L'ASSOCIAZIONE per un .inno anticipati f. 4. Semestre e trimestrein proporzione Si pubblica ogni sabato. II. ANNO. Sabato 27 Marzo 1847. M 22 — 23. \ degli slavi istriani. CAPITOLO II. Della Religione. La religione degli Slavi Istriani è quella clie professano tutti gli altri Istriani (meno il piccolo villaggio di Peroi di religione greca-orientale), cioè la religione cristiana cattolica romana. Gli Slavi sono caldi difensori della religione dei loro padri, e subirebbero il martirio anziché negare un solo articolo della loro fede. Apprendono i dogmi di loro religione, e le preghiere dalla chiesa prescritte dai loro parochi, dai loro curati, che essi venerano al sommo grado. Non vengono ammessi alla mensa eucaristica, se non abbiano prima appreso almeno tutti i dogmi e tutte le preghiere di precetto nel loro linguaggio. In fatto di religione gli Slavi si possono considerare assai meglio istrutti di molti tra quelli che, per esser loro comune un dialetto italiano, più o meno barbaro, vengono obbligati ad apprendere le preghiere in idioma latino. Ma quale latino! Spropositi da far inorridire, e perfino tradotto nelle più orride bestemmie. E questa mala pratica non ha luogo soltanto nell'Istria ove parlansi dialetti italiani, ma bensì in altri paesi considerati assai più colti e più illuminati del nostro (*). A lode del vero dobbiamo confessare però che questo male va cessando a gran passi, ed a princi-pal merito delle scuole che si sono introdotte anche nei più piccoli villaggi, ed in cui la religione e le preghiere vengono insegnate nella lingua dai fanciulli parlala. (*) E credo di non dir troppo; giacché in fatto di religione, tanto teorica che pratica siamo forse molto indietro, massime rispetto a certa classe di persone che si ritiene per la più elevata e la più colta, perchè animata dal cos'i detto spirito del progresso, di cui al presente, non so con quanta ragione, tanto vanto si mena. In certo luogo di questa terra, in un crocchio brillante di dame c di damerini, si faceva la critica ad un ricamo rappresentante la Sacra Famiglia. Tutto ad un tratto la dama più distinta e più spiritosa si mise ad esclamare: "Ma che maniera di vestire! Dove mai si è preso quel costume? Le mi sembrano vere maschere!„ E tutti gli altri si mettono a secondare la dama, ed a gridare l'anatema contro il povero disegnatore. Ivi, per accidente, vi era anche un buon vecchio, di quelli cioè che non sanno mai intendere il vivere presente, e che sospirando borbottano sempre fra'denti: "Oh che tempi! Oh che costumi !„ Quel vecchio, a tanta ignoranza fremente, gridò: "Buon Dio! non conoscete il costume antico degli Ebrei? La Sacra Famiglia non era forse ebrea ?„.... Risa, fischiate, urla infernali composero la ri Nelle parecchie slave nelle domeniche e feste si cantano le epistole ed i vangeli in lingua slava. Così pure diversi inni. T5al che ne addiviene, che gli Slavi Istriani intendono le"cose che si fanno, e le orazioni che si dicono, i vangeli e le epistole che si cantano nelle loro chiese, assai meglio di quelli che le ascoltano, o le cantano in latino, che minimamente intendono. Gli Slavi hanno una fede viva, nè si permetterebbero per tutto 1' oro del mondo di concepire, e meno poi di manifestare un qualche dubbio sulle verità della loro religione. Guai a colui che si permettesse di parlare alla loro presenza alcun che di contrario ai dogmi della loro fede, ai riti della loro chiesa, eh' essi chiamano sempre col nome di madre. Naša mati Cèrkva. Questa loro fede spicca in modo da edificare principalmente nell'adorazione del Santissimo Sacramento dell' Altare. Nella festa dedicata a questo divinissimo Sacramento, più che in ogni altra occasione, si appalesa questa loro fede. Accorrono alla loro chiesa in tale giornata le donne e le fanciulle portanti fascicoli di erbe e di fiori d' ogni qualità. Quando sia per sortire la processione teoforica, stendono sul piano della chiesa quei fasci di fiori, e ni; formano uno strato verde dalla balaustrata del presbitero, lungo la chiesa, sino al di fuori della porta, e per un buon tratto della strada, affinchè il paroco, che porta la sacra Ostia, vi possa camminare per sopra. Tutte ginocchioni, e tenendo con una mano il loro fascio, e con 1' altra battendosi il petto, stanno attente perchè il fascio non venghi trasandato dai piedi del sacerdote. Que' fasci, dopo tocchi dal piede del sacerdote che portava l'Ostensorio, li tengono per benedetti, e li portano a casa con molto rispetto. sposta al povero vecchio. E fu una grazia se non fu cacciato a colpi di bastone, per aver ardito di chiamare ebrea la Sacra Famiglia. Il vecchio aspettò la fine di quel baccano, e tranquillo tranquillo si mise a declamare i seguenti versi del notissimo Manzoni: "Tanto d' ogni laudato esser la prima Di Dio la madre ancor quaggiù dovea; Tanto piacque al Signor di porre in cima Questa fanciulla ebrea !„ "0 prole d'Israello, o ne l'estremo Caduta, o da sì lunga ira contrita, Non è Costei che in o nor tanto avsmo Di vostra gente uscita?,, Indi prese il cappello, e se ne parti lasciando confusi "Le donne, i cavalicr, l'armi, e gli amori,,. K Con quell'erbe diseccate profumano i loro malati; e quando il cielo minaccia nembi e tempeste, le pongono su delle brage al dinanzi delle loro porte, ed al di dentro la famiglia, prostrata a terra, prega il Signore, che la salvi dall' imminente disgrazia. Osservano se il fumo di quell' erbe che abbruciano ascenda direttamente al cielo; segno che ritengono per felice augurio, e come prova di esaudimento di loro preghiere. Hanno anche una particolare divozione verso la B. V. Tutte le feste dell' anno dedicate alla regina dei cieli le solennizzano con la possibile pompa. Ad ogni festa tengono vigilia rigorosa, sia comandata, o meno; ed hanno per massima di dire: "quando senti nominar Maria, non chieder qual festa sia„. f lvada čujes slavno ime Maria, Nemoj pitat kakvi blagdan jest bia.J Non nominano mai i santissimi nomi di Gesù e di Maria senza levare il berretto da testa, e senza dire: Sia loro gloria ed onore — Slava, i cast njim budi. — Tutti gli Slavi, sì uomini che donne, portano sempre la corona in tasca. Senza la corona non sortono di casa, e se vanno in viaggio pregano per istrada. Non vi è pericolo che qualcheduno di loro resti senza corona, perchè se non pregano sul proprio rosario, credono nulle le loro preghiere, o favorevoli e meritorie soltanto per colui che glielo avrebbe prestato. Perciò se a caso trovano qualche rosario perduto, se fosse anche di qualche valore, lo portano tosto al paroco, per non tener cosa inutile per loro, anche nel caso che non se ne potesse scoprire il padrone. Sono molto rispettosi verso i sacerdoti in generale. Il sommo pontefice ed i vescovi li considerano quasi santi del cielo. Ritengono per un segnalato favore quando un sacerdote entra nelle loro case, e non rifiuta di mangiare alla loro mensa, o di bere del loro vino. E difficile poi che lo lascino partire senza fargli qualche picciolo regalo. Le sue parole vengono ascoltate con molta venerazione, ed in tutti i modi cercano di dimostrargli stima ed affetto. Agricoli e pastori come sono, ascoltano con gran piacere le storie degli antichi patriarchi, la di cui vita per tanti riguardi alla loro si assomiglia. Si può asserire perciò che i sacerdoti, che sono in cura d'anime tra gli Slavi Istriani, nel modo onde sono trattati trovano un largo compenso alla privazione degli agi, degli onori, e delle pompe cittadine. Sono esatti osservatori delle vigilie e dei digiuni. Sono pochi quelli che nel tempo quaresimale approfittino degli indulti vescovili, anzi tal fiata è mestieri aver prudenza nel pubblicarli loro, perchè potrebbero scandalezzarsi. Ve ne sono di quelli che non mangiano per tutto il corso quaresimale, non dirò già di carne, ma nemmeno di ova e di latticini. La domenica di Pasqua poi, di bnon mattino, portano in chiesa ova sode, agnelli arrostiti, pane, ed altri cibi, perchè sieno benedetti dal loro curato dopo la messa. Indi vanno a casa, e tutti uniti, ringraziando prima divotamente il Signore per aver compiuta sani e salvi la santa quaresima, con grande gusto ed appetito si mettono a mangiare; e mettono attenzione che le ossa non sieno mangiate dai cani per essere benedette, ed u-nitamente ai gusci delle ova le gettano al fuoco. Con grande solennità santificano anche le feste natalizie. La vigilia del Santo Natale la osservano a tutto rigore. Non mangiano che la sera tutti uniti intorno al desco domestico. All'alba di quel dì le donne scopano e mettono in ordine la casa, ed attendono il curato che deve benedirla. Attaccano all'imposte delle porte d'ingresso dei rami verdi, e, se altro non hanno, dei mazzetti di edera co'loro corimbi. La sera sogliono porre sul fuoco un grande zocco (*) che deve ardere tutta la notte, e dietro cui, quando cenano, gettano un poco di tutto quello che mangiano. Conficcano in un pane posto in mezzo alla mensa tre candelette che ardono sino al finire della cena in onore alla santissima Trinità. Serbano poi quel pane per darlo ai loro animali ammalati. Pria di porsi a mangiare sparano archibugiate in segno di allegria. Concorrono assai volentieri alla messa della mezza notte ed ascoltano con molta divozione e con grande piacere i diversi cantici della chiesa, in cui loro si rammemora il divino infante nato in una mangiatoia, ed annunziato dall' angelo ai pastori che facevan di notte la ronda attorno il gregge, com' essi la fanno oggi giorno egualmente. E mentre il lor curato gl'invita al bacio della pace, cantano in coro un inno, che contiene la storia della nascita del Redentore. E partono giulivi dalla chiesa, e raccontano a casa ciò che hanno veduto, udito; e sembra loro d'essere stati presenti alla nascita di Gesù. Una messa solenne, celebrata con la possibile pompa, e con lumi in copia, con cantici armoniosi, non la dimenticano per anni interi; ed i vecchi della villa van ripetendo: "Ho veduto tante funzioni in vita mia, ma una simile giammai — Ja sam vidia tolike svetkovine u mome životu, ali nigda takve„. Ed i discorsi della settimana che segue vertono tutti intorno alle belle funzioni, alle belle e sante cose, che hanno udito dalla bocca del loro curato. Hanno divozione grandissima per l'acqua benedetta nella vigilia dell'Epifania. I più vecchi di casa aspergono con quella le loro case, le loro campagne, e ne tengono in serbo massime per aspergerne i loro malati. Nella festa dei santi Innocenti hanno l'uso di raunare i fanciulli, e di farli girare per le vigne con verghette in mano con cui battendo le viti vanno cantando: "Frutta, frutta, o bella vite! altrimenti sarai recisa. — Rodi, rodi, lipa Ioza, ako nečeš roditi, cuti glavu osiéi„. Hanno gli Slavi nostri altre costumanze religiose di minor conto, e diverse giusta i diversi luoghi dagli stessi abitati; ma non per altro nè superstiziose, nè barbare, nè ridicole. Ad un popolo non distratto da altre idee, che da quelle eh' ei può ritrarre della vista del cielo, dei campi che coltiva, e de' suoi animali che alleva, e con cui i suoi travagli divide, e (a) G. Boccaccio, nella genealogia degli Dei, attesta che in Firenze nel principio di ogni anno il padre di famiglia assiso sul focolaio a capo di un ceppo, a cui s'appiccava il fuoco, gli dava incenso, e vi spargeva del vino. In molti luoghi d'Italia, e massime nel regno di Napoli, questo rito veniva osservato dalla bassa plebe la sera della vigilia del Santo Natale. Ai nostri Slavi pure, dal sacerdote che va alla benedizione delle case, vengono distribuite piccole porzioni d'incenso per essere quella sera abbruciato. da tutte le scene or gaie, or spaventose dell' intera natura, ogni rito, ogni cerimonia religiosa gli parla vivamente al cuore ed alla fantasia, in guisa da sembrargli di vedere, e di essere presente ad avvenimenti che contano secoli e secoli. E certe divote costumanze, certi usi religiosi, che il filosofo chiamerebbe superstizioni o follie, servono invece a conservare tra gli Slavi nostri la fede nei dogmi principali della cattolica religione, ed il buon cuore e la viva fede dei nostri Slavi ponno santificare e volgere in oggetto di compiacenza dinanzi a Dio anche ciò che può sembrare al filosofo folle, inetto e vile. Ma ciò basti per ora a farli conoscere in fatto di religione; unico spirito da cui sono animati in ogni atto della loro vita, come si avrà occasione di riscontrare da ciò che in seguito ne saremo per dire. annotazione. Nel riportare i diversi passi in lingua slava si è seguita l'ortografia moderna del chiarissimo e benemerito signor dottor Gay, reddatore della gazzetta illirica di Zagabria a cui tanto si deve per aver promosso lo studio di una lingua parlata da tanti popoli, e che per ricchezza, forza e bellezza di termini può stare a pa-raggio di qualunque altra lingua del mondo. Nell'Istria, ! a dire il vero, non dappertutto si parla bene lo slavo, i Meglio lo si parla senza dubbio in quei luoghi, che sono più distanti dai paesi situali alla riva del mare, in cui parlansi dialetti italiani più o meno corrotti; un saggio dei quali si è già pubblicato l'anno scorso nei numeri 13-14 di questo Giornale. Nei numeri 18, 24-25 poi, si è posto il saggio di alcuni dialetti istriani slavi. Per quanto a me sembra, lo slavo più purgato lo si parla dagli Slavi dei distretti di Parenzo, di l'isino, di Rovigno, di Dignano e di Pola. A conservare la lingua slava senza alterazioni, ed a perfezionarla eziandio, contribuisce mirabilmente l'uso antichissimo, che vige in molte parocchie slave dell'Istria, di cantare nelle chiese i vangeli e le epistole nella lingua nazionale. Ecco il dialetto slavo parlato nella parocchia di ; S. Vincenti: I. Dva čovika hodeči svojim putem. Jedan od njih vidi sikiru, i reče : vidi što sam našao. On drugi mu odgovori: Nebis imao reči: našao sam, nego našli smo. Malo potle dojde oni, koji izgubio biaše sikiru, i kadaju upazi u ruki onoga čovika, počme nazivat ga tatom. Mèrtvi smo, reče tada; dali drug njegov mu odgovori: Nebis bio imal reči: mèrtvi smo,J nego mèrtav sam; jer kada malo pèrvo našao si sikiru, rekao si, našao sam, a ne našli smo sikiru. II. Bila je zima, i ostri led. Mrav koji po letu spravio je puno hrane, stao je miran, miran u svojoj kuči. Cèr-čak stisnuo se je pod zemlju, i tčrpljaše glad i zimu. Prosio je tada mrava da mu dade malo hrane, toliko, da ne pukne. Reče mu tada mrav : A kadi si bio po letu? Zašlo nisi onkrat skupio hranu za zimu? Po letu, reče Čerčak, sam pivao, i veselio pulnike. Našto mrav smija-juči se, reče mu: Ako po letu pivao si, a ti po zimi pleši. Questo dialetto slavo viene parlato con perfetta pronunzia, taliter