ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-09-21 UDC 321(450.2 Piemont)"15/17" POTERILOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIII SECOLO: I FEUDI IMPERIALI DELLE LANGHE TRA MITO E STORIA Angelo TORRE Università di Genova, Dipartimento di Storia Moderna e Contemporánea, IT-16126 Genova, Via Balbi 6 SINTESI Oggetto di questo saggio è l'oblîo di un sistema político. Contrariamente a quanto si ritiene, i dispositivi dell'oblîo non sono semiotici o inconsapevoli. I feudi imperiali delle Langhe costituivano un sistema politico fondato sul transito, l'intreccio di giurisdizioni e un panorama specifico di istituzioni locali. Tale sistema politico venne dimenticato tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell'Ottocento attraverso un processo molto articolato. Da un lato, trasformazioni economiche anche rapide indotte dall'incorporazione dinastica sabauda delle aree imperiali si traducono in mutamenti degli orientamenti economici delle popolazioni e delle élites locali. Dall'altro, casi individuali di rimozione e di lapsus si inquadrano in una più ampia mutazione culturale: gli eruditi e i letterati piemontesi costruiscono orizzonti adeguati ai nuovi equilibri politici. All'interno di una ricerca più ampia sui feudi imperiali delle Langhe,1 vorrei affrontare qui un aspetto specifico del rapporto fra sistemi di potere e poteri isti-tuzionali. Esso riguarda la memoria dei sistemi politici, e potrebbe intitolarsi: Come fu possibile dimenticare l'Impero nel Piemonte tra Sette e Ottocento? 1. Come si fa a dimenticare un sistema politico? La discussione della tavola 1 I feudi imperiali delle Langhe possono essere studiati in ASTo, Corte, Langhe; ASTo, Camera dei Conti, Artt. 781 (cambio tra Novello e Camerano), 595 ecc.; ASM, Feudi imperiali, Langhe, e Plenipotenza in Italia; Haus -und Hof Staatsarchiv Wien, Feudalia Latina. Per i rinvii puntuali cfr. Torre, 1994. I percorsi e i confini comunali e l'osservazione topografica sono possibili grazie a Oltre alle Tavolette dell'Istituto Geografico Militare, Firenze, R. Corpo di Stato Maggiore, Carta 1854, (Genova 1992). Per il periodo napoleonico, ANP, Série F12, 1283 (richieste di fiere e mercati dei paesi delle Langhe) e soprattutto Série F7, 3682, 17, XIV, 1807, Représentation sur la situation du Département de Montenotte pour l'an 1807. ASTo, Camerale, Avvocato Generale, contiene la registrazione dei casi di contese possessorie in particolare nei rapporti fra ecclesiastici e laici. In ASTo, Corte, Valle di Sesia, esistono numerose attestazioni che l'intervento sui feudi imperiali rappresenti il paradigma dell'intervento politico centrale nelle periferie: inviti a considerare Valsesia e feudi pontifici come feudi imperiali. Per la storia dei comuni piemontesi, cfr. Bordone, 1994-98. Per l'analogia con il caso ligure cfr. Senckenberg e Montagnini a proposito della disputa fra Genova e Sanremo. 169 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 rotonda di ieri ha in parte dissipato i miei dubbi sulla pertinenza di questa mia comunicazione. Credo infatti che, come diceva Chittolini ieri, la nostra tendenza a non contestualizzare con precisione i conflitti locali, sia dal punto di vista delle relazioni sociali e di potere che li motivano, sia dal punto di vista dei sistemi simbolici attraverso i quali si esprimono, finisca per influenzare la nostra stessa capacita di comprensione delle istituzioni centrali che con quelle situazioni e con quei sistemi simbolici interagiscono. Questa mia relazione vorrebbe suggerire l'idea che il vuoto - culturale e relazionale - nel quale tendiamo a vedere i conflitti, e una costruzione. E lo e a tal punto che in alcuni casi e addirittura possibile datarne il processo di costruzione. Parlero di tre aspetti del problema della memoria dei sistemi politici: intanto, cerchero di definire brevemente il concetto di oblio; successivamente, cerchero di descrivere un sistema politico locale; infine cerchero di individuare alcuni momenti di costruzione dell'oblio di quel sistema. Sull'oblio non ho purtroppo che due considerazioni da fare: la prima e che si tratta di una dimensione molto poco studiata. In quanto tema storiografico, mi sembra che stia finalmente affiorando, come mostra senza dubbio un recente libro di Patrick Geary sull'undicesimo secolo (Geary, Magdalino, Bastia, Cherubini). Il fatto che esistano pochissime ricerche sul tema dell'oblio, e dovuto intanto all'insufficienza della definizione che ne e stata data dalle poche persone che se ne sono occupate. Insufficienza dovuta al fatto che l'oblio e colto all'interno di una problematica come quella della memoria, che si sforza essenzialmente di cogliere continuita culturali (Assman; Fentress-Wickham). Ad esempio, in quell'involontario monumento storiografico che e la collezione di Pierre Nora dedicata ai Lieux de mémoire (Nora, 1984-93), le definizioni dell'oblio discendono direttamente dalle definizioni della memoria. Ne costituiscono in un certo senso l'inverso: l'oblio, in altri termini, non ha una dimensione autonoma. Lo stesso Nora, proseguendo una tradizione consolidata delle scienze umane francesi, afferma che la memoria e una dimensione della cultura collettiva - in altri termini strutturale - e fa discendere l'oblio dalle caratteristiche della memoria. In questo senso l'oblio e pura disgregazione della cultura. Dall'altra parte, mi pare che non abbiamo altro che elaborazioni indirette della storiografia anglosassone - penso soprattutto agli studi sull'invenzione dalla tradizione, con cui si tende vedere l'affermarsi di una tradizione "nuova" in op-posizione a una cultura preesistente (Hobsbawm-Ranger, 1983). In questi termini, l'oblio sembra inteso come diretta espressione della vittoria di un sistema politico su un altro e precedente, ma i meccanismi concreti di come si faccia a dimenticare quest'ultimo non vengono studiati. Altre prospettive di ricerca permettono invece di intuire che l'oblio sia una costruzione culturale e sociale. Keith Marvin Baker, ad esempio, e partito infatti dalla possibile relazione di storia e memoria, per giungere alla conclusione che si 170 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 abbia ricerca storica, ricostruzione del passato, nei casi in cui vi sia contestazione della memoria (Baker, 1985). L'idea che la memoria possa essere soggetta a contestazione ci avvicina alla dimensione legittimante del ricordo, e alla ricerca storica come legittimazione del ricordo. In questa chiave, il fatto di dimenticare puo essere considerato come la scelta di non riconoscere più la legittimità che dà senso alle pratiche più o meno formalizzate di un sistema politico e culturale.2 Un sistema politico e culturale "dimenticato" è per definizione "sepolto", e la ricerca storica deve riportarlo alla luce isolando, per citare il vecchio motto di Frugoni, dalle incrostazioni documentarie che lo occultano (Frugoni, Ginzburg, Sergi). Le metodologie sono quelle elaborate da alcuni settori della ricerca arche-ologica. E' chiaro in questo senso che la storiografia è molto più simile all'arche-ologia di quanto non siamo disposti ad ammettere: si tratta di leggere manufatti documentari incrostati e stratificati e di ricomporli nelle loro relazioni reciproche, che le fonti tendono invece a occultare (Moreno, 1992). 2. Mi sembra che la tavola rotonda di ieri abbia già insistito a sufficienza sulla pluralità di giurisdizioni e sugli intrecci di giurisdizione che caratterizzano le formazioni politiche di antico regime (Raggio, 1995), e che rappresentano senza dubbio le nuove prospettive della ricerca storica su questi temi. Mi preme soltanto aggiungere che certamente il concreto intreccio di giurisdizioni, e soprattutto il fatto che le giurisdizioni si intersecassero sul territorio, è essenziale per rendere ancora più dinamica la nostra percezione delle società locali. Penso al significato che possono assumere tutte le ricerche sui cosiddetti quartieri di lignaggio, su quello che potrem-mo chiamare il modello ligure-salernitano.3 Il territorio, oltre ad essere segmentato in 2 Per il nesso fra pratiche, legittimazione e sistemi politici cfr. Moreno 1992, Raggio 1996, Torre 1995b. Il potere legittimante delle pratiche risulta tanto piu evidente se si considera nel modo piu ravvicinato possibile l'organizzazione interna delle società politiche territoriali (cfr. n. 3). 3 Una nuova antropologia storica delle campagne europee suggerisce l'abbandono di uno dei più potenti miti storiografici del secolo XX, quello della comunità contadina quale organismo di base della società rurale. Analisi su scala topografica dei villaggi italiani - piemontesi come liguri, toscani come campani - ne hanno messo in evidenza la frammentazione interna, una condizione di cui stentiamo ancora a percepire le implicazioni più generali. La morfologia insediativa rivela ad esempio aree di persistenza dei quartieri di lignaggio periferici; più in generale, descrive la frammentazione di molti villaggi in borgate, ville, quartieri (Mannori, Grendi 1982; Levi 1985). Accanto a questi tipi di insediamento convivono aree di villaggi a insediamento compatto, che seguono geografie e cronologie che restano da determinare con precisione. La diffusione del modello di villaggio ad habitat policentrico nell'area ligure-piemontese (ma neppure l'area lombarda sembra immune da questa tipologia) consente alcune considerazioni generali. La prima riguarda la stretta correlazione esistente fra questo tipo di insediamento e un vero e proprio sistema politico che ha al proprio centro i quartieri di lignaggio (Delille, Raggio, 1990; Lombardini, 1985; 1996). Le parentele, infatti, risultano differenziate a seconda di una serie di fattori: intanto, i gruppi parentali si distribuiscono diversamente tra i diversi insediamenti, e questa distribuzione influenza pro-fondamente i loro modelli di matrimonio e di alleanza; all'interno del singolo gruppo parentale variano fortemente il numero degli affiliati e la loro collocazione nella gerarchia delle fortune. Le 171 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 párentele insediate in modo multicentrico (frazioni e borgate), e anche frammentato dal punto di vista giurisdizionale, per il fatto che esistono giurisdizioni diverse che in esso si intrecciano e si sovrappongono. E' un punto che non posso sviluppare in questa sede, e mi permetto di rinviare ad altri miei interventi (Torre, 1999c). Vorrei tentare ora di descrivere il sistema politico a cui mi riferisco. Lo faro attraverso le parole di un "nativo", anche se non di un nativo qualunque. Sono tratte dal "Libro di Casa"4 di Antonio Caldera di Monesiglio, un feudatario imperiale piemontese-ligure, il quale all'inizio del Settecento da consigli ai propri eredi sulla gestione del feudo. Ne riporto il passo chiave: Questo luogo ossia feudo di Monesiglio per essere mercantile massime avendo la liberta di ogni sorte di merci proibite ne stati di S.A.R. [di Savoia] e per ció servendo molto a con-trabbando viene molto desiderato dalla medesima Altezza, e viene molto considerato dai ministri di Spagna perché molto le serve avere occasioni del Reggio Servitio, et per il comercio del Finale [all'epoca un feudo spagnolo in Liguria]. Et questo commercio che e regolato a tre mercati a settimana [...] La molta applicazione et rifflessi ci vogliono per conservarlo in questo stato e lustro vi vuole buona giustitia, et regime. Li sudditi devono sostenere il traffico con andar alle riviere [cioe in Liguria], Cairo, Finale, Carchere [Carcare] a prender il sale et altre merci, et nel passar per i stati di Savoia passano periculo d'esser presi, et condotti a Ceva [sede delle fortificazioni piemontesi e delle prigioni], o d'esser uccisi dai corridori [gabellieri piemontesi], a ben che tutto questo sii a' torto, mentre non ponno negar il passagio a dette merci, come si vede nella pace di Cherasco, et perció o' che conviene a sudditi prendere sue misure ben giuste per evitar i pericoli, o vero quando vi sono guadagni buoni arrischiare con l'armi in mano, e resister all'insulti de corridori, et perció se li tollera l'abuso delle armi, il che in molte occasioni s'e giovato molto, ma con tutto ció e necessario tenerli in freno, acció non si abusino in risse tra di loro o con vicini [...] il che seguendo graverebbe la conscientia e riputazione al Signore, et venirebbe insensibilmente a pregiudicar al buon Regime del luogo, et conservatione del trafico. párentele manifestano cosí una variabile capacità di assicurarsi l'accesso alle risorse materiali e, come vedremo, simboliche. Conseguentemente, si sviluppa una "coscienza sociale dello spazio", nella quale puo essere individuata una potente matrice della politica locale. L'asimmetria dei poteri locali assume dunque i caratteri di una segmentazione sociale, e invita a parlare della comunità di villaggio come di un aggregato di segmenti - a base potenzialmente parentale - in costante tensione reciproca. Seconda considerazione: una conflittualità violenta fondata sull'istituto della vendetta, che viene segnalata nelle aree a insediamento frammentato, convive con diversi assetti istituzionali. Cfr. Grendi, 1982, 98-103; Grendi, 1993, 41-72; Levi, 1985, 44-79; Torre, 1985, 162, 164 e180; Raggio, 1990, 88-96; Mannori, 1994, 25-55; Angelini: 658-64; Pazzagli: 28-43; Delille: 93-111; Ciuffreda, 1988, 37-72; Lombardini, 1996, 227-57; Palmero, di prossima pubblicazione. 4 ASTo, Corte, Archivio Saluzzo di Monesiglio, m. 15: "Libro in cui si vedran il stato, esser, beni mobili et tutto il sistema della casa di me Gio Antonio Caldera di Monesiglio" (1700). Ho già utilizzato parte di questa fonte in Torre, 1994. 172 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 Poco più avanti Caldera prosegue dicendo: Questo popolo va tenuto allegro, et per esser d'umori acuti, et torbidi, e novitosi, con l'al-legrezza si vanno dissipando e ridolcendo, et vedendo che il Padrone coopera, si prendono af-fetto, et percio l'andar tolerando le giovialità, giochi, hosterie, balli, canti, li rallegra molto, li tiene uniti, et ripara a quanto per l'odio possono cadere [...]. Per li più onorati, non è male darle libertà [...] e concederli li Privilegij dell'Abbadia [della gioventù]. Vediamo di contestualizzare queste poche frasi molto dense. Si parla di un'area di colline e basse montagne dell'Appennino. Non esiste un centro politico di rife-rimento, poiché si tratta di un'area di incerta giurisdizione. Su di essa, anche se solo a tratti, Milano emerge come un centro di riferimento importante; in ogni caso, tra Sei e Settecento, è accertabile una forte ripresa di interesse milanese per la plenipotenza imperiale (Cremonini). Ma quello che è interessante è ció a cui Caldera si riferisce in modo indiretto: si tratta di una zona caratterizzata da una enorme frammentazione e segmentazione degli insediamenti, al punto da rendere difficile individuare dei centri di villaggio. Alla dispersione degli insediamenti corrisponde in modo speculare la dispersione del sacro sul territorio. L'area è letteralmente coperta da oratori do-mestici, da cappelle campestri (Torre, 1995a) ancora facilmente rintracciabili nella carta dello Stato Maggiore Sardo del 1852-53.5 Il territorio comunale in queste aree resta indefinito non soltanto per tutto l'Antico Regime, ma anche per buona parte dell'Ottocento.6 Si tratta di un aspetto cruciale, che corregge visioni tradizionalmente acquisite dalla storia sociale, ma che è possibile osservare solo a livello topografico. Vorrei illustrarlo con un esempio della seconda metà del Cinquecento. Uno dei feudatari imperiali di Novello (Alba), Annibale del Carretto, decide nel 1569 di vendere una porzione del suo feudo a Torino. Nel contratto di vendita chiede espressamente che alcuni suoi clienti otten-gano dei privilegi fiscali. Ma non si tratta di un episodio di clientelismo istituzionale della nobiltà rurale, tanto acuto nelle vicine regioni transalpine durante le Guerre di religione. Se infatti ricostruiamo a livello topografico questo episodio, ci accorgiamo che questo signore nel vendere la propria giurisdizione a Torino ha concepito, e sta disegnando, una lingua giurisdizionale che taglia in due il luogo. I due suoi clienti abitano in una frazione, dove possiedono una cappella in cui, fatto unico nell'area, le visite pastorali registreranno negli stessi anni una rappresentazione della Sindone, la preziosa reliquia di casa Savoia: il territorio che si disegna è cosí composto dalla porzione di castello di Annibale, dalla frazione controllata dai suoi clienti, e posta 5 Oltre alie Tavolette dell'Istituto Geográfico Militare, Firenze, R. Corpo di Stato Maggiore, Carta, 1854 (Genova 1992). Cfr. anche Torre, 1995a per la lettura territoriale del sacro. Un confronto con la situazione slovena in Verginella, 1999. 6 Questi sono i primi risultati di una ricerca che con un equipe coordinata da Renato Bordone stiamo conducendo per conto della Regione Piemonte, Assessorato agli Enti Locali: Schedario storico-territoriale dei comuni piemontesi, schede relative alle antiche province di Alba e Mondovi. 173 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 sotto la giurisdizione sabauda, come la Sindone esprime a livello simbolico.7 Tutto questo non si esaurisce affatto con l'Ottocento, poiché bisogna attendere la seconda metà del secolo per rintracciare una definizione topografica dei confini comunali. Del fatto che questa frammentazione e segmentazione degli insediamenti costituissero un elemento del sistema politico abbiamo delle prove indirette. Una è probabilmente costituita dal fatto che uno dei due sindaci che gestiscono l' am-ministrazione dei luoghi in quest'area, rappresenti le cascine: esiste in altri termini il riconoscimento della multicentricità degli insediamenti rispetto alla sede per esempio del castello o della parrocchia (Torre, 1994). Nello stesso tempo, vi è come il tentativo di ricondurla nell'alveo istituzionale. Ma le stesse rivolte contadine che punteggiano la fine del Seicento sono in realtà rivolte delle popolazioni residenti nelle frazioni periferiche (contrade) contro il borgo centrale, identificato come sede del notabilato schierato con Torino (Torre, 1986a). Inoltre lo stesso territorio subregionale si configura come un insieme di lingue di giurisdizione che ricalcano abbastanza fedelmente i percorsi commerciali che portano il sale dalla Riviera ligure verso la pianura padana (Murialdo). Possiamo percio capire uno dei motivi che stanno alla base dell'insistenza del conte Caldera sul traffico del sale: come ho mostrato altrove (1994), in questi anni si sta addirittura tentando di costruire una gabella privata del sale, di organizzare cioè la distribuzione su scala regionale coprendo l'intera area dei feudi imperiali delle Langhe.8 Per esigenze di spazio sono costretto a schematizzare tutta la politica delle alleanze feudali; in modo estremamente schematico, si puo tuttavia affermare che tra Sei e Settecento si attenua la polverizzazione delle giurisdizioni feudali che aveva caratterizzato il Cinque e il Seicento. Tale attenuazione si traduce spesso nella contrapposizione di un numero limitato (da due a quattro-cinque) di quote di giu-risdizione: questo processo sembra la conseguenza dell'interazione dei signori locali con i poteri esterni (regi, imperiali, ecclesiastici e cittadini), i quali tendono a favorire una delle parti in causa nelle contese giurisdizionali locali. Non stupisce, quindi, che tra Sei e Settecento vi sia chi auspichi un ritorno - o in ogni caso una difesa - della frammentazione giurisdizionale. Da parte di alcuni feudatari imperiali si sostiene che la frammentazione "é giovevole ai vasali e ai sudditi" (Torre, 1988). Ai vassalli per-chè consente loro di governare - cio che non puo non turbarci un poco - e ai sudditi consente i commerci che sono impediti invece dal governo torinese (ducato di Savoia prima e regno di Sardegna poi). Siamo anche in grado di individuare le possibili politiche di coesione che operano in queste situazioni: come ho fatto vedere altrove, esse sono da individuare sia nella faida sia nel rituale civico. La prima funge da 7 ASTo, Corte, Langhe, V, Novello, m.3; gli schieramenti locali sono analizzati in Torre, 1994. Il nesso religione-politica è affrontato in Torre, 1995a, 209-11. 8 In ASM, Feudi Imperiali, Plenipotenza e Langhe, esiste la documentazione di tali tentativi. Cfr. Torre, 1994. 174 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 coesione attraverso la formazione di legami di lealtà personale, che possono assumere anche una dimensione territoriale (del tutto congruente con le "lingue di giurisdizione" su cui si basano i percorsi commerciali). Il secondo, invece, sembra incarnarsi soprattutto nella Badia della gioventù che abbiamo visto richiamare dal feudatario di Monesiglio: nell'area delle Langhe infatti l'associazione giovanile possiede diritti di giurisdizione (Pio, Pola Falletti, Conterno) e ha prerogativa su tutti i fatti che succedono nello spazio pubblico, dal ballo alle "risse"9. La seconda metà del Settecento rappresenta certamente una fase di smantel-lamento di questo sistema politico. Intanto, come sappiamo, tra il 1733 e il 1755 quest'area viene incorporata dal Regno di Sardegna. Questo processo comporta il ricorso delle autorità torinesi alla violenza fisica (Torre, 1994). Ovviamente la politica sabauda è molto articolata, ma certamente non mancano aspetti punitivi. Ad esempio, il governo torinese fa tagliare i gelsi per impedire i raccolti dei bozzoli della seta - una cosa di cui ci si lamenta moltissimo. Inoltre, Torino sopprime i mercati e le fiere.10 Come è ovvio, in un'area fino allora dedita ai commerci, i "mulatieri" diventano molto più poveri, emigrano e vanno a lavorare come braccianti nelle aziende della pianura casalese e vercellese. Sicuramente questa assenza di commerci è stata sentita come una mutilazione da parte delle popolazioni locali, ed essa sarà ancora viva durante il periodo napoleonico. Quando infatti si formerà un dipartimento atipico quale il dipartimento di Montenotte, che comprendeva i circondari di Ceva (CN) e Savona, la motivazione esplicita con cui verrà creato sarà il ripristino dei traffici tra pianura piemontese-lombarda e riviera di Ponente, che i Savoia avevano cancellato per circa sessant'anni.11 Altri aspetti della politica torinese sembrano rivolgersi contro quella specificità dei sistemi locali che abbiamo visto descrivere da Caldera di Monesiglio, e suscitano reazioni molto intense. Nel 1733, per esempio, gli abitanti di Monforte d'Alba, uno dei feudi imperiali incorporati negli anni trenta del Settecento, ricorrono a Milano protestando per il fatto che le Regie Costituzioni piemontesi hanno abolito gli statuti comunali: percio essi chiedono provocatoriamente al Plenipotenziario Imperiale, il conte Stampa, come si possa definire un luogo "communità" se ha una legge uguale a quella dei suoi vicini.12 9 Non so se Manuel Hespanha sarebbe d'accordo a chiamarla una magistratura popolare; cfr. Hespanha, 1982. 10 ASTo, Corte, Langhe, S, La Morra, passim, costituisce un paradigma di intervento: Torino accorda o sopprime i privilegi di mercato e fiera a seconda della tensione politica. Sequestri di bozzoli in ASM, Feudi Imperiali, Novello, cart. 500. 11 ANP, Série F12, 1283 (richieste di fiere e mercati dei paesi delle Langhe) e soprattutto Série F7, 3682, 17, XIV, 1807, Représentation sur la situation du Département de Montenotte pour l'an 1807 . La situazione economica é descritta da Chabrol de Volvic, 1824, su cui cfr. Grendi, 1996, parte I. 12 ASM, Feudi Imperiali, Novello, cart. 500, ultimo fascicolo, tit. 17 (1733). 175 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIH SECOLO: ..., 169-192 L'altro aspetto del sistema politico che si affievolisce e l'intreccio di giurisdizioni. Per non fare che due esempi, Torino si oppone al godimento del "mero e misto imperio" da parte dei signori locali e tenta di sopprimere tutte le magistrature comu-nali.13 In realta, si tratta probabilmente di un riorientamento della conflittualita locale. Fino agli anni trenta del Settecento, infatti, e comune la contestazione della sede giudiziaria competente: ciascuno dei contendenti invoca una sede giudiziaria diversa da quella dal suo avversario. Dagli anni cinquanta in poi Torino assorbe praticamente tutte queste liti. E tuttavia si tratta di un assorbimento sui generis, certamente parziale: i giudici torinesi infatti adottano una procedura fondata sul giudizio "possessorio" (Silvestrini, cap. III), sulla richiesta cioe rivolta a una magistratura da uno dei contendenti per ottenere da quest'ultima il riconoscimento di una situazione di fatto. Poiché pochissimi contenziosi locali paiono concludersi con una sentenza, mi pare che la procedura torinese suggerisca il consenso sabaudo a un "uso" del Senato da parte dei contendenti per sancire formalmente dinamiche lo-cali.14 Ma la politica "positiva" di Torino tocca anche altri aspetti. Sostanzialmente, al suo arrivo, Torino offre posti: uffici amministrativi, ma soprattutto tanti impieghi militari rivolti alla feudalita locale. Se si prova a considerare tra inizio Settecento e l'unita d'Italia la popolazione signorile titolata degli ottanta feudi imperiali delle Langhe - circa centocinquanta individui titolati e cinquantacinque famiglie15 - si puo osservare che sceglie la carriera militare un trenta per cento quasi tutto concentrato nel periodo 1750-1850. Si tratta di un fenomeno che conosciamo bene, a cui sono state dedicate ricerche recenti (Barberis, Loriga), e che il nostro campione verifica anche per una popolazione dalla lealta feudale non necessariamente indirizzata verso i regnanti torinesi. 4. Si sarebbe dunque tentati di pensare che la seconda meta del Settecento rappresenti il periodo durante il quale l'Impero e stato dimenticato: un processo diffuso e, soprattutto, rapido.16 E' molto meno chiaro come si sia sviluppato 13 Bardineto in ASTo, Corte, Langhe, m. 1 da invent., Bardineto. 14 ASTo, Camera dei Conti, Senato, s. II, Avvocato Generale, contiene la registrazione dei casi. Per la nozione di registrazione cfr. Ago, 1998. 15 A partire da Guaseo di Bisio e da ASTo, Camera dei Conti, Indice dei feudi, ho ricavato le famiglie che vantavano titoli feudali negli ottanta feudi imperiali delle Langhe. Ne ho poi verificato gli impieghi in ASTo, Camera dei Conti, Patenti Controllo Finanze, 1717-1859. I risultati, che considero puramente indicativi, sono i seguenti: anni impiegati 1700-49 8 1750-99 19 1800-59 22 totale 49 16 Nei fondi di ASTo, Corte, Langhe, l'ultima attestazione di esplicita lealtä imperiale risale al 1760, 176 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 concretamente questo processo. Pensó che un tassello essenziale sia stato costituito dalla perdita del senso fino allora avuto dall'intreccio delle giurisdizioni: dalla perdita cioè del significato assunto dal legame che metteva in relazione ciascuna istituzione alle numerose altre che costituivano la configurazione locale dei poteri. Si tratta di un processo complesso e molto articolato: per osservarlo, in ogni caso, è necessario cambiare scala di osservazione. Non si tratta di abbandonare la dimensione della vita politica locale, che abbiamo seguito fin qui, ma di associarla a dinamiche culturali percepibili a un livello più rarefatto, che coinvolge i letterati e i narratori piemontesi del Sette e Ottocento, e in parte anche del Novecento, i folkloristi e gli storici.17 In questa sede mi limitero, per ovvi motivi di tempo e di spazio, a parlare degli storici. Certamente gli storici costituiscono un ambito all'interno del quale è parti-colarmente evidente la rimozione della valenza locale del sistema politico dei feudi imperiali, che ho cercato fin qui di descrivere. Vorrei ricordare in questa sede un solo esempio, di grande forza evocativa: una persona relativamente credibile come Carlo Denina, infatti, parla nella sua Storia dell'Italia Occidentale (1809, t. IV, 58) di quest'area come di un'area filofrancese, cio che è del tutto insostenibile dal punto di vista fattuale. Per anni mi sono chiesto come Denina abbia potuto commettere un errore di questo genere. Oggi, sono portato a ritenere che questa sua affermazione sia il sintomo di un processo vasto e articolato di oblio di un sistema politico, il sistema politico imperiale in Piemonte, di una incapacité di riconoscerlo e di "nominarlo". Alcuni indizi, che più avanti cerchero di rendere espliciti, mi inducono tuttavia a pensare che si sia trattato addirittura di una rimozione deliberata e cosciente. Esa-miniamo anzitutto in che cosa essa sia consistita. Per capire i dispositivi di oblio messi in atto dagli storici proviamo a vedere il quadro di riferimento intellettuale: la tenue tradizione muratoriana che caratterizza il Piemonte è spiegata di solito con la forte opposizione sabauda a Muratori, un quadro che Ricuperati (1989, 61-155) ha ricostruito da lungo tempo. Nella cronologia che le vicende dei feudi imperiali fanno emergere, assume grande rilievo la ripresa di interesse per queste tematiche mura-toriane durante il regno di Vittorio Amedeo III (Romagnani, 1985). La formazione di un nucleo di quelli che sono stati definiti tecnocrati, si intreccia con l'emergere di un importante gruppo di eruditi, che finalmente abbracciano, senza rischi in termini di durante un conflitto di fazione a Bossolasco (Torre, 1986b). Ma in ASTo, Paesi, si trovano tracce di rivendicazioni fiscali del periodo della Restaurazione, argomentate in base a privilegi imperiali (La Morra, 1814). 17 Ho presentato i primi risultati di queste ricerche, cui sto lavorando da tempo, nei seminari tenuti all'EHESS in gennaio 1997: Pluralité de juridictions et formations politiques sous l'Ancien Régime: les fiefs de l'Empire entre XVIIe et XVIIIe siècle (Séminaire "Histoire sociale des pouvoirs politiques", diretto da R. Descimon e A. Guéry, E.H.E.S.S., Paris); 'L'oubli de la tradition'. Historiens, folkloristes, romanciers et la culture politique locale ( Séminaire "Histoire sociale des modèles culturels", diretto da J. Revel, E.H.E.S.S., Paris). 177 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 carrière personali, la tradizione muratoriana (Ferrone). Certamente, questa erudizione è al servizio del principe e si affanna, anche nei casi di storici di genuina formazione muratoriana quali Giovanni Vincenzo Terraneo con l Adelaide illustrata (1759), a investigare in termini soprattutto genealogici e dinastici le origini della casa Savoia (Artifoni, 1992). I motivi di questo interesse non sono tuttavia esclusivamente conoscitivi: seppur legati ormai a un'impostazione filologica, questi eruditi in realtà discutono - ma il termine come vedremo è riduttivo - della legittimità di casa Savoia. Una legittimità che, se non puo più essere messa in discussione nelle aree centrali del proprio dominio, è ancora controversa sui molti territori su cui esercita un'autorità che dal punto di vista formale è indiretta. In questa prospettiva, proprio la questione dei feudi imperiali permette di vedere in modo più ampio di quanto non sia stato fatto finora la funzione di legittimazione giurisdizionale attribuita alla storiografia nell'antico regime. Mi riferisco a uno dei tanti eruditi che con maggiore o minore raffinatezza tecnica hanno tentato di dimostrare l'origine sassone dei Savoia, e quindi la legittimità delle loro ambizioni di diventare, in prospettiva, elettori imperiali esattamente come avevano fatto i Brunswick (Davillé, 1909, 51) qualche tempo prima sfruttando il genio di Leibniz. Un episodio consente in questa sede di illustrare questo aspetto cruciale: uno di questi si chiama Carlo Rangone, conte di Montelupo, ed è autore di un'opera intitolata Il sistema della genealogia sassone.18 E' interessante notare come questo libro, molto criticabile dal punto di vista tecnico, sia stato difeso dai funzionari sabaudi, e in particolare dal responsabile degli archivi sabaudi, come se si trattasse di un elemento di giurisdizione. Il conte Chiavarina dichiara a un certo punto della discussione sul libro, che l'opera di Rangone ha letto correttamente il passato per il fatto che è stata accettata "senza contradizione alcuna"(Claretta, 1878, 360). Parole in apparenza innocenti, ma che nascondono una delle formule con cui si individuano e si definiscono gli atti possessori (Raggio, 1996). E' come se la parola, la parola dello storico, appunto, creasse della pre-rogativa. La mia ipotesi di lavoro è che la chiave privilegiata per capire questo aspetto cruciale della storiografia piemontese sia costituita proprio dai feudi imperiali.19 Si tratta a mio avviso di una chiave privilegiata da almeno due punti di vista. Il primo 18 Su Rangone: Claretta, 1862, 249, che ne rileva la parentela con Vernazza. 19 La documentazione conservata in ASTo contiene infiniti rinvii al problema di definire un quadro di legittimità da usare retoricamente nei confronti delle terre di nuovo acquisto. Per non fare che qualche esempio, durante la perequazione feudi pontifici e feudi imperiali si trovano fusi negli stessi elenchi di terre non catastate; nei confronti di terre di nuovo acquisto particolarmente riottose, come la Valsesia, ancora negli anni settanta del Settecento si afferma che esse vanno trattate "come le altre terre imperiali": vale a dire, impossibilità di autonomia statutaria, stretto (che non significa necessariamente efficace) controllo sui consigli comunali. 178 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 approccio, settecentesco, individua nei feudi un fattore generale della storia europea e giunge attraverso di esso a una definizione del potere principesco.20 E' interessante che proprio gli amministratori sabaudi che si sono occupati direttamente dei feudi imperiali, in particolare i diplomatici vissuti a lungo a Vienna, siano quelli che a fine Settecento, parliamo del 1770, danno le definizioni più tenui della sovranità sabauda. Mi riferisco a Montagnini di Mirabello, il quale non parla di sovranità sabauda ma di superiorità territoriale: si tratta nel suo caso sicuramente di una accezione forte del potere ma di certo non forte quanto la sovranità.21 Che il tentativo sia fallito, soprattutto per la sua pericolosità politica, è fuori di dubbio.22 Ma un secondo aspetto ci fa vedere che la questione dei feudi imperiali è soprattutto una questione da dimenticare. Sono passati, e direi invano, quasi cinquant'anni da quando Giovanni Tabacco (1939) ci ha mostrato come la legittimità sabauda fosse una legittimità per cosí dire in negativo: consisteva più nella costruzione di una nicchia di immunità rispetto al potere imperiale, che non nel dispiegamento di un potere dalla legittimità indiscussa e positiva. Mi sembra di estremo interesse il fatto che, se noi seguiamo questa pista dei feudi imperiali, ci imbattiamo in storici, in opere di storia. Non si tratta di libri di storia, ma di opere che assumono la forma che la cultura di antico regime attribuiva alla storiografia: quella dell'allegazione giudiziaria (Artifoni, Torre, 1996). Per questa via scopriamo degli storici as-solutamente sconosciuti: un esempio di notevole interesse risponde al nome, necessariamente sconosciuto, di Gerolamo del Carretto di Balestrino, marchese di Serravalle Langhe (Torre, 1988). Senza dubbio egli è autore di almeno tre opere.23 Una prima opera concerne l'elasticità del contratto feudale, ed è funzionale alla successiva. Questa seconda allegazione riguarda la superiorità immediata dell'imperatore nel Piemonte meridionale, ed è un partecipato (e ovviamente non disinteressato) invito a un ritorno al diritto delle genti, scritto negli anni venti del Settecento. Nella terza allegazione Gerolamo Del Carretto di Balestrino si spinge, come abbiamo visto, fino a teorizzare la legittimità e la funzionalità della frammentazione politica che caratterizza la costituzione imperiale (Torre, 1988). 20 Recenti ricerche (Duhamelle, 1998), riflessioni (Lucassen, 1996) mostrano la generalità del problema a livello europeo, e suggeriscono una credo inedita chiave di lettura dell'intera tradizione storicistica tedesca come tradizione di oblio (Meinecke cristallino su questo: p. 164-66). Per una affermazione cristallina del problema europeo dei feudi, cfr. Senckenberg, 1751. 21 Mi pare questa una giusta intuizione di Bulferetti (1954), il quale tuttavia non pare aver riconosciuto la portata della questione dei feudi imperiali. Su Montagnini e la cultura illuministica cfr. Beales-Hochstrasser. 22 E' forte l'analogia con il caso ligure, emerso con la rivolta di Sanremo del 1752-53: Genova non puo rivendicare il potere sulle "terre convenzionate" del Ponente senza affermare la propria soggezione a Vienna: cfr. Calvini (1956) e Tigrino 1999. 23 Senckenberg, 1751, appendice. Devo questa indicazione a V. Tigrino, che ringrazio. 179 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 II caso Del Carretto di Balestrino è intéressante poiché mostra tutto il valore politico e di prerogativa che ha la storiografia non solo nei decenni centrali del Settecento, ma ancora fino alla fine del secolo. 5. Questa funzione della storiografia consente di rileggere una serie di fenomeni disparati, e apparentemente senza rapporto tra loro e con il tema dei feudi imperiali. Anzitutto, permette di situare nel suo contesto più appropriato il rinnovamento culturale dell'ultimo quarto del secolo, quando la necessità dell'aggiornamento e dell'allineamento con la cultura europea raggiunge anche le aristocrazie provinciali. Giuseppe Vernazza sembra incarnare alla perfezione questa svolta, con la sua capacità di coniugare costantemente la passione per le memorie patrie albesi con l'antiquaria e la storia dell'arte, ma al riparo dai dibattiti ideologici e dai nodi teorici (Levi Momigliano, 1991): l'invenzione di una provincia dalla memoria selettiva, compatibile con la fedeltà al sovrano ormai inevitabile, si sposa con la necessità di stringere legami con le clientele torinesi - nel suo caso, i Saluzzo di Monesiglio.24 Una rilettura della sua opera e della sua rete di rapporti alla luce delle selezioni che egli compie nel passato locale rivelerebbe la creazione della provincia albese e consentirebbe, forse, di chiarire altre importanti direzioni dell'oblïo. Per non fare che un esempio, la costruzione, e in parte l'invenzione, del Piemonte romano (Roda, 1996, 636-40)25 ebbe come protagonista una rete di intellettuali perfettamente consapevoli di dover dimenticare - cioè indirizzare in altra direzione - la natura del potere regio in una parte consistente dello stato sardo: ció mi pare certamente meritare indagini da parte degli storici dell'antico regime. Fin qui il Settecento. Nella sua immagine tradizionale, il secolo successivo sembra proporsi con tutte altre coordinate. Non che manchino esempi di com-mistione tra politica e storiografia.26 L'assunzione della prospettiva della costruzione dell'oblïo consente tuttavia, anche a proposito degli storici sabaudi, di cogliere aspetti altrimenti insignificanti. E' a prima vista paradossale attribuire un ruolo di costruttore di oblïo a chi, tra gli intellettuali piemontesi, ha di certo contribuito maggiormente all'affermazione delle discipline storiche: mi riferisco ad Antonio Manno, anima e fondatore della Deputazione Subalpina di Storia Patria. Non va tuttavia dimenticato che la formula stessa di "Deputazione" costituisce una sussunzione della storiografia anche locale tra i compiti della politica centrale: storia locale come storia patria, appunto (Grendi, 1996). 24 II ruolo di patronaggio politico-culturale dei Saluzzo, eredi come vedremo dei Caldera di Monesiglio, resta ancora da studiare in modo sistematico: Giuseppe Vernazza (Claretta 1862) e un caso evidente, ma accanto a lui troviamo Denina e altri (Levi Momigliano, 1991 e 1998). 25 I committenti del Falsario Meyranesioi sono i membri dell'Accademia delle Scienze. 26 Grisoli, e in fondo lo stesso Romagnani. Ma cosa succede in periferia non lo sappiamo ancora (Romano, 1990). 180 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 Se si tenta di leggere nella chiave dell'oblio il Patriziato Subalpino di Antonio Manno (1895-), i volumi dattiloscritti che compendiano il fiore della nobilta piemontese, si scopre che le lacune (ben note a tutti i cultori di storiografia pie-montese: Levra, 1992, 73-297) sono molto caratteristiche e circostanziate: sempli-cemente, dall'opera di Manno mancano non solo i feudatari imperiali, ma anche e soprattutto qualunque elemento potesse suffragare l'ipotesi dell'esistenza di una feudalita imperiale in Piemonte (ció che, se non legittimo, e almeno comprensibile) e nelle aree progressivamente incorporate dai piemontesi (ció che da tutt'altra colo-ritura all'operazione). In questa occasione potranno bastare alcuni esempi, forza-tamente brevissimi, ma si tratta di una ricerca da sviluppare in tutte le direzioni. Le assenze piü vistose sono quelle degli Scarampi e degli Incisa (Manno, sub voce): va tenuto in ogni caso conto del fatto che in realta i due cognomi nascondono decine di lignaggi, che con i loro alleati piemontesi (penso soprattutto ai Biandrate Aldobrandini e ai Valperga di Masino,27 diventano centinaia. Ma si possono constatare anche altre assenze, meno vistose ma egualmente significative. Sono assenti infatti, ad esempio, i feudatari piemontesi di origine genovese.28 Ció che mi pare davvero curioso, tuttavia, e il fatto che si cambi nome ai feudatari imperiali schieratisi nel corso del Settecento con Torino: ad esempio, i Del Carretto di Novello, noti almeno dall'inizio del tredicesimo secolo, compaiono nel Patriziato Subalpino come Del Carretto di Camerano, e cioe titolari del feudo ottenuto da Torino, e con il quale hanno definitivamente scelto il campo anti-imperiale.29 Il ruolo di costruttore del-l'oblio di Antonio Manno e tale, da spiegare addirittura il fatto che non esistano libri sui feudi imperiali delle Langhe:30 l'unico che io ho rintracciato e, non a caso, quello di un sacerdote antisabaudo e reazionario - ma ottimo storico -, autore nel 1921 di una storia del contrabbando (Pio). 6. Un ultimo punto riguarda la possibilita di leggere, a partire dalla prospettiva dell'oblio dei feudi imperiali, il tenue filone piemontese di protoromanticismo e di neoclassicismo, tradizionale oggetto di attenzioni da parte degli storici della lette-ratura.31 Spero che mi si voglia accordare il beneficio dell'incompetenza; in ogni caso, mi pare di aver capito che la distinzione suggerita da Carlo Dionisotti fra 27 Il feudo di Bossolasco che queste famiglie si spartivano con i Del Carretto di Balestrino come sede delle alleanze tra imperiali (ma anche Cortemilia ecc.). Da indagare anche il caso dei Provana, assenti dal Patriziato. 28 Doria, Spinola, Del Maro, De Marini: un semplice confronto tra le famiglie comprese dal Dizionario feudale di Guasco di Bisio (che meriterebbe una ricerca a parte) e dal Patriziato potrebbe indicare un primo campione, destinato senz'altro ad arricchirsi. 29 Sul cambio ASTo, Camerale, Art. 781, m. 1 e 2. Non e un caso, nell'ipotesi di Baker, che anche questa permuta si presenti come una contestazione della memoria: v. Memoria del marchese Gio. Batta Del Carretto di Novello , ivi, m.2, con accenni in Torre, 1994. 30 Cfr. la bibliografia, non esigua, su Filippo Del Carretto di Camerano, il cosiddetto "eroe di Cosseria" cantato, se non sbaglio, anche da Carducci: cfr. Loni, 1987. 31 Sul preromanticismo piemontese, cfr. Dionisotti e Cerruti. 181 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 Piemontesi e spiemontizzati (1977), fra quanti cioè abbandonarono l'unanime (e piatta) cultura autoctona (?) in favore di una sprovincializzazione europea o italiana, salvi di fatto "una sola, esile voce": Diodata Saluzzo. Il caso Diodata apre ai miei occhi uno squarcio nel mondo dei letterati subalpini, offre un immediato aggancio tra le loro problematiche (Arcadia, Ossianismo e ruinismo, cultura della patria; cfr. Tissoni,1981; Dionisotti, 1977; Trivero, 1986) e quelle di cui qui ci occupiamo. Il legame tra i due problemi è, in questo caso, indubitabile anche se a lungo negletto, e si fonda su evidenze di tipo biografico: Diodata Saluzzo, infatti, è contemporaneamente figlia di Giuseppe Angelo Saluzzo, il fondatore dell'Accademia delle Scienze di Torino, e la pronipote di Gio Antonio Caldera di Monesiglio, il feudatario imperiale ligure-piemontese da cui siamo partiti. Si tratta di due ascen-denze di diverso peso e, in ogni caso, fortemente contraddittorie. La protezione familiare,32 certamente responsabile della sua vocazione e forse anche del suo successo, la conduceva verso l'erudizione torinese, da Denina a Valperga di Caluso, che costituisce la filigrana attraverso la quale tutta la critica l'ha finora letta. Il trisavolo costituirebbe, a prima vista, uno scheletro ingombrante. Come è noto, Diodata fu autrice di romanzi storici, alcuni dei quali si svolgevano nei feudi ereditati dal trisavolo: uno in particolare, quello sull'abbazia di Ferrania, riguarda in fondo quella che in quel momento non era che una cappella campestre di Monesiglio (Torre, 1994). La poetessa ce ne ha lasciato un'immagine sociale in controluce: Avevano rozzi costumi gli abitatori di queste valli e di queste rocche delle Alte Langhe [...]. Qui il valore dei castellani era, siccome il valore della plebe, misto di ferocia e di stranezza [...] la fede religiosa in Dio [...] si smarriva confusa fra cento favole, e cento fan-tasime create dall'uso e dalla noja; non veniva frenato il potente da nessuna legge sovrumana, e meno assai da legge terrena; stavano in vortice profondo e minaccioso le cose pubbliche e le alternate vicende; mutava il potere dei piccoli principi sulle terre infeudate.33 Ricerche puntuali dovranno stabilire se siamo autorizzati a leggere come esperienza biografica diretta il giudizio che Diodata dà dei suoi feudi (e dei suoi sudditi) langaroli:34 in particolare, le "vendette dei signori del Carretto" che ella immagina nelle sale dei castelli della regione. Certamente siamo sollecitati a cercarne l'origine, in questo diversamente dagli storici della letteratura, per i quali si tratta piuttosto di una "rappresentazione di maniera" (Trivero, 1986, 32). E' ovvio che i numi tutelari della poetessa piemontese, tra i quali vanno annoverati lo storiografo Galeani Napione (1818), ma anche Roberto Taparelli d'Azeglio (Nay, 1989), non avessero alcun interesse a rispolverare l'intreccio di giurisdizione, ció che manca 32 Malingri di Bagnolo, Elogio storico di Diodata Saluzzo, Torino, Chirio e Mina, 1843. 33 Giá Trivero (1986, 32) ha richiamato in altra ottica la nostra attenzione su questo passo. 34 A Monesiglio Diodata dedico direttamente un sonetto in occasione dell'inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale, edificata dalla sua famiglia (1826). 182 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 anche dalle pagine di Luigi Cibrario, che ne costituisce invece una fonte esplicita. Ma nel caso di Diodata Saluzzo, l'oblio giunge ad assumere l'aspetto di un vero e proprio processo di rimozione.35 Non possiamo chiamare altrimenti il fatto che la poetessa conservasse in casa il diario del trisavolo. Si tratta di un diario del tutto particolare ed esplicito sul punto che ci interessa qui. In un quaderno compatto e denso si documentavano infatti tutte le spese che egli aveva sostenuto per conservare il sistema politico locale. Ma non basta: anche la bisnonna di Diodata, Olimpia Caldera, aveva tenuto un diario con la memoria quotidiana delle spese sostenute, sempre in Vienna, per la consecuzione delle proprie doti.36 Una rimozione di tale evidenza, credo, puo forse trovare ragione nella biografia personale di Diodata: ad esempio, l'ingombrante presenza di un intellettuale "dinastico" come Prospero Balbo nella sua formazione. Ma, come storici, non ci possiamo esimere dal domandarci se non si sia trattato di un atteggiamento piü diffuso, e che Giuliano Baioni (1969) ha colto nel rapporto tra classicismo e rivoluzione in Goethe.37 Questa direzione di ricerca andrebbe percorsa intanto a partire dai re-frattari e dai ribelli. Il riferimento a Vittorio Alfieri e d'obbligo, ma non inutile: egli infatti apparteneva a una nobilta provinciale che conservo, almeno fino agli anni cinquanta del Settecento, legami, sia pur modesti, con l'Impero.38 E' interessante notare come questa lealta si traduca nello stesso Alfieri in una lode, che credo retrospettiva, del padre "perche non ha impieghi". La frase diventa comprensibile solo in senso retrospettivo; non e certo un bambino di undici anni che da questo giudizio. Altri indizi, tuttavia, invitano a pensare a un possibile legame tra feudalita imperiale piemontese e carriera letteraria. A ben guardare, i casi non mancano, e paiono rinviare a un reticolo di nobili.39 Il caso piü "alto" e senz'altro quello di Ludovico di Breme, che e in realta il discendente di un ramo laterale degli Arborio di Gattinara, legati all'Impero, e i cui rapporti con la parente Diodata, sia pur sporadici, sono ben noti e di grande importanza critica. Lo stesso Coriolano Malingri di Bagnolo, tardivo confidente di Diodata Saluzzo, discende da schiatte legate a Vienna, cosi come altri personaggi del mondo letterario di fine secolo. Ma altri letterati piemontesi (in posizione piü defilata rispetto alle quérelles letterarie), come Tancredi Falletti di 35 Questo documento mi sembra consentire di rovesciare il giudizio di M. Prosio sulla prosa di Diodata come "storia locale" dalle matrici "biograficamente e topograficamente circoscritte" (Prosio, 1984, 173 e 182). 36 ASTo, Saluzzo di Monesiglio, m. 6. 37 Ringrazio O. Raggio per questa indicazione. 38 Vita, 45. Il padre era un Alfieri Bianco di Cortemilia. 39 Occorrerá approfondire almeno le tracce genealogiche di tale reticolo: in particolare, i Doria di Cirié (feudatari di Testico), marchesi del Maro, Conti di Prelá e Dusino ecc., risultano imparentati, a fine Settecento, sia con i Malingri di Bagnolo, sia con gli Arborio Sartirana di Breme (Manno, s.v. Doria), sia con i Dal Pozzo, destinatari di sonetti di Diodata. I Breme contraggono in questo periodo alleanze matrimoniali con i Saluzzo di Monesiglio (Manno, s.v. Saluzzo). 183 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIU SECOLO: ..., 169-192 Barolo, appartengono a un ambiente totalmente sconosciuto, sul quale Baioni invita a concentrare la nostra attenzione. Resterà in ogni caso aperto il problema delle influenze esercitate da questo ambiente culturale e sociale su quanti, in particolare i folkloristi ottocenteschi, ab-biano letto la mitologia politica popolare piemontese.40 Il legame tra queste ricerche e i temi qui suggeriti mi pare evidente, anche se resta, per quanto ne so, poco studiato.41 Le prime ricerche sulle tradizioni popolari, che si sviluppano tra gli anni venti e quaranta dell'Ottocento, hanno matrici che si rifanno ancora una volta, e non solo dal punto di vista biografico, alle aree imperiali. Da Domenico Buffa ad Angelo Brofferio e Pietro Giuria, si tratta di un mondo che ha conosciuto da vicino la tradizione imperiale,42 anche se, per le costrizioni del quadro politico imposte dal Congresso di Vienna, non ha potuto rendere esplicita la propria esperienza biografica. Ma in questa prospettiva la rimozione di cui è protagonista Diodata Saluzzo, la discendente di Gio Antonio Caldera, diventa indizio di un atteggiamento che connoto una o due generazioni di intellettuali tra l'ultimo quarto del Settecento e la prima metà del secolo successivo, e che non puo aver mancato di lasciare profonde tracce nelle generazioni successive. Il fatto che Carlo Denina, dai cui lapsus sono in fondo partite queste considerazioni, sia stato il precettore della poetessa piemontese, aggiunge particolari motivi di interesse all'indagine su un milieu di potenti in cerca di sradicamento. Ringraziamenti Ho presentato i primi risultati di queste ricerche, cui sto lavorando da tempo, nei seminari tenuti all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales in gennaio 1997: Pluralité de juridictions et formations politiques sous l'Ancien Régime: les fiefs de l'Empire entre XVIIe et XVIIIe siècle (Séminaire "Histoire sociale des pouvoirs politiques", diretto da R. Descimon e A. Guéry, E.H.E.S.S., Paris); 'L'oubli de la 40 Dopo Brofferio, la mitología política piemontese sembra essere stata oggetto di attenzioni solo da parte di Carducci (1883), e, parzialmente, della sua generazione di folkloristi: ad es. per Giuseppe Ferraro le indagini folkloriche si devono sviluppare a livello topografico, anzi alla luce della toponimia rivelata dalle fonti catastali (1877, XV). Il ricorso alle fonti è ancora presente nella generazione successiva, quella dei Pola Falletti e dei Milano, mentre risulta assente a livello esplicito dalle generazioni posteriori (es. Barolo, 1931 e 1998). Ma lo stesso Milano contrariamente a Ferraro rinvia esplicitamente a suggestioni letterarie (1929. 41 Mancano tracce di legami tra Buffa e Diodata, anche se egli fu in contatto con una letterata miilanese a lei vicina, Adele Curti. Cfr. Costa 1964, 59. 42 Un importante tema di ricerca mi pare suggerito dalla genesi delle Tradizioni popolari curate da Brofferio nel 1847, cui parteciparono, tra gli altri, appunto P. Giuria, Paravia e Carutti. Il caso di Domenico Buffa, di poco precedente, mi sembra di enorme interesse, poiché rinvia alla cultura ovadese della Restaurazione, agli Scolopi di Carcare e alle loro suggestioni letterarie e drammaturgiche. Cfr. Costa (1964 e 1968), e la corrispondenza Buffa-Carutti conservata in Museo del Risorgimento di Torino. 184 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIH SECOLO: ..., 169-192 tradition'. Historiens, folkloristes, romanciers et la culture politique locale (Séminaire "Histoire sociale des modèles culturels", diretto da J. Revel, E.H.E.S.S., Paris). desidero ringraziare i partecipanti per le loro utili e interessanti osservazioni. LOKALNE OBLASTI IN CESARSTVO MED 16. IN 18. STOLETJEM: CESARSKI FEVDI V LANGAH MED MITOM IN ZGODOVINO Angelo TORRE Univerza v Genovi, Oddelek za novejšo zgodovino, IT-16126 Genova, Via Balbi 6 POVZETEK Ob preučevanju jurisdikcijske dokumentacije, ki zadeva cesarske fevde v Langah v 18. stoletju, je mogoče redefinirati politično prenovo savojske države v smislu opuščanja predhodnega političnega sistema. Slednjega je predstavljala mreža vasi, ki so jih povezovale tranzitno gospodarstvo, krvno maščevanje, prepletenost juris-dikcij in mlade ustanove. Opuščanje tega političnega sistema se začenja v drugi polovici stoletja in se razvije v niz različnih trenutkov. Po eni strani je očitno, da turinska vlada zatira lokalne običaje in si s ponujanjem delovnih mest in uradnih funkcij cesarski eliti ustvarja lokalne sogovornike. Po drugi strani pa skuša dinastično zgodovinopisje z vsemi sredstvi, vključno z ukrepi cenzure in avtocenzure, svoje analitične postopke prilagoditi strategiji politične legitimizacije sardinskih kraljev. Vzporedno poteka arheološko preučevanje lokalnih razmer v obliki "divjega epigrafizma", ki izpostavlja provincijski status ali si ga celo povsem izmišlja. Ta proces je okrepljen s celo vrsto kulturnih sprememb, razvidnih iz dokumentacije družine grofov Saluzzo di Monesiglio. Sicer pa se cela generacija književnikov trudi, da bi, tudi z zavračanjem svoje lastne družinske preteklosti, izoblikovala novo podobo piemonteškega obrobja. Na ta način se vzpostavijo razmere za nastop prezgodnjega obdobja zbiranja ljudskih podalpskih tradicij, ki je zaznamovalo prvo polovico 19. stoletja in ki ga je v tem smislu nemogoče ločiti od procesa inkorporacije cesarskih fevdov v sardinsko kraljestvo. 185 ACTA HISTRIAE VII. Angelo TORRE: POTERI LOCALI E IMPERO TRA XVI E XVIII SECOLO: ..., 169-192 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASTo - Archivio di Stato di Torino ASM - Archivio di Stato di Milano ANP - Archives Nationales, Paris Haus -und Hof Staatsarchiv Wien. Feudalia Latina. Istituto Geografico Militare. Firenze. R. Corpo di Stato Maggiore, Carta, 1854 (Genova 1992). ANP. 1283 Série F7, 3682, 17, XIV, 1807, Représentation sur la situation du Département de Montenotte pour l'an 1807. ANP. Série F12. ASM. Feudi imperiali. ASTo. Camera dei Conti, Artt. 781 (cambio tra Novello e Camerano), 595 ecc. ASTo. Camerale, Avvocato Generale. ASTo. Corte, Archivio Saluzzo di Monesiglio. ASTo. Corte, Langhe. ASTo. Corte, Valle di Sesia. Ago, R. 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