ANNO VII—N. 33-34. Sabbato 5-12 Giugno 1852 Esce una volta per settimana il Sabbato. — Prezzo anticipato d'abbonamento annui fioriniSemestrein proporzione.— L' abbonamento non va pagato ad altri che alla Redazione. GRADO, AQUILEJA. Nè Trieste nè Duino sono collocate nell' intimo seno dell'Adriatico, come solitamente nei tempi odierni si va ripetendo; ma intimo seno è quello che sta tra Grado ed il Tagliamento, e che nella forma sua a semicerchio sembra invitare i navigli a prendervi stazione. Del quale nostro giudizio ecco le ragioni. L'Adriatico sebbene tutto acqua e da per tutto libero al movimento di barche, ha una linea di navigazione la quale per effetto di fisiche condizioni è più sicuramente frequentata. Questa linea non è alla spiaggia d^talia, spiaggia scarsa di acque, ove non è riconoscibile per la depressione delle terre, pressoché tutta importuosa, quindi esposta a gravissimi pericoli. Questa linea di navigazione non è nel mezzo dell'Adriatico; è alle spiaggie dalmatiche ed i-striane le quali coperte da scogli ed isole offrono frequenti e sicurissimi canali; profonde le acque così che a breve distanza dalla spiaggia puossi navigare con tutta sicurezza, coronate le spiaggie di monti e collimai , celati da vaporazioni naturali, di rado da nebbie, spiaggie quindi facilmente riconoscibili; dappertutto porti ampli, sicuri, di facile entrata; frequente il vento da terra al mare, così che in ogni 24 ore può dirsi periodica una brezza che viene dal monte ; la bora medesima è propizia al movimento lungo la spiaggia. Questa linea di navigazione corre dall'ingresso del golfo lungo le spiaggie dalmatiche ed istriane in direzione tale che naturalmente e direttamente conduce al seno fra Grado ed il Tagliamento; la diversione a Trieste è difficoltata da fisiche condizioni. Imperciocché il seno di Trieste non solo è nella direzione della bora, ma essendo collocato troppo sotto le alpi, e dal diversorio di queste ove nasce la bora, fino alla linea al di là della quale la bora solitamente si conforma a vento, essendo la distanza tale che abbraccia tutto il golfo di Trieste, ne viene che in questo seno la bora è troppo frequentemente bufera, e pel repentino precipitare dall'alto al basso, e pel tratto insufficiente a far sì che il vento si stenda. Non è importuoso questo seno dal lato di levante, ma la furia del vento è tale che debbansi piuttosto cercare porti all'estremità o fuori del golfo; l'altra spiaggia è bassa ed importuosa cosi che le disgrazie di mare toccano per lo più ad essa. La linea di navigazione dell' Adriatico proseguita nella direzione diretta dinanzi il golfo di Trieste non è soggetta a tali difficoltà ed impedimenti, e conduce a quel porto che dicono Buso, pel quale si entra nella laguna, potendo progredire per vie fluviatili. Nè questo porto-Buso Celie noi preferiremmo udirlo più nobilmente chiamato coli' antico nome di Anfora) non è la sola apertura che mette alla laguna ; vi ha l'altra fra Anfora e Grado, anzi fra S. Pietro d'oro e Grado, la quale è di tale momento che i Romani vi alzarono alta torre per riconoscimento notturno e diurno, ed in questi ultimi anni la Borsa di Trieste provvedeva alla conservazione di campanile che sta isolato, senza chiesa, senza campane. Per queste due bocche, che dicono porti, si ha accesso nella laguna di Grado (senza dire dell'altra che ha nome di Morgo), e la laguna ha isolette e canali profondissimi, così che migliore e più sicura stazione di navi non può desiderarsi, e ciò cui natura non provvide l'arte facilmente può supplire. Nè quindi fa meraviglia se gli antichi ebbero in tanto conto Aquileja, se i Veneti secondi nel comporsi a stato, fecero capo in Grado, ed i dogi vi presero stanza; se Grado ed Aquileja attrassero l'attenzione dei Veneti secondi, ben prima che Venezia e Padova e Treviso. Che se avvenne tale cangiamento da preferire Venezia a Grado, altre cause ebbero prevalenza che non le fisiche attitudini; lo ristabilimento di Aquileja occupò le menti anche nel secolo passato. Questo che noi diciamo estremo seno dell'Adriatico, gli antichi (intendiamo parlare dei Romani, troppo ignari essendo delle cose precedenti) disposero a grandioso stabilimento. In Aquileja trasportarono nel 180 avanti 1' èra nostra numerosa colonia che conformarono a città preeminente e dominante, antemurale d'Italia, briglia dei montanari Carni e Giapidi; fondarono emporio di commercio fra le provincie cisdanubiane, e quelle d' oltre Adriatico ed Egeo e Mediterraneo, così che in Aquileja convenivano Vindelici, Norici e Pannonii, dalle rive del Danubio tra Regensburg e Buda, convenivano quelli dell'Asia minore, della Siria, dell'Egitto, di Barberia ; fondarono flotta da guerra, staccata nel 105 dopo G. C. dalla flotta Ravennate. Così che noi crediamo avere avuto lo stabilimento romano tre parti distinte, l'una la città nella quale si concentravano gli interessi di governo e militari, l'altra l'emporio che trattava le cose di commercio, la terza la flotta o classe che intendeva alle cose di mare, non soltanto-di guerra, ma di trasporto; la prima e la terza con giurisdizioni distinte, la seconda soggetta alla prima. La città era veramente nella colonia di Aquileja, l'omporio era appendice immediatamente congiunta alla città, la classe aveva stanza nelle lagune e nelle isole; ma faceva capo, come sospettiamo, nel sito che dicono Belvedere, su terreno che toccava al mare, o piuttosto alla laguna, ed alla città per terra ferma continuata. Aquileja stava sul fiume Natisone, il quale, accolte le acque del Turro, scendeva da Ruda e Yilla Vicentina (che aveva nome di Campomarzo) per letto regolato dall' arie or abbandonato, fino alle mura dal lato d'oriente della colonia, anzi che della città, e scorrendo lungo il lato a mezzogiorno della colonia, andava al Montone, da questo per canale mantenuto con arte fino a S. Pietro d'oro. Dall'emporio di Aquileja correva canale manufatto che metteva al porto Buso. Altro canale più breve faceva testa all'Anfora per traverso, la quale traversata da una parte metteva da un lato l'Anfora in comunicazione colla Natissa, dall'altro apriva navigazione fluviatile minore con Terzo; dal Buso era per l'Aussa aperta navigazione media con Cerviniano. La colonia era tutta circondata da canali, altri certamente ve ne erano e frequenti nell' emporio; forse v'era ampio bacino fra la testa dell'Anfora ed Aquileja. . t . ' • Quella frazione di Aquileja che noi amiamo di dire Classe, aveva suo capo in Belvedere, abbracciando terreno murato non inferiore per dimensione al terreno della colonia, quasi accampamento; a questo facevano appendice: un' isola sì prossima che oggi vi è congiunta, la quale dicono Visola CentenarOj nome che ricorda i Lentonarii o fabbricatori di vesti ordinarie per le flotte — forse su quell'isola era la fabbrica di vele e corde; l'isola Domine, l'isola di Gorgo, V altra di Volperà: tutte crediamo destinate ad opificii della classe, a stazione di militi, e ne prendiamo argomento dal sito detto di S., Marco presso a Belvedere, ove tradizione narra, che il santo evangelista approdasse, e stesse qualche tempo, certamente a spargere il santo Vangelo fra gli artieri della flotta; che il santo seme fruttificò dapprima fra le classi più umili. Le isole di Barbana, di S. Pietro in cielo d'oro, di S. Giuliano erano dedicate al culto. Di S. Pietro è noto che fosse ad Apolline Beleno, cui erano specialmente devoli gli Aquilejesi; delle altre è ignoto1. Però, è lecito sospettare che in Barbana fossevi tempio a Nettuno, se vale l'argomentazione che la devozione, mantenuta dai battei^ lanti e gondolieri Veneziani fino? a' questi ultimi tempi, fosse surrogazione di culto Vero é pio, a culto bugiardo, nello stesso terreno; come vediamo dappertutto essere avvenuto coi templi, antichi, e citeremo per tutti Roma, centro della cristianità,nella, :qaal®,.la, chiesa di Ara coeli è sulterremooàPO\ Capitoli"0- v.t :<"i>I-t «(Ikon»!;'! obboK titiilt,;..'.i'< i, •,.• Tutti i canali della laguna^erano porto, ed in questi crediamo prendessero stazione:, i, navigli; maggiori, e quelli che non voleyaaft montarojfiqo, ad.iÀquiieja^ l'indicarli non è opera a cui possiamo,, accingerci. A presi-i dio della laguna stava Grado, castello).,chef* noi crediamo coetàneo allo sviluppo delle cose, 4» mare, castello, che vegliava sul golfo, e stava facilmente in comunicazione di segnali colla serie dei Castellieri d',Istria.,; , _ ; , ; Aquileja nel suo complesso stava in,,contattq; dj vie, superiori ad ogni elogio, l'una che da Concordia ,ed Aitino veniva alla colonia, e dura in parte tuttora; altra che diritta metteva ad Udine, a Gemona, passava il Monte Croce e metteva al Danubio superiore; altra andava a Viruno della Carintia; altra a Lubiana, a Cilli, aPettau, a Carnunto a Tauruno; altra alla Bossina c Macedonia, a Costantinopoli; altra a Trieste, a Pola, a Zara, a Salona e più innanzi; altre divergenti da questi grandi filoni che ommettiamo di indicare, e tutte facendo capo in Aquileja univansi alla grande via di mare. Molto fu detto, molto fu dubitato in quanto all'area che teneva 1' antica città. La quale sebbene rasa al suolo, per cause che diremo brevemente, sebbene mancante di antiche chiese, pure lascia indizi sufficienti per riconoscerlo, così che non sarebbe erculea fatica lo ristabilire a disegno l'antica città. Noi non annojeremo i lettori collo spiegare per quali vie veniamo a risultati, chè abbastanza abbiamo parecchie volte toccato ciò; diremo soltanto i risultati. * La città complessiva d'Aquileja giungeva sulla grande spina della strada Udinese, da Santo Stefano, a S. Martino della Beligna, dalla testatadell'Anfora allo stradone che da Strafonara in linea retta scende alla laguna; così che l'un lato misura 1750 passi romani, l'altro 2500; la superficie misura 4,375,000 passi romani quadrati. La colonia aveva precisamente le misure di un accampamento romano, uno dei lati di450, l'altro di 470passi, così che la superficie era di passi romani, 211,500, capace a contenere 40,000 abitanti; al primo impianto della colonia ve ne erano 17,000, aumentati tredici anni più tardi di 1500 famiglie, cioè 7500, così'che numerò dal primo nascere 24,500 abitanti. La colonia era la vige-sima pa^te della città; ciò che noi appelliamo Classe^ ossia il recinto della Beligna, era in superficie eguale alla colonia; così che tanta superficie autorizza a credere 600,000 gli abitanti di Aquileja. Che se alla città deb-bansi aggiungere altre due miglia quadrate di terreni ai lati dell'Anfora, la superficie sarebbe 7,250,000 p. r., ossia di 2960 jugeri austriaci, pari a 7 miglia ed^da 75 la grado. Così sarebbe vera la tradizione registrata dal Candido e da altri'ancora, che Aquileja avesse 12 miglia di ambito, che taluno estese fino: a dieciotto, aggiungendovi il tratto fra Aquileja e Belvedere. "Nè molte investigazioni rivorrebbero per conyertire in certezza queste calcolazioni. A compimento di questo' sbozzo di Aquileja aggiungeremo . le- pinete che devono : essere state maggiori che non la rada di Centenaro'. . : ! ; '.' Noi pensiamo che. questa , disposizione di Aquileja venisse preparata; da Trajano, il . quale assegnò propria flotta: alla Venezia ed .Istria, colla stazione in Gradò, • e ristaurò, edilizi;-. venisse, completata da Adriano'»' che. gli Aquilejesi chiamarono; restitutore-e conditore!, della .loro città, ed; in ono*ei del. quale alzarono l'Adrianeo. Noi siamo bene persuasi che non .tutto quest' ambito fosse cinto di mura, ma crediamo: altresì, che le; mitra ; della: colonia non fossero le sole, e vi fosse altra • cinta, alzata forse da Adriano, della quale ci parve vedere, avanzo' correre parallelo : ed a breve : distanza dall' intestatura > traversale dell' Anfora; queste mura si dicono di un miglio per .ogni lato; così che la colonia sarebbe.stata la quarta: parte: della ' città propria; il che va b.ene. Dell'antica'ilcittà;potemmo riconoscere le parti che, siamo per dire, e cominciérem'o dalla colonia nella quale stava il campidòglio nel sito più elevato, quadrilatero, il lato maggiore del: quale misurava 230 passi romani, il minore'.92, scompartito in tre arée; due laterali quadrate di passi 8464, l'una media di passi 4232; sull'area ove ora sta il duomo, ed era il palazzo patriarcale, sorgevano i t'etopli delle' idivinità Capitoline';H'al-tro era l' arce che così collocavàsi nell'a'sse centrale delta colonia e tutta la dominava. Forse il lato maggiore del eapitolio va raccorciato d'alquanto, allungato il minore; ferma però la superficie indicata: i'> ' ; »«'J;' *:'I2 'I j« ' " I ") ;') ') A'piedi del eapitolio coli'asse longitudinale paral-r lela all'asse longitudinale del eapitolio, era il foro, ora occupato da orti e casipole e case, che pensiamo essere stato lungo 90 passi, largo 30, così che la superfici&sà-. rebbe stata di 2700 passi; ripartito in foro, patrizio edin foro plebeo, il patrizio dovrebbe essere stato dal latori settentrione. Il foro sarebbe stato sulla via maggiore che da S. Stefano mettendo alla Belinia forma l'asse longitudinale della città; sul foro s'alzavano .pubblici e-difìzi, 1' uno dei quaii a ponente del for^ era basilica civile, o piuttosto palazzo dei Cesari, seppure questo palazzo non abbia a cercarsi a metà delle mura della colonia dal lato di ponente, di prospetto all'Anfora sull'asse traversale, così che l'arce formasse un capo, il palazzo l'altro. La colonia era scompartita mediante vie, le più intersecantisi ad angoli retti, regola dello quali erano i due grandi assi indicati l'uno della via dall'arce all'Anfora, l'altro della via da S. Stefano a Belinia. La parte murata della città di Aquileja stava per estensione alla colonia nella proporzione da tre ad uno, conservando la proporzione anche altrove serbata, nel piantare colonia in mezzo a città già esistente. Era questa la città soggetta, la città della plebe urbana non già governata da magistrati propri, ma Prefettura con Magistrato dato. Cosa singolare; anche quando Aquileja era scaduta al basso, nei tempi intorno il secolo XVI, tre erano le giurisdizioni in Aquileja ; il Capitolo che l'aveva nel Campidoglio che poi dissero Palla Crucis, il Comune che l'aveva entro la città, il capitano che l'aveva fuori, ed alla giurisdizione di questi spettava anche la piazza di S. Giovanni sulla quale aveva palazzo. La quale chiesa di S. Giovanni testé venduta e diroccata, dice-vasi S. Giovanni in Foro, vi si leggeva frammento a lettere cubitali FORUM, ed era plebanale; preziosa concordanza delle instituzioni ecclesiastiche colle civili; dacché nella colonia il solo capitolo aveva cura di anime. Quale specie di foro fosse questo noi sappiamo. In questa città plebea devonsi cercare il teatro, l'anfiteatro, il quale ultimo diede la pietra al campanile odierno, e propriamente noi collocheremmo il teatro sulla strada che mette a Santo Stefano, l'anfiteatro nel quartiere di S. Giovanni in Foro. Fu detto da antico autore che Aquileja avesse circo: noi non respingiamo assolutamen-to la presenza di un circo, però temiamo che con quella voce abbiasi voluto indicare l'anfiteatro. Altre parti precipue di città sono le necropoli certamente poste alle parti e-streme del caseggiato. Vi ha località che dicòno Colom-bara, dai dintorni della quale molte lapidi furono tratte, e questa voce ricorda i Colombarii; cimitero antico cristiano v'era alla Belinia, altro crediamo fosse a S. Stefano; altro ve n' era intorno la chiesa dei SS. Felice e Fortunato prossima al Campidoglio, e questo riteniamo fosse il più antico e più nobile, quello cioè della colonia . b 'Classe formava corpo da sè, e vi risiedeva lì Prefetto della1 flottai i >:<• o: i ■>>■•/■■/> ' l " ; ' ; ^ i > hi . i /r V'era acqua condotta che cominciava ad incanalarsi fra Saciletto e Mortesin correndo in linea retta fino a Zucarina fra Terzo e' S. Stefano per tre miglia (romane), poi lungo la strada5di Udine per altre miglia tre, così fche la lunghezza importava 6000 passi romani. Fino alle mura della colònia l'acqua scorreva per doppio canale sovra muro doppio che dicevano e dicono il muro gemino, fatto doppio per necessità di condurre doppia massa d'acqua; Un castello d'acqua v'era certamente, e lo dice-varto il muro foratoi li" • \ ! < ' ■ > ; :>'• »""^Nell'interno déllar colonia un1 ramo dell'aquedolto correva traversalmente e > sopra arco passava alla Chiesa di S. Felice e Fortunato;» altro ramo correva alla piazza di S. Giovanni.' Ma'questo,"pensiamo noi, non era l'unico aquedotto'di Aquileja. > i: : ; , : ; ; . -i: ] Gravi -difficoltà vengono' pošte al riconosciménto della distribuzione dell'antica Aquileja dal grande movimento avvenuto nelle lapidi, dalla distruzione delle antiche chiese, dalia circostanza che posta Aquileja in distanza rilevante dai monti, essa fu ed è continuamente cava di mattoni e di pietre, meno di marmi perché sconosciuta l'utilizzazione di questi o perchè meno frequente 1' uso nei tempi moderni. Ed è perciò che le colonne di granito sono assai più frequenti in Aquileja che non altre pietre calcari; più frequenti le tavole marmoree che non massi di marmo. La città venne rovesciata al suolo da Attila nel 452; ma le rovine odierne di Aquileja non sono le rovine lasciate da Attila; nè la morte che dura sì lungamente fu data ad Aquileja da Attila. Le città non traggono vita dagli edilìzi materiali; questi anzi sono il prodotto di vitalità che in altri elementi deve riconoscersi, ed è1 perciò che in tutti i tempi ed antichi e moderni le città distrutte per impeto feroce, o per incendii, si rinnovarono ben tosto : il popolo medesimo se spento, si ricompone. Di Aquileja è noto che i più degli abitanti fuggirono. L'impeto di Attila fu momentaneo; le terre, i fondi, le tombe, le care rimembranze, il navilio restavano ai fuggiti; ed Aquileja poteva ricomporsi, e riparare i guasti con quei mezzi medesimi pei quali surse grande e doviziosa. Quasi cent' anni dopo la sovversione per mano di Attila, Giustiniano imperatore la diceva "massima fra le città d' Occidente«; nel qual dire, seppur si volesse ravvisare esagerazione, certamente non potrebbe volersi ignorata da Giustiniano la distruzione totale di tanta città, avvenuta cent'anni prima; i patriarchi avevano ripreso stanza in Aquileja, dalla quale fuggirono nèl 568, alla calata dei Longobardi. 11 regno dei quali crediamo sia'stato fatale ad Aquileja, perchè alle distruzioni di guerra, alla fuga degli abitanti seguì governo costante, durato ducent'anni, ostile ai latini; perchè, cadute le provincie danubiane in condizione bassa di governo e di civiltà, • ogni commercio con Italia e con oltremare fu tolto; perchè altre -città ''nell'Adriatico mantenevano vivi i movimenti mercantili quali i tempi concedevano, con altre regioni che non le Danubiane; così che Aquileja perì esinanita mancando di forze vitali, e quando ebbe possibilità risorgere, altra città, e potente, aveva già preso il di lei posto, quasi figlia che avea raccolto 1'eredità materna. La quale opinione ha conferma'negli stessi materiali di Aquileja, imperciocché le lapidi che si traggono dal suolo nell'interno della colonia non potrebbero esservi mai state in origine, perchè il più di esse sono cippi sepolcrali, arette votive, lapidi monumentali, confusamente accatastate; ciò che autorizza a credere che, rifatta la città, dopo il rovescio vi si adoperassero come materiali da muro, le pietre dei sepolcri che dappertutto sono numerose, e le arette. Abbiamo detto che in Aquileja manca la pietra, e vi aggiungiamo che il materiale più frequente erano i mattoni. Questa rinnovazione di città non è dei tempi di Popone del 1000 circa, il quale, mosso dalle antiche tradizioni, non calcolò che la vitalità d'Aquileja non veniva dal numero delle case, e quel suo ordinamento, certamente di qualche risultato di confronto al precedente squallore, fu un pio desiderio vuoto di effetto di confronto all'antica splendida condizione; il timone di nave fu sempre stromento ignoto alla mano di chi tiene il pastorale. A riconoscere la distribuzione dell'antica città, gioverebbero, il lapidario Aquilejese, le carte e i diplomi del medio tempo e dell'antichità, un piano che contenga anche le ondulazioni e le altezze del terreno, qualche son-dazione a trivella, le tradizioni, i nomi dei predii; nè questa sarebbe opera dispendiosa o lunga, od opera o-ziosa. Imperciocché sarebbe guida ottima agli scavi, se mai dovessero farsi scavi, se mai i monumenti dell' antica città, che fu a Roma seconda in Italia, che fu la nona delle città dell'Impero romano, dovessero cessare di essere materiale ignorato da fabbrica o merce di speculazione. Or che abbiamo detto della città, diremo* dell' agro Aquilejese, il qualo per latitudine stendevasi dal Tagliamelo al Turro, per longitudine dal mare a Mels ed a Tricesimo fra Gemona ed Udine; agro amplissimo che ad occhio giudichiamo corrispondere :a 585 miglia romane quadrate, da 75 al grado. ( L'agro colonico di Aquileja misurava in superficie 188,110 jugeri, pari a miglia 230, : comprese nelle 585 miglia sovradette. L'agro colonico pensiamo che fosse compatto in unico corpo, di forma quadrilunga, seguendo la via di Udine che ne formava spina, per modo che veniva a situarsi ai due lati della strada da Aquileja fino ad Udine pel lungo, dal Turro a linea che da Ognano per Mortegliano e Corgnojo- correva a San Giorgio di Nogaro, così che in . tale puntq era il confine fra la Colonia dii. Aquileja, & l'ag™ di condizione provinciale dei Veneti., • Non. : apìpa?teneva all' Agro Aquilejese quanto stava fra :il Turro ed i < monti all' Isonzo, che era agro • della colonia dei Forogiuliesi, il quale agro per lunga striscia attraverso il, Vallone di Duino veniva alla laguna del Timayó; né vi apparteneva Monfalcone, nel quale riconosciamo antico Municipio, umile ma pure municipio, sebbene dipendente.^]S rt - -.<■/ Queste cose, che in vero sono troppe, abbiamo voluto premettere a ciò che notammo scorrendo il mare e la terra di quella regione; in, giornate, propizio perchói libere dalle solite cure, brevi perchè stemperata: pioggia ci impedì migliori investigazioni. E dapprima diremo come Grado conservi memoria e traccia di antico castello, quadrato di forma, di 250 passi per ogni lato; così che ; la superficie misurava soltanto 62,500 passi, seppure la forma era quadrata o non piuttosto bislunga; perciò non fa meraviglia se gli Aquilejesi fuggenti dovettero cercare altre isole a loro riparo temporaneo. Restano ancora lapidi romane a Grado, e moltissime furono altrove portate, nelle quali memorie di soldati certamente a presidio del Castello, e di officii e mansioni marittime; ma le leggende più frequenti sono nei pavimenti delle chiese, scritte a mosaico.. Vuoisi che la chiesa più antica di Grado sia S. Maria, la quale si mostra edificata con materiali di altri templi intorno il 541, però con disposizione di basilica; anzi ò questa la chiesa che manifesta la posizione e comunicazione dei pastofori, che in altri edifizi sono incerte. È piccola quale al castello si addice, ricca di colonne marmoree che il tempo logora, e sta' veramente sulla linea centrale del castello, nel Iato che guarda terraferma. Quattro anni dopo l'eccidio di Aquileja, il patriarca S. Niceta aveva alzato tempio a S. Eufemia, divenuto poi basilica patriarcale, per cui è chiaro il motivo pel quale la chiesa madre dell'Arcidiocesi non fu intitolata alla B. V. Assunta. Questa basilica che ebbe porticato dinanzi,^ battistero ottagono ai lati, fu fatta patriarcale da Elia nel 579 e ristaurata; nel pavimento a mosaico si leggono memorie di clàssiarii, e di un Clarissimo uomo, memorie certamente poste fra il 456 ed il 579. . Altre chiese sorgevano in questo torno di tempo, quella della Belinia nel 485, quella di Barbana nel 582, quella di S. Pietro in cielo d'oro nel 579, ed essendo patriarca Macedonio dopo il 541 quella di S. Giovanni Evangelista, quella di S. Vitale con confessione di martiri e catacombe, quelle di S. Pellegrino e di jS, Agata in Grado. Le quali edificazioni essendo avvenute dopo le distruzioni di Attila mostrano come gli Aquilejesi si tenessero lontani da Aquileja per altre cause che non per e-stremo di miseria o per mancanza di popolo, e di go-verno. : ' - . • ' '.% La chiesa di S. Eufemia è degna di essere studiata, perchè, di data certa, è testimonianza dello stato dell'arte edificatoria; i materiali sono marmi e cotti, di altre fabbriche di tempi migliori. L'aitar maggiore dura ; ancora isolato con beli' antipendìo del secolo XV, con ciborio rifatto,- del quale però le colonne sono antiché. Ma non integramente antica è la sedia patriarcale, perchè contro uso coperta; ma la pietra che le fa cielo, le colonne che la sostengono mostrano chiaramente che quella apparteneva ad altro: queste erano di septofche chiudeva all'in-giro il coro dinanzi all'altare. Dura uff ambone, che però è di tempi più bassi, e dislocato per ridurlo 1 a pulpito. Bella custodia vi ha per legno della Santa Croce; di libri un solo nè antico nè sano, Ta cui copertura a lamine dorate ricorda tempi antichi. Questa chiesa, i cui prelati vivono nella dignità dei Patriarchi di Venezia, che già erano Primati di Dalmazia, ed avevano chiese: in Costantinopoli; questa chiesa nella quale sedettero a concilio il patriarca Elia con tanti vescovi, che ebbe dolorosa celebrità nella storia ecclesiastica i pel o notissimo scisma dei tre capitoli, è ora parecchia (li; arcivescovato che cento anni sono si dubitava se mai ) potesse sorgere; delle tante chiese altre ne ingojè il mare, altre il tempo, altre i cangiati pensieri. (y„ . ;; La navigazione da Gradò ad'Aquileja è per canale tortuoso, profondo assai nella laguna, di poca aqua fra terra. Altro era l'antico,il quale sembra corresse diritto dal Montone a S. Pietro d'Oro. Il quale Montone sembra essere stato il punto da cui tre canali partivansi, 1' uno a S. Pietro, l'altro a Morgo, il terzo per S. Giuliano a porto Anfora; siccome da Grado partivansi due, diretti l'uno al Belvedere, l'altro a Barbana. In tutte le lagune dal Timavo a Ravenna si trovano traccie di antichi canali per mezzo ai bassi fondi, che l'arte manteneva: il mare, le correnti cangiano spesso questi canali. Pel canale odier-no, il quale dal Montone ad Aquileja conserva il nome dii Natissa, scorreva il fiume Natisone, or deviato da natura che 10 fa versare nell' Isonzo, ed ha allontanato l'Isonzo medesimo dalle lagune di Monfalcone, ove altra volta si scaricava. La Natissa continua lungo le mura dell' antica colonia, però ha comunicazione coli'Anfora per la testata di questa che ha nome dal fiumicello Attis ;• anzi il tratto di canale fra l'estremità dell'Anfora e della Natissà ha nome di Traghetto, nel quale riconosciamo il trajeclus degli antichi, anzi che il traghetto dei moderni. L'Anfora dura ancora canale ed ha la profondità di 11 piedi austriaci d'aqua, ed altri cinque di melma, così che 1' antica profondità può dirsi essere stata di 16 piedi; la larghezza odierna è di piedi 80 austriaci pari ad 87 piedi romani; però noi sospettiamo che oggidì sia ristretto e che la larghezza sia stata di cento piedi romani o venti passi. Corre in linea perfettamente retta per tre miglia abbondanti (romane) e correva già retto per miglia cinque, poi curvava a quarto di cerchio per altre due miglia giungendo al porto Buso, ove usciva al mare a breve distanza dal canale, di che da Montone veniva per S. Giuliano. Noi pensiamo che il canale di S. Giuliano avesse nome di Anfora minore, l'altro di Anfora maggiore, quello pei piccoli navigli, questo pei maggiori. Così la lezione di Vii miglia che si trova in Plinio come distanza fra Aquileja ed il mare, è lezione sincera anzi che quella di XII, ripetuta in qualche edizione, e sotto mare deve intendersi il mare aperto non la laguna, il mare navigabile, non il canale d'aqua sebbene salsa. Dicono che le arginature dell' Anfora fossero in antico murate, anzi dicono a marmo, e selciato il fondo, ciò che noi preferiamo credere; però l'arginatura arrivava a tre miglia ed un terzo, misurando dalla traversata dell'Attis; ed è dovuto a questa solida arginatura se l'Anfora durò fino ai nostri giorni, ed alla mancanza d' argine se più oltre il canale è alterato. Noi pensiamo che l'Anfora per canale più ristretto progredisse nella direzione attraversando la città, costeggiando la colonia. . . Fra la linea dell'Attis ed una muraglia in qualche parte visibile che corre parallela all'Attis in distanza di 200 passi romani, vi ha terreno quadrilatero di forma, in proporzione da 200 a 500, della superficie di 100,000 passi, sì depresso anche di confronto al terreno circostante, che l'aqua del mare lo coprirebbe nelle colmate, se per artifizi non venisse tenuta lontana. Sarebbe mai questo il porto di Pilo (porto del molo diremmo oggidì) interrato alla testa dell'Anfora, quel porto che ancor durava intorno al 1000, che aveva .all'intorno stazioni o magazzini, e che i Veneziani, padroni delle lagune, potevano chiudere a piacimento, e.lo fecero talvolta impedendone l'accesso ?— quel porto o piuttosto darsena (dacché i canali della laguna sono tutti porto) per cui ebbe celebrità Aquileja — moenibus et Portu celeberrima — come cantò Ausonio? Se così fosse non esiteremmo a collocare l'emporio fra le mura occidentali della colonia ed il porto, e tenere la piazza di S. Giovanni come il Foro mercatorio di Aquileja. t.v. Il nome solo di Aquileja basta a suscitare desiderio di raccolte delle cose che vi si rinvengono, e deviando dalle indicazioni topografiche, alle quali saremo per ritornare, fermeremo il piede entro recinti ove si .custodiscono antichità. Non azzardammo porre il piede entro quel cortile, in angolo del quale sta un edilizio, costrutto a stalla di cavalli da monta, con pietre scritte e scelte, 'disposte a modo bizzarro e stolto così, che per mo' di dire, al tronco di soldato romano si sovrappose testa di vescovo,'si posero estremità di donna per restituire statua completa; così che l'insieme riesce inesplicabile ed incredibile. Ci dissero che quelle pietre non fossero di privata ragione, nè con privato danaro ivi poste, venute poi non sappiamo per quale modo in privata proprietà; ci dissero che abbia qualcuno desiderio di farne aquisto e di recarle altrove, collocandole in più decente, e ragionevole mostra, così che non sembri più dileggio fatto alla veneranda antichità, al profondo sapere-delie arti antiche, le quali possono e devono essere incitamento e modello ai viventi che vagano fra bizzarrie del gusto odierno. Ben. miglior allegrezza ci recò la i-accolta del sig. Vincenzo Zandonati, 1' autore della Guida di Aquileia la quale sebbene incipiente ha tali e tante cose da appagare; lapidi scritte cioè, e sculte, tronchi e teste di statue, marmi e pietre, bronzi, cammei, monete, vetri, pastiglie, piombi, terre cotte, laterizi scritti; le quali raccolte hanno vita dalla gentile prevenienza del possessore. Fra le cose degne di cenno particolare vedute in questa raccolta Zandonati diamo posto distinto ai pesi in bronzo. Sono otto di numero conformati a mo' di vaselli, l'uno dei quali sta entro l'altro come ancora si usano conformare per pesi minori di bilancie. Sono di bronzo, lavorati al torno, circolari, in forma di vaso, dei quali il maggiore ha di diametro nella parte superiore sei oncie e mezza romane, nell'inferiore tre e mezza, alto tre, ornato il massimo esternamente di bei limbelli nella parte inferiore e superiore. Il vaso maggiore, e l'altro che immediatamente segue a quello, hanno ognuno due manubri, che lasciati a sè ricadono sulle labbra dei va-scoli, e che servono ad alzare con mano i vascoli stessi ; il vascolo maggiore per mala sorte è privo d'uno; sembra poi che manchino due vascoli minori, così che in tutto sarebbero stati dieci. E se queste cosje non mancassero, sarebbe la collezione dei pesi perfetta dalle dieci libbre come vedremo, sino ad una oncia; seppure non vi erano anche frazioni minori. Ma è soltanto nostro sospetto che i vascoli fossero dieci per le ragioni che diremo in progresso; Questi pesi sono opera certamente entro il primo secolo, pregiatissima per gusto e modo di esecuzione; furono trovati tutti collocati l'uno entro l'altro in terreno che deve essere stato umido; la parte esterna del vascolo maggiore è ossidata fortemente. Avutane licenza dal gentilissimo proprietario, ci demmo a rintracciare leggende, che la troppa ruggine nascondeva, e che il proprietario, impedito da malore, e da poco possessore di quel bellissimo.monumento dell'antichità, voleva appena fare a migliore agio. Ci accorgemmo che ogni vaso nella parte esterna portava.lettere di ottime forme, diligentemente intagliate, ed altri segni, riempiuto poi il vacuo con argento saldatovi mediante metallo più ignobile. L'ossidazione del bronzo schizzò fuori dei solchi 1' argento, del quale rimase qualche debole traccia; nè le lettere metalliche furono rinvenute Noi distingueremo i vasi coi numeri dall' uno all' otto' dando il numero uno al massimo, il numero otto al minimo. - Il vaso N. 1. ha al di fuori le seguenti lettere e segni: EXAC AD UrxlJr CASTOR A dir vero non vedemmo fra la C e la A un punto, e ci parve vedere fra la A e la D nella parte inferiore una striscia che le unisse; ma questa striscia segnerebbe lettera interpolata, una L p. e., mentre la sola forma dei caratteri basta ad attestare che non era quello il tempo delle lettere interpolate, delle quali nessuna traccia in tutti gli altri vasi; quanto al punto la ruggine può, nasconderlo ad ogni esame; ma il ci paro dovuto. Noi leggiamo X cioè dieci libbre di peso, poi EXACTVM (sicilicet pondus) AD • CASTORIS • TEM-PLY3I - cioè a dire, verificato il peso col modello di pubblica autorità che stava depositato nel tempio di Castore. Il Fabretti aveva veduto (p. 527) un peso colla EXA • AD leggenda EXA • AD • CASTO. I Romani che sì bene regolarono la cosa pubblica, avevano provveduto per la sicurezza dei traffici coi pesi modello, che collocavansi o nel Campidoglio, od in qualche tempio, siccome appren-desi da altri pesi segnati ; costume di depositare i modelli nelle chiese che non è straniero nel medio tempo in questa provincia d'Istria. Pesato questo peso alla libbra farmaceutica di dodici oncie oggidì usata, diede a risultato 130 oncie, cioè a dire dieci libbre, dieci oncie. Gli ornamenti che stanno ai lati del segno X non crediamo abbiano significato alcuno. Il Yasco numero 2 porta esternamente all'ingiro CASTO così che di due lettere fu raccorciata la leggenda del vaso N. 1, l'ultima dell'EXAC e del CASTOR; vedremo come vadano nei vasi successivi a raccorciarsi ancora. Crediamo inutile di ripetere il significato della leggenda; il V in mezzo agli ornamenti ò il numero delle libbre. Pesato alla bilancia farmaceutica diede a risultato 65 oncie, cioè a dire cinque libbre cinque oncie. 11 N. 3 ha segnato all'ingiro nell'esterno EXA • AD III CASTO ■ v v: -V •■■.! . » M'fi /K» m > pesa oncie 13 cioè una libbra ed un' oncia pari a 26 lotti della libbra viennese. Il N. 6 ha: EX A S CAS nella quale la S segna Semis cioè mezza libbra; pesa oncie 6Va- li N. 7 ha: EX A SS CAS nella quale i quattro punti segnano quattro oncie romane, pesa quattro oncie e tre ottavi: Il N. 8 ha: ■f i ut o mnn./Stfp <;.::.• t- ■ tj OOGjQUiih obuiv.;i!3 I-li.-.''; ..<'— I* ,EX:. V CA . i <:i e. ' .! ; :.}!!()' i i tre punti segnano tre oncie, il pesò; è di tre oncie ed un ottavo. , •:> M..:..f< o;b obocj W . ..•'. Abbiamo fatto confronto fra ' questi pesi con altri della stessa raccolta Zandonati. Uno di bronzo in forma di uovo troncato in ambe le estremità porta intarsiati in argento i segni ed ha l'identico peso col Un disco in bronzo di forma ottagona sul quale sono grafite le lettere HI N, ha lo stesso peso che il N. 8. Altro in marmo nero, della forma di uovo troncato, colle lettere grafite VIS, pesa oncie farmaceutiche 2'/a scarse, così che corrisponderebbe a due oncie, due oncie precise romane ha un 8ltro peso di pietra della stessa raccolta che porta inciso il segno II. Moltissimi pesi romani di pietra abbiamo veduto e presso il sig. Zandonati, e nel battistero, e per le vie, e nei muri, ;e nei cortili dei villici e fra i rottami, nessuno, segnato, molti con segni di attaccato manubrio in metallo ; non azzardammo fare confronti perchè scheggiati o mancanti, ne vidimo anche in pietre nobili. Abbiamo fatto confronti fra i vascoli medesimi ; i numeri 2, 3, 4, pesano quanto il N. 1, se vi si aggiunga il peso approssimativo del manubrio mancante, i N.ri 3 e 4 quanto il N. 2, i N.ri 4 e 5 quanto il N. 3. Tutti gli otto vasi pesano 265 oncie romane, alle quali aggiungendo il vascolo di 2 oncie, quello di una oncia, e le frazioni di un'oncia, che calcoliamo del peso di due oncie, avremmo 226 oncie, cioè XXIIS 22 '/„ oncie romane, come quello di tutto intero il complesso dei pesi, e ciò appunto ci fe' sospettare che mancassero i vascoli per le frazioni inferiori alle tre oncie; ma noi diamo che per sospetto. Fra le lapidi scegliamo quella che riparò in Casa Zandonati mentre a lui non ancor apparteneva, e vi fu murata da un D. Zannini, quasi ad auspicio delle future raccolte; la ripetiamo, perchè in altri la leggemmo scorretta. ANINIA • M • F • MAGNA • ET SEIA-IONISET-CORNELIAE POTRE MAGISTRAE • B • D PORTICVM • RESTITVERVNT • ET AEDICVLAM • FONIONIS È quella stessa Seia figlia di Jone che da sè sola faceva dono a Marte Fonione, come altrove abbiamo letto: FONIONI S A C R SEIA IONIS MAG D • D Bellissima tavola di pietra calcare vedemmo, lunga non meno di 6 piedi austriaci, alta 3 e pollici dieci, con belle lettere unciali, tratta nel 1851 da campo che dicono il Muro forato, creduto fontana versante, ma più probabilmente castelletto di distribuzione d'aque A CAESILIO ♦ A • F ♦ VEL AC ASTI N 0 • P • P lili VIRO • IVREDIC • Q Q REIP • SVAE • AMANTISSIMO MVNICIP • ET • IN COL • INSOLACIVM AMISSI • OPTIMI • ET-PRAESTANTISSIMI • CIV LOCYS • DATVS • DECRETO • DECVRIONVM È di persona cara ài'cittadini ed agli abitanti per l'amore mostrato al comune di Aquileja; è di monumento d'onore alzato a persona defunta, in luogo assegnato dai decurioni. Le cariche sostenute furono di Quartuumviro, e di Quinquennale o Censore, ed ebbe altro onore accennato colle sigle P. P. le quali preferiamo spiegare Patrono plebis vedendo che non i coloni od i cittadini, ma i Municipes e gli Incolae alzavano il monumento. I caratteri sono del primo secolo in sul finire. Su frammento di tavola marmorea leggemmo: B MACNE///// TINO CEN/ // /I DVCENAR///// QVIVIXITAN / // ETROMANV// / TVM POSY/fj/ DE SECYLO// DEPOSI H H SETEMBR ///// L'inscrizione intera Ieggesi nelli Wiener Jahrbucher sotto nome di certo Macrobio Xeygnucho Palatino Centenario; però non tutte le inscrizioni raccolte in quell' opera periodica sono di lezione vera. Altra è pei servi di un Pattumio Giocondo padrone. DEFVNCTIS SERVIS PACTVMEI IVCVNDI NATALIS AN • XXI PROCVLV AN • XVI Su altro cippo alzata da Valerio Aristo Seviro Municipale (non Augustale) alla moglie Cornelia, più tardi fu aggiunto il nome di una Valeria liberta di Saturnino scrivendolo sotto il D . M . S della primitiva inscrizione. Fu tratta da terra in Fiumicello nel 1851. - 1 D M S N .ILERfAE ^ SA'TVRvNIN\ |LIB- ARISTO • ČL' IAFMČ ' ' ' • 1 .. J ■ i l • . - , • • CORNELIAE M • LIB • HERMIONE VX ORI • OPTIMAE L•VALERIVS A R I S T V S ^ IIII -VIR • V • F »_——-_ Dalla Belinia proviene il frammento seguente; tratto certamente dall'antico cimitero cristiano. //S QVI ANTETEMI// EMH ETEPNA PETBE NTQVORVMISPIPIT VS ACCEPTVS EST// TERVSVPSICI / / / FE CEP VII ////// Nella quale si vede usato il segno P non già in significato di Pi latino, ma di Ro greco. CRESO rFigura"\ EN IANVA /"Figura^ TI v. fem.le J NA YS L mase. J Dalla piazza del Capitolo proviene altra in memoria di donna ravennate. .... •; t,... ; ; ' : T, PRO • SALVTE ' ' > ' - SVA • SYORVMO ■ ■ / / a / / . . Su brandello tratto dal giardinetto del Zandonati leggesi: M E M--0 n I A : :■■:> ; A iVT O \ i S [ ' però non ò dell'Imperatore: Antonino, bensì di tempi più tardi, indicati dalla rozzezza delle: lettere. Dall'antico cimitero della Belinia abbondantissima miniera in ogni tempo di lapidi cristiane fu tratto il marmo su cui: CRESCENS MARITVS FLORENTIAE CONIV Gì DVLCISSIMAE QVAE VIXIT ANNIS XXIII DE IN PACE ed ai lati dùe colombe, simbolo cristiano. Della stessa provenienza sono due altre egualmente cristiane. i I > t ' . ( ■::■.' !i ' > ' NDINA i • ; 3YERICVN ' ' ' : ' ' • ■ rlIS' SEX; i » : XX • QVI i ■ ' FIDELIS ■•! VEMSANTI ANT CI e questa che mostra grafite tre figure ravvolte in lunghe j vesti: ■ * 1 RI FL • AQILI /-Figurai NVS' SEVI BVM Lmasc.J FECIT Vedemmo un' aretta ad Appollo Beleno. BELINO AVGVS i Vi r!) ' (• L'iANNIVS e-." '.v.'.;; :r:.rj FIDELIS v. < Su altra: / /. DIPHL ILVS //HI.' AVARITIAE .//T.-AD // V^NXTS VALE Ve ne ha una che accenna ai Romulei. ■ ! ''. :..,;} (.'lij.ij li> liliji/J I V oc • GERÒNIN7//J.:!i " INDICIO IN"SA// ROMVLÉIS //V / / ORTVS • 0V / / / Su di un frammento che ricorda un soldato, il Centurione del quale era Marco Pedone, vi ha menzione della città di Sestacio come luogo di suo domicilio, la quale città era sulla spiaggia francese ' nel Mediterraneo fra Mompellieri e Nari)ona, e pensiamo sia il luogo medesimo di Cetle. : ■ tpTvmaege?) DOM SESTATIÓ an • xxv 7 ■ M • PEDONIS Altre registriamo che sono di tempi pagani: AOVILEIENS - YRSVLAE CLMETTIVS EVARI^TVS GENER T • GAVIVS • T • L YRBANVS • V • F SIBI • ET • SYIS VOLTILIAE • 7 • L /// IADI • CONIVGI PETICIA-L-LCHELIDO YOLTILIA-PF.PAYLLA L • L L • M • Q • V ■ P • XYI DOMITIAE • IVST CN-DOMITIVS-HERM D • M SOTERID COLLIBERT GLYCE///// P11 S SIM r-'' I I N in o c o I o! !s • pomponI ,'co • KARISS! • - « ... ■ "i D D l i y' cui fanno seguito alcune cristiane: B O N|; vw ANNOf vw IN PACE| w XIIII KAL; VARIVS FLORENTIYS Z( NYSATI CONIVGI • QVE VIXIT ANNIS XXIH M-VI D1ES XYIII CYM OVE M • VIXI • ANN' DVOS ■ M • VI DIES ♦ VIII • DECESS • VWD-IVLI IN PACE FELIX PASCASIVS VICSIT ANNOS N • VI • IN PACE Frequentissimi sono in Aquileja i vasi cinerarii, che vuotati adoperansi ad usi domestici, tutti di forma grezza comechè destinati ad essere o inchiusi in cippo o sepolti in terra. Uno ve ne ha nella collezione Zandonati, ed è l'unico che ci capitò sott'occhio, il quale ha leggenda : C • LVCRETI EXORATI Su labbro di vaso fittile (non vi ha che il labbro) leggemmo impresso in due luoghi: EPMOC ENOYC ma la pasta è testimonio che la fabbrica è di altrove, come di altrove sono due bellissimi vasetti trovati in A-quileja, provenienti dall'Italia bassa. Su colti leggemmo i bolli: PVLC/// L ♦ M/// C • OPPI • VRI / M • ALBI • MACR// C • IVLI • AFRICANI // ORY O • PETIL Belli sono i frammenti di vetri colorati, nei quali gli strati di vari colori sono attaccati, non fusi insieme, e saremmo per ritenerli manifattura d'altrove non fidandoci delle masse di vetro fuso e grezzo vedute. Fra i lavori statuarii loderemo una testa di Giano bifronte; taceremo dei bronzi perchè i pesi, di cui sopra parlammo, ci distolgono dal toccare altro. Il sig. Zandonati non solo raccoglie cose antiche, ma altresì gli scritti di quelli che trattarono delle cose friulane, sieno essi divulgati colle stampe, sienotuttor manoscritti, e vedemmo nella libreria sua la seconda e terza parte delle Antichità di Aquileja del Bertoli, ed i Frammenti d'Aquileja di Giov. Giuseppe Candido, ed altre cose pregevoli. La gentilezza di lui avendoci permesso di guardare entro quelle carte, e di farne uso, non taceremo di un vaso plumbeo che è altro esemplare di quell'identico del Museo Bonacich di Trieste, nel quale la cera, di cui è ricoperto, nasconde altre cose che il Bertoli manifesta. Il quale dopo avere parlato di un vaso di stagno, avuto in Aquileja, con all'ingiro le immagini dei dodici Apostoli, due per ogni faccia, colla leggenda : CREDO IN DEUM PATREM OMNIPOTENTEM discorre così: "Un'antica pisside di stagno di figuraesagona, come quella che ha posto qui sopra, mi fu mandata non ha guari dal sig. arciprete Bini, acciò io potessi anche di quella farne registro. Questa è alquanto maggiore di quella, ed ha il suo coperchio, di cui l'altra ne è priva. 1 tre piedi che la sostengono sono fatti in forma di. tre leoni sedenti, ed un simile leone se ne sta parimenti sedendo sul coperchio, in cui anche vedesi effigiato a basso rilievo 1' Arcangelo Gabriele che annuncia la B. M Vergine all' intorno sta scritto in lettere longobarde :. i BOSETVS ME FECIT f AVE GRATIA PLENA DOM1NVS TECVM; ed al di dentro del coperchio o sia nel di lui rovescio vedesi lavorato a basso rilievo il Salvatore confitto in croce in mezzo a due figure che se ne stanno ritte in piedi e all' intorno vi sono scritti questi due versi in caratteri come sopra: CVM SIS IN MENSA PRIMO DE PAYPERE PENSA CVM PASCIS EVM PASCIS AMICE DEVM. Nelle sei facciate esteriori di questo sacro tripode, ove nel suddetto veggonsi i dodici Apostoli a due per facciata, non vi è che un busto di santo per ognuna, e tra questi, S. Pietro o S. Paolo, e gli altri quattro mal possono riconoscersi. Questa pisside conservasi nella chiesa di Buja» ■ ; ; ■ Lo stesso Bertoli parlando della pisside aquilejese, dopo fattane la descrizione, chiude colle parole : "Avrà forse servito questo vasetto per saliera a contener il sale, che per più usi nelle chiese teneasi in pronto e tuttavia tiensis. Varie cose ha il sig. Monari nel suo giardinetto. Un'aretta a Nemesi tratta dalle sue terre al ponte di S. Felice. NEMESI AVG • SACR C • TVRANIVS J30ZOMENVS Iiìnl VIR EX-VISV altra alla Fortuna che crediamo fatta per voto da una VARIA VENVSTA VARIA VENVS FORTVN V • S • L • M Vidimo bella tavola di marmo, la quale se tratta del cimiterio dei SS. Felice e Fortunato come supponiamo, sarebbe bella testimonianza dell'antichità cristinna di quella Necropoli. AFRIS MVNVS FECIT INTE ///RSPONS1 MANVS ET MATRIS// IVAE QVEVIXIT ANN PL MI XXIII, / MEN VIIDIXVII1I TSPONSATA FVI/y ANN III MEN II DI XVII DEPOSITA DIE VII KAL DECEMB CONS AN TONIO ET SYAGRIO VV CC IN PACE M DIEMVENERIS SPONSVS /,// ER C Questa leggenda fu posta nell'anno di nostra èra 382 mentre erano consoli in Occidente Flavio-Antonio ed Afranio Siagrio Clarissimi Viri, anno memorabile pel provvedimento preso da Graziano imperatore contro i troppi accattoni cacciando gli abili fra la milizia, gli schiavi al travaglio debito, ma più memorabile per il togli-mento dell'ara e della statua della Vittoria dal Senato romano; per l'aggiudicazione al fisco delle rendite destinate ai sagrifici ed ai pontefici, per la rivocazione dei privilegi goduti dai pontefici pagani e dalle Vestali; per l'aggiudicazione al fisco degli stabili che venissero per ultima volontà legati alle Vestali od ai. templi pagani. Nell'anno 382 era arcivescovo in Aquileja il Santo Cro-mazio, il quale l'anno precedente vi aveva tenuto concilio. Memorabile mattone di modulo maggiore (un piede rom. per uno e mezzo) vidimo presso il sig. Monari, non impresso a martello, come di solito, ma grafito a mano con punta di ferro, mentre il pastone era tenero, avendosi così saggio indubbio del carattere a mano degli antichi. Il carattere è quadrato, con punti fra una lettera e l'altra, e sebbene lo scritto sia semplice bizzarria del figulo, pure nasconde cosa da non preterirsi. Ecco la leggenda : CAVE • MALYM • SI • NON RASERIS • LATERES * DC SI-RASEPJS-MINVS-MA.LVM-FORMIDANS Il significato della quale voce radere pensiamo essere quale tuttogiorno nelle misure di granaglie si dice rasare, togliere cioè con legno o ferro quel pastone che eccede la forma (abbiamo veduto in Istria forme di pietra) con che il mattone ottiene la grossezza e la superficie dovuta. I mattoni conservano frequentemente le trac- eie di rasatura fatte per il lungo. Se la DC indica seicento, come sembra, dovrebbe dirsi che uno schiavo a-vesse obbligo di rasarne 600, intendiamo in un giorno ; e che facendone meno cadeva in castigo. Intorno il nuovo palazzo del Conte Cassis veggonsi accumulati assai avanzi dissotterrati di fresco, capitelli in marmo, rocchi di colonne, un bellissimo torso in marmo di statua maggiore del naturale raffigurante persona militare, cippi ed are, parte trovati sul sito medesimo, parte in altra terra fuor le mura della colonia: . i ! D • M KANIA • TITI • LIBER RESTITVTA T • KANIO • T • L • MELIORI : CONIVGì PENTISSIMO T ■ KAMVS • T • F • PRISCYS -F VIVI • FECER T ■ KANIO • CYP1TO • COLL T • KANIO • QVERNIONI • COL 1YLIAE • PHOE AMICAE • OPTIMAE l • cominio minervio ann. ix cominia- mater piissima L • D d • m t • b a d v s i s ab i n i a n i qyi-vix ann-v mx t-badysivspavl. •'. •:;■, i • f ... ; :• II Conte Cassis, ha bella raccolta In Monastero di lapidi, note e provenienti .d^Jla -Raccòlta del Canonico Giandomenico Bertoli; di altre cosa preziose diligentemente da lui raccolte non- possiamo" ;ténèr parola, perchè P assenza'di lui in quei giorni cf impedì di. esperiré, la sua gentilezza. Però notiamo due Jblli s^' mattonimaggiori; ' use? d ©hip d ©h Notammo lapida di un timoniere di trireme: I SIGNAI \GVBER un corc L_ Vedemmo altre lapidi scritte, di altre venimmo a conoscenza. Diroccandosi la chiesa di S. Giovanni al Foro fu tratto grande sarcofago nel marzo 1852 su cui VIBIAE-AQVIL1NAE • MATRI • OPT TERENTIA • T • FIL • YIBIANA VIVA • FECIT •ET • SIBI e per entro tre scheletri bene riconoscibili. Se due ne fossero stati vorremmo quasi dire che fossero della madre e della figlia, la quale dispose anche a sè quell'arca, e ne trarremmo argomento che S. Giovanni sussistesse fuori della colonia; ma fu antico costume quello di profittare delle arche altrui; e non è certo che quell'arca cui si sovrapposero i muri della chiesa, non fosse stata ivi trasportata nei tempi bassi, quantunque dovrebbe ciò negarsi a motivo che la leggenda era intatta. Sulla stessa piazza nel cortile della casa che già era del Capitano, vedemmo fra molte anticaglie un frammento colle lettere MENERVAE in caratteri che Io fanno dei tempi della repubblica, il quale sta per uscire dal paese. Sull'angolo del palazzo vi ha bella pigna in pietra dei tempi romani, con occhio sovrapposto di ferro, al quale legavansi i rei, e tosto ci corse alla mente il ponere ad pignam del più antico statuto di Trieste. Ivi pure vedemmo il frammento: /Il PINIYS cos il quale non è già di consolo, ma di servo nd altro COnServo. Qualche leggenda tolsimo dai muri delle case, note in parte: OSSA TERTIAE • CANI//E - M • FRVTICIVS • Q • F altre raccolsimo alla Belinia, parte come lastre da ponte, parte murate: i ' 'i. i YETTIA - SEX r L SALYTA SEX'VETTIVSASTRAGALVS SEX • YETT1VS' ■ DAMA VIVI • FECERVNT PATRONAE YETTIA » 7 • L-PRIMA YETTIA : 7 L • SOPHE YETTIA ' 7 - h • AYCTA VETTIA • 7 ' L • P01.IS LIBERTIS LIBERTABVS EORVM L-M-IN • PRO • P - .XXV IN • AGR • XXX11 /// NERATIYS P • F IEM Q-Q-V • P • XYI D • M • S ////./ '//// EGIQYC// IN • FRO P • XYI IN • ACR P • XXVI L - M ATVM CHARITONJS IN • FR • P • IVII IN • AGR • P • IX /// VEL • GRATVS /// CLEMENS ///DANVS PATER • F Il duomo di Aquileja sorge sul terreno dell' antico Capitolio, come il più delle antiche chiese matrici, ed entro l'antico recinto stava il palazzo dei patriarchi ora ridotto a campo siffattamente che del grandioso edilizio durano soltanto due piloni in forma di colonne, formati di pietra calcare. Dinanzi al Duomo e sull'asse longitudinale di questo sta l'antico battistero detto dei pagani, il quale si congiunge alla chiesa e meglio si congiungeva in antico. Esistono pezzi dell' antica canonica, però sono fuori del recinto del capitolio, dal quale erano separati mediante torre che dicevano dell'orologio, oggidì del tutto demolita. La basilica ed il palazzo patriarcale occupavano tutia l'area che nell'antico capitolio era destinata ai templi delle divinità bugiarde, quella destinata all' arce è ora campo, e mostra traccie di antiche mura, vi ha qualche casolare e l'odierna casa parocchiale; il terreno medio è cimitero in mezzo al quale sorge la torre campanaria. La basilica mostra gli avanzi di tre costruzioni, la più antica nella navata traversale, nell'abside, nel martirio nella quale mostransi le arcate a' tutto cerchio, gli archi non poggiati sui capitelli, ma su architrave sovrapposto ai capitelli, il vano degli archi maggiore in altezza del semicerchio, le colonne tolte da antichi edilizi, i capitelli non tutti della bella antichità, ma della scadente; lo scurolo o martirio semplice anzi umile assai, ed in tutto, se eccettuansi le dimensioni, somigliante 'a quello unico che dura nell' Istria, a quello di Cittanova. l'er due scale laterali vi si scende, nel centro sta 1' arca dei santi martiri in mezzo a colonne che reggono la volta, il pavimento di marmi e pietre antiche scritte, dinnanzi alla tomba un altare ; nell' ambulacro intorno l'arca pendono dalle volte antichi lampadari! che altravolta illuminavano tutto lo scurolo, le volte dipinte all'affresco. Furto violento ha privato la basilica di antiche custodie in argento, dei vasi sacri, nei quali certamente vi erano pietre sculte di remota antichità. Si volle che lo scurolo fosse il carcere dei Santi Ermagora e Fortunato; ma erroneamente. L'abside della basilica è l'antico, in mezzo vi sta genuina sedia marmorea episcopale; però il sacrario fu talmente cangiato nel secolo XYI che rimane sola la disposizione antica, con altare a doppia mensa. Dura, secondo rito antico, 1' apertura per la quale si guarda nello scurolo, però la forma è moderna. Le decorazioni di questo sacrario sono di bello stile, della scuola italiana risorta nel secolo XYI; dinanzi al santuario si riconosce ancora lo spazio occupato dal coro; niuna traccia degli amboni, bensì dura in mezzo al coro 1' altare isolato della Santa Croce, quale esisteva nella basilica di Trieste ed in quella di Cittanova. Le navate laterali sono rimodernate, in quella a diritta di chi guarda l'aitar maggiore, vi ha septo antico non integro del tutto. Opera di Popone, del secolo XI, sono le navate laterali; e fu Popone che ampliò la basilica, forse allun-I gandola per modo che venne tolto il cortile che supponiamo essere esistito fra battistero e basilica. Cella rotonda marmorea vi ha nella navata a sinistra del respiciente quasi tempietto nella chiesa stessa, destinato già ad olii santi, ed alle funzioni della settimana, santa secondo rito aquilejese, fortunatamente conservata anzi ristaurata. La navata mediana, come anche la trulla bassa del centro, a sesto acuto, sono opera del Patriarca Marquardo dei Randegg, il quale ristaurando la basilica dai guasti di terremoto vi spese in sul finire del secolo XIV da diecimila ducati, e fu sepolto sotto la trulla. I materiali da muro sono tutti mattoni antichi, le colonne, i capitelli tratti da antichi edifizi, i soffitti di legno, quelli delle navate laterali, piani a scompartimenti che dicono ducale, quello della navata mediana a volta di più cerchi, quale l'ha la basilica di Trieste, e l'hanno altre chiese del secolo XIV. Nessun altare vi era nelle navate laterali, vi stavano o vi- avrebbero dovuto stare all' ingiro le arche dei patriarchi morti in odore di santità ; nessun organo nella chiesa. Questa basilica nella quale risuonavano i canti dì cinquanta canonici, nella quale i patriarchi pontificavano assistiti da oltre venti vescovi, con rito proprio, è ora non pievanale, ma parocchiale soltanto, e di basilica non ha che il nome rinnovato, come crediamo, in tempi recenti. La munificenza dell'Augusto Ferdinando la fe' intorno il 1847 ristaurare, chè altrimenti troppo vasta all'odierno popolo di Aquileja, avrebbe partecipato alla sorte delle altre basiliche e chiese di questa un tempo sì celebrata città. Dinanzi alla Basilica vi ha porticato, però non integro; ed in quello veggonsi tombe, e più se ne vedevano, poste sovra terra, ora sminuite e tutte manomesse. Imperciocché cessalo il patriarcato nel 1752, e venutele novazioni dei tempi di Giuseppe li, la scuola predominante in allora non fu sufficientemente tenuta lontana dal clero; e venuto in disistima assai cose positive del culto, le antiche instituzioni, le testimonianze degli ordinamenti antichi durati per secoli, sembrarono ai novelli pensatori ignoranze di tempi passati. Le tombe dei patriarchi vennero da mani, che in ogni tempo si dissero sacrileghe e lo furono, profanate, aperte, spogliate; sostituite alle pietre pregiate che le ricoprivano, altre vili senza nemmeno curare le dimensioni; le pregiate andarono altrove: così che della chiesa fondata dall'Evangelista S. Marco, tenuta viva da lunga serie di santi patriarchi, della chiesa che fu la prima in rango.dopo la Madre romana, perfino le tombe vennero manomesse. Ma dicasi a conforto, so conforto è, che altrettanto avvenne delle tombe imperiali di Costantinopoli, allorquando i Crociati la presero, altrettanto delle tombe degli imperatori germanici per opera di Francesi, altrettanto delle tombe dei Reali di Francia in tempi vicini. Il battistero della Basilica era integro or sono settantanni, e coperto ed usato; la semplicità di un paroro occasionò contro sua volontà il crollo della volta che il ricopriva, così che oggidì è cortile ottagono scoperto; dura la vasca esagona pei battesimo ad immersione; delle colonne di granito che sostenevano il ciborio sono le più rovesciate. Sembra che fosse di forma quadrata; gli angoli risultanti dall'ottagono venivano adoperati per spogliatorio, e per ripositorio di arredi, siccome appunto era in Parenzo; le pitture all'affresco sono sparite e 1'ambulacro di congiungimento fra battistero ed il porticato dinanzi la chiesa dura tuttora ed è a due piani con nicchie nella grossezza dei muri, tutto a volte; però meglio varranno a mostrare le tavole che sta per pubblicare il sig. Ferrante. Questo battistero è anteriore alle costruzioni di Popone, ed è di tale importanza che meriterebbe di venire conservato diligentemente. Del palazzo patriarcale dissimo non rimanere avanzi all'infuori di due piloni rotondi. Sappiano che il palazzo era di forma quadrilatera, il lato maggiore era intorno a 30 tese viennesi lungo, , il minore 20; la superficie occupata dal recintò del palazzo, 600; l'area' sortiva dalla fronte del campidoglio per occupare parte 'di'terreno fuori di questo. La muraglia esterna di questo palazzo era tutta costrutta a mattoni romani, alta otto passi geometrie', rivestita la maggiore di diciassette arcate ih pilastri sporgenti; le arcate giungevano fino al colmo della "muraglia," la quale senza cornice terminava in merlature; nel pianterra v'era un corso di finestre a semicerchio, una per arcata; altra serie di finestre era nel piano superiore, non però in tutte le facciate. Il quarto abitato dai Patriarchi credesi fosse nell' angolo che guarda mezzogiorno e levante. I piloni che sussistono sono dell'altezza delle mura del palazzo, rimanevano per entro il recinto e sembra che sostenessero porticato, di ingresso principale dal lato della Basilica. Il palazzo racchiudeva nel centro ampio cortile, che l'area è troppo vasta per essere tutta coperta da edifizio. Della chiesa dei Santi Felice e Fortunato, la quale era già a tre navi divise da colonne di antica costruzione ed aveva campanile alto 12 tese viennesi, prossima alla basilica, nessuna traccia, così che la chiesa materiale sparì agli occhi dei viventi del pari che il capitolo collegiate che vi risedeva. Dicono che i Santi, in cui onore fu alzata, avessero ivi presso sofferto il martirio, e noi pensiamo che fossero sepolti nell' antica Necropoli, e sul sepolcro venisse poi alzata la chiesa. Dura peraltro un arco che noi giudichiamo di a-quedotto, il quale dal campidoglio passava oltre il canale che bagnava le mura dell'antica colonia. Nessuna traccia della chiesetta dei SS. Ilario e Taziano, o dell'ospitale, la quàl eguale per dimensioni al battistero della Basilica aveva di battistero tutta la distribuzione. La presenza di due battisteri entro il recinto della colonia non può certamente ascriversi come in altre città italiane alla presenza simultanea di due vescovi, l'uno ariano voluto dai 1 ongobardi, 1' altro cattolico, perchè i doppii prelati v' erano per Aquileja, ma l'uno risiedeva in Grado, ed ivi avea basilica con quello che se le pertiene. Noi abbiamo altro sospetto. La fede bandita per primo in Classe, indi in S. Stefano, richiamò lo persecuzioni, e la chiesa aquilejese fu oppressa ai tempi di Nerone nel 64, quando Ermagora e Fortunato e le quattro vergini Aquilejesi diedero il sangue per la fede. Nel 276 Ilario vescovo e Taziano diacono ripigliarono a tutta possa le predicazioni e conversioni, i quali nel 286 ebbero la corona del martirio, ventisett'anni prima che la chiesa cristiana avesse pace e libertà ; Ilario s'era fatto apostolo in tempi che nel capitolio ostentavasi il trionfo della superstizione pagana, ed è naturale che la chiesa cristiana non potesse allora mostrarsi in pubblico. Sarebbe mai la chiesetta di S. Ilario la cappella ove amministravano il santo battesimo ai novelli, in edifizio appositamente disposto, nei tempi in cui Aureliano (270) si mostrava tollerante ai Cristiani? Che se così fosse, dovrebbe dirsi che in questo tempo il cristianesimo fosso già penetrato nella colonia, la quale per le tradizioni, pel lucro che a lei ne veniva dai sacerdozi e j dalle cariche era la più restia ad adottare la buona novella. La semplicità della cappella quale il Bertoli la segna nelle sue Antichità aquilejesi, persuade a crederla- costruita nel. silenzio; èd il disegno da lui dato fa credere - che avesse patito distruzione, per cui restò soltanto la parte inferiore delle muraglie. E quando surse la prima chiesa pubblica cristiana in Aquileja, e come a credersi anche il battistero annessovi, questo ebbe il titolo dal' santo vescovo il quale vi operò assiduamente, lasciato il titolo primitivo di S. Giovanni. Nessuna traccia vi ha della chiesa che era insigne collegiata di S. Stefano, nessuna di quella di S. Martino della Belinia; nessuna di S. Giovanni al Foro, nessuna di altre chiese che certamente dovettero- esistere numerose; dura bensì il cullo alle sante Vergini in quello stesso sito ove sostennero il martirio. .Questa distruzione sì frequente in quest'ultimo secolo decorso, non degli edilizi sacri soltanto ma e dei profani, ci avverte come la nudità del terreno dell' antica città (intendiamo di antichi edifizi) non è dovuto tutto ad impeto di nemico in guerra, ma a lento e continuo abbattere dell'uomo spinto da miseria o da avarizia, da disperanza di condizione migliore, da avversione alle cose antiche nata da ignoranza del pregio loro; spinto da genio di novità, o da migliore convenienza. Così vedemmo in paese ove la pietra abbonda, ove le cave erano aperte, atterrarsi un teatro bellissimo per alzare forte mediocre, e per poco non atterrarsi un anfiteatro, che i più caldi amatori dell'antichità proponevano si trasportasse altrove, intendiamo di Fola; in Aquileja crediamo agisca potentemente la lontananza di materiale da fabbrica, mentre l'antico è pronto e dappertutto ove si piccini, la disperanza che Aquileja riviva, ed altre cause, che non vogliamo indicare. La colonia e F emporio dei Romani, la città dei patriarchi è cava di pietre; si traggono dai palagi, dai templi, dagli anfiteatri, o dalle chiese e dalle tombe dei martiri; le opere materiali degli uomini sottostanno alla legge che ogni cosa umana vuole distrutta; ma il soffio che Dio diede a sua ima-gine all' uomo, si manifesta nelle opere quantunque labili, e di queste dovrebbero raccogliersi, a memoria ed ammaestramento dei futuri, le impronte che lo manifestano, tanto più se gli uomini sortono dalle condizioni umili di semoventi, per sviluppare a vantaggio materiale e virtuale le forze dell'intelletto. Aquileja non risorgerà noli' antica condizione romana di emporio delle genti danubiane; il posto che ella aveva è occupato oggidì da Trieste, sebbene le condizioni fisiche di questa sieno di gran lunga inferiori a quelle di Aquileja. Ma Aquileja potrebbe bene risorgere a mercato di tutto il Friuli, nei contatti per mare e versa vice; nell'annodarsi ai porti precipui di mare, Trieste cioè e Venezia, e più oltre ancora, poiché da cosa nasce cosa. Le condizioni economiche di Aquileja è ben naturale clic scadessero nei secoli passati, quando posta all' estremità dell'impero, aveva da ogni Iato terre di altro stato non propenso al rialzarsi di Aquileja, di là dal mare terre di questo stato; il pensamento di fare d'Aquileja un emporio goriziano avrebbe avuto elementi sì scarsi da mancare di ogni effetto, come anche avvenne. Ma oggidì ampia provincia dello stesso principe è dal mare alle Alpi Carniche; le spiaggie oltre mare sono dello stesso principe ; l'impulso a mutui contatti è da per tutto potente e ricco di effetti. Il timore della mal'aria è più timore che altro, perché gli effetti sono facilmente vincibili e dappertutto ove il popolo, i caseggiati ed i fuochi si aumentano, dove le comodità della vita si uniscono a regime adatto di vita la mal'aria sparisce, prova questa medesima Aquileja e le città d'Istria e della laguna, Roma medesima di altri tempi, prova Venezia degli odierni. E gli antichi osservarono quasi maraviglia di Aquileja e di Ravenna che sebbene poste, in terreno paludoso, erano in saluberrima condizione per le previdenze e per le opere degli uomini, così che mentre ponevasi da poeta in derisione il navigare da Ostilia a Ravenna fra paludi e zan-zarè, in Ravenna si mandavano' i gladiatóri ad aquistare per naturale influenza di clima le forze fisiche; L'antica città di Aquileja giungeva dalla colonia fino alla Belinia; poi la strada conduceva diretta a ciò che noi chiamiamo Classe, o Belvedere; però dintorno alle castra murate v'erano altre appendici, le quali abbracciavano ampio terreno trilatero, dalla punta e chiesetta di S. Marco alle odierne peschiere fra Belvedere e Centenàro ; noi anzi propendiamo a credere che tutto questo triangolo fosse in isola mediante canale artefatto, come pensiamo che vi fosse comunicazione per strada con P isola di Gorgo. Classe colle isole pertinenti ed all'ingiro era grandioso stabilimento marittimo: l'Anfora o piuttosto le Anfore servivano alla marina mercantile; Classe serviva culle isole e con Grado medesimo alla marina da guerra. Ci venne detto che siensi trovate tombe numerose sull'isola di Gorgo, però volgari ; se così fu, potrebbe facilmente collocarsi in Gorgo il sepolcreto dello stabilimento militare marittimo. Dall' altro lato sullo stradale verso Udine giungeva, l'antica città fino a S. Stefano.. Poco fuori della porta della colonia, all'angolo della via che viene da Monastero ci parve riconoscere sul terreno la disposizione di edifizio a semicerchio, che noi diremmo Teatro, e la posizione è propizia. Invano vi abbiamo cercato qualche pietra già adoperata per gradino. E se qui stava il teatro, non è difficile il riconoscere il sito ove stava l'anfiteatro; a noi sembra che sia stato fra S. Giovanni al Foro, ed il ponte delle Vergini: a ponente del già palazzo del Capitano ne tocca immediatamente il cortile. Così che dalla galleria superiore dell' Arena ove vi era ambulacro, vedevasì il porto dei moli, il canale dell' Anfora, e quello della Natissa, le bocche di Buso, e di Morgo, la laguna, i navigli, l'Adriatico, tutta la parte marina di Aquileja; mentre dall'ambulacro superiore del teatro ve-devasi la campagna a non molta distanza, e la città tutta, sottoposta. Ci siamo estesi, quantunque per sommi capi, assai più che non occorreva, sulla ricognizione dell'antica topografia di Aquileja per due pii desideri', l'uno perchè possa essere non già guida ma incentivo ad indagini calcolate e ponderate, le quali possano essere indicazioni a scavi da farsi, e pei giudizi sugli scavi già fatti, e sul loro qualunque risultato. Il risultato crediamo che tornerebbe di vantaggio per gli ammaestramenti che darebbero al presente ed all'avvenire, pel sussidio bellissimo che darebbero alla storia del passato. Le pietre, le rovine parlano spesso più chiaro all'intelligente che non le parole di chi nell' esporre piuttosto un giudizio suo che altro, spesso non manifesta che la individuale intelligenza e le personali vedute. Di formare Museo in Aquileja non faremo proposta, ma non possiamo tacere della necessità di avere chi prenda conoscenza dell' accidentale rinvenimento di antichità, chi sia custode delle antichità, non diremo rinvenute, ma di quelle che per buona ventura non andarono ancora disperse ed asportate. Usciremo di Aquileja per toccare di S. Canciano. S. Canciano dell' Isonzo è terra che ogni cristiano deve calcare con rispetto ricordando come su quella sparsero il sangue loro in testimonianza della fede, Santo Cancio della gente senatoria degli Anicii romani, Canciano e Cancianilla. I quali ritiratisi in Monfal-cone, allora municipio, vennero trascinali al tribunale di Aquileja, e rimandati al domicilio, mentre per via una delle mule attaccate al cocchio cadea al suolo nè potè rialzarsi, scesine i santi, ebbero sul terreno prossimo, mozzo il capo. Avevamo nelle annate precedenti di questo giornaletto (V. 113 e 143) pubblicato un brano di antica leggenda degna di fede, che così narrava l'occorso; in S. Canciano udimmo la tradizione concorde alla leggenda e nel soffitto della chiesa, anche secondo tradizione dipinto. Nacquero dubbiezze sul sito del martirio sofferto, per la significazione della voce Aquae Gradatae-, però noi abbiamo le tradizioni in tale estimazione da prendere piuttosto in dubbiezza le cose dette contro. E l'Aquae Gradatae non equivalgono pernoi a Grado, ma ad aque, lo sbarco delle quali era facilitato dalla gradata che equivale a ripa di approdo, il che conviene benissimo a S. Canciano in prossimità al quale, a Rondone vi è approdo tuttogiorno. Noi ammettiamo che il luogo oggidì detto S. Canciano avesse nome di Aquae Gradatae, come altre borgate e città e castella ebbero nome proprio dalle aque p. e. termali. Nella cappella che dicono di S. ^roto vidimo due sarcofaghi, l'uno di marmo greco senza ornamento colla leggenda BEATISSIMO MARTYRI PROTO l'altro di pietra calcare, rozzo egualmente colla leggenda : BEATISSIMO MARTYRI CHRISOGONO • _ ■■: 's ambedue le arche collocate sopra terrà, quella di S. Proto a sinistra di chi entra, quella di S. Grisogono a diritta, nel modo appunto come collocavansi nelle chiese antiche le tombe dei Santi e dei Martiri, o nei mausolei le tombe di illustri. Nò sarebbe eccedente il ritenere che le arche appunto perchè spoglie di < ornamenti fossero altra volta coperte con lamine d' argento a disegni, e ricoperte di sontuosi tappeti. La cappella di S. Proto sebbene umile di forme, la riteniamo per mausoleo o piuttosto stanza funebre. Altra cappella vedemmo in luogo di acque sorgive, che dicono della Santissima Trinità, ma che si manifesta per battistero, come anche la tradizione lo ripete. Ha il diametro di 11 piedi romani, è circolare a volta piena, nel centro del suolo ha apertura che lascia visibile l'a-qua altra volta accolta in vasca di battesimo per immersione. Ci dissero che nell'interno fossero le pareti dipinte all'affresco, con figure, delle quali potemmo aver notizia solo di un S. Giovanni battezzatore ed in atto di battezzare ; le cancellarono di recente con bianchissima calce. La presenza di antico battistero ad immersione è testimonianza che S. Canciano fosse vera pieve, e nelle carte del medio tempo porta anche tal titolo ; la sparizione delle pitture, l'incaminciatura delle muraglie ci vietano di dare giudizio preciso sul tempo di costruzione, la quale è semplice assai; però lo riteniamo anteriore al 1200. Ci piace notare come anche il battistero di Rovigno, lasciato il titolo antico, al pari di questo di S. Canciano, assumesse quello della Santissima Trinità. S. Canciano conserva assai testimonianze di antichità, sepolcri, rocchi di colonne, pietre scritte delle quali, una sola ripeteremo Qiote le altre per ripetute stampe) a motivo che la verseggiatura colle parti cancellate, può offrire occasione a lezione retta. m • licinivs • m • f////// celer • eqvo • pv/////// ln • memoriam • c//////// l • f • pal • gì///,'/,/// trib • militvm/////// historia//////// amiciiiinmin S. Canziano stava sopra strada che direttamente venendo da Aquileja metteva aMonfalcone, della quale ora si è perduta ogni traccia, dacché le strade odierne nelle tortuosità manifestano essere di tempi assai posteriori. Ed è questa la strada che da Monfalcone girato il seno di laguna sulla costa dei monti, veniva al ponte del Timavo, confine dell' Istria, indi a breve distanza al Ninfeo del Timavo, a Duino, a Prosecco, indi a Trieste, dalla quale città continuava fino a Pola; strada questa che era tutta litorale, continuazione di quella che da Aitino veniva a Concordia ed Aquileja.