received: 2008-07-21 UDC 94:630(450)"17/18" original scientific article AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI E DELLE PRATICHE LOCALI NELL'AMMINISTRAZIONE PONTIFICIA TRA SETTE E OTTOCENTO Renato SANSA Universita della Calabria, Dipartimento di Economia e Statistica, IT-87036 Arcavacata di Rende (CS), Via P. Bucci e-mail: renato.sansa@unical.it SINTESI A partiré da meta Settecento si diffuse in Italia la consapevolezza della deperi-bilitá delle risorse forestali, sostenuta dalla nascente scienza selvicolturale, qualifi-catasi sin dal principio come un sapere "alto" che rappresentava le necessitá di approvvigionamento dei mercati urbani, in contrasto con un'altra modalitá di utilizzo delle foreste, frutto di pratiche e saperi locali. In tempi recenti, un nuovo ap-proccio storiografico ha teso a rivalutare il significato e il valore delle pratiche contadine, fornendo un 'interpretazione critica dei presupposti culturali della selvi-coltura, la cui esigenza di ottimizzare la resa in legname portava a disconoscere la complessitá dei saperi contadini e il loro valore economico e ambientale. Un approc-cio dualistico, volto a contrapporre sapere alto e pratiche consuetudinarie, rischia, pero, di obliterare le esperienze di integrazione delle conoscenze. Nello Stato pontificio l'azione dei periti agronomi, o agrimensori, si qualifico come elemento di mediazione tra la cultura contadina e quella dei vertici dell'amministrazione che indirettamente rappresentavano i dettami della selvicoltura. I periti, espressione di una cultura ibrida, "dialogavano" con i saperi contadini, erano in grado di rico-noscerli, di dare un nome agli specifici usi che i contadini mettevano in pratica. La loro azione mediatrice, se fu efficace sul piano culturale, non si rivelo altrettanto decisiva nel determinare la prassi di governo a difesa dei boschi. Parole chiave: storia economica e sociale, storia dell'agricoltura, Stato pontificio, storia della silvicoltura, saperi contadini 399 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-410 AGRONOMISTS OR LAND SURVEYORS? THE PERCEPTION OF THE KNOWLEDGE OF THE PEASANTS AND THE LOCAL PRACTICES WITHIN THE PAPAL ADMINISTRATION IN THE 18th AND 19th CENTURIES ABSTRACT In the mid-181h century, the awareness of the perishability of forest resources started to spread throughout Italy, supported by the budding science of silviculture. The latter had enjoyed from the very beginning the reputation of "high" knowledge representing the necessity of supply of the urban markets, in contrast with another method of forest use, which was fruit of local practices and knowledge. Recently a new historiographic approach has persuaded scholars to reassess the importance and the value of peasant practices, supplying a critical interpretation of the cultural assumptions of silviculture. The necessity of this economic branch to optimise the yield in wood led to deliberate disregard for the complexity of the knowledge of the peasants as well as its economic and environmental value. There is a risk, however, that a dualistic approach aimed at counterposing high knowledge against customary practices may obliterate the experience of knowledge integration. In the Papal State, the activity of qualified agronomist or land surveyors was seen as an element of mediation between the culture of the peasants on the one side and on the other the culture of the highest administration, which indirectly represented the dictates of silviculture. Being an expression of a hybrid culture, the experts "conversed" with peasant knowledge - they were able to recognise the broader knowledge as well as naming the specific uses that the peasants put into practice. Although perhaps efficient on the cultural level, their mediating activity did not prove decisive in determining the government's practice concerning forest conservation. Key words: economic and social history, history of agriculture, Pontifical state, history of silviculture, peasant knowledge "Un'operazione deplorevole fino a prova contraria," cosi all'inizio dell'Ottocento era considerato il disboscamento (Vecchio, 1974, 8). La nuova coscienza della de-peribilitá delle risorse forestali, emersa a partire dalla meta del Settecento, era soste-nuta dalla nascente scienza selvicolturale, che sin dal principio si configuro come un sapere "alto", elaborato da specialist!, per denunciare i rischi del disboscamento (Sansa, 1997). L'intento dei selvicoltori rifletteva le necessitá di approvvigionamento dei mercati urbani, tutelate anche dalle leggi in materia forestale emanate nello stesso periodo in tutta Italia (Sansa, 2000). In queste leggi, precedute dai precoci esempi ve-neziani (Di Bérenger, 1973; Cacciavillani, 1984; Susmel, 1994; Appuhn, 2000; Laz-zarini, 1998), si prescrivevano le modalitá di un corretto prelievo forestale, preve- 400 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-410 dendo una serie di comportamenti illeciti, stigmatizzati proprio in quanto capaci di minacciare la sopravvivenza del bosco. Trattati selvicolturali, leggi forestali, attività dei mercanti di legname concorrevano a fornire una particolare interpretazione dell'economia forestale, volta a massimizzare la capacità di produzione legnosa, per soddisfare la crescente domanda dei mercati urbani. Tale opzione non era priva di conseguenze, ma si scontrava con un'altra modalità di utilizzo delle foreste, frutto di pratiche e saperi contadini, attivati localmente, in base a un rapporto di profonda conoscenza del territorio, che portava a intendere il bosco come una risorsa plurima: idonea, cioè, a fornire non solo legname, ma anche foraggio per l'allevamento, frutti selvatici e spazi aggiuntivi per la semina. Il rapporto tra i due saperi si articolô nei termini di uno scontro, per cui coloro che aderivano alla scienza selvicolturale denunciavano i metodi tradizionali come dissipatori della ri-sorsa boschiva. Da parte loro le popolazioni locali mettevano in atto una serie di misure per contrastare l'avanzata dei nuovi metodi, boicottando le direttive delle nuove leggi forestali. Le resistenze delle popolazioni rurali sono state recentemente rivalutate alla luce di un approccio storiografico volto a evidenziare come questi saperi locali rappre-sentassero il patrimonio di una civiltà contadina, che rivelava una particolare sensibi-lità nell'interpretare le vocazioni produttive dei contesti ambientali di riferimento. La rivalutazione delle pratiche contadine, si è accompagnata a un'interpretazione critica dei presupposti culturali della selvicoltura, la cui esigenza di ottimizzare la resa in legname cancellava in parte o in tutto le altre potenzialità produttive delle foreste, ignorando la complessità dei saperi contadini e il loro valore economico, sociale e ambientale (Moreno, 1990; Moreno, Poggi, 1996; Poggi, 1997; Cevasco et al., 19971999). Un approccio dualistico, volto a contrapporre sapere alto e pratiche consue-tudinarie, rischia, perô, di obliterare le esperienze di integrazione delle conoscenze, compiute da attori storici forse inconsapevoli, ma la cui azione mediatrice ha lasciato tracce nelle fonti documentarie. Nello Stato pontificio la prassi inaugurata dalla legge forestale del 1805 preve-deva l'espletamento di severi controlli da parte della Congregazione speciale di sanità e dal Tribunale della Sacra Consulta, rispettivamente sulle richieste di tagli di alberi e su eventuali tagli abusivi. Erano previste in questi casi due tipi di perizie: una "perizia fisica", volta ad appurare che i tagli non recassero nocumento alla salute degli abitanti delle comunità circostanti, e una "perizia agronoma", con il compito di verificare, in base alla qualità dei boschi ispezionati, se e quanto si potesse accordare rispetto alle domande inoltrate. Perizie erano disposte anche nel caso di tagli abusivi per appurare l'entità del danno (Sansa, 2003, 36-43, 65-77). Il compito delle perizie agronome era assegnato ai periti agrimensori, la cui attività costituisce un interessante caso di studio, a partire dalla loro stessa denominazione. In effetti in calce alle perizie la firma era accompagnata da diverse definizioni: "perito geometra", "perito 401 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-410 agrimensore", "perito agronomo". Non si tratta ovviamente di sinonimi. Se le prime due definizioni ipotizzano profili professionali legati all'estimo dei terreni, la terza si riferisce a competenze scientifiche più ampie, volte a riconoscere le pratiche in uso, a valutarne l'utilità e a suggerire soluzioni migliori e più innovative (Fumian, 1991). D'altro canto la figura di questi periti agrimensori pur definita con il regolamento del 1823 ("Regolamento per l'abilitazione alle professioni di perito agrimensore, archi-tetto ed ingegnere civile"), era priva di un ordinamento specifico e il loro recluta-mento, almeno per quanto riguarda la Congregazione di sanità, si fondava sulla comprovata esperienza nel settore. Una più organica regolamentazione nell'accesso alle carriere professionali più qualificate, come quella degli ingegneri delle acque e strade, si attuô nello Stato pontificio già a partire dalle prime fasi della restaurazione, sulla scorta degli stimoli indotti dalla legislazione napoleonica (Verdi, 1998). Nel campo forestale, invece, quasi tutti gli stati italiani scontavano un vistoso ritardo nella formazione dei tecnici forestali rispetto alle scuole forestali francesi e tedesche, con la parziale eccezione dell'esempio veneto, nonostante le non poche contrad-dizioni dovute al passaggio da un regime consolidato all'esperienza francese prima e asburgica poi (Zanzi Sulli, 1996; Lazzarini, 2001; Bianco, Lazzarini, 2003). Poste queste premesse, non stupisce che l'esercizio della professione potesse diventare un fatto di famiglia. Ripristinata da poco l'autorità del papa nei territori pontifici, nell'agosto del 1817, il geometra Giovanni Gabrielli, inoltrava una supplica al segretario di Stato, cardinale Ercole Consalvi, affinché i suoi due figli, Mariano, il maggiore di anni 30, e Giuseppe, di anni 27, "esercenti ambedue la professione del Padre, anche nella esecuzione de' commandi del Supremo Tribunale, in quali oc-casioni condotti dall'Oratore nelle commesse ispezioni sonosi resi ben prattici di tali materie," potessero affiancarsi o subentrare a lui nell'esercizio delle sue funzioni (ASR, 6). L'esperienza famigliare costitui in questo caso un requisito per l'accesso nei ruoli dell'amministrazione pontificia (in materia forestale la Congregazione della Sacra Consulta fino al 1834 e poi la Congregazione speciale di sanità). I nomi dei fratelli Gabrielli si ritrovano nel corso di una verifica, compiuta tra il 1836 e il 1840, in un bosco del comune di Rocca di Papa, alle porte di Roma, durante la quale a Mariano, dopo la morte di questi, subentro il fratello Giuseppe. Entrambi si firma-vano "perito geometra", anche se i funzionari dell'amministrazione si riferivano a loro come "agronomo", "ingegnere agronomo", "architetto" (ASR, 3). Si trattava di un riconoscimento di merito? In effetti le descrizioni di Mariano Gabrielli erano molto dettagliate: nella perizia su alcune piante abusivamente recise, dall'altezza dei tronchi tagliati e dai segni lasciati su di essi poteva escludere che le stesse fossero state atterrate dagli appaltatori ufficiali del taglio, la ditta Simonetti-Feoli, attiva negli stessi anni anche nel vicino territorio di Velletri (Sansa, 2003, 176-177). Infatti, a suo dire le piante non potevano essere state atterrate che dagli abitanti di Rocca di Papa, poiché "ognuno puô vedere dal pedicone, ossia il residuo, del tronco che resta 402 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-41Q sul suolo tagliato all'altezza di circa tre in quattro palmi sopraterra, che la tagliatura delle piante atterrate clandestinamente è del tutto diversa da quelle atterrate col merco, o fatte abbattere dalli suindicati intraprendenti. La forte ragione si è che la tagliatura di quelle atterrate dai naturali già detti, o dalli Uomini di Rocca di Papa non è eseguita in regola d'arte poiché il taglio delle medesime si eseguisce furtivamente e quasi sempre di notte nulla interessando se le piante atterrate nel cadere in terra si spezzino, potendosi fare ancora legna per carbone, e viceversa per quelle piante, che si atterrano e che sono atterrate dalli Intraprendenti, si usano tutti i mezzi dell'arte nell'abbatterli, oltre il taglio regolare, le fanno cadere in modo che non le spezzino, cosicché se ció succedesse, la pianta non potrebbe più servire all'uso di doghe, o legna da costruzione" (ASR, 4). D'altronde egli non ignorava le consue-tudini locali, come quella di utilizzare il legname concesso gratuitamente agli abitanti di Rocca di Papa ogni anno dal proprietario del bosco, il principe Aspreno Doria Colonna, per ricavare la "scandola" atta a ricoprire le proprie abitazioni. Le recisioni lasciavano segni che venivano interpretati dai periti. In una relazione redatta in seguito a una richiesta di autorizzazione al taglio in un castagneto nei pressi di Subiaco, nel 1838, il perito geometra, Benedetto Tummolini, riscontrava dal diametro e altezza degli alberi che trent'anni prima era già stato effettuato un taglio e dall'osservazione dello stato dei tronchi e del suolo poteva stabilire che nei primi anni dopo il dirado quella porzione di bosco era stata coltivata ("dalle ceppaie scoperte, e prive di terra in vari punti, si conosce che il suolo ne i primi anni del taglio venne coltivato"), ragione per cui l'accrescimento delle piante era stato ritardato e "perció che poche di esse veggonsi adatte al taglio per uso di tavole mercantili" (ASR, 5). La presenza di coltivazioni all'interno del bosco era una pratica consuetudinaria che i periti non ignoravano. Uno di questi, il "perito agronomo" Pasquale Bartolomei, in una perizia su alcuni fondi boschivi nel comune di Urbino, che il proprietario, il Capitolo della chiesa metropolitana di Urbino, domandava di poter mettere a coltura, consigliava di optare per una diramazione delle sole querce "infruttifere" (cioè inca-paci di produrre ghiande). Dai rami si sarebbe potuto ricavare foraggio, sotto forma di foglie, per le pecore e attrezzi per usi agricoli. Il dirado della copertura arborea cosí ottenuto, avrebbe consentito la coltivazione del suolo senza compromettere la vegetazione delle piante (ASR, 7). I periti sapevano destreggiarsi tra le informazioni acquisite dai trattati di selvi-coltura e le pratiche consuetudinarie, poiché erano capaci di dialogare con i conta-dini. L'"agronomo" Antonio Petri incaricato nel 1861 di stendere un rapporto sul dirado di un bosco nel territorio di Bieda, osservava che il taglio era opportuno per rendere produttiva la macchia troppo "folta". Nel rapporto riferiva di averne parlato con il priore comunale e con un anziano del luogo e che questi avevano risposto di essere contrari, in quanto convinti che il taglio delle piante avrebbe portato nocu-mento alla "salute pubblica", peggiorando la qualità dell'aria. All'obiezione del perito 4Q3 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-4I0 che rispondeva che i diradi non portavano nocumento né ai boschi, né all'aria, questi ribadivano che secondo loro quel bosco in particolare non avrebbe avuto la capacità di riprodursi una volta tagliato. Dopo un ulteriore scambio di opinioni, il perito individuava le ragioni dell'opposizione al taglio: i rappresentanti locali chiedevano che una parte del ricavato andasse alla popolazione di Bieda, per essere state un tempo quelle macchie di proprietà comunale (ASR, I0). Esemplare appare il modo in cui venne descritta la pratica di parziale com-bustione del soprassuolo boschivo nel comune di Tuscania, compiuta da un sotto-ispettore dell'Amministrazione dei boschi e foreste, effimero dicastero forestale che ebbe breve vita tra il I827 e il I833 (Sansa, 2003, 20I-244). Tale pratica, il "dirog-gio", non era sconsigliata a priori, ma sottoposta a un controllo per cui il taglio del legname da bruciare avrebbe dovuto limitarsi alla sola legna dolce (cioè, il sotto-bosco), preservando le piante più importanti. La successiva coltivazione del suolo, favorita dalle proprietà fertilizzanti della cenere, avrebbe potuto essere continuata per sei o sette anni, facendo attenzione a non usare l'aratro ma solo la zappa, evidentemente al fine di non danneggiare l'apparato radicale delle piante lasciate in piedi. In seguito si sarebbe tenuto il terreno in riposo per permettere al bosco di rigenerarsi (ASR, I). Grano e fuoco all'interno del bosco: uno dei tabù della selvicoltura otto-centesca era cosi spezzato, in osservanza di una pratica locale da controllare ma non reprimere. Una consapevolezza diffusa a più livelli nell'amministrazione pontificia, come dimostra la comunicazione del gonfaloniere di Terracina, il cavalier Vincenzo Sanguigni, il quale scrivendo al ministro dell'interno, monsignor Teodofo Mertel, nell'agosto del I853, descriveva le operazioni che gli abitanti del limitrofo comune di S. Felice si apprestavano a compiere in una porzione di bosco loro concessa dal comune di Terracina. Anche in questo caso il connubio fuoco-bosco non era escluso ma sottoposto a un rigoroso controllo: la porzione di bosco nella località Bagnara infatti avrebbe potuto essere cesata "nelle debite prescritte regole, vale a dire abbat-tere prima il frascume, farvi le roste, sfogatoje, e stradoni, onde impedire la comu-nicazione del fuoco nella selva alta, incendiandone il prodotto dopo l'ispezione del perito, e quindi seminarlo a grano nella prossima stagione." Ai periti era demandata la correttezza dell'operazione (ASR, I2). La circostanza per cui il reclutamento dei periti avveniva su base "empirica" non deve indurre a ritenere che nei loro confronti le autorità non esercitassero un'attenta vigilanza. Se il loro lavoro non avesse rispettato requisiti soddisfacenti, la Congre-gazione speciale di sanità interveniva per cancellarli dal ruolo dei periti agronomi di "sua fiducia". L'inefficienza dimostrata in più circostanze nell'espletamento delle sue funzioni, costó a Giovanni Testa Spaziani la sua qualifica di perito. Il I5 dicembre I856 fu estromesso dal ruolo e a nulla valse la supplica da lui inoltrata il 26 dicembre dello stesso anno per poter essere reintegrato; anzi in un rapporto elaborato in seno alla Congregazione speciale di Sanità nel febbraio del I857 le sue perizie vennero 404 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-410 sottoposte al vaglio di un esperto, il prof. Benedetto Viale, che mise in luce le in-congruenza nei procedimenti di redazione dei pareri sulle richieste di tagli, risultati estranei a "tutte le norme ricevute sul regolare governo dei boschi" (ASR, 8). I periti, espressione di una cultura ibrida, non ancora rígidamente professio-nalizzata, "dialogavano" con i saperi contadini, erano in grado di riconoscerli, di dare un nome agli specifici usi che i contadini mettevano in pratica. Al tempo stesso cercavano di rispettare lo spirito della legge boschiva e i precetti della selvicoltura che avevano appreso, anche se al riguardo non si conoscono nel dettaglio i loro percorsi formativi. Inoltre essi erano spesso in grado di opporsi alle pretese dei mercanti di legname, quando questi inoltravano richieste di taglio eccessive rispetto alla con-sistenza dei boschi. La vicenda che interessô un noto mercante di campagna romano, Achille Gori Mazzoleni, costituisce un valido esempio della loro capacità di agire autonomamente rispetto alle pressioni mercantili. Mazzoleni aveva richiesto il parere di un perito agronomo privato per estendere il permesso precedentemente concessogli dalla Congregazione speciale di sanità. Le considerazioni espresse da Cesare Tuc-cimei, questo il nome del perito di parte, non si discostavano molto nel metodo da quelle precedentemente elaborate dal perito della Congregazione, Francesco Monte-chiari, ma divergevano quanto al numero di piante che avrebbe potuto essere concesso. La questione venne risolta dall'intervento del perito fisico centrale, che di prassi rias-sumeva le posizioni per redigere un parere definitivo ad uso del segretario di Stato, e in seguito del ministro dell'interno, che le avrebbe presentate al pontefice per ottenere il parere sovrano. Il professor Benedetto Viale, sulla scorta dei dati recepiti dalla perizia física e agronoma, respinse ulteriormente le richieste di Mazzoleni con un non celato velo d'ironia. A posteriori, la vicenda costitui un non facile banco di prova per Francesco Montechiari che aveva inoltrato richiesta per essere ammesso tra i periti agronomi della Congregazione speciale di sanità e in base all'esito dell'ispezione sarebbe stato valutato eventualmente idoneo (ASR, 9). La voce dei periti agronomi non era inascoltata dalle autorité. Non a caso come ricordava una nota compilata nel 1803, la legge forestale del 1789, progenitrice dell'editto del 1805, era stata in buona parte elaborata sui consigli di un perito sui generis: Alessandro Ricci. Nel redigere la nota, in risposta a un anonimo "Promemoria risguardante le macchie," Alessandro Ricci confutava le considerazioni li avanzate, sulla scorta non solo dell'esperienza personale ma anche di citazioni "dot-te", come Duhamel de Monceau. Anche in questo caso, le riflessioni del "tecnico" spaziavano da un ambito all'altro, non omettendo di considerare le necessità delle popolazioni locali, rispetto alle quali riteneva si dovessero rivedere alcuni punti della legge del 1789 (ASR, 11). La collaborazione con le massime autorità statali, il bando portava la firma del segretario di Stato cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi, era stata preceduta, e motivata, dall'elaborazione di uno scritto sui boschi, denominato "Succinto ragguaglio delle selve", di cui si ha notizia attraverso una informativa dello 405 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-41Q stesso Ricci, composta all'indomani della Restaurazione pontificia, quando dovette affrontare non pochi problemi per vedere riconosciute le proprie prerogative professional^ forse anche a causa di una precedente collaborazione con le autorità francesi in qualità di ispettore del Consiglio di Sanità atto a verificare i lavori necessari per lo scolo delle acque nell'Agro romano (ASR, 2). Qualche anno dopo le autorità di go-verno sarebbero tornate a fruire dell'esperienza di due periti agronomi della Con-gregazione speciale di Sanità: Antonio Petri e Alessandro Sani. Al loro parere furono sottoposti due progetti di legge che avrebbero dovuto riformare l'editto del 18Q5. Anche in questo caso i due periti dimostrarono rigore, professionalità e capacità di esprimere un autonomo punto di vista. Sia Sani, nel febbraio 1857 (ASR, 13), sia Petri, nel maggio dell'anno successivo (ASR, 14), ribadirono la necessità di istituire un dicastero forestale con compiti di controllo affidati a ispettori qualificati, evitando di coinvolgere le amministrazioni comunali nella gestione dei boschi. In particolare, in un passaggio della sua memoria Petri stigmatizzava l'uso di seminare nel bosco, poiché "oltre al danno che risente la pianta adulta, dal fuoco che ivi accendono per nettare la superficie da tutto lo sterpime, tagliando lo sterpime si tagliano tutte le rinascenze che devono servire alla riproduzione e conservazione della macchia stessa." In un contesto che non era più relativo all'analisi di uno specifico uso in un determinato territorio, ma teso all'elaborazione di una normativa da estendere a tutto lo Stato, si attestava una valutazione della coltura granaria nei boschi più in linea con le direttive selvicolturali. Tuttavia, la capacità di entrare in contatto con il mondo contadino risalta in maniera evidente se paragonata al prevalente atteggiamento pregiudiziale che la sci-enza agronomica, e quella selvicolturale, aveva sviluppato nei confronti dei contadini, a proposito dei quali, ripetendo gli abusati luoghi comuni relativi alla loro pi-grizia e resistenza alle innovazioni, si ribadiva la necessità impartire loro insegna-menti adeguati (Bourde, 1967; Zaninelli, 199Q; Petrusewicz, 1991; Simonetto, 2QQ1, 317-4Q2; Biagioli, Pazzagli, 2QQ4). Questo era tanto più vero nell'ambiente culturale pontificio (Moroni, 1999). I preconcetti rivolti nei confronti delle credenze conta-dinesche risuonavano anche nelle parole di Antonio Coppi, uno degli esponenti più in vista di quel mondo accademico che si occupava di questioni rurali (Russi, 1983). In uno dei suoi discorsi all'Accademia Tiberina, parlando a proposito delle innovazioni introdotte in alcune tenute nelle immediate vicinanze di Roma, dichiarava che fosse necessario distaccarsi dalle opinioni del "volgo", dato che "l'asserzione di pochi rustici certamente non è bastante per servire di norma" (Coppi, 1847, 24). Opinioni più volte ripetute in altre sue prolusioni pronunciate con cadenza regolare presso la medesima accademia e idealmente accompagnate da altri pareri che circolavano nell'ambiente romano (Travaglini, 1981; Felisini, 1996; Felisini, 2QQQ). Il lavoro svolto dai periti agrari assume un significato particolare sul piano culturale, indispensabile per colmare lo iato tra due culture spesso prive di altri canali di comunicazione. La loro azione mediatrice, se fu efficace sul piano culturale, non si 4Q6 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-410 rivelo altrettanto decisiva rispetto ai conflitti tra mercanti di legname e popolazioni locali, incapace di conferire all'azione di governo un indirizzo autorevole a difesa dei boschi. I boschi erano luoghi di conflitto economico e sociale, i periti possedevano sufficiente sapere e "buon senso" per contribuire a preservare la risorsa forestale, ma le autorita, nonostante richiedessero incessantemente le loro opinioni, preferivano mantenere un profilo basso, secondo i dettami di una politica paternalistica, volta a non acuire le tensioni sottese all'uso di una risorsa contesa. AGRONOMI ALI ZEMLJEMERCI? PERCECPIJA KMETIJSKIH ZNANJ IN LOKALNIH PRAKS V PAPEŠKI UPRAVI MED 18. IN 19. STOLETJEM Renato SANSA Univerza v Kalabriji, Oddelek za ekonomijo in statistiko, IT-87036 Arcavacata di Rende (CS), Via P. Bucci e-mail: renato.sansa@unical.it POVZETEK V drugi polovici 18. stoletja seje razširila zavest, da so gozdnati viri izpostavljeni propadanju, vzporedno s tem pa se je razvilo gozdarstvo kot znanost, ki bi lahko ponudila načela pravilnega upravljanja z gozdovi. Od takrat sta si začela nasprotovati dva različna načina izrabe gozdov: tradicionalni način in način, kije temeljil na kriterijih gozdarske vede. Prvi je bil sad praks in znanja kmetovalcev, ki so na ozemlju prebivali in je temeljil na njihovem podrobnem poznavanju ozemlja, ki je gozd obravnavalo kot mnogovrsten vir, uporaben ne le zaradi lesa, temveč tudi za živinorejo, nabiranje divjih sadežev in druge hrane ter dodatnega prostora za poljedelstvo. Drugi je želel vpeljati nove metode upravljanja z gozdovi z namenom maksimalne proizvodnje lesa, da bi zadostili rastočim potrebam mestnih trgovcev po lesu za kurjavo in po gradbenem materialu. Odnos med obema oblikama znanja se je vzpostavil kot spopad, zato so predstavniki gozdarske stroke zavračali tradicionalne načine uporabe gozda in izpostavljali tovrstno nezmožnost ustrezne izrabe gozdnih virov. Lokalno prebivalstvo naj bi po njihovem mnenju izvajalo številne ukrepe, s katerimi se je zoperstavljalo prodiranju novega načina ter bolj ali manj zavestno bojkotiralo nove zakonske smernice s področja, ki so od druge polovice 18. stoletja veljale za celoten italijanski polotok; izhajale so iz gozdarske stroke, njihov namen paje bil zadostiti potrebam urbanih trgov. Sodobno zgodovinopisjeje pokazalo, v kolikšni meri so ta lokalna znanja dediščina kmečke kulture, tesno povezane s kraji pripadnosti in nizom praks, ki razkrivajo posebno občutljivost pri interpretiranju proizvajalne dejavnosti lastnega okolja. V nekaterih primerih se omenja trajnost sistemov lokalne izrabe virov. Gozdarska veda se je kasneje konfigurala prav skozi lastno nezmožnost razumeti kompleksnost teh praks ter 407 Renato SANSA: AGRONOMI O AGRIMENSORI? LA PERCEZIONE DEI SAPERI CONTADINI ..., 399-410 njihovo ekonomsko in okoljsko vrednost, zato jih je prikazovala kot razsipne. Kmetje kot nosilci teh znanj so bili pogosto prikazani kot nevedni in upirajoči se znanstvenim inovacijam. Sodobni zgodovinopisni prispevki želijo obrniti optiko opazovanja ter kritično interpretirajo kulturne predpostavke gozdarstva, kije s svojo zahtevo po optimalizaciji donosa lesa delno ali popolnoma izključevalo vse druge možnosti uporabe gozdov. Prispevek bo podrobneje ilustriral vlogo, ki so jo v papeški državi imeli takoime-novani zemljemerci, ki so jih včasih definirali tudi kot agronome. Ti liki so bili postavljeni med najvišje vladne organe, ki so izdajali restrikrivne zakone o uporabi gozdov, in lokalno prebivalstvo, ki bi moralo te norme upoštevati, a jih je pogosto ignoriralo ali jim celo nasprotovalo. Zemljemerci niso imeli formalne izborazbe, svoje znanje pa so pridobivali tudi s stalnim obiskovanjem krajev, ki so jih morali nadzorovati. Tesni stik z ozemljem je spodbujal asimilacijo lokalnih znanj in praks, ki so bile včasih podrobno opisane. Tako se kaže njihova posredniška vloga med upravnimi vrhovi, visokim znanjem in lokalnimi običaji. Njihov glas je bil verodostojen in slišen, a ni zmogel preprečiti konfliktov med zastopniki trga in nosilci lokalnih običajev. Ključne besede: ekonomska in socialna zgodovina, zgodovina kmetijstva, Papeška država, zgodovina gozdarstva, kmetijska znanja FONTI E BIBLIOGRAFIA ASR, 1 - Archivio di Stato di Roma (ASR), Amministrazione dei boschi e foreste, b. 20, fasc. 29, 14 febbraio 1830. ASR, 2 - ASR, Camerale II, Agricoltura, pastorizia e fida, b 5, 30 agosto 1818; 29 marzo 1819. ASR, 3 - ASR, Congregazione speciale di Sanità (CSS), b. 234. ASR, 4 - ASR, CSS, b. 234, 13 marzo 1836. ASR, 5 - ASR, CSS, b. 234, 2 marzo 1838. 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