Anno IV. Capodistria, Settembre 1906. N. 9 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE Monsignore Giovanni Pesante Cessò di vivere il 7 dello scorso luglio, a Parenzo; e, all' annuncio della sua quasi improvvisa e certo inaspettata, dipartita, da tutta quanta quell'Istria ch'egli avea così caramente diletta procedè una voce unica di sconsolato rimpianto e di venerazione accorata. Nato il J9 agosto 1842 a Parenzo, perdette il padre asoli quattr' anni. Di proprio impulso, fanciullo ancora, presentassi un giorno al vescovo Peteani (che gli fu poi costantemente benevolo e di consigli e d'appoggi) e chiese d'essere avviato al sacerdozio. Cominciò gli studii ginnasiali privatamente a Parenzo nell'ancor tenera età d'anni otto. Frequentò in séguito i seminarii di Chioggia, Udine e Gorizia. E il primo aprile 1865 fu ordinato prete. A motivo della sua poca vigoria fisica, gli si vollero evitati i disagi di una cura e si preferì chiamarlo alla Curia vescovile, ove tenne l'officio di cancelliere dal 1874 al 1881. Neil' '80 fu inalzato al grado di canonico onorario e un anno dopo a quello di canonico effettivo del Capitolo cattedrale di Parenzo. Più tardi, fu creato Decano e Preposito ; e negli ultimi tempi di sua vita s'ebbe anche da Roma la dignità non vile di Protonotario apostolico. Nè questo è tutto: però eh' egli abbia esercitato inoltre, e per anni moltissimi, gli officii di esaminatore prosinodale e consigliere concistoriale e di revisore de' conti delle parrocchie nella diocesi paren-tino polese. Resse oculato e scrupoloso la diocesi egniqualvolta fu chiamato, in sede vacante, a fungere da vicario vescovile; e assistè, confortò e avvantaggiò del consiglio e dell' opera tutt' i vescovi parentini da mons, Dobrilla in poi, i quali, da lor canto, ravvisarono costantemente in lui il genio buono, la niente e il decoro della diocesi. Lo deputò pure 1' Ordinariato vescovile a far parte del consiglio scolastico distrettuale; ove anche sedè non indarno, rispettato e ascoltato, in qualità d'ispettore scolastico distrettuale. La qual carica delicatissima rivestì egli con affetto paterno per la scuola e per gl' insegnanti e con tenerezza sempre uguale per l'italianità del paese e per le idee liberali, da lui sapute e volute onestamente conciliare con ogni più retrivo comandamento ecclesiastico. Senti fortissimamente l'amore di patria; e per la patria il suo mite animo ebbe talvolta ardimenti inattesi e slanci di sacrifìcio nobili e veri. Verso di sè tutt' i rigori, verso gli altri esercitò tutte le indulgenze. Fu equanime, pio e caritevole sino alla prodigalità. Ebbe per i suoi cari, più che affetto di parente, adorazione d'innamorato; e provvide del suo, con sacrificii alle volte tutt'altro che lievi, alla educazione dei nipoti, attendendovi, finché gli fu possibile, egli stesso. Fattosi prete per inclinazione naturale e per educazione, fu sino all' ultimo un credente convintissimo e fervidissimo e un ministro di Dio conscio di tutta la sublimità de' suoi spirituali doveri. Dotato di non comune intelligenza, antepose ad ogn'altro piacere i buoni studii, consacrando loro tutte le poche ore d'ozio e procacciandosi una varia e profonda cultura. E, come non gli mancarono nè la voglia di fare, nè 1' avere qualcosa da dire, nè il gusto, eh' ebbe anzi finissimo, fu anche scrittore, e scrittore di polso. Inoltre, godè di una certa vena poetica; e i pochi sciolti che ci restali di lui dimostrano a sufficienza, chi sia cultor delle muse, coni' egli sapesse fucinare con abilità molta il non docile endecasillabo. Il primo, in ordine di tempo, de'suoi scritti più notevoli*) *'i Quanto agli scritti meno importanti del Pesante, eecone qui, per gli studiosi di cose istriane, un elenco che, se 11011 posso dire completo, oso credere tuttavia non inutile : 1. Omaggio all'illustriss. ecc. Giov. Nep. Dr. Glaviua ecc. ecc. nel giorno solenne del suo ingresso nella cattedrale : La Fede, versi del sacerdote Giovanni Pesante. Parenzo, Coana, 1878: opusc. di 21 pagg. 2. Dio: versi del s-ic. G. Pesante; Parenzo, Coana, 1883: opusc. di 23 pagg. 3. La basilica eufVasiana, versi di G. Pesante; Parenzo, Coana, 1885 : opusc. di 31 pagg. 4. Celebrando il M. R. Pre Tommaso Franca la sua prima messa ; è quel libretto, ili apologia della fede cattolica, eli' egli intitolò I dotti increduli, pagine, di G. P. (Parenzo, Coana, 1876) e che gli valse, nel '77, la nomina a socio corrispondente dell'Accademia degli Agiati di Rovereto. Viene poi un lungo e accurato studio su Sun Mauro protettore della città e diocesi di Parenzo (Parenzo, Coana, 1891), ove sostenne, con abbondante e vario corredo di erudizione, se pur con ragioni, alla fine, non al tutto convincenti, l'opinione che identifica il santo protettore di Parenzo, con l'omonimo martire africano, morto sotto Numeriano imperatore. Ed ecco terza 1' opera che dà più esatta la misura del suo ingegno e alla quale il suo nome più dura-bilmente s'accomanda: La liturgia slava in Istria (Parenzo, Coana, 1893). E qui, «parola non ci appulc.ro», dirò anch'io con Dante padre; giacché quell'insigne e patriotico libro tutti lo posseggono, tutti lo conoscono, tutti lo hanno letto. Ahimè: «morte — fura i migliori e lascia stare i rei». È proprio il caso di ripeterlo. Giov. Quarantotto Capodistria, 5 agosto 1906. Parenzo, Coana, 1890, Contiene: De revelatione et translatione sanctor. martirum luliani et demetri quorum corpora sunt in parentio : opuse, di 13 pagg. 5. Celebrando Pre Antonio Toso la sua prima messa : Atti della Visita Canonica della Cattedrale di Parenzo nel 1600. Parenzo, Coana, 1891: opusc. di 18 pagg. G. Celebrando la sua prima messa il molto rev. Domenico Ive : I fratelli giurati nella diocesi di Parenzo nella prima metà del secolo XVIII. Parenzo, Coana, 189(5: opusc. di 15 pagg. 7. Celebrando Francesco Sabudri la sua prima messa i versi) ; Parenzo, Coana, 1902: opusc. di carte otto non numerate. 8. Celebrando la sua prima messa nella chiesa parrocchiale di S. Gerolamo in Visinada sua patria il Molto rev. Michele de Fachinetti (versi); Parenzo, Coana, 1904: opusc. di carte otto non numerate. Giosuè Carducci nei ricordi di Aniiie Vivanti E NELLA MEMORIA DI CAPODISTRIA Voci d' antichi giorni, voci ne gii anni già dimenticato, a le porte del cuor veti ritornate. O. M ALAtìODI, Canzone errante. «La prima poesia di Carducci eh' io conobbi fu quella eh' egli scrisse per me un mattino alla Spezia. Mentre egli veniva a vedermi, una vecchietta per la strada gli aveva dato un ramicello di giacinto azzurro, e con questo egli venne a battere alla mia porta. Quando aprii, entrò senza parlarmi, gesticolando vagamente col glauco fiore, come battendo il tempo a qualche suo ritmico pensiero. Andò a sedersi davanti al pianoforte chiuso, prese un foglietto di carta, e scrisse : Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori Tinti di mare come i tuoi occhi, o Annie.....*) Compose le sei brevi strofe sempre battendo col fiore il ritmo, e quasi cantando le parole tra sè. Scrisse lentamente, deliberatamente, senza mai smettere nè esitare, nella bella scrittura di cui è tanto orgoglioso. Poi mi porse il foglio. — Ecco - disse, e aggiunse in tedesco le parole di Goethe: — Und ihr himnt sagen ilir seid dabei ge-wesen !» E 1' angelica creatura, testimone felice, a «1' amico adorato , a «l'ideale della sua sognante fanciullezza», al «secondo padre della sua orfana gioventù» risponde oggi, dalla lontana fosca Britannia, con un mazzo di ricordi, fiori di pietà, fiori di gratitudine, eh' ella compose a un tempo stesso in tedesco, *) Il testo più recente [5" ediz. 1906, pag'. 957] riproduce, in verità, la nota lezione : Batto a la chiusa imposta con un ramicello di flori glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie.... Ma, quanto è più grata questa variante ! ; la quale, senza distogliere la nostra mente da Omero, non la obbliga ad attraversare le logomachie dei suoi ermeneuti in traccia del glauco, nè a fissare 1' immagine dei due colori, appaiandoli uno vicino all' altro, ovvero mesticandoli insieme. in inglese e in italiano, e a un tempo stesso vengono alla luce divolgati per le stampe della Dcutsclie Rundschau, della Partii ir/h tli/ Revi e io e della Nuora Antologia*). «Carducci — ella dice — il poeta, lo storico, l'erudito, è il Carducci che la Germania, l'Inghilterra, l'Italia, oggi, per mezzo della mia povera voce ossequiano. Ma il Carducci «amico», il Carducci nella semplice sua vita giornaliera, è conosciuto da pochi. E cpiei pochi, fortunati, a cui è rivelata la immensa ed ingenua bontà, la forza, 1' umiltà e la purezza di quella grande anima, parlano di lui con voce commossa, scrivono di lui con mano trepidante come la mano mia, e con gli occhi, forse — come ora i miei —• traboccanti di lagrime». I quadri, per dir cosi, evocati, che formano questa intima e familiare galleria sono, nel breve spazio, parecchi, e si succedono vari e diversi, accostandosi l'uno all'altro, senz'ordine di tempo o di luogo, così, come si ridestano dalla memoria della scrittrice, semplici e gentili. Ma tutti intonati, tutti coloriti e vivi, tutti finissimi, di quella finezza che è segreto femminile, riserbato da Dio alla donna, affinchè fosse in ogni cosa un essere superiore — a dispetto delle teoriche e paradossali misoginie degli Schopenhauer; a dispetto delle rifritture acidaliesche dei De Maistre e delle floreali chimere che nascono dalla fantasia della signora De Régnier. Ogni linea, ogni tratto trova la via più breve di giungere al cuore, perchè tutto zampilla dal cuore, dirittamente, senza meandri, con cristallina eloquenza naturale. Non mi posso staccare dall' ammirarli. Io credo che non li scorderò mai. «.... Nel ritorno Carducci fu silenzioso e di nero umore. Molta gente per la strada lo riconobbe e si voltò a guardarlo; qualcuno tornò indietro e gli girò d' innanzi per poterlo veder meglio. Egli brontolava cupamente nella barba. D'un tratto si fermò: — Clic cosa guardate ? — gridò, volgendo i saettanti occhi sulla gente ferma a contemplarlo. — Non sono una prima donna nè un tenore. Nè sono qui per dar diletto ai curiosi. La gente si disperse rapida. Ed io distrassi i suoi pensieri dando le mie non illuminate opinioni sulla letteratura in ge- *) Annie VrvANTi — Giosuè Carducci, in ; Nuova Autologia, 41, 831, Roma, 1" agosto 1906, pagg. 369-381, nerale, citando sbagliati i suoi versi e mischiandovi del Metastasi e del Manzoni : Ma fuvvi dunque un giorno Su questa terra il sole, Vi tur rose e viole Quando dall' arco usci ? Ciò accadde forse ai tempi D'Omero e di Valmichi.... — Che cosa sono i valmichi? — gli chiesi a questo punto. -- Assai mi riposa la tua ignoranza — disse Carducci.» Quale vetusta fede nell'origine transumana del linguaggio, o quale missione scientifica d'indagarne la storia, di sorprendere il vocabolo nei suoi atteggiamenti più reconditi ci potrebbero iniziare nell'arcano di quest'arte della parola, o spiegarci, onde avvenga che uno spiritoso accozzo di pochi versi, una domanda oziosamente curiosa e una placida arguta risposta abbian virtù di comprendere in sè le immagini di tante cose e di rifletterle, nell' opposto suono delle voci, di maniera che Passa il pensier si come il sole in vetro? Ma lascio al critico sagace, il quale trova nell'opera dell' artista inspirato ciò che la genialità lo ha condotto ad eseguire senza suo ponderato proposito e ignaro del come, la. cura di tali riflessioni e il piacere di rivelare il mistero e il fascino d'un lampo di sapiente ignoranza, tutto muliebre -e torno al quadro più innanzi, che fermò prima la mia attenzione, e mi fece scrivere queste righe. • «....Era un mattino d'estate radioso, e traversavamo le Alpi dalla Svizzera in Italia. Due touristes tedeschi, incontrati per viaggio, avevano chiesto il favore di poter fare la strada con noi. Quando prima ci parlarono, a Spliigen, il più vecchio dei due ci disse che era professore. L' altro, un biondo enorme, tarchiato e imponente, con degli occhi di bambina timida e dei lunghi capelli arruffati, disse d' essere un poeta. — Io sono un grande poeta — aggiunse, con un sorriso risplendente, all'Orco. — Sei mir gegrusst, Carducci! Carducci alzò il largo cappello di feltro grigio: — K in deutscher Dichter? — chiese in tedesco. — Sì — disse il sorridente biondo. — In Germania siamo tutti poeti ! Io sono un grande tedesco, dunque un grande poeta ! Non perciò scrivo versi — continuò. — Io rivo le mie poesie. Ascolti come io ne vorrei l'ultima e la più bella strofa: Vedere l'Italia per la prima volta, con la mia mano nella mano di Giosuè Carducci ! Perciò vi abbiamo seguito da Chur a Thusis, dalla Via Mala a Spliigen ! Carducci acconsenti sorridendo ; e quando il landau fu pronto fece cenno ai nostri nuovi amici di prender posto con noi. Per tutta la salita del Montespluga il giovane recitò la traduzione di Ca Ira del dottor Muchling, e Carducci lievemente con la destra batteva il tempo, come sempre quando ascolta una cosa che gli fa piacere. Giunti all' ultimo Rifugio sul ridente e ravviato versante svizzero, il giovane tedesco citò la superba chiusa del «Saluto Italico»: .... in faccia allo stranier Cantate Italia, Italia, Italia ! Poi, arrivati al Passo, tese la mano a Carducci, che l'afferrò commosso. L'Italia era davanti a noi, vaga, come un giardino in un sogno................................. «Veramente, osserva l'arguta scrittrice, egli cammina, con la testa che «batte nelle stelle». L'unico suo pensiero, l'unico sogno è di spronare all'alto l'intelletto e il cuore della gioventù italiana, e di mantenerla degna delle sue antiche, gloriose tradizioni. Le decadenti tendenze della moderna letteratura, l'ostentata immoralità proclamata dalla scuola degli autoglorificatori, è una spina nel suo cuore ; mentre solo un accenno a mancanza di rigida probità e di giusto orgoglio in una gente che egli vorrebbe un popolo di eroi gli amareggia le più belle ore della vita, Carducci vorrebbe che anche il mendicante della strada portasse con dignità la sua miseria». O Annie Vivanti ; ma Voi eravate ancora una piccola bimba, seduta, come Voi dite, con la bambola alle ginocchia di vostra madre; della vostra dolce madre tedesca, che parlava di poesia italiana al fratello Rodolfo Lindau venuto di Germania; Voi sentivate forse, dalla cara voce mite di lei, per la prima volta pronunziare il nome di Giosuè Carducci, ascoltavate forse per la prima volta il ritmo del sonetto Passa la nave mia, sola tra '1 pianto Degli alcion per 1' acqua procellosa,,.. che ha impressionalo la vostra anima infantile; e l'anima nostra, già stanca, già quasi inetta ad affissarsi nelle nebbie del lontano mattino, portava da più e più anni, scolpita con caratteri immortali, la superba verità che Voi oggi bandite e illustrate alle Nazioni : — L' unico suo pensiero, 1' unico suo sogno fu sempre di spronare all' alto l'intelletto e il cuore della gioventù italiana, e di mantenerla degna delle sue antiche, gloriose tradizioni ! E oggi, noi pure battiamo alla porta del Magnanimo con un glauco ramicello di mysótis, il fior della memoria dall'istrica leggenda pietosa. Noi pure veniamo da lontano assai.... ; più lontano che dalla «erta, rossa città dei sogni», che sili tre colli in liore Di mite olivo tutta s'inghirlanda ; seconda madre diletta dell'orfana mia vita, onde m'accomuno nelle vostre visioni con i fratelli lontani, e intenerito allo spettacolo sublime dell'opera vostra gentile, interprete divina di tanti cuori, ripeto loro, nell'entusiasmo, le cose che Voi dite; le cose che tutto il mondo sa ed ammira.... Veniamo anche noi dal Passato; da un Passato più passato del vostro, o fortunatissima. Portiamo anche noi all'adorato Maestro «li testimoniatiti segni» del suo fascino benefico sopra le giovani anime frementi di nobili amori e di generose ire. (ìli riportiamo anche noi la parola feconda come raggio di sole, da lui dispersa e dimenticata nel turbine del tempo ; la luce meridiana d' un giorno d' estate, Quand' era tutto sole il suo pensiero, quando la sua piccola mano, forte per abbattere, più forte per sollevare, salutava, dalla piattaforma del Molo delle Galere, Egida nostra «la gemma del mare» *). *) jlBramar, st. 3a : «Meste ne l'ombra de le nubi a' golfi stanno guardando le città turrite Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo gemme del mare.» Egida (Aegis), coni' 6 noto, fu il primo nome, ionico, di Capodistria, che poi venne latinizzato in Òapris. — Aegis, nel buio della concezione mitica, era, fra altro, la pelle di capra con la testa gorgónia, scudo di Zeus egioco nei canti omerici ; ed aegis era pure la portentosa corazza di Pal-lade. Così Pallade divenne la dea protettrice della città, celebrata nel fallito poema di Girolamo Muzio ; ed ebbe il suo Palladio, già antico or- - Und lolr hi'mnen sugai, io ir sind dabei gewesen! - Così lo vedeste, o Aiinie, nel vespertino crepuscolo della Valle di Mallero, cinta «la testa da imperatore romano coperta di riccioli grigi» con la solenne corona delle rezie vette rigide di neve ; così lo vedete sempre nei vostri pensieri ritto e solo nel tramonto. Così lo vedemmo noi, grave e sereno, con l'amico Hortis dalla chioma febèa, circondato da uno stuolo adolescente di Istriani, nella azzurra aureola del trèmulo mare, con la bella testa d' imperatore romano folta di riccioli neri. Così lo vediamo sempre nei nostri pensieri, grave e sereno nella luce meridiana di un giorno d' estate. —- Non addio, non addio ! invocammo anche noi con gli occhi di preghiera suffusi di lagrime. Leggerà Carducci queste parole? e questi fogli avranno la sorte di richiamare il pensiero di lui alla nostra città? al «nido sacro ili Pallade ab antico», che egli salutò dal Molo delle Galere con la piccola mano forte, con il saluto immortale? Avranno essi la fortunata sorte di ripetergli la voce lontana, la voce nel turbine del tempo dimenticata, che io e i miei cari compagni di scuola — compagni di antichi poetici entusiasmi — custodiamo da trent'anni nel petto? 0, ma che importa? Egli è rimasto solo, e legge i ricordi di Annie Vivanti ; e il ricordo nostro migliore è in essi. 0, ma che importa? La venuta di Giosuè Carducci allo namento del tempio, oggi, sul fastigio del palazzo pretorio dai merli ghibellini, dominante, in mezzo alle statue dei Rettori e ai leoni di san Marco, la piazza e la Loggia della Signoria, male e malamente trasformato in una fallace Astrea, E così 1' egida di Pallade fu la balzana comunale, e. la Gorgone ne costituì l'insegna, ed è ora lo stemma della città. — Sotto i Bizantini Capris aggiunse l'epiteto di Imtinopolis ; e dopo, a distinguerla dalle altre Caprae dell' Italia, la si usò chiamare Capris Istriae, e, corrotta nel volgare la forma, Capodistria. Veda tuttavia il lettore, per le opinioni di Teodoro Mommsen, Frorer, Pervanoglù, Benussi intorno ai nomi antichi di Capodistria, gli accenni nel mio Dizionario di antichità classica, Torino, Clausen 1891, pag. 98 e seg. ; e cosi pure, a pag. 101 e seg\, perciò che riguarda i primi concepimenti della mitica egida, e le affinità linguistiche di aeyis e capra (■/'ly'.i e yhaida, go). Cf. ora anche Stengel, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopaedie, Stuttgart 1895, 1, 970; G. Vassilich, Ancora siili' origine del nome Capodistria in Pagine Istriane, A. I, N. 2 e 3; R. Bratti, L'Istria e gli Istriani, ibidem, A. IV, N. 1-2 pg. 18 e seg. spettacolo delle nostre marine è una pagina di storia istriana troppo memorabile, troppo bella e fausta e feconda d'ineffabili pensieri, perchè le Par/ine [striane possano non anelare all'occasione che porga loro opportunità infinite di rileggerla agli uomini «che ora vivono e godono la luce del Sole», e di tramandarla nelle venture generazioni. S'iena, 7 agosto 1900. Arturo Pasdera. EU E RITMI DEL POPOLO ISTRIANO. (Continuazione. — Vedi a. c. pg. 110). Giacché parlo di satire, riporterò qui alcune satire di mestieri, che ho udito con qualche variante nelle città marinare di Capodistria, Muggia, Isola, Pirano, Cittanova ed Umago. Ma noterò prima che in Istria il popolo è inesorabile nelle sue satire e sa trovare ad ogni evento la sua canzonetta. Non c' è avvenimento sì pubblico che privato, intorno al quale non siasi sbizzarrita la burla popolare in canzoni salaci e satiriche. — Ma vediamo le nostre satire : 92. La Mazoraua che sta nei piteri la fa 1' amor con duti i calegheri ; i calegheri i xe una trista gente che i tira el corame coi denti ; el corame se lassa tirar i calegheri i fa per vadagnar. Ancora questo che '1 xe '1 più bon invese de corame el ghe me ti cartoli. 93. L' impizzaferai el cori come mai, el cori per le scale, el se la mola in braghe. 95. El barbier che '1 fa la barba el varda el so omo da farghe pietà ; el lo ciapa pa '1 naso el ghe strenzi i zenoei, le lagrime ai oci veg-nir el ghe fà. 9t>. El bechèr el minciona 1' amigo, el parente, el compare ; con tre parabole che '1 glie sa flociar, mezo finito de carne el ghe sa robar. 97. El spezier che '1 fa medizine de tanti maladi el xe la rovina. El fa medizine per darghe conforto ma le ghe resta nel corpo, e no i pol più cagar. Cussio i pazienti i sta mejo senza medicamenti. 98. Quel che vendi 1' oio el cata sempre l'inibroio, el vendi la lira a boni prezzi ; el torna a passar — 1' à cala tre bezzi. 99. El eontadin che '1 sta in campagna, per far cucagna el voi ciorse un garzou ; e '1 ghe roba el tormento, e '1 ghe roba i fasioi, per mantegnir i iìoi a spale del paron ; e questo xe ancora el manco mal, el ghe vendi 1' uva par comprarse '1 sai. 100. Xe tanti de quei che i sta su la porta senza risorsa — e senza mestier, e con un sciopo e un can de cassia i se la blangia — de gran cavalier. I ga el mestier del michelasso : magnar, bever e andar a spasso. 101. Dixe i sarti che i futi zza : ponto longo, ben bitù ; un beco futù chi che ghe varda su. Si vegga poi questa satira atroce contro le vedove : 103. Quando che la vedovela va al mereà per i corni la mena el su' mari ; se par strada ghe vien domanda : Quanti ducati vai sto vostro beco ? La dixe : Questo beco el xe vendilo ; cento ducati el vai sto beco futuo. Aggiungo uno scherzo che fanno i ragazzi. Prendono una zucca vuota oppure la crosta d'un granchio; ci fanno due buchi nel posto degli occhi, uno che raffiguri la bocca ed uno il naso ; vi accendono dentro un nioccoletto di cera e la nuova maschera apparisce una testa da morto, che vien posta in qualche sporgenza di muro nelle vie buie oppure al sommo di una scala di qualche casa per ispaventare i passanti o gì' inquilini. Al di sopra del finto teschio si attacca un cartello con suvvi scritto: 104. Chi sei tu — che vardi in sù? Mi son sta come sei tu. Tu sarai come son io ; v ardirne ben e va con Dio ! * * Prima di continuare, osserverò, pei' chi volesse tacciare il popolo istriano di volgarità, perchè in alcune delle rime viste finora si usano termini volgari, osserverò, dico, che il popolino è dovunque sboccato, specie nelle satire e negli indovinelli. Per quanto educato, il popolo di tutti i paesi del mondo è tale, ma non per un maligno prurito di porcheria, ma soltanto per un eccesso di spensieratezza e di sincerità e per una matta voglia di ridere, ridere e ridere. Il popolo istriano ha delle espressioni volgari sia pure, ma che non lascerebbero insensibile neppure San Simone Stilita. Per dire che uno lo si vede sempre fuori di casa, si dice che è come el persèmolo in p i asso ; per dire che una moda è invecchiata, si dice : eli, slo vistilo xe. antico come el c.xir ; d' uno che è magro si osserva: el (ja pai• culo do soldi de savon rosso; e d'uno che non sa tacere si dice: no 7 sa tignir fava in culo. Venezia stessa era sempre sboccata in tutte le sue satire. A mo' d' esempio, contro il famoso architetto Gianantonio Selva, che eresse la Fenice di Venezia e ne adornò 1' uscita di colonne sorreggenti un piccolo poggi uolo, sopra il quale fu poi messo il busto del Selva stesso, a Venezia si trovò la quartina: — Cossa fon care, coione ? — No saremo gnatica mi ; senio qua come coyione, perchè qua el 11'à messo hi1). Ed osservo anzi, che lo stesso popolo fiorentino, che per certo fu ed è il popolo più gentile e garbato non dirò solo d'Italia, ma d'Europa tutta, pure canterellava sboccatamente sul conto del granduca Francesco e di Bianca Cappello: Il granduca di Toscana ha sposato una puttana gentildonna veneziana 2). Si consideri ora il popolo istriano, pronto sempre ai lazzi più sgangherati, burlone ed arguto, senza pel in lingua, che ancora sotto il dominio della Serenissima era stato sempre sincero, sì da esporre in pubblica piazza le sue opinioni politiche e private in satire, frizzi e burlette.... figurarsi ! se poi andrà lesinando le parole nelle sue burle, il cui unico scopo era ed è il riso.... che fa buon sangue, infine. Ripeto quindi, che su certi vocaboli dobbiamo sorvolare, senz' essere troppo esigenti e schifiltosi, affinchè il popolo non dica anche a noi : 105. Se a ti te fa stomego, a mi me fa panza. * * * Dove però rifulge un altro lato della psiche popolare istriana, cioè la delicatezza di sentimento, si è nei ritmi, che si cantano ai bambini. La mamma istriana, fosse anche solo naturale ed illegittima, va pazza per i frutti del suo amore. Bisogna vedere coni' ella si fa piccina piccina con i suoi bimbi, quasi volesse unificare il suo con il loro sentimento; come con essi canta e con essi si balocca in una estrinsecazione di amore, che commuove sino alle lagrime. Quante volte io me lo son goduto questo spettacolo soavissimo, dove una balda e bella madre istriana mi parve più imponente che la Duse in sulla scena! Si rivedano gli annali maledetti del crimine, ma 1) Giuseppe Caprin, II Teatro Nuovo, Trieste, 1901, pg. 13. 2) Molmenti, La Dogaressa, pg. 28t>. mai o forse rarissimamente una madre istriana si lasciò andare a quello eh' è il più vile e il più abbominevole fra i delitti e si chiama: infanticidio1). Sia pure, che un bambino rammenti ad una fanciulla istriana il suo peccato d'amore e gii stenti e le lagrime dolorose, che 1' han seguito, ma ella lo ama egualmente, egualmente 1' adora. Bisogna sentirla e vederla una madre istriana, quale tesoro di tenerezza ella mostri, quando a bocca piena esclama: mio fio! mia fui! È amore e vanto, sicché ricordiamo anche involontariamente la bella commedia « Mia fia » di Giacinto Gallina. Fa mestieri però conoscere la vita del popolino istriano nelle città marinare, da Muggia a Fasana, per vedere come nascono i ritmi popolari. Quello che notava il Caprili per la cittadetta di Isola 2), vale per Capodistria, Pirano, Cittanova, Parenzo, Rovigno, e via di seguito. La vita popolare è tutta là, all' aperto, sulle viuzze, sulla riva del mare e sui campieli, dove ad alta voce si chiacchera e si ride, dove si raccolgono le parole cadute dalle finestre e con 1' aiuto del vicinato si ciarla e si filano i discorsi ed i racconti, mentre continuamente si lavora, ciarlando, chiassando e mormorando. Ivi le fanciulle cantano d' amore, ivi le mamme pettinano i bambini e li allattano, ivi si rammendano i drappi, mentre le sorelle maggiori o i mariti tornati dal campo o dalla pesca cullano i fantolini, e le bimbe giuocano, e si ride, si ride senza fine. Ed è là, che nascono i ritmi, le cantilene, le satire, le burle e gì' indovinelli. Così prima che la creaturina venga al mondo, si ripete sulla madre il pronostico: 106. Panza a tondelo, un bel putelo ; pan za impontia, 'na bela fia. (a Parenzo, Cittanova, Portole, Albona). Così le mamme o le sorelle cantano le ninne-nanne ai .so tesori, alle so rissere, alle so anime, al so sangue. E ce ne sono di belle. Eccone alcune : *) È questo un onore che le nostre donne lasciano alle cuoche e serve d' oltre il Carso. 2) «Marine Istriane», pg. 154. 107. Fa la nana, bambin, che vegliarsi papà, el portarsi bonbon el putin lo magnarti, ovv. fa la nana, sta bon. (in tutta 1' Istria). 10!S. Questo xe un fantolin, che sempre '1 cria, tasi, ben mio, che vegnarà la mania, la te darà del late, anema mia, hi te metarà in cuna a far la nana, (a Parenzo, Orsera, Umago e Albona). 109. Nina nana, bel putin, lio de Toni pissinin, se tu' nona la savaria la cuna de oro la te faria. (a Buie). 110. Fa la nana, bambin, fa la nana, cincin, e la mama xe visin e '1 papà el xe lontan, fa la nana fin donian. (a Capodistria, Isola, Pirano ). 111. Zito, zito, no parlar, chè Gesù '1 xe a riposar ! el riposa in una capana, zito bel, che '1 fa la liana1)! (a Parenzo). 112. Dormi ben col cor in sen, col cor in man fa la nana fin domali ovv. a rivedersi domali. (in tutta 1' Istria). 113. Feghe la nana la nana con Dio, vegnarà el pare del fantolin mio vegnarà el pare de le mie radise fa pur la nana che tu' mare te lo dixe. (a Fasana, Albona). 114. Dormi, dormi, el mio putin, fa la nana e no disniissiarte, che Maria te varda le fasse e Gesù e la Madona l) Una somigliante si usa nel Bergamasco. coi anzoli e. i santi i xe intorno a la tu' cuna coi anzoli e i santi i xe, intorno al tu' cussin, fa pur la nana, el mio putii). (a Parenzo, Pirano, Ornerà). 115. Fa la nina, fa la nana, fa la nana, cor de maina, e se el gaio no '1 cantassi, se mezanote no sonassi, tuta la note staria con ti eussio dormi, dormi, picio mio M. (a Parenzo, Albona). Un sonetto inedito dell'Ai. Aiplo Maria Mia. Che spassi, quelli di Treviso, anche negli autunni della seconda metà del secolo scorso! Fiera, teatro, corse, e chi più n'ha più ne metta! 11 Lamberti pure invitava la sua Nineta al tripudio della ridente cittadina: Figuriamoci se le nostre dame d'allora, che vivevano soltanto per il piacere, si sarebbero lasciata sfuggire un' occasione simile! E i quattrini? chiederete. I quattrini! Oh, buon Dio, quale inezia! I mariti a questo mondo, o per cosa ci *) Una consimile si ripete negli Abruzzi. 2) L' autuno citadin nella Collezione delle poesie del Lamberti. Treviso, Andreola 1855 Vol. I. ( (Jontinua) Francesco Babiulri Ma '1 dì de san Martin Nineta, xe, vigili. Za xe deciso Che ili novo carezzili Sul corso de Treviso Quel dì figureremo ; E quatro bei cavai Bagio-scuro pomai Ghe tacaremo. Do coci ben montai Do stafìeri, el zachè, E quei d' arzctn plachi' Bei fornimenti : Fra tuti i pretendenti Che al corso ghe sarà Se ne distinguerà Come intendenti. Za la inatina, Mia cara Nina, Saremo stai Col baiar solito, E do cavai O sin al Ròvere, O a sant' Artien, Dove che vien El megio e '1 bon, La zente nobile E '1 più gran ton2). erano o ci sono? Alle mogli, godersela a più non posso coi tanti adoratori ; ai mariti pagare il conto. L'Ali. Angelo Maria Labia, severo censore della mollezza e delle vanità mondane dell' epoca, non risparmiava all' uopo le sue inutili scudisciate mercè un sonetto, che non figura tra quelli dello stesso Abate, pubblicati dal Samba nella sua Collezione delle opere scritte in dialetto veneziano (Venezia, Alvisopoli, 1817). Noi pensiamo farne un presente ai lettori delle Pagine Istriane, togliendolo da una Miscellanea della nostra privata Raccolta : « Per andar a Treviso in ocasion d'Opera, Fiera, Palio e Cavalchina ogni donna, sia dama, o sia pedina 110 la fa tante bele riflession. « Per scaprit-iarse pur in sta ocasion, vaga famegia e onor tato in rovina, che za 1' economia la se ratina ai poveri negandoghe '1 bocon. « Tute voi zogie, lusso e cavalior e diese adoratori almanco drio come i sorzi drio ai vasi del spezier. « Del resto che ghe pensa so marlo ch'el s'à da contentar, a mio parer, pur ch'el sia corona, d'esser fallo.» E quanti mariti di tal pasta doveano allora contarsi ! Ma cosa volete farci? I tempi eran così. Cesare Musatti Venezia, Luglio 1906. -; ; ri- Canzoni inedite di Maffeo Venier (Continuazione — Vedi a. e. pg. 101). NOTE. 31) Seguono due canzoni per una «masseretta», ottime di fattura e squisite, ma eccessivamente lubriche: in esse il Venier canta la sua avventurata fortuna d' aver goduto le grazie della bella semplici e rusticane eh' egli preferisce alle altre tutte accompagnate dalla pompa e dall' apparato. La prima canzone (pp. 13 r.° di strofe 8 e la chiusa) comincia : Tra quante frezze easpe *, che ti ha tratto Amor, daspò ti è Amor. 110 solamente in omeni, ina in Dei, ardisso dir che ti non ha mai fatto colpo de mazor gloria e de pi onor de questo del mio cuor, se ben, che zorno e notte sbragio oimei. Fu il colpo al improvisa Quindi, esaltata la potenza d' Amore «orbetto fantolin« tenta con dolci parole la bontà della nuova sua donna : O venturà massera, o niasseretta deventà mia Madonna, che me puoi commandar sempre d' ogni ora. caro el mio caro ben, la mia Donnetta per goder la quale si sarebbe fatto «zago» volentieri poiché Ella era in casa d' un piovano. Ti servi Masseretta e sti se degna che ogni omo te sia servo a star in ditto de chi n' è coggion Non si sdegnasse del suo stato : Del servir, che ti fa, 110 te instizar perchè aponto el pi bon che nasce sotto il ciel xe destinà, spera.uzetta mia d' oro, e sconvien far a quel la servitù e condition che obliga el so Patron ordene, che sè star, che sè e sarà : Varda 1' oro e 1' arzento che è pare del contento co modo tutto do serve ala stretta ; E ogni altra cosa in anema vivente, benedette le stente che ti fa in cà del vecchio cusì quieta, che tanto me deletta E me piase i to inuodi, che basserave i scovoli e le scucile piadene e pignatelle, E infina anche la secchia che ti svodi. A lei egli pensava sempre, di lei spesso sognava : No credo certo che sora la terra sia un altro inamorao che mena vita sì dura e senestra come che meno mi mattina e sera, Masseretta daspuò, che mi t' ho occhiao : Cancaro a chi ha insegnao Senza pignata far tanta manestra Ma sia pur i disgusti E le lagreme e i susti Quanti che i vuol..... ch'egli l'amerà sempre. E la canzone conchiude: Canzon, seappina via dala Massera inanzi che sia sera, E dighe in t' una recchia sora el tutto Che morirò, se la no me dà agiato. Ma varda a dirlo pian Per amor del piovali E che co la t' ha letto che la te sconda sotto del so letto, E se per strada qualcun te trovasse, E chòl te cogionasse, Senza cercar eh' il sia Dighe bardassa vecchia e corri via. A questa, che serve come d'introduzione, ne succede una seconda pp. 4!) r.° di stro!e 8 oltre la chiusa) che è quasi un peana erotico e nella (piale non è difficile riscontrare alcuni dei graziosi elementi della notissima e celebratissinia «Strazzosa» Brama pur chi se vuol fra anneri d' oro, E sotto zensi e sea goder * a so piaser donna lasciva, zovene e bella e brama lungamente creda pur fermamente Che quella sola sia la vera via a la qual chi ghe ariva retrova del goder * tutto el tesoro ; che mi lontan d' umor cusì cogion adesso, che cosa è bon[a], no bramo altro mai chòl magazen a pè pian sul terren, sobogio, sporco, e pien d' umidità, E quel gramo albuol vecchio apuzà al muro cusì in can ton al scuro, * E quella dolce e delicà Massera Fra le bassezze più che tra «superbie e vanità «fumose» 1' animo resta «consolao» : Vaga pur de qua in là in tanta malora 1' aver 1' occhio ai pallazzi E digo sotto sora lettiere d',oro, perle e caenoni bei rizzi e zoccoloni, bavari, anelli, con spaliere e razzi, meglio la « inonda, schietta e pura» sua «Masseretta» ! Tutto el resto sè tara, tutto el resto si sè intrigo e disturbo, che stragi a che travagia e che dà impazzo come pur troppo chiaro e troppo espresso si ha mostrà Apollo in esso, in questo certo sora ogni altro furbo, scozzon, astuto e lesto, quando «come un lovo zorno e notte» rincorse Dafne «fra boschi e grotte». Mille respetti e mille impedimenti sempre con essa porta Donna che viva e che staga ala granda, altro ci voleva allo schietto godere che «oro, zogie, damaschi» ! Che longhe servitù? che spassizar tutto il di suspiroso e suspettoso ? che star tutta la notte come lari a inspiritarse in su le cantonae, che per do grame occhiae andar i mesi intreghi in su e in zoso, che buttar via danari in mezane * per targhe parlar, che allin ve manda po tutti in bordello amisi, robba e onor la sanità èl cervello, se senza ste fatture e ste mine con quatro paroline in s' un albuol se gode * da signor, con tanta soavità e gentilezza E con si gran dolcezza, seguri da pericoli e da intrighi, e da malanni fisici ! Perchè 11011 sapeva egli cantar convenientemente i pregi della sua «Massereta zentil, galante e bona» ? Ceda 1' ambrosia èl nettare dei Dei, E vaga ala lontana Perchè i 110 zonze al terzo della strada altro, che i campi Elisi si glie vuol a superar 1' albuol che apportò a tutti do si dolce mana. E conclude : < Canzon porta da lai co ti va in volta sempre un bon pistoiese, E per ogni paese Vattene via resolta De pettarlo a traverso del mustazzo di chi, leggendola, non avesse provato alcun nuovo eccitamento in sò. 35) Farf'alletta. 3") La nota località tra Mestre e Venezia. «Mestre, scriveva il Sa-nudo, è un castelo mia diece luntan di Veniexia, zoè per aqua cinque sino a la Torre di Margera, poi do a S. Zulian, et tre sino a Veniexia...» Itinerario ecc. pp. 117 (Padova, 1847). 37) Capitale. 3S) Tavolaccio, bersaglio. 39) Punzoni, qui allude agli antichi strumenti bellici. 40) Uccello acquatico del guale si conoscono varie specie ; qui però è da sospettare qualche altro significato. Forse usbergo? ") Cocon come agg. vale balbuziente, come sostantivo cocchiume di botte ; qui nel secondo senso ; metat', di riparo qualsiasi. is) Cenno. i3) = basili = bacino, piccolo bacio. 4t) Potrò io . . . «) Se tu . . . 46) Così il ms. = chiocca. Ricorre nella frase «Se la mia chioca» che leggesi nel noto poemetto della guerra tra Castellani e Nicolotti :ott.a 29 a pp. 28 Voi. 1° dei «Poeti antichi» del Gamba) ed equivale a : se mi salta il ticchio, se mi monta la collera ! *") Giubbone. 48) Se tu mi acchiappi, se tu mi prendi . . . 49) Mancano i due versi nel codice, cosi dicasi pei due della stanza che segue e 1' altro del commiato. 50) Zotico. r'') Guarito. r'2) Guasto. r'3) Accrescitivo di lira, strumento musicale ; ina nel vernacolo nostro, secondo il Boerio, è da intendersi per violone. M) da Trazer = trarre. r,r') Propriamente rete assai forte con la quale si pescano anguille di varia grandezza ; qui metaf. M) Canaletti conducenti 1' acqua a un determinato sito. 57) Con Beueto (Benedetto) Corner ebbe Maffeo una laboriosissima corrispondeuza poetica, ispirata, per solito, al più dissoluto epicureismo. Ne daremo in altra occasione notizia quando faremo conoscere alcune altre poesie inedite del Corner stesso. •r>8) Il Ruggieri, per ragioni eh' egli certo esporrà nel suo prossimo lavoro, crede codesta canzone ispirata da Bianca Cappello. Il Venier, com'è già noto dal poco che si conosceva finora, fu per parecchio tempo alla corte del Granduca di Toscana. 59) Mostaccione ; colpo di mano aperta, sul viso. 60) Taciuto. 01) Da tor —- torre. 6r) Lasci. 63) pigliare uno pei piedi e per le braccia e sbatterlo col sedere a terra. 1111 Tralascio il verso osceno che chiude la canzone, il motivo della quale è assai comune in genere e frequentissimo nel Nostro. Così in un ca])itolo a Veronica Franco esso ne è il cardine*); eccone la chiusa: ....un vero amor fonda su tanta fede, un servir sviserao con tutto el cuor, xe d'ogni gran goder* degna mercede Questo è in conclusion tutto el mio amor. (it. ci. IX-173 pp. 409 e sgg.). I).r Antonio I'ilot. BIBLIOGRAFIA Domenico Venturini : Guida storica di Capodistria ; editore B. Lonzar, Capodistria. Stabilimento tipografico Carlo Priora, 1906 : in 16, di pagg. 127. Prima di questa del Venturini, di guide storiche, in Istria, non ce n' era che una : quella di Pola, del Kandler : un librieciolo che cinquant' anni or sono sodisfece in tutto e per tutto a un bisogno reale e sentito, ma che oggi, naturalmente, mal cela le grinze dell' età. Siam dunque ora alla seconda guida storica (di Capodistria, stavolta), per opera e merito del direttore di queste Pagine; e voglia il Cielo che non abbia a trascorrere un altro mezzo secolo prima eh' esca la terza, che dovrebb' essere, al meno a parer mio, quella di tutta 1' Istria, da poi che monca, trista e ignorante cosa son le poche paginette che la casa Treves di Milano fece dedicare all' Istria nella sua guida per il Veneto. Ma veniamo al volumetto del Venturini. E la sua mole agevole ed egregiamente disposto il suo contenuto. Non i singoli monumenti illustra il Venturini, ina ciascun rione nelle sue vie e piazze, cominciando dal nome delle stesse e toccando in séguito, con abbondanza grande di notizie e vecchie e nuove1), di tutto che possa suscitare un. qualche interesse o destare una qualche curiosità. Il testo poi è bellamente confortato di ri- *) Nel capitolo ricorre il nome di Lorenzo ma al Venier di tal nome, famigerato, padre del Nostro 11011 è il caso di pensare ove si badi che mori nel 1550, mentre Veronica nacque nel 1546. Si noti anche che il capitolo stesso ricorre, un po' diverso, nel IX-217 (pp. 45 r.°) dove comincia : Franca crederne, che per san Maftio mentre nel precedente suona cosi : Franca crederne che al corpo do Lio Per Veronica è anche un sonetto codato, attribuito al nostro, nel eod. IX-217 (pp. 56 r.O). l) Per notizie nuove, intendo specialmente quelle che si riferiscono alla dominazione francese. produzioni fotografiche nitidissime; e vanno innanzi alla guida propriamente detta, a ino' d' introduzione, tre discorsi non lunghi i come il richiedeva P econon ia del libro, già alquanto compromessa dall' avervi voluto il Venturini inserire più d' un documento storico a guisa di pezza d' appoggio e più d' una superflua divagazione;, tre discorsi non lunghi, ripeto, sul nome e stemma, su la storia e su la pianta antica e cinta murale di Capodistria pagg. 5-23). È poi, alla fine della guida, la debita carta stradale di Capodistria, che si desidererebbe, a dir vero, un po' meno evanescente, massime ne' nomi delle vie. Credo però alquanto esorbitante il prezzo della guida (fiorini uuoi; e non sono inoltre d' accordo con quel trattare che fa il Venturini di sottogamba., quasi, certi fatti storici, scherzandovi su e ricamandoli d' inopportune facezie : cosa che potrà forse piacere a qualche perdigiorno, tua che saprà male di certo al viaggiatore serio e allo studioso di professione. Pe' quali ultimi poi 11011 sarebbe stato inutile che la guida contenesse anche, là dove meglio s' affaceva, 1111 po' di bibliografia: 11011 molto, dico, ma quel tanto che basta a mettere su la buona strada i volonterosi. E con ciò panni d' aver anche troppo minuziosamente riveduto le bucce all'ultima operetta dell'egregio nostro Venturini, il quale, com'è prevedibile, i comprovinciali costringeranno ben presto a mandar fuori una seconda edizione della sua guida : che sarà 1' elogio di essa più eloquente e più meritato. <;. . Musner, In tomo all'orinine ed alla pubblicazione delle 'Ultime lettere di Jacopo Ortis' di Ugo Foscolo, in Programma dell'i, r. Ginnasio superiore di Capodistria, Capodistria. Stabilim. tipogr. Carlo Priora, 1!)0<>; pp. 3-24. Diligente ed esatto riassunto delle indagini che gli studiosi prodigarono nell'ultimo quarto di secolo intorno al problema dell'origine, composizione e pubblicazione della famosa operetta foscoliana. Le conclusioni meglio fondate si presentano qui con un corredo di ragioni assennatamente discusse: ogni tanto, vale a dire a luogo opportuno, si leggono belle pagine di considerazioni personali sugi' indirizzi letterari e sulle vicende politiche de' tempi. Per conto nostro avremmo desiderato, poiché l'autore ne aveva P occasione (a pp. IO e 24), almeno il richiamo di Francesco De Sanetis, Nuovi saggi critici, (Napoli 1K79, pp. 131, 141), al quale, a proposito dell'energia un po' retorica e della tenerezza 1111 po'arcadica, tipo Rousseau, che si riscontra liei romanzetto del Foscolo, e a proposito delle relazioni estetiche fra il Werther e l'Ortis, si devono delle geniali meditazioni, 11011 superate ancora da nessuno. Riguardo poi alle relazioni materiali fra il Werther e 1'Ortis, ci pare anche 11011 trascurabile," oltre alle riferite di altri, l'osservazione, anteriore, di Guido Mazzoni, /,' Ottocento, Milano, Vallardi, p. 127 sg., il quale nota, come 'nell' ultima lettera della prima parte della Vera storia Jacopo Ortis, nell' inviare in dono a Teresa alcuni libri, nomina tra questi il 11 erther. Fu supposto che quella lettera 11011 sia del Foscolo, si del Sassoli ; ma tale supposizione 11011 sarà accettata da chi consideri la stranezza del fatto cui si verrebbe, ammettendo che il continuatore cominciasse 1' opera sua dall' ultima lettera della prima parte anzi che dalla prima lettera della seconda : e a rincalzo è da osservare che la lettera medesima si ritrova nel romanzo compiuto, salvo che il Foscolo ne tolse via quel periodo su 1' invio dei libri'. Detto ciò, non ci resta che congratularci col nostro maggiore Istituto d'educazione per la nuova t'orza insegnante venuta ad arricchire con un dotto e garbato contributo la collana già numerosissima delle monografie storico - scientifico - letterarie comparse ne' suoi annuari; mentre cogliamo 1' occasione di rettificare 1' asserzione recente ili un giornale triestino, secondo il quale il Ginnasio di Capodistria avrebbe, appena quest'anno, 'ripristinata l'antica e decorosa costumanza di pubblicare, nella prima parte' del suo 'programma', 'uno studio critico-letterario' ! Per quanto a noi consta, nulla d'antico c'era da ripristinare. Tutti gl'istituti educativi hanno pubblicato, per volontà del Ministero dell'istruzione, il catalogo delle loro biblioteche. K altrettanto ha fatto il nostro Ginnasio. Appunto per togliere al proprio annuario una certa aridità che gli sarebbe derivata dalla stampa integrale del catalogo, lunghissimo, in un volume solo, si era pensato di darlo fuori a puntate, lasciando il resto dello spazio disponibile al solito lavoro scientifico. Dopo due anni però, il grosso del catalogo era ancora inedito, sicché por ismaltirlo, finalmente, si pubblicò quanto era rimasto indietro, tutto in una volta, 1' anno scorso.... e furono 42 pagine fitte! F. P. E. Boegan, Le sorgenti d.' Aurisina con appunti sull'idrografia sotterranea e sui fenomeni ilei Carso. Estratto dalle «Alpi Giulie» , A. 1905, N.ri 3, 4, 5, (5, A. 1906, N.ri 1, 2 e 3. Trieste 190«. Nei primi capitoli si tratta estesamente delle sorgenti d'Aurisina che forniscono 1' acqua potabile a Trieste ; osse, secondo il nostro A., ànno la loro origine dal corso sotterraneo del Timavo che a sua volta dovrebbe star in relazione col Rocca che s'inabissa a S. Canziano. Su questo strano fiume si discorro a lungo, e si passano in rassegna gli studi principali e le esperienze fatte in precedenza sulla sua continuità sotterranea. Interessanti capitoli sono dedicati ai principali fenomeni carsici, si idrografici che geologici. Alcuni lucidi schizzi e non poche ben riuscite riproduzioni di fotografie rendono ancor più attraente la lettura di questo istruttivo lavoro. (>• «Il Sig. F. Babudri raccoglie alcune 'credenze e costumi della città di Cherso' (Capodistria, Cobol e Priora di pagg. 1(5 in 16") recando cosi un utili' contributo agli studi demopsicologici italiani, non solo additando ciò che ha di speciali usanze il luogo nativo, ma ravvicinandovi usanze popolari di altro parti d' Italia e dimostrando per tal modo 1' italianità di Cherso e dell' Istria in generale» (Dalla Rassegna bibliogr. della letter. it., Pisa, A. XIII, 1905, Fa.sc. 9-10). — Vedasi pure la favorevole retensione che sull'opuscolo del Babudri publicò il Prof. Giannini in Xiccolù Tommaseo, Arezzo, A. II, 1905, N. 9-10. In occasiono doli' ottantesimo compleanno del prof. Paolo Tedeschi la nostra direzione inviò a quell' egregio patriota e letterato le suo felicitazioni e si riserva di tesserne le lodi in uno dei prossimi numeri. Diuretico Vbmtu i .vi, direttore — C»«to Priori, editore e redattore responsabile, stab. Tip. Carlo Priora, Capodistria.