il cammino, dirigesi al Borgo. Gli stemmi della torre dell' orologio sono collocali troppo in allo perchè se ne possa dare con sicurezza ragione, e le lapidi, coperte in gran parte dalla calce, sono impossibili a leggersi. — Di quelli eh' esistevano sulle mura del Rivellino non ne avanzan eh' io sappia che due, dei Cappello 1' uno, 1' altro, se non isbaglio, dei Diedo : sicché non resterebbe a parlarsi se non delle lapidi e degli stemmi eh' esistevano sulla facciata del Fondaco, i quali tulli sono riparati in luogo sicuro, e alla prima occasione opportuna saranno, penso, ricollocati a vista del pubblico. — Havvi adunque fra questi lo stemma Lombardo, scudo diviso d'oro e d' azzurro con un leone passante de' colori opposti, ma senza note croniche o sigle per cui non si sa se riferiscasi al quinto o al vigesimo podestà, se agli anni 1428-29-30, ovvero agli anni 1463-64. E qui resterebbe ancora a sapersi se quel Girolamo Lombardi e Lombardo che comparisce due volte nella serie dei veneti rappresentanti di Albona e Fianona sia o meno un individuo stesso della stessa famiglia. — Havvi lo stemma Rondumier, diviso per fianchi d' azzurro e d argento con una banda de' contrapposti colori, che e per le sigle F. R. e per l'anno 1461 che porta al basso scolpito è chiaro riferirsi a quel Francesco Rondumier ch'ebbe il governo d'Albona appunto negli anni 1461 e 62. — Havvi altro slemma eh' io non so cui Iribuire, ed altro ancora portante di sotto la seguente iscrizione: MCCCC • LXXXX • D • XI • NOBRI. A dett' epoca era affidalo il reggimento di Albona a Domenico Cappello, ma lo stemma non è certo di lui. Poi havvi lo stemma dei Diedo colle sigle A ♦ D • Andrea Diedo e la seguente leggenda: MCCCC • LVII • DIE • TERCIO • MENSIS • IANVARII.—In fine havvi lo slemma Gliisi,—campo vermiglio con una punta innestala d'argento, il quale va unito, credo, alla seguente iscrizione: D • IOANIS PETRI GISI PRAETORIS ALRO NAE ET FLANONvE DIE XXVI MENSIS IVNII MCCCC////XXXXVI Sull' architrave poi della finestra postica del Teatrino si conserva tuttora uno stemma che potrebbe essere dei Rriani, perchè le iniziali V. R. che vanno unite non sono applicabili che a Vincenzo Briani podestà ne- gli anni 1623-24-25. È pure accompagnato dal motto seguente : CVM • RECTE • VIVAS • NEC ■ CVRES • VERBA • MALORVM E sulle mura del Commissariato in piazza si conservano e leggono ancora due iscrizioni. L' una ammirabile per l'efficacia della concisa sua frase è questa: PEREGRINV S BRAGADENO NEC • B ONI S MELI OR • NEC MALIS PEIOR MDLYII l'altra è la seguente: ANTONIO BRAGADENO PIO BENEME RITOQ PRETORI POST RECENTIA BELLOIt INCENDIA ALBONAM FCELI CITER GVBERNANTI POPVLVM AB HOSTIYM INIVRI1S LABEFACTATV RESTAVRANTI IVSTITIAM CyETERASQ VIRTVTES INGENVAS EXERCENDO ABVNDANTIAM TOTIS YIRIBVS PROCVRANDO QVI TANDEM PRO PRII CORDIS INDICEM GENIIQ SVI SIMVLACRVM CIVIBVS CONDONAVIT VNIVERSITAS ALBONENSIVM NE TANTI RECTORIS MERITA OBLIYIO OFFVSCARET . G . F ANNO DNI MDCXX. Ma se in Albona abbondano le memorie pubbliche de' tempi veneti, non è a credersi che a Fianona vi manchino affatto. Entrati nel Castello s'incontra subito sul campanile presso il Duomo lo stemma della Cà Morosini, campo d oro banda azzurra, con sotto la seguente leggenda: TENPORE • DNI FRANCISI • MORE SINO • POTEST AS-ALBONEET-FLANONE-MD30 ADI Vili MARZO Sullo stipite sinistro della seconda porla d'ingresso del Castello medesimo presso il campanile si scorge uno stemma che sembra dei Manolesso, e le seguenti parole : IOVAN DOMENE GO MANOLE SO Al di sopra dell' apertura che molte nella loggia esistono pure tre stemmi. A quali delle venete famiglie appartengano quel di mezzo e quello a sinistra non oso dirlo : quello a destra è lo stemma Lolin, campo scaccheggiato per banda d' oro e di rosso con un capo rf' o-ro caricato d'un giglio sminuito o reciso rosso: disotto a questo si legge: MARCVS ANTONIV S LOLIN vs- 1532 Solla la loggia a rincontro di chi entra si vede lo Stemma Muazzo — campo d' oro diviso d azzurro con un solo giglio de' colori opposti e sotto le sigle seguenti AL • M • Alessandro Muazzo. Esso fu Podestà d' Albona e Fianona negli anni 1587-88-89-90. Parimenti sotto la loggia a sinistra di chi entra havvi Io stemma Molili — una ruota di molino d'oro in campo azzurro e sotto due M • M • significanti certo Marco Molin che fu Podestà d'Albona e Fianona negli anni 1580-81-82. Neil' interno della stessa loggia esistono altri due stemmi: uno non saprei dire cui riferiscasi: l'altro porta, sembrami, il nome di Lorenzo Vi t turi che fu Podestà d'Albona a Fianona negli anni 1672-73 -74; ma è diviso e suddiviso e inquartato assai più che non sieno i soliti stemmi della casa Vitturi. Ma a che giova, dirà Ella primo e con Lei molt'altri (nè senza qualche apparenza di buona ragione), a che giova che tu venga imbrattando le pagine del nostro giornale con indicazioni o descrizioni di stemmi d'ignote o appena note persone, con copie di lapidi che appena appena ricordano un'epoca, un nome? Già la serie dei Podestà veneti di Albona e Fianona ce l'hai data fin dall' anno decorso, nè con questa tua tiritera la rendi più completa o più certa. Almeno sapessimo di queste lapidi e stemmi quali sieno stati posti dalla popolazione, quali dai Podestà, e fra' primi quali per adulazione o per uso, quali per gratitudine o ammirazione sincera; fra'secondi quali per boria superba, quali per segno di grato animo, o per desiderio innocente di lasciare memoria di sè. Almen ci parlassero delle qualità morali e intellettuali de' ricordati soggetti, almen ci dicessero di quale fra questi sia stato mite, giusto, umano il governo, di quale capriccioso, ingiusto, tirannico : chè allora potremmo dannar la memoria di questi all'esecrazione, di quelli proporla all' amore, alla venerazione de' posteri, e negli stessi usi ed abusi del passato trovar la ragione di certi usi ed abusi e pregiudizi presenti ......... Ecco ecco appunto a che giova la mia tiritera di nomi, di stemmi, di epoche : a destare il desiderio d'imparar queste cose; a mantener viva la memoria del passato ; a richiamare sul passato 1'attenzion de'presenti; ad avvertire i presenti che dal più grande avvenimento atto a mutar la sorte d' intere nazioni, fino a' più piccoli casi che succedono fra le mura d' un umil castello, di tutto tien conto o la Storia o la Cronaca; che non v' ha delitto o virtù che possa per sempre rimaner occulto o ignorata, e che, quando meno si pensa, fra' tardi nepoti può sorgere chi metta in luce e rivendichi l'onor calunniato, calpestato, deriso, chi de' malvagi discopra e maledica la mal acquistata fama o fortuna. — Oh! sì, come una semplice foglia di fiore appassito ha spesso virtù di destare mille care o dolorose memorie; come la fredda selce tiene in sè nascoste scintille atte a destar mille incendi, così spesso un nome, un' epoca, un' arma, una pietra contengono intera e lunga una storia di dolore o di gioia, di gloria o d'obbrobrio....... Perciò è bene si tenga conto d' ogni minima cosa, chè un dì o 1' altro verrà, non è a dubitarne, chi ne sappia trarre e memorie e scintille feconde. (Sarà continuato.)