received: 2006-09-14 UDC 316.654:343.1"18" original scientific article LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO LE CRONACHE GIUDIZIARIE DI FINE OTTOCENTO Patrizia DE SALVO Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Storia e Comparazione degli Ordinamenti Giuridici e Politici, IT-98122 Messina, Piazza XX Settembre, 4 e-mail: pdesalvo@unime.it SINTESI Le vicende giudiziarie della fine del secolo XIX entravano nei circuiti della co-scienza pubblica, che si andava formando e intricando intorno a storie dibattute nei tribunali, anche grazie ai racconti dei processi proposti sulle pagine dei giornali. Attraverso lo studio di tali strumenti (riviste, giornali, opuscoli, monografie), si vuole verificare la percezione che l'opinione pubblica aveva dei nuovi e diversi istituti del diritto processuale, quali la giuria, il dibattimento orale, ecc., che aveva-no destato numerose critiche anche tra i maggiori esponenti della dottrina penale italiana. Parole chiave: cronaca, opinione pubblica, giustizia, processo, giuria, XIXsecolo. REPRESENTATION OF PENAL JUSTICE THROUGH LAW REPORTS OF THE LATE 19th CENTURY ABSTRACT In the late l9h century judicial events would enter the circuits of public consciousness that was formed around and involved by court stories and through trial narratives published by the press. The objectives of the research of these media (magazines, newspapers, leaflets, monographs) included the verification of the public perception of new and different institutions of procedural law, such as the jury, oral discussion, etc., that had evoked numerous criticisms including among the most prominent representatives of the Italian penal doctrine. Key words: report, public opinion, justice, trial, jury, 1£fh century 705 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 INTRODUZIONE Intorno alla metà dell'800, in Italia, anche grazie al progressivo abbandono della concezione utilitaristica del diritto di derivazione illuministica, nasceva la cosiddetta "scuola classica", alla quale, fra l'altro, va riconosciuto il merito di aver delineato buona parte dei princípi del moderno diritto penale: la necessità della certezza, i prin-cípi di legalità, uguaglianza e non punibilità per analogia, la presunzione di innocen-za e l'inviolabilità del diritto alla difesa. Per i penalisti che si riconoscevano in quella scuola, primo fra tutti Francesco Carrara, l'uomo violava le norme nella più totale libertà ed era quindi pienamente responsabile dei reati che commetteva, fatti salvi i casi accertati di alienazione mentale. A tale impostazione si contrapponevano le nuove scienze che prendevano corpo nella seconda metà del secolo XIX, quali l'antropologia, la sociologia, la criminologia e la medicina legale, che consideravano i comportamenti umani sotto aspetti nuo-vi e diversi. L'oppositore più conosciuto alle idee della scuola penale classica era Cesare Lombroso, che valutava il delitto quale fenomeno naturale, ritenendo il diritto penale una scienza naturalistica simile alle altre discipline che studiavano l'uomo. Per Lom-broso lo studio del reato doveva spostarsi dall'astratta violazione della norma alla concreta valutazione del reo. Da questo cambiamento di prospettiva derivava anche un mutamento significativo del processo penale. Gli ultimi decenni del secolo XIX si caratterizzavano, quindi, per un importante dibattito scientifico sul diritto penale e sulla procedura, anche se larga parte dei pe-nalisti italiani non era pronta all'impatto con le "scienze nuove", operando in un settore che risentiva dell'apporto di impostazioni metodologiche diverse, dovute alle tradizioni culturali maturate soprattutto in area toscana, napoletana e lombarda. Inol-tre, i penalisti avevano il compito di trovare una soluzione alla vasta mole di questio-ni urgenti e di problemi pratici, derivanti dall'unificazione del Regno quali, ad esem-pio, la crescita dei fenomeni criminali, lo stato di grave inadeguatezza degli apparati sia dissuasivi sia repressivi, la sostanziale vigenza nel paese di tre codici penali e la questione irrisolta della pena capitale (Sbriccoli, 1990, 162-163).1 Strettamente connessa alle istanze riformiste che si dibattevano nell'ambito della scienza del diritto penale era dunque l'ampia riflessione che si sviluppava sulla ri-forma del sistema processuale. 1 Mario Sbriccoli sottolineava, con riferimento alle problematiche connesse alla realizzazione di un codice penale unitario, che "L'unificazione penale, falliti i primi tentativi non sembrava prossima a venire. [...] Tra le tante questioni aperte, l'abolizione della pena di morte era certo quella che faceva discutere di più". Sulla circostanza che portava alla vigenza nella penisola di tre diversi codici, si veda Vassalli, 1960, 261-279; Aquarone, 1960, 73-79. 706 Patnzia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 Fig. 1: Processi Celebri, Roma, 1891. Sl. 1: Processi Celebri, Rim, 1891. 707 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 Per la "scuola classica" il processo aveva come fine di verificare le prove generiche e specifiche del reato, di individuare il reo e di comminargli una pena equa. Mentre per i sostenitori di quella che prendeva il nome di "scuola positiva", il processo aveva lo scopo principale di accertare se il delitto poteva essere effettivamente at-tribuito al comportamento fisico ed all'elaborazione mentale del reo, a determinare la pericolositá di questo tenuto conto della sua personalitá e delle circostanze che l'ave-vano condotto al delitto ed infine a porlo nella condizione di non poter più nuocere grazie ad un regime di costrizione adeguato. Per giungere a questi risultati il processo penale doveva configurarsi come una valutazione scientifica. I collegi giudicanti dovevano essere composti non solo da operatori del diritto ma anche da tecnici. Sotto accusa veniva messa la demagogia processuale, la scarsezza di preparazione antropologica e di buon senso comune dei magistrati, l'indirizzo quasi esclusivamente retorico delle difese, le giurie popolari che trasformavano i giudizi criminali in un gioco di fortuna e che apparivano idonee ad esprimere valutazioni efficaci soltanto nell'ambito dei processi politici. OPINIONE PUBBLICA E ISTITUTI PROCESSUALI La scuola classica e la scuola positiva davano cosi vita ad un lavorio intellettuale cui prendevano parte attenti e sensibili studiosi di chiara fama come Francesco Carrara ma anche giuristi più giovani, come Pietro Ellero, Enrico Pessina, Luigi Lucchini, Ferdinando Puglia, Francesco Faranda, che avrebbero svolto funzioni di critica giuri-dica e di unificazione culturale, pur nella differenza delle loro convinzioni personali, grazie all'impegno nell'insegnamento universitario e negli alti gradi della magistratura, e sarebbero stati presenti in tante battaglie civili, a cominciare da quella in-gaggiata per l'abolizione della pena di morte. Il loro pensiero trovava rilevanza nazionale e internazionale nelle riviste da essi stessi fondate o di cui sarebbero stati attivi collaboratori. Gli anni Settanta del secolo XIX si caratterizzavano proprio per il diversificarsi delle riviste giuridiche2 e l'imporsi di un modello scientifico espressione del mondo accademico e più genericamente colto che, ad esempio, si concretizzava nelle scelte editoriali della Rivista Penale, fondata nel 1874 da Luigi Lucchini, che, rileva Mario Sbriccoli, costituiva da sola "uno specchio in cui decenni di storia si sono riflessi in maniera tanto ricca, completa e persuasiva, da poter essere ricostruiti - nel loro ver- 2 Esempi possono essere, l'Archivio giuridico di Filippo Serafini, fondato nel 1868, cui seguiva il Circolo Giuridico. Rivista di legislazione e giurisprudenza di Luigi Sampolo, edito nel 1870, o come Il Filangieri che, fondato nel 1876, segnava per diversi aspetti un rinnovamento nel mondo delle riviste pratiche. Le iniziative volte a valorizzare i periodici giuridici si sono moltiplicate in epoca recente: di rilevanza internazionale, ad esempio, è stato il Seminario, tenutosi Buenos Aires nel 1994, sul tema La revista jurídica en la cultura contemporánea. Un contributo molto importante è stato dato, in Italia, dal Centro di Studi florentino. 708 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 sante giuridico, e per ció che attiene alle politiche penali di questo paese - semplice-mente a partire dalle sue pagine" (Sbriccoli, 1987). In tal modo cercava di far attec-chire nell'opinione pubblica culturalmente attrezzata, l'importanza che avevano as-sunto, per gli studi penali e criminologici, i nuovi modelli evoluzionisti e positivisti (De Salvo, 2002).3 Ferdinando Puglia, dalle pagine del Circolo Giuridico, affermava che: "ormai non si mette più in dubbio da chi à fiore di senno la immensa utilità che à apportato il progresso scientifico della psichiatria nel trattamento degli alienati, cosí nell'ordine giuridico come amministrativo. Oramai è riconosciuto da tutti che, trattandosi di disturbi nelle funzionipsichiche, la competenza a giudicare è dell'alie-nista e non più del filosofo o del giureconsulto. Eppure si deplora ancora, che non pochi giuristi non vogliano porgere benigno orecchio a certe dottrine mediche, da loro credute sovversive di ogni ordine morale e sociale, quali sono appunto le dottri-ne riguardanti alcune specie di monomanie. Fa pena udire ancora magistrati, che respingono come sogni i responsi dei periti, che vengono in giudizio in nome della scienza e della giustizia" (Puglia, 1878, 290; v. anche Puglia, 1880; Puglia, 1881a; Puglia, 1881b; Puglia, 1887-1888). E Luigi Fulci, ancora a metà degli anni Ottanta, nella prolusione tenuta nell'Ate-neo Messinese in occasione dell'apertura dell'anno accademico 1884/85, sosteneva che il naturalismo aveva fatto definitivamente il suo ingresso nelle discipline giuridi-che, specie nella scienza del diritto penale, e se la scienza del diritto penale da Becca-ria a Carrara era stata un continuo apostolato a vantaggio della libertà civile, non si poteva negare l'importanza dell'apporto delle nuove ricerche antropologiche e socio-logiche (Fulci, 1885). Le considerazioni dei penalisti italiani trovavano spazio anche su pubblicazioni non tecniche,4 pur avendo ad oggetto la crisi del processo penale italiano: a loro 3 Su queste tematiche e sul dibattito sviluppatosi sui periodici giuridici, si veda, con particolare riferi-mento alle riviste giuridiche siciliane, De Salvo, 2002. 4 Sulla Rivista dei Dibattimenti Celebii veniva pubblicato il programma del Primo Congresso Giuridico italiano: le tesi e i nomi dei relatori. Gli argomenti all'ordine del giorno erano di grande attualità: 1) Del sistema delle pene nel progetto del nuovo Codice Penale italiano, disaminando in particolar modo il problema dell'abolizione della pena di morte e della pena a vita. Proposta delle pene da surrogarsi (relatori: Pasquale Stanislao Mancini, Augusto Pierantoni, Giuseppe Piroli, Francesco Carrara, Raf-faele Marchetti, Domenico Giuriati); 2) Ricerche intorno ad una maggiore brevità del processo penale, conciliando il rispetto alla libertà individuale con la garentia dell'ordine sociale. Studiare segnatamente le imperfezioni dell'odierno ordinamento e delle relazioni tra l'Istruttore e la Camera di Consiglio; non che se possano, ed in qual misura, introdursi le garentie della oralità e del contraddittorio degli im-putati, anche nello stadio della istruzione preparatoria (relatori: Francesco Antonio Casella, Leopoldo Tarantini, Giovanni Florenzano, Ottavio Cecaro, Carlo Palomba, Giuseppe Guastalla); 3) Della istituzione dei giurati nei giudizi penali. Se ne studiino le attuali condizioni e se ne additino i migliora-menti e le riforme, che senza menomare il concetto liberale e politico, garantiscano la imparziale e il-luminata applicazione della giustizia (relatori: Giuseppe Pisanelli, Nicola Amore, Tommaso Villa, Leonida Busi, Gennaro Defilippo, Enrico Pessina; 4) Si propongano le riforme che la esperienza, dal 1865 709 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 avviso esso non rispondeva alle esigenze della scienza e, aggiungevano, "non rispon-derà assolutamente, quando l'Italia avrà la gloria di un nuovo Codice Penale" (Manduca, 1888, 7). Non era, pertanto, casuale che l'interesse per le procedure e, di conseguenza, per i processi più intriganti portasse alla pubblicazione di riviste ed opuscoli dedicati a cause famose dibattute innanzi alle corti d'appello. Se per un verso, a differenza delle numerose riviste giuridiche, che vedevano la luce soprattutto a partire dagli anni Settanta del secolo XIX, destinate ai cultori e ai tecnici delle scienze giuridiche, quelle pagine contenevano "fremiti di passioni e di vita", con il ricordo di delitti memorabili e di "creature" spinte a delinquere nel tur-bamento dei sentimenti, piuttosto che saggi scientifici; per altro verso grazie a quelle letture (riviste, giornali, opuscoli, monografie), che si rivolgevano ad un pubblico più ampio e meno tecnico, era possibile far nascere nell'opinione pubblica non solo l'interesse per taluni istituti del diritto processuale, quali la giuria o il dibattimento orale, ma anche per le nuove scienze mediche, psicologiche, antropologiche, applicate al diritto penale, verificandone la percezione sociale. Del resto, sin dal Settecento e per tutto il secolo successivo, le vicende giudiziarie erano entrate nei circuiti dell'opinione pubblica, interessata alle storie dibattute nei tribunali, anche attraverso i racconti dei processi proposti sulle pagine dei giornali.5 finora, ha reputate necessarie, intorno al Codice di procedura civile italiano; tenuto conto dei varii sistemi vigenti negli antichi Stati, e preferendo quelli che garentiscano, con minore fastidio e spesa, i dritti dei litiganti (di questo argomento si occupavano due sezioni, una composta da: Vincenzo Di Marco, Angelo Camerini, Teodorico Soria, Giovan Battista Varè, Tito Orsini; l'altra da Giuseppe Marchetti, Felice Des Jardins, Emilio Pacifici Mazzoni, Domenico Duranti Valentini, Agostino Pag-noncelli, Benedetto Ferrantini; 5) Studio sull'esercizio della professione di Avvocato e Procuratore, e sulla necessità di una rappresentanza della medesima, togliendo a disamina tradizioni italiane ed esem-pi stranieri. Revisione delle tariffe giudiziarie vigenti in Italia, nonché dei nuovi progetti Ministeriali su questa materia, cosi in rapporto ai diritti fiscali, come in rapporto agli uffiziali giudiziarii (relatori: Pietro Pericoli, Antonio Mosca, Augusto Cataldi, Francesco Fulvio, Cesare Norsa, Giuseppe Caluci; 6) Per gli abusi che si sono fin qui verificati nella materia dei conflitti di giurisdizione, elevati fra il potere amministrativo e il potere giudiziario, risolvere quali norme sieno da surrogarsi, per regolare i detti conflitti, alla legge provvisoria del 25 novembre 1859 (relatori: Pasquale Stanislao Mancini, Giuseppe Mantellini, Giuseppe Saredo, Felice M. Des Jardins, Ottavio Lucchini, Alessandro Bussolini; 7) Si ad-ditino le più urgenti riforme reclamate dal vigente ordinamento giudiziario italiano. Si prenda in esame la convenienza di conservare o modificare l'istituto del Pubblico Ministero nelle materie civili e penali. Si discuta la convenienza di unificare la Corte di Cassazione in Italia; non che i motivi per preferire questo istituto a quello della Terza Istanza; ovvero un sistema che li ammetta entrambi, con diversità di attribuzioni (per quest'ultimo punto erano previste due sezioni: la prima aveva come relatori, Urbano Rattazzi come presidente, Giuseppe Panattoni, Luigi Samminiatelli, Antonio C. F. Gabba, Filippo Serafini, Giovanni Carcano, Giuseppe Ceneri, Francesco De Marco, Enrico Castellano, Francesco Restelli; la seconda sezione era composta da Giuseppe Piacentini Rinaldi, Augusto Cataldi, Giuseppe Marchetti, Alessandro Bencivenga Barbaro, Luigi Alibrandi, Luigi Pianciani (RDC, 1871, 138-139). 5 È noto che a partire dal secolo XVIII nasceva il genere letterario delle cosiddette "cause celebri" che, se per un verso, destava curiosità nel pubblico lettore, per un altro verso rifletteva anche una percezio- 710 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 La lettura di quei resoconti riportati dalla stampa permette d'indagare il mondo del processo penale e la percezione che di esso aveva l'opinione pubblica. In Italia, e peraltro non diversamente dal resto d'Europa, l'interesse dei lettori restava attratto dalle udienze che rivelavano storie di delitti inquietanti e di enigmatici casi di vita. Di particolare rilievo appare il modo in cui, proprio attraverso il racconto degli avvocati e dei giuristi che commentavano i processi, emergeva la considerazione che la società civile aveva della giustizia italiana. Alla luce di queste considerazioni, non era un caso che nel 1871 a Milano, patria dei Verri e di Beccaria, venisse fondato da una società di avvocati un quindicinale, la Rivista dei Dibattimenti Celebri, che aveva come obiettivo proprio la divulgazione delle tesi proposte in quegli anni dalla scienza penale (De Salvo, 2004). Francesco Carrara, socio e collaboratore del giornale (insieme a Vincenzo Flo-renzano, Baldassare Paoli, Gaetano Mosca, Enrico Pessina, Domenico Giuriati, Pie-tro Ellero, Giuseppe Ceneri, Antonio Buccellati, Pasquale Stanislao Mancini, Ercole Vidari, alcuni dei quali rappresentavano il meglio sul versante scientifico del fronte abolizionista), ne stilava il manifesto e non mancava di intervenire nei resoconti di quei processi dove, in maniera più evidente, emergeva la carenza del sistema proces-suale italiano, che non sempre teneva conto del possibile apporto di quelle discipline, quali la sociologia criminale, l'antropologia culturale, l'antropometria, che imponeva-no scelte e soluzioni diverse dalle tradizionali. Il professore pisano, proponendo il programma della rivista, sottolineava in parti-colare le "nuove conquiste della civile libertà", individuando tra queste la giuria e il processo orale che pero dovevano essere perfezionate attraverso lo sviluppo del gior-nalismo giuridico. Egli infatti metteva in guardia nei confronti delle "due nuove con-dizioni di fatto tra le quali è venuta oggi a vivere la giustizia penale: voglio dire la oralità dei giudizi e la giuria. Queste due condizioni di fatto ormai irretrattabili, nelle quali si esprime quanto è indispensabile per un popolo civile perché sia giustizia la giustizia, e perché dessa sia protettrice e non carnefice del diritto e delle libertà ci-vili, hanno in ció il lato della loro bellezza: dessa è tale che vince ogni contrarietà ed ogni inconveniente e basta a renderle care ad ognuno che sia amatore della vera libertà. Ma al tempo stesso pero bisogna confessare che le medesime pongono a peri-colo di indietreggiare la scienza, la quale non puó farsi ricca dei monumenti neces-sari al suo progresso ed al mantenimento delle sue tradizioni per via di arringhe im-provvisate da eloquenti patroni o per via di risibili raccolte dei si e dei no pronun-ziati dalla giuria, quando agli studiosi manca il testo di scritta procedura conserva- ne "letteraria" del processo penale cui era sottesa la netta affermazione di una giustizia punitiva che imponeva in tal modo anche alcuni suoi stereotipi più diffusi. In Francia, e da qui in tutta l'Europa, il nuovo genere letterario, inaugurato da François Gayot de Pitaval, vedeva l'opinione pubblica divenire curiosa e attenta alle vicende dei dibattimenti di maggiore rilievo e coinvolgimento emotivo. 711 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 trice dei fatti ai quali il dire e il rispondere furono consequenziali; e nei quali è im-possibile con giuridico criterio dimandare le ragioni di quel dire e di quel risponde-re col solo presidio di verbali di udienza miserabilmente precipitati, e il più delle volte inesatti" (Carrara, 1871). Attraverso quella Rivista, il Cararra segnalava alla pubblica opinione gli inconve-nienti pratici derivanti dall'adozione, nell'impianto processuale, della giuria, partendo dall'analisi del processo a carico di Achille Agnoletti, colpevole di avere procurato la morte del figlio di tre anni, annegandolo in un canale. Considerato che nei processi sia l'accusa sia la difesa sottoponevano alle giurie popolari questioni gravissime di medicina legale, biologia, antropologia, sociologia, psicologia, psichiatria criminale, che non era possibile risolvere con il semplice buon senso, pareva ovvio che il "magistrate giudicante" dovesse possedere delle conoscen-ze ampie e specifiche o servirsi dell'apporto di periti. La critica mossa all'istituto, cosi come era tradizionalmente composto, trovava fondamento nella considerazione che la generalità dei giurati non comprendeva il linguaggio tecnico dei periti: "La coscienza sociale - si diceva - non puó riposare in un verdetto profferito da magistrati profani agli studi medico-legali, tutte le volte che la responsabilità penale dell'agente incriminato dipenda dalla risoluzione di una questione medico-legale, come per esempio nei reati di veneficio, aborto, infanticidio" (Manduca, 1888, 155-156). Anche Lombroso sottolineava come: "Lasciare all'istinto popolare, al sentimento predominante del momento il decidere di un fatto in cui anzi tutto occorre spogliarsi del sentimento non è egli agire in linea diametralmente opposta alla giustizia?" (Lombroso, 1876). E proprio con riferimento ai processi che si svolgevano nelle corti d'assise, Cesare Lombroso sottolineava la situazione in cui si veniva a trovare chi as-sistendo a quei dibattimenti osservava con meraviglia giudizi e fatti contraddittori che si alternavano "con perpetua e triste vicenda". Infatti, "Da una parte il giudice, astraendo quasi sempre il reo dal reato, riguarda spesso il crimine come un aned-doto, un incidente della vita dello sciagurato suo autore, incidente che non ha nessu-na ragione per doversi ripetere; dall'altra costui, colla rarità del pentimento, colla continua recidività, che va al S0, al SS, all'80%, colla costante ricorrenza a dati periodi solari, si dà cura di mostrare il contrario, con troppo danno e dispendio della società [...], e mentre gli alienisti trovano in molti casi impossibile lo scindere, con taglio reciso, la pazzia dal delitto, il legislatore invece spesso non si dà inteso delle ardite affermazioni di questi, né delle timide obbiezioni degli ufficiali carcerarii. [...] Quanto al volgo e al giurato, che rappresenta il volgo, ma purtroppo un volgo ar-mato e potente, ei si ride degli uni e degli altri, e badando più che ai dettami della scienza, a quelli del cuore, ritorna spesso a quella, che era la primitiva giustizia, alla vendetta sociale, e quanto più strano e feroce è il delitto e maggiore del dubbio il raccapriccio, più sicuramente e fieramente colpisce " (Lombroso, 1876). 712 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 A mío lis Crdiiiinjo l.J*W: Ninn. L. RI VISTA D E I DIBATTIMENTI CELEBRI ; PREZZi D'ASSOCIAZIONE | In Milano (a domicilio) » ¡n / talla llAlia ■ < » . ï.. W — < J IVr I' Estero.....>18 — > i«p*.ra(o Črni. H O r&fltmciLil wlWpail. Si pubklioa due volto al moso REC3ATTORI ^vv, í o j/lotkjrio e ^VV, j^JCCAÏ\pO j^AVESl L'UFFICJO DI REDAZIONE V' Milana. Via Riipmwu.i n s. II Iníplinr minio per nVl>nn»r»i , i"' i|ii lo líinvlflM v.tjjlia pos tAl-;ii(r*i;tfr> nil AmiiiInlHlnuIono ilolt.i Itiiint* del DIliallLiiienll iVIrlirl Iii }JITfln<>. S O M M A R I O ■ A! noilri lollori. — Procesan ílnirllgnoiii Borgomniiero {gmuxiono ron omîciiîiri). — ProttUio I'roslili « Riipamtl. — Vnriolá. Al NOSTRI LETTORI. i. La lotta filie fu ehiamata del cento anm incommciata dal Jlüccaria : i» lottií cioè fra una dottrina pénalo disumann ed ingiuata cha por un eongcgno ili fnrxe funesto si era sovraimposta a tutta Europa, ed un ginre punitivo cho ragionotím uinano, conformo ni santi Ífrintipii del »¡nato« à ríspondájite alia Silvia civilti dei popoli: queata lotta alia (juale bí connetto lo avyenire (folie »azioni; parve tostû ad un giovtno o bello in^egn» polei-si dira /titila. E cosí voles i- Dio üho 0K!Í!L raniment« lo foue; o lo fo«so merci lo irrévocable trlonfo del le, pifi grandi veri 14 e dollo pifa *ane dottrine. Ma oqIuí al qilnlo incurvr,: i la aehiena por cin-quanta lunglú ani)i di Indofeímo o»sor-vhzinni Millo mali-riu ponuli non puíi frenare un mosto sorriso di SSRtieismo ;i í|nolla iattauxa di guerra finita ; e non considerarla piuttosto come una Bdaníia giovnnile ispirata dalla candida fodo di un'nnima gentile, anzielió come un liilto elio iuviti a tleporre io armi. 10 rammento como olio Instri or sonó giá si intnonasse dagli uoraíní di férvida mente quest.o liotissiruo osantia meutre ttittavia durava quella oseo-nitií dellu gogna; monteo duravano io iro vesana contra i contumaci di niente culpovoli tranuo di tornero lo squallore del cai'cero; o dura va queila iniquita dolía morto eivile, o duravano i tío— litti di non rivelaziono, u tan ti aHri ltefandi rnderi dulla antiea barbarie ; i (j u al i poscia vidi ad uno ad uno eom-Jjattuti o dispersi emno IVanttimi di olborii ¡mputridito. to rioordo eoiuo npg ha guarí lo illiisl.ro Zacearía lan-eiasso con tro lu leggi ooiitomporiineo 11 crucoioso rimpi'ovoro olio si contieno in (molla doloi'osa senton^a — i poslcri chiamorantib barl/aró il itoslro yi/tre p/malv come tu/i cfiiamiamo barí/aro >1 ffture bttmhi tfogli ijK!to danc|iii: eoWMlorai'ú come liniia Fig. 2: Rivista dei Dibattimenti Celebri, a. I, n. 1, Milano, 15 Gennaio 1872. Sl. 2: Revija Rivista dei Dibattimenti Celebri, 1.1, št. 1, Milan, 15. januar 1872. 713 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 La causa contro il conte Agnoletti, discussa davanti alla corte d'Assise di Milano, tra il giugno e il luglio del 1872, suscitava vivo interesse nell'opinione pubblica, al punto che, in quello stesso anno, venivano stampate varie monografie sull'argomento (v. Processo contro Achille Agnoletti, 1872; Griffini, Verga, 1872; Gandolfi, 1873; Processo Agnoletti, 1872). Nell'accusa prevaleva la tesi della vendetta trasversale. Si diceva, ad esempio, che il conte aveva ucciso il figlio Carlo "per arrecare perpetua e miseranda afflizione alla moglie di lui tolta in odio per il negato denaro". Il Carrara non condivideva l'assunto e, cercando un motivo diverso e più plausibile per quel drammatico gesto, lo rintrac-ciava in un ipotizzabile eccesso di pazzia. La stessa domanda si poneva la gente comune, il pubblico che prendeva parte al processo: "Ragionava o non ragionava l'Agnoletti quando si gettô nella Roggia Balos-sa col figlio?". Sul punto si chiedeva una risposta dai periti tale da dare ai giurati la possibilità di convincersi se, in quei momenti tragici, l'autore dell'efferato delitto era o no "sotto un accesso più o meno intenso di pazzia, oppure nello stato ordinario di mente nel quale trovasi ogni uomo illeso nelle facoltà intellettive" (Carrara, 1872, 395396). Le conclusioni della commissione di esperti "cinque luminari giustamente famigerati per probità, esperienza e dottrina", non fornivano alcuna certezza, al punto che non riuscendo a qualificare il comportamento dell'Agnoletti in una formula medica adattabile al caso, si ricorreva all'uso delle attenuanti. Il verdetto era comun-que di pienezza di responsabilità morale e premeditazione. Il ricorso alle attenuanti, proposto dai periti e fatto proprio dalla giuria, evitava la pena capitale facendo condannare l'omicida al carcere a vita. La sentenza tuttavia lasciava irrisolti altri quesiti che portavano il Carrara a porre in dubbio l'operato della giuria e a dire: "Io rispetto il tremendo oracolo. Lo rispetto perché non sono tra coloro i quali per partigiane prevenzioni sindacano ogni passo della giuria per coglierne occasio-ne di abituale discredito. Lo rispetto e lo venero, perché non è opera di un buon cit-tadino menomare l'ossequio ai pronunciati della giustizia popolare anche quando questa decide un 'ardua questione alienistica. Ma il rispetto e la venerazione non possono impedire i dubbi che vengono a turbare la mente perché i dubbi non sono atto di volontà, ma evoluzione di un sentimento irresistibile a cui la volontà non impera [...]. Tutto in una parola commuove ad insolita titubanza e stanca ed opprime ed esinanisce lo intelletto di chi contempla questo misteriosissimo dramma, tutto spinge la coscienza in quella condizione di dubbio che è la disdegnosa confessione dell'umana impotenza. Tutto conduce a desiderare una seconda prova la quale svol-tasi in un ambiente più sereno e con maggiore ricchezza di elementi giunga a togliere dalla pubblica coscienza il sospetto che siasi condannato un demente. Finché io non mi sentiro sollevato da questo peso, finché udro numerosi gruppi di 714 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 rispettabili cittadini ripetersi a vicenda questa paurosa dimanda, era egli pazzo o non era pazzo... e rispondere col silenzio, io non potro dimettere questo pensiero" (Carrara, 1872, 411). Non diversamente, Francesco Faranda esprimeva, sulle pagine della Temi Zan-clea (De Salvo, 2002),6 un giudizio piuttosto duro sugli errori giudiziari determinati dalla scarsa competenza di alcuni "magistrati, o dovuti all'imperizia della cosi detta coscienza pubblica, rappresentata da 12 giurati scelti Dio sa come, e perché, e con quanto profitto della privata, e della pubblica libertà, e sicurezza" (Faranda, 1872). Non era un caso dunque che si parlasse della giuria proprio come di un "elemento" del processo da ritoccare, e venissero individuati diversi nodi critici, quali la for-mazione delle liste, il responso dei giurati, la necessità di trovare un rimedio per certi verdetti scandalosi, che bisognavano urgentemente di una soluzione. Si voleva un provvedimento tale da rialzare la fiducia del paese nei confronti di quell'istituto, poiché spesso si assisteva "al desolante spettacolo di sentire leggere il verdetto dal capo dei giurati sillabando, non sapendolo leggere bene" (Manduca, 1888, 135). Si esigeva, dunque, da più parti una riforma della giuria per riportarla "all'altezza della sua missione, accusandone [...] i verdetti di ignoranza e di corruzione. E per tale riforma dalla stampa periodica, eforato dell'opinione pubblica, dalla cattedra, dal parlamento [...] si eleva [va] una voce di protesta, di nobile indignazione ogni volta che un verdetto, affatto rispondente al significado vero di tale vocabolo, [veni-va] a turbare la coscienza popolare, a gittare il discredito sull'istituzione dei giurati, a fare diffidare della giustizia umana " (Bianchi, 1894, 262). Si pretendeva che la giuria fosse composta da persone fornite di una maggiore cultura, attestata dal possesso della licenza liceale o tecnica. "Per giudicare un fatto delittuoso infatti - scriveva Enrico Pessina - non basta il semplice buon senso, ma si richiede un costante lavoro di analisi e di sintesi, forza di attenzione per l'una, forza di memoria per l'altra, prudenza pratica, certe cognizioni tecniche che pure s 'addimandano per risolvere questioni intorno all'esistenza di fatti permanenti, sia relativi alla pruova generica, sia relativi alla pruova specifica dei reati" (Pessina, 1874). Anche il Buccellati, nelle osservazioni critiche al processo ad Abramo Bettino, assassino del figlio, di cui la Rivista dei Dibattimenti Celebri riportava la cronaca, non poteva fare a meno, per determinare l'imputabilità o l'innocenza dell'autore dell'omicidio, di partire dai sintomi esterni, come egli li definiva, e, con l'aiuto della fisiologia-patologica e della frenologia, arrivare a chiarire che: "L'imputato, che ci si offre avanti, ha una testa alquanto asimetrica, la fronte de-pressa, turgide le vene, l'occhio incerto, polso incostante, con macchie di pellagra, 6 La Temi Zanclea era una rivista giuridica, stampata a Messina dal 1870 al 1881. 715 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 instecchito il corpo curva e cascante la persona. Che tutti i testimoni dichiarino que-sto sciagurato aver agito sempre con intelligenza, nulla monta. Alla scienza - si presenta un uomo anormale, onde il psichiatro non s'acqueta all'apparente assesta-mento delle facoltà razionali; esso oggi indaga donde poteva procedere anche il moto all'intelligenza. E se questo moto lo riconosce in una malattia dello spirito, resa manifesta da sintomi esterni, in una intemperante e fallace influenza del senti-mento; se in breve si puô giungere a constatare essere questo miserabile un pella-groso affetto da allucinamento, si potrebbe anche conchiudere: non sussistervi alcu-na imputabilità, e quindi l'atto commesso essere assolutamente irresponsabile. Se tale giudizio possa darsi a favore dell'imputato B, lo vedranno meglio coloro ai quali è dato davvicino esaminare lo stato psichico del reo" (Buccellati, 1872, 229). Ma la domanda che si poneva la pubblica opinione era: quale preparazione ave-vano i giurati per dare un verdetto che prendesse in considerazioni perizie mediche cosi complesse e innovative? Poteva, invece, la giuria non tener conto del parere del collegio di esperti e giudicare in base alla persuasione che nasceva da una arringa più o meno convincente? Era, ad esempio, il caso di un altro clamoroso processo: due donne, Maria Ardit e Maria Bian-Rosa, erano accusate la prima di infanticidio, per avere tolto con inten-zione omicida la vita alla bambina illegittima partorita viva e vitale, comprimendole e fratturandole le ossa del cranio; la seconda per aver concorso "immediatamente ed efficacemente" al reato. La presenza di medici, periti dell'accusa e della difesa, dava vita ad un acceso di-battito in aula anche sulla scienza medico-legale e sulle tecniche utilizzate per rag-giungere la certezza dell'avvenuta respirazione e dunque sulla possibilitá che la bam-bina fosse nata viva e vitale (Marcotti, 1872, 165-169; 177-179). Le considerazioni del collegio peritale venivano usate indistintamente dall'accusa e dalla difesa a sostegno di tesi contrapposte, a testimonianza che i periti, alla fine, non erano riusciti a fornire una veritá inconfutabile. La giuria, pertanto, non teneva conto del parere degli esperti, ma abbracciava la tesi della difesa condotta magistralmente da Pasquale Stanislao Mancini. Infatti, se il P. M., dopo una lunga requisitoria apostrofava i giurati con queste parole: "Ricorda-tevi, signori Giurati, che siete vindici della società e mantenitori del costume pubblico, strettamente collegato con la maggiore o minore frequenza degli infanticidi. Se vi lascerete smuovere dal sentimento della pietà, tutto resta a temere dalla corruzione sociale" (Marcotti, 1872b, 184), Mancini, avvocato della difesa, - allegando le teorie di Bentham, Mittermayer, Wächter, Chaveau, Faustin Hélie, e fra gli italiani di Mori, Niccolini e Carrara - sosteneva che, se era pur vero che gravissimo fosse l'infan-ticidio quando avveniva nella famiglia legittima, se tale gesto era destinato a "salvare l'onore di pudiche donzelle" ed era commesso sopra la prole illegittima allora, riba-diva il famoso penalista, la scienza criminale riteneva che tale gesto potesse essere 716 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 meritevole di una certa dolcezza di pena in quanto proveniva da un sentimento dei più scusabili, anzi degno di lode. Rivolgendosi anch'egli ai giurati, terminava il suo intervento con queste parole: "In questa causa con la mia conclusione, vi chiedo unicamente giustizia. [...], io che davanti ai giurati ho potuto forse credere che le mie parole facessero l'impres-sione della verità, partirö desolato vedendo che ogni virtù fu tolta alle dimostrazioni della ragione? Ciö non avverrà; pensate che se il giurí fosse composto da uomini di cognizioni speciali, se sedessero come giurati i periti, sappiamo già il verdetto che avrebbero emesso. Vorrete prenderne voi la responsabilità? Ciö non avverrà; l'isti-tuzione nobilissima della giuria, che qui ha dato già i primi splendidi frutti, non po-trà emettere un verdetto di colpabilità dove abbondano argomenti per l'innocenza. Dunque raccoglietevi e pronunziate" (Marcotti, 1872, 194-195).7 A quel punto Mancini si giocava il tutto per tutto ribadendo che la vicenda costi-tuiva un processo ordinario e non una questione di orrore, trovando materia in uno dei più scusabili fatti criminosi. Al termine della requisitoria, la giuria si ritirava in camera di consiglio e dopo circa mezz'ora ne usciva con il verdetto di assoluzione per entrambe. Il pubblico esplodeva in applausi, e gridava "viva Mancini". Il Presidente ordinava l'immediata scarcerazione delle due donne. Errori della giuria, perizia dei pubblici ministeri, incapacità degli avvocati, erano ingredienti che facevano dei dibattimenti un filone letterario che affascinava e intrigava nobili e popolani. Il proporre i resoconti "di certi solenni giudizi" e le considerazioni espresse da esperti del diritto permetteva ad un "folto popolo di spiriti forse appassionati del dramma" di leggere avidamente la storia giudiziaria della nazione nella sua dolorosa verità (Florenzano, 1872, 25). La circolazione delle arringhe e delle requisitorie, dei commenti e delle critiche, attraverso le pagine dei giornali, era terreno fertile per il formarsi di un'opinione pub-blica in un paese che aveva conosciuto l'unità solo da pochi anni. Con l'analisi e il racconto dei procedimenti penali più famosi si mettevano a nudo le piaghe della giustizia, le inettitudini e spesso anche le "ire partigiane" dei re-sponsabili dell'amministrazione giudiziaria, dimostrando a volte l'erroneità della de-cisione presa o l'inutilità dei rimedi indicati. 7 Mancini faceva leva sul sentimento di misericordia di cui era degna Maria Ardit, "cui natura aveva concesso largamente i doni dell'avvenenza, avrebbe dovuto crescere nella felicità, la prigione, l'ira paterna, l'ignominia, i patimenti hanno fatto cadere dalla sua fronte la corona di rose della giovinezza; essa non è che l'ombra di se stessa. Chi puó immaginare o comprendere le trepidazioni, le angoscie da cui fu tormentata e lacerata. Il ricordo di gioie e di amore è esausto dall'accaduto nella fatale giornata del 21. Chi puó narrare i suoi dolori? Da tre giorni è qui alla berlina davanti questo pubblico generoso senza osare di alzar gli occhi. Ecco il grande esempio che si vuol dare alla società; si! abbiamo ri-conosciuto e pienamente dimostrato che non è colpevole. E se si puó rimproverare un fallo, quale tremenda espiazione non ne ha fatto?" (Marcotti, 1872, 194-195). 717 Patrizia DE SALVO: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA GIUSTIZIA PENALE ATTRAVERSO ..., 705-720 REPREZENTACIJA KAZENSKEGA SODSTVA IZ SODNIH KRONIK S KONCA 19. STOLETJA Patrizia DE SALVO Univerza v Messini, Oddelek za zgodovinski in primerjalni študij pravnih in političnih ureditev, 1T-98122, Piazza XX Settembre 4 e-mail: pdesalvo@unime.it POVZETEK Članek želi skozi branje sodnih kronik in poročil v strokovnem in nestrokovnem tisku raziskati svet kazenskega procesa in percepcijo javnega mnenja 19. stoletja o njem. Sodni dogodki so med 18. in koncem 19. stoletja vstopali v krogejavne zavesti, ki se je, tudi preko časopisnih poročil o procesih, oblikovala in vrtela okoli zgodb, obravnavanih na sodiščih. Strastno spremljanje razvpitih pravd se je napajalo v senzacionalnih sodnih primerih, ki so razvnemali zadnja desetletja 19. stoletja. Zato se ne zdi naključje, da je znotraj italijanske kazenske vede s konca 19. stoletja zanimanje za slavne primere pripeljalo do objave revij, listov in časopisov, posvečenih najslavnejšim in najizvt-nejšim procesom, obravnavanim pred prizivnimi sodišči. Preko raziskovanja teh virov (revij, časopisov, listov, monografij) želi prispevek raziskati percepcijo javnega mnenja o novih in različnih instutih procesnega prava, kot na primer poroti in ustni a- zenske vede. Ključne besede: kronika, javno mnenje, sodstvo, proces, porota, 19. stoletje FONTI E BIBLIOGRAFIA Bianchi, Q. (1894): Per la riforma della giuria. Il Filangieri. 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