L'ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4. Semestre e trimestrein proporzione Si pubblica ogni sabato. IL ANNO. Sabato 21 Agosto 1847. Mò O— 51. t DO!! ANTONIO BERDOI. Noi pure aspergiamo d' acqua lustrale la tomba di Don Antonio tìerdnn, sacerdote della diocesi di Trieste, morto quasi repenlinamente, per caduta da vettura, nella sera dei 15 agosto mentre rientrava in città dopo esercitati offici di filiale affezione. La vocazione al santo ministero si manifestava in ogni suo dire ed operare; lo studio ed il fervore delle cose di Dio, la mansuetudine e la prudenza lo facevano ornamento del giovane clero. Il Signore dia requie all' anima santa e splenda su di lei eterna luce. Al molto rever. / t fTA . Siff. don JP. > xfyf.LM-t-Uv | La monetina d' argento che la Riverenza Vostra gentilmente mi invia, è romana, dei tempi della repubblica, dei tempi anteriori all'èra nostra; epoca della quale le monete sono fra noi frequentissime, in luoghi ove meno si dovrebbe ripromettersene fra le montagne, non meno che alle spiaggie di mare; prova questa che a'tempi della Repubblica Romana fu l'Istria in cohdizioni non vili. Ma non ho abbastanza" materiali su ciò per dirle di più. Su questa moneta vedesi da un lato la testa turrita di donna che dovrebbe essere la Madre Idea; all'ingiro sta scritto : — Aulus PLAVTIVS • AEDM.9 CVRufo Senatus Consulto.—Dall'altro lato vedesi la figura d'uomo con ginocchio piegalo a terra in atto di supplicante, sporgendo colla destra un ramoscello di olivo, tenendo colla sinistra le redini di un cammello dal quale è disceso. Sotto la figura si legge il nome di BACCHIVS • IVDAEVS di un emiro del deserto, arabo, israelita od ismaelita che si fosse, ma che professava la legge di Mosè, e che da Plauzio fu costretto ad implorare pace dai Romani. Non conosco le antichità ebraiche per dirle di questo Racchio quelle cose che le storie romane tacciono, ma le sia prova questa monetina che i Romani ebbero contatti con quel popolo prima di quei tempi che generalmente crediamo. P. K.. Incursioni dei Turchi nelle parti vicine di Trieste. Il sultano Maometto II sovvertì l'impero orientale, e dopo presa per assalto li 29 maggio 1453 Costantinopoli, proseguì le sue conquiste, e nel 1465 s'impadronì della Bosnia, facendo scorticar vivo Stefano re della medesima. Di là fecero i Turchi varie incursioni nell' Istria, nel Friuli, e nelle parti vicine di Trieste; e segnatamente nel 1470 usciti dalla delta Bosnia circa 8000 di essi, arrivarono a Buccari, indi a Grobnico, Ciana, Castelnovo e Basovizza sopra Trieste; abbruciarono Prosecco, Duino, Monfalcone, e passalo l'Isonzo, depredando ed abbruciando il Friuli, ritornarono conducendo gran quantità di schiavi al loro paese. Nel 1476 venne nuovamente gran quantità di Turchi scorrendo il Cragno ed il Carso sopra Trieste. Giunti al Lisonzo nel Friuli, vennero ad un fatto d'armi col generale veneto Antonio di Verona, che uccisero con 3000 uomini, saccheggiando la provincia. I Triestini, inteso il caso, assoldarono 200 uomini d'arme per difesa della città e territorio. Sotto il castello di Moccò nelle parti di S. Servolo, ora distrutto, seguì una scaramuccia con una compagnia di Turchi che calavano. Ne furono atterrati cinque, e tre di Trieste rimasero morii. Taspor-tarono da circa 50 schiavi da questi confini, ma questi dopo sei mesi seppero fuggire, e ritornarono tutti alle loro case. Nel 1482 vennero per la terza volta i Turchi nel Friuli condotti da Ali Bassà della Bosnia; e passata la Culpa, scorsero la Carniola e la Carintia, come pure l'Istria, saccheggiando i luoghi per ove passavano; motivo per cui nel seguente anno 1483 il pievano di La-nischie, ed i vicari di Semich, Draguch, Rozzo e Colmo, pensionari del capitolo di Trieste, si videro inabilitati a pagare le pensioni dovute, come si ha dalle memorie capitolari. Successero le medesime incursioni de'Turchi per l'Istria veneta negli anni 1493 e 1501, I Veneziani nel 1471 principiarono, nel 1479 proseguirono, e nel 1481 terminarono di fortificare Gradisca, e poi nel 1593 principiarono a fabbricare la fortezza di Palma Nuova. Nel dì 24 di maggio 1687 approdarono in Citta-nova nell'Istria due fusle dulcignolte, che dopo sac-> cheggiata la città e le chiese, ritornarono ai loro legni conducendo circa 40 schiavi, fra' quali il podestà Giambattista Barozzi, sua moglie, e la famiglia. Il vescovo per esser andato il precedente giorno a Parenzo per cresimare, fuggì l'infortunio. Uu certo Vatta piranese rinnegato li condusse, e non avendo a causa del vento potuto andare a Pirano, dove voleva guidarli, fecero la discesa a Cittanova. La repubblica riscattò il podestà coli' esborso di 4000 zecchini, e la di lui famiglia con 1500. Il doge Enrico Dandolo in Trieste. Enrico Dandolo doge di Venezia doveva recarsi in Palestina coli' armata combinata veneta e de'Crocesegnati. I Crociati francesi principiarono a mettersi in viaggio verso la pentecoste del 1202, che cadde nel dì 2 giugno, e si unirono in Venezia, dove giunse anche un numero di Crociati tedeschi condotti da Martino Litz abbate di Paris monastero di Cistcrciensi nella diocesi di Basilea. Nello stesso tempo partì dalle Fiandre una flotta condotta da Giovanni di Nesle castellano di Bruges, il quale promise al conte Baldovino di passare lo stretto di Gibilterra, e portarsi in Venezia; ma egli mancò di parola, come molli altri crociati tanto fiamminghi che francesi, che presero altre strade. Da qui venne la divisione fra quelli eh' erano in Venezia; poiché dopo aver pagata la loro parte di quanto promesso avevano ai Veneziani per il trasporto, vi mancava molto alla somma totale, ed i Veneti dal loro canto avevano pronti tutti i bastimenti ed i viveri promessi. Così una parte dei Crociati diceva: "Abbiamo pagato il nostro passaggio, e siamo pronti a partire; ma se non ci vogliono condurre, anderemo altrove,. Gli altri dicevano che non conveniva separare l'armata, ma imbarcarsi a Venezia a qualunque costo; e questo partito prevalse. Era tale anche il sentimento del conte di Fiandra, del marchese di Monferrato, e de'principali signori. Diedero essi il loro vasellame da tavola d' oro e d'argento, e tutto ciò che poterono contribuire; e pure vi mancavano 34 mila marche di argento alia somma convenuta. Ma il doge di Venezia vedendo che avevano fatto ogni sforzo possibile, propose loro di soddisfare il resto con servigi militari, aiutando i Veneziani a riacquistare Zara che il re di Ungheria aveva sopra di loro ricuperata. I Crociati lo accordarono, non ostante la resistenza di quelli che volevano separare l'armata. Il doge Enrico Dandolo, quantunque vecchio ed infermiccio, si pose alla testa dell'impresa, assunse la croce, e la prese seco un gran numero di Veneziani. Il Papa aveva inviato a Venezia il cardinale Pietro da Capua in qualità di Legato per accompagnare i Crociati alla Terra-Santa col cardinale di Santa Prassede ; e gli aveva date le più ampie facoltà possibili; ma i Veneziani, temendo che il detto cardinal di Capua si opponesse all' impresa di Zara, gli fecero sapere, che se voleva venire seco loro lo condurrebbero in qualità di predicatore, ma non di Legato. I Francesi non erano di questo parere; ma i Veneziani vi persistettero, ed il cardinale Pietro, di essi mal contento, ritornò a Roma e scoprì il loro disegno al Papa, il quale scrisse a tutti i Crociati proibendo loro espressamente, sotto pena di scomunica, di attaccare le terre de' cristiani, e nominatamente Zara di cui era in possesso il re di Ungheria pure crociato. Aveva il pontefice fatta ancora a viva voce una tale proibizione al marchese di Monferrato, che assentossi prudentemente e non andò all'assedio di Zara. La flotta de' Crociati Francesi e Veneziani salpò da Venezia il dì 8 di ottobre 1202, e nel seguente giorno pervenne a Pirano. I Triestini, colti all' improvviso ed incapaci di poter resistere a tanta forza, spedirono al doge de' deputati, e si resero, promettendo di far servigio come gli altri luoghi dell'Istria, prendere i pirati da Rovigno in poi, presentarli al doge, e dargli annualmente nel giorno di S. Martino 50 orne di vino ribolla, o sia prosecco, franco alla riva del palazzo ducale. Il doge fu quindi ricevuto nella città. Questa prestazione annua di vino non importava nè una sudditanza, nè un dominio o possesso che di Trieste avesse la repubblica di Venezia. Si rileva ciò chiaramente dalla pace di Torino del dì 8 agosto 1381, conchiusa dopo la guerra che comunemente vien detta di Chioggia, con la mediazione del conte di Savoia tra essa repubblica e gli alleati suoi avversari, nella quale, dopo dichiarata assolutamente libera la detta città di Trieste, si soggiunse: excepta et reservata a praedictis omnibus et singutis praestatione annua illius quantitatis Vini Ribolei,