■PROGRAMMA r< CA PO DI STRIA ANNO SCOLASTICO 1885-188G PARTE I. — Le Bimatrici c le Letterate Italiane del Cinquecento, stmlio del Prof. Antonio Zernitz. PARTE II. — Notizie intorno al Ginnäsio, publif'ato dalla Dii'ezione. w CAPODISTRIA TIPOGRAFIA DI CARLO PRIORA n PROGRAMMA DI CAPODISTRIA ANNO SCOLASTICO 1865-1886 PARTE I. — Le Rimatrici e le Letterate Italiane del Cinquecento studio del Prof. Antonio Zernitz. PARTE II. — Notizie intorno al Ginnasio, publicate dalla Direzione. CAPODISTRIA TIPOGRAFIA DI CARLO PRIORA 1886. La Direzione deli' 1. R. Ginnasio superiore di Capodistria editrice. LE RIMATRICI E LE LETTERATE ITALIANE DEL CINQUECENTO. SOMMARIO. — I. Carattere generale del Cinquecento. Apoleosi e cultnra femminile. Petrarehismo. — II: La Colonna, la Stampa, la Gambara. — III. Olimpia Moralo e le erudite. — IV. Le principali rimatrici. Saggi poetici delle medesime. — V. Suor Dea dei Bardi. — VI. Le cortigiane. — VII. Di alcune Raccolte pnetiche. — VIII. Le rimatrici minori. Le arti.«.Conclusione. “II vivo imraaginare, la tenerezza dell'affetto, il delicato gusto deli’ annonia e della grazia, onde si privilegia la donna, fanno si ehe olla sentasi particolarmente inclinata alla poesia.* Pia Mestica Chiappetti. "Beicher als er in des Wissens Bezirken Und in der Dichtung nnendlichen Kreis. Schiller, I. Corruzione ed arte: ecco in due parole espresso il carattere del secolo XVI. Capitanati dal De Sanctis e dal Settembrini, tutti i piü accreditati critici e storici della letteratura italiana oggidi convengono che il Cinquecento, fregiato degli splendidi titoli di «secolo d’oro’?, «secolo del Rinascimento», «secolo di Leone X», a torto lia colmato d’ entusiasmo i nostri maggiori; e che se da un lato vediamo 1’ arte toccare 1’ apice della perfezione umanamente possibile, e se la cultura fu in questa epoca superiore a quella delle andate e delle successive eta, dall’ altro canto,la corruzione morale, politica e religiosa, in cui giacque per lunga pezza jirostrata l’ltalia, fu non meno grande e disastrosa. Abbiamo pertanto anche qui, come in tutte le umane cose, il bene ed il male che si uniscono, si compenetrano, si confondono insieme. Leone X — giacche da lui vuolsi denominare il secolo, ed a lui solo taluni sogliono riferire lo splendore in vero sorpren-dente delle lettere e delle arti — e la viva incarnazione deli’ epoca sua. Amatore focoso ed eccitatore del bello, protettore appassionato delle arti, egli favori lo sviluppo della pittura, della scultura, deli’ architettura, del teatro; onoro del suo favore e rimunerö ampiamente un Rafaello, un Michelangelo, un Tiziano, un Bramante, manifestö il suo amore per la sapienza elevando al grado di suoi segretari il Bembo ed il Sadoleto; ma d’altronde, per-dutamente invaghito della cultura classica e dedito tut-t’uomo allo studio degli autori greci e romani, ne divenne si appassionato e cieco amatore da attirarsi il biasimo di aver trascurato le mansioni del suo ministero, e profuso onori e premi ad uomini per mala fama e per vilissima adulazione contennendi; e lo vedemmo apertamente ingiu-riare, nelle persone del Querno e del Baraballo, i poeti e la poesia, allorche decretava, benche da scherzo, a stolti giullari 1’ onore del trionfo. Egli era — scrive il Guic-ciardini !), citato dal piissimo Corniani — per natura inclinato ali’ ozio ed ai piaceri, ed era per la troppa licenza e grandezza alieno sopramodo dalle faccende, im-merso ad udire tutto il giorno musiche, facezie e buffoni. Arrogi che all’ attribuire a lui cjuanto di buono produsse il Cinquecento, si oppone la cronologia stessa: Leone X regno soltanto dal 1513 al 1521, quindi la sua influenza sul progresso delle lettere e delle arti, comunque profieua e durevole, non si estese ad uno spazio di tempo maggiore di otto anni, e cessava quando si era appena alla fine del secondo decennio 2). Che se poi i suoi contemporanei ed i posteri, ad onta di cio, serissero il nome di Leone a caratteri d’oro nei fasti delle lettere italiane, provarono in cio fare come non di rado al retto giudizio faccia velo lo spirito di adulazione. E questa adulazione era la can-crena onde erano infetti tutti gli serittori di questo secolo, e poeti, e storici, e biografi ed oratori, la schiera servile dei quali era senza numero. Pensioni, donativi, impieghi, abbazie, canonicati, piovevano a larga messe sul costoro capo da dignitari ecclesiastici e secolari, da principotti, signori, e ricchi borghesi di tutta Italia. Quindi adula-zione sfacciata da un lato, coltura dall’ altro; ed intanto la depravazione civile e politica aumentava di giorno in giorno. Pei grandi 1’ amore della cultura e la prodigalitä loro in favorirla non era che un istrumento di tirannide, anzi il piü potente strumento, perche, asservite 1’ intel-ligenza e la coscienza dei popoli, credevano di non aver nulla a temere. Formicola quindi ad ogni pie’ sospinto uno sciame di cortigiani, coi quali s’ inzaccherano senza rossore anche le menti piü nobili ed elevate; l’ingegno si prostra dinanzi alla ricchezza: si moltiplicano i centri letteran, compaiono nuove accademie, si organizzano in ogni corte convegni di letterati. «Cortegiano» e «lette-rato», «cortegiano» e «poeta» diventano sinonimi, e Baldassare Castiglioni non sa altrimenti intitolare che II Cortegiano un libro in cui insegna di quali doti debba essere fornito un uomo di cultura e di buona societa. Dal fin qui detto chiaro risulta come le opere degli scrittori del Cinquecento dovessero riuscire — tranne poche eccezioni — frivole, senza un serio contenuto ed un intriseco valore morale. La grande cultura, figlia deli’ assiduo studio dei migliori esemplari antichi, non pote quindi dare altro risultato che una forma splendida, smagliante, ma vuota di sentimento, priva di cuore, mancante di moralitä. Prose e versi erano nel loro meccanismo di buona fattura, e 1’ ultimo prosatore o ri-matore scriveva piü corretto e piü regolato che parecchi pregiati scrittori dei secoli scorsi 3). Sorse quindi un ideale anche in questo secolo, ma ei fu 1’ ideale della forma amata e studiata come tale, indifferente di contenuto. L’ unico Guidiccioni — come osserva il Settem-brini — s’ ispirava ad ideali patriottici, ed accanto a lui una gentildonna senese, Amelia Petrucci, la quäle eccitava gl’Italiani a fare delle membra sparse un corpo solo. Perocche, se il sentimento morale ed il sincero e caldo amore di patria erano generalmente attutiti nei petti italiani, non si puö tuttavia dire, che fossero interamente spenti. La corruzione universale subiva le sue lodevoli eccezioni, e specie nelle donne italiane — sia detto a loro onore — il nobile sentire avea l)ene spesso pro-fonde radici. E mentre dello splendore stesso del trono cinto dal prestigio delle arti e delle lettere, si abusava troppo di frequente da taluni per commettere atroci delitti, ed alimentare degradanti passioni, le pareti do-mestiche celavano non di rado luminosi esein[>i di fem-minile virtii: 1’ amore e la fedeltä coniugale, 1’ assidua cura e l’educazione dei figli, formano il vanto piü bello di non poche gentildonne del secolo, le quali alla rara perfezione della forma seppero nei loro scritti quasi sempre aceoppiare la nobilta dei sentimenti e la genti-lezza degli affetti. - E della verita di questo asserto vedremo in appresso copiose prove. Ad innalzare la donna, cotanto avvilita dalle torbide teoriche deli’ et;i di mezzo, concorse il fatto della solenne e clamorosa apoteosi che di lei fece il Cinquecento. Molti difatti sono gli scrittori i quali, in onta alla grande ma certo esagerata decadenza morale della famiglia nei secolo di cui parliamo, mirano coi loro scritti a formare uno stato famigliare ordinato e perfetto. Quindi il Pandolfini scrisse il Trattato del governo della famiglia, il Coccio Della nobilta ed eccellenza delle donne, il Bruni una Difesa delle donne, il De’ Mori un Ragionamento in lode delle donne, e dappertutto comparvero e libri, e discorsi apologetici, e dialoghi intorno alla nobilta, alle prero-gative ed alla perfezione della donna; e ne scrissero, oltre ai giä citati, lo Speroni, il Dominichi, il Dolce, il lluscelli, il cardinale Pompeo Colonna, Bernardo Spina ed altri 4). Le donne piü illustri allora per beltä, senno e illibatezza di costumi, ebbero intorno tutta una corte di adoratori ossequenti, che si onoravano di poterle adorare e celebrare. E cosi cantava l’Ariosto eccitan-dole allo studio: Non restate pero, donne, a cui giova II bene oprar, di seguir vostra via; Ne da vostr’alta impresa vi rimuova Tema ehe degno onor non vi si dia: Che, come cosa buona non si trova Che duri sempre, cosi ancor ne ria. Se le carte sin qui state e gl’ inchiostri Per voi non sono, or sono a’ tempi nostri. (Orlando furioso, c. XXXVII, 7) In quest’epoca la febbre del sapere avea invaso tutti, uomini e donne ugualmente, e per conseguenza la dottrina era pregiata come la piü bella dote. Nelle famiglie di grado piü elevato cosi i maschi come le femmine, rice-vevano la medesima educazione letteraria, in cui primeg-giava sempre l’insegnamento delle lingue classiche; da ciö la meravigliosa erudizione classica di moltissime donne. Viva parte prendevano esse alle conversazioni erudite allora divenute di moda, delle quali precipuo argomento era 1’ antichitä. K non si esagera asserendo che le donne bennate nel XV e XVI secolo avevano una cultura piü soda e piii erudita di quella del tempo nostro. La loro cultura si concentrava essenzialmente nell’antichitä classica : si lasciava da banda, come cosa di verun pregio, quanto allora aveva sentore di moderno. Quel pošto che nella educazione femminile odierna hanno prešo le lingue straniere era tenuto allora dalla conoscenza delle lingue latina e greca; ne dominava in quel tempo il pregiudizio che la famigliarita con queste lingue rompesse il fascino della natura femminile 5). Se le moderne paragonassero il loro sapere ali’ erudizione solida e profonda delle donne del Cinquecento, ehe traducevano colla massima facilitä le piü grandi opere classiclie e commentavano i piü difficili lavori poetici deli’antichitä, avrebbero di che vergognarsi. La moda invalsa di levare a cielo le donne, in unione al fatto positivo di una cultura veramente pregevole, spiegheranno di leggieri un altro fenomeno: il numero stragrande di poetesse, o, come dicevasi allora, di rima-trici, ehe vide dovunque sorgere il secolo XVI. A me riusci di contarne, tra piu e meno celebri, ben dugento; e si puö, senza tema di errare, asserire clie il numero riuscirebbe di gran lunga maggiore ove si potessero con-sultare tutte le innumerevoli fonti obe la ricca bibliografia italiana di quel secolo potrebbe, in questo riguardo, met-tere a nostra disposizione. Dalla Nina Siciliana all’Alba-relli ed alla Saluzzo, dalla Compiuta Donzella alla Lutti ed alla Fusinato, dalla Gozzadini alla Marcliesa Colombi, a Matilde Serao, a Tommasina Guidi, nessuna colta na-zione vanta una serie maggiore di poetesse e letterate; e di questo grande numero una considerevole parte ap-partiene appunto al secolo ehe imprendiamo a studiare. II carattere dominante poi della poesia lasciataci in retaggio da tante rimatrici si e — non occorre quasi dirlo — il Petrarcbismo, questa malattia eronica della letteratura italiana, la quäle giä da due secoli avea invasa 1’ Italia per dominare ancora fin quasi a’ di nostri il campo let— terario; tutti, uomini e donne, petrarcheggiano ed in tutti i piu remoti siti d’ Italia. In questo secolo — giusta una felice espressione del Graf — il Petrarcbismo galla, lus-sureggia, trionfa, strabocca. Ne mancano versi tali ehe sembrano preeorrere le turgidezze poetiche del Marini e deU’Achillini, come questo della rimatrice fiorentina Eli— sabetta Cepparello: Per cui degli occlii miei fo un Gange e un Nilo, o questo di Barbara Cavalletti, la quäle sospirando faceva Piegar le quercie e intenerir le olive! Senonche tra i continui e stucchevoli belati, tra le ampollosita e le gonfiezze poetiche, tra le migliaia di can-zoni e sonetti tramandatici nelle infinite Raccolte allora tanto in voga, qua e la si trova pur qualche gemma poetica, qualche geniale componimento, nel quäle stanno in ammi-rabile accordo la forma ed il contenuto. Altrimenti biso-gnerebbe supporre, cio che non possiamo ne vogliamo ammettere, ehe cioe la donna italiana nel Cinquecento avesse perduto, nel vasto mare di una generale depra- vazione, ogni sentimento della propria dignitä, ogni amore e pratica delle migliori virtü femminili. E che questo non sia il caso, lo prova la storia, come lo attesteranno d’av-vantaggio i cenni biografici ed i brani poetici che verrö di mano in mano sottoponendo alle sagge considerazioni di clii legge. La forma non e sempre un. semplice mec-canismo mancante di sentimento, di anima, di contenuto; anche la Cinqueeentista sa talfiata ispirarsi ad un nobile e squisito sent.ire, e serive versi ehe i posteri ebbero mille torti di porre in dimenticanza. Ed ora veniamo ai particolari. II. Non e mia intenzione, per quanto possa sembrar strano, di trattenermi a lungo intorno alle tre maggiori poetesse, delle quali a buon dritto va superbo il Cinquecento: la Colonna, la Stampa, la Gambara. INli limiterö a dare solamente le piii importanti notizie biografiche ed aleuni cenni sulle loro Rime, tralasciando di addurne saggi, come mi riserbo di fare delle altre rimatrici meno note; e ciö perche, oltre ai molti biografi ehe serissero di ogni singola, se ne trovano cenni piii o meno estesi in ogni storia letteraria; poi perche delle loro poesie abbiamo parecchie antiche ed anche recenti edizoni pre-cedute sempre da esaurienti studi; ed in fine perche non v’ha antologia italiana che non rechi, come esempi di bel poetare, i migliori parti delle loro Muse. Vittoria Colonna, prima per fama tra le poetesse ita— liane, nacque a Marino, feudo della sua nobile famiglia, nel 1490 da Fabrizio gran contestabile del regno di Napoli, e da Anna di Montefeltro, figlia di Federico duca d’Urbino. Fu promessa, per ragioni di stato, nell’etadi quattro anni a Fernando Francesco d’Avalos marchese di Pescara, al quäle si congiunse in matrimonio a dician-nove anni. Questa donna fu animirata da’suoi connazionali e dagli stranieri, non solo per 1’ ingegno e per la cultura, ma anche per la sua rara bellezza e la costanza de’ suoi affetti inverso al marito. Benclie ricchissima, avvenente e corteggiata da tutti, pure fu breve la sua felicitä; poiche il marito rimase prigione alla battaglia di Ravenna nel 1512, e poi in quella di Pavia nel 1525 riportö tante ferite, che poco dopo lo trassero alla tomba. Immenso fu il dolore che trafisse il cuore di Vittoria, la quäle ricusö in seguito la mano di altri uomini illustri per natali e per gesta gloriose, ne rimase sconsolata per tutta la vita, e non trovo altro conforto che nella solitudine e nello studio delle belle lettere, specie della poesia. Nel 1541 si cliiuse in un monastero di Orvieto, e poco dipoi in quello di S. Caterina a Viterbo. Ritornata finalmente a Roma, le fu di conforto l’a-more, o meglio la venerazione che le professava ISliche— langelo Buonarroti. Cotesta nobile corrispondenza d’affetti, cominciata quando la vedova Vittoria avea circa 50 anni e Michelangelo circa GO, esalö in sonetti e lettere, in cui sentesi divampare a tratti una fiamnia viva mista di re-ligione e di passione. Ammalatasi gravemente nel febbraio del 1547 nel convento delle Benedettine di S. Anna, fu trasportata in casa di Giuliano Cesarini, marito di Giulia Colonna, sola parente rimastale allora in Roma, e quivi mori assistita fra gli altri da Michelangelo, che allora suggello quell’ ideale suo amore baciandole riverente la mano. «Mi ricordo — dice a questo proposito il Vasari — d’ averlo sentito dire che d’ altro non si doleva se non che quando 1’ andö a vedere nel passare di questa vita non cosi le baciö la fronte o la faccia, come baciö la mano» c). La sua casa era frequentata dagli uomini piii illustri del suo tempo, quali sarebbero il Bembo, il Molza, il Sadoleto, il Castiglione, l’Ariosto, l’Alamanni, il Guidic-cioni, i cardinali Polo e Contarini, e Bernardo Tasso, il quäle dirigeva alla «chiara illustre Vittoria» una bellis— sima ode consolatoria in morte del suo sposo. Con es.so loro Vittoria teneva corrispondenza sia in prosa sia in rime. Morta fu da tutti pianta e lodata senza fine. Allora ed oggi fu giustamente tenuta come il tipo della perfetta gentildonna dell’epoca sua, ed i giudizi di tutti concordano cogli entusiasmi dei numerosi suoi biografi. Cingi le costei tempie deli’ araato Da te giä, in volto umano arboscel, poi Ch’ella sorvola i piü leggiadri tuoi Poeti, col suo verso alto e purgato; E se in donna valor, bei petto armato D'onestä, i’eal sangue onorar vuoi, Onora lei cui par, Febo, non puoi Veder qua giü: tanto dal ciel 1’e dato! Cosi la esaltava il cardinale Pietro Bembo. Le Rime della Colonna sono la maggior parte sonetti, poi alcune canzoni e madrigali. Le migliori sue poesie - giusta l’autorevole giudizio del Guerrini - sono quelle di argomento sacro. Nelle rime in morte del marito c’e forse un po’ troppo sfoggiato il Petrarchismo, mentre invece gli affetti religiosi, fortemente e profondamente sentiti dalla poetessa, sono resi Qpn piü calore ed efficacia. In generale le sue poesie sono ripiene di sentimenti, e riflettono anche 1’ immagine vera deli’ autrice e del suo secolo. Gaspara Stampa (Anassilla) sorti i natali in Padova nel 1523 da illustre famiglia oriunda da Milano. Rimasta orfana del padre in tenera eta, fu guidata negli studi dalla madre, colla quäle si trasferi poscia a Venezia. Ivi si diede all’ attenta lettura dei classici italiani, e poi allo studio del greco e del latino sotto la disciplina del dal-mata Gianfrancesco Fortunio, professore di legge e ver-satissiino nelle lottere. Se ne viveva quieta e contenta quando, a ventisei anni, sorse nell’ animo suo a turbare la pace una fiera amorosa passione per Collaltino conte di Collalto, signore di Treviso. Collaltino era annnirato da tutti per la sua prestante bellezza, pel suo ingegno e per le gloriose imprese militari da lui condotte. Onde non e da stupire che G-aspara ne innamorasse fortemente, e a lui indirizzasse le rime che il core appassionato le ispirava. Ma brevi dovevano essere i giorni avventurosi; poiche sorta fierissima guerra tra la Spagna e la Francia pel possesso d’ Italia, Collaltino si recö in Francia a mi-litare sotto le insegne di Enrico II. II bei cavaliere che aveva provabilmente giurato, come tutti gli amanti, fe-deltä a tutta prova, distratto da nuove bellezze, die’ una nuova sanzione al proverbio Lontano datjli occ/ii lontano dal cuore. Invano essa cantava: Spesso ehe Amor con le sue tempre usate Assal la vosti'a raisera Anassilla, Vi prenderia di lei, conto, pietate In vederla ed udilla; Perche le pene sue, i suoi cordogli Rompono i duri scogli; Ma voi state lontano, Ed ella piange invano. Yeggano Amore e il Ciel, ehe tutto vede, La vostra rotta e la sua salda fede. A poco a poco il conte giunse a dimenticare Gaspara, e prese moglie; il che fu la cagione della lenta morte di lei avvenuta nel 1554. Come le migliori rime della Colonna sono le sacre, cosi nelle Rime della Stampa sono da preferirsi quelle di argomento amoroso, che sono anche in maggior numero. L’amore della Stampa non era - al dire del Guerrini -un platonismo trascendentale, ma carne della sua carne, sangue del suo sangue. Essa dice quel che sente, con poca arte ma con molta efficacia, e la naturalezza e la veritä sono le sue doti maggiori. Qualche volta rade colle ali il suolo, di rado si leva a voli sublimi e lontani, ma si libra quasi sempre sicuramente nell’ aere suo che vibra di affetto e di passione. Le poche rime sacre sono fiacche, e questa fiacchezza fa risaltare di piü il calore, la sin-ceritä delle amorose. Ci restano di lei ben 280 sonetti, poi alcune canzoni, alcuni capitoli e madrigali. La prima edizione delle Rime di lei fu condotta dalla sorella Cas-sandra Stampa, e pubblicata in Venezia nel 1554 da Plinio Pietrasanta. Veronica Gambara, terza tra cotanto senno, nacque nel 1485 in Pratalboino, feudo della sua famiglia, nel Bresciano. Fu di nobilissima stirpe, e venne educata prin-cipescamente. Giunta all’ etä nubile sposo Giberto X, signor di Coreggio e principe di bella fama, e ne ebbe due figli, Ippolito e Girolamo, dei quali il primo divenne, ancor giovane, illustre nelle arti, il secondo nella gerar-chia ecclesiastica. Mentre la Colonna e la Stampa scri-vevano per isfogo d’ affetto e per ottenere un sorriso deli’ amante, la Gambara scriveva quasi con calcolo per amicarsi i grandi e gli illustri in pro dei figli. Essa vive tutta per questi, solo per questi, e la poesia non e per lei che uno strumento di piü per fabbricare la felicitä dei medesimi. Rende quindi omaggio poetando a Leone X ed a Francesco I di Francia; piü tardi anche a Carlo V di Germania, col quäle fece tanto ehe, valendosi anche della lontana parentela fra i Coreggeschi e casa d’Austria, lo condusse a Coreggio prodigandogli feste ed ottenendone privilegi ed onori. Vedova dopo dieci anni di matrimonio si dedicö intieramente ed unicamente ai figli, vivendo lontana dal mondo nel suo castello a Brescia. I suoi sudditi, afflitti dalla peste e dalla carestia, trovarono in lei maggiore umanitä che non usassero gli altri principi d’allora. Mori tranquillamente nel suo palazzo di Coreggio 1’ anno 1550, circondata dali’ amore del suo popolo e con-fortata dall’ottima riuscita dei figli, pei quali non indarno avea spese tante affettuose eure. Poche Rime di lei ci restano, ma sufficienti ad attes-tare il suo ingegno. Le principali qualitä delle sue poesie sono la facilitä e la chiarezza. Le sue migliori rime sono le stanze od ottave, dove veramente c’ e qualche cosa della limpidezza cristallina dell’Ariosto, qualche alito della freschezza del Poliziano 7). Laonde ben a ragione di lei cantava il conte Nicolo d’Arco: O diva, blandae quae citharae potes Mulcere iunctis carminibus feras, Cui tantura inaccessos recessus Pieridum penetrare fas est, Non te tacebunt invida saecula Vivam, nec atris nox tenebris premet Post fata; at aeternum vireuti Fronde comam religata vives. III. Non so resistere alla tentazione di assegnare il primo pošto d’onore tlopo le tre maggiori poetesse, ati una donna detta da’ suoi contemporanei una delle dot-tissime del seeolo, super sexum ingeniosa, scrittrice pro-fonda quanto elegante, fatta segno alle piü crudeli per-secuzioni deli’ avversa sorte e degli uomini. E questa Olimpia Fulvia Morato, cittadina non si sa Lene se ferra-rese o mantovana, nata da Pellegrino Morato nel 1526. Ancor fanciulla scriveva versi greci e latini con mera-vigliosa eleganza. Bella e piena di intelligenza e di eru-dizione aveva onorevolissimo pošto alla corte estense, dove per le sue doti brillava sopra tutte le altre donne. Dagli studi classici anch’ essa aveva, come tanti altri, appreso ad essere incredula. Interdum, scriveva in una lettera, in eum errorem rapiebar ut omnia času, fieri putarem, neque deum crederem curare mortalia quem-quam .... Nella corte apprese ad essere religiosa ed abbracciö le dottrine di Calvino; da qui le ire dei fanatici. Essendole morto il padre, cui essa amava teneramente, la buona Olimpia, riraasta senza averi e senza appoggio, pur dovette provvedere al sostentamento della madre inferma, di tre sorelle e d’ un fratello. Ella sperava in Dio, e a Lui parlava poetando in versi latini e greci. Conobbe allora Andrea Grundier, giovane protestante e študente di medicina nell’ universitä di Bologna: si ama-rono e divennero marito e moglie. Per sottrarsi alle basse calunnie dei cortigiani 1’angosciata Olimpia si reco in Germania col marito e col fratello Emilio, e precisamente a Schweinfurt presso la famiglia di lui; ma quando ap-pena incominciava a riacquistare la pace, avendo il marito ottenuto una cattedra di.medicina a Heidelberg, ed a godere di nuovo la soavitä della vita domestica, ecco ehe la cittä, dove trovavasi, dopo quattordici mesi d’assedio per opera dei vescovi di \Vurtzburg e Bamberg e del-1’Elettore di Sassonia, fu preša d’assalto e messa a ferro e fuoco. Una fuga improvvisa ed orribile; a piedi ignudi e consunta dalla febbre; una fuga angosciosissima vivamente narrata da lei medesima in una lettera. Dopo un anno, affranta dai mali e dai disagi, mori di 29 anni; due mesi dopo morirono anebe il marito ed il fratello 8). L’ incendio distrusse una parte delle sue pregevoli opere, tra le quali sono ricordate le Osservazioni critiche sopra Omero, e aleuni Dialogi n greci e latini. Le rima-nenti furono raccolte e pubblicate in Basilea nel 1570 con questo titolo: Olympia# Fulviae Moratae foeminae doctissimae ac plane divinae Opera omnia quae haete-nus inveniri potuervnt. Questa edizione contiene anche una bellissima elegia di Ippolita Torelli, figlia del conte Guido e di Francesca Bentivoglio, diretta a suo marito Baldassare Castiglioni in Roma. Ed ora, dopo la Morato, passiamo ad altre erudite del Cinquecento, degne di essere menzionate, ed inco-minciamo da un’altra grande infelice, Isabella Sforza d’Aragona, d’ingegno elettissimo, nata nel 1470. La vita di lei e una serie di gravissime sventure ed un esempio di meravigliosa costanza e pazienza. Fu moglie a Gian-galeazzo Maria Sforza duca di Milano. Mori nel 1524, e venti anni dopo la sua morte fu stampato un suo libro Bella vera tranquillitä d’animo, il quäle e pieno d’ottimi ammaestramenti, di nobilissime sentenze ed e seritto in purissima lingua italiana. Eruditissima fu pure Tarquinia Molža, nata a Modena il primo di novembre 1542, ehe fu 1’amore e la mera-viglia dei piu illustri letterati del suo tempo, e meritö dal senato romano la eittadinanza di Roma col glorioso soprannome di «Unica'?. Fu figlia a Camillo Molža, nipote del famoso Francesco Maria Molža, moglie a Paolo Por-rino, assieme alle poesie del quäle sono pubblicate anche le sue opere. Tuttor giovanissima conosceva egregia-mente il latino, il greco, 1’ ebraico, la filosofia, 1’ astro-nomia; cantava, sonava, componeva leggiadri versi. Tra-dusse il Critone ed il Carmide di Platone, serittore da lei studiato sempre con grande amore. Le rare sue virtü della mente e deli’ animo la resero cara al Tasso, il quäle volle che il suo nobilissimo dialogo Della natura di amore fosse detto La Molža. Nel 1580, rimasta vedova recossi a Ferrara, ove fu dama d’onore di Lucrezia e Leonora d’ Este, sorelle del duca Alfonso II. Mori in patria a set-tant’anni nel 1617. Ne serisse la vita Domenico Vandelli, ed uno splendido elogio ne fece Francesco Patrizi offe-rendole il terzo tomo delle sue Discussioni peripateticlie. A Muzio Manfredi essa indirizzava il seguente madrigale, ehe trovasi nella raccolta della Bergalli: S’ io fossi, Muzio mio, qual mi dipingi Nelle tue rime, illustre ed immortale, Reuder potrei 1’amata tua Vittoria, Di cui ’1 mondo si gloria; Ma tant’ alto non sale Mio stile, onde acquistar potessi onore A lei d’ogn’altra piü bella e gentile: Piü tosto il suo valore Scemar potrei col mio dir rozzo umile. Caterina Cibo Malaspina, duchessa di Camerino, molto intendente de’ governi di stati e degli affari del mondo. Fu ripiena di meravigliosa pieta e bonta, e d’ ingegno molto acuto, sicche apprese 1’ ebreo, il greco, il latino; fece progresso nelle poesie, nelle lettere umane e nella teologia; attese anche alla filosofia. Mori nel 1557. E con onore ricordata dal Manni e dal Quadrio. Teodora Danti da Perugia, fu compagna di studio e conforto al padre Pier Vincenzo Danti, celebre architetto. Eccellente nelle arti del disegno, fu anche egregia let— terata, e tenne corrispondenza coi primari personaggi d’ Italia, dilettandosi di sostenere coi medesimi dispute letterarie e scientifiche. Compose molte leggiadre poesie, commentö Euclide, scrisse un Trattato di jrittura. Mori nel 1573. La genovese Tommasa Fieschi (1480-1534) e rino-mata corae pittrice e ricamatrice non meno che come letterata, avendo essa pubblicato alcuni scritti di argo-mento ascetico. Artista e letterata fu del pari Vincenza Armani (f 1567) celebre per l’arte di scolpire al naturale in cera, ed egregia declamatrice. Studiosa del latino e deli’ ita— liano, coltivö anche la poesia e la hlosofia. A Camilla Pallavicini, nata verso la meta del secolo, rinomata per le sue opere di beneficenza, tesse l’elogio, anche come letterata, Giuseppe Betussi dedicandole le sue aggiunte all’opera I)e claris mulieribus del Boccaccio. Bella fama si acquistö anche Lorenza Strozzi, dome-nicana, nata a Firenze nel 1514, morta nel 1583. Fu dotta di greco e di latino, coltivö la poesia e la musica. Diede alle stampe 104 canti latini, piü volte stampati e messi in musica, e cantati nelle chiese. Meritarono d’es-sere tradotte le sue odi latine ed i suoi inni anche in francese dal Pavillon. Non meno celebre, specie per la sua eloquenza, si fu Issicratea Monterodigina, padovana. Dotata di nobilisimo ingegno recitö ancor giovanetta di soli 18 anni fra il plauso degli ascoltanti una lodatissima Orazione all’im-peratrice Maria, che fu moglie di Massimiliano II, la quäle passava nel 1581 in Italia per andare in Portogallo, dove era chiamata dal re Filippo per governare quel regno. Un brano di questa orazione trovasi citato dal De Cxubernatis nella sua Storia universale della lettercitura °). 2 Deila rinomata famiglia d’Este, che rese tanto ln— minosa la corte di Ferrara, dove la beltä era adorata con quel culto ehe il rinascimento eredito dal paganesimo, ricordansi pure alcune donne di raro ingegno e di rae-ravigliosa cultura. Tra le quali ricorderemo Renata d’Este, figlia di Lodovico XII, re di Francia, e moglie ad Ercole III, d uca di Ferrara. Era essa principessa di grande ingegno, e percio molto inclinata a coltivare gli studi e insieme a promuoverli ed avviarli. Quindi il Giraldi a lei dedicando le sne opere ne loda le rare virtu non meno che il favore e la protezione che prodigava alle belle arti. Aonio Paleario ne tesse l’elogio, e ricorda la rara perizia di lei nelle lingue latina e greca. Essa fece anclie convenientemente istruire le sue figlie Lucrezia ed Anna. La prima, che fu poi duchessa d’Urbino, e lodata dal Pat.rizi che le dedica la sua Deca istoriale della Poetica, in cui rammenta quanto ella avesse amato la musica, quanto a genio le andasse la poesia, e quanto cari le fossero tufcti gli uomini dotti. Anclie il conte Annibale Romei le dedicö i suoi Discorsi. Di Anna poi, che era la primogenita, e fu maritata nel 1548 a Francesco, duca di Guisa, e poscia in seconde nozze a Jacopo, duca di Nemours, troviamo grandi elogi nelle opere del Ricci, del Calcagnini, del Giraldi, i quali vanno a gara nel darle lode tanto per le sue virtü quanto per la cono-scenza della musica, delle lingue latina e greca, e per lo studio deli’ eloquenza. Sorella a queste due e pure la principessa Eleonora, della quäle vuolsi sia stato inva-ghito il Tasso. A questa famiglia appartiene anche Isabella d’Este, moglie del marchese Francesco Gonzaga e donna di ele-vato carattere e di vasta cultura. Molto bene rese essa alla citta di Mantova, accogliendo nella sua piccola e modesta corte tutti i piü accreditati poeti ed artisti. Professo in pari tempo grande amore per gli studi clas-sici e per le cose d’ arte, onde fu animirata anclie dal-1’ imperatore Carlo V, il quäle, visitandola, era rimasto sorpreso del suo dotto ragionare 10). Ricorderemo ancora come alla corte di Alfonso II d’Este, figlio di Renata, si raccogliesse oltre al Tasso, il flore degli eruditi e dei poeti, ai quali facevano degna corona Leonora Tiene duchessa di Scandiano, Tarquinia Molža, Laura Turca, Camilla Canale, la contessa di Sala, Leonora Sacrati, Camilla Mosti, Lucrezia Macchiavelli, Anna Strozzi, Camilla Bevilacqua, Lucrezia Calcagnini, Silvia Villa, ed altre colte ed illustri donne. A questo secolo potrebi>e appartenere eziandio la celebre Cassandra Fedele, veneziana, la quäle pero dagli storici della letteratura e posta tra le scrittrici del pre-cedente Quattrocento. Essa nacque verso la meta del secolo XV, ma mori appena nel 1558, o secondo altri nel 1567, nella veneranda eta di 102 anni. Fu lodata molto dal Poliziano; Leone X, Isabella di Castiglia, il doge Agostino Barbarigo la ebbero in grande onore, e fecero a gara per averla alla loro corte. Fu dottissima di latino, di greco, di filosofia; improvvisava versi, sos-teneva tesi filosofiche all’ Universitä di Padova. Lasciö molte Epistole, parecchie Orazioni, ed un libro Dell’ or-dine di tutte le scienze. Maria Petrettini di Corfu ne scrisse la biografia n). IV. Ma ritorniamo alla poesia, e fermiamoci a conside-rare brevemente le principali rimatrici del XVI secolo, seguendo in generale 1’ ordine cronologico. Al principio del secolo appartiene La Serafi na, ehe scrisse circa il 1500. Fu di patria senese; aleune sue terzine di argomento religioso si leggono nel Dispregio del Mondo di Agostino Colonna (Venezia 1524). Eccone un saggio: Madre di Cristo gloriosa e pura Vergine benedetta, immaculata, Donna del ciel, colonna alta e sicura; Sacratissima Ancilla incoronata Da quella Sapienza, eterno Amore, Per cui dall’Angiol fosti annunciata, Tu se’ quel vaso, in cui l’alto Signore Assunse čarne, e nella tua virtute, Per tor del primo padre il nostro errore. Tu fosti nave e porto di salute De’ Santi Padri, e n ostra vera guida Per quelle grazie, ch’ hai dal Cielo avute. Tu se’ Colei, a cui tanto si grida Misericordia, e dove ognun ricorre: O felice colui, ehe in te si fida .... Neli’istesso tempo scrisse Isabella Capece, figliuola di Girolamo barone napoletano. Pubblicö alcuni libri pii. 11 sonetto a Maria Vergine, ehe traserivo, si legge nel Rosario delle stampe di tutti i poeti: Come sol quando il ciel lieto e sereno, Come fra nebbie stella matutina, Come luna, ch’ al colmo s’avvicina, Com’ arco in nube di vaghezza pieno; Come vermiglia rosa al verno in seno, Come fiorita oliva al mar vicina, Come soave fiamma alta e divina, Come cipresso altero in poggio ameno: Come incenso odorato in chiaro foco, Come gran vaso d’or di gemme ornato, Come candidi gigli a un rio corrente, Fosti, mentre ch’avesti al mondo loco, Diva del ciel; cli’ or sei polo lucente, Che 1’ altre 12) guida a porto almo e beato. Barbara Torelli lü maritata ad Ercole Strozzi, gen-tiluomo ferrarese, colto ed elegante poeta, con cui visse solo tredici giorni, essendo egli stato ucciso da un rivale. Scrisse intorno al 1509. Dalla Raccolta dei poeti ferraresi e tolto il seguente sonetto, ricco di forte e nobile sentire, composto in morte del suo infelice marito: Spenta e d’Amor la face, il dardo e rotto, E 1’arco, e la faretra, e ogni sua possa; Poiche ha morte crudel la pianta seossa Alla cui ombra io cheta dormia sotto. Deh perche non poss’io la breve fossa Seco entrar dove hallo il destin condotto, Colui, che appena cinque giorni ed otto Amor leg6 pria della gran percossa? Yorrei col foco mio quel freddo ghiaccio Intepidire, e ristampar col pianto La polve, e ravvivarla a nova vita; E vorrei poscia baldanzosa e ardita Mostrarlo a lui, ehe ruppe il caro laccio, E dirgli: Amor, mostro crudel, puo tanto! Dello stesso nome trovo un’ altra rimatrice, ehe serisse eirea il 1555, Aida Torelli, nobile donna pa vese, saggia ed erudita. Ebbe in marito Giovanni Maria Lunato. Ha rime in varie raccolte poeticlie di quei tempi. Molti letterati deli’ etä sua, tra i quali il Landi, il Contile, il Betussi, serissero in di lei lode. Pare ehe appunto ad uno di cjuesti si rivolga col seguente madrigale: Proprio lume non e della mia stella Quello onde cosi chiara al mondo splende; Ma da voi '1 tutto prende, Da voi, ehe fate lei si ardente e bella. Perö chiunque sotto il ciel desia Saper vostra virtute almeno in parte, Contempli ’1 raggio della stella mia, Fatta novello sol da vostre cai’te: E dirä poi ehe 1’ arte, E il saper, e 1’ ingegno e in voi perfetto Di far eterno ogni mortal soggetto. Camilla Scarampa, secondo il Bandello astigiana, se-condo il Quadrio mantovana, e finalmente milanese secondo 1’Argelati, fu figlia di Scarampo Scarampi senatore in Milano, e visse intorno il 1520. Colla solita ampollosita essa e lodata molto dal Bandello, il quäle le dediča una delle sue novelle, e la dice un’ altra Saffo; anche il San- nazzaro la loda in un epigramma. Trovo nella Bergalli 13) questo leggiadro sonetto: Quel falso cieco, e di pietade ignudo, Ch’ogni mortal incende ed ammolesta, Mi assali per ferir con tal tempesta, Che a ricordarlo aacor pavento e sudo. Scoceando uii colpo si veloce e ci'udo Da far ogni foi“t’alnia aillitta e mesta; Ma fui alla difesa ardita e presta, E feci di raia mano al petto scudo. Pero in la man restö 1’ empia saetta, E si pien d’ ira sen volö su in alto Dicendo: Ancor di te farö vendetta. Ma or non temo piü suo grave assalto; Che armata, come quel che guerra aspetta, Farö al cor di diamante e ghiaccio un smalto. Cornelia Brunozzi de' Villani da Pistoia, scrisse circa il 1535. Nel sonetto che segne essa loda la bellezza di una gentildonna: Se la figlia di Leda ebbe giä il vanto Di quante furon mai leggiadre e belle, Voi sol, saggia Maria, siete di quelle Da non le invidiar tanto ne quanto: Che il bel vostro leggiadro, unico e santo Volto s’alza per l'ama oltre le stelle; Ne credo tal mai ne pingesse Apelle, O Prassitele, o s’ altri sepper tanto. Che le rose vermiglie infra la neve Son si ben poste agli amorosi lampi, Che faimo invidia al padre di Fetonte. 0 beltä sovrumane altere e pronte, Chi sarä quel, che a rimirarvi scampi, E non resti d’ amor soggetto in breve ? Contemporanea ed amica della precedente si fu Giulia Bracalli de’ Ricciardi. Riferisco un suo sonetto pieno di affettuose aspirazioni a Dio: 0 vivo Sol, che di si bei desiri M’accendi il cor, mentre tua luce aspetto, Non fia omai tempo ancor, che nel mio petto Nascer ti vegga, e in te viva e respiri? Felice lagrimar, dolci sospiri, Mentre ti chiamo, e cerco il tuo cospetto; Vieni, Signore, al caro obbietto eletto, Per cui soffristi giä tanti martiri. Entra, regna, possedi, opra, disponi; Che ad altrui non convien 1’esser signore, Poiche con grazia tal di me ti degni. Fa che tra gli altri incomprensibil doni, Onde ricca mi fai, tutto il mio amore In te sol posi, ed ogni altro disdegni. Della stessa famiglia e anche Selvaggia Bracalli de' Brac-ciolini, ehe scrisse circa il 1540. Francesca Baffa, d’illustre famiglia veneziana, appar-tiene alla metä circa del secolo; fu molto lodata dai let— terati d’ allora, cosicche, asserisce il Cliiesa, 14) «molti e degni soggetti da’ paesi loro partirono a solo motivo di visitarla». La Bergalli riferisce di lei alcuni sonetti di argomento politico. Clarice de’ Medici di Firenze, figlia di Pietro de’ Medici e di Alfonsina Orsini, fu moglie a Filippo Strozzi. Scrisse in torno il 1540. Aurelia Petrucci, di nobile famiglia senese, coltivö le belle arti e la poesia. Mori d’ anni 31 nel 1542, e fu sepolta in S. Agostino della sua patria. Sentimento vera-mente patriottico e nel seguente sonetto, di cui un verso lio giä citato piü sopra. Dove sta il tuo valor, Patria mia cara, Poiche il giogo servil misera scordi, E solo nutri in sen pensier discordi Prodiga del tuo mal, del ben avara? Ali’ altrui spese, poco accorta, impara Che fa la civil gara, e in te rimordi Gli animi falsi e rei fatti, concordi A tuo sol danno e a servitute amara. Fa delle membra sparse un corpo solo, Ed un giusto voler sia legge a tutti, Che allora io ti dirö di valor degna. Cosi tem’ io, anzi vegg' io, che in duolo Vivrai misera ognor piena di lutti; Che cosi avvien, dove discordia regna. Deila stessa faniiglia di Aurelia e anohe Cassandra Petrucci, che fiori circa il 1550, della quäle mi piace riferire un grazioso sonetto: Dove tra fresche e rugiadose erbette Corre un piü chiaro e piü limpido fiume, Ivi lieta mi sto, de] chiaro lume Cantando le leggiadre parolette. Amor, che in alma il bei desio mi mette, Meco si sta, con le sue lievi piume, Facendomi, per suo dolce costume, Cercar 1’ ombre e le piante leggiadrette. Non pero spero mai l’aura soave Spenga col chiaro fiume il crudel fuoco Onde mai sempre mi ritrovo accesa: Ma sottoposta a cosi duro gioco, Dato ad Amor de’ pensier miei la chiave, Lieta mi sto, senza piü far contesa. Lucrezia di Raimondo ha poesie in varie raccolte. Strano pel continuo giuoco d’antitesi, e il seguente sonetto sul Venerdi santo: Questo e quel lieto e doloroso giorno, Che a Gesü tolse e a noi donö la vita; Giorno che la sua faccia scolorita Fa l’alto Ciel di nova luce adorno. Dolcezza e gioia e speme e tema intorno Stanno all’ alma gioconda e sbigottita, Qual vinta dalla sua pietä infinita Mille lacci d’ amor lieta legorno. Orrendo quel «legorno». La seguente terzina non e di facile intelligenza: Non si conviene a te men caldo amore, Non piü estremo bisogno a tua pietade, Non minor la miseria alla tua doglia. Nella chiusa incalza ancor piü 1’ antitesi: Anzi non mia miseria, anzi sua gloria, Ne gloria fu, ma fu la sua bontade, Ne bonti fu, ma fu l’immenso amore! Silvia di Somma, contessa di Bagno, napoletana fiori del 1540. Annibal Tosso compose molte belle stanze in onore di lei. Trascrivo un suo sonetto: A che d’ onor mondani, ahime, cercare Piü grave incarco, e piii mentita lode, Se ogni gloria mortal rio tempo rode, E son le stelle ai bei disegni avare? Misere noi, che quasi un sogno appare Nostra vita qua giü, ne appien si gode Cosa, ehe vota sia d’ amara frode, E son le guerre assai, le paci rare. Felice spirto e quel che in s6 rinchiuso Discerne sol del Fattor sommo 1’opre, Ne si lascia ingannar da mortal uso. Breve e il nostro mortal; tosto ci copre Umida terra, e tronca Parca il fuso, E quali state siam tempo discopre. 15) Un’altra napolitana, contemporanea della precedente si fu Costanza d’Avalos, flglia di Innico marchese del Vasto e di Laura Sanseverina, e moglie a Federico duca d’Amalfi. Un sonetto d’argomento religioso trovo nel libro della Bergalli: Se il vero Sol coverto d’uman velo Volle patir tormenti, e crudel morte Sol per aprir le giä serrate porte, Che vietavano a noi 1’ entrare in cielo; Perche son io con vivo e mortal zelo Si pronta a desiar per vie distorte Di prolungar la vita in duol si forte, Che se di fuori appar piü dentro il celo? Ora che il divin foco accende il core, Intiepidisca e mora ogn’altra voglia, E la sua fiamma purghi il vano errore. E mi dimostri che con pianto e doglia Si corre al ciel, s’aequista il vivo amore, Vinto il mondo, il nemico e la sua spoglia. Anclie Cornelia Piccolomini, figlia della d’Avalos va ri-cordata per la profonda sua erudizione. Fiorenza Piemontese scrisse circa il 1549; non lasciö altra notizia di se. Abbiamo bensi una lettera in terzine nella quäle scrive al suo amante, gli ricorda 1’ infelice suo amore, e lo prega che quando sara morta sieno seritte sulla sua tomba le seguenti parole: Qui ainando corse quella, a cui fe’ niego Sorte ed Amor del desiato amante, Che udir di lei non volle unqua aleun prego. E per esser fedel troppo e costante, Giunse anzi tempo a fin si miseranda, Perö in amor non fia clii piü. si vante. Gerolama Casteilani, nipote di Tommaso poeta di qualche grido, fu monaca in S. Giovanni Battista a Porta Pia di Bologna, sua patria. Scrisse circa il 1550. Ecco un suo sonetto d’ argomento religioso: Vergine pura, che in si caro affetto 11 tuo parto divino umile adori, Mentre sciolgon dal ciel gli eletti cori Voci colme di gioie e di diletto; Siccome Egli cui inchina ognor soggetto II ciel, la terra e gl’ infernali orrori, Volle per cancellare i nostri errori Nascer oggi in si vil loco e negletto: Cosi per quella stessa caritade, Vergine, il prega, clie i suoi lumi vivi Di fe’ nel core e nell’ alma n’ accenda, Acciö per queste oscure, oblique strade Lieto ciascuno al suo riposo arrivi, E il rio nemico indarno i lacci tenda. Circa all’istesso tempo scrisse Maria Spinola Porrara, d’ illustre famiglia genovese, citata dal Ruscelli e dal Quadrio per le sue rime, altamente lodata anche dal-1’Aretino in una sua lettera del 1540, ove la paragona alla Gambara ed alla marchesa di Pescara. La Bergalli ne riporta il seguente sonetto di argomento filosofico: L’ alto desir della bellezza vera Talor m’innalza 1’alma accesa al cielo, Ove, spedita dal corporeo velo, Giä scorge il ver di quel ehe brama e spera. Poi qui tornata, e di tal dono altera, Ahi lassa, il foco si converte in gelo: E tosto manca quell ’ardente zelo, Che 1’avea scorta alla piü degna sfera. Tal da troppo timor se stessa coglie Amaro frutto; onde qual solea prima Vive infelice in odioso fango. E rotto il freno alle sue proprie voglie, Va in quelle errando, ne il suo ben piü stima Ond’ io deli’ error suo patisco e piango. Della stessa famiglia abbiamo due altre rimatrici che appartengono perö alla fine del secolo, Livia e Laura Spinola. Di quest’ ultima trovansi versi nelle Rime di Angelo Grillo, monaco ed ahate cassinese, al quäle cosi essa si rivolge: Angel, del vostro chiaro intelletto, Cui da la luce chi da luce al sole, Son frutti i versi miei; ehe spesso ei suole Mandar suoi raggi eterni entro il mio petto. Ei mi leconda, e senza lui non detto Altro ehe rime incolte, e di tal prole Piü che di grazie abbondo uniche e sole; Ma parla in voi troppo Cortese affetto. A’ carmi vostri eccelsi e gloriosi, Cui sol tributo col silenzio io pago, Che non posso lor dar piü degni fregi, Sua corona da Apollo; e eh’ io mi pregi Di lor, di voi, ben e ragion; ch’e vago Sempre il mio cor d’ ingegni alti e famosi. La fiorentina Narda Fior (1550?) cosi piange lontano 1’ oggetto del suo amore: Misera me, ehe deggio far piü mai, Se non pianger mai sempre e sospirai'e, Perche d’ogni mio male e de’miei guai Fui cagion sola e di mie pene amare. Ohime, dove ora son quei dolci rai E 1’ altre sue bellezze a me si care ? Deh perche senza me, dolce mia vita, Te ne sei gito? ahi dura dipartita! .... Che sia di te, mio ben, mio amor, mia gioia, Lassa non so, so ben che sei lontano So ben, cli’ io non ti veggio e che m’ annoia La vita senza te; so ben che in vano Ognor ti chiamo, ohime, che amara noia Mi sento al cor senza il bei viso umano: Ohime che il tristo cuor s’ alüigge e duole, Senza la vita del suo chiaro sole! . . . . Di Lucrezia Figliucci mi piace riportare il seguente sonetto, nel quäle pare descriva un quadro rappresentante l’ascensione di Cristo al eielo; nell’ ultimo verso la mi-tologia guasta il concetto cristiano. Sciolto da tutte qualitati umane E della terra, il mio Signor sen gia Verso il cielo, e del sol giä si vestia II bel corpo, e di stelle alte e sovrane. E salendo pian pian, dalle lontane Genti giä si vedea la gerarchia Prima venire, e l’altre esser in via Con desiose voglie e sovrumane. Da queste furon certi angeli eletti, Che, innanzi al carro trionfale, in mano Portasser croci, spine e acuti chiodi, E lancie, e sponghe, e dure sferze e nodi, Per mostrar con quali armi il mondo insano Ei vinse, ed espugnö gli Stigii tetti. Una delle piii colte e leggiadre rimatrici del secolo si e Isabella di Morra, napoletana, le cui Rime furono impresse nel 1003 con quelle della Gambara e di Lucrezia Marinelia. Pare, dalle sue poesie, ch’essa fosse fatta segno ai «fieri assalti di crudel fortuna», perche continuamente si lagna: Torbido Siri, del mio mal superbo, Or ch’io sento da presso il fine amaro, Fa tu noto il mio duolo al padre caro, Se mai qui torna il suo destino acerbo. Digli, come morendo disacerbo L’aspra fortuna e lo mio fato avaro, E con esempio miserando e raro, Nome infelice alle tue onde serbo. Tosto ch’ei giunga alla sassosa riva, — A che pensar m’adduci, o fiera stella! — Come 1C) d’ ogni mio ben son cassa e priva. Inqueta l’onde con crudel procella, E di’: Me accrebber si, mentre Tu viva, Non gli occlii no, ma i fiumi d’Isabella. Piü di molte altre feconda nel numero delle rime, ma meno di molte felice nelle loro eleganza — a detta del Tiraboschi ’7) — si fu Laura Terracina nativa da Napoli, ove fiori verso la metä del secolo, e fu tenuta in molto pregio. Vanno impressi ben quattro volumi delle sue Eime, ed altre ancora in onore delle signore vedove napolitane: di piü si ha di lei un artificioso diseorso in ottava rima sopra tutte le prime ottave dell’Ariosto. Nel seguente sonetto Laura si lagna del secolo corrotto: Veggio il Mondo fallir, veggiolo stolto, E veggio la virtute in abbandono; E che le Muse a vil tenute sono, Talche l’ingegno mio quasi e sepolto. Yeggio in odio ed invidia tutto avvolto II pensier degli amici, e in lalso tuono, Veggio tradito dal malvagio il buono, E tutto a’ nostri danni il Ciel rivolto. Nessun al ben comuu tien fermo segno, Anzi al suo proprio ognun discorre seco, Mentre ha di vari affetti il petto pregno. Io veggo, e nel veder tengo odio meco: Talche vorrei vedere per disdegno 0 me senz’occhi, o tutto il mondo cieco. In morte del Bembo (f 1547) essa scriveva il seguente sonetto: Ecco le Muse mute, ecco il bei fonte D’ogni suo dolce umor privo ed asciutto; E la cetra di Apollo in grave lutto, E senza le sue piante il sacro monte. Ecco ben mille lingue a biasmar pronte Morte, che spoglia il mondo d’ogni frutto, E prival del piü degno onor in tutto, Ch’espresso si vedea del Bembo in fronte. Odo voce del ciel, che scende a basso, Vedendo ognun si mesto e in tanto orrore: Ogni vostro ornamento e sotto un sasso. I)ico il mortal, ehe fu del mondo onore, Pero ehe 1’ alma con maturo passo E ritornata in grembo al suo Fattore. Trascrivo aneora alcune terzine a Maria Vergine, nelle quali si sente subito 1’imitazione del Petrarca: Vergine santa, immacolata e pura, Solo rifugio al misero mortale, Onde 1’ anima dubbia s’ assicura — Vergine eccelsa, eterna ed immortale, Esauditrice de’ preghi innocenti, Rimedio d’ogni affanno e d’ogni male — Vergine sacra, a cui de' miei tormenti L’innumerabil numero dispiego Con pianti gravi e con mesti lamenti — Vergine adorna, in cui 1’ umano prego Trova mercede e pietate e salute, A te mi volgo umilemente e piego — Vergine colma d’ogni alta virtute, Le cui degn’ opre son negli alti chiostri lS) E gradite e lodate e conosciute — Vergine pietosa agli umil preghi nostri, Fermo sostegno alla miseria umana, A cui sempi’e benigna ti dimostri — Vergine incomprensibile e sovrana, Che dal Re eterno fosti incoronata Per dar luce alla vita cieca e vana — Vergine saggia e di splendore ornata; Vergine in parto, dopo il parto e avante, Tu sola tra le donne avventurata — Vergine di pieti vera abbondante, La cui bontade al ciel ne riconduce, Cacciando il traditor fermo e costante — Vei'gine piena d’ infinita luce — Soccorri al mio fallir, ti priego omai, Ch’ altri che te non bramo aver per duce. Spiega nel fosco core i chiari rai, Mostrati pia, come sei sempre, e grata, Acciö ch’ io scampi dagli eterni guai. So, che al pregar altrui non se’ indurata; Anzi avvocata ognor deli’ uman seme Fosti, e sempre sarai, Vergin beata. Soccorri al cor, che contrito si gerne; Raccogli in te benigna il mio desire, Per quanto il tuo Figliuol ci diede speme, Trova rimedio all’eterno martire. Colle seguenti parole in fine essa s’accommiata dal lettore: Qualunque sia, che per caso o per forza Legga giä mai queste mie incolte rime, Ben che 1’ onore e il giudicio lo sforza, Sicche convien che assai poco le stime; Pur lo prego io che non passi la scorza, Che/1’ignoranza mia dentro s’imprime; E se giovane indotta e donna sono Ne principio ne fln posso aver buono. Virginia Martini Salvi, nacque a Siena ed abitö colla propria famiglia molto tempo in Roma; poeto del 1560 circa; ma riusci fredda e monotona. La stessa cosa dicasi della figlia di lei Beatrice Salvi. Bella fama invece acquistossi Ersilia Cortese Del Monte, nata a Roma nel 1529. Fu moglie a Giambattista del Monte, nipote di papa Giulio III. Da questi ebbe la signoria di Nepi. Rimasta vedova nella fresca eta di 23 anni, essendole morto lo sposo nella guerra della Miran-dola nel 1552, e privata deli’appoggio dello zio per non voler accondiscendere alle seconde nozze di un prepotente e indegno signore, il Caraffa, fu tirannicamente spogliata de’ proprt beni ed astretta a menare fuori di Roma una vita solitaria e privata. In segno della sua costanza portar soleva — come riferisce il Ruscelli — per impresa un palaggio che arde, col motto: Opes non animum. Scrisse molte buone poesie pubblicate nel 1575 da Muzio Manfredi nella sua Raccolta di donne romane. Alcune sue lettere ai piu cospicui personaggi dell’epoca si conservano nell’archivio di Modena. Fu encomiata dal Caro, dallo Speroni, dal Ruscelli, da Bernardo Tasso, dall’Aretino. Molto ne parla il Tiraboscbi. Col sonetto che riportiamo qui sotto, essa si rivolge a Giulio III, perche la sorregga col suo paterno consiglio. Sacro Pastor, che avventurato reggi L’ incauto armento or al Giordano intorno, Ora al Tebro, ora all’Erimanto, e giorno E notte ir sazio il fai di sante leggi; Me smarrita agna, fra montani greggi, Troppo, ahime, fuor del natio soggiorno, Che non scorgi a quel ver perpetuo adorno? Ben so io quanto acutamente veggi. Tuo voler, tuo valor, tua sapienza, Tuo sagace giudicio, tuo consiglio Han quanto aver si puö somma eccellenza. Yolgi adunque ver me l’acuto ciglio, E mostrami con qual mia prowidonza Possa schivar del mondo il crudo artiglio. Molta fama ottenne anche una gentildonna lucchese, Chiara Matraini Contarini, ricordata dal Crescimbeni nella Storia della volgar poesia, pagina 123. Fu dessa molto versata nella tilosofia e nella storia, e tenne corrispon-denza letteraria coi piü famosi deli’ etä sua. Scrisse un libro di poesie, una parafrasi in verso ed in prosa di diversi Salmi, ed un altro libricciuolo della Vita di M. Vergine. Le sue Rime ed alcune Lettern di lei furono pubblicate dopo la sua morte, nel 1595. Scelgo tra le molte sue rime il seguente madrigale: Smarrissi il cor, gelossi il sangue quando Dipinto di pietä Talino mio sole 1!)) Udi con dolci ed umili parole Dirmi, e con un sospiro: «O mio sostegno, Mesto men vo, ma il cor ti lascio in pegno.» In questo 1’ aspro suo dolore accolto Sfogö per gli occhi, e impallidi il bel volto. Quel eh’ io divenni allor sasselo Amore, E sallo bene ogni invescato core, Che quasi morta, in voce rotta e frale, A gran pena formai: « Signor mio, vale! » E piü non potei dire, Che mi sentii morire. Passiamo alla famiglia Gonzaga di Mantova, della quäle non poclie donne si accaparrarono bella farna di letterate e rimatrici. Emerge sopra tutte Ippolita Gonzaga Colonna, figlia di Don Ferrante Gonzaga e moglie a Fabrizio Colonna, nata nel 1535. Fu lctterata, dotta nella mušica e nelle scienze esatte, ed ebbe tre niedaglie co-niate colla sua effigie: due delle quali mentre avea soli 15 anni, l’altra quando ne contava 17, le quali medaglie ancora presentemente conservansi nel museo di Milano. Rimasta vedova raccoglieva nel suo splendidissimo pa-lazzo in Milano tutti i dotti di quella cittä, e proponeva loro problemi scientifici e letterari. Fu lodata da Giulio Bidelli senese, ehe le dedicö nel 1551 le sue poesie ed un capitolo in terza rima intitolato La pazienza di Bidello. Pietro Aretino nelle sue lettere le e largo di lodi; la ebbero in molto pregio Bernardo Tasso, il Crescimbeni ed altri. Mori ancor giovane ai 9 di maržo del 1563. 20) Antonio Securo raccolse molte composizioni in di lei morte. Riporto qui un sonetto ehe sembra seritt.o in morte di Irene da Spilimbergo. Quella, ehe co’ soavi almi concenti Onde fermar potea dal corso i fiumi, E render queto il mar, placidi i venti, Dolci far spesso alpestri aspri costumi — Quella, che co’ suoi chiari e santi lumi Tosto liete facea le afflitte menti, E spargea grazie tali infra le genti Che di Terra fean Ciel, d’ uomini Numi — Quella, ehe con la man pivi ch’ altra mai Leggiadra, Apelle e Pallade vincea, E con la dotta penna ogni alto ingegno — Morte ne invola. Ahi Ciel, corae tu il fai, Che donna tal, anzi verace dea, Di quell’ empia soggiaccia al fiero sdegno ? Alla medesima famiglia appartiene Lucrezia Gonzaga da Gazzuolo, nata nel 1537. Studio filosofia, astronomia, e fu versata nelle lettere greche e latine. Donna vir-tuosissima, sopportö il violento carattere del marito Gian Paolo Monfrone, generale dei Veneziani, il quäle, sospetto di traclimento, fu da Ercole II duca di Ferrara condannato a morte nel 1546, ed in seguito ali’ inter-cessione dell’affettuosa consorte graziato e rinchiuso per sempre in prigione, ove mori nel 1552. llimasta vedova dedicö la sua vita ali’ educazione deli’ unica figlia. Ebbe farna di elegante poetessa; alcune delle sue Rime videro la luce, altre rimasero inedite. Furono pubblicate anche varie lettere sotto il di lei nome, ma esse sono piuttosto — eome nota il Tiraboschi — di Ortensio Landi, il qnale in Venezia pubblicö un panegirico in morte della medesima. Giulio Cesare Scaligero le dedicö un epi-gramma; il Bandello, ehe le fu maestro, la fece sog-getto di un intero poema in ottava rima della lunghezza di ben undici canti. Qual noia — esclama il Corniani 21) — non deve esalare da undici canti di sole lodi e di una sola donna espresse in versi anche non troppo fe-lici ne per la lingua ne per 1’ armonia! I)i piu nel 15G5 fu data in luce in Bologna una raccolta di Rime di diversi poeti suoi ammiratori. Moriva in Mantova nel 1576. Una terza rimatrice della famiglia Gonzaga si fu Giulia, sorclla di Luigi detto il Rodomonte, ricordata da parecchi scritiori di quel tempo, la quäle pero — a detta del Settembrini — fu piü famosa per la sua bel-lezza e per le sue avventure che non per le poesie da lei pubblicate. Trovo accennata ancora una Camilla Gonzaga, di cui a’ tempi di Adriano II divenne amante in Bologna il celebre Francesco Maria Molža. II Casio le dedicö un libro di poesie intitolato La Gonzaga. In fine, un so-netto di Bianca Gonzaga, che visse verso la fine del secolo, e ricordato dal Quadrio22). Nel 1769 Antonio Ranza pubblicava a Vercelli un libro dal titolo: Poesie e memorie di donne letterate ehe fiorirono negli stati del re di Sardetjna. In cotesta opera leggonsi copiosc uotizie di Claudia Della Rovere, di Leonora Faletti, genovese, moglie al principe di Me-lazzo e di Villa Faletta; ed insieme alle loro poesie altre ancora se ne leggono di Anna Ottavia degli Sca- ravelli, di madama Fiorenza G. piemontese, di Maddalena Fallavicini dei marehesi di Ceva e di altre ancora. Tra-scrivo un sonetto di Claudia della Rovere. Cocenti sospir miei, dovreste ormai Le lagrime asciugar, che versa il core, Ovver dovrebbe il micidial dolore Con un solo morir trarmi di guai. Ma veggio, ohime, ehe cresce piii d’ assai Per sempre sospirar mio fero ardore; Ne questo rende o quel mio duol minore, Ne giorno o notte io mi riposo mai. Cure dogliose ed aspri acerbi fati, Che versate il mio cor, si ch’ei non trova Lunga pace non pur ma breve tregua: Che sarii poi, erudeli ed ostinati, Fatta ehe sia di me 1’ultima prova? Se cosi piace a voi, cosi pur segua. Di Livia Poeti bolognese (1559 !), moglie ad Ales-sandro Poeti, fainoso capitano, abbiamo un bel sonetto in morte del marito: Alma beata, ehe giti al mondo, involta Nel tuo bel ma mortal corporeo velo Mi fosti un tempo, or mi sei guida in cielo, Dal terren nodo innanzi tempo sciolta; Mentre ehe al sommo Sol tutta sei volta Piena di ardente e di verace zelo, Odi i sospir eh’ io spargo, e il duol eh’ io celo Rimira in Lui che il tutto vede e ascolta. Deh! il mio gran mal il tuo ben non sceme, Ma ti mova a pietä, ehe sol me sdegna Morte, per non por fine alla mia guerra. E s’ anche m’ ami in ciel, come giä in terra, Impetra dal Signor — bench’io sia degna — Ch’io goda 1’uno e 1’altro volto insieme. Concittadina e coetanea della Poeti e la celebre Lucia Bertani Dell’Oro, rinomata per essersi frapposta, pur troppo in vano, nella famosa questione letteraria insorta tra il Caro ed il Castelvetro 2S). La lettera che ella scrive al Caro spontaneamente e per la prima, mostra quali fossero gT intendimenti gentili di lei; come quella del Caro, in risposta, palesa la grande stima che ei le professava. La Rertani mori in Roma l’anno 1567 in etä di 46 anni. II sonetto che segue e in lode di Veronica Gam-bara e di Yittoria Colonna, marchesa di Pescara. Ebbe 1’ antica e gloriosa etade Saffo e Corinna, che con dotte piume S’ alzano insino al bei celeste lume Per molte, degne e virtuose strade. Or due, che alloro il crin cinge e bontade, Non pur fan d’Aganippe nascer fiume; Ma spengono ogni falso e rio costume Con opre eccelse, eterne, uniche e rade; Tal che l’alta lor fama i pregi ingombra Delle due prime; e in questa e in quella parte Sonar si sente Gämbara e Pescara. Quest' alme illustri son cagion che ogni arte Tento per törre alla mia luce 1’ ombra, Sol perche al mondo un di si mostri chiara. Laura Battiferri degli Ammanati, allieva di Annibal Caro, detta da Rernardo Tasso «Onore di Urbino» e dal Varchi «novella Saffo», fu sposa al celebre scultore ed architetto fiorentino Rartolommeo Ammanati. Quando nel 1551 la granduchessa Leonora di Toledo, moglie di Cosimo I, fondava in Firenze il collegio detto di San Giovannino, tra i molti che v’ ebbero parte colla loro liberalitä furono i conjugi Ammanati, i quali fecero al nuovo collegio liberal donazione di tutte le loro sostanze. Laura mori nel 1589 in etä di 67 anni a Firenze. Oltre alle molte sue Poesie, in gran parte d’ argomento sacro, lasciö anche una traduzione dei Sette salmi penitenzicili. Le prime pubblicaronsi dai Giunti in Firenze nel 1560, i secondi nel 1566. Merita, specialmente per la bella similitudine, d’ essere ricordato il seguente sonetto: 24) Come padre pietoso, che 1’ amato Figlio vagando d’ uno in altro errore Gir vede pur del cammin diritto fuore, Ch’ei lungo tempo giä gli abbia segnato; Che or con volto benigno, or con turbato, Or lo minaccia, or p rega a tutte 1’ore, Per ritornarlo al piii vero e migliore Sentier nel prirao suo felice stato — Cosi tu, vero e piü d’ogni altro pio, Supremo Padre, me, tua figlia errante, Che a tua viva sembianza in ciel creasti, Perclie quest’alma torni ond’ella uscio, Con dolci ed amarissimi contrasti Tenti ridurre alle tue leggi sante. Oiimpia Malipieri, veneziana, figlia di Leonardo, scrisse del 1560 cirea. Dei molti suoi componimenti poe- tici, sparsi in diverse raceolte, mi piace trascrivere il seguente sonetto alla cittä di Venezia: D’ un lustro un terzo e giä passato intero Che da te lungi e mesta ognor soggiorno, Vinegia mia, ne visto ho piü bel giorno Da indi in qua, se non malvagio e fero. Come affannato in mar, stanco nocchiero, Cui stringa oscura notte d’ ogni intorno, Brama di pigliar porto, e far ritorno Al desiato suo dolce emisfero; Tal io vorrei 1’ altrui lido lasciare, E il dubbio navigar delle trist’onde, Ed in te, amata patria, il cor jiosare. Onde mai sempre liete aure feconde Prego mi scorgan tide al dolce mare, Che 1'elice ti eilige ambe le sponde. Un’ altra sua gloria vanta Venezia in Modesta Pozzo de’ Zorzi, ehe scrisse sotto il nome di Moderata Fonte, moglie di Filippo Giorgi, nata nel 1555. Fu versata in molte scienze; compose un poema Floridoro, un libro Del merilo delle donne, ed altre cose ancora. Manco ai vi vi nel 1592, e fu sepolta con onoratissimo epitafio nel chiostro dei Minori conventuali di Venezia. Dal canto IV del Floridoro trascrivo le seguenti stanze in difesa del suo sesso: Le donne in ogni etä für da natura Di gran giudicio e d’animo dotate, Ne men atte a mostrar con studio e cura Senno e valor degli uomini son nate. E perche, se comune 6 la figura, Se non son le sostanze variate, S’hanno simile un cibo e un parlar, denno Differente aver poi 1’ ardire e il senno ? Seinpre s’ e visto e vede, pur ehe aleuna Donna v’ abbia voluto il pensier porre, Nella mili/.ia riuscir piu d' una, E il pregio, e il grido a molti torre. E cosi nelle lettere, e in ciascuna Impresa, che 1’uom pratica e discorre, Le donne si buon frutto lian fatto e fanno, Clie gli uomini a invidiar punto non hanno. Non altrimenti opinava due secoli addietro Eleo-nora della Genga quando seriveva: Tacete o maschi, a dir c-he la natura A fare il maschio solamente intenda, E per formar la femmina 11011 prenda Se non contro sua voglia aleuna cura, Sanno le donne maneggiar le spade, Sanno regger gl’ imperi. e sanno ancora Trovare il cammin dritto in Elieona. Nol)ili proteste contro la stolta opinione di chi pre-ferisce la donna ignorante, e črede che alle doti fem-minili reclii pregiudizio la cultura! Laura Beairice Cappel!o, un’ altra gentildonna ve-neziana, fa monaca nel monastero della Pasterla, e fiori del 1580. Dalla GJdrlanda della contessa Angela Be-caria 23) di lei amica, č tolto il seguente madrigale per la sua monacazione: Questo crin eh’ io deposi Quel di, ch'io mi disposi Lieta al mondo morir, viver a Dio, Fu serbato da me sol con desio, Che le due parti estreme Della vostra ghirianda or leghi insieme, E insieme il laccio mostri Che lega e in un ristringe ambo i cor nostri. Isotta Brembatti Grumello, rimatrice lodatissima a’ suoi tempi, nata a Bergamo, conobbe molte lingue, ed in particolare la spagnuola, nella quäle componeva, a quanto dicono, al pari di ogni miglior poeta di quella nazione, e pote trattare aflfari propri nel senato di Milano. In occasione della sua morte, che segui circa il 1587, lu stampata una raccolta di poesie per cura di Comino Ventura, nella quäle stanno anche le sue Rime. Di lei parlarono il Quadrio, e meglio ancora il Maz-zucchelli 2C). Aurelia Roverelli da Ferrara, serisse intorno al 15G5. Nella Bergalli trovo questo sonetto tutto spontaneitä e grazia: Io vo cercando se lo stesso amore Che m’ arde in petto con sua ardente 1’ace, Sia quel che ad ogni altr’alma sua seguace Con tanta tirannia distrugge il core. Perch’ io mi sento bensi un vivo ardore, Che mi fa piü deli’ uso mio vivace, Ma nulla poi sento turbar mia pace, Qual se 1'osse altra cosa che calore; E dico: Onde avvien mai si vario effetto ? O am or non e, o piü benigno e meco, .0 d’ altra tempra esto mio core e fatto. Temo perö, che il fanciul crudo e cieco Cosi non mi lusinghi, e placidetto Cominci, e poi scoppi tutto ad un tratto. Non si potrebbe meglio esprimere, parmi, 1’ esitanza di clii si trovi di fronte ad un amore incipiente. Nelle Rime toscane di Faustino Tasso trovansi ri-portate pareccliie poesie di Laura Gabrieli degli Alciati contessa di Bellone, di Ortensia Lomellini de’ Fieschi il-lustre dama genovese, di Leonora Cibo de' Vitelli e di Nicoletta Celso di patria fiorentina, le quali serissero tutte e quattro circa 1’ anno 1570. 11 seguente sonetto, zeppo delle solite ampollosita cinquecentiste, e diretto dalla Celso a Faustino Tasso, il quäle — sia detto per incidenza — fu frate dei Minori osservanti. Felice Tasso, a cui girando intorno Vola scherzando il cieoo ignudo Dio, Per far poi pien di gioia e di desio Nel vostro cor gentil chiaro soggiorno! O lieto, o fortunato, o san to giorno, Quando che a noi vi diede il sommo Iddio; Poiche si vede al suol patrio natio Fare il secolo d’oro almo ritorno. Onde all’ombra di voi vive contento, Tasso gentil, degno di sommo impero, II ciel, le stelle, il inondo, il firmamento. Ed io per far quindi all’altro emisfero Chiaro sonar il suo bel naseimento Chieggo ad Apollo il dir del grande Omero. In diverse raecolte trovansi sparse le rime di Orsina Bertolaia, moglie al poeta Kreole Cavalletti, la quäle fu anche dedita alla filosofia, e disputö pubblicamente contro i Dialoglii del Tasso, ehe poi del cognome di lei volle intitolare quello Della poesia toscana. Era nata a Ferrara, e mori nel 1592. Merita d’ essere ricordato questo suo vezzoso madrigale: Stassi sempre al varco II pargoletto Amore Dei vostri lumi, o bella Livia d’Arco; Quivi attende gli schivi, E i superbi, e gli audaci, e i fuggitivi, E lor avventa, in vece dei suoi dardi, De’ bei vostri occhi i guardi. Maddalena Campiglia, vicentina, di nobile prosapia, attese ad opere di pietä ed alla poesia. Visse nel chio-stro delle Dimesse. Dopo vari eomponimenti di argomento ascetico, pubblicö nel 1588 la favola boschereccia Flori, lodata dal Muzio, dal Crescimbeni, dal Quadrio e dallo Zeno nelle Note alla Biblioteca italiana del Fontanini, e dedicata al Tasso, il quäle aggradendo il dono con-fessa — certo per eccesso di deferenza — ehe il suo Aminta era stato vinto dalla Flori 27). Serisse anche un’ egloga Calisa, cui dedicö a Curzio Gonzaga. Si hanno di lei anche molti sonetti, ed un lodatissimo poema tragico sul Martino di Santa Barbara. Mori universalmente compianta nel 1595. Oltre alla Campiglia imitarono con favole bosclierecce 1’Aminta del Tasso anche Laura Guidiccioni Lucchesini e Leonora Bellati Bernardi, entrambi gentildonne lucchesi. Di Margherita Malescoti, senese, ehe serisse intorno il 1590, m’ e sembrato degno di menzione il seguente madrigale, che allude alle parole di Cristo morente: Mulier, ecce fdius tuus. Se intero, o mio Signor, fra le tue sparte Membra serbasti il core, Nido d’immenso amore, Che la tua gran pietä ver noi comparte; Come chiamar potesti Donna, e non Madre, quella Onde 1’ umanitade e il latte avesti? Dunque tanto rubella Del cor la lingua fu ? Dunque volesti Torti a lei, darla altrui, se d’altro figlio Madre la chiami? O pietoso consiglio, Che cosi farla vuoi Come madre di te, madre di noi! Bellina e pure un’ ode epitalamica di Antonia Doni, stampata nel Tempio di Flavia Orsina Peretta (Roma Martinelli 1591): Vieni, Vieni Imeneo, Vieni, che d’ aureo velo S’ ammanta il ciel, e la nascente luna Sparge liotturno gelo, Mentre ehe l’aria al tuo venir s’imbruna. Teco dolci facelle Arreca, e dolci nodi, E con bei modi accendi e lega i cori; E con tue caste frodi Fa rapina deH’alme ai santi ardori. Vieni, fanciullo ignudo, Ma di fiammelle armato, In te beato; poiche inerme e solo Un cor freddo e gelato Infiammi, vago, sol scherzando a volo. Di verdi ghirlandette T’ornerem l’aureo crine, E con divine voci il sacro nume Canterem pellegrine, Infin che il foco tuo s’ arda e consume. Tu con Virginio amante La bella Flavia amata Deli! tien legata in armonioso laccio: E con la face aurata Arder fa d’ onestä 1’ interno ghiaccio. Mira 1’ alta bellezza E la grazia del viso, Che un paradiso asconde entro le rose: Dove chi mira fiso Vedrä le stelle ardenti e graziöse. Mira l’or crespo e vago Del crin tra gemme avvolto, Che dal bel volto folgorar si vede, Ove con laccio accolto Stan sempre unite caritade e fede. A che pur temi e tardi, Fanciullo amorosetto ? E in te ristretto stai? Yieni Imeneo, Yieni con casto affetto; Imeneo, Imeneo, vieni Imeneo! Innocenza Carrari da Treviso, appartiene agli ultimi anni del secolo, e contribui con un bel madrigale ad arric-cliire una raccolta di alcune poesie funebri pul)blicate in morte di Francesco Brescia l’anno 1591. Ecco il madrigale: A che, Plinio, ti duoli e ti lamenti Con interrotti accenti? E che pianti di cigni, e che i'uneste Insegne, ohime, son queste? Forse il tuo Brescia e morto, e i tuoi contenti? Con infelice sorte Quasi cigno ei cantö vicino a morte, E fu la morte ingrata E piü che mai spietata, S’have la nostra gioia e spenta e cassa: Sembrö ei celeste in terra, Ed or fa al tempo guerra: Ah! non e morto, dorme, il pianto lassa Per non destarlo, e taci e mira e passa. Molti allori, specialmente nell’ arte drammatica, colse Isabella Andreini, padovana (1562-1604), ehe fu una delle piü celebrate attrici ehe vanti 1’ Italia. Ad un ta-lento non ordinario congiunse una ancor piü rara onestä di eostumi, il ehe non impediva ai vagheggini d’allora di fare del suo nome 1’anagramma latino alia blanda Sirena. Si occupö anche di filosofia e di poesia, alla quäle sentivasi attratta da potentissima inclinazione. Anch’ essa si provö di imitare 1’autor della Gerusalemme serivendo la favola hoschereccia Mirtilla. Fu aseritta a parecchie aecademie, ebbe 1’onore di una medaglia coniatale espressamente; anche la Francia le prodigava onori, ed Enrico IV le seriveva una lettera di propria mano facendola dama di corte. Mori a Lione; molti letterati ne celebrarono la memoria, more solito, in una raccolta di poesie intitolata II pianto di Apollo. Trascrivo, come saggio delle suo poesie, il seguen-te sonetto al Tempo. Tu, che de’ piü famosi e de’ piii cliiari E i corpi e i nomi ancor chiudi sotterra, E le torri superbe all’ ima terra Adegui, e secchi i fonti, i fiumi, i mari — Tu, ehe de’ sette culli illustri e rari, Che un tempo a te fer si onorata guerra, Yittorioso altin mandasti a terra Politi, colossi, terme, archi ed altari — Tu, che 1’ opre lion pur di mail mortale, Ma d’altissimo ingegno, a Febo grato Ogni nobil fatica alfin distruggi — Alato veglio, che volando fuggi, Al tempio tuo di tanti fregi ornato, Tra tante spoglie — appendi anche il mio male. Leggansi ancora questi due madrigali: Amor d’amor ardea Per la vezzosa e bella Amorosa Nigella, Ed a lei, come a riverita dea, Lasso, fe’ sacrifizio del mio core: Ah, sorte iniqua e rea, Di Nigella e l’onore, Di Cupido b la gloria, b mio il dolore! Standomi a pie d’ un orno Vidi la bella mia leggiadra Clori In un prato di tiori, Che, per farsene adorno E 1’ aureo crine e il delicato seno, Ne avea giä il grembo pieno; Ma dir giä non saprei, Se la mano di lei piii ne tolgea, 0 se il pie vago piü ne producea. Ma non tutti i suoi versi sono ugualmente prege-voli; taluno, a cagion d’ esempio, la rimprovera per aver ella composto un intero Capitolo in cui ogni terzetto finisce c.on un verso del cantor di Laura. Erano baloc-clii poetici, centoni, del resto molto in uso a quei tempi, in cui scrivevansi interi componimenti unicamente con versi tolti qua e la alle poesie del Petrarca a3). Un’ altra gloria di Padova si e Valeria Miani, figlia di Achille, professore di legge, la quäle pubblicö (1598) un volume di Rime, scrisse una tragedia Celinda, ed una favola L’Amorosa speranza. Anche Udine, la simpatica citta del Friuli, ha la sua rimatrice in Catella Marchesi, le cui rime trovansi ripro-dotte nella Raccolta di autori della cittä di Udine, data in luce da Girolamo Bratteolo nel 1597; dalla quäle raccolta tolgo il seguente sonetto, in cui la Catella con molto senti-mento conforta un’ amica alla quäle era morto il marito. Benche il vostro gentil, caro consorte Deposto ha in terra il fral, terreno manto, Pur voi, di senno albergo, al duolo e al pianto Dovreste, Emilia, omai chiuder le porte. Perch’egli or piü che mai lunge da morte La dove sempiterno e il riso e il canto, II frutto del suo oprar perfetto e santo Prende dal Re della superna corte. Indi parmi udir, ch’egli a voi dica: Sottraggi, o nioglie, il core a quella noia, Che il tuo ver me discopre acceso affetto. Poich’ io, tornando alla gran madre antica, L' alta gloria fruisco e 1’ alta gioia, A cui l’uom giusto e sol per grazia eletto. Piti nota generalmente per le sue sventure che non per i suoi seritti, ricordo 1’infelice Virginia Accoramboni, nata da nobilissima famiglia in Agudio, piceola cittä del ducato d’ Urbino. Ebbe a soffrire varie e tristi vi-cende. II primo niarito, Francesco Peretti,, le fu assassi-nato nel 1580, e lei medesima incolpata del misfatto e rinchiusa in Castel S. Angelo. Quivi, da innocente quäl era, soffri le piii acerbe pene, le piü crudeli torture. Nel Lamento di Virginia, un suo componimento in terza rima, essa scaglia tutto il suo sdegno contro gli ucci-sori del marito, e manifesta a un tempo tutti i dolori che avevano straziata e ehe straziavano 1’ anima sua. II secondo marito, Paolo Orsini duca di Aeenno, le mori nel 1585. Nell’ istesso anno, insorta lite tra lei e la famiglia Orsini per motivi di eredita, 1’ infelice duchessa venne assalita una notte del novembre nella propria casa ed uccisa a tradimento, non si sa bene se dal principe Luigi Orsini o dal conte Paganello accompagnati da 40 uomini armati e vestiti in modo tale da non poter essere riconosciuti. A Milano nell’ Ambrosiana conser-vansi dei sonetti pieni di sentimento ed altri squarci di poesia lasciatici da questa sventurata gentildonna 2”). V. Passo ora ad una, dirö cosi, raritä letteraria, ad una delle piü belle creazioni della letteratura femminile del Cinquecento, la canzone In morte di una (jazza di Suor Dea dei Bardi, fiorentina. Si conserva cotesto singolare lavoro manoseritto nella biblioteca strozziana di Firenze, ed e stato pubblicato la prima volta nel Seicento dal Bronzini, e poi nel Settecento fu ristampato, per una strana diversita di apprezzamenti, tra le Opere burlesche del Berni. Fino ad oggi questa canzone e stata generalmente ignota, come oscurissima si fu anche la vita della postessa. Alle pazienti ricerche del Magliani30) riusci di accertare il nome, la patria ed approssimati-vamente 1’anno di nascita (1550 ?) di questa monaca del convento di Castel Fiorentino. L’ amore di questa suora — scrive il giä accennato critico — per la sua gazza ed il suo dolore per averla perduta hanno qual-elie cosa di cosi intimo, di cosi umano e di cosi appas-sionato, che sembrano gli scatti lungamente repressi di un’ anima nata alle febbrili passioni terrestri. II verso e sempre corretto, preciso, e riscaldato da impressioni e da emozioni vive. Ci colpisce subito il dichiarare ehe ella fa, nella prima strofa della canzone, le cagioni che gliel’ hanno ispirata, e piu il dire che si sente femmina anche lei, e che sotto le spoglie della suora pur si na-sconde un cuore umanamente addolorato. L’ alto dolor che, poiche morte cruda M’ebbe tolto in un punto ogni mio bene, M’ assalse, ognor si crescendo viene, Che l’alma afflitta delle membra ignuda Minaccia a tutte l’ore Di seguir la cagion del suo dolore: Onde, anzi ch’egli avvenga, Dive suore ministre al biondo Iddio, Femmina sendo e verginella anch’io, Da voi tanto mi venga Favor, che ’l tempo ingordo non ispenga II caso atroce e rio, Ma d’ or in or col mio gran duolo amaro L’alto valor piü chiaro al mondo appaia Della mia morta, ohime, dolce ghiandaia. Ricca di sentimento e di affetto e anche la seguente strofa, quantunque nella seconda parte sia alquanto oscura: Nel tempo, che piu vaga infronda e infiora Primavera gentile i boschi e i prati, Fra gli altri seco pargoletti nati Scelsi colla caluggin prima ancora Quella ch’ or piango e grido: E del mio sen dolce ed amato nido Lieta le fei, lassando La madre a pianger sovra ’l lauro stesso. Mi parrä sempre quando Cogli occhi o col pensier 1’ andi’ö mirando Ne mai lungi o dappresso La rivedrö — viva pur quand’ io voglia — Che con estrema doglia a me non paia Sentirvi pigolar la mia ghiandaia. Delicata ed affettuosa e questa reminiscenca, ealdo il sentimento e gentile 1’ immagine che 1’ accompagnano. Udite poi con quanto amore, con quanta minuziositä di particolari, che non istanca, e con quanta spontaneitä e sentimentalita di espressioni essa dica le sue eure e le sue premure per la bella gazza: Lieta allor dunque di si ricca preda, Tosto a nutrirla ogni mio studio volsi, Nö sol per dare a lei spesso mi tolsi Di bocca il cibo, ma — chi fia che ’l creda? — Colle mie stesse labbia, Come al nido suol fare La madre, la imbeccava, ed ella grata L’ ali scotendo................ Qui par che l’animo suo sia compreso da una specie di sentimento materno, tanta e la tenerezza intima che spira dentro il verso. Ed ecco ancora la chiusa della c&nzone: Canzon mia, s’egli e ver ch’un uccel, quäle Nel mondo e sempre solo, Mora nel foco, e rinascendo il volo Indi piü vago prenda, Questa ancor sola in tutto 1’ universo, Per un novo miracolo e diverso, Spero ancor che riprenda Yita in quest’ acqua 3I), u’ mori dianzi, e renda Al mondo 1’ oiior perso, Ed a me rinascendo il core e i sensi, Perche a ragion conviensi, e ben s’ appaia Colla fenice 1’ alma mia ghiandaia. Non vi pare — conchiude il Magliani — che sotto 1 umile tonicella della suora si nasconda un cuore ca-pace di soavi e forti passioni? C’ e troppa realtä nel suo sentimento; squisita anima avea questa suor Dea dei Bardi, e ce la rivela specialmente la semplicitä con cui dice i suoi teneri sentimenti, le sue premure deli— cate per 1’ oggetto amato, i suoi gentili desideri ed il suo triste dolore. VI. A canto alle tre grandi poetesse ed alle oneste ri-matrici, le quali per virtü e per dottrina seppero meri-tamente acquistarsi bella fama; a canto alle sventurate scrittrici, vittime del proprio dovere o della crudeltä umana; a canto alla mite e dolce anima della solitaria di Castel Fiorentino, il Cinquecento vide sorgere un altro tipo di donna, erudita quanto corrotta — la cor-tigiana. Studiamola un po’ piü da vicino. La cortigiana italiana del XVI secolo — sotto molti aspetti paragonabile all’etera greca dei tempi di Pericle — e la risultanza della grande corruzione del secolo congiunta alla grande coltura, e non solo essa esercita serie influenze politiche e morali sulla societa contem-poranea, ma e seriamente glorificata dagli scrittori e dai poeti. Circondata dal fiore d’ Italia, essa disputa di scienze e di arti con artisti ed eruditi, attira a se le aristocrazie del sangue e del censo, sorge datrice delle leggi del buon gusto e deli’ eleganza, raffina il senso del bello, ispira poeti e pittori. II Giraldi nell’ introdu-zione ai suoi Ecatommiti ci ha descritto con grande veritä di carattere, le passioni e la vita di tali donne 32). E Arturo Graf in un recente studio 33), indagando le cause della loro cultura, cosi presso a poco si esprime: Se il canzoniere del Petrarca era cantato, e probabil- mente almeno in parte, saputo a mente dai vagheggini di professione, non poteva poi esscre ignorato da una classe di buone persone con cui essi signori vagheggini avevano relazioni molto vive e frequenti, voglio (lire delle cortigiane. Ancor esse si risentono di quella ehe e condizione comune di tutta la societa, e non possono sottrarsi agli intlussi della generale coltura. Quella fra esse ehe si fosse serbata digiuna d’ ogni studio, che avesse mostrato di non aver sentimento di poesia, ne gusto d’ arte, avrebbe avuto una attrattiva di meno e avrebbe scapitato. Perciö noi la vediamo intenta a pro-cacciarsi un certo grado di coltura, e, come allora di-cevasi, quelle virtu che fanno la persona di piu grata conversazione. Nei Ragionamenti deli’ Aretino (giornata II) e ricordata una famosa cortigiana romana conosciuta sotto il curioso nomignolo di Madrema non vuole 3J), la quäle, dice 1’ Antonia, una delle interlocutrici del dialogo, «si fa beffe di ogni uno che non favella a la usanza, e dice che si ha a dire balcone e non finestra, porta e non uscio, tosto e non vaccio, viso e non faccia, ecc.» E altrove lo stesso Aretino fa dir di lei a un certo Lodovico: «Ella mi pare un Tullio, ed ha tutto il Petrarca e ’l Boccaccio a mente, e infiniti e bei versi la-tini di Yirgilio e d’ Orazio e d’ övidio e di rnille altri autori». Certe lettere, in hne, pubblicate di recente 35), mostrano quanto alle volte fosse in coteste donne il garbo, il buon gusto, la schiettezza del modo di pensare e di scrivere, e la, almeno apparente, gentilezza deli’ a-nimo. Ed anche nelle geniali conversazioni di quei tempi, tanto spesso rappresentate nei vari componimenti let-terari, ed alle quali la cortigiana prendeva talfiata viva parte, 1’ amore, i suoi caratteri, i suoi effetti porgevano assai frequente argomento di discorso e di disputa. 86) Impariamo ora a conoscerne alcune, e prendiamo le mosse da Tullia d’Aragona, la quäle se anche non e la piü grande tra le cortigiane cinquecentiste, certo poche donne come lei godettero la giovinezza, 1’ amore ed il successo di pazze ammirazioni presso i propri corteg- giatori. Figlia — lo dice il Cantü — (li un cardinale, nacque non si sa bene se a Napoli o a Roma sulla fine del XV secolo. Fu animirata per Ja sua rara dottrina come per la sua bellezza. Scrisse dottamente in italiano e latino, compose eleganti poesie, e tonne corrispondenza col Bembo, col Varchi, col Martelli, col Muzio, del quäle fu amante. Visse col marito in Roma, ove nelle sue splendide sale raccoglievasi quanto vi era di nobile ed eletto nella cittä dei sette colli, gareggiando colle fami-gerate cortigiane di Bologna, di Roma, di Ferrara, di Venezia. Un capitolo di Pasquino stampato a quei di aveva per titolo: «Passione d’ amor de Mastro Pasquino per la partita della Signora Tullia, et martello grande delle povere cortegiane di Roma con le allegrezze delle Bolognese». Rimasta vedova nel 1547, ritirossi in Firenze a vita migliore, e pubblicö molte liriche. Poscia diede mano al poema romanzesco in 36 canti Guerrino il Meschino 37), coli’ intenzione di «dar lode a Dio solo, e colla persuasione di aver procurato al mondo un libro da essergli gratissimo per ogni parte». Ma non si puö encomiarla se non del retto volere. Mori intorno al 15G0. Copiose notizie si trovano presso il conte Mazzucchelli; di lei parla sovente nelle sue egloglie Girolamo Muzio, al quäle essa indirizza questo sonetto pieno di civetteria: Voi, che avete fortuna si nemica, Come animo, valor e cortesia, Qual benigno destin oggi v’ invia A riveder la vostra fiamma antica? Muzio gentile, un’alma cosi amica, E soave valore all’ alma mia, Ben duolmi della dura alpestra via, Con tanta non di voi degna fatica. Visse gran tempo l’onorato amore, Che al Po giä per me v’ arse, e non cred’ io Che sia si chiara fiamma in tutto spenta: E se nel volto altrui si legge il core, Spero che in riva ali’Arno il nome mio Alto per voi sonare ancor si senta. Commendevoli sono altri tre suoi sonetti, intitolati uno a Cosimo I de’ INledici, 1’ altro al Bembo, il terzo al Varchi, i quali per brevitä si omettono. Piü celebrata fu forse Veronica Franco, ch’ ebbe bellezza assai maggiore deli’ ingegno e deli’ arte. Sorti 1 natali a Venezia, fiori nella seconda meta del secolo. Scrisse terzine le quali vanno impresse senza nome di stampatore. E accennata con lode dal Quadrio e dal fa-moso Michel de Montaigne nel suo Vicujyio d’ Italia. Molti insigni pittori, fra cui il Tintoretto, ed un altro, ehe incise sul ritratto di lei il simbolo di una fiaccola ardente col motto agitata crescit, gareggiarono nel ri-produrre sulla tela le sue meravigliose sembianze. Solo in eta avanzata essa abbandono la vita galante, e volse 1’ animo ad opere pietose fondando per le fanciulle ab-bandonate 1’ ospizio di S. M. del Soccorso ancora esi-stente in Venezia. Meno male — dirö col Magliani — quando il pentimento si manifesta con tali segni e non si riduce ad una stupida vecchiezza bacchettona! Ecco di lei aleune terzine, colle quali rimprovera ad un poeta di aver cantato molte cose vane in luogo di celebrare la gloriosa sua patria: Si potea impiegar la vostra cura In lodando Vinegia, singolare Meraviglia e stupor delJa natura. Questa dominatrice alta del mare, Regal regina pura, inviolata, Nel mondo senza esempio e senza pare; Questa da voi doveva esser lodata, Vostra patria gentile, in cui nasceste, E dove anch’io, la Dio merce, son nata. Paragonata poi la sua cittä natale a Verona, dice: Ma tanto piü Vinegia e bella d’ essa, Quanto 6 piü bel del Mondo il Paradiso, La qual beltä fu a Venezia concessa: In modo dal mondan tutto diviso Fabbricata e Vinegia sopra l’acque Per sopranatural celeste avviso. In questa il Re del cielo si compiacque Di fondar il sicuro eterno nido Deila sua fe’, che altrove oppressa giacque. E pose a suo diletto in questo lido Tutto quel bei, tutta quella dolcezza, Che sia di maggior vanto e maggior grido. Aggiungasi a queste anclie la famosa Fiammetta Malaspina Soderini da Firenze (f 1571), traduttrice di una delle commedie di Terenzio, perseguitata dai sonetti e dalle canzoni de’ suoi piü ardenti adoratori, il nobile e prestante romano Mario Colonna ed il Bargeo. Fu-rono celebrate cortigiane ancora la bella spagnuola Isabella de Luna e Čaterina di San Celso, la meravi-gliosa cantatrice, della quäle il Bandello parla distesa-mente; la romana Imperia, istruita nel far versi da Nicolö Campano detto lo Strascino; poi la famosa Clarice lombarda ed altre della cui vita trascorsa fra gli amori, i piaceri, le dispute platoniche, i sonetti petrarcheg-gianti, 1’ ultimo atto e quasi sempre il tardo ed inutile pentimento. Che diro mai di Lucrezia Borgia ? Sissignori, anche costei e posta da taluni tra le poetesse del Cinquecento! Ma vediamo che ne dica il Gregorovius: «Irnparo, senza dubbio, a far versi; ma nulla dava diritto agli storici della letteratura, il Quadrio ed il Crescimbeni, ad asse-gnarle un posto nella storia della poesia italiana. Di fatto ne il Bembo, ne Aldo, ne lo Strozzi l’hanno giammai nominata come poetessa, ne di lei si conoscono poesie. Neanche le canzoni spagnuole, che si trovano nelle sue lettere al Bembo, e certo che siano sue composizioni». Fu adunque donna di pochissime lettere; tanto che ove non fosse stata figlia di Alessandro VI e sorella di Ce-sare, i quali di lei si valsero come d’ uno strumento dei loro intrighi politici, ella non sarebbe rammentata nella storia del suo tempo, anzi andrebbe confusa nella moltitudine come non piü che una donna seducente ed assai corteggiata. Se non che, la menzogna e 1’ adula-zione, basse arti della maggior parte dei biografi d’ al- lora, fecero della Borgia un tipo di donna soave e pio; anzi il Gaviceo giunse fino a chiamarla «bella ed erudita, savia e costumata»; e 1’ Ariosto pote dirla piü virtuosa di Lucrezia romana: La prima iscrizion ch’ agli occhi occorre Con lungo onor Lucrezia Borgia noma, La cui bellezza ed onestä preporre Debbe ali’ antica la sua patria Roma! Se la vita di queste donne — osserva in fine il gia citato critico — non offre sempre il piü grande pascolo al romanzo, essa ha.pero 1’ attrattiva di svolgersi in un ambiente elevatissimo, in quello deli’ intelligenza e del sapere. 1 loro amici, i loro ammiratori erano i piü dotti uomini del tempo, ed esse medesime accompagnavano sempre al magnifico dono della bellezza, il merito, tanto bello in una donna, di ima rara erudizione. 38) VIL Ho piü volte nel corso nel mio lavoro fatto menzione delle Raccolte poeticlie tanto di moda nel Cinquecento, poi nel successivo Seicento e nel Settecento ancora. Ad ogni ricorrenza se ne facevano, di buone o di mediocri, ma piü di quest’ ultime, se dobbiamo giudicare dalle molte ehe ci restano e dalle parole del Passeroni 39) nel suo Cicerone, ove egli prende a censurare 1’uso, o meglio l’abuso, ehe se ne faceva anche a’ suoi tempi. All’ etä mia - ei dice - Se ne vedono tante andar attorno Con poco onore della poesia: Se ne vedono uscir quasi ogni giorno, E non si trova a questa frenesia, A questo impazzainento, a questo tedio, A questa nuova peste aleun rimedio? Oggi non si addottora alcun, che prima La sua dottrina in versi non si canti: Senza esser messo da piü d’uno in rima, Oggi 11011 si marita un par d’amanti: Senza sonetti sotto questo clima Non fassi offizio alle anime purganti; E monaca non fassi una ragazza, Se in versi da piü d’ un non si strapazza. Vuol versi quando veste irsute lane Una fanciulla, e quando si professa, E fa sonare a doppio le campane, E vuol versi quand’ e madre badessa: Yuol versi, quando muore, un gatto o un cane, Vuol versi un prete quando dice messa, Yogiion versi da noi le cantatrici, I consanguinei, gli esteri, gli amici. — Passiamo ora a qualche singolo esempio, il quäle abbia attinenza colla letteratura femminile del XVI secolo. Nell’anno 1559 moriva a soli 18 anni Irene da Spi-limbergo, castello del Friuli. Avea atteso la povera fan-ciulla allo studio della letteratura antica e moderna, e scritto versi italiani e latini, i quali pur troppo non ven-nero pubblicati. II Tiziano le era stato maestro nella pittura, arte nella quäle essa si elevö a grandissima fama, onde si ebbe anche le lodi di Torquato Tasso in un forbito sonetto. Sulla tomba di questa ammirabile don-zella i contemporanei sparsero calde lagrime e scrissero versi affettuosissimi. In morte di lei si pubblicö eziandio una raccolta di poesie col titolo: Rime e versi latini di diversi in morte di Irene da Spilimbergo, colla sua vita scritta da Dionigi Atanagi, dalle quali tolgo alcune di Diamante Dolfi, Lucia Albani Avogadro, Aurora da Este, Leonora Sanseverini, annoverate tutte e quattro tra le migliori rimatrici del secolo. Diamante Dolfi, poetessa bolognese, accoppiava alla felicitä d’ un ingegno non comune la bellezza delle forme. Pubblicö sonetti e madrigali, e compose di belle lodi in onore di Lucrezia Gonzaga. Fiori intorno il 1560. Ecco il suo sonetto in morte di Irene: Tu dunque, o gloria della nostra etade, Degli uomini stupor, pregio di noi, Sei raorta Irene? Tu, che gli onor tuoi Contro morte spiegavi in tele e in carte? Ahi quando ebbe Adria mai, quando altra parte Donna si degna a cui prima nö poi Egual fu, ne sarä? Deh ditel voi, Cigni, che avete le sue lodi sparte. Dite con quanta gioia intorno il cielo Stava ad udir i novi alti concenti, E mirava i dipinti e bei colori: E come, acceso d’araoroso zelo, A s& la trasse in un con mille cori, Ond’ or mesta e natura e gli elementi. Lucia Albani Avogadro nacque a Bergamo da Ge-rolamo Albani conte veneto; fu maritata in Brescia nella casa degli Avogadro. Donna di specchiati costumi, si oc-cupö molto di lettere latine ed italiane, fl i storia e di poesia. 11 Crescimbeni40) la dice «vivace nell’ invenzione, pur-gata nella favella, facile nella maniera, dolce nello stile». Ha tra le altre sue poesie, d ne gentilissimi sonetti in morte di Irene da Spilimbergo: Morte si lagna, che troncar pensando Lo stame della bella e casta Irene, Lei giä, senza aspettar sue dure pene, Vede girsene al ciel lieta volando. Si lagna il tempo, che dove girando Sepolti in Lete gli altri nomi tiene, La mira, che immortal fatta ne viene, Piü ad alto ognora il bei volo spiegando. Ne men il mondo si lamenta e duole, Che al paradiso ancor farsi simile, Sol per costei non poca speme avea. Sola fra Dei ti godi, alma gentile, Teco spoglie portando altere e sole, II mondo, il tempo vinto, e morte rea. Quella, che contemplando, al ciel solea Poggiar si spesso colla mente altera, Onde a noi col pennel moströ quant’era Di perfetta beltä nella sua idea; E col cantar pura, celeste dea Sembrando, facea fede della vera Angelica armonia, clie in alta spera Si cria, membrando il bel clie 1’alma bea; Poscia ehe le bellezze ebbe gustato Ben mille volte dell’eterno amante, Quanto piü gustar puote alma ben nata; Dice sognando: A che piu la beata Sede lascio, per gire al mondo errante? — Cosi fermossi in quel felice stato. Si possono abbellire di piü gentile e poetica veste 1’ amarezza e 1’ orrore della morte? Bianca Aurora da Este, fu moglie a Tommaso Por-cacchi, scrittore di buon nome 41), del quäle — per usare 1’ espressione della Bergalli — ella invidia non ebbe; nelle rime in morte di Irene leggesi il seguente sonetto, col quäle invita il Tasso a celebrare meglio di lei le lodi del-l’eccellente fanciulla. Signor, se nel cantar d’ Irene, eguale Gisse al merto di lei 1’ ingegno mio, Oppur di gradir voi pari al desio, Fora ella ancor per me chiara e immortale. Ma perche ir non puö al ciel grav’ uomo senz’ ale, Fassi da tanta impresa il cor restio, Temendo un troppo ardir gravoso e rio; Che a cader va clii troppo in alto sale. Cantin pur lei que’ soavi cigni, e voi Cui diede il Ciel con si soave canto D’aquila il fermo lume e i vanni alteri; La bassa mente mia gli alti onor suoi Immaginar non puö, noncli’ io mi speri Ornarli col mio stil di degno vanto. Del pari Leonora Sanseverini — morta a Napoli, sua patria, nel 1581, figlia di Pietro Antonio Sanseverini principe di Bignano e di Giulia Orsini, e moglie al marchese della Valle Ciciliana — ci lascio un sonetto sullo stesso argomento. Ne il ciel sereno mai girando intorno Stella si vaga e di bei raggi ardente Mostronne, e Cinzia mai cosi lucente, Quando congiunto ha l’un coll’altro corno — Ne mai si lieto avventuroso giorno Dalle belle contrade d’ Oriente N’ apperse il sol, poiche d’ umana geilte Questo globo terren far vide adorno — Come spuntando a noi questa divina Luce d’ Ireno, ehe col dolce canto Dolce partia dal corpo a ciascun 1’alma. 42) Ma ehe? Tal gioia in tristo amaro pianto Cangiato ha morte, e di si chiara ed alma Luce, anzi tempo ha fatto empia rapina. Finalmente ricordo anche Cassandra Giovia, moglie di Girolamo Magnacavallo signor di Gravedona, della quäle abbiamo pure un sonetto intorno al medesimo soggetto. Essa serisse circa il 1565, e pubblicö altre rime ancora nel Tempio della divina Signora Donna Geronima Colonna D’ Aragona, poetessa, moglie di Ascanio Colonna. Che cosa era mai cotesto Tempio? La smania universale — rispondo col Magliani — di tessere elogi e difese alla donna, e 1’ entusiasmo per i suoi rari pregi giunsero a tale che verso la meta del secolo 1’ accademia dei Dubbiosi di Venezia fece pubblicare 43) questo famoso Tempio, il quäle e una raccolta di componimenti poetici seritti in lode della Colonna da poeti e da poetesse che erano piü in voga a quel tempo, costruito di poesie italiane, greche e latine, raccolte da Ott. Sammario. Delle poesie italiane pubblicate in quest’ opera da aleune tra le migliori cinquecentiste diamo qualche breve saggio coi corrispondenti cenili biografici. Poco sappiamo intorno a Cornelia Cotta, la quäle fu lodata per le sue poesie e per la sua rara valentia nell’arte oratoria. Col seguente sonetto essa eccita gli «spiriti illu-stri» affinche concorrano a celebrare «la gran Colonna». Spiriti illustri, a cui 1’ltalia nostra Fa sommo onor per tante belle rime Da voi composte in celebrar le prime Donno ehe sieno in questa mortal chiostra; S’ ora la gran Colonna a voi dimostra D’Elicon le superbe ed alte cime, Perche ne’vostri petti non s’imprime Desio d’ alzar per lei la Musa vostra? Cantate di costei, spiriti adorni Di saper, di prudenza e di bontate, Finche la notte adombri e il sole aggiorni. E mentre noi con pari ardir siam nate A cantar di noi stesse e 1’ore e i giorni, Perche di superarci non tentate ? Emilia Brembati Solza, moglie di Ezechiele Solza, ebbe a Bergamo i natali da illustre famiglia di quella cittä. Non solo della poesia, ma deli’ eloquenza ancora fu cosi ornata ehe innanzi il piii illustre tribunale di Venezia orö intorno la miserabile uccisione di Achille di lei fratello. Scrisse circa il 1563. Anch’ essa ha poesie nel famoso Tempio. Vi portö pure il suo tributo con aleune stanze anche Leonora Maltraversa, sposata al Papafava da Carrara, versatissima, nonche nella poesia, nella legge e nella medicina. Nata a Padova, fiori del 1568, cessö di vi vere nel-1’ etä di 72 anni. Ecco una stanza nella quäle la nostra rimatrice si rivolge alla Colonna, la «Donna gentile»: Novo desio, ehe ogni beli’ alma ingombra, Mi spinge a dir di voi, Donna gentile, A cui, dovunque il sol la notte sgombra, Non appar di beltade altra simile. Ma chi d’alto saper la mente ingombra Mostrar fara? Chi al mal purgato stile Presterä si leggiadra e colta rima, Che del bel nome vostro empia ogni clima ? E via di questo passo per altre dieci ottave; poi finisce: E spiegherä mio stile opre cotante? Avrö anco ardire a tanta impresa porme? Ah no, per Dio, non piü; ch’io veggo quanto D’ onor vi scema la inia lingua e il canto. Giulia Cavalcanti, gentildonna da Gaeta, riportata con molta lode dali’ Atanagi nel secondo libro della sua rac-colta, contribui del pari alla ediflcazione di cotesto solenne Tempio, ergendovi «questa breve colonna» : Al sagro tempio vostro, immortal Donna, Che il mondo inchina e riverente adora, Quasi novella dea dal ciel pur ora Scesa, ergo ancli’ io questa breve colonna. Amor, che giä gran tempo in me s’ indonna, A voi m’ ha spinto, il qual non vuol ch’ io mora Senza 1’interna fede mia di suora Mostrarvi, o gloriosa mia alta Colonna.... E cosi Cecilia Romana, per tacere d’ altre, vi pub-blico un sonetto pieno d’ entusiasmo per questa «Donna immortale», ma alquanto stentato ed oscuro per quella benedetta smania di bisticciare sulla parola colonna. Un altro simile Tempio era stato pubblicato ancor prima, nel 1555, per impulso della medesima accademia dei Dubbiosi, e dedicato alla sorella di Donna Geronima, la ^divina Giovanna», col seguente titolo: Tempio alla divina Signora Donna Giovanna d’ Aragona, fabbricato da tutti i piü gentili spiriti, e in bitte le lingue principali del mondo, raccolto dal Ruscelli e dedicato a Cristoforo Mandruccio cardinale di Trento. 44) Vi sono poesie, oltre che italiane, latine e greche, anche francesi, spagnuole, tedesc-he, ebraiche, illiriche, caldee. Anche qui vi con- corsero parecchie scrittrici, tra le quali citiamo alcune. Isabella Pepoli, dell’ illustre famiglia bolognese, moglie di Giulio Riario Senatore, e madre di Alessandro, che fu il terzo cardinale della sua casa. In cotesto «eterno e glo-rioso tempio» essa sparge a larga mano gli elogi a donna Giovanna, e conchiude: So che piü lode a me fora tacendo, E qual chi riverisce, teme ed ama, In silenzio adorar 1’ idolo mio. Lassa, che poss’io far s’altri mi chiama Dentro si forte, che ’l mio stato oblio, Queste imperfette voci fuor traendo! Di Amalia Golfarini, della quäle conosciamo poco piü che il nome, trovasi nella detta raccolta il seguente madrigale: Io, che, merce d’ Amore, Ho in vece del mio core II gentil cor d’ un ben cortese amante, M’ inchino a voi davante, 0 Donna sola al mondo senza esempio, Questo sacrando al vostro altero Tempio; Che s’ei vi dona il mio, Ragione e ben che il suo vi doni anch’ io. Oltre dugento rimatori italiani scrissero in lode di Giovanna d’ Aragona, di questa donna «bellissima, hone-stissima e perfettissima di corpo e d’ animo*; ed a loro fanno eco moltissimi verseggiatori latini, greci, spagnuoli, ecc. Giovanni de Allegri, per esempio, le dedica il seguente epigramma latino: Diva Ioanna, Paris si te vidisset in Ida, Cedite, clamasset, Iuno, Minerva, Venus. Non Zeuxis te, nec te pingere posset Apelles, Cum sis formosa, docta, venusta, pia. E tra i greci, Giovanni Camozio pieno d’ entusiasmo esclama: Xaips Iwaw/j xaXXtsTYj 8ia •pvaixäiv! In cotesta mania di esaltare sino all’ esagerazione la donna e da cercarsi 1’ origine di altre raccolte ancora, quali sarebbero le Rime di diversi eccettenti autori in vita e in morte dell’ illustrissima Signora Livia Colonna, stampate in Roma nell’ istesso anno 1555, e le Rime in vita e in morte di Porzia Capece, pubblicate dal marito di lei, Bernardino Rota. Muzio Manfredi da Cesena pubblicava nella seconda meta del Cinquecento una tragedia, posta dal Tiraboschi tra le buone di quel secolo, intitolata Semiramide. In lode di questa tragedia furono scritte parecchie poesie; senon-che ad alcune rimatrici, di troppo delicato sentire, non piacque la scelta deli’ argomento e gliene fecero rimpro-vero al poeta. Cosi, a mo’ d’ esempio, troviamo il seguente sonetto di Andreina Trevisani Contarini, nobile vene-ziana, dal quäle di leggieri si rileva quanto ella sia stata di buon gusto nella poesia: Tu, che si ben d’Amor 1’arco e la face Cantavi, ond’ eri e sei trafitto ed arso, Perch’entro a stil si dolce, amaro hai sparso Di tragico furor malvagio audace? E perehe turbi a te la cara pace, II tempo essendo al proprio ben si scarso? A qual tessala raaga, a qual uom marso 45) Di trattarti si mal diletta o piace? T’ era piü lieta e piü sicura gloria In lodar una, non che cento donne, E Parnaso ti fosse il bei Corinto. La fiera Babilonia, oliime, qual ponne Aiuto dar per coronarti in Cinto, Se sol d’infamia e disonor si gloria? Anche una parmegiana, cugina al celebre conte Pomponio Torelli, Barbara Toreili Benedetti, che fiori in sullo scorcio del secolo, circa il 1576, e compose una favola pastorale Partenia, molto lodata dai poeti di quel tempo, se la prende col Manfredi, e cosi lo apostrofa: Qual da Corinto in Babilonia sdegno Ti spinse, o forza, onde a cantar di morte Abbi e d' incesti, o d’ altro mal piü forte, D’ estinto re, di desolato regno ? Prima cantavi ardor lecito, e degno Soave riso, e parolette accorte, Repulse, e voglie or infiammate or morte, E quäle ha vero amor termine o segno. Deh! torna, o Muzio, alle primiere imprese; Loda d’ oneste e belle donne il nome; Tragico stil non ha maestro Amore. Quinci trarrai piü grazioso onore, E cento t’ orneran d’ allor le chiome, Ch’hai tu dal tempo e dall’obblio difese. Contro il medesimo scrisse anche la gia riferita Campiglia: Muzio, ehe gii d’Amor 1’armi cantasti, Che a te fan dolce e sempiterna guerra, E cento doline, col suo stil, da terra, Per una sublimarne, al cielo alzasti; Deli, come e dove mai carmi trovasti Da segnar con la man, che mai non erra, Opra di mostro, che rabbioso atterra D’onor le leggi e le ragioni e i fasti? Dello stesso fare e un sonetto d’ incerta autrice, che trovasi nella giä accennata raccolta, nel quäle e detto: D' impudica reina e scellerata Canti, Manfredi, Amor pošto in obblio E taute donne, e quel gentil desio Onde splendevi, e la bellezza amata! Fra le tante raccolte ehe innondarono l’Italia v’hanno di quelle strane davvero. A titolo di curiositä ricordo qui una che porta la seritta: Panegirico nel felice dot-tor ato di Giuseppe Spinelli, pubblicata in Padova nel 1575. Vi concorsero parecchie sonettiste coi loro versi gravidi delle piu sperticate lodi, tra i quali trovo un componimento di Andromeda Felice, che leva ai sette cieli il signor Spinelli, e coli’ ampollosita tanto comune a quei di, conchiude: ......................una sol parte Dei rari vostri merti vi promette Archi, imperi, trofei, scettri e corone! Ai quali versi fanno degno riscontro i seguenti di Bar-tolommea Costanza: . . . Felice augurio, che anderan gli onori Del suo Spinelli senza paragone Dall’Orse all’Austro e dal mar d’India a Tile. E quasi cio non bastasse, Cinzia del la Fratta aggiunge: Cosi 1’antiche glorie d’ogni intorno Veggio oscurarsi, e rimaner seconde All’ apparir di questo novo sole! Poteva andare ben superbo il novello dottore! Mi pare che piü oltre non si potesse spingere 1’ esagerazione. Altre scrittrici affidarono a piü durevole monumento la loro fama. Cosi trovansi della Madama Perfetta da Reggio, e di Isicratea Monte da Rovigo parecchie poesie nelle opere del conte Giovanni Maria Bonardo, di cui si pubblicarono parecchi seritti poetici, astronornici, storici ed economici; piü un’ opera La Miniera del Mondo (Venezia 1589), nella quäle compendiasi tutto cio ehe di piü raro produce in qualsiasi luogo la natura. Della seconda mi piace ricordare i seguenti versi al Bonardo, i quali vanno almeno esenti dalle stravaganze delle giä accennate. O ver del secol nostro onore e gloria, Divin Bonardo, ehe con tanta cura Del ciel gli alti segreti e di natura Scopri in si dolce e m purgata istoria; Se tien l’eternitä viva memoria Di chi s’ erge serivendo ali’ aspra e dura Šalita di virtute, avrai sicura Tu contro morte e il tempo alta vittoria. Gianetta Tron, nobile veneziana, ehe serisse intorno al 1576, deve la sua fama ali’ essere stata la p rote t-trice deli’ illustre Luigi Grotto detto Cieco d’ Adria. Altre donne ancora cantarono la memorabile vittoria di Lepanto (1571), cotanto celebrata in mille forme ed in tutte le lingue d’ Europa. Ne citero due. Ortensia Aliprandi, di cui leggesi la seguente canzone, diretta a Girolamo Maggi, nel Trofeo della vittoria sacra, stam-pato in quell’ anno medesimo: Ceda pur, ceda Apelle Con ogni altro pittore A voi, Maggi gentil, il primo onore Come cedono al sol tutte le stelle; Poiche non pur dipinta, Ma viva, viva mostra La bella canzon vostra La Reina deli’ acque Chieder a Dio pietä. de’ suoi martiri, Fra lagrime e sospiri: E quando a Dio pur piacque Mirarla col pietoso volto santo, Subito rivoltaste in gaudio il pianto. Lieto, ben lieto giorno, Onde giacque sconfitto L’empio dragon, che giä sembrava invitto; Or si ti mostri doppiamente adorno Nella vittoria illustre, E di palme, e di allori, Mentre i sacrati cori Delle Muse e di Apollo Cantan le lodi dei novelli eroi, I chiari gesti tuoi; Sicche all’ultimo crollo Sicuro fian d’ aver avuto in sorte Di non esser soggetti all’ altra morte. 4e) Da voi cigno gentile, Yoi felice Sirena, Che con la vostra Musa vaga ed amena, E col dotto, leggiadro dolce stile Ad or ad or potete Con le saggie parole Aggiunger lume al sole; In si felice impresa Ond’ora Vinegia gloriosa sorge, La vostra Musa porge Dubbio, 1’ alrua e sospesa Se tra 1’ arme k maggior si gran vittoria 0 fra le penne pur la vostra gloria. Vanne, canzon, che indarno Non andrai; che il Maggi, dolce e umano, Ti porgerä la mano. AU’ intelligenza della canzone — della quäle ho omesso due strofe perclie di nessun rilievo — forse gio-verä il sapere che Giralamo Maggi era non meno lodato a’ suoi tempi come poeta, che come uomo d’ armi. Pub-blicö anche un’ opera Della difesa delle cittä, nella quäle si vedevano molte ingegnose macchine e molti militari stromenti da lui immaginati. Combatte inflne anche contro i Turchi nel celebre assedio di Famagosta nell’isola di Cipro. 47) — Aggiungo ancora Rosa Levi, da Venezia, ebrea passata al cristianesimo, la quäle in un sonetto, alludendo alla gloriosa battaglia, dice ai poeti: Invece di cantar questa fral bellezza nostra......... Cantate la vittoria, che Dio diede Contro la Tracia invitta e bellicosa Ai veri adorator della sua fede. Ciö si consiglia vergine amorosa; Chö al vostro altero stil piü si richiede D’una palma cantar, che d’una rosa. 48) VIII. Ora poi al punto in cui siam giunti, le notizie co-minciano a scarseggiare; le fonti delle quali fin qui mi sono valuto accennano ad esaurirsi, almeno in ciö che esse offrivano di meglio, e non mi resta altro che af-frettare la fine. Senonche essendomi fin da principio proposto di dare una monografia possibilmente compiuta, e di abbracciare nel mio lavoro tutte le rimatrici e le letterate del Cinquecento, delle quali ci e pervenuta qualche notizia, per dare con ciö un quadro esatto ed esauriente delle produzioni letterarie femminili e della coltura donnesca attraverso il XVI secolo, mi sembra opportuno ricordare in breve ancora alcune donne di lettere, rimettendo ad altri, di me piü abile, 1’ arduo incarico di fare — se pur valga la pena — intorno alle medesime piii minute indagini, e di rendere di pubblica ragione i risultati di uno studio piü profondo in un lavoro che dovrebbe evidentemente riuscire anche di mag- gior mole. Molto ci sarebbe infatti da mietere nella ricchissima raccolta della Bergalli, avendo essa fuso assieme le due opere di maggiore estensione, ehe a’ suoi tempi conoscevansi, cioe il lavoro di Lodovico Dome-nichi: Rime diverse di aleune nobilissime et virtuosis-sime donne (Lucca 1559), e 1’ opera di Teleste Ciparis-siano, ehe e una raccolta di 35 poetesse di quell’ epoca; senza parlare poi delle moltissime raccolte minori da lei con diligenza consultate. ln quest’ opera adunque, oltre alle gia citate rimatrici, trovansi brevi notizie e molti saggi ancora delle seguenti, che qui riportero in ordine cronologico. Ippolita Mirtilla, nome accademico di una intima amica della Stampa, alla quäle questa indirizza un af-fettuoso capitolo (il VI) in terza rima, in cui si lagna della lontananza di lei, e dice: . . . non potendo te propria vedere, Vedere i frutti del tuo vago ingegno E quanto di conforto io possa avere. Livia Tornielli Borromeo da Novara, le cui Poesie furono per la prima volta stampate in Lucca nel 1559; 49) Margherita di Valois, francese, duchessa di Savoia, me-diocre rimatrice, alla quäle sono dedicate le Rime degli accademici Eterei, stampate in Padova nel 1567; Maria Martelli de’ Panciatichi fiorentina, Laudomia Forte-guerri senese, Liona Aldobrandini, Gentile Dotta, Pia Bichi gentildonna senese, Verginia Papa, Vittoria Co-rombani, Ermelina Aringhieri de’ Ceretani, ancli’ essa da Siena; Giulia D’Aragona, Faustina Valentini, Olimpia Caraffa, Maria Langosca Solera da Pavia, Ortensia Scampi, Verginia Gemma de’ Zuccheri da Orvieto, Ca-terina Pellegrina Nogarola napolitana, Atalanta Sanese, Onorata Peci, Maria de’ Ferrari, Laura Serratone, Egeria Canossa, Candida Gatteschi da Pistoia, Giulia Prema-rini, Laudomia di San Gallo, Lucrezia Marcelli, Lucida Nalli romana, le due sorelle Domieilla e Silvia Silvi da Reggio; Flavia Spanocchi nobildonna da Jesi, che scrisse belle stanze in morte di Alessandro Piccolomini; Mad-dalena Massimi, Silvia Bandinelli, Ippolita Benegni Manfredi; Yittoria Galli da Urbino, alla quäle Bernardino Baldi dedicö le sue Rime varie-, Francesca Turrina Buf-falini, che diede alle stampe un volume di Rime sopra i misteri del santissimo rosario in Roma nel 1595; Elena Bianca Stanchi, Ersilia Spolverini veronese, Lucella di Zucco; Maddalena Salvetti Acciaiuoli, gentildonna fioren-tina, le cui Rime toscane furono pubblicate dal Tosi in Firenze nel 1590. Ma non la e finita. Consulto il XXIV volume della storia del Tiraboschi, ed oltre a molte delle gia menzionate trovo: Argentina Pallavicini, moglie del celebre Guido Rangone, colle loro figlie Costanza e Ginevra, e della stessa fa-miglia Bianca e Lucrezia Rangone, poi la bolognese Gentile Volta, tutte lodate come «valorose nel poetare». Arrogi Francesca Trivulzio, Donna Maria di Cardona, Porzia Malvezzi citata dal Fantuzzi, 50) ed Angiola Sirena lodata dal Quadrio. Lucrezia Bebbia,dama reggiana, e celebrata non meno per coraggio guerriero che per felice talento nel poetare; molto lodata dal Bandello e pure Cecilia Gallerana Bergamini contessa di S. Giovanni in Croce. Allo Scaligero piacquero come donne erudite la Marchesa della Padulla, la signora Violante Sanseverini figlia del duca di Sora, madama Penelope dalle Arme, Caterina Pellegrini napoletana, la marchesana di Betonio, la figlia di Lodovico Pico, Isabella Villamarina princi-pessa di Salerno, che in tutti destava meraviglia quando in Avellino recitava versi latini e dichiarava prose in maniera sorprendente; in fine Costanza Novellara e Camilla di lei figlia. Un sonetto di Caterina Piovene e assai lodato dal Bembo in una sna lettera 5'); e Ippolita Roma, padovana, e detta dal Landi «poetessa gentile”. Camilla Valenti, Nipote della Gambara, e lodatissima specialmente dal Chiesa nel suo Teatro delle donne letterate, perche scri-veva lettere e versi con somma facilita ed eleganza nella lingua latina ugualmente che nell’italiana. Partenia Mainolda Gallarati e annoverata dali’ Arisi c dali’ Ar-gelati tra le donne piü celebri per sapere, talehe il Vida, noto autore della Gristiade, soleva al giudizio di essa soggettare le sue poesie. Giulia Rigolini, padovana, serisse in lode dell’Aretino, che la ripago d’enconn; e fra i raolti ehe la celebrarono, lo Seardeoni dice ehe compose rime e novelle al modo del Boccaccio insigni argumento, ortificio mirabili, eventu vario et exitu inex'pectato. 5*) Non basta; apro il Magliani, e trovo, di nuove, le bolognesi Ippolita Paleotti ehe serisse poesie latine e greehe, Febbronia Pannolini suora del convento di S. Agnese, ed Orsola Bianchelli; le romane Debora Asc.a-relli e Francesca Farnese, le perugine Cornelia Baglioni, ehe dinanzi al pontefice Paolo III dissertö in lingua latina sull’ argomento La necessita delle scienze al vivere, e Domitiila Graziani, ehe visse, poeto e serisse dotte epistole nel chiostro di Porara; le urbinati Minerva Bartoli e Giovanna Feltria, illustre protettrice di Ra-faello; la napolitana Adriana Basile, la fiorentina Medici Isabella. Trovo ancora una Dafne da Piazza, che seri-veva indovinelli con disereto spirito; e — per terminare con una donna di grande merito — diro in fine di Porzia Rossi, moglie amorosa di Bernardo e madre di Torquato Tasso. Ella tenne presso di se ed educo amorevolmente il flglio fino a ehe il marito stette ai servigi del principe di Salerno; ma quando questi richiamö Torquato a Roma, ella si rinchiuse colla figlia Cornelia nel mo-nastero di San Festo, dove, e per il dolore delle do-mestiche sciagure, e piü ancora per la penosa lontananza, mori verso la meta del secolo. Giustizia vuole ancora che in breve si accenni come molte donne del secolo XVI riuscirono ad acquistarsi meritamente faina di valenti pittrici e scultrici. Tra le prime mi piace ricordare anzi tutto la celebre pittrice Sofonisba Anguisciola da Cremona (1536-1616?), invitata dal re Filippo di Spagna con lauta provvigione alla sua corte, e dal pontefice Pio IV onorata di munificentis-simi doni. La si puö considerare come la piü valente ritrattista del suo tempo; i suoi lavori sono in grande numero sparsi per tutta 1’Europa. Anche le sorelle di lei emersero nella pittura: come la piü valente va ricordata Minerva, la quäle fu non solo pittrice ma anche erudita. Di Teodora Danti, celebre pittrice e anatematica insigne, bo fatto cenno piü sopra parlando delle piü illustri letterate del secolo. Del pari fu gia ricordata Irene da Spilimbergo, ehe si merito gran lode per avere col pennello tentato, e non infelicemente, di emulare Tiziano. Ingegno straordinario si fu Properzia de’Rossi, celeberrima scultrice, nata a Bologna — o secondo altri a Modena — la quäle fu del pari valorosa nella mušica e nella poesia. Dotata di meravigliosa attitudine ai piü difficili lavori, scolpi — emula del greco Mirmecide — in un nocciuolo di pešca tutta la passione di Cristo con una precisione ineredibile. 5S) Mori di un amore infelice circa 1’ anno 1530. Fu cantata dalla poetessa inglese Felicia Hemans in bellissimi versi egregiamente volga-rizzati dal nostro Zanella. Ingegno elettissimo ebbero eziandio le pittrici Barbara Longhi, Cecilia Riccio, Lavinia Fontana da Bologna, Fedele (ralizia dal Tirolo italiano, Diana Ghisi detta Diana Mantovana, felicissima anche nell’ incisione, e molte altre ancora. E cosi abbiamo esaurito il nostro compito, e con-dotto a termine, come meglio si poteva, questo studio sulle rimatrici e sulle letterate del Cinquecento. 11 successivo Seicento non vanta ne tante ne si eccellenti rimatrici. L’ Arcadia, la quäle da il colorito a tutto il secolo, volle col suo gelo, col suo languore, colla sua spossatezza, far fronte al fuoco, alle iperboli, all’ ebbrietä dei Marinisti; ne da questa lotta, tanto fu-nesta alla buona poesia, si ebbero vantaggi di sorta alcuna. Uniche a fiorire furono la storia — la quäle vanta, tra i molti suoi cidtori, un Sarpi, un Pallavicino, un Davila, un Bentivoglio — e le scienze, per lc quali basti ricordare il Galileo e la breve ma efficace attivitä deli’ accademia del Cimento. Cio non toglie perö ehe le pastorelle -deli’ Arcadia, le tanto vagheggiate Nice e Clori e Fille, fossero abbastanza numerose; tra le quali si ponno accennare conie le migliori Lucrezia Marinella, Luccliesia Sbarra, Veneranda Bragadina Cavalli, Cliiara Fontanelli Zoboli, le due sorelle Farnese, Margherita Costa, Leonora Gonzaga principessa di Mantova e moglie all’ imperatore Ferdinando 111, Maria Ardoini, Faustina Maratti Zappi, e, sopra tutte onorata di elogi e d’ ap-plausi, Elena Cornaro Piscopia, gentildonna veneziana, morta a soli 26 anni nel 1684. Appartiene ancora al XVII secolo la celebre pro-tettrice delle scienze, delle lettere e delle arti, Cristina di Svezia, figlia di Glistavo Adolfo. La quäle, dopo aver dato all’ Europa lo spettacolo di discendere volontaria-mente dal trono avito, si ritiro a Roma, accolse nel suo palazzo poeti e filosofi, formo una specie di Accademia, rivolta singolarmente a coltivare 1’ italiana poesia, ehe vuolsi sia stata come la prima immagine deli’ Arcadia. Giovö eziandio agli studi degli antiquari con una ricca collezione di medaglie, ed esercitossi nel tessere non spregevoli Rime, come si puö vedere da aleuni versi ehe ella inseri nell’ Endimione del Guidi54). II susseguente secolo XVIII vide finalmente — specie nella seconda metä — rinascere, assieme alle scienze economiche e giuridiche, anche la poesia, ehe fu di pre-ferenza drammatica, e vanta un Metastasio, un Alfieri, un Goldoni, poi un Parini ed un Cesarotti, ai quali fanno corona un numero grandissimo di lirici in gran parte seguaci ancora deli’ Arcadia. Ne minore fu la schiera delle rimatrici, delle quali troviamo nella rac-colta della contemporanea Luigia Bergalli 55), pubblicata gia nel 1726, un lunghissimo elenco. Vanno di preferenza ricordate: Maria Gaetana Agnesi e Clotilde Tambroni, la prima delle quali inse-gnava matematiche, la seconda greco nell’ Universitä di Bologna; Pellegrina Amoretti, laureata in giurisprudenza; la Borghini, traduttrice di Tertulliano; la Carminer Turra, che voltö in italiano molti Jramrni francesi e gli Idilli del Gessner; la Cicci, ehe a dieci anni sapeva a memoria tutta la Divina Commedia; Paolina Gris-mondi, alla quäle sotto il nome aceademico di Lesbia Cidonia il Mascheroni diresse il suo famoso Invito a Lesbia; Maria Petrocini, ehe fu versatissima nella chi-rurgia; Francesea Bicetti de’ Buttinoni, rimatrice e let— terata di bella farna; Eleonora Fonseca Pimentel, napo-letana, la quäle «ornata di ogni genere di letteratura ed ancor piü di virtü, lodata dal Metastasio e da lui anche am ata, fu, per avere seritto il Monitor e Napo-litano, condannata a perdere la vita sulle forche pian-tate in piazza Mercator. 56) Aggiungansi ancora i nomi di Corilla Olimpica, Maria Scutellari, Teresa Zani, Giulia Baitelli, Laura Bassi, Caterina Dolfin, e via dicendo. Del secolo XIX infine, ehe seppe dare un valido impulso alla cultura femminile, e ereare la tanto di-scussa emancipazione della donna, il numero delle serit-trici, defunte o tuttora viventi, e si grande, ehe, a voler parlare solo delle piü celebri, ci vorrebbe un intero volume. Basterä, a dare un’idea della quasi febbrile at-tivitä letteraria delle scrittrici italiane nel presente secolo, consultare il libro che il professore Oscar Greco pub-plicava in Venezia nel 1875 col titolo: Bibliografia femminile del XIX secolo, libro in cui sono ricordate pa-recchie centinaia di seritti dovuti al sesso gentile. E se anche gran parte di cotcsti lavori e condannata all’ob-blio, ne resta tuttavia un bel numero di commendevoli e giustamente apprezzati. Egli e perciö ehe rimando ad altra occasione uno studio sulle autrici dei nostri tempi. Per ora mi piace, in considerazione dei consolanti pro-gressi che a’ di nostri fece la letteratura femminile in Italia, conchiudere colle parole di una delle piü geniali tra le moderne poetesse: Dicean ghignando che alla donna sola, Alla reietta, all’ esule, alla mesta, Non piü 1’ arte che inalza e che consola, Darebbe fiori per la bionda testa. La Musa, invece, intorno ad essa vola Sempre iida qual pria, nobile, onesta; E fa negi’ inni udir la sua parola Che memorie e speranze in lei ridesta. r'7) NOTE ') Francesco Guicciardini, Storia d' Italia, libro XTV. — Si confronti ancora la lezione XIX nei Primi quattro secoli della letteratura italiana di Caterina Franceschi Ferrucci (Firenze ed. Le Monnier, 1873). 2) Nell'istesso secolo regnarono tre altri papi prima, e ben quattordici dopo Leone X. 3) Francesco De Sanciis, Storia della letteratura italiana, Napoli 1873, capo XII. — Si confronti anche la Letteratura italiana, di Cesare Fenini, Milano 1878, capo VII. 4) Eduardo Magliani, Storia letteraria delle donne italiane, Napoli 1885, tip. Antonio Morano. 5) Gregorovius, Lucrezia Borgia. 6) Un pittore moderno, Francesco Iacovacci, cogliendo il momento su-premo di quel nobilissimo amore del Buonarroti, il momento del bacio, dipinse uno stupendo quadro, meritamente ammirato e premiato all'Esposizione na-zionale di belle arti in Torino nel 1880. 7) Si confrontino: Rime e lettere di Vittoria Colonna, Firenze 1860; Rime di Gaspara Stampa, Firenze 1877; Rime e lettere di Veronica Gambara, Brescia 1759. — Rime di tre gentildonne del secolo XVI con prefazione di O. Guerrini, Milano, Sonzogno 1882. — Per maggiori notizie biografiche e letterarie si possono consultare le vite della Colonna pubblicate da Giambat-tista Rota e dal Reumont; quella della Stampa curata da Antonio Rambaldo; quelle della Gambara scritte da Rinaldo Corso e da Camillo Zamboni. 8) Luigi Settembrini, Lezioni di letteratura italiana, Napoli 1870. — Magliani Op. cit. pag. 180. 9) Volume XVI, Florilegio oratorio, pag. 545 (ed. Hoepli, Milano, 1885.) lu) Betussi, Delle donne illustri italiane, in continuazione al giä citato libro De Claris mulieribus del Boccaccio. ’*) Alle letterate si potrebbero aggiungere le scienziate, per le quali rimando, chi abbia vaghezza di conoscerle, all' Istoria delle donne scienziate di M. Alberti, pubblicata in Napoli nel 1740. n) Che V altre, intendi: Che V altre anime. 13) Luigia Bergalli (Irminda Partenide) Componimenii poetici delle piü illustri rimatrici d' ogni secolo,Venezia presso Antonio Mora, 1726. 11 libro e dedicato al cardinale Pietro Ottoboni. — Si possono consultare ancora le se-guenti opere: Leopoldo conte Ferri, Le donne letterate. Gamba, Lettere di donne italiane del secolo XVI. Ronna, Gemme o Rime di poetesse italiane antiche e moderne (Parigi, 1843). 14) Agostino della Chiesa, Teatro delle donne letterate (citato dal Cantü). 15) II medesimo pensiero e espresso dal Parini, perö in modo piü con-ciso, nei noti versi; Perche turbarmi l’anima O d’oro e d’onor brame Se del mio viver Atropo Presso e a troncai- lo stame .... ’6) Come, supplisci: Digli come . ■ . *7) G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Milano 1834, v. XXIV. ,9) Negli alti chiostri, intendi: in cielo. 19) Sole e di solito chiamata per metafora la persona amata. •°) Cfr. P. Ireneo Affb, Le tre Gonzaghe. 21) Giambattista Corniani, I secoli della letteratura italiana, Torino, 1855, volume II, pagina 377. 22) Francesco Saverio Quadrio, Storia e ragione d'ogni poesia, 1739. 23) Cfr. Francesco Costero nella prefazione ali' Apologia di Annibal Caro, ed. Milano, Sonzogno, 1876. 24) Con questo sonetto ha molta analogia il noto sonetto del Filicaia: Qual madre i figli con pietoso affetto Mira, e d’atnor si strugge a lor davante.... 25) La Glurlanda della contessa Angela Bianca Beccaria, contesta di madrigali di diversi autori, raccolti e dichiarati da S. Guazzi da Casalmon-ferrato, Genova 1595. 26) Vedi: Giammaria conte Mazzucchelli, Degli scrittori italiani. 27) Vedi: G. M. Bourellv, Cento biografie di donne illustri italiane, Milano, tip. Gnocchi, 1878, — F. M. C. Centuria di donne illustri italiane, Milano, Sonzogno, 1883. 2S) Un Ginlio Bidelli, ricordato piü sopra, quando si parlava di Ippolita Gonzaga Colonna, e detto dal Graf un „mostro di pazienza“, per aver egli messo insieme Dugento stanze e dui capitoli tutte de versi del Petrarca. 29) D'Ambrantes, Vite e ritratti delle donne celebri d' ogni paese, con-tinuate per cura di letterati italiani. Tomo IV, (Milano, 1838). 30) Magliani, Op. cit. pag. 184 e segg. 31) Come l'araba fenice rinasce dalle ceneri, cosi ella spera ehe la ghiandaia rinasca dall'acqua; la poverabestia mori di fatti affogata in un pozzo. 32) G. K. Giraldi Cinthio, Hecatommithi ouero cento no reli e, Venetia, 1584. 33) Artnro Graf, Petrarchismo ed Antipetrarchismo nel Cinquecento, studio pubblieato nella Nuova Antologia dol 16 gennaio e 16 febbraio 1886. 34) Madrema nel parlare famigliare equivale a viia madre; cosi leg-gesi nel Trissino: Mogliema per min moglie. 35) Lettere di cortigiane nel secolo XVI, Firenze 1884. 36) Chi voglia conoscere una lunga sfilza di siflatti quesiti d’amore, legga le Lettere di molte ingegnose donne, Venezia 1549; lc quali, quandan-che non sieno autentichc, pure fanno fedo delle idee e dei costumi del tempo. 37) Ne conosciamo due edizioni, una di Venezia 1839, ed una di Milano 1841; quest’ ultima con note di Antonio Berta. 3i) A vieppiü caratterizzare, sotto tale aspetto, il secolo di cui stiamo trattando, si potrebbe consultare anche II Catalogo de tutte le principali et piii honorate cortigiane di Venetia, ecc. pubblieato a quei tempi in Venezia da un certo A. C. c dedicato „alla molto magnifica et cortese signora Livia Azalina“. 39) Gian Carlo Passeroni, serittore dol XVIII secolo, visse dal 1713 al 1803. 4U) Vedasi: Giovanni Mario de' Crescimbeni, Storia della volgar poesia. 41) Morto in Venezia nel 1585; curč) con Gabrielo Giolito, celebre tipografe, un’ampia raccolta di storici latini e greci recati in lingua italiana; e pubblicö inoltre nel 1576 un' opera sulle Isole piü famose del mondo. 42) Partia. dal corpo a ciascun l' alma, intendi: faceva andare in estasi. 43) Padova, Pasquati, 1568, in 4° grande. 44) E stampato a Venezia da Plinio Pietrasanta, 1555; piü tardi, nel 1565, coi tipi del Rocca, se ne fece una seconda edizione. — Per una svista fu omessa nel testo, tra le collaboratrici di questo Tempio, Fausta Tacita, la quäle, come le due ivi citate, si effonde in isperticati elogi nei tre sonetti e uelle sei stanze che vi pubblica. 45) Le donne della Tessalia ed i Marši del Sannio (Orazio, epod. 17, 29) erano rinomati negli antichi tempi per 1’ arte magica e per gl' incantesimi. 46) Ali'altra m orte eioe: alla dimenticanza. 47) Cfr. Graziani, De bello Cyprico, 1. III, pag. 181. 43) Evidente allusione al proprio nome Rosa. 49) P. Fanfani, II Plutarco femminile, Milano, ed. Carrara 1872. 50) Cfr. Giov. conte Fantuzzi, Scrittori bolof/nesi. 51) Bembo, Letlere famigliari, Verona 1743. 52) Cesare Cantü, Storia della letteratura italiana, Firenze 1885, pag. 240-42. 53) Vedi: Giorgio Vasari, Le vite dei piu eccellenti pittori, scultori ed architetti, e G. B. Adriani, Lettera a G. Vasari, Firenze, ed. Le Monnier, 1846. M) G. Maffei, Sloria della letteratura italiana, Firenze 1853, volume II, pag. 8. M) Nata a Venezia nel 1703, fu sposata a Gaspare Gozzi, e mori nel 1760. 5lij Cfr. Botta, Storia d' Italia, libro XVIII. 57) Contessa Lara, Versi, Roma, A. Sommarnga, 1883. p rol. ANTONIO ZERNITZ. Errata Corrigc Pag. 5, linea 23, intriseco intrinseeo » 5, » 35, Amelia Aurelia 9, » 22, edizoni edizioni > 35, » L altre ancora parecehie 41, » 29, ciel, cielo, » 4«, » 26, di oarattere il carattere > 59, » 24, Mandrucoio Madruccio > 64, » 26, Vinegia Vinegia M, » 37, Giralamo Girolamo NOTIZIE SCOLASTICHE I. Giacomo Babuder, Cav. deli' Ordine di Francesco Giuseppe. membro deli’ Eccelso i. r Consiglio scol. provinciale dell’Istria; direttore doll’ i. r. Commissione esaminatrice dei candidati al magistero nelle scuole popolari generali e civiche; rappresen-tante comunale, consigliere di amministrazione del Pio Istituto Grisoni in Capodistria: Direttore; insegnö lingua tedesca nelle classi V e VII, lingua latina nella YIII; ore 11. Docenti effettivi Mason Carlo, - Professore anziano, promosso ali' VIII. Classe di rango, capoclasse nella IV — insegnö Latino nella IY; Ita-liano nella VII; Greco nella III e nella VI; ore 19. Casagrande Alberto. — Professore, promosso all’ VIII classe di rango, capoclasse nella VI — insegnö Greco nella V, Latino nella VI e VII; ore 16. Schiavi don Loreiuo. — Socio corrispondente deli’ Accademia artistiea Raffaello d’Urbino, della filosofico-medica di San To-niaso d’Aquino, dell’Ateneodi Bassano, dell’Accademia romana di religione cattolica; socio d’onore della societä degli avvocati di San Pietro; secondo esortatore religioso; Professore, promosso all’ VIII classe di rango — insegnö lingua italiana nella V, VI, VIII e Propedeutica nella Vil e VIII ore 13. Sbuelz Carlo. — Cuslode del Gabinello di fisica e chimica; Professore, capoclasse nella V — insegnö Matematica nelle classi V, VI, VII, VIII; Fisica nella IV, VII. VIII; ore 21. Disertori Pietro. — Professore, capoclasse nella VIII — insegnö Storia e Geografia nelle classi I, III, VI, VIII; Italiano nella IV; ore 16. Spadaro don Nicolö. — Professore — insegno (nel II semestre) essendo subentrato in luogo del rev. sig. Giuseppe Artico, reli-gione in tutte le classi e matematica nella I; ore 19; primo esortatore religioso. Petris Stefano. — i. r. Conservatore di monumenti storici per la provincia d’Istria; Professor e, capoclasse nella VII; insegnö Storia e Geografia nella II, IV, V, VII; Italiano nella III; ore 15. Zemitz Antonio. — Professore, capoclasse nella II — insegno lingua italiana e latina nella II; lingua greca nella IV; ore 16. Matejčic Francesco. — capoclasse nella I — insegno lingua latina ed italiana nella I; lingua greca nella VII ore 16; professore (in qualitä, di docente di lingua slava tenne lezioni in tre corsi, ad ore due sett. per ciascuno) Gerosa Oreste. — membro dell’i.r. cornuiissione esamina-trice pel magistero nelle scuole popolari e civiche; Professore; custode del gabinello di storia naturale; insegnö matematica nella II, III, IV; Storia naturale nella I, II, III, V, VI. ore 19. Bisiac Giovanni, — Professore — insegnö lingua tedesca nella I, II, III, IV, VI, VIII; ore 18; bibliotecario. Maier Francesco, — rappresentante comunale; docente ef-fettivo, capoclasse nella III; insegnö latino nella III e V; Greco nella VIII; ore 17, Komarek Antonio, — docente neti’ i. r. Istiluto magistrale in luogo; insegnö calligrafia e ginnastica. Fuchs Carlo, — docente nell’i. r. Istitulu magistrale in luogo; insegnö il canto in due ore settimanali. Commissario vescovile peli’ istruzione religiosa. II Reverendissimo Monsignor Canonico Giovanni de Favento giä direttnre prov. ed i. r. professore ginnasiale ernerito Civica deputazione ginnasiale Signor Antonio D.r Zetto » Pietro D.r de Madonizza » Nicolö de Belli Ricevilore della tassa scolastica (didattro) Signor Alessandro Bonne i. r. ricevilore di I. elasse nel loeale i. r. uffieio principale delle imposte. Zetto Francesco, bidello, — inserviente ai Gabinetti e custode del fabbricato. CRONACA DEL GINNASIO Fatti rimarchevoli avvenuti dopo la fine dell'anno 1884-85. II 18 agosto 1885, solenne ricorrenza del Nutalizio di S. M. I’Imperatore, venne celebrato, come di solito, coll’intervento dei membri del corpo insegnante preseliti in luogo alla Messa solenne celebrata nella Cattedrale. 11 4 Ottobre 1885 fn giornata di festa nell’istituto per la fausta ricorrenza deli'onomastico di S. M. V Imperatore. 11 giorno 19 Novembre 1885, onomastico di S. M. ilmpe-ratrice, venne pure festeggiato dal corpo insegnante e dalla sco-laresca coll’assistere alla solen n iti ecelesiastica celebrata nel-1’ Oratorio deli’ istituto ed al discorso di occasione tenuto dal prof. don Lorenzo Schiavi. L'Eccelsa Dieta provinciale dimoströ, come sempre, a mezzo della sua inclita Giunta, vivo interessamento pella prosperita di questo Ginnasio, sovvenendo generosamente scolari poveri e con-tribuendo all’ incremento sempre maggiore dell’utilissima istitu— zione del fondo ginnasiale di beneficenza. Debito di riconoscenza tiene pure la Direzione verso lo Spett. Municipio, che nulla intralascia di ciö che sta in suo potere per promuovere l’interesse ed il decoro dell’istituto. Merita pure di venir ricordata con sentita riconoscenza la Reverendissima Curia vescovile di Parenzo, ehe on on) questo ginnasio, anni or sono, seegliendolo ad istituto di educazione ginnasiale pegii allievi del suo convitto diocesano parentino-polese stabil ito in questa cittä. Tale istituzione provvidissima di quella benemerita diocesi promette di favorire sempre meglio eogli alti scopi religiosi, cui serve, anche 1’ incremento di questo i. r. Ginnasio, essendone stata, non ha guari, rassicurata 1’esistenza su basi piii solide, merce l’acquisto fatto dalla Rev. Curia stessa di un bel corpo di fabbricati, per potervi adagiare piü opportu-namente i suoi allievi. Personale insegnante. — Al termine del primo semestre cesssava dalle sue funzioni in questo Ginnasio il professore di religione Don Giuseppe Artico, nominato a professore nel Ginnasio civico di Trieste. A questo istituto veniva trasferito il Ca-techista e professore di religione deli’ i. r. Scuola Reale super. di Pirano, rev. Signore Nicolö Spadaro. Di questo cangiamento in fuori, il personale insegnante deli’anno scol. precedente rimase inalterato. Yennero promossi alla classe ottava di rango i signori professori Alberto Casagrande e Don Lorenzo Schiavi. La scuola di canto venne riattivata ed affidata al signor Carlo Fuchs. Scolaresca. — L’aumento nella frequentazione deU’istituto continua. Yennero iscritti 205 scolari publici, 7 privati, 1 stra-ordinario; quindi otto di piü dell’anno scol. precedente. Al prin-cipio dell’anno scolastico subirono 1’esame di riparazione in un oggetto tre candidati di maturitä. rimessivi due mesi innanzi e venne pure esaminato e dichiarato distintamente maturo il sig. Ugo Contento da Pirano, allievo di quella scuola reale, dovfe aveva pure subito l’esame di maturitä con distinzione. Col Dispaccio 27 settembre 1885 N. 1526 veniva partecipato, che 1’ispezione dei corsi liberi di lingua slava in questo i. r. Ginnasio era stata affidata al sig. Ispettore scol. provinc. Antonio de Klodič-Sabladoski, il quäle ispezionö detta scuola nel mese di novembre 1885. Disposiziom superiori. — Due opere didatticlie del signor prof. Alberto Casagrande («Esercizi di sintassi latina» di cui e cenno nel Programma deli’anno scorso, ed «Elementi di sintassi greca) vennei’o accolte nell’elenco dei libri approvati pei Ginnasi. — II 19 novembre, giorno onomastico di S. M. l’Im-peratrice, sar;\ compreso tj'a le giornate di vacanza e festeggiato negli istituti. — Coli’ordinanza 10 dicembre 1885 N. 22906 si dispone «che esami di maturitä non si possano teuere, che al termine deli’anno scolastico od al principio del successivo; che scolari privati possano presentarsi all’uno od all’altro dei due termini stabiliti — che riprovazioni a sei mesi non avranno piü luogo — che nella seconda delle due epoche stabilite saranno ammessi študenti, i quali nel primo esperimento sono caduti in un oggetto e vennero riinessi ad esame di riparazione nel me-desimo dopo.due mesi — che se tali candidati cadono anche in questo esame dovranno venir rimessi all’epoca regolare dell’anno scolastico successivo, venendo perö nel secondo esame generale dispensati da quegli oggetti, nei quali corrisposero nel primo esame soddisfacentemente; die in detto esame ripetuto si accorda dispensa dagli esami in iscritto in quegli oggetti, nei quali il can-didato riportö la prima volta la nota «sufficiente» — coll’ordinanza 16 die. 1885 N. 23333 si ordina di non mutare senza bisogno i testi scolastici e di non usare libri od altri amminicoli d’istruzione non approvati — Coll’ordinanza 16 dicembre 1885 N. 23324 si rendono responsabili i direttori, che le biblioteche giovanili del-l’istituto non contengano opere vietate o contrarie agli scopi educativi ed in generale, che nessun libro possa esser dato in mano a scolari, se il direttore od un professore non ne garan-tiscono 1’ innocuitä per la gioventü studiosa — L’ordinanza 2 gennaio 1886 N. 85 stabilisce, clie gli esami di ammissione alla prima classe ginnasiale si tengano in due epoche, il 30 e 31 luglio il 1, 2 eventualmente 3 ottobre — ehe gli esami di ammissione alle altre elassi e quelli di riparazione si tengano il 1 e 2 ottobre; che l’ufficio l’eligioso d’inaugurazione deli’anno scolastico si celebri il 3 ottobre; ehe i direttori si comunichino tra loi’o il nome degli scolari ehe non corrisposero nell’esame di aecettazione per la 1. classe; ehe gli esami di maturitä a voce si debbano teuere entro gli Ultimi otto giorni dell’anno scolastico e col giorno precedente si chiudano le lezioni negli altri eorsi e si di-stribuiscano gli attestati ecc. — L’ordinanza, 26 gennaio 1886 N. 1512 abolisce la graduatoria degli scolari rispetto al profitto generale dei medesimi — L’ordinanza 1 febbraio 1886 N. 507 fissa il bollo di fiorini 1 per foglio, per attestati semestrali du-plicati — L’ordinanza 9 maržo 1886 N. 4452, abolisce la nota «esemplare» nella classifieazione del comportamento, e quella di «distinto» nel profitto — L’ordinanza 18 maržo 1886 N. 4131 preserive, ehe agli esami di ammissione alla V. classp non si possano assoggettare altri, che giovani i quali intendono di fre-quentare in appresso detta classe nell’istituto come scolari re-golari, e che attestazioni officiose circa a detti esami non possano venir rilasciate, se non in seguito ad autorizzazione superiore — Successivamente, coli’ ordinanza 6 aprile 1886 N. 3340 si comu-nica, ehe esami ginnasiali da subirsi per iscopi particolari sono vincolati a preventivo assenso deli’Ecc. Ministero dell’istruzione, al quäle si ha da rivolgersi di caso in caso — Col Dispacio 23 maggio N. 7437-VII L’Ecc. Luogotenenza comuniea, ehe gli esami di maturita saranno presieduti quest’anno dall’Ispettore scol. prov. Sig. Antonio de Klodich - Sabladoski; e col Decreto 23 dello stesso mese N. 7437 viene deferito al Direttore ginnasiale Giacomo Babuder 1’ incarico di presiedere quest’ anno agli esami di maturita deli’i. r. Ginnasio di Pisino. — Coll’ordinanza min. 12 Giugno 1886 N. 9681 s’inculca 1’esatta osservanza delle norme concernenti l’evasione d’istanze per esenzione dal paga-mento della tassa scolastica, la quäle dall’anno scol. venturo in poi importerä per gli scolari di questo ginnasio fiorini 15 per semestre. CENNO NECROLOGICO Lento ed inesorabile morbo rapiva all’affetto de’ congiunti e condiscepoli due giovani distinti per moralitä ed indefessa di-ligenza, alunni ambidue del convitto parentino-polese. Fulin Francesco fu Angelo, da Rovigno, sedicenne, študente della VI classe e Rabas Luigi di Melchiore da Visignano, dodi-cenne, scolaro della I classe, dopo lunghe sofferenze tollerate con esemplare rassegnazione resero la bell’ anima a Dio, lasciando viva e cara memoria de’ loro pregi ai compagni di convitto e di scuola. II primo mori nella sua patria, ove erasi recato poco ap-presso al principio dell’ anno scolastico; il secondo venne accom-pagnato all’estrema dimora il 31 maggio. III. DELL’ I. R. GINNASIO SUPERIORE DI CAPODISTRIA nell’anno scolastico 1885-8(5 CLASSE I. — Religione. I. sem. Spiegazione del simbolo apostolico, deli’ orazione domenicale, del decalogo, dei cinque pre-cetti della chiesa e della giustizia cristiana. II. sein. Delle dome-nichee feste della chiesa cattolica colle varie cerimonie. — Latino. Morfologia — Le piü importanti flessioni regolari esercitate a mezzo di versioni dali’una lingua nell’altra, come si trovano nel libro di esercizi dello Schulz. Ogni settimana, un coinpito scol. di mezza ora. Esercizi di memoria — piü tardi trascrizione di proposizioni latine tradotte epiccoli compiti domestici. — Italiano. Esposizione della parte etimologica della Grammatica di Demattio, con esercizi di analisi grammaticale. Esercizi di grammatica logica — Proposizioni semplici e composte. Teoria della narra-zione con alcune favole dei migliori autori da imparare a memoria. Un tema scolastico ed un domestico per settimana. — Tedesco Grammatica, fino alla declinazione del sostantivo. Lettura dal Müller (corso pratico di lingua tedesca) fino alla pag. 80. Compiti: nel II sem. uno scolastico ed un domestico per settimana alternativamente. — Geografia. No/.ioni elementari della Geografia generale e politica. Addestramento nella lettura e disegno di carte geografiche, Testo Klun. parte I. — Matematica. Aritmetica: le quattro operazioni fondamentali con numeri interi. Divisibilitä, Frazioni (Abaco) Geometria intuitiva: linee, rette, circoli, angoli, parallele. Triangoli colle regole della congruenza. Testo Močnik (costruzione di figure). — Storia naturale I. sem. Mammiferi — alcuni tipi di molluschi e radiati. II. sem. Articolati. Testo Pokorny (trad Salvatore e Lessona). CLASSE II. — Religione. Dei SS. Sacramenti e delle cerimonie neH'amministrazione dei medesimi. — Latino. Teoria delle forme meno usitate e delle irregolari, esercitate sugli esempi del libro di esercizi dello Schulz, come sopra. Ogni settimana un compito scol. di '/2 ora- Esercizi di memoria come nella I. cl.; piü tardi prepara/ione domestica. Ogni 14 giorni un tema domestico. — Italiano. Esposizione della sintassi. Definizione della proposizione e delle sue specie, della fräse e del periodo. Analisi logica di proposizioni semplici e composte. Brani facili di poesia da imparare a memoria. Un tenia scol. ed un domestico per settimana. Testo. Libro di lettura (ed Holder) p. II. — Tedesco. Elementidella Grammatica lino al Verbo. Esercizi continui dal Müller «Corso pratico» fino al termine della Parte I. Compiti: due in iseuola e dne a časa ciascnn mese. -- Geografia e Storia. (2 ore) Geografia speciale dell’Africa, Asia, divisione orizzontale e verticale deli’Europa. Geografia speciale deli’Europa meridio-nale ed occidentale (Weiter v. I; Klun p. 111.) Storia dell’evo antico. (2 ore) — Matematica. Aritmetica: moltiplicazione e divisione abbreviata, proporzioni. La regola del tre semplice. Geo-metria; regole della congruenza e loro applicazione ne’triangoli. II cercliio, il quadrilatero, il poligono. (Testo Močnik). — Storia naturale. I. sem. Regno animale: uccelli, rettili, anfibi, pešci. II. sem. Botanica (testo Pokorny). CLASSE III. — Religione. Storia sacra deli’antico testamento colla Geografia della terra santa. — Latino. Grainmatica; storia dei casi e preposizioni. Lettura: daCornelio Nipole o da Curzio. Preparazione. Ogni 14 giorni un compito scol. di un'ora ed un tema per casa. — Greco. Teoria delle forme regolari, con esclu-sione dei verbi in p.t. Versione dal libro di lettura. Esercizi di memoria. Preparazione. nel II sem. un teina domestico ogni 14 giorni; un tema scol. ogni 4 settimane. — Italiano. Figure gram-maticale ed esercizi sugli usi particolari dei verbi e delle par-ticelle. Esercizi di memoria con analisi logica sopra varie poesie e sopra brani del libro di Testo (Holder ed P. III). Temi: Un tema scol. ed un tema domestico per settimana alternativamente. — Tedesco. Grammatica: la conjugazione debole e forte dal Müller: Corso pratico vol. II. fino alla pag. 81. Esercizi e compiti como sopra. — Geografia. Geografia speciale della rimanente Europa (ad eccezione deli’ Austria-Ungheria) deli’ America ed Australia. Storia del medio evo. Testo: Weiter p, II. Klun p. III). — Matematica. Aritmetica: Conteggio con numeri indeterminati. Le quattro operazioni fondamentali con numeri generali intieri e rotti. Elevamento a potenza. Estrazione della radice quadrata e cubica, — Geometria: eguaglianza delle superfici, trasmutazione delle figure, calcolo delle lunghezze e superfici. Somiglianza. — Storia naturale. I. sem. (Inseg. intuitivo). Mineralogia (testo: Pokorny II) 2 sem. Fisica sperimentale. Proprietž. generali dei corpi: Calorico, idee fondamentali di chimica (testo Vlacovich). CLASSE IV. Religione. Storia del nuovo testamento coli’ applicazione della Geografia della terra santa. — Latino. Gramm, teoria dei modi; eongiunzioni. Lettura di Cesare. Comm. de bello gall. I, II, III, IV. V Preparazione. Un tema domestico ogni 14 giorni; ogni 2, o 3 settimane un tema scol. — Greco. Verbi in jxt. Le forme irregolari piü importanti. Punti culminanti della sintassi. Versioni dal libro di lettura. Esercizi di meinoria. Preparazione. Temi scolastici ogni settimana, uno; domestici, ogni 14 giorni uno, — Italiano. Riepilogo di tutta la grammatica. Lettura dal testo (Holder) p. IV con commenti grammaticali e storici. Esercizi
  • 19 . . 3 3 6 » 20 — — 1 1 2 > 21 ’) I dati, chc seguono, si riferiscono a scolari publici che hanno frequen-tato le lezioni lino al termine dell'anno scolastico. NELLE CLASSI ca S E I ( 11 III IV V VI VII VIII O cn 1 I« ClllO Stip6TfCLlO Stipendio dal fondo camerale Istriano a f. 84 .... — — — 1 1 1 — 3 Stip. speeiale per seolari delle Isole del Ouarnero a f. 100 1 1 2 Dalla Giunta prov. a f. 100 — 1 — 2 3 2 2 10 SilctQidin /1«»11 cipauti f»nn t RO 1 1 2 1 1 5 UUool'IIU UalJa nlrnnrt v IMI 1* V/U » » » » »50 1 2 » » » » » 20 1 1 Dal fondo Dobrila a f. 100.80 — — 1 1 2 — 1 — 5 » » Castro a f. 105 1 — — — — 1 » » scuole dl caritk in Cherso a f. 100 .... — — — — — 1 — — 1 Dal fondo i. r. Finanza a f. 100 — 1 — — — — — 1 » » » » 150 — — 1 — — — 1 Importo coinplessivo degli stipcndi f. 2881 ! g) alla tassa scolastica I. semestre paganti . . . 47 11 17 7 4 7 3 3 99 » » esenli .... — 19 22 17 15 11 10 7 101 II. sem. paganti (intiero) 22 12 15 7 4 5 3 3 71 » » » (meta) . . 1 — — — — — — — 1 » » esenti 20 17 22 17 13 11 10 7 117 Importo eompless. delle tasse scolastichc riscosse f. 17G9 h) agli oggetti liberi Inscritti: Lingtia slava . . 11 7 7 10 11 7 5 2 60 » Canto — 8 4 10 11 11 7 4 55 j » Ginnastiea . . . 13 13 0 8 5 5 4 3 60 Prospetto di dass, tleli' anno scolastico 1881-85 retti/icato dopo (jli esami di riparaz. Classccompl. prima con emin. 5 1 3 1 3 5 4 5 27 j » » prima . • . 22 33 19 20 15 9 7 4 129 » » seconda . . . ~7 4 4 4 3 3 — 1 26 » » terza .... 7 — — — — 7 Non furono classificati . . — — 1 - — — — — 1 Al termine deli'anno scolast. j 1885-86 riportarono Classe prima con cminenza 3 4 3 2 2 3 ti 3 26 » prima 23 15 24 17 11 8 6 7 111 » seconda 2 3 2 1 1 — — — 9 ! » torza 10 1 11 | Rimessi ad esatne di ripara- 1 in un oggetto 4 7 6 4 3 5 1 30 Non furono classificati . . 7 1 3 2 ~ 13 y. TEMI DATI PEK CÖMPITI AGLI SCOLARI DEL GINNASIO SUPERIORE CLASSE V. — II monumento del leone ideato ed eseguito da Thörwaldsen in Lucerna. — Peccato confessato e mezzo perdo-nato. — L’ imperatore Massimiliano d’Austria, liberato da un mortale pericolo, mentre da giovane era alla caccia in regioni montuose. — II proverbio: «L’aurora ha 1'oro in bocca. — Le impressioni ehe ci porta 1’ inverno. — L’ombrello dell’Augustis-sima nostra Imperatrice Elisabetta (narrazione). — Si scorga un’imraagine della vita umana in un ruscello, ehe si fa torrente e poi fiume, e va in inare. — Spieghi un padre al proprio figlio ehe va agli studi, questa ovidiana sentenza: ut ameris, amabilis esto. — La sventura d’uua fainiglia per la morte del padre. — Alcuni inviati della eittä di Firenze parlino dinanzi alle autoritä di Ravenna, per avere le spoglie mortali di Dante. — «Non di-sprezzate chi e nato da poveri genitori» (Seneca). — Eroico eseinpio di sincerita lasciatoei da Santo Antimo, vescovo di Ni-comedia. — Intorno ai lini del vestire uraano, e se vi possa essere abuso. — «Di tutto quello che comprendi e sai pompa non far; ehe un bel tacer talvolta Ogni dotto parlar vince d'assai» (Me-tastasio). — Chi benefiea, sarä beneficato. — Perche la rosa sia ehiamata la regina dei flori. — «Se nella verde etade aleun tra-seura Di lodato sapere ornar la mente, Quando e giunta per lui 1’ etä matura, D’aver perduto un si gran ben si peilte. Cercalo allor, ina trovasi a man vuote: Potea, non volle; or ehe vorria, 11011 puote» (Clasio). - Le ultime spaventevoli eruzioni deH'Etna. -II Quarnero e le sue isole principali. — Che cosa significhi la favola delle Pieridi, e quella di Aragne, ed altre simili degli antiehi Pagani. — Le benernerenze letterarie di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico. — La deserizione della propria terra natale. CLASSE VI. — Le visite che Sua Altezza I. R. la Serenis-sima Principessa Stefania fece alle eittä marittime dell’Istria liel settembre del 1885. — L'arte del mosaico negli antiehi e nei moderni tempi. - Impara 1’ arte e mettila da parte. - «II tempo fugge e non s’ arresta un’ ora» (Petrarca). — Deserizione di un campo, dopo avvenuta in esso flera battaglia. — Per qual ragione sia stato detto che «L'Orlando Furioso e un miracolo di poetica dovizia» (Vanetti). — Un viaggio in vaporetto da Capodistria a Trieste. - L' uomo iracondo ed il llemmatico, dipinti in un dialogo vicendevole. - II carattere fisico e morale di Torquato Tasso. - 11 perdonare ai nemici e atto 11011 solo da uoin ragionevole, nia piü ancora da perfetto cristiano. - II carnevale. - La quaresima. - II mercoledl delle Ceneri, 10 maggio 1886, ed un atto religioso di Sua Maestä I. R. 1’Augustissiina nostra Imperatrice. - II detto di Giulio Carcano: «La buona amicizia ha bisogno di cuori ehe abbiano la stessa lede, le stesse speranze, lo stesso amore». - La sepoltura dei cadaveri umani, niessa al confronto della cosiddetta creniazione. — I conforti della speranza e le amarezze del disin-gainio. — Due forestieri, dopo visitata Capodistria, partono e ne discorrono tra loro: ehe cosa si diranno? — «Chi viver vuol tranquillo i giorni sui, Non conti quanti soli di lui piü lieti, Ma quanti son piii miseri di lui» (Pignotti). — Affrettate il soccorso ali’infeliee, la cura ali’ammalato, la correzione al vizio. - Perehe 1’ aquila sia ehiamata la regina degli ueeelli. — Quell’ altalena di liete grandezze e di amare umilia/.ioni per eui passö la vita del-1'imperator Carlo V. - Le apparenze talvolta ingannano. - Di quanta iinportanza sia per ciascun giovane la seelta ehe fari dello stato. Prof. L. Schiavi. CLASSE VII. — L' autunno e la piü grata delle stagioni. — At'Jia f&p sv xaxöirjxi ßpotoi •/. at orpj [j in /.'j ot.v, Che presto 1’ uomo n el dolore invecehia. (Odissea, trad. di Pindemonte). — Le condizioni letterarie s’informano dalle condizioni soeiali. — Perche dal culto di Dante dipendano le sorti delle lettere italiane. — II Natale epopea del eristianesimo. - La nuova eco di Miramar. - Gl’ Istri al Timavo. — Come dobbiamo immaginarci gli uomini nel loro primo grado di civilta, la famiglia. - Le ultime ore di re Epulo. -Classici o Roinantici? Medio tutissimus ibis. — Ildvriov TtTY)|iatwv «[AuixaTov sati auvčto? -ml sovoo; avvjp tpiXo?. (Erodoto). — Maria Teresa avanti la battaglia di Kollin. — Che cosa renda le na-zioni felici e men soggette a corruzione. — II mese di Maggio in chiesa e in famiglia. — II sentimente» religioso nella vita e nell’arte. — Monti e Foscolo. — Se abbia pošto, e quäle, la poesia in un secolo ehe tende al positivismo. — II mio ideale. Prof. C. Mason. CLASSE VIII. — II monumento innalzato in Sant’Onolrio a Torquato Tasso, ed ivi la sua camera e la sua quercia. — «Misero 6 ben chi veder schiva il sole» (Ariosto). — «Gioia promette e manda pianto Amore» (Foscolo). — La via del vizio conduce al precipizio. — Gli Ordini cavallereschi. — «L’uccisione di Boezio č stata un’ iniquita ehe Teodorico ha eomruessa con deliberato proposito» (Aless. Manzoni). — Valperga di Caluso nell’atto che in Lisbona contrae amicizia con Vittorio Alfieri. — Parole lan-ciate da un cittadino romano contro Nerone, da lui conosciuto conie autore dello incendio di Roma. - Saggezza deü’imperatrice Maria Teresa. — «Dona e tolle ogni altro ben Fortuna, Solo in virtü non ha possanza alcuna». — La elevazione dell’obelisco in piazza San Pietro al Vaticano, eseguita il 10 settembre 1586. — Annibale sulle Alpi anirna i suoi soldati a proseguire la inarcia verso 1’ Italia. — Del giudicare il morale degli uomini dalla lor fisonomia e dagli atti esterni. — Si consideri il lavoro e qual punizione del peccato e quäle inezzo onde gli uomini possono ele-varsi a dignitä. — Le eure benefiche del dottor Pasteur a sal-vamento degl’ infetti da idrofobia canina. — La locomotiva a vapore e le strade di fern). — Se sia piü virulento contro i suoi compatrioti il parlar di Dante nel canto XV. dell’ Inferno, o quello del XIV. del Purgatorio. — Id arbitror Adprime in vita esse ulile, ut ne quid nimis (Terenzio). — Si descriva una fami-glia che sia sotto ogni aspetto esemplare. — II peggior carattere deli’ uomo si e quello di non averne alcuno. — L’ amore rende leggere le cose piü gravi e converte in dolci le amare. — «Vin-cere i propri afletti Avanza ogni altra gloria» (Metastasio). — I vantaggi e i danni dell’ oro. Prof. L. Schiavi. ALIMENTI NELLA COLLEZIONE DEI MEZZI D' 1N3EGNAMENTO Bibliotcca dei professori. — Biblioteca classica oconomica (Sonzogno) tom. 75, 76, 80, 81, 82 - Pick; neue Beiträge zur Statistik der Mittelschulen - Gindely «österreichische Vaterlandskunde (dono dei libraio Tempsky di Praga) — Herr «Manuale di geografia comparata» (dono dei libraio Scotoni di Trento) - Huber «Geschichte Oesterreichs I. B.» - Droysen «allgem. Historisch. Handatlas (in Lieferungen) - Zeitschrift für österr. Gymnasien — Rivista di filologia classica — Dr. I. Müller ed altri «Handbuch der classischen Alterthumswissenschaft - Philologische Rundschau - Tacitus «Germania;» - Cicero «de officiis (Schulausgaben) doni del libraio Tempsky di Praga - donato pure dal Sig. Tempsky «Schulwörterbuch zu Corn. Nepos - Allgemeine österr. Leteraturzeitung - Weisungen zur Führung des Schulamtes an den Gymnasien in Oesterreich» 3 copie - Pflichtexemplare n.° 10 (dono deli' Ecc. Luogotenenza) - T. Livii «ab urbe condita» (partes selectae 2 vol.) 4 copie. — Corniani «i secoli della letteratura italiana.» - Erzh. Kronprinz. Rudolf «Orientreise» (edizione di lusso) - P. Secchi «unitä delle forze fisiche» -Huber «Geschichte Österreichs» 2 Band. — Weiss «Lehrbuch der Weltgeschichte VIII B. - Nardi Pietro, dei positivismo in se e nell" ordine metafisico - Österr. -Ungar. Monarchie in Wort und Bild» in tre copie, due per la biblioteca dei professori. una per quella degli scolari. - Relazioni della Giunta prov. dell'Istria dalla sessione dei 1884 in poi (dono della Spett. Giunta prov. dell’Istria) - Virgilii Mar. «opera in us. scholarum» - T. Livii «ab urbe condita» Ciceronis «orationes de im-perio Cn. Pompei ed in Catilinam (doni del libraio Sig. Tempsky) - Kozen - Iarz «Leitfaden der Geographie für Mittelschulen (dono dei libraio Hölzel) - Nacinovich «Flacio» (studip biografico -storico) - Programmi germanici n.° 47 (scambio) -Ovidii Nasonis carmina ed. Teubner (testo scol.) dono della libreria teubneriana -Lessona-Valle «Dizionario universale di scien/.e lottere ed arti» - Parandero «sto-ria generale della letteratura tedesca» - Günther-Saalfeld «Thesaurus italo-grae-chus» — W. H. Roscher «ausführliches Lexicon der griech. und röm. Mythologie» (in Lieferungen) — Heltzmann «descriptive und topographische Anatomie» (in Lieferungen) — Imp. Accademia delle scienze in Vienna» (dono): Sitzungsberichte der mathem.-naturwiss. Classe, 1884 I Abth 8-10; II Abth 8, 9, 10; 1885 I Abth 1-5, 6; II Abth 1, 2, 3, 4-5, 6, 7; Archiv, für österr. Geschichte. 66 Band. Heft 2; 67 Band, Heft 1. Gröber «Grundriss der romanischen Philologie» in Lief. — Gedeone Pusterla «il santuario della beata Vergine della Grazie in Semedella» dono deli' autore Sig. Tommasich Andren, segr. com. em. - Broch «La madre» impres-sioni e note (dono deli' autore) — Marin «Storia politica dei commercio dei Vene-ziani» in 8 vol. — Chavanne «physikal-statisticher Handatlas der öst. ung. Monarchie» in Lief. — Leukart und Nitsche» tavola I, «rizopodi» - detti, tavola 1 «nematclmintes» - Resoconti stenografier della 111 sessione dietale, Periodo VI (dono della Spet. Giunta prov. dell'Istria) - Fondo della biblioteca per l'anno 1885-86: fior. 109.20 (tasse di ammissione); fior. 8 (per duplicati di attestati semestrali); flor. 111.80 quota devoluta alla biblioteca dali' importo complessivo di fior. 321.80 assegnato per acquisto di mezzi d' insegnamento in generale. Gabinetto di Storia Naturale. - 1) Elegante esemplare di madrepora rega-lato da Lonzar Giovanni di Ben. del III Corso. - 2). Un piccolo tetraodon bursarius donato da Crevatin scolaro della VI Classe. - 3). Altro detto di dimensioni maggiori regalato da Marincovich del III Corso. - 4). Esemplare di Mytilus eoperto da balani, dono di Apollonio del III Corso. - Taenia saginata - fet,o umano e mo-struosita di betula alba, regalati dali' illnstriss. Sig. Dr. Pio de' Marchesi Gravisi medico comunale. - 6). Echinus pietrificato, dono deli' illnstriss. Dr. Radoicovich medico distrettualc. - 7). Tetrao tetrix, dono dei sig. Sig. Rodolfo Kalcher i. r. amministratore della casa di pena in loco. - 8). Nomenclator Zoologicus dei Sig. Gins. Martissa candidato al magistero ginnasiale. - 9), Raccolta di Alghe marine di Alberto Rumer dell'VIII classe. - 10). Marino levigato di Porta Venere nel Ge-novesato regalato dal Molto Reverendo Monsignore Francesco Cav. Petronio Preposito della Cattedrale in loco. (Dotazione p. 1886: f. 80). Gabinetto di fisica. - (dotazione p. 1885-86: fior. 130). Modello in metallo di una machina dinamo-elettrica - 2 lampade elettriche. (Altri furono commessi). FONDO GINNASSALE D! BENEFfCENZA Chiusa di conto al termine deli anno scolastico 1884-85 (vedi Prog. 1885 pag. 76). Introito, fiorini 444.32; — Esito, tiorini 3Ü7.54. Dal 31 luglio 1885 ad oggi. (come dal giorn. di casca). Incassati fior. sol. 1. Dagli scolari alla chiusa deli’anno scol. 1884-85 24 20 2. Dalla Signora P. v. B. 5 — 3. Dal Sigr. G. D. . . . 4. Dali’ i. r. Ufficio delle imposte a saldo interessi di obbligazioni . . . — 30 12 60 5. Dal detto 8 40 6. Dal Rev. Ordin. vescovile di Parenzo-Pola . . . 60 _ 7. Dal Signor D.r Petronio medico in Pola . . . 1 _ 8. Dal Signor prof. Alberto Casagrande .... 2 9. Dali’ i. r. Ufficio delle imposte, altra scadenza d’ interessi per obbligaz. 8 40 10. Dal detto 12 60 11. Dallo Spettabile Munici-pio di Capodistria . . 100 12. DalFInclita Giunta pro-vinciale dell’Istria . . 150 13. Dagli scolari al termine del I. sem. 1885-86 . . 27 85 14. Dall’illustrissimo Signor Avvocato Augusto Dott. Gallo consigl. comunale 5 15. Prutto del capitale di f. 294.04 investito . . 17 64 Assieme flor. 434 99 SpesI fior. sol. 1. Sussidii in denaro accor- dati ad alcuni scolari . 50 35 2. Saldato completamente il librajo G. Cernivani, per libri scol. forniti a scolari poveri nell’aim. scolastico 92 1884-85 26 3. Saldato, pel titolo, come sopra, il libraio B. Lonzar 36 34 4. libri acquistati di seconda 22 mano da persone private 3 5. Al librajo Giov. Cernivani per libri scolastici forniti a scolari poveri nell'anno 23 scolastico 1885-86. . . 56 6. Al librajo B. Lonzar, co- me sopra, a saldo, per libri forniti a scolari po- veri nell’ anno scolastico 1885-86 207 Assieme fior. 380 06 Capodistria, <9 Luglio '1886, GIACOMO BABUDER direttore. Bsami d.1 2v£a,tu.rita,. Al termine dell’anno scol. 1885-86 domandarono di essere ammessi agli esami di maturita 10 študenti ordinari deli’istituto. L’esame in iscritto ebbe luogo i giorni 21, 22, 23, 25, 26, 28 giugno coi seguenti temi: 1.° Lingua Italiana. — «Lo studio e la perseveranza maturant) le grandi imprese». 2.° Lingua Latina. — a) Versione dall’italiano in latino: Dal libro di letture italiane attualmente in uso nella II. classe ginnasiale, il brano contenuto a pag. 66 (n. 49) da principio lino alla linea 44. (La distruzione di Cartagine). — b) Versione dal latino in italiano: Tacito Annali; Libro III. cap. 53.54. 3.° Lingua Greca. — Platone «Lachete, Capitolo II. da vol-gersi in italiano». 4.° Lingua Tedesca. — Dal testo «Libro di lettura ad uso della III. Classe ginnasiale, di Fortunato Demattio» da tradursi in italiano il brano n. 75 intitolato «Rodolfo d’Absburgo imperator e». o.° Matematica. — I.) 73 persone spesero fior. 222-7 in una passeggiata. Si domanda quanti uomini e quante donne vi erano, sapendo, che quelli pagarono fior. 3’5 ciascuno e queste fior. 2'7, — II.) una persona ha un capitale di fior. 5740 investito al 4 */2 % d’ interesse composto semestrale e risparmia annualmente f. 320. Che somma avrtt egli alla fine di 20 anni, se i suoi risparmi gli fruttano il 5% d'interesse composto? — III.) Si determini il raggio della base di un cilindro retto, dati che sieno la super-ficie totale (400 m2) e la superficie laterale (92-124 m2), e si trovi la superficie di quella sfera, ehe ha il volume di questo cilindro. — IV.) Si determini l’equazione di quel cerchio che passa per i punti M, (x = - 7; y = 4); M2 (x = 3; y = 8) e per 1’ origine delle coordinate. Pegli esami a voce sono stati tissati i giorni 30, 31 luglio. L’ esito verra. comunicato nel foglio ufficiale del dominio ed a suo tempo nel Programma deli’ anno scol. p. v. Capodistria, 8 luglio 1886. ELENCO D’ONORE tVijfl- .k’olct« cße (xMct j ute Dell dUUU) ISS5-SO 11 p c: far one ta efasse coniptcjsi vo «t i CLASSE I. CAPOLICHIO ANTONIO LIUS ONORATO ZAMARIN GIUSEPPE CLASSE II. BARTOLI MATTEO GALLI EDOARDO GIACHIN EMILIO PALISCA MARCO CLASSE III. BISCONTINI GIACOMO BRONZIN ANTONIO BRONZIN VINCENZO CLASSE IV, KRAINZ GIUSEPPE OPPATICH BASILIO CLASSE V. BASILISCO NARCISO ZUCCON GIOVANNI CLASSE VI. CZASTKA EMILIO GČNIN GIORGIO MANZUTTO GIUSEPPE CLASSE VII. BENUSSI GIUSEPPE CORAZZA GIOVANNI GOIDANICH PIF.TRO MARASPIN GIORGIO MATTIONI AMEDEO ROCCA GIUSEPPE CLASSE VIII. AMOROSO GIACOMO BARTOLI PIERPAOLO POGATSCHNIG ANT. AYVISO L’apertura doll’anno scolastico 1886-87 avrä luogo il 1.° ottobre a. c. colla solenne funzione l'eligiosa, alle ore 10 ant. L’ iscrizione principierä il giorno 27 settembre e continuerä fino al giorno dell’ apertura, da He ore 9 ant. alle 1 pom. Gli študenti du er anno comparire all’ istituto accompagnali dai genitori o dai rappresentanti dei medesimi, i quali — a seanso di misure spiacevoli che potrebbero venir prese dalla Direzione nel corso deli' anno scolastico — sono tenuti di dar aeviso alla scrivente, presso quäle famiglia intendano di col-locare a dozzina i rispettivi /igli o raccomandati. Cosi pure vorranno comparire muniti della fede di povertä, estesa in piena forma legale, quegli študenti che vorranno aspirare all’ esen-zione della tassa scolastica ed a sussidi dal fondo di beneficenza. Immediatamente dopo 1’ apertura avranno luogo gli esami di ammissione, riparazione, ecc. ||alla ||irezionc dell’|. §|inna6io gupcriorc Capodistria, 31 luglio 1886. II Direttore Cav. GIAC. BABUDER.