Maffeo Vallaresso EPISTOLARIO (1450-1471) E GLI ALTRI DOCUMENTI TRASMESSI DAL CODICE VATICANO BARBERINIANO LATINO 1809 edizione critica a cura di Matteo Melchiorre e Matteo Venier historia Maffeo Vallaresso EPISTOLARIO (1450-1471) E GLI ALTRI DOCUMENTI TRASMESSI DAL CODICE VATICANO BARBERINIANO LATINO 1809 artis zbirka oddelka za umetnostno zgodovino Matteo Melchiorre (1981) è stato ricercatore presso l’Uni­versità degli Studi di Udine, l’Università Ca’ Foscari e l’Isti­tuto universitario di architettura (Iuav) di Venezia. Dal 2018 è direttore della Biblioteca, del Museo Giorgione e dell’Ar­chivio Storico di Castelfranco Veneto. Si occupa di storia economica, sociale e religiosa del tardo medioevo e della prima Età moderna, con particolare riferimento ai temi delle minoranze ebraiche e della predicazione, della cronachistica e della guerra, delle istituzioni ecclesiastiche e della storia della montagna. Ha pubblicato importanti edizioni critiche di fonti tra cui I Patti con Padova (1405-1406). Dalla guerra alla Bolla d’oro (Roma 2012); Conoscere per governare: Le relazioni dei Sindaci inquisitori e il dominio veneziano in Ter­raferma (1543-1626) (Udine 2013); il Chronicon bellunense (1383-1412) di Clemente Miari (Roma 2015). Matteo Venier (1965) è ricercatore di Letteratura italiana presso il Dipartimento di studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine. Si è dedicato specialmen­te allo studio della ricezione dei testi classici nella cultura umanistica e rinascimentale. Fra i suoi contributi: Per una storia del testo di Virgilio nella prima età del libro a stampa, Udine 2001; Platonis Gorgias Leonardo Aretino interprete, Firenze 2011; Amaltheae favilla domus. Un’antologia poetica da Paolo ad Aurelio Amalteo, Pordenone 2016; «Nelle parole di Dante». Pompeo Caimo e la Commedia, Udine 2021 (in corso di stampa). Per l’anniversario dantesco del 2021 ha curato la mostra e il relativo catalogo Codici friulani della Commedia. Un itinerario dantesco da Nicolò Claricini (1466) a Quirico Viviani (1823), Udine 2021. Questo volume offre agli studiosi, preceduta da due ampi saggi dei curatori, l’edizione critica del codice Barberiniano Latino 1809 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Si tratta di un importante manoscritto che raccoglie e tramanda, insie­me ad altri materiali, l’imponente epistolario (ben 499 lette­re) dell’arcivescovo di Zara (Zadar) Maffeo Vallaresso. Patri­zio veneziano, umanista e cultore di antichità, Vallaresso resse la diocesi dalmata dal 1450 al 1494, in anni cruciali per la storia del Mediterraneo centrale. Il suo epistolario, al pari degli altri materiali qui editi, spazia da Venezia a Roma, dall’Italia centrale alla costa dalmata, dalla terraferma veneta all’entroterra balcanico. Le lettere dell’arcivescovo, dunque, non solo offrono uno spaccato sulla storia dell’Adriatico a livello politico, religioso e sociale, ma contribuiscono ad arric­chire la conoscenza del variegato mondo dell’­umanesimo nel cuore del Rinascimento. Si rende così finalmente dispo­nibile agli studiosi una fonte preziosa, da esplorare e interro­gare sotto molteplici prospettive. historia artis 45,00 EUR historia ISBN 978-961-06-0536-2 artis historia artis zbirka oddelka za umetnostno zgodovino Ljubljana 2021 Maffeo Vallaresso, Epistolario (1450-1471) e gli altri documenti trasmessi dal codice vaticano Barberiniano latino 1809 Edizione critica a cura di / Kriticna izdaja in priredba Matteo Melchiorre, Matteo Venier Saggio storico introduttivo / Uvodna študija Matteo Melchiorre, Matteo Venier Coordinamento scientifico-redazionale di questo volume / Znanstvena koordinacija in redakcija zvezka Dušan Mlacovic, Reinhold C. Mueller Recensori / Recenzenta Gino Belloni, Gregor Pobežin Comitato scientifico della serie / Uredniški odbor Tomaž Brejc, Nataša Golob, Janez Höfler, Stanko Kokole, Primož Lampic, Milan Pelc, Robert Peskar Direzione editoriale della sottoserie ICCHS / Uredniški odbor podzbirke ICCHS Matej Klemencic, Dušan Mlacovic Pubblicazione realizzata con il contributo del Dipartimento di studi umanistici e del patrimonio culturale, Università degli studi Udine - DIUM e del Consiglio nazionale delle ricerche della Repubblica di Slovenia (ARRS) / Izdajo sta financno podprla Oddelek za humanisticne študije in kulturno dedišcino Univerze v Vidmu (DIUM) in Javna agencija za raziskovalno dejavnost Republike Slovenije (ARRS). Quest’opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. / To delo je ponujeno pod licenco Creative Commons Priznanje avtorstva-Deljenje pod enakimi pogoji 4.0 Mednarodna licenca (izjema so fotografije). / This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International license (except photographs). Casa Editrice / Založila Casa editrice della Facoltà di Lettere, Università di Lubiana / Znanstvena založba Filozofske fakultete Univerze v Ljubljani Direttore responsabile / Za založbo Mojca Schlamberger Brezar, Preside della Facoltà di Lettere / dekanja Filozofske fakultete Pubblicato da / Izdal ICCHS – Mednarodno središce za primerjalne zgodovinske raziskave Progetto grafico / Oblikovna zasnova Neva Štembergar Impaginazione / Prelom Aleš Cimpric Tipografia / Tisk Birografika Bori, Ljubljana Immagine di copertina / Slika na naslovnici Stemma della famiglia di Maffeo Vallaresso. Intaglio ligneo nel coro della cattedrale di Sant' Anastasia di Zara, ca. 1450 (foto Matej Klemencic). Lubiana, 2021 / Ljubljana, 2021 Prima edizione, 400 copie / Prva izdaja, 400 izvodov. Prezzo / Cena 45,00 EUR Prima edizione elettronica. La pubblicazione è disponibile gratuitamente in formato digitale su https://e-knjige.ff.uni-lj.si / Prva e-izdaja. Publikacija je v digitalni obliki prosto dostopna na https://e-knjige.ff.uni-lj.si DOI: 10.4312/9789610605355 Kataložna zapisa o publikaciji (CIP) pripravili v Narodni in univerzitetni knjižnici v Ljubljani Tiskana knjiga COBISS.SI-ID=78279427 ISBN 978-961-06-0536-2 E-knjiga COBISS.SI-ID=78277635 ISBN 978-961-06-0535-5(pdf) Maffeo Vallaresso EPISTOLARIO (1450-1471) E GLI ALTRI DOCUMENTI TRASMESSI DAL CODICE VATICANO BARBERINIANO LATINO 1809 edizione critica a cura di Matteo Melchiorre e Matteo Venier Ljubljana 2021 SOMMARIO Prefazione (Reinhold C. Mueller e Dušan Mlacovic) 7 Introduzione 1. Un arcivescovo umanista tra Zara, Venezia e Roma. Maffeo Vallaresso (1415-1494) e il suo epistolario (Matteo Melchiorre) 9 2. L’epistolario di Maffeo Vallaresso: ecdotica e stilistica (Matteo Venier) 75 Il codice Barberiniano latino 1809 della Biblioteca Apostolica Vaticana: nota codicologica (Marco Cursi) 143 Nota editoriale 145 L’epistolario di Maffeo Vallaresso Parte prima: lettere di Maffeo Vallaresso e di suoi corrispondenti (1450-1471) (lettere 1-275 a cura di Matteo Venier; lettere 276-499 a cura di Matteo Melchiorre) 149 Parte seconda: lettere e documenti archivistici concernenti Maffeo Vallaresso (1450-1492) (a cura di Matteo Melchiorre) 671 Parte terza: miscellanea di lettere di Fantino Vallaresso arcivescovo di Creta e di altri autori (1431-1466) (a cura di Matteo Melchiorre) 685 Appendici (1-2 a cura di Matteo Venier; 3-8 a cura di Matteo Melchiorre) 1. Le lettere di Maffeo Vallaresso nell’ordine cronologico dell’edizione critica a confronto con il numero d’ordine del ms. Vat. Barb. lat. 1809 737 2. Le lettere di Maffeo Vallaresso nell’ordine del ms. Vat. Barb. lat. 1809 a confronto con il numero d’ordine cronologico dell’edizione critica 743 3. Corrispondenti di Maffeo Vallaresso 749 4. Umanisti corrispondenti di Maffeo Vallaresso 753 5. Doctores corrispondenti di Maffeo Vallaresso 755 6. Ecclesiastici corrispondenti di Maffeo Vallaresso 757 7. Dalmati e Istriani laici corrispondenti di Maffeo Vallaresso 761 8. Patrizi e magistrati veneziani corrispondenti di Maffeo Vallaresso 763 Abbreviazioni 765 Bibliografia 765 Illustrazioni 781 Indice dei nomi 787 PREFAZIONE La presente opera di Matteo Melchiorre e Matteo Venier, con il soste­gno prima dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, poi dell’Università di Udine (DIUM), quindi dell’Università di Ljubljana, porta a conclusione un progetto di lungo termine, iniziato allorché Reinhold Mueller, nel 2005, in quel mo­mento Resident Fellow della American Academy in Rome, su invito dell’ami­co e collega Stanko Kokole, storico dell’arte dell’Università di Ljubljana, aveva preso visione, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, dell’epistolario del suo “vecchio conoscente” Maffeo Vallaresso, arcivescovo veneziano di Zara (Zadar), capitale della Dalmazia veneziana, dal 1450 al 1494. Fu in quell’occasione che si decise di far conoscere l’epistolario non solo agli storici dell’arte, che già in parte lo conoscevano attraverso la trascrizione parziale fattane alla fine dell’Ot­tocento dallo storico e archeologo Luka Jelic, ma anche agli studiosi di altre di­scipline. È poi entrato nel vivo del progetto Dušan Mlacovic, medievista dell’U­niversità di Ljubljana, che ha coinvolto la propria università nel percorso che si conclude con il lavoro che oggi, dopo lunga gestazione, vede la luce. Il primo passo del lavoro sull’epistolario di Maffeo Vallaresso, grazie a un finanziamento ottenuto da Reinhold Mueller presso il suo Dipartimento di Studi Storici dell’Università Ca’ Foscari, sfociò, tra il 2006 e il 2010, in una preliminare e ancora incompleta trascrizione del codice effettuata dal la­tinista Giacomo Dalla Pietà; lavoro che ha avuto il grande merito di rivela­re l’importanza e la complessità delle lettere dell’arcivescovo zaratino. Anche avvalendosi di questa trascrizione preliminare, Matteo Melchiorre, curato­re di edizioni di fonti storiche medievali e rinascimentali (si segnala il suo Chronicon Bellunense) e conoscitore della società ecclesiastica del secolo XV, e il filologo Matteo Venier, esperto di cultura e letteratura umanistica e rina­scimentale (rimarchevoli i suoi studi sulla tradizione di Virgilio e di Platone nel Rinascimento italiano), hanno ripreso in mano il manoscritto originale portando avanti la minuziosa opera di edizione che oggi siamo felici di poter presentare al mondo scientifico. L’epistolario di Maffeo Vallaresso, che qui si pubblica in un’attenta ve­ste critico-filologica e preceduta da due corposi saggi introduttivi dei curatori, rappresenta una fonte di straordinaria ricchezza, sia per la storia dell’umanesi­mo sia per la storia della cultura, della società e delle istituzioni ecclesiastiche rinascimentali, illuminando con la stessa intensità il mondo veneto-venezia­no, la Roma pontificia e la Dalmazia veneziana. Ringraziamo gli studiosi – e vogliamo ricordare, oltre a Giacomo Dalla Pietà, almeno Gino Belloni, italianista e rinascimentalista di Ca’ Foscari, Marco Cursi, autore della descrizione codicologica del manoscritto, Barbara Marx, Ivan Majnaric, Nikola Jakšic, Mladen Ancic e Darja Mihelic – che con i loro consigli e incoraggiamenti hanno contribuito a mandare in stampa ­l’edizione critica completa dell’epistolario e del codice di Maffeo Vallaresso che tanto ci insegna e ci insegnerà del rapporto tra Venezia e la Dalmazia nella seconda metà del Quattrocento, nel cuore del Rinascimento. Reinhold C. Mueller, Venezia, e Dušan Mlacovic, Ljubljana I UN ARCIVESCOVO UMANISTA TRA ZARA, VENEZIA E ROMA. MAFFEO VALLARESSO (1415-1494) E IL SUO EPISTOLARIO Matteo Melchiorre 1. Introduzione Vittore Branca osservò come numerose delle prime grandi serie episto­lari veneziane presentino un carattere eterogeneo che le assimila, più che ai grandi modelli dell’epistolografia classica o petrarchesca, a raccolte composite di documenti vari.11 Branca 1998, 133. Sul tema dell’epistolografia veneziana di età umanistica cfr. anche Marx 1983, 118-54. Tale caratteristica avvicina le serie epistolari veneziane al multiforme universo delle scritture di memoria storica, incentrate sull’indivi­duo o sulla famiglia, così frequenti nella città lagunare.22 Grubb 2009, XI-XXIX. Questa osservazione, in certo modo, può essere riferita al codice Barberiniano Latino 1809 della Biblioteca Apostolica Vaticana.33 Per una descrizione fisica del codice cfr. in questo stesso volume la nota codicologica di Marco Cursi. Esso consta infatti di tre distinti nuclei che raccolgono materiali diver­si. Il primo nucleo, di gran lunga il più consistente (ben 604 carte sulle 689 complessive), comprende 499 lettere scritte o ricevute dall’arcivescovo di Zara (Zadar) Maffeo Vallaresso tra il 1450 e il 1471. Esse sono disposte in un conti­nuum, senza alcun filo conduttore diverso da un rudimentale (e in gran parte non rispettato) impianto cronologico. Il secondo e più esiguo nucleo del codi­ce (appena 15 carte su 689) tiene invece assieme una silloge di 15 documenti cancellereschi riferibili all’azione vescovile di Maffeo Vallaresso e databili al periodo 1450-1479. Il terzo ed ultimo nucleo (68 carte su 689), infine, accor­pa materiali eterogenei e più antichi relativi allo zio di Maffeo Vallaresso, l’ar­civescovo di Creta Fantino Vallaresso (45 tra lettere inviate e ricevute dal me­desimo Fantino) e copie di lettere scambiate invece tra corrispondenti terzi. La vasta raccolta epistolare di Maffeo Vallaresso e gli altri annessi ma­teriali accostano insomma il codice Barberiniano Latino 1809 a un liber re­cordationum molto sui generis, nel quale la funzione memoriale è svolta dalla singola lettera o dal singolo documento anziché dall’annotazione di cronaca. Essendo il risultato di un’esigenza memorativa, individuale e in subordine familiare, il codice è in primo luogo una densissima traccia di sé lasciata da Maffeo Vallaresso. La fonte, tuttavia, si presta a ricerche e utilizzi che vanno ben al di là della ricostruzione biografica. Fa luce su questioni storiche molte­plici. Tocca aree geografiche diverse (Zara, Roma, Venezia, Ancona, Padova, Dalmazia…). Chiama in causa oltre un centinaio di individui, noti e meno noti, i cui nomi si legano in vario modo alla storia del Rinascimento.44 Qualche cenno all’epistolario di Vallaresso in Marx 1983, 134-136. L’arco cronologico (1450-1471) coperto dall’Epistolario di Maffeo Vallaresso peraltro fu un periodo cruciale per la storia dell’Europa e del Mediterraneo e le lettere dell’arcivescovo di Zara ne conservano tracce più o meno nitide. Per quanto riguarda l’Italia furono gli anni della difficile stabi­lizzazione geopolitica della Penisola culminata nella Pace di Lodi del 1454 e nei successivi aggiustamenti diplomatici che perfezionarono l’equilibrio fra gli stati: la legittimazione del potere di Francesco Sforza su Milano; il domi­nio veneziano sulla Terraferma veneta e sulla Lombardia orientale; la piena maturazione dello Stato della Chiesa quale compagine politica a suo modo “monarchica”; il consolidamento della signoria medicea in Firenze; gli asse­stamenti dinastici aragonesi nel Regno di Napoli e in Sicilia. Naturalmente, poi, l’Epistolario di Vallaresso garantisce una visione as­sai articolata di quanto accadeva nella Curia pontificia, durante il succedersi sul trono papale di pontefici dello spessore di Niccolò V, Pio II e Paolo II. Chiari e distinti nelle lettere dell’arcivescovo di Zara, a questo proposito, sono gli echi di altri due rilevantissimi momenti nella storia del Quattrocento: la dieta di Mantova del 1459 e il grandioso ma fallimentare progetto della cro­ciata antiturca indetta da papa di Pio II nel 1464. Proprio questo anacronistico risveglio crociato orienta lo sguardo del­lo storico ad altri e straordinari avvicendamenti del periodo; primo fra tut­ti, nel maggio 1453, la caduta di Costantinopoli, conquistata e saccheggiata dai Turchi di Maometto II, che pose fine alla storia millenaria dell’Impero Romano d’Oriente. Le lettere di Vallaresso, in altre parole, sono contem­poranee al panico scatenato in Occidente dall’avanzata inarrestabile degli Ottomani e al tracollo di importanti “basi” cristiane poste sui litorali dell’A­driatico orientale, dell’Egeo e del Mar Nero: Trebisonda, caduta, nel 1461 in mano ai Turchi, così come la colonia veneziana di Negroponte nel 1470. Mentre l’ondata Turca avanzava sui litorali, e mentre Maffeo Vallaresso scriveva le proprie lettere umanistiche, eventi non meno decisivi avvenivano nell’Europa centro-orientale: l’incoronazione imperiale di Federico III d’Asbur­go nel 1452 e la sua “intromissione” nei giochi dinastici del regno d’Ungheria; l’ascesa di Stefano il Grande in Moldavia nel 1457; la salita al trono di Mattia Corvino, in Ungheria, nel 1458. Avvicendamenti dinastici, tutti questi, che comportarono scontri militari e frizioni diplomatiche, un diffuso dinamismo politico e un clima di instabilità generale in tutta quell’area del continente. Anche i Balcani, infine, vissero nei decenni 1450-1470 mutamenti traumatici ed epocali proprio negli anni di Valaresso: il despotato di Serbia cadde nel 1459, il regno di Bosnia di Stefano Tomaševic si arrese ai Turchi nel 1463 e l’Albania vanamente difesa da Giorgio Castriota fu infine assog­gettata dai Turchi nel 1468. Nello spazio di alcune pagine non è dunque possibile addentrarsi nel dettaglio di questo ricco “Epistolario” e delle molte vicende di cui Maffeo Vallaresso dà sporadicamente conto nelle proprie lettere. Ci soffermeremo, invece, sulla figura che sta al centro del Barberiniano Latino 1809, vale a dire l’ecclesiastico veneziano Maffeo Vallaresso, cercando di tracciarne un profilo biografico esaustivo in attesa che altri studiosi si dedichino a più circostanzia­te analisi. 2. Il primogenito di un casato patrizio La documentazione archivistica sinora reperita non conserva indicazio­ni esplicite circa la data di nascita di Maffeo Vallaresso. Tre indizi, tuttavia, consentono di ipotizzarla con buona precisione: 1) il titolo dottorale in diritto canonico conseguito da Vallaresso nel 1445 suggerisce che egli non dovette nascere dopo il 1420;55 Uno studente, infatti, concludeva il proprio percorso di studi giuridici intorno ai 25/28 anni, come suggerito dal cursus studiorum regolare e da alcuni casi coevi meglio noti. Intendiamoci con degli esempi concreti. Il padovano Antonio Capodilista nacque nel 1420 e si addottorò nel 1445, a 25 anni (Melchiorre 20111, 101); Polidoro Foscari (predecessore di Maffeo Vallaresso nell’arcivescovado di Zara) nacque nel 1410 e si addottorò nel 1436, a 26 anni (Del Torre 19973); l’umanista Ermolao Barbaro, nato nel 1410, si addottorò nel 1435, all’età di 25 anni (King 19891, 460); il veneziano Barbone Morosini nacque nel 1414 e si addottorò nel 1442, all’età di 28 anni, esattamente come l’u­manista Zaccaria Trevisan il Giovane nato nel 1414 e addottoratosi nel 1442 (King 19891, 600, 647, 650). Per il dottorato di Maffeo Valleresso, cfr. infra, par. 7. 2) un trattato grammaticale trascritto da Vallaresso nel 1432 ha indotto Arnaldo Segarizzi a stimare la data di nascita del medesimo Vallaresso al 1415;66 Segarizzi 1915-1916, 90; King 19891, 654. 3) Giorgio Vallaresso e Maddalena Loredan, i genitori di Maffeo, si sposarono nel 1415 e Maffeo fu il loro figlio primogenito.77 ASVE, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 106, Cronaca di matrimoni, I, c. 141v. Alla luce di questi elementi, in breve, la data di nascita di Maffeo Vallaresso va col­locata non dopo il 1420, non prima del 1415 e, assai plausibilmente, proprio nel 1415. Battezzato con il nome di uno zio morto prematuramente,88 Il padre del nostro Maffeo iunior, Giorgio, nel 1425, si fece carico di presentare alla Balla d’oro il diciottenne nipote Vittore, orfano del fratello Maffeo senior (ASVE, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 161-I, c. 141r). Maffeo Vallaresso nacque all’interno di un’antica famiglia del patriziato veneziano che all’inizio del Quattrocento era già andata parecchio ramificandosi.99 Cooptati nel Maggior Consiglio al tempo della Serrata, nel 1297, i Vallaresso si erano costituiti in tre rami familiari a inizio XV secolo divenuti poi sette nel 1450 (cfr. Gullino 1996, 401). Ne seguiremo qui unicamente il ramo che trasse origine dal nonno di Maffeo, Vittore Vallaresso, il quale era stato tra gli elettori dogali nel 1382,1010 ASVE, Maggior Consiglio, Novella, cc. 418r, 419r. Qui come altrove in questo saggio la ri­costruzione delle carriere politiche ha beneficiato dello straordinario database curato da Kohl-Mozzato-O’Connell; si riprendono tuttavia, in questa e nelle prossime note, i rimandi alle fonti archivistiche, allo scopo di agevolare gli studiosi interessati a seguire le tracce dei Vallaresso in seno alle magistrature veneziane. senatore nel 1385,1111 ASVE, Segretario alle Voci, reg. 3, c. 40v. membro del Consiglio dei Dieci nel 1387,1212 Ibidem, c. 46r. consigliere ducale nel 13961313 ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 8, c. 29v. e ancora elettore dogale nel 1400.1414 ASVE, Maggior Consiglio, Leona, c. 112r. Vittore Vallaresso ebbe cinque figli maschi. Se uno di essi, Maffeo Vallaresso senior, morì in età non troppo avanzata tra il 1407 e il 1415,1515 ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 8, c. 74v. e se un secondo, Fantino (1393-1443), intraprese la carriera ecclesiastica e fu arcivescovo di Creta (su di lui si tornerà ampiamente in seguito),1616 Cfr. infra, par. 3. i restanti tre figli di Vittore vissero ottime carriere nelle magistrature della Repubblica veneziana. Paolo ebbe un percorso politico relativamente bre­ve (si svolse tutto fra il 1430 e il 1443) ma caratterizzato da incarichi di peso nel Dominio da Mar (ad esempio console di Alessandria nel 1443) e nella capitale (ad esempio Consiglio dei Dieci nel 1441).1717 ASVE, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 163-II, c. 405v; Segretario alle voci, reg. 4, cc. 40v, 64r, 84v, 99r, 102v, 106r, 107v. Zaccaria (n. 1394)1818 ASVE, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 162-I, c. 141r. dagli anni Trenta agli anni Sessanta del Quattrocento ricoprì cari­che di governo rilevanti, sia nella capitale che nel Dominio di Terraferma, e svolse delicate incombenze diplomatiche.1919 Per il cursus honorum di Zaccaria Vallaresso cfr. ASVE, Segretario alle voci, reg. 4, cc. 97r (sena­tore, 1438); 22v (Patrono all’Arsenal, 1439); 86r (bailo di Cipro, 1439); 107v (senatore, 1442); 110v Analoga e contemporanea, ma caratterizzata, rispetto a quella di Zaccaria, da più numerosi incarichi marittimi e nel Dominio da Mar, fu infine la carriera dell’ultimo tra i fi­gli di Vittore Vallaresso, vale a dire Giorgio, il padre del nostro Maffeo (iunior). Residente a Venezia nel confino di S. Procolo,201447); 145r (Savio di Terraferma); 155r (Provveditore alle biade, 1449); 128v (senatore, 1450); 145v (Savio di Terraferma, 1450); 89v (podestà di Bergamo, 1450); 146r (Savio di Consiglio, 1451); 30v (Provveditore sopra Camere, 1452); 93r (Consigliere dogale); 146v (Savio di Consiglio, 1452); 57v (capitano di Padova, 1453); 139r (Consiglio dei Dieci, 1454). Zaccaria Vallaresso fu quindi podestà di Brescia nel 1457/58 (Podesteria e Capitanato di Brescia, 1978, LI) e capitano di Verona nel 1460 (Podesteria e Capitanato di Verona, 1977, LXXXI). Il suo più importante incarico diplomatico fu quello di ambasciatore veneziano a Napoli nel 1451 (cfr. infra, par. 8).(Consiglio dei Dieci, 1443); 75r (castellano di Modone, 1444); 117v (senatore, 1446); 120r (senatore, Giorgio di Vittore Vallaresso svolse il primo incarico pubblico di una certa responsabilità nel Dominio da Mar, quando venne designato, nel 1436, comes (i.e. rettore) nel­la città di Traù (Trogir). In seguito, nel 1439, egli servì per mare come ca­pitano delle galee di Beirut e quindi, nel 1440, entrò a far parte del Senato. Nell’anno successivo (1441) egli ebbe il primo incarico in Terraferma (po­destà e capitano di Feltre) e quindi, rientrato a Venezia, tornò a far parte del Senato (1442), per proseguire quindi come capitano delle galee di Fiandra (1443), Provveditore alle Biade (1444) e conte di Sebenico (Šibenik) nel Dominio da Mar (1445).2120 ASVE, Cancelleria Inferiore, Testamenti, Notai diversi, b. 26, n. 2240. La carriera politica di Giorgio Vallaresso raggiunse il proprio apice dopo che egli rientrò dall’incarico di capitano delle galee del Golfo (1448). Nel 1449-50, infatti, egli detenne una podesteria importante come quella di Vicenza e quindi, al ritorno a Venezia, nello stesso 1450, entrò a far par­te del più importante organo di governo della Repubblica, il Consiglio dei Dieci. Divenuto stabilmente uno degli uomini di governo di primo piano nella Venezia del tempo, Giorgio Vallaresso fu ancora in Senato nel 1452, Patrono all’Arsenal nel 1454 e tra gli elettori dogali due volte di seguito, prima nel 1457 e quindi nel 1462. Piuttosto inusuale, nella carriera di un uomo politico veneziano del suo calibro, fu la nomina nel 1459 a conte di Zara; normalmente, infatti, le magistrature nel Dominio da Mar veniva­no conferite a quanti stessero muovendo i primi passi nel cursus honorum. Dovremo osservare, tuttavia, che il figlio di Giorgio Vallaresso, Maffeo, nel frattempo era divenuto arcivescovo proprio a Zara.2221 Nell’ordine in cui si trovano nel testo, per gli incarichi politici di Giorgio Vallaresso citati in que­sto capoverso cfr. Epist., II, 40; ASVE, Segretario alle Voci, reg. 4, cc. 82v, 102r, 56r, 108v, 82v, 155r, 70v. Fu questo uno degli ultimi incarichi pubblici di Giorgio Vallaresso, che morì non molto dopo aver dettato il proprio testamento, recante la data del 18 dicembre 1466.2322 Nell’ordine del testo, cfr. ASVE, Segretario alle Voci, reg. 4, cc. 81v, 60v, 124v, 134v, 22v; reg. 5, c. 19v. Per il ruolo di Giorgio Vallaresso nelle elezioni dogali del 1457 e 1462 si veda rispettivamente, ASVE, Maggior Consiglio, Regina, reg. 23, cc. 17r, 40r. Combinando le carriere del padre di Maffeo Vallaresso, Giorgio, e dei suoi due fratelli Paolo e Zaccaria, si constata come nei decenni centrali del XV secolo essi riuscirono ad avere continuativamente incarichi di governo nelle magistrature della Repubblica. Secondo una logica di turnazione trop­po regolare per essere frutto esclusivo del caso, per 26 anni su 33, nel perio­do dal 1430 al 1462, i tre fratelli occuparono magistrature nella capitale, nel Dominio da Terra e in quello da Mar. Se consideriamo invece soltanto le cariche rivestite all’interno delle magistrature maggiori del governo centrale, nel periodo 1438-1455 Zaccaria e Giorgio Vallaresso (Paolo uscì dalla scena politica verso il 1443) riuscirono a posizionarsi nel Senato, nel Consiglio dei Dieci o nel Collegio per 16 anni su 18.2423 ASVE, Cancelleria Inferiore, Testamenti, Notai diversi, b. 26, n. 2240. Maffeo Vallaresso, perciò, nacque e crebbe all’interno di una famiglia patrizia nel pieno del proprio successo politico. Non diverso, d’altra parte, era il profilo della famiglia di Maffeo sul versante materno. Giorgio Vallaresso, infatti, si era sposato nel 1415 con Maddalena di Giovanni Loredan,2524 Desumo questi numeri dalle cariche dettagliatamente illustrate supra. appar­tenente a una stirpe del patriziato veneziano tradizionalmente legata agli in­teressi marittimi della Repubblica e sorella del più noto Alvise Loredan, non solo personaggio di spicco del mondo politico veneziano nella prima metà del secolo XV ma anche, e soprattutto, apprezzato capitano della flotta militare veneziana (fu per quattro volte Capitano generale da Mar).2625 ASVE, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 163-II, c. 405v; ibidem, reg. 106, Cronaca di matri­moni, I, c. 141v. Dal matrimonio tra Giorgio Vallaresso e Maddalena Loredan nacque­ro cinque figli e almeno una figlia. Con tutta probabilità Maffeo Vallaresso (n. 1415-1420) fu il primogenito. Seguirono Giacomo (n. 1421),2726 Gullino 2005, ad vocem. Marco (n. 1426),2827 ASVE, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 163-II, c. 405v. Luca e Giovanni2928 Ibidem. e infine una figlia, della quale non sappiamo il nome.3029 Ignoriamo le date di nascita dei due figli più giovani di Giorgio Vallaresso; su di essi e sulla loro carriera politica si tornerà infra (cfr. par. 16). Dal punto di vista delle strategie familiari, Giorgio Vallaresso non si comportò diversamente da suo padre Vittore. Destinò un figlio, Maffeo, alla carriera ecclesiastica e avviò gli altri alla vita pubblica nelle magistrature del governo veneziano. Richiese un aggiustamento di questa strategia la tar­diva “vocazione” del secondogenito Giacomo. Quest’ultimo, infatti, ammesso al Maggior Consiglio nel 1439,3130 Epist., 331. iniziò la carriera nelle magistrature nel 1447 (come membro della Quarantia)3231 ASVE, Avogaria di Comun, Balla d’oro, reg. 163-II, c. 405v. ma nel 1455 optò per seguire le orme del fra­tello Maffeo e intraprese una carriera ecclesiastica che lo portò a diventare prima curiale pontificio e infine, nel 1482, in età invero piuttosto avanzata, vescovo di Capodistria (Koper), dignità che detenne fino alla morte, avvenuta nel 1503.3332 ASVE, Segretario alle Voci, reg. 4, c. 118v. I figli di Giorgio Vallaresso rimasti nel secolo contrassero matrimoni in seno al patriziato. Marco, a dire il vero, prima (1458) si sposò con la figlia di un cittadino, Giovanni Romanello, e quindi (1461) con la patrizia Cristina di Paolo Donà.3433 Epist., 400, 168, 440, 347, 404, 415, 430, 472; Del Torre 2010, 122; Eubel 1914, 169; ASVE, Senato Mar, reg. 11, c. 160v. Luca si sposò invece nel 1465 con una figlia di Giovanni q. Francesco Giustinian e due anni dopo, nel 1467, in seconde nozze, con una figlia di Marco Querini.3534 ASVE, Avogaria di Comun, reg. 106, Cronaca di matrimoni, I, c. 141v. Giovanni Vallaresso, quindi, dopo essere uscito “pulito” nel 1454 da una controversia matrimoniale con la giovane mona­ca, di famiglia patrizia, Polissena Caotorta, la quale sosteneva che Giovanni Vallaresso l’aveva sposata,3635 Ibidem. ebbe in moglie nel 1468 una sorella di quella Cristina di Paolo Donà che era già andata in sposa a Marco Vallaresso.3736 ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Actorum, mandatorum, praeceptorum, 16, alle date 10.07.1454, 30.08.1454. L’anonima figlia di Giovanni Vallaresso, infine, si sposò nel 1459 con Nicolò da Canal, un «nobilis iuvenis» veneziano.3837 ASVE, Avogaria di Comun, reg. 106, Cronaca di matrimoni, I, c. 141v. 3. Un canonico bambino (con uno zio sullo sfondo) Maffeo Vallaresso venne avviato alla carriera ecclesiastica assai precoce­mente. Nel 1425, infatti, dunque al massimo all’età di dieci anni, egli era già stato eletto canonico nella cattedrale di Treviso, nel canonicato resosi vacante per la morte del veneziano Biagio de Cacuis. Non era comunque un beneficio così ricco, in confronto ad altre ben più pingui prebende canonicali, in quan­to rendeva ogni anno appena 40 fiorini.3938 Epist., 331. All’interno delle dinamiche del mercato dei benefici ecclesiastici del pri­mo Quattrocento veneto il conferimento di un canonicato a un ragazzino di famiglia patrizia non deve stupire: il patriziato lagunare, infatti, con l’appoggio politico delle strutture di governo che ne erano l’espressione, dopo la conqui­sta della Terraferma da parte della Repubblica riuscì a garantirsi un controllo serrato sulle nomine canonicali nelle città suddite; e fra i patrizi veneziani che ottennero canonicati in Terraferma, molti erano appunto giovani o giovanis­simi.4039 ASVAT, Camera Apostolica, Annatae, reg. 2, c. 101v. Si noti che nella cattedrale di Treviso fino a un decennio prima aveva posseduto una prebenda canonicale un altro Vallaresso, Donato, morto nel 1412 (cfr. Pesce 1987, II, 5). L’avvio precoce alla carriera ecclesiastica e il conseguimento di un be­neficio canonicale in età infantile da parte di Maffeo Vallaresso rientrano pie­namente, perciò, nel quadro della politica ecclesiastica del governo veneziano e nelle strategie di affermazione delle famiglie patrizie all’inizio del secolo XV. Affinché una nomina beneficiaria andasse ad effetto tornavano però uti­lissimi, oltre al supporto politico e familiare, i sostegni di soggetti, più o meno influenti, già inseriti negli ambienti ecclesiastici e facenti da tramite tra il pote­re politico e le famiglie patrizie da un lato e le chiese locali e la Curia pontificia dall’altro. Nel caso di Maffeo Vallaresso l’identificazione di questi sostegni non è difficile. Ad accompagnare i suoi primi passi nel mondo della chiesa, infatti, fu indubbiamente lo zio Fantino Vallaresso, a quel tempo vescovo di Parenzo (Porec) e già a proprio agio negli ambienti curiali. Non pare affatto casuale, a questo proposito, che il 24 ottobre 1425 fu proprio Fantino Vallaresso a pro­mettere di pagare alla Camera apostolica, a nome del giovanissimo nipote, l’an­nata dovuta da Maffeo per il possesso del suo canonicato trevigiano.4140 Nella cattedrale di Padova, ad esempio, nel medesimo periodo, questo fenomeno è largamente testimoniato (cfr. Melchiorre 2014, 74-75). Fantino Vallaresso, studente in Arti presso l’Università di Padova dal 14124241 ASVAT, Camera Apostolica, Annatae, reg. 2, f. 101v. e chie­rico della diocesi veneziana di Castello, venne eletto vescovo di Parenzo nel 1415, previo ri­lascio di una dispensa per difetto d’età da parte di papa Giovanni XXIII. La nomina rimase tuttavia priva di effetto sino alla fine del 1417, quando venne definitivamente confermata da papa Martino V.4342 Zonta-Brotto 1970, n. 234. Fantino Vallaresso, che non pare abbia fatto residenza nell’episcopato di Parenzo, trascorse il biennio 1417-1419 nella città di Padova, forse per completare quegli studi giuridici che egli risulta aver ormai sicuramente concluso nel 1423.4443 Eubel 1898, 216. Nel frattempo e in seguito egli tentò di migliorare la propria posizione (le rendite vescovili di Parenzo assomma­vano infatti ad appena 80-100 fiorini). Nel 1418 concorse senza successo per il vescovado la­gunare di Torcello (dopo che vi era stato eletto dal locale capitolo).4544 La sua prolungata presenza a Padova, dove prese parte a 27 cerimonie di conferimento di titoli dottorali, si evince da Acta graduum 1406-1450, nn. 401, 403, 404, 407, 426, 452, 457, 458, 461, 462, 467, 468, 470, 471, 472, 478, 492, 493, 494, 495, 497, 502, 510, 512, 514, 515, 516. Benché negli atti dell’università patavina non vi siano tracce del suo dottorato, Fantino Vallaresso nel 1423 è indicato come decretorum doctor (cfr. Cenci 1968, 373). Nel 1420, sempre senza esito, partecipò alla proba per l’arcivescovado di Zara.4645 Cenci 1968, 367. Nel giugno 1423, infine, egli venne designato dal Senato veneziano come vescovo di Traù ma inutilmente, poiché il papa aveva già destinato a quella sede, da circa un mese, Marino Cernotta di Arbe (Rab).4746 Ibidem, 370. Anche la più insignificante delle nomine canonicali, dicevamo, era il risultato di trattative e negoziazioni complesse che solo di rado è possibile ricostruire pienamente. Vi sono elementi, tuttavia, che suggeriscono di sup­porre che il canonicato di Treviso assegnato nel 1425 a Maffeo Vallaresso sia maturato in appendice a più importanti negoziazioni intercorse tra il governo veneziano e la Curia papale di Martino V che si risolsero infine con quel pro­gresso di carriera cui lo zio di Maffeo, Fantino Vallaresso, ambiva da tempo. Proprio nel 1425, infatti, l’attenzione del governo veneziano si era rivolta alla chiesa arcivescovile di Candia (nell’isola di Creta), nella quale, dal 1415, era insediato l’ecclesiasti­co veneziano Pietro Donà, uno degli ecclesiastici più prestigiosi della stagione scismatica.4847 Ibidem, 373; Eubel 1898, 490; su Marino Cernotta cfr. Farlati 1769, 399-400. Il prolungato assenteismo di Pietro Donà dall’arcivescovado di Creta, dovuta ai continui incarichi diplomatici e politico-militari affidatagli dalla Curia papale, risultò inopportuno al Senato veneziano che nel novembre 1424 decise di chiedere al pontefice di prendere in considerazione lo stato di abbandono in cui versava la chiesa cretese a causa dell’assenza dell’arcivescovo Donà e di consentire alla Repubblica di proporre perciò un nuovo pasto­re.4948 Eubel 1898, 216; Sambin 1959; Menniti Ippolito 1991; Girgensohn 1995, 806. Alcuni mesi dopo, nel maggio 1425, il Senato tornò sulla questione dando dettagliate istruzioni ai propri ambasciatori a Roma. Quest’ultimi avrebbero dovuto perorare dinnanzi al papa l’opportunità di promuovere Pietro Donà, assenteista a Creta ma uomo di fiducia sia di Venezia che della Curia romana, a cardinale. Per convincere il pontefice, il Senato voleva che gli ambasciatori chiarissero come l’assenza dell’arcivescovo avesse fatto cadere la chiesa cretese nell’anarchia e, peggio, come ciò avesse consentito agli scismatici di trovare consen­si sempre più numerosi. Il Senato veneziano chiedeva, perciò, o che Pietro Donà ottenesse un disimpegno dagli incarichi curiali per poter rientrare a Creta o che egli venisse nominato cardinale di modo che l’arcivescovado di Creta si liberasse e potesse esservi destinato un altro pastore che garantisse di risiedere nell’isola.5049 ASVE, Senato, Misti, reg. 55, c. 68r. Trascorsi sei mesi si giunse al compromesso. Pietro Donà non venne nominato cardinale, ma il 5 dicembre 1425 fu trasferito da Creta alla chiesa episcopale di Venezia (Castello).5150 ASVE, Senato, Secreti, reg. 9, c. 16r. Lo stesso 5 dicembre 1425, a ruota, papa Martino V nominò il nuovo arcivescovo di Creta: Fantino Vallaresso.5251 Eubel 1898, 171. Si osservi, in conclusione, come sia stato esattamente nella seconda metà del 1425, durante le trattative che portarono al trasferimento a Creta di Fantino Vallaresso, che al nipote di quest’ultimo, Maffeo, venne assegnata la prebenda canonicale di Treviso. Pare dunque assai probabile, in altre parole, che la precoce nomina di Maffeo Vallaresso a canonico di Treviso sia fiorita, come materia di scarso e irrilevante peso stanti le maiores quaestiones sul ta­volo, grazie alla mediazione dello zio Fantino Vallaresso, sul filo delle tratta­tive intavolate tra Venezia e il papato intorno alla querelle dell’arcivescovado di Creta e ai maneggi per la (fallita) promozione cardinalizia di Pietro Donà. 4. I primi studi di un giovane e promettente umanista Da bambino e da ragazzo, naturalmente, Maffeo Vallaresso non fece residenza nella cattedrale di Treviso né prese parte alle assemblee del capi­tolo. Neppure l’amministrazione del canonicato fu cosa che lo riguardasse. I suoi affari prebendari erano curati da un procuratore, prete Pietro Pogneteri. Quest’ultimo, ad esempio, il 23 settembre 1426 versò 20 ducati alla Camera apostolica come quota residua dell’annata del canonicato di Maffeo5352 Ibidem, 390. e più tardi, nel 1430, ottenne dal capitolo di Treviso di poter affittare alcuni beni posti a Preganziol, a sud di Treviso, facenti parte della prebenda goduta dal giovane veneziano.5453 ASVAT, Camera Apostolica, Introitus et Exitus, reg. 385, c. 2r. Maffeo Vallaresso si presentò personalmente al capitolo di Treviso solo il 20 giugno 1432, allo scopo di impegnarsi di fronte ai confratelli a effettuare residenza in cattedrale per un anno continuo.5554 BCTV, ms. 741/G (32), c. 19v. L’affittuario fu Pietro q. Venzio da Preganziol. Prese in affitto due mansi per cinque anni in cambio di un censo in natura annua: 24 staia di frumento, un paio di polli, un’anatra, due spalle di porco, due galline, una gallina con 25 uova. Egli non intendeva tanto de­dicarsi alla vita religiosa della cattedrale quanto poter riscuotere integralmente le proprie rendite beneficiarie secondo quanto stabilito dagli statuti della cat­tedrale trevigiana appena riformati nello stesso 1432 per iniziativa contra­statissima del vescovo Giovanni Benedetto, domenicano di famiglia patrizia veneziana.5655 BCTV, ms. 742 (33), c. 16v. Le condizioni imposte dagli statuti per il pieno godimento dei diritti canonicali, infatti, richiedevano al canonico di aver fatto almeno un anno di continua residenza in cattedrale e di essere iscritto nella lista delle distribuzioni (di denaro e beni in natura) spettanti agli ecclesiastici residenti. Affinché queste condizioni fossero realizzabili, tuttavia, il canonico doveva aver compiuto 18 anni.5756 BCTV, ms. I.198 (38), Statuta ecclesiae cathedralis, rubriche nn. 29 (cc. 7v-8r), 30 (c. 83), 33-36 (cc. 8v-10r), 42 (c. 11r). Sulla riforma degli statuti del duomo cfr. Pesce 1987, I, 251-256. Proprio nel 1432, quando si presentò al capitolo di Treviso, Maffeo Vallaresso (nato nel 1415) era insomma a un passo dal com­piere i richiesti 18 anni: ciò lo poneva nelle condizioni da un lato di poter ac­cedere alle retribuzioni aggiuntive spettanti ai canonici residenti e dall’altro, una volta fatta residenza continuata per un anno, di percepire integralmente le rendite della propria prebenda, delle quali avrebbe altrimenti potuto incas­sare soltanto i 2/3.5857 Se nel caso di altri capitoli veneti la soglia dei 18 anni per accedere alle distribuzioni di residenza era esplicitamente dichiarata negli statuti (cfr. ad esempio Melchiorre 2014, 132), nel caso del capi­tolo di Treviso ciò si desume per via indiretta. Secondo i riformati statuti trevigiani, infatti, potevano partecipare alle distribuzioni residenziali solo i canonici che, oltre ovviamente a effettuare residenza, erano ordinati perlomeno suddiaconi (cfr. BCTV, ms. I.198 (38), Statuta ecclesiae cathedralis, c. 8r) e l’ordinazione suddiaconale, nel primo Quattrocento, era generalmente concessa solo a quanti avessero compiuto 18 anni (fu il Concilio di Trento a innalzare la soglia d’età a 21 anni). Nel giugno 1432, dunque, Maffeo Vallaresso giunse a Treviso con in­tenzioni più materiali che spirituali. Il 20 luglio 1432 egli prese parte, con diritto di voce, a un’assemblea del capitolo trevigiano, benché il diritto di avere la parola durante la riunione capitolare spettasse, stando alla lettera dei riformati statuti capitolari, soltanto ai canonici ordinati nel suddiaconato,5958 BCTV, ms. I.198 (38), Statuta ecclesiae cathedralis, c. 8r. mentre Vallaresso era unicamente ordinato negli ordini minori (e «in mino­ribus constitutus» egli sarebbe stato ancora nel 1435 e nel 1439).6059 BCTV, ms. 742 (33), c. 16v; ms. I.198 (38), Statuta ecclesiae cathedralis, c. 8r. La per­sonale permanenza di Vallaresso nella cattedrale trevigiana, a ogni modo, non durò molto a lungo. Egli, infatti, non compì l’anno filato di residenza e il 23 settembre lasciò Treviso per tornarsene, con licenza del capitolo, a Venezia.6160 Pesce 1969, 86. In quell’autunno del 1432, dopo che lasciò Treviso e tornò a Venezia, Maffeo Vallaresso si dedicò a studi grammaticali. Proprio nell’ottobre 1432, infatti, egli terminò la trascrizione di una grammatica latina che Arnaldo Segarizzi, nel 1916, ritenne non tanto trascritta bensì composta dal giova­ne Vallaresso, adducendo a sostegno della propria tesi il fatto che le regole grammaticali contenute nel codicetto sarebbero una rielaborazione originale da un prototipo guariniano e il fatto che il giovane Vallaresso intese appor­vi il proprio nome («Iste regule sunt mei Mafei Valaresso domini Georgii de contrata Sancti Proculi confessoris. Deo gracias. Amen. Fate de otubrio MCCCCXXXII Venetiis») nonché lo stemma dei Vallaresso e un proprio autoritratto giovanile a penna.6261 BCTV, ms. 742 (33), c. 16v. Più recenti studi, tuttavia, sostengono che il codicetto non sia una composizione originale dovuta al giovane Maffeo, ma la semplice copia di un trattatello di autore anonimo, dal titolo Regulae gramma­ticales e costruito sul modello delle grammatiche elaborate dal noto maestro-umanista Guarino Veronese, che Maffeo Vallaresso si limitò a trascrivere per servirsene nello studio.6362 Segarizzi 1915-1916, 90-91. Il manoscritto delle Regulae, con la nota di possesso apposta sul colophon da Maffeo Vallaresso, si conserva c/o BMCVE, ms. Cicogna, 59. Individuando opportunamente la derivazione da modelli guarinia­ni del trattato di grammatica copiato da Maffeo Vallaresso nell’ottobre 1432, Margaret King, interpretando erroneamente Segarizzi, sostenne che il giovane ecclesiastico veneziano fosse allievo di Guarino da Verona.6463 L’interpretazione di Segarizzi 1915-1916 è stata confutata da Black 2001, 129 n. A questo propo­sito dobbiamo escludere che Maffeo, nato nel 1415, abbia potuto frequentare la scuola di Guarino nel periodo in cui quest’ultimo fu attivo a Venezia, fra il 1414 e 1419.6564 La tesi è sostenuta in King 19891, 656 e in King 19892, 32. Al limite (ma restando nel campo delle pure ipotesi) si dovrebbe supporre che Maffeo Vallaresso, in età adolescenziale, si sia trasferito a Verona, dove Guarino tenne scuola dal 1419 al 1429.6665 Pistilli 2003. È vero che a Verona, alla scuola di Guarino, vi furono allievi provenienti da famiglie del patriziato veneziano, tra i quali Ermolao Barbaro, all’incirca coetaneo di Maffeo Vallaresso e, soprat­tutto, in corrispondenza con quest’ultimo.6766 Ibidem. Di fatto, però, non abbiamo alcun documento certificante che Maffeo sia stato allievo di Guarino. Non si discute, a ogni modo, che Maffeo Vallaresso abbia ricevuto una formazione di tipo umanistico. A meno di un suo ipotetico soggiorno veronese presso Guarino, egli dovette studiare muovendosi in quel peculiare sistema formativo veneziano di inizio Quattrocento, nel quale l’educazione primaria alle lettere era questione di precettori personali o di accordi privati stipulati tra maestri e famiglie patrizie.6867 Bigi 1964. Le lettere di Vallaresso a Ermolao Barbaro si leggono ai ni 113, 118, 128, 380, 479. L’impegno del giovane Vallaresso negli studi di umanità nei primi anni Trenta del Quattrocento, testimoniata dalle Regulae grammaticales del 1432, esce ulteriormente confermata da un breve destinatogli nel 1435 dal papa vene­ziano Eugenio IV, a quel tempo dimorante a Firenze, in risposta a una supplica in precedenza inoltratagli dallo stesso Maffeo. Il papa dichiarò di essere stato informato da persone «fidedigne» circa le benemerenze del giovane Vallaresso, del quale conosceva la nobiltà di stirpe («nobilitas generis»), l’onestà dello stile di vita e dei costumi («vitae ac morum honestas»), la probità e le virtù («lauda­bilia probitatis ac virtutum merita»). Per queste ragioni, Eugenio IV rispose con favore alle richieste di Maffeo e gli concedette, per tre anni, di potersi assentare dalla cattedrale di Treviso, di avere una deroga dall’obbligo di residenza e, no­nostante gli statuti contrari del capitolo trevigiano, di percepire ugualmente le rendite canonicali. Tale favore venne prestato dal pontefice a Maffeo Vallaresso affinché egli potesse persistere nello studio delle lettere, sia continuando a farlo a Venezia, dove si trovavano, scrisse il papa, molti «nobiles doctores et magistri» che insegnano le discipline delle arti, sia altrove, laddove esistesse uno Studio.6968 Sul sistema scolastico veneziano cfr. Bertanza-Dalla Santa 1993; Pastore Stocchi 1980, 102-103; Ortalli 1993. Questo breve pontificio se da un lato conferma la dedizione con cui l’ormai ventenne Maffeo Vallaresso intendeva continuare lo studio delle let­tere, dall’altro consente di identificare un paio di snodi sui quali è opportu­no ragionare. Il primo di essi è suggerito dal riferimento a quelle non meglio indicate «fidedigne persone» che offrirono garanzia, di fronte a papa Eugenio IV, circa i meriti del giovane canonico trevigiano. Chi erano queste persone «degne di fiducia»? Nel 1435 la Curia papale era un ambiente in cui era notevole la presenza veneziana. L’ascesa alla tiara del cardinale Gabriele Condulmer con il nome di Eugenio IV, nel 1431, aveva infatti comportato l’ingresso a corte e negli uffici di curia di un numero consisten­te di ecclesiastici veneti e veneziani.7069 BCTV, ms. 742 (33), c. 3v (numerazione ex fine codicis). Una volta che si scenda a indagare i profili familia­ri e ­clientelari dei curiali pontifici di provenienza veneziana presenti nella Curia di papa Condulmer (cardinali e consiglieri, ufficiali e scriptores, familiares e commensales) si noterà come essi risultino quasi sistematicamente ascrivibili alla “dinastia ecclesiastica” Correr-Condulmer-Barbo. Queste tre famiglie papaliste erano legate tra loro da parentele e reti clientelari. Nel corso del XV secolo uscirono da esse qualcosa come tre papi (Gregorio XII, Eugenio IV e Paolo II), 6 cardinali, almeno 10 vescovi e un numero incalcolabile di eccle­siastici titolari di benefici minori. Va dunque osservato, in primo luogo, che il pontificato di Eugenio IV (1431-1447) per gli ecclesiastici e gli aspiranti ecclesiastici veneziani fu una stagione particolarmente propizia, della quale, va da sé, anche Maffeo Vallaresso si trovò a beneficiare.7170 Ometto qui una completa rassegna bibliografica sul papa veneziano, e mi permetto di rinviare a Melchiorre 20112. Nella corte assai veneziana di Eugenio IV, e in una posizione peraltro di grande influenza e prestigio, v’era la persona che più e meglio di ogni altra poteva favorire e sostenere la carriera ecclesiastica di Maffeo, vale a dire suo zio Fantino Vallaresso. Questi, dopo la nomina ad arcivescovo di Creta nel 1425, era entrato nelle grazie di papa Condulmer. Nel 1434 aveva preso parte al concilio di Basilea come inviato del papa e, di lì a pochissimi anni, sarebbe divenuto il «colto e navigato grand commis della diplomazia pontificia» non­ché l’«esecutore ed interprete di piena fiducia nella decisa politica ecclesiastica di papa Condulmer verso l’oriente greco».7271 Del Torre 2010, 137-140. Fantino Vallaresso, dunque, era persona assolutamente «fide digna» agli occhi del pontefice e proprio lui do­vette essere il tramite per gli interessi del nipote. Veniamo ora al secondo snodo suggerito dal breve di Eugenio IV, che documenta l’intenzione di Vallaresso di proseguire con gli studi nel triennio 1435-1438. Il breve papale menziona in primo luogo l’eventualità che Maffeo continuasse i propri studi a Venezia, dedicandosi alle artes e mettendo a frutto il magistero dei docenti operanti in città. In tal senso il breve papale parrebbe dunque riferirsi alla Scuola di Rialto, fondata in Venezia nel 1408 e nella quale venivano impartiti per l’appunto gli insegnamenti delle arti.7372 Peri 1983, 42 (questo studio menziona anche lettere e materiali contenuti nel cod. Barberiniano Latino 1809 qui edito). Se frequentò la scuola realtina a cavallo del 1435, Maffeo Vallaresso dovette prender parte alle lezioni di Paolo Della Pergola, che insegnò continuativamente a Venezia dal 1420 al 1454; nella sua formazione si dovrà mettere in conto di conseguenza, dopo l’educazione primaria ricevuta da qualche precettore privato a Venezia o, in alternativa, a Verona da Guarino, il magistero di Paolo Della Pergola, dottore in arti, filosofo aristotelico, studioso di logica, professore di teologia.7473 Lepori 1980, 539-540; Benzoni 1996, 813-815. 5. La costruzione di un curriculum accademico: Maffeo Vallaresso ­nell’ateneo di Padova Il breve di Eugenio IV del 1435 autorizzò Maffeo Vallaresso a dedi­carsi allo studio delle arti non solo a Venezia ma anche altrove, presso uno Studium generale vero e proprio. Quest’ultima eventualità fu quella in se­guito realizzatasi, come confermato da alcune lettere inviate a Vallaresso da Giovanni Sobota (Iohannes Sobota, Ivan Sobota), un giureconsulto di Traù legato a Vallaresso da forte amicizia.7574 Se ne veda un profilo in Nardi 1957, Lepori 1980, 541-559 e il più recente Buzzetti 2004. Tali lettere sono prive di esatte indi­cazioni cronologiche, poiché riferiscono il giorno e il mese ma non l’anno in cui vennero scritte, tuttavia risultano databili con discreta precisione grazie ad elementi intrinseci. La più antica di tali lettere deve risalire al 15 luglio 1435. Essa è im­portante poiché Giovanni Sobota lascia intendere come Maffeo Vallaresso, nel 1435, si trovasse già a Padova e come fosse fuggito dalla città riparando a Venezia a seguito del tumulto scatenato nella città euganea dalla congiura an­tiveneziana ordita nei primi tre mesi del 1435.7675 Qualche sparuto cenno biografico in Segarizzi 1905. Benché la documentazione dell’ateneo patavino non conservi traccia di Maffeo Vallaresso fino al 1439 (cfr. infra) le altre lettere di Giovanni Sobota confermano via via la presenza del giovane ecclesiastico veneziano negli ambienti accademici di Padova. Al 1436-38, ad esempio, deve risalire la lettera in cui Sobota testimonia il rappor­to di reciproca stima instauratosi tra Vallaresso e il giurista padovano Angelo De Castro, che di lì a poco sarebbe divenuto uno dei più celebri docenti dello Studium padovano.7776 Epist., III, 35. Per la datazione della lettera ho seguito questi elementi: se Sobota scrive delle re­centi turbolenze padovane («illae turbulentissimae patavinae res») il 15 luglio di un anno non specifi­cato, e se noi sappiamo che le congiure padovane, negli anni Trenta del XV secolo, furono due, una nel 1435 e l’altra nel 1439, si dovrà escludere che Sobota si riferisca alla seconda, che avvenne nel mese di agosto 1439: egli non avrebbe potuto averne notizia e scriverne, infatti, un mese prima); si dovrà pen­sare invece proprio alla congiura del 1435, la quale, per essere esplosa nel mese di marzo, ben si accor­derebbe alle tempistiche di un giro di lettere prima da Maffeo a Sobota e quindi, a luglio, da Sobota a Maffeo. Sulle congiure padovane del 1435 mi limito a rinviare a Barile 2011, 135-164 e Melchiorre 2014, 125-130, gli ultimi due lavori, in ordine di tempo, che se ne siano occupati. In un’altra lettera ancora, da datare al 31 agosto 1438, Giovanni Sobota espresse il proprio sollievo per il fatto che le lettere inviategli da Maffeo Vallaresso l’avevano fatto certo che lo stesso Vallaresso e altri co­muni amici erano in salute nonostante la peste serpeggiasse a Padova.7877 Epist., III, 38. La lettera può essere datata al 1436-38 poiché in essa Angelo De Castro non pare essere ancora docente nello Studium: se egli non è infatti indicato che con l’apposizione «iurisconsul­tus», senza gli attributi normalmente associati ai docenti dello Studium («dominus», «clarissimus»…), e se sappiamo da un lato che egli si laureò nel 1436 e dall’altro che iniziò la propria docenza nel 1439, si dovrà concludere che la lettera di Sobota non possa essere precedente al 1436 e successiva al 1438 (cfr. Belloni 1986, 119-124). Alla luce degli elementi raccolti, ci pare di poter concludere che Maffeo Vallaresso si sia trasferito a Padova fin dal 1435 per intraprendere, presso l’Università patavina, lo studio delle arti e compiere così quel triennio pro­pedeutico alla frequenza dei successivi percorsi accademici. È perfettamente coerente con questa ricostruzione la successiva traccia documentaria relativa a Vallaresso: nel 1439 egli risulta aver superato il triennio artistico ed essersi a quel punto inoltrato nello studio del diritto canonico,7978 Epist., II, 40. Sono vari gli elementi per la datazione di questa lettera. In primo luogo, in essa Sobota si riferisce al padre di Maffeo, Giorgio Vallaresso, come praetor di Traù, incarico che egli detenne dal 1436 al 1438. In secondo luogo, lo scrivente si riferisce a un’epidemia di peste a Padova e le segna­lazioni, nei documenti padovani, di una recrudescenza del morbo iniziano nel 1436 e si infittiscono nel 1438 (Morpurgo 1922, 125-127). Giovanni Sobota, infine, accenna a una sorprendente vittoria militare conseguita dal condottiero dell’esercito veneziano Erasmo da Narni, detto il Gattamelata: se il rimando è inequivocabilmente ai fatti della guerra tra Venezia e Milano, il riferimento alla vittoria del Gattamelata non può che essere il colpo di mano che nel 1438 lo portò su Verona, sbaragliando le trup­pe milanesi grazie a un’audace attraversata delle montagne a nord del Lago di Garda (l’episodio è molto noto, cfr. ad esempio Mallett 1983, 191). seguendo un curricu­lum studiorum largamente diffuso tra i giovani ecclesiastici veneziani di fami­glia patrizia che aspiravano a un’importante carriera nei benefici.8079 Zonta-Brotto 1970, n. 1330. Nel 1439, nel frattempo, era venuto ormai a scadere il privilegio trien­nale rilasciato da Eugenio IV nel 1435 e che aveva consentito a Maffeo Vallaresso di assentarsi per ragioni di studio dalla cattedrale trevigiana, nel­la quale manteneva ancora il proprio canonicato. Grazie a una fortunata se­rie di circostanze, tuttavia, egli poté nuovamente derogare dai propri “dove­ri” di canonico residente. Si era infatti aperta la grande iniziativa pontificia del Concilio per il riassorbimento dello scisma orientale e la corte papale di Eugenio IV si era trasferita prima a Ferrara (1438) e poi a Firenze (1439). Tra i collaboratori più vicini al papa nei concitati mesi del concilio, soprattutto quando esso entrò nel vivo, a Firenze, vi furono lo zio di Maffeo, Fantino Vallaresso, e il vescovo di Treviso, Ludovico Barbo.8180 Melchiorre 2014, 286-291. Sullo Studium padovano in età veneziana cfr. Gallo 1998. Negli interstizi dei grandi affari curiali che l’uno e l’altro stavano se­guendo nell’interesse di papa Eugenio IV, Fantino Vallaresso e Ludovico Barbo trovarono il tempo per un formale accordo a vantaggio di Maffeo. Si trattò, ancora una volta, di una dispensa dai doveri di residenza nella cattedrale trevigiana. Ludovico Barbo, in quanto vescovo di Treviso, il 27 giugno 1439 accondiscese alle richieste di Fantino Vallaresso e permise a Maffeo di continuare ad assentarsi dalla cattedrale trevigiana per altri sette anni, come già aveva fatto nel triennio precedente, per dedicarsi con profit­to agli studi.8281 Oltre all’ormai datato Gill 1965, si veda ora l’eccellente lavoro di Boschetto 2012. Sul ruolo di Fantino Vallaresso in seno al Concilio cfr. Altan 1962; Peri 1983; Boschetto 2012, 48. Su Ludovico Barbo, cfr. Pesce 1969, 146-176. Durante gli anni trascorsi a Padova, valendosi di questa seconda di­spensa, Maffeo Vallaresso continuò ad assentarsi dalla cattedrale di Treviso, presso la quale aveva lasciato come proprio procuratore lo scolastico della cat­tedrale prè Parentino, che vediamo ad esempio fare le sue veci in un’efferve­scente diatriba capitolare nel 1444.8382 BCTV, ms. 742 (33), c. 33r (numerazione ex fine codicis). Vallaresso, tuttavia, si assentò anche da altri due benefici che nel frattempo erano venuti ad aggiungersi al canonicato di Treviso. Si trattava di due canonicati nell’isola di Creta, uno nella chiesa arcivescovile di Candia e l’altro nella cattedrale di Chersoneso. Non è trop­po difficile immaginare ancora, dietro a queste nuove collazioni beneficiarie nel Dominio da Mar, l’intervento dello zio Fantino Vallaresso, arcivescovo di Candia, nel cui capitolo Maffeo aveva guadagnato puntualmente un cano­nicato, e metropolita delle altre piccole diocesi cretesi, tra le quali, appunto, quella di Chersoneso, dove pure Maffeo aveva ottenuto un canonicato.8483 Pesce 1969, 217-219. Maffeo Vallaresso aveva iniziato lo studio del diritto canonico presso l’Università di Padova almeno due mesi prima che lo zio riuscisse a ottene­re da Ludovico Barbo la dispensa a suo favore (27 giugno 1439). Il 14 aprile 1439, infatti, proprio a Padova e in veste di «scolaris iuris canonici», Maffeo aveva preso parte alla cerimonia di conferimento dei titoli dottorali in dirit­to civile al patrizio veneziano Angelo di Francesco Michiel. Tra i testimoni, insieme a Vallaresso, vi furono i due canonici di Padova Lorenzo Capello e Marino Badoer (entrambi patrizi veneziani) e altri studenti di diritto fra i qua­li due future ottime conoscenze di Maffeo Vallaresso: Luca Leono, canonico di Verona, e Giacomo Zeno, vescovo di Padova dal 1460 al 1481 e famoso umanista, che di lì a poco sarebbe passato a Firenze per mettersi al servizio del Concilio e di Eugenio IV.8584 Su questi due canonicati, la cui data esatta di collazione a Maffeo Vallaresso allo stato attuale delle ricerche non conosciamo, cfr. infra, par. 10. È certo (Zonta-Brotto 1970, n. 1943) che Maffeo li possedeva di già nel 1445. Gli studi giuridici di Maffeo Vallaresso si protrassero per sei anni, fino al 1445, durante i quali si legò in modo particolare ad alcuni tra i professori delle discipline di diritto. Ricordiamo Antonio Roselli, il grande giurista are­tino, avvocato concistoriale di papa Eugenio IV e autore di numerosi celebri trattati giuridici, al quale Vallaresso riconosceva il merito di aver coltivato il suo amore per le «bonae litterae» e per la «scientia iuris».8685 Tra i testimoni vi furono anche: il veneziano Luca Leoni, il dottore in arti Antonio Feletto e due studenti di diritto civile, Nicolò Tagliacio e Melchiorre Facino (Zonta-Brotto 1970, n. 1330). Ma il vero e proprio maestro nella scienza giuridica di Maffeo Vallaresso fu il ferrarese Giacomo Zocchi, professore canonista tra i più apprezzati dello Studium patavino e ani­mato da un vivissimo sentimento religioso che lo portò ad avvicinarsi singo­larmente agli ideali spirituali dell’Osservanza francescana. Vallaresso, ancora nel 1456, si rivolgeva a Giacomo Zocchi definendosene suo «discipulus» e professando nei suoi confronti non tanto la stima del discente nei confronti del maestro, quanto l’amore del figlio nei confronti del padre.8786 Su Antonio Roselli, cfr. Valsecchi 2017. Per una lettera destinatagli da Vallaresso cfr. Epist., 227. Le lettere inviategli da Giovanni Sobota aggiungono qualcosa circa l’ormai pluriennale soggiorno padovano di Vallaresso. Veniamo a sapere, ad esempio, come egli, a Padova, avesse al proprio servizio delle «ancillae dome­sticae» e come avesse presso di sé un non meglio precisato «puer», il quale, stanco delle offese arrecategli dalle domestiche medesime, se n’era scappato a Venezia. Ma proprio qui, a Venezia, il «puer» venne scoperto da Giovanni Sobota, che evidentemente si trovava in quel momento nella città lagunare, e consegnato allo zio di Maffeo, Zaccaria Vallaresso.8887 Sullo Zocchi cfr. Griguolo 2010 e Griguolo 2011. La lettera inviata a Giacomo Zocchi da Vallaresso si legge in Epist., 226. In un’altra lettera ancora, databile al 1443, si può leggere della curiosità con cui Giovanni Sobota chie­deva a Maffeo, oltre a una mediazione su questioni giuridiche con due pro­fessori di Padova, Giovanni da Prato e Francesco Capodilista, l’invio dell’o­razione che un «adulescens» di ingegno aveva recitato in occasione del fune­rale, svoltosi proprio a Padova nel gennaio 1443, del condottiero Erasmo da Narni, il Gattamelata; questo «adulescens» altri non era che il celebre e ancor giovane umanista Giovanni Pontano.8988 Epist., III, 39. Elemento per la datazione di questa lettera è il fatto che in essa lo zio di Maffeo Vallaresso, Zaccaria, è definito senatore; sappiamo che Zaccaria fu membro del Senato veneziano nel 1438 e nel 1442 (ASVE, Segretario alle Voci, reg. 4, cc. 97r, 107v). 6. Un umanista tra umanisti, un ecclesiastico tra ecclesiastici: reti di relazione nel milieu accademico padovano Nel decennio in cui fu studente nell’Università di Padova (1435-1445), prima in arti e poi in diritto canonico, Maffeo Vallaresso ebbe modo di in­trecciare rapporti con suoi coetanei o quasi coetanei che condividevano con lui, oltre all’esperienza accademica, la sensibilità nei confronti della cultu­ra umanistica da un lato e le aspirazioni di carriera ecclesiastica dall’altro. Alcune tra queste relazioni universitarie furono conservate da Maffeo negli anni successivi. Il confronto incrociato con quanti studiarono nello Studium di Padova tra 1435 e 1445 e i corrispondenti di Maffeo Vallaresso identifica­bili nell’Epistolario di quest’ultimo, infatti, permette di addivenire a risultati assai significativi. Nel 1436 si addottorò in arti Domenico Dominici, veneziano, vescovo di Torcello e poi di Brescia e umanista di buona fama.9089 Epist., III, 37. I funerali del Gattamelata si svolsero poco dopo il 16 gennaio 1443 (morte del condottiero). L’identificazione con Giovanni Pontano dell’adolescente menzionato da Giovanni Sobota è immediata, ma si tenga conto di come l’orazione in causa sia da attribuire a Lauro Querini, mentre Giovanni Pontano ne fu il semplice declamatore ex pergamo (cfr. ad esempio Menniti Ippolito 1993). Ermolao Barbaro, ecclesiastico e umanista di tale notorietà che non abbisogna di ulteriori indicazioni, ottenne la licenza in diritto canonico nel 1436.9190 Zonta-Brotto 1970, nn. 1062, 1085. Nello stesso anno si addottorarono in diritto canonico Mosè Buffarelli, vescovo di Pola (Pula) e di Belluno, e Giacomo Turloni, vescovo di Traù,9291 Ibidem, n. 1091. così come i due giuri­sti Andrea Venier e Angelo De Castro, l’uno in diritto civile e l’altro in entrambi i diritti.9392 Ibidem, nn. 1100, 1141. Nel 1437 Francesco Morosini, primicerio della chiesa di Castello e arcidiacono di Vicenza, ebbe i titoli dottorali in diritto canonico.9493 Ibidem, nn. 1118, 1119, 1120; Andrea Venier conseguì anche il dottorato in diritto canonico nel 1439 (ibidem, n. 1327). Lauro Querini, tra i più noti umanisti veneziani, si addottorò a Padova in arti nel 1440 e nei due diritti nel 1448.9594 Ibidem, n. 1172. Giacomo Zeno, umanista, grande bibliofilo e vescovo di Padova, si laureò nei due diritti nel 1440.9695 Ibidem, nn. 1417, 1426, 2234. Cosma Contarini, che ebbe una carriera come vicario vescovile, concluse i suoi studi nei due diritti nel 1441.9796 Ibidem, n. 1448. Giacomo Bragadin, che fu vescovo di Nona (Nin) ed ebbe dimestichezza con Paolo Dalla Pergola, si addottorò in arti nel 1442.9897 Ibidem, n. 1520. Nello stesso anno si addottorò a Padova Barbone Morosini, esempio di grande umanista che seppe affiancare allo studio delle lettere un’im­portante carriera politica,9998 Ibidem, nn. 1562, 1584. così come Zaccaria Trevisan il Giovane, umanista, uomo politico e anch’egli laureatosi nei due diritti a Padova nel 1442.10099 Ibidem, n. 1645. Giovanni Condulmer, canonico di Padova, suddiacono apostolico e nipote di papa Eugenio IV, si addottorò in diritto canonico nel 1443,101100 Ibidem, n. 1648. stesso anno in cui Marco Donà, umanista e diplomatico, si addottorò nei due diritti.102101 Ibidem, n. 1689. Giovanni Francesco Pavini, eccellente giurista e uditore di Rota, conseguì i gradi accademici nei due diritti nel 1445.103102 Ibidem, n. 1731. Urbano Vignati, arcidiacono della chiesa di Castello a Venezia, canonico di Padova e quindi vescovo di Sebenico, nel 1445 si addottorò in diritto civile.104103 Ibidem, nn. 1931, 1932. Luca Leono, canonico nella cattedrale di Verona, si addottorò nel 1443 in diritto canonico,105104 Ibidem, n. 1965. così come, ma nel 1447, Andrea Conti.106105 Ibidem, n. 1728. Gli scambi epistolari e i rapporti intrattenuti da Maffeo Vallaresso con ciascuno di questi soggetti, verosimilmente conosciuti o incrociati durante gli studi a Padova, non esauriscono la rete delle conoscenze umanistico-eccle­siastiche sviluppate da Vallaresso stesso nell’Ateneo patavino e di cui non ri­mane però traccia nell’Epistolario. Studiarono infatti proprio a Padova, negli stessi anni di Maffeo, umanisti come Francesco Loschi, Francesco Contarini, Giovanni Argiropulo, Giovanni Agostino Barzizza; ed ecclesiastici quali Solimano Solimani, Polidoro Foscari, Michele Orsini (umanista), Giacomo Condulmer, Marino Badoer, Girolamo Michiel, Antonio Capodilista, Giovanni Hinderbach, Pietro Lippomano e Teodoro De Lelli (umanista).107106 Ibidem, n. 2216. Riassumendo: tra quanti si addottorarono a Padova nel decennio in cui Maffeo Vallaresso vi fu studente, si contano 15 umanisti di spessore (con 9 dei quali Vallaresso sviluppò in seguito rapporti epistolari) e 22 tra i più noti ecclesiastici veneti e veneziani del XV secolo (con 12 dei quali Vallaresso in­trattenne corrispondenza). È dunque evidente come l’esperienza universitaria padovana abbia consentito a Vallaresso, oltre che di acquisire quella compe­tenza nel diritto canonico utile per procedere nella carriera nei benefici, di in­trecciare delle relazioni poi mantenutesi nei decenni successivi. Non v’è dubbio, insomma, che Maffeo, frequentando lo Studium pa­dovano, passò attraverso quella sorta di strettoia curriculare percorsa in ma­niera pressoché sistematica negli stessi anni, come studenti di diritto, da nu­merosi ecclesiastici e aspiranti ecclesiastici veneziani; e non è un caso che una percentuale davvero significativa di quest’ultimi, anche grazie alle relazioni intessute frequentando lo Studium, abbia finito con il confluire nelle fila di quell’umanesimo cristiano che caratterizzò la cultura veneto-veneziana a ca­vallo tra medioevo ed Età moderna e di cui Maffeo Vallaresso fece legittima­mente parte.108107 Per i soggetti citati nel testo cfr. ibidem, ad indicem. 7. La laurea in diritto canonico di un umanista riconosciuto Il percorso di studio di Maffeo Vallaresso si concluse il 26 maggio 1445, quando, in ritardo di un biennio rispetto alla durata media del curricu­lum giuridico (quattro anni), sostenne l’examen in diritto canonico e ottenne il titolo dottorale.109108 Casarsa 1979. Egli ebbe per promotori alcuni tra i più illustri docenti dello Studium di Padova: Giovanni Francesco Capodilista, Cosma Contarini e i già citati Antonio Roselli e Angelo De Castro. Le insegne dottorali gli furo­no conferite dal vescovo di Padova Pietro Donà, altro uomo di punta dell’en­tourage papale di Eugenio IV. Alla cerimonia di conferimento a Maffeo Vallaresso dei titoli dottorali presero parte cinque testimoni. Tali presenze, in numero variabile da caso a caso, solo di rado hanno carattere occasionale ed estemporaneo; più di fre­quente esse esprimono un’immagine, benché incompleta, delle reti relazio­nali del laureando. Il profilo di quest’ultimo e i profili dei testimoni, molto spesso, sono singolarmente coerenti. Il caso di Maffeo Vallaresso rientra senza ombra di dubbio in questa eventualità: i testimoni del suo dottorato dicono moltissimo dei rapporti che l’ormai trentenne ecclesiastico veneziano era ve­nuto intessendo. Cominciamo da un testimone indubbiamente di rango, ma dei cui le­gami con Maffeo Vallaresso ci sfuggono francamente le dinamiche, Alvise Venier. Uomo politico di primo piano, egli occupò importanti magistrature della Repubblica di Venezia. Il 17 febbraio 1445, tre mesi prima del dotto­rato di Vallaresso, egli venne aggregato straordinariamente al Consiglio dei Dieci per affrontare la delicatissima causa giudiziaria avviata contro Jacopo Foscari, figlio del doge regnante Francesco. Alvise Venier, che fu Procuratore di S. Marco, uno dei ruoli più prestigiosi dell’ordinamento veneziano, fino al momento della sua morte (1451), nel 1447 fu uno dei quattro ambasciatori inviati a Roma da Venezia per congratularsi con il nuovo papa Niccolò V.110109 Zonta-Brotto 1970, n. 1943. Altro testimone presente al dottorato di Vallaresso fu il protonotario apo­stolico Gregorio Correr, patrizio veneziano e umanista di buonissimo livello. Egli aveva studiato infatti con Vittorino da Feltre e di lui sono noti svaria­ti componimenti. Fu in corrispondenza, tra gli altri, con Poggio Bracciolini, Lapo da Castiglionchio, Girolamo Aliotti e la sua vasta cultura fu elogiata da Flavio Biondo e Vespasiano da Bisticci. Nonostante la parentela con il cardi­nal Antonio Correr, del quale era nipote, la carriera ecclesiastica di Gregorio Correr fu molto incidentata, specie dopo che al Concilio di Basilea, avvicinan­dosi a posizioni pericolosamente filo-conciliari, si espresse ostilmente nei con­fronti di papa Eugenio IV. Dopo essere stato nominato protonotario apostolico nel 1433 e abate di S. Zeno a Verona nel 1443, egli ambì vanamente a diverse cariche ecclesiastiche; è vero che venne eletto nel 1464 patriarca di Venezia, ma morì ancor prima di poter entrare in possesso del prestigioso beneficio.111110 Sanudo 1999, 426 e 464. Al dottorato di Maffeo Vallaresso prese parte un alto protonotario apo­stolico: Pietro Lippomano. Anch’egli patrizio veneziano fu compagno di stu­di di Vallaresso, dal momento che si addottorò in diritto canonico, a Padova, nel 1446; egli, tuttavia, già nel 1442 era definito «doctor theologie». La car­riera ecclesiastica di Lippomano non fu affatto brillante, non essendogli mai riuscito, nonostante i tentativi fatti, di ottenere un beneficio maggiore.112111 King 19891, 515-517. Altro ecclesiastico presente al dottorato di Maffeo fu Giovanni Battista Dal Legname, vescovo di Concordia. Quest’ultimo, di origini padovane, si mosse abilmente nell’ombra del più noto fratello Francesco Dal Legname, tesoriere pontificio e potentissimo uomo di Curia durante il papato di Eugenio IV. Quando prese parte al conferimento dei titoli dottorali a Maffeo Vallaresso (26 maggio 1445), Giovanni Battista Dal Legname era appena ri­entrato dall’Inghilterra, dove era stato inviato con una delicata missione, in qualità di nunzio papale, e stava per recarsi a prendere possesso della diocesi friulana di Concordia (20 giugno 1445), alla quale era stato designato. Anche Giovanni Battista Dal Legname si dedicò agli studi e alla cultura umanisti­ca. Egli, infatti, possedette una biblioteca contenente testi classici (l’Ethica di Aristotele, scritti di S. Agostino, il De amicitia ciceroniano…), era lettore attento di Francesco Petrarca e corrispondente di uno tra i più noti umanisti veneziani: Francesco Barbaro.113112 Zonta-Brotto 1970, nn. 1618, 2089, 2090; Sanudo 1999, 518-519. E non a caso un altro dei testimoni al dottorato di Maffeo Vallaresso fu esattamente Francesco Barbaro. Quest’ultimo era il vero e proprio decano degli umanisti veneziani e il capostipite della più rilevante dinastia umanistica lagunare. Egli, infatti, era rispettivamente padre, zio e nonno di tre altri im­portantissimi umanisti: Zaccaria, Ermolao il Vecchio ed Ermolao il Giovane. La devozione di Maffeo Vallaresso nei confronti di Francesco Barbaro è te­stimoniata dall’Epistolario qui edito, nel quale Vallaresso definisce il Barbaro «divinus ille homo». Si osservi, oltretutto, che lo stesso Maffeo ebbe relazioni dirette con il figlio e il nipote del medesimo Barbaro, ovvero con i già citati Zaccaria ed Ermolao il Vecchio.114113 De Peppo 1986. Ancora nel quadro dei circoli umanistici, infine, va decifrata un’ulti­ma e significativa presenza tra quanti concorsero a festeggiare il dottorato di Maffeo Vallaresso: il ricchissimo mercante e banchiere fiorentino Palla Strozzi. Questi, infatti, dimorava a Padova sin dal 1434, ossia da quando, per volere di Cosimo il Vecchio, venne allontanato da Firenze. Lo Strozzi, du­rante l’esilio padovano, che durò fino al giorno della sua morte, coltivò con impegno i propri interessi umanistici e letterari, «circondandosi dell’amicizia di artisti, professori universitari, umanisti».115114 Gothein 1932; King 19891, 462-466 (con ricca bibliografia). Palla Strozzi, in breve, creò in­torno a sé, a Padova, nella città che lo accolse durante l’esilio, una raffinata cerchia umanistica, e alla sua morte lasciò la propria straordinaria biblioteca al monastero padovano di S. Giustina.116115 Tognetti 2009. Gregorio Correr, Pietro Lippomano, Giovanni Battista Dal Legname, Francesco Barbaro, Palla Strozzi: ci pare di poter ragionevolmente concludere che queste presenze, al momento del suo dottorato in diritto canonico, testi­monino ad abundantiam l’avvenuto inserimento di Maffeo Vallaresso, ormai trentenne, nell’élite umanistica veneto-veneziana di metà Quattrocento. 8. Un protonotario-umanista alla corte di Niccolò V Conclusi gli studi universitari nel maggio 1445, Maffeo Vallaresso ave­va conseguito la competenza giuridico-canonistica necessaria per muoversi con sicurezza nella carriera ecclesiastica e si era costruito una buona notorietà negli ambienti umanistici veneto-veneziani. A quel punto, per dare concre­tezza e slancio alla propria carriera, secondo una prassi decisamente comu­ne fra gli ecclesiastici più ambiziosi, egli prese la strada di Roma con l’in­tenzione di posizionarsi nella Curia pontificia. Non sappiamo con esattezza quando Maffeo Vallaresso giunse a Roma. È verosimile che egli non avesse fatto in tempo ad entrare nelle grazie del pontefice veneziano Eugenio IV, dal momento che Vallaresso non compare nell’elenco di quanti, nel febbraio 1447, in occasione dei funerali del papa, presero parte alla distribuzione del drappo nero, onorificenza esequiale riservata ai membri della familia papale e agli ecclesiastici più vicini alla corte pontificia.117116 Fiocco 1954; Id. 1963; Id. 1964. Maffeo Vallaresso raggiunse una certa visibilità in Curia nei primi tre anni del papato di Niccolò V Parentucelli (1447-1455). Il 4 aprile 1449, in­fatti, Niccolò V gli destinò un breve nel quale si possono riconoscere, negli interstizi delle formule cancelleresche, esplicita benevolenza e chiara stima. Il pontefice elogiava la nobiltà, la virtù e la scienza di Maffeo Vallaresso, «magi­ster» (ovvero laureato in arti) e «decretorum doctor», e ne constatava la lode­vole volontà di servire in Curia romana. Ciò considerato, Niccolò V aggregò l’ecclesiastico veneziano al collegio dei notai apostolici, nominandolo proto­notario. Questa dignità, pur priva di specifiche incombenze, garantiva svaria­ti privilegi e dava libero accesso agli ambienti curiali. Il papa invitò pertanto Maffeo Vallaresso a presentarsi a Ludovico Trevisan, cardinale veneziano e camerlengo pontificio, per ricevere da lui le insegne del protonotariato e pro­nunciare il richiesto giuramento.118117 Bourgin 1904. Non tragga in inganno il «Maffeus datarius» indicato nell’elenco (ibidem, p. 218): si tratta infatti dell’umanista Maffeo Vegio. La Curia di Niccolò V, come gli studi hanno da tempo dimostrato, fu un ambiente nel quale gli umanisti ebbero larghissimo spazio e favorevole accoglien­za. Le aspirazioni di renovatio del nuovo papa, egli stesso importante umanista, si realizzarono infatti anche per il tramite di un generoso mecenatismo nei con­fronti di artisti e studiosi, al punto che la corte di Niccolò V fu il crocevia della generazione di umanisti che operò a cavallo della metà del XV secolo.119118 ASVAT, Registri Vaticani, 389, c. 12rv. Fu senza dubbio la palese dedizione di Maffeo Vallaresso agli studia humanitatis, perciò, a sollecitare la benevolenza del papa e del suo entourage. Nel breve con cui lo no­minò protonotario, del resto, Niccolò V si augurò che proprio la dignità appena acquisita consentisse a Vallaresso di continuare a impegnarsi negli studi.120119 Coluccia 1998, 264-303. La buona fama di un umanista ancora relativamente giovane non pote­va tuttavia bastare, da sola, per entrare nelle grazie di Niccolò V. Prima anco­ra, naturalmente, servivano appoggi e raccomandazioni, ovvero buoni contat­ti. Occorre domandarsi, perciò, attraverso quali canali Maffeo Vallaresso sia riuscito a garantirsi un’entratura nella corte papale. A questo proposito è opportuno perlomeno accennare a un supporto squisitamente umanistico che Vallaresso avrebbe potuto benissimo mettere a profitto. Fra i molti umanisti che ebbero contatti con Niccolò V, infatti, era grande la familiarità del veneziano Francesco Barbaro, che abbiamo già visto presente alla cerimonia dottorale di Vallaresso. Quest’ultimo era in ef­fetti legatissimo all’umanista veneziano e lo riconosceva, in certo modo, come la propria guida e come un modello insuperabile di studioso.121120 ASVAT, Registri Vaticani, 389, c. 12rv. Nelle lettere inviate da Francesco Barbaro al papa subito dopo l’elezione pontificia non vi sono tracce di Maffeo Vallaresso, ma si trovano esplicite richieste dell’umani­sta veneziano per raccomandazioni utili a sostenere la carriera ecclesiastica del nipote Ermolao.122121 La lampante testimonianza dei rapporti tra Vallaresso e Francesco Barbaro è la lettera scritta da Vallaresso in occasione della morte dell’umanista e inviata a Ermolao Barbaro, nipote del defunto Francesco: Epist., 128. Non solo: l’epistolario di Francesco Barbaro testimonia quanto sistematicamente egli sfruttasse i propri contatti in Curia per patroci­nare le cause di vari aspiranti ecclesiastici, suoi amici e impegnati negli studi umanistici. Egli scrisse ripetutamente, in tal senso, oltre che a Biondo Flavio, ai cardinali veneziani Francesco Condulmer e Pietro Barbo.123122 Barbaro 1999, nn. 232, 233, 248, 274, 364, 368. L’amicizia tra Barbaro e Niccolò V è rilevata anche in Coluccia 1998, 68, 84, 175-176. Se una raccomandazione da parte di Francesco Barbaro non può es­sere scartata a priori, benché non sia documentata, dobbiamo risolutamente escludere, venendo ai potenziali sponsor ecclesiastici, che l’ingresso in Curia di Vallaresso sia da legare allo speciale patrono che aveva accompagnato i primi passi di Maffeo nella carriera beneficiaria, vale a dire lo zio Fantino Vallaresso, arcivescovo di Creta. Quest’ultimo, infatti, era morto nel 1443, ancor prima che il nipote conseguisse i gradi accademici.124123 Barbaro 1999, nn. 149, 249, 268, 272, 324, 325, 329, 354, 367. Anche se Maffeo Vallaresso aveva perso l’appoggio dello zio, nella Curia di Niccolò V la presenza veneziana era ancora molto forte. Tralasciando i qua­dri inferiori della gerarchia (protonotari, commensali, scriptores, familiares, eccetera), nella Roma di Niccolò V avevano raggiunto notevole influenza e grande potere tre cardinali veneziani, tutti creature del defunto Eugenio IV: Ludovico Trevisan, Francesco Condulmer e Pietro Barbo. Questi tre potenti prelati furono il riferimento in Curia papale sia per il governo veneziano sia per molti ecclesiastici veneziani e per le loro aspirazioni di carriera. Maffeo Vallaresso, nel momento in cui cercò entrature e favori negli ambienti ponti­fici, si appoggiò forse a uno di essi? Alla luce dei documenti non sembra che Vallaresso avesse particola­ri relazioni e affinità con il potentissimo e controverso cardinal camerlengo, Ludovico Trevisan.125124 Dopo il Concilio di Ferrara-Firenze il suo ruolo presso la corte di Eugenio aveva toccato l’apice. Inviato a Bourges quale rappresentante papale all’assemblea del clero francese, che si concluse con la promulgazione della Prammatica Sanzione da parte di Carlo VII, egli rientrò nel proprio arcivescova­do, a Creta, come legato papale incaricato di dare seguito fattivo all’unione della chiesa greca e latina. Quando morì, il 18 maggio 1443, Fantino Vallaresso era un ecclesiastico che godeva di stima e noto­rietà tra i contemporanei, al centro di un vasto sistema di relazioni di natura tanto ecclesiastica, quanto politica, quanto culturale (Peri 1983; King 19891, 652-654). È vero che quest’ultimo venne incaricato dal papa di conferire le insegne di protonotario a Maffeo Vallaresso, e che lo stesso cardi­nal Trevisan, per molti aspiranti ecclesiastici usciti proprio dallo Studium di Padova, fu un importante riferimento;126125 Ecclesiastico dal profilo controverso, Trevisan iniziò la sua straordinaria ascesa dal semplice inca­rico di medico personale di Eugenio IV, fino a diventare via via vescovo di Traù (1435), arcivescovo di Firenze (1437), patriarca di Aquileia (1439), cardinale di S. Lorenzo in Damaso (1440), titolare di un numero impressionante di ricchi benefici sparsi in tutta la cristianità, ripetutamente condottiero delle truppe papali e camerlengo apostolico (fin dal 1440) capace di tenere in pugno le redini delle finanze pontificie. L’inquadramento più completo rimane ancora Paschini 1939. alcuni dati, tuttavia, suggeriscono che tra Vallaresso e il cardinal camerlengo non corresse il filo di un solido rap­porto clientelare: a) l’esteso Epistolario di Vallaresso non registra alcuno scam­bio di lettere con Ludovico Trevisan; b) nella familia cardinalizia del medesi­mo cardinale, nella quale erano peraltro numerosi gli ecclesiastici veneti, non v’è traccia di Vallaresso;127126 Melchiorre 20111. c) in una sua lettera del 1451, Maffeo Vallaresso rivela un atteggiamento ostile, di scoperto sospetto e omertose perplessità, nei confronti del cardinal Trevisan e dei maneggi di quest’ultimo.128127 Epist., 466. La lettera appena citata, del 28 luglio 1451, istrada in una direzione più proficua. Essa venne inviata da Maffeo Vallaresso al cardinale Francesco Condulmer e rivela la familiarità esistente tra i due ecclesiastici.129128 Ibidem. Anche al­tri, tuttavia, sono gli indizi che spingono ad avvicinare Maffeo Vallaresso pro­prio a Francesco Condulmer. Nella familia del cardinale, in primo luogo, si riscontra la presenza di ecclesiastici, quali Giovanni Darmano, provenienti proprio da quel capitolo cattedrale di Treviso nel quale Vallaresso continuava a detenere un beneficio canonicale.130129 Questi, nipote di Eugenio IV, cardinale fin dal 1431, designato nel 1438 vescovo di Verona, operò costantemente al servizio dello zio papa. Eugenio IV, coprendolo di benefici, gli affidò missioni diplomatiche, incombenze politico-pastorali e svariati rilevanti incarichi. Alla morte dello zio, nel 1447, l’ascendente di Francesco Condulmer in Curia era a tal punto cresciuto che egli riuscì a indirizzare il conclave verso la nomina di Niccolò V (Del Torre 2010, 52-58, 137-140; Olivieri 1982). Il cardinal Condulmer, in secondo luo­go, era pienamente inserito nel circolo degli umanisti veneziani, intrattenen­do corrispondenza, ad esempio, con Francesco Barbaro ed Ermolao Barbaro, ai quali come detto più sopra anche Maffeo Vallaresso era strettamente lega­to. Si potrebbe richiamare, in terzo luogo, la circostanza per cui Francesco Condulmer, nel 1446, poco prima che Vallaresso entrasse in Curia, condivise il comando della flotta crociata veneto-pontificia con Alvise Loredan, zio di Maffeo Vallaresso in quanto fratello di sua madre, Maddalena.131130 Pesce 1969, 92-93. Altri trevigiani vicinissimi al Condulmer furono ad esempio Daniele Scoti e Cristoforo Garatone (cfr. Olivieri 1982). Il rapporto esistente tra Vallaresso e il cardinal Condulmer, peraltro, è testimoniato esplicitamente da altre lettere scritte dal medesimo Vallaresso al cardinale veneziano, nelle quali il primo usa nei confronti del secondo toni di massima deferenza e obbligazione. Vallaresso, infatti, si definisce «servulus» del Condulmer, ricorda come egli abbia potuto aver l’onore di vivere «sub umbra» del cardinale e, soprattutto, di aver avuto in lui il «massimo signore e protettore» («dominus ac protector meus maximus»).132131 Olivieri 1982. Altrettanto se non più significativo, tuttavia, fu il rapporto di Vallaresso con il terzo dei cardinali veneziani presenti nella Curia di Niccolò V, Pietro Barbo. La carriera di quest’ultimo, umanista e anch’egli nipote di Eugenio IV, nominato cardinale dallo zio nel 1440, all’età di soli 23 anni, come si vedrà meglio in seguito, fu folgorante.133132 Epist., 11, 53, 26, 80. Non esistono dubbi sul fatto che le relazioni tra Maffeo Vallaresso e il cardinale Pietro Barbo furono strettissime. Il rapporto tra i due, infatti, può essere facilmente misurato esaminando l’Epistolario di Vallaresso, nel quale si contano qualcosa come 54 lettere inviate da Maffeo al cardinale Barbo.134133 Modigliani 2014. Allo scambio epistolare tra Pietro Barbo e Vallaresso, inoltre, a suggerire un più articolato legame clientelare con la famiglia papalista dei Barbo, si potrebbero aggiungere le lettere inviate da Vallaresso a strettissimi parenti del cardinale. Furono dieci quelle inviate a Paolo Barbo (fratello del cardinale),135134 Epist., 2, 10, 12, 16, 60, 78, 103, 108, 109, 112, 121, 141, 145, 147, 148, 166, 178, 185, 209, 237, 240, 250, 255, 258, 271, 296, 307, 319, 335, 353, 374, 381, 384, 395, 398, 407, 415, 424, 446, 453, 462, 469, 491. 11 quelle destinate e quattro quelle ricevute da Marco Barbo (nipote del cardinale e fu­turo cardinale egli stesso)136135 Epist., 9, 150, 206, 261, 282, 359, 389, 392, 399, 444. e rispettivamente una e due quelle spedite a due altri ecclesiastici nipoti di Pietro Barbo, ossia Giovanni137136 Epist., 18, 91, 120, 193, 208, 215, 303, 313. e Niccolò Barbo.138137 Epist., 461. La benevolenza del cardinale Barbo nei confronti di Maffeo Vallaresso traspare dai toni usati da quest’ultimo rispetto al proprio potente interlocuto­re. Egli parla di una sua sempiterna obbligazione, di un «vinculum» di fedeltà immarcescibile, cementato dai «beneficia» e dai «munera» ricevuti dal Barbo nonché dalla «clementia» e dalla «benignitas» con cui lo stesso cardinale l’ave­va sempre trattato. Vallaresso, inoltre, giunse a definire Pietro Barbo niente­meno che «dux vitae nostrae».139138 Epist., 436, 446. È dunque assai verosimile, in conclusione, il fatto che Maffeo Vallaresso dovette il proprio ingresso negli ambienti della Curia pontificia, nel biennio 1447-49, oltre che alla propria fama di buon umanista, ai cardinali Francesco Condulmer e Pietro Barbo. A Roma, Maffeo Vallaresso costruì alcune delle sue più durevoli amici­zie. L’Epistolario ci consente di segnalare il giurista Andrea Conti, il «socius» più caro e fedele di Maffeo, tanto che a Roma, in Curia, l’amicizia fraterna fra i due era a tutti notoria;140139 Epist., 271. Leonardo Dati, umanista fiorentino e poeta assai prolifico, che dopo un’esistenza di fortune piuttosto alterne, grazie al cardinale Barbo, approdò alla corte di Niccolò V e in questo ambiente ebbe modo di contrarre amicizia con Maffeo Vallaresso;141140 Il riferimento alla forte amicizia si ricava da una lettera di Maffeo Vallaresso, tra le moltissime presenti nell’Epistolario (cfr. Epist., I, 33). il vescovo di Tricarico e diplomatico papale Onofrio di Santa Croce, l’amicizia con il quale era sta­ta contratta da Vallaresso a Padova, ai tempi in cui frequentavano entrambi la scuola di arti liberali, e si era poi consolidata nella Curia di Niccolò V.142141 Epist., 158, 265; sull’umanista cfr. Ristori 1987. Rispetto al soggiorno romano di Maffeo Vallaresso, allo stato attuale degli studi, non sappiamo altro. Siamo però benissimo informati circa l’epi­sodio indubbiamente più eclatante in cui Vallaresso incappò proprio a caval­lo dei mesi che videro la sua promozione a protonotario apostolico, episodio che da un lato lo costrinse a un durissimo e imprevisto faccia a faccia con il governo veneziano e che dall’altro lato, paradossalmente, gli aprì la strada per un decisivo avanzamento di carriera. 9. A un passo dalla rovina: uno scandalo di stato, Maffeo Vallaresso e il Consiglio dei Dieci Nel settembre 1446 una delazione mise in allerta il Consiglio dei Dieci di Venezia nei confronti di un ecclesiastico veneziano, il protonotario aposto­lico Cristoforo Cocco, dimorante a Roma, in Curia.143142 Epist., 468. Su Cristoforo Cocco, imparentato con la famiglia dogale dei Foscari144143 ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 13, c. 43v. La delazione fu dovuta al patrizio veneziano Agostino Venier («fuit prima causa […] excitandi materiam ambaxiatoris ducis Mediolani», ibidem, c. 48v) e, in termini non meglio precisabili, a due uomini di umili origini: il barcaiolo Giorgio da Sebenico e il lapicida Antonio. Il 5 ottobre 1446, infatti, il Consiglio dei Dieci provvide a premiarli entrambi, in quanto grazie a loro erano state portate in luce le trattative occulte tra Cristoforo Cocco e l’ambasciatore di Milano. Giorgio barcaiolo ebbe un vitalizio di 3 ducati al mese e il lapicida Antonio di 2 ducati più un contributo statale per la dote della figlia. Entrambi, inoltre, sarebbero potuti entrare, a loro libera scelta, in una qualsiasi tra le «schole» di Venezia, garantendosi così un ulteriore appoggio assistenziale (cfr. ibidem, cc. 46v-47r). e legato al cir­colo degli umanisti veneziani, venne a pesare il sospetto di segrete collusioni con il duca di Milano; fu riferito, infatti, che egli, sfruttando una sua rete di informatori, vendeva a Milano segreti di stato. Il Consiglio dei Dieci, il 22 settembre 1446, fece dunque arrestare, allo scopo di interrogarli, il cancelliere dell’ambasciatore milanese a Venezia e due servitori del proto­notario Cocco.145144 Romano 2007, 301. Gli interrogatori degli arrestati (28 settembre) confermarono i sospetti. I Dieci, di conseguenza, stabilirono di procedere subito contro il «prothonotarium prodito­rem» Cristoforo Cocco. Rilasciati il cancelliere dell’ambasciatore di Milano e i due servitori del protonotario, a patto che se ne andassero immediatamente da Venezia, il 29 settembre Cristoforo Cocco venne bandito da Venezia e dal suo Dominio e ricercato con una taglia di 2.000 ducati (commutabili in pensioni e condotte militari vitalizie a servizio della Repubblica nel caso la sua cattura fosse stata opera di uomini d’arme).146145 ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 13, c. 43v. Il mandato era di arrestare un servitore del protonotario, ma dalle cc. successive si evince che in realtà i servitori fermati furono due. Il protonotario che «ocultando suam proditionem sub umbra fidelitatis prodidit pa­triam suam et statum nostrum», nel frattempo, continuava a risiedere ben protetto entro i confini dello Stato della Chiesa. Alcuni mesi più tardi, pertanto, il 19 aprile 1447, agli amba­sciatori veneziani che si stavano recando a Roma per congratularsi con il neoeletto pontefice Niccolò V, il Consiglio dei Dieci ingiunse di trattare Cristoforo Cocco da traditore: non lo salutassero, non gli parlassero, non accettassero sue lettere, rifiutassero di ricevere sia lui sia i suoi servitori.147146 Ibidem, cc. 44r-45r. Per circa due anni l’affaire Cocco rimase sottotraccia, ma il 19 marzo 1449 un patrizio veneziano («un zentilhomo nostro») consegnò ai Dieci una lettera scritta da un «religioso» che viveva a Roma. Tra le altre cose narrate si sosteneva che a Roma, in Curia, il protonotario Cristoforo Cocco aveva modo di conoscere i segreti di stato veneziani per svelarli non più, come in passato, al duca di Milano, bensì al re di Napoli Alfonso d’Aragona. Il «reli­gioso» che scriveva da Roma aggiungeva poi, «verbis generalibus», di sapere ma di non osar manifestare, per timore di incorrere in irregolarità che avreb­bero compromesso la sua posizione in Curia, il nome dei tre cittadini vene­ziani da cui Cocco carpiva le proprie informazioni.148147 Ibidem, c. 68r. Considerato l’instabi­le quadro diplomatico della Penisola a metà Quattrocento, rispetto al quale Venezia stava cercando di muoversi con la massima prudenza, il fatto era dunque gravissimo.149148 Ibidem, c. 121r. In breve: il «zentilhomo» che consegnò ai Dieci la lettera di delazione fu Zaccaria Vallaresso e il «religioso» residente a Roma che la scrisse era il nipo­te dello stesso Zaccaria: Maffeo Vallaresso.150149 Si veda un eccellente inquadramento della situazione geopolitica in Fubini 1994. Quest’ultimo, dimorando in Curia, aveva dunque captato notizia dei nuovi maneggi di Cristoforo Cocco e ne aveva scritto, inter alia, allo zio Zaccaria. Quest’ultimo, da uomo di sta­to qual era, decise di porre la delicata questione all’attenzione del Consiglio dei Dieci. Il 19 marzo 1449 i Dieci dettarono una lettera da inviare a Roma a Maffeo Vallaresso: «Nui avemo inteso per via vera como vui savé che le cosse di nostri consei vien manifestade e sapude a Roma e altrove e che vui sete avi­sado quelli è de qui di nostri i manifesta, et a chi, ma che vui resté de manife­starli». La lettera dei Dieci continua precisando che a Venezia era noto come Maffeo Vallaresso si muovesse bene in Curia e come egli fosse «bon e fedel citadin a la patria nostra». Stante la delicatezza della questione, il Consiglio dei Dieci ordinò a Maffeo Vallaresso di rimpatriare subito: «reçevuda la pre­sente litera senza dimora […] ve meté a camin e che vigné a Veniexia». La cosa doveva svolgersi in totale segretezza. Maffeo non doveva svelare a nessu­no l’ordine ricevuto, non motivare le ragioni della sua partenza da Roma e, non appena giunto a Venezia, comunicare ai Capi dei Dieci il proprio arrivo. Per agevolargli il viaggio («perché non vegné a vostre spexe») il Consiglio dei Dieci autorizzò Maffeo Vallaresso a riscuotere una lettera di cambio di 70 ducati presso la filiale romana del banco Medici, ma fu severo nell’ingiungere a Vallaresso la più celere obbedienza e nel dichiarare che non si sarebbe potu­to «per algun modo acetar alguna vostra scusa», sotto pena della privazione di tutti i benefici posseduti da Vallaresso nel Dominio veneziano e del bando da tutte le terre della Repubblica.151150 Lo si ricava indubitabilmente dallo sviluppo della vicenda (cfr. infra). È probabile che Zaccaria Vallaresso abbia esibito ai Capi dei Dieci la lettera del nipote in obbedienza a una delibera del Consiglio dei Dieci da poco approvata (29 marzo 1447), in virtù della quale tutte le lettere inviate da chicchessia a qualsivoglia cittadino veneziano e contenenti materie inerenti lo stato dovevano essere presentate ai Capi dei Dieci (cfr. ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 13, c. 60v). A ruota il Consiglio dei Dieci deliberò di ordinare a Zaccaria Vallaresso di scrivere al nipote esortandolo a mettersi in marcia quanto prima. Dopodiché un cursore partì con la lettera dei Dieci e con una liquidità di 20 ducati per l’acquisto a Roma di tre cavalli per condurre a Venezia, quanto prima, Maffeo Vallaresso.152151 ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 13, c. 121v. Quest’ultimo, ricevuta la lettera, che dovette venire inviata nei giorni immediatamente successivi al 27 marzo 1449, ottenne la promozione a protonotario apostolico (4 aprile 1449) e si precipitò a Venezia.153152 Ibidem, c. 122r. Il 22 aprile 1449 Maffeo Vallaresso non solo era già arrivato a Venezia, ma era già stato interrogato dal Consiglio dei Dieci. Non fu un interrogatorio amichevole. Maffeo Vallaresso, infatti, venne «astrictus duriter», ossia sotto­posto non certo a fisica tortura ma a un esame molto severo. Nel corso del duro interrogatorio Maffeo Vallaresso parlò e fece il nome del suo «maximus protector», vale a dire il cardinale Francesco Condulmer. Disse Vallaresso che Condulmer era al corrente delle macchinazioni del protonotario Cristoforo Cocco e che il cardinale sapeva inoltre i nomi dei cittadini veneziani che propalavano al medesimo Cocco i segreti di stato.154153 Nel frattempo un altro e anonimo informatore svelò che due cardinali, il veneziano Pietro Barbo e Prospero Colonna, erano benissimo al corrente della fuga di notizie orchestrata in Curia da parte di Cristoforo Cocco (ibidem, c.122v). Maffeo Vallaresso, tut­tavia, dovette anche aver aggiunto, durante l’interrogatorio, che Francesco Condulmer aveva visto di persona alcuni carteggi di Cristoforo Cocco ma che quei carteggi, a giudizio del cardinale, erano falsi e redatti da un invidioso allo scopo di procurare la rovina del già malvisto protonotario Cocco.155154 Ibidem, cc.123v-124v. Non era rivelazione da poco quella che il cardinal Condulmer sapesse dei complotti di Cristoforo Cocco e non ne avesse fatto parola con il governo veneziano. La decisione immediata del Consiglio dei Dieci, dopo l’interroga­torio di Maffeo Vallaresso, fu quella di inviare a Roma Bertuzzi Nigro, segreta­rio dei Dieci, con precise commissioni. Doveva muoversi in totale segretezza, incontrare il cardinal Condulmer, comunicargli che i Dieci erano al corrente del fatto che Cristoforo Cocco e alcuni patrizi veneziani avevano una pratica segreta con il re di Aragona e precisare che il protonotario Maffeo Vallaresso, sottoposto all’interrogatorio, aveva sostenuto che di tutto ciò egli, il cardinal Condulmer, era informato. Il segretario Bertuzzi Nigro, inoltre, doveva far intendere il disagio del Consiglio dei Dieci, inducendo il Condulmer, noto­rio «fidelis servitor» del governo veneziano, a non voler nascondere informa­zioni di così grande importanza. Se il cardinale avesse fatto i nomi, Bertuzzi Nigro avrebbe dovuto tornare subito a Venezia per riferire; in caso contrario, avrebbe dovuto chiedere udienza al papa e ottenere che quest’ultimo esortasse Francesco Condulmer a parlare. Le commissioni affidate dai Dieci al proprio segretario, infine, misero in conto che Bertuzzi Nigro trovasse il modo di di­scutere dell’affare, con la massima discrezione, con i cardinali Pietro Barbo e Prospero Colonna.156155 Ibidem, cc. 130r-132r. Per quanto riguarda invece Maffeo Vallaresso, l’Avogadore di comun Delfino Venier suggerì di usare la massima severità. Posto che svelare segreti di stato è pericoloso, sostenne, e considerato che il protonotario Vallaresso, sebbene «astrictus duriter», non aveva voluto fare i nomi di coloro che sve­lavano i «secreta nostra» a Cristoforo Cocco, Venier propose di interrogare nuovamente Maffeo Vallaresso: se avesse fatto i nomi, bene; in caso contrario egli doveva essere istantaneamente bandito dal Dominio veneziano e privato di tutti i suoi benefici.157156 Ibidem. La durezza invocata dall’Avogadore Delfino Venier non trovò approvazione in Consiglio dei Dieci, che respinse la proposta con sei voti contrari e quattro astenuti. Pare anzi che i Dieci fossero convinti del­la sincerità di Maffeo Vallaresso. Perciò, il 31 aprile 1449, lo autorizzarono a tornarsene liberamente a Roma.158157 Ibidem, c. 124v. Il ruolo giocato da Maffeo Vallaresso all’interno della spinosa vicen­da del protonotario Cristoforo Cocco finisce qui. Non è questa la sede per ricostruire gli avventurosi sviluppi del caso, tra spie, cacciatori di taglie, trattative complesse e conflitti giurisdizionali. Diciamo solo che le indagi­ni del Consiglio dei Dieci procedettero, con il pieno appoggio del cardina­le Francesco Condulmer e di papa Niccolò V, e che Cristoforo Cocco pagò le sue colpe: venne catturato, tradotto a Venezia e interrogato sotto tortura. Trovò la morte in carcere, a quanto pare per cause naturali.159158 Ibidem, c. 125r. Non è chiaro se Maffeo Vallaresso, in tutta questa faccenda, abbia agi­to inavvertitamente o a ragion veduta. La lettera che lo zio Zaccaria aveva consegnato ai Dieci era davvero una lettera nella quale egli, incidentalmente, accennava alle macchinazioni di Cristoforo Cocco? O non poté essere, piut­tosto, una volontaria delazione effettuata da Vallaresso con il proposito di ma­nifestare, oltre che il fatto in sé, la propria fedeltà nei confronti del governo veneziano, dal quale dipendeva, in ultima analisi, il futuro della sua carriera? Quel che è certo è che il protonotario apostolico Maffeo Vallaresso era già a Roma nel maggio 1449 e che il suo rientro, forse preceduto dall’arrivo in Curia di Bertuzzi Nigro, il segretario dei Dieci, dovette essere accompagnato da preoccupazioni. Come avrebbe reagito il suo protettore cardinal Francesco Condulmer? Cosa avrebbe pensato, la Curia, del suo improvviso assentarsi e del suo ritorno con la notizia di aver suscitato un ingrovigliato caso diplomatico? Maffeo Vallaresso, infatti, aveva per tempo comunicato ai Dieci di come avesse subodorato in Curia che la sua prolungata e ingiustificata as­senza avrebbe potuto risolversi con la privazione dei benefici ecclesiastici che possedeva, cioè i canonicati di Treviso, di Candia e di Chersoneso. La sostan­ziale benevolenza del Consiglio dei Dieci nei confronti di Vallaresso, tutta­via, emerse proprio a questo proposito. Il 14 maggio 1449, infatti, i Dieci stabilirono di scrivere al papa Niccolò V per garantire la posizione di Maffeo Vallaresso. Essi dichiararono che Maffeo aveva dovuto precipitarsi a Venezia in obbedienza a un’esplicita ingiunzione del governo veneziano e chiedevano perciò che egli fosse lasciato pacificamente nel possesso dei propri benefici.160159 Su questa vicenda, un esame più completo della quale ho già intrapreso, tornerò monograficamente 10. Dallo scandalo al successo: il protonotario diventa arcivescovo Nell’anno esatto intercorso tra l’estate 1449 e l’estate 1450, durante il quale egli continuò a trattenersi in Curia, la carriera del protonotario apo­stolico Maffeo Vallaresso giunse a una svolta decisiva. Per comprenderne le dinamiche è necessario fare un passo cronologico indietro e spostare momen­taneamente il campo d’osservazione a Bergamo. Il vescovado di Bergamo, una posizione delicata in un territorio per Venezia di re­cente conquista e al confine con uno stato, Milano, con il quale la Repubblica era ancora in guerra, nel 1437 venne conferito al patrizio veneziano Polidoro Foscari.161in altra sede. Secondo i criteri della politica ecclesiastica veneziana tale nomina non può stupire: poco più anziano di Maffeo Vallaresso, studente di diritto a Padova e anch’egli amico di vari umanisti, il nuovo vescovo di Bergamo era primo cugino del doge regnante Francesco Foscari.162160 ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 13, c. 126v. Polidoro Foscari fece l’in­gresso nel proprio vescovado soltanto nel 1441, quando si conclusero le ostilità tra Venezia e Milano, ma la sua permanenza a Bergamo non fu lusinghiera. Entrato in aperta ostilità con il capitolo della propria cattedrale prima e poi macchiatosi di alcune discutibili azioni (si era impadronito di oggetti liturgici e di libri del vescovado, aveva svenduto argenterie della cat­tedrale e aveva contratto ingenti debiti con cittadini bergamaschi), Polidoro Foscari perse il favore del governo veneziano. Il Senato minacciò di privarlo dei suoi benefici qualora non avesse saldato i propri debiti e restituito quanto aveva sottratto al vescovado, ma il vescovo prima abbandonò Bergamo, poi tentò, senza riuscirvi, di riconciliarsi con il potere veneziano e infine, nel 1448, si ritirò a Roma, presso la Curia pontificia, nello stesso periodo in cui vi giunse Maffeo Vallaresso.163161 Eubel 1914, 214. La permanenza presso la corte di papa Niccolò V valse a Polidoro Foscari, il 5 novembre 1449, il trasferimento dal vescovado di Bergamo, nel quale la sua posizione era ormai irrecuperabile, all’arcivescovado di Zara, nel Dominio veneziano da Mar, diocesi nella quale, fin dalla giovinezza, egli pos­sedeva in commenda l’abbazia benedettina dei SS. Cosma e Damiano, un beneficio assai ricco, da 620 ducati annui.164162 Del Torre 19973. Nelle intenzioni di Polidoro Foscari, la nomina ad arcivescovo di Zara doveva essere cosa transitoria, in attesa di un ulteriore trasferimento in sede più prestigiosa. Egli, pertanto, non si dette cura di recarsi in Dalmazia e si trattenne a Roma. Nell’estate del 1450, tuttavia, nell’Urbe scoppiò un’epidemia di peste, la quale suggerì all’ar­civescovo Foscari di lasciare la città. Forse colpito dallo stesso morbo da cui cercava di mettersi in salvo, giunto a Siena Polidoro Foscari morì il 22 giugno 1450, all’età di 40 anni.165163 Del Torre 19971, 148-149; Romano 2007, 32-33, 147, 204, 299-300; Del Torre 19973. L’arcivescovado di Zara, così, si rendeva vacante appena otto mesi dopo che il pontefice vi aveva destinato Polidoro Foscari. A Venezia la notizia della morte a Siena dell’arcivescovo di Zara era presto giunta, se i parenti del defun­to, il 29 giugno 1450, chiedevano già al Senato veneziano di scrivere al papa per poter riavere indietro i beni dell’arcivescovo.166164 Eubel 1914, 166; Del Torre 19973. Nonostante avesse avuto modo di muoversi con tempismo, il Senato non riuscì a esprimersi in merito alla sorte dell’arcivescovado di Zara. Tutto si decise in Curia romana, con la massima rapidità. Niccolò V non attese infatti la proba del Senato veneziano, che avrebbe dovuto segnalare il proprio candidato per il beneficio vacante, e il 1° luglio 1450, nel giro di una sola settimana dalla morte di Polidoro Foscari, designò il nuovo arcivescovo di Zara nella persona del protonotario apostoli­co Maffeo Vallaresso.167165 Del Torre 19973. La velocità con cui in Curia pontificia si risolse la vacanza di Zara, e il fatto che la nomina non venne minimamente messa in discussione dal gover­no veneziano, lascia intendere come sul nome di Maffeo Vallaresso, tanto a Roma quanto a Venezia, non si avesse nulla da eccepire. Su entrambi i fronti, del resto, Vallaresso si era mosso in maniera intelligente ed oculata per conso­lidare le proprie credenziali e il proprio prestigio. Iniziamo dal contesto politico veneziano. Al di là del pedigree patrizio, presupposto quasi indispensabile per il possesso di un beneficio episcopale nel Dominio veneziano, non si potrà non richiamare la vicenda di Cristoforo Cocco, nella quale Maffeo Vallaresso, come visto, un anno prima aveva svol­to un ruolo tutt’altro che marginale. Il suo contributo fu infatti fondamenta­le per il reperimento delle prove a carico del protonotario Cocco e in ultima analisi fu grazie alle informazioni che egli aveva offerto durante l’interrogato­rio del Consiglio dei Dieci che il governo veneziano poté trovare nel cardinal Francesco Condulmer una figura autorevolissima e vicina al papa grazie alla quale far luce sullo scandalo occorso. Nella lettera del 19 marzo 1449 con cui il Consiglio dei Dieci lo convo­cò a Venezia è riportata, inoltre, una frase che risulta singolarmente coerente con i successivi sviluppi della carriera di Maffeo Vallaresso. Scrissero infatti i Dieci: «E se per vui nui troveremo questi che manifesta i fati nostri, nui ve mantegneremo in el stado vostro e si provederemo che saré exaltado in mol­to mazor, sì che ve troveré ben contento de la nostra signoria».168166 ASVE, Senato Terra, reg. 2, c. 147r. È evidente, dunque, che il governo veneziano ventilava a Maffeo Vallaresso, nell’even­tualità fosse stato collaborativo, un’importante gratificazione beneficiaria. In tal senso, in breve, la non contestazione da parte di Venezia della nomina di Vallaresso alla sede arcivescovile di Zara voluta dal papa suona davvero come una promessa alfine onorata. Nel mantenere di segno positivo l’atteggiamento del governo veneziano nei confronti di Vallaresso contribuirono di certo, peraltro, le cariche occu­pate, all’interno delle magistrature lagunari, dai due più autorevoli membri della famiglia di Maffeo al tempo in cui quest’ultimo venne eletto arcivescovo a Zara. Lo zio Zaccaria (che abbiamo visto attivo durante il caso Cocco) gra­vitava stabilmente nelle più alte magistrature. Egli, per restare ad anni vicinis­simi alla promozione vescovile di Maffeo Vallaresso, fu membro del Collegio, in quanto Savio di Terraferma, a cavallo tra il 1448 e il 1449, membro del Senato nel 1450 e, dalla fine di quest’ultimo anno, podestà in un reggimento importante quale Bergamo; il successo politico di Zaccaria Vallaresso ven­ne infine confermato con la nomina ad ambasciatore a Napoli nel 1451 e a Rimini nel 1452.169167 ASVAT, Registri Vaticani, 394, cc. 11v-12r; 412, cc. 90v-91v. Fu però il padre di Maffeo, Giorgio Vallaresso, nei mesi a cavallo della nomina ad arcivescovo del figlio, a occupare un ruolo politico chia­ve. Sebbene nell’agosto 1449 si fosse macchiato di una disobbedienza assai poco lodevole,170168 ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 13, c. 121v. nel settembre dello stesso anno fu senatore, e, soprattutto, nel corso del 1450, membro del Consiglio dei Dieci, magistratura all’interno della quale egli svolse le più importanti funzioni.171169 ASVE, Segretario alle voci, reg. 4, cc. 89v, 128v, 145r. Cenni sulla missione a Napoli di Zaccaria Vallaresso si trovano in Nicolini 1971, 14. Segnalo le commissioni date a Zaccaria Vallaresso dal Senato e altri documenti relativi alla sua missione: ASVE, Senato, Secreta, reg. 19, cc. 66v, 77v, 83r, 146v, 155r; Senato Terra, reg. 3, c. 9r. La presenza di Giorgio Vallaresso in seno ai Dieci nel corso del 1450 dovette insomma cadere a pro­posito per la carriera ecclesiastica del figlio. Proprio il Consiglio dei Dieci sta­va infatti gradualmente accentrando nelle proprie mani funzioni sempre più rilevanti nella gestione della politica ecclesiastica della Repubblica.172170 In veste di Capitano del Golfo, contro il mandato del governo veneziano aveva restituito ai Catalani una nave che era stata catturata da un suo subordinato (cfr. ASVE, Avogaria di Comun, Raspe, 4649, c. 85v; ringrazio Stefano Piasentini per questa segnalazione). Se sul fronte veneziano tutti gli elementi erano andati combinandosi in maniera assai proficua per Maffeo Vallaresso, a Roma la sua posizione si era mantenuta eccellente. Il cardinale Francesco Condulmer continuò a essergli vicino, ma nei frangenti che portarono Maffeo a divenire arcivescovo di Zara, tuttavia, pare che l’appoggio più importante sia stato quello dell’altro cardi­nale veneziano con cui egli aveva rapporti di familiarità: Pietro Barbo. Una lettera che Vallaresso gli scrisse da Zara nel novembre 1450 testimonia palese­mente il ruolo svolto dal cardinale Barbo nel sostenere la nomina arcivescovile di Maffeo Vallaresso. La lettera in causa trabocca di espressioni di gratitudine (intrise di uma­nistiche formalità, certo) dalle quali si evince come il neoeletto arcivescovo di Zara si ritenesse in obbligo, per il recente avanzamento di carriera, nei con­fronti di Pietro Barbo. Vallaresso richiama gli ingenti benefici e onori ricevu­ti in grazia del cardinale. Dichiara di sentirsi legato al cardinale stesso da un «vinculum» che s’impegna a mantenere saldo per tutta la vita. Promette eter­na memoria della «clementia» e della «summa benignitas» con cui il cardinal Barbo lo ha stimato e sostenuto. Se ne professa, per questo, «servus» e «de­bitor» offrendo altresì la propria persona a qualsiasi incombenza il cardinale intenderà affidargli.173171 ASVE, Segretario alle Voci, reg. 4, cc. 124v, 125r. Giorgio Vallaresso fu infatti Capo del Consiglio dei Dieci nei mesi di aprile, giugno e agosto e inoltre prima «inquisitor» e «camerarius» poi nel mese luglio (ASVE, Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, reg. 13, cc. 176r, 186r, 188v, 189v, 193r. Desiderando inoltre esprimere tangibilmente la propria sconfinata gra­titudine (e il fatto che ciò avvenga subito a ruota della nomina arcivescovile lascia supporre che proprio quest’ultima sia stata la ragione di tanto grande gratitudine), Maffeo Vallaresso inviò a Pietro Barbo un omaggio piccolo ma di grande valore, augurandosi che il cardinale, rimirando di tanto in tanto quel regalo, si ricordasse di lui. Il dono consistette in un’opera di oreficeria antica, una «pusilla tabula» ornata di perle e gemme, lavorata con finezza e raffigurante una «virginea figura».174172 Tale ruolo sarebbe divenuto pressoché esclusivo durante il papato di Sisto IV, dopo la crisi dell’Interdetto e la guerra di Ferrara (cfr. Del Torre 2010, 116). Si trattava, con tutta verosimiglianza, di un prezioso cammeo d’età romana, montato su una tavoletta di metallo prezioso secondo l’uso dei collezionisti quattrocenteschi.175173 Epist., 2. Pietro Barbo do­vette apprezzare questo oggetto, essendo egli, come noto, un vorace collezio­nista di intagli e antichi cammei.176174 Ibidem. Per la consegna al cardinale del prezioso dono, Maffeo Vallaresso trovò un “corriere” d’eccezione: l’umanista venezia­no Zaccaria Trevisan, che sarebbe passato per Roma nel viaggio che doveva condurlo a Napoli, presso il re d’Aragona, in qualità di ambasciatore.177175 McCrory 2006, 61. 11. Un arcivescovado sull’altra sponda dell’Adriatico Barbone Morosini, umanista e uomo politico veneziano,178176 Favaretto 1990, 49-55. fu tra i primi, inviandogli una lettera il 18 luglio 1450, a congratularsi con Maffeo Vallaresso per la nomina arcivescovile. Profondendosi in molti elogi ed esortando l’amico a far tesoro della memoria dello zio Fantino Vallaresso, arcivescovo di Creta e modello di vita religiosa, Morosini sostenne di aver sempre apprezzato la virtù, l’industriosità, la scienza e la sapienza di Maffeo e di non aver mai dubitato, per questa ragione, che fosse destinato a conseguire un importante beneficio eccle­siastico. Ma Zara, scrisse Morosini, andava al di là delle aspettative: non già un semplice vescovado ma addirittura un arcivescovado e, aggiunse, non in una piccola città ma nella «potente e antichissima città di Zara».179177 Epist., 2. Le parole di Barbone Morosini riguardo a Zara non erano in fondo così retoriche. La città di cui Maffeo Vallaresso divenne arcivescovo nel 1450, in­fatti, era il più rilevante centro urbano della Dalmazia veneziana, capace di esercitare la propria influenza sugli altri centri della costa. Zara era entrata a far parte dell’impero coloniale veneziano, alternando periodi di fedeltà a vio­lente ribellioni severamente represse, fin dal pieno medioevo.180178 King 19891, 600-601. Nel 1358, tuttavia, la Repubblica lagunare aveva dovuto arrendersi alla pressione mili­tare del re d’Ungheria, Luigi I, e cedere a quest’ultimo i propri possedimenti dalmati, Zara compresa. Proprio Zara, durante la dominazione ungherese, che si protrasse per mezzo secolo, fu la città che maggiormente beneficiò della momentanea estromissione di Venezia dalla Dalmazia, in quanto ebbe modo di ribadire la propria primazia sugli altri centri urbani della costa e di incre­mentare una politica commerciale relativamente autonoma.181179 Epist., 1. All’inizio del XV secolo, i contrasti dinastici e politici tra Sigismondo di Lussemburgo e Ladislao d’Angiò di Napoli e la contemporanea espansione del regno di Bosnia verso l’Adriatico offrirono a Venezia l’opportunità di reinsediarsi nell’area costiera. Sin dal 1401 molte città dalmate (Pago (Pag), Spalato (Split), Zara...) si rivolsero infatti alla Repubblica in cerca di protezione. Venezia, in un primo tempo, si mosse con estrema prudenza ma dall’estate 1408, considerate anche le avvisaglie di pericolose intromissioni genovesi in Dalmazia, intavolò trattative con re Ladislao per la cessione di alcune città e piazzeforti lungo la co­sta croata, tra le quali Zara. A breve giro la Repubblica acquistò Zara, Aurana (Vrana), Novigrad e Pago sborsando a Ladislao l’enorme somma di 100.000 du­cati. Il 31 luglio 1409 quattro provveditori veneziani fecero così il proprio ingres­so a Zara (la cosiddetta Santa Intrada) e presero possesso della città.182180 Si vedano Lane 1991, 28-54 (passim); Mueller 1996, 29 (ora riedito in Mueller 2021). Alla Santa Intrada seguirono i patti di dedizione che riconobbero statu­ti e istituzioni di Zara, secondo la normale procedura di annessione seguita da Venezia rispetto ai propri domini, e la concessione agli zaratini del privilegio di cittadinanza de intus.183181 Cozzi-Knapton 1986, 198. L’imposizione della sovranità veneziana su Zara fu tutt’altro che semplice. In alcune fazioni del ceto dirigente locale permasero infatti opposizioni e sentimenti antiveneziani così forti da spingere taluni no­bili zaratini a intavolare trattative segrete con il re d’Ungheria per sottrarre la città al controllo veneziano.184182 Mueller 1996; Dissera Bragadin 1995, 176; Pederin 1988. Per la tutela degli interessi veneziani in Dalmazia, Zara aveva un’im­portanza fondamentale. Ne fanno fede la durezza con cui vennero esiliati gli oppositori, l’alto profilo politico dei conti inviati a governare la città (con un salario altissimo: 1000 ducati) e la vigilanza costantemente prestata rispetto alla vita sociale, politica ed economica di Zara stessa.185183 Mueller 2010, 169-170. Le strutturali diffi­coltà di governo, nel caso di Zara aggravate da una “tradizione” di rivolte antiveneziane assai risalente nel tempo, erano le medesime che la Repubblica si trovava a dover affrontare nelle altre città del proprio impero marittimo: sudditi che per la quasi totalità non parlavano italiano; usi e costumi diversi sotto ogni aspetto; monete, unità di misura e tradizioni legislative differenti; istituzioni politiche locali con un ruolo ancora forte; presenze non cattoliche e riti e liturgie differenti sul piano religioso; una cronica insicurezza militare (dovuta alla pirateria e alle scorrerie turche). Insomma, a Zara come altrove nel Dominio da Mar, doveva correre, tra governanti (veneziani) e governati (locali), quel «sense of estrangement» di cui ha ben scritto Benjamin Arbel.186184 O’Connel 2009, 27-29. In una simile situazione generale, il ruolo dei vescovi acquisiva fon­damentale importanza non solo a livello ecclesiastico ma anche politico, so­prattutto in quelle città, come Zara, che svolgevano un ruolo di riferimento per i centri urbani minori e nelle quali il dominio veneziano doveva confron­tarsi con fazioni ostili. Per questa ragione, dopo che esso si rese vacante, nel 1420, l’arcivescovado di Zara fu oculatamente occupato esclusivamente da patrizi veneziani: prima Biagio Molin (1420-1427),187185 Mueller 1996. quindi il domenicano Lorenzo Venier (1428-1449),188186 Arbel 2013. a seguire il già noto Polidoro Foscari (1449-1450)189187 Eubel 1898, 404, 281, 266; Ceccon 2011. e infine, dal 1450, Maffeo Vallaresso. Una simile sistematica occupazione beneficiaria da parte di patrizi vene­ziani non era affatto la regola nelle diocesi del Dominio da Mar. Come dimo­strato dagli studi di Giuseppe Del Torre, infatti, nelle 40 diocesi a parte maris tra 1405 e 1550 si succedettero 373 tra vescovi e arcivescovi, e solo 170 di essi (meno della metà) furono veneziani. La politica ecclesiastica nei confronti dell’arcivescovado di Zara, invece, si discostò da quella seguita nella maggior parte delle diocesi veneziane del dominio marittimo e fu identica a quella che sovrintese alle più ricche e prestigiose sedi vescovili della Terraferma, nelle quali vennero insediati pressoché sistematicamente patrizi veneziani.190188 Eubel 1898, 281 Quando insediò a Zara Maffeo Vallaresso, con un motu proprio sol­lecitato in primis dal cardinale Pietro Barbo, papa Niccolò V dovette dun­que avere ben presente che il governo lagunare non avrebbe accettato, sul so­glio arcivescovile zaratino, un soggetto diverso da un proprio patrizio. Maffeo Vallaresso, non diversamente, preparandosi a governare la propria arcidiocesi, doveva sapere che ad attenderlo v’erano sì l’azione pastorale e la cura d’anime ma anche delicate, benché informali, incombenze politiche. Estremamente significativo, a questo riguardo, è il fatto che nel coro della cattedrale di Zara il seggio arcivescovile fosse posizionato sul lato nord e che, giusto di fronte a esso, sul lato sud, fosse invece posizionato, sotto un leone di San Marco, il seggio riservato al conte veneziano della città: potere ecclesiastico e potere po­litico, dunque, nella città dalmata, anche visivamente e simbolicamente costi­tuivano un nodo pressoché indissolubile.191189 Cfr. supra. 12. Spiccioli canonicali alla vigilia del trasferimento a Zara: Maffeo Vallaresso e Filippo Foscari Maffeo Vallaresso lasciò Roma e la Curia papale in una data imprecisa­ta compresa tra il luglio 1450 e la metà di novembre dello stesso anno. Il 22 novembre, infatti, l’arcivescovo di Zara era a Venezia, dove trascorse gran par­te dell’inverno 1450-51.192190 Del Torre 2010, 78-81. A cavallo tra le ultime settimane trascorse a Roma e il suo soggiorno a Venezia, ebbe inizio per Maffeo Vallaresso una causa be­neficiaria destinata a protrarsi per molto tempo. Egli, infatti, entrò in lite con il patrizio veneziano Filippo Foscari, fratello dell’arcivescovo di Zara da poco defunto (Polidoro Foscari) e cugino del doge Francesco Foscari.193191 Mueller 1996, 40. La controversia era nata da un complesso gioco di avvicendamenti ca­nonicali all’interno del capitolo della cattedrale di Treviso, del quale Vallaresso faceva ancora parte. Morto il canonico Pietro Rosso, infatti, un altro canonico, Giovanni Darmano, esercitando il cosiddetto diritto di opzione era entrato in possesso della prebenda del quondam Pietro Rosso lasciando di conseguenza va­cante la propria.194192 Epist., 3, 4. Poiché Giovanni Darmano era «cortesan et scriptor et abre­viator apostolico», e dunque l’assegnazione del suo canonicato spettava al papa, Filippo Foscari si mise subito in azione per far sì che la prebenda lasciata vacan­te da Giovanni Darmano venisse conferita al proprio figlio undicenne Michele: «scripsi alla bona memoria de mio fradelo [Polidoro] el qual iera in corte che el dicto chalonegà el dovese impetrar per mio fio Michiel».195193 Gullino 1997; Romano 2007, 32, 106, 213, 39, 341, 343, 430, 440. Le cose, però, si complicarono subito per via dei giochi interni alla corte del cardinale Francesco Condulmer. Prima uno scudiero del cardinale, riven­dicandola con una grazia aspettativa, pretese la prebenda del defunto Pietro Rosso già optata da Giovanni Darmano. Poi il medesimo scudiero cedette la grazia aspettativa a un «secretario» del cardinal Condulmer, Giovanni da Udine. Quest’ultimo, infine, assecondando il volere del cardinale, cedette la propria aspettativa sulla prebenda del fu Pietro Rosso a un nipote del medesi­mo cardinale Francesco Condulmer, Vittore Dolfin.196194 ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Actorum, mandatorum, praeceptorum, 18, alla data 23.07.1455; Causarum ordinariarum, 1, fasc. 16 non num., cc. 2r, 7rv, 8r.3r 30.08.1454. Sui due canonici trevigiani citati, cfr. Pesce 1969, 92-94 (Giovanni Darmano), 94-95 (Pietro Rosso). La situazione era complessa: il canonicato vacante era uno, quello di Pietro Rosso, e i pretendenti erano tre: Giovanni Darmano, Michele Foscari e Vittore Dolfin. La controversia parve destinata a raggiungere una veloce so­luzione alla morte di Polidoro Foscari (giugno 1450): quando l’arcivescovado di Zara posseduto da quest’ultimo venne concesso dal papa, come sappiamo, a Maffeo Vallaresso, il canonicato trevigiano dello stesso Vallaresso si liberò. Ragion per cui Filippo Foscari (che già doveva trovarsi a Roma per risolvere la questione dell’eredità del fratello Polidoro197195 ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Causarum ordinariarum, 1, fasc. 16 non num., c. 7r. ) ottenne udienza presso Niccolò V e chiese che la prebenda di Maffeo Vallaresso venisse conferita al proprio figlio Michele.198196 Su quest’ultimo, che sarebbe poi divenuto canonico anche a Padova, cfr. Melchiorre 2014, 146. Due settimane dopo aver nominato Vallaresso arcivescovo di Zara, Niccolò V spedì due brevi al capitolo e al vescovo di Treviso facendo presen­te la sua decisione: nel canonicato vacante per morte di Pietro Rosso doveva essere immesso Vittore Dolfin, il nipote del cardinale Francesco Condulmer; Giovanni Darmano, che aveva optato il canonicato di Pietro Rosso, doveva restare fermo nel canonicato che già possedeva; infine, nel canonicato va­cante per promozione di Maffeo Vallaresso ad arcivescovo di Zara, doveva subentrare Michele Foscari; quest’ultimo ottenne, inoltre, i canonicati che Vallaresso possedeva a Candia e a Chersoneso.199197 Cfr. sulla controversia ereditaria, Del Torre 19973. Maffeo Vallaresso accettò la decisione papale ma rifiutò di concedere le rendite canonicali del 1450 al canonico subentrato nelle sue prebende, Michele Foscari. Il padre di questi, Filippo Foscari, protestò: «io li respuxi che io non voleva che li havese, perché la raxon né l’onestà non pativa che el fuse arcivescovo de Zara et scodese le intrade tute de lo arcivescovà et fuse calonego de Trevixo et de Candia et scuoder i fructi». Maffeo Vallaresso, che impugnava uno statuto capitolare di Treviso a sostegno delle proprie ragioni, respinse la protesta di Filippo Foscari e ne nacque una causa che si trascinò per cinque anni e che il 15 aprile 1451, il papa Niccolò V si risolse a delegare al patriarca di Venezia Lorenzo Giustiniani, che avviò una pro­pria indagine.200198 ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Causarum ordinariarum, 1, fasc. 16 non num., c. 7r. Nel frattempo era andato a vuoto un arbitrato del cardinal Pietro Barbo (novembre 1451) che aveva fissato in 54 ducati la somma compromissoria che Maffeo Vallaresso avrebbe dovuto sborsare ai Foscari. Tra proteste, appelli e continue negoziazioni di Vallaresso con il cardinale Pietro Barbo, solo il 18 luglio 1455 il patriarca di Venezia Lorenzo Giustiniani riuscì a pronunciare la sentenza definitiva. Il braccio di ferro premiò Maffeo Vallaresso: gli ven­ne concesso di non versare ai Foscari i frutti del canonicato di Treviso e fu costretto a versare unicamente i frutti che aveva riscosso dai due canonicati cretesi dal giorno della sua consacrazione vescovile in poi.201199 Ibidem, cc. 2r, 3r. La somma, ver­sata dal vicario di Vallaresso Donato Belloria il 25 agosto 1455, fu fissata in quei 54 ducati che l’arbitrato del cardinale Pietro Barbo aveva stabilito fin dal 1451.202200 Ibidem, cc. 2r-8v. Ma la cosa era destinata a protrarsi ancora, poiché Maffeo Vallaresso sollevò, come testimonia il suo Epistolario, ulteriori rimostranze.203201 La sentenza del patriarca sta in ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Actorum, mandatorum, praeceptorum, 18, alla data 18.06.1455. L’evolversi della causa può essere ricostruito anche grazie alle lettere di Maffeo Vallaresso (cfr. Epist., 109, 121, 145, 147, 199) e ad alcuni materiali docu­mentari c/o BCTV, ms. 742 (33), cc. 35r, 26r-37r (numerazione ex fine codicis). Ma torniamo al soggiorno veneziano di Maffeo Vallaresso. Trovandosi nella sua città natale, il 22 novembre 1450 egli scrisse al capitolo cattedrale di Zara spiegando che svariati negozi lo trattenevano ancora lontano ma che aveva provveduto a inviare in Dalmazia due propri rappresentanti affinché preparassero l’episcopato per il suo arrivo. L’arcivescovo aveva affidato questa incombenza al proprio fratello Giacomo e a Donato Belloria, già designato vicario generale.204202 ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Actorum, mandatorum, praeceptorum, 18, alla data 25.08.1455. Maffeo Vallaresso giunse a Zara di persona, via mare, il 14 febbraio 1451, come si deduce chiaramente dalla lettera che egli inviò, il 17 marzo di quell’anno, al papa Niccolò V. Ringraziando ancora il papa per la nomina ar­civescovile, Vallaresso dichiarava di essere stato accolto benevolmente e con ogni onore dal popolo e dal clero zaratini e di essere pronto ad avviare la pro­pria azione pastorale. 13. Maffeo Vallaresso a Zara: un arcivescovo dinamico, ingombrante e in contrasto con il proprio clero Non analizzeremo dettagliatamente, in questa sede, il quasi mezzo secolo filato durante il quale Maffeo Vallaresso resse l’arcivescovado di Zara (1450-1494). Una simile analisi ci porterebbe infatti troppo lontano e sarebbe comun­que destinata a essere assai più che parziale, dal momento che i fondi archivi­stici croati, contenenti le notizie più dirette sull’attività vescovile di Vallaresso, rimarrebbero ancora tutti da esplorare. Sull’episcopato di Vallaresso, inoltre, vi sono i fiumi di notizie che scorrono nell’Epistolario qui di seguito pubblicato. Ad altri, dunque, approfondire nel dettaglio le singole questioni. Noi ci limite­remo a enucleare alcuni snodi fondamentali e significativi. Va osservato, in primo luogo, come l’Epistolario non ci segnali, per il periodo 1450-1463, che alcune intermittenti assenze di Vallaresso dalla pro­pria sede zaratina. Per circa un decennio dalla sua nomina, dunque, egli fu un arcivescovo residente; circostanza per nulla scontata per un colto ecclesiastico insediato in una diocesi del dominio coloniale veneziano. Spessissimo, infatti, i vescovi titolari nel Dominio da Mar preferivano assentarsi e affidare a sosti­tuiti l’amministrazione diretta delle proprie sedi diocesane. Giunto a Zara per prendere possesso dell’arcivescovado il 14 febbraio 1451,205203 Epist., 432, 433. Maffeo Vallaresso lasciò la città unicamente tre anni dopo, l’8 set­tembre 1454, quando si trasferì a Venezia dove soggiornò almeno fino al 15 novembre dello stesso anno.206204 I profili di questi due uomini di fiducia di Maffeo Vallaresso rimangono ancora tutti da rico­struire. Di Giacomo Vallaresso, come sopra accennato, è noto che aveva intrapreso la carriera ecclesia­stica, che si trattenne in Curia romana ai tempi di Paolo II e che parecchi anni dopo divenne vescovo di Capodistria (cfr. passim in questo saggio introduttivo per più puntuali rimandi archivistici e biblio­grafici alla sua figura. Quanto al vicario generale scelto da Maffeo, Donato Belloria, sappiamo che egli era originario di Serravalle, nel Trevigiano, e che fu sostenuto nei suoi studi universitari, che si svolsero a Padova, tramite una serie di lettere di raccomandazione inviate proprio da Maffeo Vallaresso a pro­fessori dello Studium patavino così come al vescovo di Padova Fantino Dandolo (Epist., 222, 226, 227, 228, 229, 230, 232). Il 6 gennaio 1455 Vallaresso era già tornato a Zara207205 Epist., 6. e vi sarebbe rimasto per un altro triennio fino a quando, il 18 maggio 1458, si trasferì nuovamente a Venezia, trattenendovisi senz’altro fino al 16 luglio 1458; lo si ritrova ancora a Zara a partire dal 4 ottobre di quello stesso anno.208206 Epist., 147, 154. Maffeo Vallaresso si assentò nuovamente dal proprio arcivescovado sette mesi più tardi: egli passò per Venezia il 5 maggio 1459209207 Epist., 155. e dal 2 ottobre iniziò un lungo soggiorno a Padova, la città dove aveva studiato e conservava ancora molti amici.210208 Epist., 303, 313, 323. Egli, infatti, dimorò a Padova sino al 22 giugno del suc­cessivo 1460 per tornare a Zara solo il 9 settembre.211209 Epist., 335. Rimasto in sede per un altro triennio, Maffeo Vallaresso lasciò Zara all’inizio del 1463: lo troviamo infatti a Venezia il 13 febbraio212210 Epist., 336. e infine, l’11 giugno, a Roma;213211 Epist., 373, 375. torneremo diffusamente più sotto sulle ragioni del nuovo soggiorno romano di Vallaresso. In merito all’azione vescovile di Maffeo Vallaresso, un secondo aspetto da segnalare riguarda il suo attivismo. Egli, infatti, non si limitò a percepire le rendite episcopali disinteressandosi alla condizione della propria diocesi, ma fu assai dinamico e incisivo. La sua concezione del mestiere di vescovo si reggeva sulla volontà di esercitare un’azione pastorale organica e un governo diretto e fermo sulla gerarchia ecclesiastica locale. Tale atteggiamento, tuttavia, fu all’ori­gine di continui attriti tra Vallaresso e il clero dell’arcidiocesi zaratina. Molti potrebbero essere gli altri esempi riguardanti le dure opposizioni sollevate dagli ideali pastorali e di governo di Maffeo Vallaresso. Potremmo citare il sinodo vescovile convocato dall’arcivescovo di Zara nel dicembre 1460, durante il quale, oltre a tentare un disciplinamento e una moralizza­zione del clero, egli intraprese una politica volta a contenere la consuetudine locale di celebrare la liturgia in lingua croata; Maffeo Vallaresso restrinse a due sole chiese zaratine il diritto di celebrare gli offici liturgici nella lingua locale, proibendolo in tutti gli altri luoghi sacri della città. Questa iniziativa incon­trò l’ostilità del clero e della comunità di Zara, che si dimostrarono assai restii all’applicazione del decreto sinodale.214212 Epist., 474. Anche la politica urbanistico-architettonica perseguita da Maffeo Vallaresso fu ragione di contrasti. La costruzione di un nuovo e sontuoso campanile per la cattedrale fu osteggiata come inutile sperpero delle risorse della Mensa vescovile e capitolare. Il restauro del palazzo episcopale da un lato e dall’altro la fabbrica di una seconda e sontuosa dimora vescovile nel paese zaratino di San Cassiano (Sukošan), pur portata a compimento entro il 1470, dette luogo ad attriti, accuse e polemiche.215213 Epist., 475. La politica di disciplinamento ecclesiastico seguita da Maffeo Vallaresso, inoltre, fu un autentico vaso di Pandora per quanto riguarda l’alto clero dell’arcidiocesi e, in particolare, di Zara. Nacquero frizioni con i propri ve­scovi suffraganei, come ad esempio, nel 1453, con il vescovo di Nona Natale da Venezia.216214 Strika 2010, 38. Come si vedrà meglio più sotto, quindi, furono continue e molto aspre le controversie con il capitolo cattedrale di Zara, geloso custode di privilegi e consuetudini della vita ecclesiastica zaratina che mal sopportava le “ingerenze” di Vallaresso. I canonici di Zara, ad esempio, nel 1457 vennero richiamati con singolare durezza dall’arcivescovo all’obbedienza, all’adozione di uno stile di vita che non desse adito a mormorazioni e al rispetto delle ba­silari norme dello stato clericale.217215 Petricioli 1969; Bianchi 1879, 165. Tali scontri tracimarono più volte in frizioni e rancori personali. Si può segnalare a questo proposito, oltre a una lite sul conto della riscossio­ne delle decime capitolari combattuta contro Vallaresso dall’arcidiacono Francesco Damiani, la contesa giudiziaria originatasi dalla scomunica inflitta da Vallaresso a Deodato (Bogdan) Venier. Quest’ultimo, canonico di Zara, abate commendatario della ricca abbazia zaratina di S. Crisogono e cappel­lano del cardinale Francesco Condulmer, si era macchiato di varie disobbe­dienze ecclesiastiche e gravi crimini (tra i quali l’asserto stupro di una ragaz­zina decenne) e lottò per anni, con sorprendente acredine, contro il proprio arcivescovo.218216 Epist., 110. Maffeo Vallaresso si trovò ad affrontare questioni spinose e acerrime anche con il clero regolare. È il caso del contrasto, iniziato nel 1453, con i francescani conventuali del convento di S. Francesco di Zara, che conduceva­no vita corrotta, scandalosa, criminosa e disonesta.219217 Epist., 260, 312, 336, 426. Vallaresso, per questo, nel 1454, prima li privò delle rendite e quindi, con il sostegno della cittadi­nanza zaratina, li espulse dal convento di San Francesco insediando in loro luogo i francescani osservanti del convento di S. Croce, fin prima dimoranti in un convento fuori le mura di Zara esposto alle razzie dei Turchi. Tuttavia, ben presto, gli stessi Osservanti trovarono ragioni di conflitto con l’arcivesco­vo: a loro detta, infatti, Maffeo Vallaresso avrebbe voluto aggregare le loro rendite a quelle dell’arcivescovado.220218 Neralic 2007. Di tutto ciò fanno fede le lettere di Vallaresso, che ben ricostruiscono la spigolo­sità della vertenza: Epist., 383, 392, 393, 394, 397, 399, 427. Altra controversia emersa negli ambienti del clero regolare insorse nel 1458 allorché Maffeo Vallaresso venne denunciato al governo veneziano e al patriarca di Venezia dalla badessa e dalle monache di S. Maria di Zara, le quali, «istigate dalla mente malevola e dall’animo malvagio di alcuni nobili di Zara», si erano sentite lese nelle proprie consuetudini dall’azione corret­tiva dell’arcivescovo e dalla scomunica inflitta loro da quest’ultimo. Maffeo Vallaresso, accusando la badessa di protervia, superbia, temerarietà e inettitu­dine, per discolparsi, si risolse a scrivere al cardinale Barbo, al doge Pasquale Malipiero e al patriarca di Venezia Maffeo Contarini.221219 Epist., 114. Non era una diocesi semplice, insomma, quella di Zara e tanto più per un arcivescovo che, come Maffeo Vallaresso, pur disposto a non ostacolare gli interessi del governo veneziano e i legittimi diritti della Chiesa romana, si tro­vava a dover negoziare i propri ideali pastorali con una società ecclesiastica (e civile) di spiriti spesse volte ostili o, quantomeno, assai lontani dalle consue­tudini delle diocesi veneziane di Terraferma. 14. Un arcivescovo tra libri, copisti, autori classici e anticaglie Nonostante tali oggettive difficoltà di governo, Maffeo Vallaresso trovò il tempo per continuare a coltivare, da arcivescovo di Zara, i propri interessi eruditi e umanistici. Gli echi del suo entusiasmo per il mondo classico si col­gono forti e chiari nei continui giochi di citazioni e rimandi con cui infittisce le proprie lettere, ricamandole con richiami ripetuti ad auctores greci e lati­ni, come Cicerone, Catone, Esopo, Perseo, Zenone, Pallade, Orazio, Ennio, Ippocrate, Omero222220 Epist., 143, 144. … La dedizione umanistica dell’arcivescovo di Zara, tut­tavia, emerge soprattutto nell’impegno con cui egli tentò di arricchire la pro­pria biblioteca. Vallaresso, che aveva al proprio servizio un copista, vale a dire il suo cappellano personale Simone da Ragusa (Dubrovnik), faceva infatti parte di una rete di bibliofili all’interno della quale il reciproco scambio di co­dici e manoscritti, classici ma non solo, era vivissimo. Scambi di codici sono testimoniati tra Maffeo Vallaresso e il canonico di Verona Luca Leono, l’arcivescovo di Spalato Lorenzo Zane e il vescovo di Ossero (Osor) Antonio di Pago, il quale aveva consegnato a Vallaresso i Rethoricarum libri di Giorgio da Trebisonda;223221 Epist., 281, 283, 307, 322, 328, 332. ma i prestiti più frequen­ti furono intrattenuti dall’arcivescovo di Zara con Lauro Querini, uno dei più noti umanisti veneziani. Nel 1451 Vallaresso aveva inviato a Querini i «commentarii Victurini in artem veterem» (un trattatello ortografico del pe­dagogo Vittorino da Feltre, forse basato sull’opera del grammatico Ascanio Pediano)224222 Si veda qui Venier, L’epistolario di Maffeo Vallaresso, pp. 123-138. e un preziosissimo manoscritto di Lucrezio. Vallaresso, viceversa, aveva avuto in prestito da Querini dei commentari alle opere di Giovenale e Ascanio (affidati a un copista affinché li trascrivesse) e chiedeva notizie al pro­prio corrispondente circa dei recenti commenti di Lorenzo Valla alle opere di Quintiliano e Cicerone.225223 Epist., 27, 39, 319. I testi scambiati tra i due umanisti veneziani furono davvero molti. Lauro Querini aveva prestato un Diogene Laerzio a Maffeo Vallaresso e quest’ultimo chiedeva con preoccupazione come mai Querini non gli avesse ancora restituito alcuni dei codici a suo tempo prestatigli: un Eliano Acrone, un Lucio Anneo Cornuto, il già noto codice di Lucrezio e un’opera di Persio.226224 Sabbadini 1928; Casacci 1926-1927. Nel gennaio 1452, inoltre, Lauro Querini restituiva a Vallaresso il codice di Lucrezio e chiedeva indietro i commentari di Donato all’Eunuco di Terenzio.227225 Epist., 42. Nel set­tembre 1452, ancora, Vallaresso rese a Querini un codice contenente testi di Quinto Asconio Pediano e alcuni commenti alle orazioni di Cicerone, ma trat­tenne presso di sé i commentari di Donato «super Eunuchum Terentii», che stava facendo trascrivere da un copista insieme ad altre operette contenute in un codice dello stesso Querini.228226 Epist., 25. L’opera di Donato si trovava ancora a Zara, in mano a Maffeo Vallaresso, nel gennaio 1453: l’arcivescovo, infatti, dopo aver saputo che Querini si era messo in viaggio, aveva preferito trattenere il prezioso codice nella convinzione che sarebbe stato un rischio da non correre in alcun modo quello di affidare il codice al mare, senza sapere se Querini fosse approda­to a Creta, dove viveva, o altrove.229227 Epist., 32. Oltre che di testi classici, Maffeo Vallaresso si interessava di antiquaria e reperti archeologici. Raccoglieva cammei, monete e antiche medaglie. Più volte l’arcivescovo di Zara fece dono di tali oggetti al cardinale Pietro Barbo, uno dei più “famelici” collezionisti di oggetti antichi dell’umanesimo quattrocentesco. Come visto sopra, Vallaresso aveva inviato al cardinale un prezioso cammeo nel 1450, subito dopo la sua nomina arcivescovile. Ma anche nel 1459, trovandosi egli a Padova, aveva provveduto a inviare in Curia a Pietro Barbo, per il tramite di suo fratello Giacomo Vallaresso, 18 «medaleas» d’oro e svariate altre d’argen­to, alcune delle quali decorate con gemme e perle. L’anno successivo, inoltre, Maffeo Vallaresso scrisse al cardinale dicendogli di aver recuperato altre meda­glie ancora, e di essere pronto a fargliele recapitare.230228 Epist., 71. Rimanda indubbiamente a un amore per l’estetica classica, infine, una lettera del 4 novembre 1453 inviata da Vallaresso al vescovo di Treviso, il dot­tissimo umanista Ermolao Barbaro. L’arcivescovo di Zara scrisse al Barbaro spiegandogli che stava lavorando al rifacimento e alla decorazione del proprio palazzo episcopale e aggiunse di essere interessato a farvi eseguire dei dipinti simili a quelli che Ermolao Barbaro aveva recentemente fatto realizzare nel palazzo vescovile di Treviso. Il ciclo pittorico di Treviso era opera di un pittore che Vallaresso nella sua lettera chiama «Donatellus». Tale riferimento ha fatto erroneamente supporre a più di uno studio­so, anche recentemente, che il Donatellus in causa fosse nientemeno che lo scultore fiorentino Donatello, impegnato in una giovanile attività pittorica.231229 Epist., 127. Le cose, tuttavia, andarono diver­samente dal momento che a decorare il palazzo vescovile di Treviso non fu Donatello.232230 Epist., 353, 392. Per il Donatellus menzionato nella lettera di Maffeo Vallaresso è stata avanzata l’ipotesi di identi­ficazione con il pittore veneziano Donato Bragadin, che peraltro proprio a Zara aveva operato poco prima dell’arrivo di Vallaresso.233231 Ad esempio Dempsey 2001, 8. L’interesse di Maffeo Vallaresso per il ciclo pittorico trevigiano nasce­va dal carattere squisitamente antiquario, e dunque in se stesso umanisti­co, del soggetto. Il tema, infatti, era quello classico delle cosiddette «Festae Romanae». Vallaresso, ebbene, scrisse ad Ermolao Barbaro chiedendogli che facesse ricavare dal ciclo pittorico di Treviso, riportandoli «in uno papiri fo­lio», due o tre schizzi a colori e che li inviasse quindi a Zara in modo che po­tessero essere imitati nel palazzo vescovile della città dalmata. In tal modo, in conclusione, la residenza episcopale zaratina avrebbe potuto tenere il passo con il gusto rinascimentale allora in voga.234232 Metteva in guardia dall’omonimia già Claudius Marcel Popelin-Ducarre, il curatore dell’edizio­ne francese del discusso testo allegorico Hypnerotomachia Poliphilii (Colonna 1883, CLX) e lo stesso fece anche Serena 1912, 309. 15. La rete epistolare. Una schedatura dei corrispondenti di Maffeo Vallaresso L’Epistolario di Maffeo Vallaresso è senz’altro la vivida traccia e l’e­spressione dei due nodi che abbiamo appena toccato: da un lato il difficile governo vescovile dell’arcidiocesi di Zara e dall’altro gli interessi umanistici di Vallaresso e il ruolo di quest’ultimo all’interno della rete dell’umanesimo quattrocentesco. Le lettere dell’arcivescovo di Zara, tuttavia, possono esse­re esaminate in molte altre direzioni. Tentiamo, qui di seguito, di rivolgere quantomeno uno sguardo corsivo all’Epistolario nel suo complesso. Come detto più sopra, esso consta di 499 lettere, delle quali 46 destinate a Maffeo Vallaresso e le restanti inviate da quest’ultimo a vari destinatari. I cor­rispondenti dell’arcivescovo di Zara sono in tutto 178.235233 Arduino Colasanti, nella voce biografica Donatello all’interno dell’Enciclopedia Italiana, nel 1932, propose l’identificazione del Donatellus di Treviso con il pittore veneziano Donato Bragadin; su quest’ultimo cfr. Prijatelj 1971. Tentarne una classifi­cazione esaustiva non è semplice, per il fatto che un singolo corrispondente può essere riferibile ad appartenenze multiple (ad esempio, essere al tempo stesso un ecclesiastico e un umanista). Tuttavia una ripartizione orientativa di quanti in­trattennero corrispondenza con Maffeo Vallaresso è indubbiamente necessaria per ricostruire la vasta rete di rapporti sedimentatasi nell’Epistolario. Iniziamo dagli umanisti, vale a dire da quanti sono ascrivibili senza om­bra di dubbio, per il loro notorio profilo biografico o per riferimenti espliciti contenuti nelle lettere di Vallaresso, al movimento umanistico. Fra i corri­spondenti dell’arcivescovo di Zara, in tal senso, si possono contare 38 umani­sti “certificati”.236234 Epist., 113. La gran parte di essi (26) è di origine veneziana e rappresen­ta uno spaccato pressoché esaustivo del nucleo centrale dell’umanesimo vene­ziano così come ricostruito da Margaret King.237235 Appendice 3: Corrispondenti di Maffeo Vallaresso (distinti in mittenti e destinatari). Gli umanisti non veneziani, invece, sono in tutto 12 e la loro corrispondenza con Vallaresso può essere interpretata come l’espressione dei rapporti costruiti dal medesimo Vallaresso negli anni del suo soggiorno nella Curia di papa Niccolò V.238236 Appendice 4: Umanisti corrispondenti di Maffeo Vallaresso. Per certi versi, è possibile avvicinare agli umanisti il raggruppamento, per così dire, dei “docto­res”: una ventina tra docenti dell’Università di Padova, giuristi attivi in Curia papale e studenti universitari.239237 King 19891. Rimanendo invece sul nucleo dei 38 corrispondenti di Vallaresso de­finibili stricto sensu come umanisti si dovrà osservare come la maggior parte di essi (23) fosse composta da umanisti-ecclesiastici, a fronte di 15 umanisti appartenenti al mondo laico.240238 Appendice 4: Umanisti corrispondenti di Maffeo Vallaresso. Ciò non può stupire, considerato il profilo dell’arcivescovo di Zara e considerato come la maggioranza assoluta dei cor­rispondenti di Vallaresso (95 su 178) fosse composta da ecclesiastici. Fatte salve alcune istituzioni sottoposte all’autorità arcivescovile di Zara (i capitoli cattedrali di Pago e della stessa Zara) fra i destinatari delle lettere di Vallaresso si possono riscontrare membri della gerarchia ecclesiastica di tutti i livelli. Si registano infatti due papi (Niccolò V e Pio II) e 7 cardinali: Pietro Barbo, Bessarione, Filippo Calandrini, Domenico Capranica, Francesco Condulmer, Pietro Foscari e Isidoro di Kiev. Riferibili agli ambienti pontifici, inoltre, sono perlomeno 12 curiali che costituivano in Curia alcuni dei più fidati contat­ti di Maffeo Vallaresso (uditori di Rota, suddiaconi apostolici, segretari car­dinalizi, scudieri papali…). Ben 39, poi, tra i corrispondenti di Vallaresso, sono vescovi o arcivescovi, per lo più titolari di sedi diocesane facenti parte del Dominio veneziano di Terra e da Mar. Completano questa straordinaria sezione stratigrafica del clero del secondo Quattrocento, infine, 6 ecclesiasti­ci regolari (monaci benedettini, frati domenicani e francescani) e 27 chierici secolari di varia tipologia: dai canonici agli arcidiaconi, dagli arcipreti ai man­sionari, dai cappellani ai presbiteri.241239 Appendice 5: Doctores corrispondenti di Maffeo Vallaresso. Le numerosissime lettere inviate da Maffeo Vallaresso ad altri ecclesia­stici, peraltro, sono a loro volta ripartibili in due categorie: da un lato quelle indirizzate a ecclesiastici a vario titolo sottoposti all’arcivescovado di Zara (ca­nonici, preti in cura d’anime, vicari vescovili, vescovi suffraganei) e dall’altro quelle indirizzate a ecclesiastici di pari livello o posti più in alto nella gerar­chia o, quantomeno, inseriti negli ambienti della Curia papale. Se la prima categoria dà conto della corrente amministrazione episcopale svolta a Zara da Maffeo Vallaresso, la seconda consente di toccare con mano come una com­ponente essenziale del mestiere di vescovo riguardasse la continua ricerca di appoggi, la costruzione e il mantenimento di una rete clientelare solida ed estesa e, in breve, la gestione di una vera e propria attività diplomatica. Nonostante lo sbilanciamento sul fronte ecclesiastico, nell’Epistolario di Maffeo Vallaresso sono molto frequenti anche le lettere destinate ai lai­ci. Tra quest’ultimi, se appena due sono istriani, e 10 sono nobili o cittadini dalmati,242240 Appendice 4: Umanisti corrispondenti di Maffeo Vallaresso. ben 49 sono patrizi veneziani. Il raggruppamento dei corrispon­denti appartenenti a quel ceto patrizio di cui lo stesso Vallaresso faceva par­te raggiunge peraltro il numero di 77 qualora si aggreghino ad esso i patrizi veneziani titolari di benefici ecclesiastici. Limitiamoci, in questa partizione, all’analisi dei 49 patrizi laici. A fronte degli 11 dei quali non conosciamo al­cun incarico pubblico da essi occupato al momento in cui ricevettero lettere da parte di Maffeo Vallaresso, si osserva che 38 dei 49 corrispondenti patrizi dell’arcivescovo di Zara erano titolari di magistrature all’interno dell’ordina­mento politico veneziano. Possiamo segnalare tre dogi (Francesco Foscari, Pasquale Malipiero, Cristoforo Moro) e quindi i vari conti succedutisi a Zara e in altre rettorie dell’arcidiocesi zaratina, gli ambasciatori veneziani destinati a varie sedi e lo stuolo di magistrati operanti negli organi del governo centrale (Procuratori di S. Marco, senatori, consiglieri, segretari, eccetera).243241 Appendice 6: Ecclesiastici corrispondenti di Maffeo Vallaresso. Questo consistente nucleo di lettere indirizzate da Maffeo Vallaresso a esponenti del mondo politico veneziano testimonia l’attenzione e la sistematicità con cui l’arcivescovo di Zara curava i propri rapporti con il mondo socio-poli­tico veneziano, condizione indispensabile per mantenere relazioni distese e pro­ficue ai fini dell’azione pastorale ma, soprattutto, come già detto, per eventua­li progressi di carriera; circostanza, quest’ultima, alla quale Maffeo Vallaresso, come vedremo, da un certo momento in poi fu tutt’altro che insensibile. 16. Una nuova svolta? Maffeo Vallaresso nella Roma di Paolo II Le lettere di Vallaresso si diradano notevolmente, fino a interrompersi del tutto, a partire dal 1462. Si sono infatti conservate 12 lettere del 1463, otto del 1464, nessuna del 1465, una soltanto del 1466, due del 1467, nes­suna del biennio 1468-1469, una del 1470 e tre del 1471. Nonostante la loro esiguità numerica, le ultime lettere dell’Epistolario offrono utili indica­zioni circa la biografia dell’arcivescovo di Zara. Quest’ultimo, infatti, non scrisse questo pungo di lettere da Zara, come di consueto, bensì da Roma. Vallaresso, in altre parole, era tornato nella Curia pontificia, dalla quale si era tenuto lontano all’incirca per un quindicennio. Il ritorno a Roma di Maffeo Vallaresso fu dettato in un primo momento dall’ennesima vicissitudine giudiziaria insorta negli ambienti ecclesiastici di Zara. Al principio del 1462, infatti, Natale da Venezia, vescovo di Nona, era morto per una caduta da cavallo durante una legazione in Bosnia, incarico che gli era stato affidato, insieme al frate Mariano da Siena, da papa Pio II.244242 Appendice 7: Dalmati e Istriani laici corrispondenti di Maffeo Vallaresso. La morte improvvisa di Natale da Venezia, senza che quest’ultimo avesse avuto modo di fare testamento, aveva lasciato aperta la questione della sua eredità. Nel rispetto delle norme canoniche, che prevedevano la consegna alla Camera apostolica, per impiegarlo nella fabbrica di San Pietro, di un terzo dell’eredità del defunto inte­stato, la soluzione delle pratiche ereditarie venne affidata a Maffeo Vallaresso.245243 Appendice 8: Patrizi e magistrati veneziani corrispondenti di Maffeo Vallaresso. Sul finire del 1462, tuttavia, giunse in Curia papale una denuncia circa presunte irregolarità nella ripartizione dell’eredità di Natale da Venezia svol­ta dall’arcivescovo di Zara. L’autore della denuncia era uno dei più convinti nemici di Maffeo Vallaresso, vale a dire il già menzionato Deodato Venier, abate commendatario di S. Crisogono. Quest’ultimo, istigato anche da fra Mariano da Siena, collega nella legazione in Bosnia del defunto, sostenne che l’arcivescovo di Zara aveva falsificato i conti, allo scopo di stornare a proprio vantaggio parti dell’eredità.246244 Epist., 424. Tale denuncia sollevò il risentimento del pontefice Pio II, che fu «pes­sime scandalizatus» dalle voci relative alla disonestà di Maffeo Vallaresso. Di fronte alle insistenti accuse provenienti dalla Curia, e all’acredine espressa dal­lo stesso papa, l’arcivescovo di Zara decise di mettersi in viaggio per Roma, dopo aver annunciato il proprio arrivo con una sommaria autodifesa inviata al tesoriere papale Antonio da Forlì.247245 Epist., 426, 464, 453. Maffeo Vallaresso giunse a Roma l’11 giugno 1463 e vi sarebbe rimasto, nel tentativo di difendersi e di riabilitare la propria immagine, per circa un anno, fino al maggio 1464.248246 Epist., 474. L’arcivescovo di Zara giunse e soggiornò a Roma in una congiuntura che si rivelò assai concitata per vari aspetti. Sul piano personale, innanzitutto, Vallaresso fu raggiunto dalla notizia della morte dello zio Zaccaria Vallaresso, il vero leader della famiglia e il più importante riferimento politico per lo stes­so Maffeo.249247 Epist, 474. Altre notizie preoccupanti arrivavano inoltre da Zara: la città era stata colpita da una violenta epidemia di peste e i Turchi si aggiravano non lontano dalle coste zaratine.250248 Epist., 475, 487. Altrettanto agitate, infine, erano le acque in Curia pontificia. Era entrato nel vivo, infatti, il progetto di papa Pio II per una crociata contro i Turchi.251249 Scrive Vallaresso riguardo allo zio Zaccaria: «erat nobis pro muro stabili, pro clipeo morti, pro portu securissimo» (Epist., 481). La corte papale e lo stesso pontefice si trasferirono ad Ancona, per at­tendervi la raccolta dell’esercito crociato e l’arrivo della flotta promessa da Venezia, il 18 giugno 1464. A seguito della corte di Pio II, anche Maffeo Vallaresso si spostò nella città adriatica. Egli, tuttavia, non rimase ad Ancona più di un mese. Entro il 28 luglio, infatti, abbandonò il campo crociato e tor­nò a Roma, partendo con una certa fretta e lasciando ad Ancona un proprio baule e alcuni forzieri che più tardi si premurò di far condurre a Roma.252250 Epist., 477. A ogni modo, Maffeo Vallaresso non lasciò ad Ancona soltanto un bau­le ed alcuni forzieri, ma anche il proprio cappellano personale, Simone da Ragusa. A quanto risulta dalle sue lettere, Simone da Ragusa, nelle compli­cazioni diplomatiche del raduno crociato e durante l’infierire di un’epidemia che stava mietendo molte vittime, doveva sollecitare la soluzione della causa sull’eredità del vescovo di Nona, nella quale Vallaresso era ancora coinvol­to, e patrocinare altre materie che allo stesso Vallaresso stavano a cuore. Ad Ancona, insieme alla corte papale, v’era del resto il potente patrono dell’ar­civescovo di Zara, il cardinale Pietro Barbo. Quest’ultimo ricevette più volte Simone da Ragusa e altri nunzi successivamente inviati da Vallaresso nella città marchigiana; e il cardinale Barbo, pur essendo malato, ebbe occasione di ribadir loro il suo proposito di favorire Maffeo Vallaresso in ogni necessità o aspirazione.253251 Epist., 488-496. Come si concluse il raduno crociato è cosa nota. Il pontefice Pio II morì ad Ancona tra il 14 e il 15 agosto 1464 e il progetto della crociata andò in fumo.254252 La presenza di Vallaresso ad Ancona, e il suo successivo ritorno a Roma, si evince da Epist., II, 9. Il conclave per la nomina del nuovo papa si aprì il 28 dello stesso mese e al primo scrutinio venne nominato pontefice, con il nome di Paolo II, proprio il cardinale Pietro Barbo. Il grande patrono di Vallaresso, a cui quest’ultimo doveva la propria nomina ad arcivescovo di Zara e nel quale egli riponeva le proprie ambizioni, aveva dunque raggiunto il vertice della gerar­chia ecclesiastica.255253 Nella sfibrante attesa che giungesse ad Ancona la flotta promessa da Venezia, il campo crocia­to venne colpito da un’epidemia. Lo stesso Pietro Barbo fu raggiunto dal morbo all’inizio del mese di agosto, ma riuscì a ristabilirsi e, durante la convalescenza, ad ascoltare quel che gli inviati di Maffeo Vallaresso avevano da dirgli (Epist., I, 488-490). Lo stesso Pietro Barbo, il 12 agosto 1464, scrisse a Vallaresso per ringraziarlo della sua dedizione e fedeltà (ibidem, 491). Nel frattempo Maffeo Vallaresso era tornato a Zara. Non a caso, an­cor prima dell’incoronazione pontificia, il 12 settembre 1464 l’arcivescovo di Spalato Lorenzo Zane, tra l’altro nominato dal nuovo papa tesoriere ponti­ficio, scrisse a Vallaresso. Certo voleva condividere con l’amico il gaudio per l’elezione a papa del comune protettore, ma soprattutto invitava Vallaresso a mettersi in viaggio quanto prima e a venire a Roma per congratularsi di per­sona con il neoeletto pontefice.256254 Mi limito a rimandare a Bisaha 2004; ma si veda anche l’eccellente voce biografica (con nutrita bibliografia) di Pellegrini 2000. Come detto, l’Epistolario di Maffeo Vallaresso diventa avarissimo di notizie proprio in corrispondenza di questi fatti. Non sappiamo se l’arcivescovo di Zara par­tì subito, ma è certo che si trovava nuovamente a Roma nell’aprile 1466. Le ricer­che finora svolte non ci consentono di far luce quanto occorra su questa importante pagina biografica di Vallaresso. Ignoriamo, ad esempio, se il trasferimento a Roma dell’arcivescovo di Zara fu continuativo o intermittente, se fu, cioè, un unico e lun­go soggiorno, durato quantomeno dal 1466 al 1471, o se, invece, si trattò di una ravvicinatissima serie di spostamenti tra Zara e Roma. Maffeo Vallaresso, infatti, si trovava a Roma il 15 aprile 1466,257255 Basti il classico rimando a Pastor 1911, 279-426, da integrare con il dettagliato profilo di Modigliani 2000. e, ancora, il 21 giugno 1467,258256 Epist., 492. il 26 giugno 1468259257 Epist., 493. e il 12 maggio 1471.260258 Epist., 494. Le notizie di cui disponiamo indicano chiaramente, a ogni modo, che le presenze di Vallaresso a Roma coincidono con gli anni del pontificato di Paolo II. In attesa di ulteriori studi che dissolvano ogni dubbio residuo, non possiamo che avanzare due ipotesi riguardanti la vita di Vallaresso nel quin­quennio 1466-1471: o si stabilì continuativamente a Roma, presso la corte di Paolo II, oppure, optando per una sorta di pendolarismo, fece frequentissimi viaggi e prolungate permanenze nella Roma paolina. Quali che siano state la natura e la durata dei soggiorni romani di Maffeo Vallaresso negli anni di Paolo II, abbiamo un’importantissima testi­monianza che suggerisce senza dubbio alcuno come Vallaresso si muovesse con disinvoltura nella Roma paolina. Nel 1466, ad esempio, egli dimorava in una casa che era il suo alloggio consueto («domus nostrae consuetae habita­tionis») la quale era situata nel cuore di Roma, in un luogo davvero significa­tivo, cioè presso la basilica di S. Marco, la “chiesa dei veneziani a Roma”.261259 ASVAT, Arm. XXXIV, 6, cc. 59v-60r. Vallaresso, in altre parole, dimorava a Palazzo Venezia, ovvero nello straor­dinario edificio che proprio il suo protettore, il cardinale Pietro Barbo, aveva fatto erigere, profondendovi enormi risorse finanziarie, dando forma a uno dei complessi architettonici più imponenti del Rinascimento.262260 Epist., 497. Altro documento importantissimo, che lascia intendere quanto grande fosse la dimestichezza di Vallaresso con gli ambienti curiali e culturali della Roma di Paolo II, risale al 1468. Il 26 giugno di quell’anno, infatti, l’arcive­scovo di Zara, assieme all’oratore veneziano presso il papa Pietro Morosini e ad altri testimoni, ecclesiastici e non, si trovava nella casa romana del car­dinale Bessarione. Quest’ultimo aveva deciso di donare la propria biblioteca di codici greci e latini alla Repubblica di Venezia, lascito a seguito del quale avrebbe preso forma il primo nucleo della Biblioteca Marciana.263261 Epist., II, 11. Dopo vari ­preliminari, il 26 giugno 1468 la pratica era giunta al punto della consegna formale della biblioteca in mani veneziane. Letti i vari atti notarili certifican­ti la regolarità di procure e formalità giuridiche, il cardinale Bessarione con­dusse i presenti nella propria biblioteca e, illustrando i codici elencati nell’in­ventario (482 greci e 264 latini), li consegnò formalmente alla Repubblica di Venezia. Maffeo Vallaresso, insomma, fu tra quanti entrarono, quel 26 giu­gno 1468, nella straordinaria biblioteca di Bessarione.264262 Casanova Uccella 1980; Barberini-De Angelis d’Ossat-Schiavon 2015. La presenza di Vallaresso a questo atto di enorme importanza nella storia della cultura del XV secolo è una chiara attestazione di quanto fosse grande la stima di cui egli godeva all’interno degli ambienti umanistici sia veneziani che romani. È dunque tutt’altro che improbabile che l’ascesa al trono papale di Pietro Barbo abbia offerto a Maffeo Vallaresso l’opportuni­tà di interrompere il suo “isolamento” zaratino, con tutti i problemi annessi e connessi, di trovare spazio nella Curia del nuovo papa e di tornare così a frequentare un ambiente stimolante per quanto poteva concernere i suoi in­teressi di umanista. 17. Agi, disagi e ambizioni di un arcivescovo Ignoriamo quali fossero le intenzioni di Vallaresso, durante le sue per­manenze nella Roma di Paolo II, in merito alla propria carriera ecclesiastica. Nel quindicennio precedente l’elezione papale di Pietro Barbo egli non si interessò a un trasferimento dalla sua diocesi dalmata. Sul finire del 1455, infatti, Vallaresso ricevette una lettera dal suddiacono apostolico Giovanni Condulmer con la quale gli veniva comunicata la vacanza della sede vesco­vile di Treviso e veniva esortato a muoversi per ottenere quell’importante beneficio.265263 In un primo momento Bessarione aveva destinato la propria collezione al monastero di San Giorgio Maggiore, ma in seguito preferì che a custodire i suoi codici fossero i Procuratori di S. Marco. I materiali relativi al lascito bessarioneo si trovano in BNM, Cod. Lat. XIV, 14 (=4235), Acta ad mu­nus literarium D. Bessarionis cardinalis Nicaeni, episcopi Tusculani et patriarchae Constantinopolitani, in Serenissimam rempublicam Venetam collatum spectantia. Sul lascito di Bessarione cfr. Labowsky 1979; Lowry 1974; Pertusi 1980, 254; Zorzi 1987; Fiaccadori 1994. La risposta di Maffeo Vallaresso fu tuttavia un garbato e mi­surato rifiuto. Nell’attuale situazione, scrisse a Giovanni Condulmer, non era il caso di desiderare il vescovado di Treviso o cercare di conseguirne la nomina. Il fatto che fosse già in pectore la designazione a quella sede di Marco Barbo, nipote del cardinale Pietro Barbo e intimo amico dello stesso Vallaresso,266264 ASVAT, Arm. XXXIV, 6, cc. 59v-60r. Copia del documento, basata su un testimone della Marciana, è edita in Zorzi 1987, 83-84, 437-438. indusse forse quest’ultimo a mantenersi defilato, ma gli argo­menti espliciti con cui l’arcivescovo di Zara rifiutò la proposta di Giovanni Condulmer furono di segno diverso. Vallaresso sostenne infatti che le rendite arcivescovili di Zara erano sì «mediocres», cioè pari all’incirca, tutto compreso, a 1.100 ducati,267265 Epist., 186. ma esse avevano il grande vantaggio di non essere sottoposte ad alcun gravame fisca­le e, dunque, di essere guadagni netti. Il vescovado di Treviso che Giovanni Condulmer gli proponeva, invece, era sottoposto a ingentissime colte e «an­gariae»; e in più, essendo così vicino a Venezia, comportava la necessità di of­frire a personaggi illustri frequenti ospitalità e «sumptuosa convivia». Maffeo Vallaresso, ciò considerato, pregò l’amico Giovanni Condulmer di eventual­mente dissuadere, in Curia, quanti fossero intenzionati a patrocinare un suo trasferimento a Treviso.268266 Si veda Epist., 18, 38, 70, 79, 93, 120, 129, 193, 200, 208, 215, 303, 304, 305, 313. Nonostante queste dichiarazioni, Vallaresso aveva compreso fin da su­bito che le rendite vescovili di Zara non potevano lasciarlo pienamente sod­disfatto. Esse da un lato erano insufficienti a far fronte alle spese correnti e dall’altro finivano con il ridursi ulteriormente per il fatto che il medesimo Vallaresso si trovava a dover mantenere il proprio fratello Giacomo, ecclesia­stico e suddiacono apostolico ancora privo di benefici sufficienti a un sosten­tamento autonomo.269267 Tale somma, però, risulta tutt’altro che «mediocre», non solo se rapportata alle rendite di altre sedi vescovili nel Dominio da Mar, spesse volte davvero poverissime, ma anche se confrontata con quelle di alcune diocesi di Terraferma, e peraltro non coincide con quella – questa sì «mediocre» - indicata da Eubel per l’arcivescovado di Zara, ovvero 400 fiorini annui (Eubel 1914, 166). Per questa ragione, pur non venendo meno, in un primo tempo, alla propria intenzione di restare a Zara, Vallaresso cercò ripetutamente di ir­robustire le proprie rendite chiedendo al suo potente patrono, il cardinale Pietro Barbo, appoggi e raccomandazioni per il conseguimento di commen­de. Così avvenne nel 1454, quando si rese vacante l’abbazia di S. Niccolò al Porto di Sebenico; nel 1461, quando si rese vacante il vescovado di Nona, poverissimo e a poche miglia da Zara; e ancora, sempre nel 1461, quando si liberò, per morte dell’abate titolare, l’abbazia rurale di S. Michele de Monte fuori le mura di Zara, posta in luogo deserto e con rendite annue di 60 du­cati.270268 Epist., 186. Ma i tentativi di raggranellare commende o altri benefici con cui rimpolpare le rendite arcivescovili non andarono a buon fine. Né Maffeo Vallaresso né suo fratello Giacomo ottennero infatti alcunché. Le lamente­le di Vallaresso circa le proprie rendite, perciò, rimasero un basso continuo nelle lettere del suo Epistolario. A queste soggiacenti rimostranze finanziarie, inoltre, per l’arcivescovo di Zara si aggiungevano altre ragioni di malumore. Vallaresso, infatti, ricono­sceva di trovarsi isolato in «remotissimae regiones», lontane dalla civiltà e nelle quali le notizie arrivavano tardi e in maniera imprecisa.271269 Si considerino le lettere in Epist., 168, 347, 400, 404, 430, 434, 440, 472. Il problema, tutta­via, non era solo di carattere geografico ma anche, per così dire, “socio-antro­pologico”. L’arcivescovo di Zara non nascondeva affatto, a questo proposito, la scarsa simpatia che nutriva nei confronti delle genti dalmate: «questa regio­ne produce uomini più feroci delle stesse bestie, senza ragione, senza mode­stia, senza umiltà, senza alcuna devozione».272270 Cfr, nell’ordine, Epist., 141, 428, 410, 417. Le «viciosae» genti dalmatiche, inoltre, nate ed educate in luoghi aspri e pietrosi, apparivano all’arcivescovo selvagge e barbare, mendaci, furbe, servili e astute; ma anche fiere, incostanti, estranee a ogni coscienza del diritto, ignare degli studi di umanità e prive della sia pur minima virtù.273271 Epist., 54. Altri disagi si appalesarono poi con la presa di Costantinopoli nel 1453 da parte dei Turchi. L’arcidiocesi di Zara, dopo questo evento, fu ripetuta­mente minacciata dalle scorrerie e dalle incursioni ottomane. Le lettere di Maffeo Vallaresso, a questo riguardo, rivelano la sua preoccupazione per l’in­sicurezza cronica generata da tale situazione.274272 Epist., 281. Ragioni di ulteriori pericoli, inoltre, erano l’atteggiamento ostile del re di Bosnia e la sua pressione militare verso la costa dalmata.275273 Epist., 396. Anche le frequenti epidemie di peste, ad esempio nel 1456 e nel 1463, costringevano infine Vallaresso a peregrinare scomodamen­te da un’isola all’altra, in cerca di rifugi sicuri.276274 Epist., 112, 309, 477. Tutti questi fattori, in breve, così come i logoranti conflitti giudizia­ri con il clero locale e l’esiguità delle rendite vescovili, dovettero indurre col tempo Maffeo Vallaresso a pensare con interesse sempre maggiore all’oppor­tunità di un trasferimento in sedi diocesane più ricche e tranquille o di una promozione a più grandi dignità ecclesiastiche. L’elezione a pontefice del suo patrono Pietro Barbo fu indubbiamente, per Vallaresso, la congiuntura ideale per tentare un progresso di carriera. A quanto pare di cogliere dalle lettere inviate da Ancona da Simone da Ragusa, il cappellano di Vallaresso, già nei giorni precedenti l’elezione papa­le del Barbo l’arcivescovo di Zara era interessato a far pressione sul cardinale in vista di “interessi” che le lettere non chiariscono. È tuttavia assai probabi­le che si trattasse proprio di un trasferimento in altra diocesi, dal momento che Simone da Ragusa riferì dettagliatamente quanto avvenne il 12 agosto 1464 in relazione alla morte del patriarca di Venezia Andrea Bondumier, che lasciava vacante il prestigioso beneficio, e dal momento che il cardinale Pietro Barbo ribadì proprio in quella circostanza che aveva a cuore la sorte di Vallaresso più di quella di chiunque altro, e che sarebbe venuto il tempo in cui la sua fedeltà sarebbe stata ripagata.277275 Epist., 398. Si potrebbe anche essere indotti a pensare (ma di questo non abbiamo la minima prova) che Maffeo Vallaresso abbia accarezzato il sogno di diveni­re cardinale. Egli si trovava a Roma, del resto, proprio allorquando Paolo II, nell’estate 1467, stava preparando le prime nomine cardinalizie del suo pon­tificato. In quel momento, oltretutto, morto Ludovico Trevisan e promosso Pietro Barbo al pontificato, la Repubblica di Venezia non aveva più cardinali nel Sacro Collegio; era dunque nell’aria che gli ecclesiastici veneziani avreb­bero avuto margini di successo. Ma degli otto cardinali nominati da Paolo II nel 1467, solo uno fu veneziano, vale a dire Marco Barbo, nipote del papa e intimo amico di Vallaresso. Nemmeno nella successiva tornata di nomine, che si annunciava, in linea con la politica filoveneziana di Paolo II, ancora as­sai favorevole agli ecclesiastici veneziani, Maffeo Vallaresso, che pure era an­cora a Roma, ebbe alcunché da guadagnare: nel 1468 vennero scelti, infatti, Giovanni Battista Zeno e Giovanni Michiel, entrambi giovanissimi, venezia­ni e nipoti del pontefice.278276 Epist., 237, 477. A ogni modo, lasciando stare la partita cardinalizia, durante tutto il suo pontificato Paolo II non condusse in porto alcuna promozione di carrie­ra a vantaggio di Maffeo Vallaresso. Anzi: nei sette anni del papato di Paolo II (1464-1471) si resero vacanti, con l’eccezione di Padova, tutti i vescovadi della Terraferma veneziana, dotati di rendite ben maggiori rispetto a quelle di Zara; e sempre, in occasione di ogni vacanza, a Maffeo Vallaresso fu preferito qualcun altro: Ludovico Donà (a Bergamo nel 1465); Domenico Dominici (a Brescia nel 1464); il cardinale Giovanni Michiel (a Verona nel 1471); Giovanni Battista Zeno (a Vicenza, nel 1470); Teodoro De Lelli (a Treviso, nel 1464); Mosé Buffarelli (a Belluno, nel 1465); Angelo Fasolo (a Feltre, nel 1464).279277 Epist., 489. E se nel ricchissimo patriarcato di Aquileia, nel 1470, Paolo II riuscì a far nominare il proprio nipote Marco Barbo, le tre ravvicinate vacanze del patriarcato di Venezia, nel 1464, 1465 e 1468, premiarono rispettivamente Gregorio Correr, Giovanni Barozzi e Maffeo Girardi.280278 Modigliani 2014. Maffeo Vallaresso, nonostante il soglio papale fosse occupato da quel Pietro Barbo del quale egli si riconosceva «creatura vestra», rimase dunque a bocca asciutta, restando unicamente l’arcivescovo di Zara: una difficile e lon­tana città del dominio marittimo veneziano. 18. Un anziano arcivescovo in cerca di trasferimento L’ultima accertata presenza di Maffeo Vallaresso a Roma (12 maggio 1471) precede di circa due mesi la morte improvvisa di Paolo II (26 luglio). Il papa che succedette al Barbo fu Sisto IV Della Rovere (1471-1484), il quale espresse interessi politici e beneficiari profondamente diversi da quelli in ul­tima analisi filo-veneziani di Paolo II. L’epoca della rete clientelare pontificia favorevole agli ecclesiastici lagunari, strutturatasi al tempo di Eugenio IV, sopravvissuta sotto Niccolò V, indebolitasi con Callisto III e Pio II e infine riportata in auge da Paolo II, si era dunque conclusa. La Curia papale, per Maffeo Vallaresso, a questo punto, non aveva più nulla da offrire. In questo stato di cose, Vallaresso indirizzò le proprie speranze di trasferimento puntan­do direttamente sul governo veneziano. A Venezia l’incidenza politica dei Vallaresso non era tuttavia più quella di un ventennio prima. Nel 1464 era morto il più autorevole membro della famiglia, Zaccaria Vallaresso.281279 Cfr., nell’ordine, Eubel 1914, 214, 111, 265, 267, 248, 103, 153. Il padre di Maffeo, Giorgio, «iam senio con­fectus cui labores corporis minuendi sunt»,282280 Ibidem, pp. 92, 264. morì non molto dopo il di­cembre 1466.283281 Cfr. supra. I tre fratelli laici di Maffeo Vallaresso, inoltre, dopo la morte del padre Giorgio e dello zio Zaccaria non riuscirono a mantenere posizio­ni prestigiose nell’ordinamento politico veneziano. Infatti, se Marco era già morto, primo tra i figli di Giorgio Vallaresso, nel 1483,284282 Epist., 481. Giovanni e Luca dal 1466 circa, anno di morte del padre, al 1514, anno in cui Luca risulta an­cora vivo,285283 ASVE, Cancelleria Inferiore, Testamenti, Notai diversi, b. 26, n. 2240. non ottennero complessivamente che dieci incarichi politici, sol­tanto tre dei quali nelle magistrature maggiori (Giovanni fu senatore nel 1493 e 1496 e Luca membro della Zonta nel 1495).286284 ASVE, Balla d’Oro, 164-III, c. 341v. Le pur modeste carriere dei fratelli dell’arcivescovo di Zara, in altre parole, iniziarono a muoversi oltre vent’anni dopo la morte di Paolo II; troppo tardi perché Maffeo Vallaresso potesse auspicare di trarre qualche vantaggio dalle loro posizioni. Nonostante la diminuita influenza della propria famiglia, nel giro di due mesi dalla morte di Paolo II Maffeo Vallaresso riuscì comunque a far pre­sente il proprio caso al governo veneziano. Quando il Senato, il 9 novembre 1471, nominò i quattro ambasciatori incaricati di recarsi a Roma a congratu­larsi con il nuovo papa Sisto IV, tra le molte commissioni date a quest’ultimi trovarono spazio anche gli interessi dell’arcivescovo di Zara. Si diede infat­ti incarico agli ambasciatori inviati a Roma (Triadano Gritti, Andrea Lion, Marco Corner, Bernardo Giustinian) di prendere contatti preliminari con 15 ecclesiastici veneziani che il governo lagunare riteneva meritori di promo­zione, di sentire da quest’ultimi quali fossero i loro «necessitates et desideria» e quindi di trattare in Curia romana affinché ricevessero benefici degni del­la loro condizione e del loro prestigio. Tra questi ecclesiastici che stavano in cima alla lista di quanti la Repubblica di Venezia intendeva raccomandare al nuovo papa, in breve, v’era anche Maffeo Vallaresso.287285 ASVE, Dieci Savi alle decime di Rialto, Redecima 1514, b. 60, S. Procolo, n. 5. Le raccomandazioni del governo veneziano alla Curia papale, tuttavia, non servirono a nulla poiché l’arcivescovo di Zara non ottenne alcun nuovo beneficio; a meno che (cosa peraltro assai improbabile) non si voglia ritenere che l’ammissione di Maffeo Vallaresso e di suo fratello Giacomo, nel 1474, alla «partecipazione» della mensa comune della congregazione di S. Giorgio in Alga, sia in qualche modo l’effetto delle trattative veneziane con la Curia pontificia.288286 ASVE, Segretario alle voci, reg. 9, cc. 4r, 7r, 11r. Maffeo Vallaresso, comunque sia, nel 1476 aveva lasciato Zara e si era trasferito a Venezia. Lo troviamo alloggiato, infatti, nella sua «domus habita­tionis» situata nella contrada di San Giovanni in Bragora.289287 ASVE, Senato, Secreta, reg. 25, cc. 80r-84r; Del Torre 2010, 106. Fu una perma­nenza motivata da nuove complicazioni giudiziarie. L’arcidiacono della catte­drale di Zara con cui Maffeo Vallaresso aveva avuto spinose acrimonie negli anni precedenti,290288 Tomasini 1642, 344. e che guidava una fronda ostile all’arcivescovo ­all’interno del capitolo cattedrale, sul finire del 1475 aveva denunciato Vallaresso in Curia romana e Sisto IV aveva delegato la causa al patriarca di Venezia Maffeo Girardi. La ragione del contendere era la spartizione delle decime di Zara. Un’altra volta, insomma, Maffeo Vallaresso si trovò costretto a confrontarsi con uno dei problemi più spinosi tra quelli che lo inducevano a desiderare un trasferimento di sede: l’ostilità del clero locale.291289 ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Causarum delegatarum et appellatarum, 8, fasc. 9 non num., c. 4v. Il 12 giugno 1476 Francesco Damiani si presentò a Venezia, nel palaz­zo patriarcale, per dare la propria versione dei fatti, la seguente. La consue­tudine zaratina voleva che le decime fossero ripartite in quattro quarti: uno spettava al vescovo, due al capitolo e uno alla fabbrica della cattedrale. La contestazione riguardava la quarta parte delle decime destinata alla fabbrica, quota che, secondo l’arcidiacono Damiani, Vallaresso utilizzava a proprio ar­bitrio per spese non inerenti l’edificio della cattedrale. Una volta che la mac­china giudiziaria patriarcale si mise in moto, i fratelli di Maffeo Vallaresso, Giovanni e Luca, presentarono le ragioni del fratello. Il cuore delle loro argo­mentazioni era semplice: a) le decime non andavano spartite nei termini indi­cati da Francesco Damiani, bensì in due metà, una spettante all’arcivescovo e l’altra al capitolo; b) l’arcidiacono Damiani, come provato da numerose altre controversie precedenti e da svariate sentenze della Curia, si muoveva unica­mente allo scopo di vessare Vallaresso, inventando di sana piante false ragioni; c) considerata la falsità delle denunce di Francesco Damiani, le bolle papali che commettevano la causa al patriarca di Venezia erano da ritenersi surretti­zie; e perciò, d) il patriarca di Venezia non aveva alcun titolo giuridicamente valido per esprimersi sulla controversia. La linea di Maffeo Vallaresso – respingere il patriarca in quanto giudi­ce non competente sulla materia specifica – causò un duro scontro. Le ragio­ni si succedettero alle ragioni, in un reciproco gioco di accuse: se Francesco Damiani definiva Vallaresso usurpatore, bugiardo, scialacquatore, irrispettoso delle consuetudini e malvisto dalla comunità di Zara, sostenendo inoltre che la chiesa di Zara versava in condizioni di scandaloso degrado architettonico e liturgico, Maffeo Vallaresso descriveva il proprio arcidiacono come fomen­tatore di discordie, rissoso e capace di gesti inconsulti come quello di sedersi, con atto di sfida, sul seggio arcivescovile della cattedrale di Zara; aggiunge­va, per comprovare la dignità della propria persona, di essere «prelatus gravis et in iure doctissimus, optimeque reputationis atque existimationis tam in Romana Curia quam in preclarissima patria sua et in aliis locis». Nella linea difensiva di Maffeo Vallaresso, inoltre, rientrava anche il fatto che la chiesa cattedrale di Zara non versava affatto nel degrado, dal momento che muri e tetti erano bene in ordine, gli ornamenti adeguati e decorosi e il personale ec­clesiastico efficiente. La contesa giudiziaria si protrasse per circa sei mesi, e vide più volte confrontarsi faccia a faccia, di fronte al patriarca, lo stesso Maffeo Vallaresso e Francesco Damiani. L’arcivescovo di Zara uscì vittorioso dal processo se­condo il cavillo legale che aveva messo a punto: il patriarca Maffeo Girardi, infatti, si dichiarò incompetente rispetto alla causa delegatagli dal papa, liberò Vallaresso dalle accuse e ingiunse all’arcidiacono Damiani il pagamento delle spese processuali.292290 Neralic 2007, 286-289. Maffeo Vallaresso vinse certo la causa legale, ma le persistenti acrimonie con il clero di Zara lo indussero a continuare nei suoi tentativi di ottenere un trasferimento di sede, muovendosi sempre (era l’unica sua possibilità, a que­sta altezza cronologica) all’interno delle maglie della politica ecclesiastica ve­neziana. Cinque anni dopo la causa contro l’arcidiacono Damiani, infatti, nel 1481, si liberò il beneficio vescovile più ricco della Terraferma: il vescovado di Padova. Morto Iacopo Zen, il governo veneziano procedette con la con­sueta proba, ovvero con il meccanismo per cui, giunte le candidature da parte degli ecclesiastici o da parte dei sostenitori politici di quest’ultimi, il Senato esprimeva la propria preferenza da sottoporre infine al papa per il definitivo pronunciamento. Il 16 aprile 1481, alla proba per Padova, si presentarono tutti i maggiori ecclesiastici veneziani. Tra di loro c’era Maffeo Vallaresso.293291 La contesa giudiziaria di seguito descritta è ricostruita sulla base di ASPVE, Curia Patriarcale di Venezia, Sezione Antica, Causarum delegatarum et appellatarum, 8, fasc. 9 non num. Anche questa importante occasione beneficiaria, tuttavia, si concluse per l’arcivescovo di Zara con un nulla di fatto. Il governo veneziano e il papa Sisto IV, infatti, si erano già incontrati sul nome del prescelto: il cardinale Pietro Foscari, il cui grande merito era, era stato e sarebbe stato anche in fu­turo quello di funzionare da anello di congiunzione tra Venezia e il papato, in una congiuntura storica in cui i rapporti diplomatici tra il governo lagunare e papa Sisto IV erano tesissimi.294292 Ibidem. Maffeo Vallaresso tuttavia non si arrese, e nel 1485 concorse alla pro­ba per un altro vescovado della Terraferma, quello di Treviso, vacante per morte di Zanetto da Udine. La nota che accompagna il nome di Vallaresso, elencato tra i candidati al beneficio, descrive un ecclesiastico ormai vecchio, stanco della sua lunghissima permanenza in Dalmazia e con estenuate am­bizioni di carriera: «Maffeus Vallaresso, decretorum doctor, iam per triginta quinque annos archiepiscopus Iadrensis». Ma tale Vallaresso sarebbe rimasto. L’elezione al soglio vescovile trevigiano fu infatti combattutissima, poiché il Senato aveva prescelto Bernardo Rossi, figlio del capitano generale dell’eserci­to veneziano, mentre il papa, Innocenzo VIII, aveva sostenuto la candidatura, infine rivelatasi vincente, del padovano Niccolò Franco.295293 Cenci 1968, 410-411. Oltre a Vallaresso, i concorrenti furono: Pietro Dolfin, Ludovico Donà, Pietro Lippomano, Filippo Barbarigo, Girolamo Lando, Nicolò Donà, Bartolomeo Paruta, Antonio Moro, Lorenzo Gabriel, Leonardo Contarini, Francesco Marcello, Antonio Morosini, Pietro Barozzi, Girolamo Trevisan, Vittore Marcello, Giacomo Surian, Pietro Dandolo, Pietro Foscari, Girolamo Bollani, Vittore Trevisan. 19. Conclusione All’età di 70 anni, Maffeo Vallaresso era uno degli ecclesiastici più an­ziani e isolati del Dominio veneziano. Le sue aspirazioni di promozione a un vescovado ricco e prestigioso erano ormai fuori dall’ordine delle cose. Il governo veneziano non avrebbe certo affidato a un anziano ecclesiastico una diocesi importante, che richiedeva energie e una visione, politica e pastorale, al passo con i tempi. La Curia pontificia, d’altra parte, non era più quella in cui Vallaresso aveva mosso i primi passi da ecclesiastico; e nemmeno i mem­bri di essa erano più coloro con i quali, tra il 1450 e il 1462, l’arcivescovo di Zara aveva potuto intrattenere un fitto e amichevole scambio epistolare. Per la Curia romana del pieno Rinascimento, quella di Innocenzo VIII e di Alessandro VI, Maffeo Vallaresso era un oscuro, anziano e ininfluente pasto­re confinato da quasi mezzo secolo in un arcivescovado lontano. Egli, perciò, dovette rassegnarsi a morire da arcivescovo di Zara, in quella dignità ecclesia­stica che aveva ottenuto all’età di 35 anni. Gli studiosi che muovendo dall’Epistolario qui edito si spingeranno ad esaminare con cura i fondi archivistici zaratini potranno indubbiamente por­tare una luce più netta sugli ultimi anni trascorsi a Zara da Maffeo Vallaresso, e comprendere al meglio quel che significò, per la diocesi croata, il lunghis­simo governo di un arcivescovo imbevuto di ideali umanistici, un ecclesiasti­co che in un primo momento, grazie ai propri contatti soprattutto culturali, riuscì a sentirsi in fondo non così periferico rispetto alla societas ecclesiastica e alla respublica litterarum sue contemporanee ma che infine, non essendo­gli riuscito di raccogliere i frutti del proprio prestigio, si rassegnò a chiudere i suoi giorni in un isolamento (storico prima ancora che geografico) ormai inevitabile. Non conosciamo l’esatta data di morte di Maffeo Vallaresso. Egli, senz’altro, era già defunto il 19 dicembre 1494, quando il papa nominò a so­stituirlo Giovanni Robobello, vescovo di Ossero.296294 Del Torre 19972. La nomina non dovette essere così pacifica, se solo sei mesi dopo, il 26 giugno 1495, il Senato venezia­no si risolse, dietro pressioni di papa Alessandro VI, a conferire a Robobello l’arcivescovado di Zara, «vacantem per obitum reverendissimi domini Maphei Vallaresso, ultimi illius ecclesie pastoris».297295 Cenci 1968, 417-419. II L’EPISTOLARIO DI MAFFEO VALLARESSO: ECDOTICA E STILISTICA Matteo Venier ita mihi videri videor esse sepultus, ut in aprico quid agatur clam me sit. Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini, il 15 settembre 1451. 1. Un copista oscitante e un postillatore solerte Il Vat. Barb. lat. 1809 (nel seguito di questo saggio indicato con B) è il fondamentale testimone dell’epistolario dell’arcivescovo di Zara Maffeo Vallaresso.1296 Eubel 1914, 166. Non è dunque corretta la data di morte del 1496, proposta da Segarizzi 1915-1916, 89, sulla scorta di Cicogna 1827, 147. La sua puntuale descrizione è fornita in questo stesso libro da Marco Cursi, e ad essa senz’altro rinvio. Qui mi limito a evidenziare alcuni aspetti esteriori del manufatto, i quali hanno particolare rilievo per quanto andrò nel seguito dicendo.2297 ASVE, Senato Mar, reg. 14, f. 67v. A p. 1 il testo è incorniciato da un disegno a penna; sul margine superiore e destro sono tracciati motivi floreali intrecciati in un festone; nel margine inferiore due figure di angeli sorreggenti una ghirlanda nella quale è iscritto uno scudo (presumibilmente doveva esservi allocato lo stemma di famiglia); sul margine sinistro è il capolettera C decorato con motivi geometrici, fitomorfi e, nella parte sovrastante il capolettera, la figura a mezzobusto di un putto. Nel manoscritto la maggioranza delle lettere comincia con capolettera decorato molto semplicemente a penna. Il tutto fornisce l’impressione che B sia stato allestito con attenzione, senza tuttavia cura per un apparato decorativo classicamente elaborato, con uso di pigmenti. La scrittura è un’umanistica corsiva attribuibile a una mano prevalente, la quale tuttavia usa strumenti scrittorii diversi, per cui l’inchiostro è assai intenso alle pp. 1-106, mentre è più attenuato dalla p. 107 in avanti. Un deciso cambio di scrittura (che corrisponde dunque a un copista diverso dal principale) è evidente solo alle pp. 615-618 (copista 2); altro cambio alle suc­cessive pp. 618-619 (copista 3); le pp. 621-687 (terza sezione del manoscrit­to) sono attribuibili di nuovo al copista principale. B è continuativamente postillato. Il ductus delle annotazioni marginali è sempre molto simile al ductus del copista principale; tuttavia ci sono casi in cui il postillatore usa tratti che lo differenziano dal copista; generalmente il modulo delle postille è assai più piccolo del modulo usato dal copista – il che potrebbe essere conseguente alla necessità di contenere la scrittura in uno spazio ristretto –; ma, oltre a ciò, vanno osservati alcuni fatti peculiari e distintivi: p. 9 mitto pisces in gelatina mg.: inchiostro e ductus di alcune lettere ‘chiave’ invitano a distinguere la mano del postillatore da quella del copista: nella M (capitale maiuscola) eseguita dal postillatore le linee centrali si con­giungono a formare la V sopra il rigo di scrittura, mentre nella M del copista si congiungono a formare la V sul rigo di scrittura; difforme è l’esecuzione della g: l’occhiello inferiore è tracciato dal postillatore dopo un piccolo tratto a discendere dall’occhiello superiore, mentra il copista congiunge i due occhielli; p. 11 pro caritativo s(u)bsidio clericis imposito expurgo me mg.: inchio­stro e penna diversi da quelli usati dal copista; il postillatore usa scriptio plena in caritativo, che è invece abbreviato dal copista; p. 13 Nota vetus proverbium etc. mg.: inchiostro e penna sono diversi da quelli usati dal copista; il postillatore usa scriptio plena in proverbium, che è invece abbreviato dal copista; p. 16 Accuso eum honeste quod non scripsit et excuso me et cetera mg.: inchiostro e penna sono diversi da quelli usati dal copista; il segno tachigrafico & è eseguito dal postillatore senza occhiello superiore (ridotto a un punto) e con tratto inferiore che scende ampiamente sotto il rigo di scrittura e risale quindi con breve curvatura – il copista esegue invece con due occhielli ben distinti e con tratto inferiore che poco discende; p. 17 Nota bonum principium: inchiostro e penna sono diversi da quelli usati dal copista; p. 18 summum ius saepe est malitia: si distingue per colore di inchiostro, ma il ductus è il medesimo; p. 19 admitto excusationes mg.: usa una A capitale senza trattino inter­no, diversamente dal copista; l’esecuzione della s dritta pare diversa: l’asta è nella postilla perpendicolare, mentre nel testo è più sinuosa; p. 30 bona est epistula et cuilibet legenti digna: diverso l’inchiostro – il ductus invece appare identico a quello del copista; p. 42 caso di notevole interesse ai fini della discussione, poiché nella stes­sa pagina ci sono due note marginali, e sono, con evidenza, di due diverse mani; la prima, Epistola commendat[itia] et bona, è evidentemente di mano dello stes­so copista, il quale usa nel postillare (come anche nell’intestazione della lettera) un modulo di scrittura identico a quello usato nel testo, come identico è l’in­chiostro e identico lo strumento scrittorio; invece la seconda postilla è vergata poco sotto, Nota genus hypocritarum: questa è la stessa mano di più piccolo modulo che ha apposto le postille precedentemente discusse; tale mano perciò non va confusa con quella del copista, è una mano diversa; p. 79 Quanto maior tanto humilior / ubi crescunt dona crescunt rationes donorum mg.: nel primo dei due marginali è apprezzabile la diversità del ductus della h: il postillatore chiude il secondo tratto della lettera sulla linea di scrittu­ra, mentre il copista con il secondo tratto scende sotto la linea di scrittura; sem­pre rimarcabile la differenza di inchiostro e dello strumento scrittorio (la penna usata dal postillatore è temperata in modo assai più fine di quella del copista); p. 53 Do noticiam cuiusdam causae meae sibi comissae mg.: modulo, penna, inchiostro della postilla sono ben distinti dai correlativi usati dal copista; p. 55 Quod visitandis liminibus tempus mihi prolongetur mg.: distinto è il ductus del segno di abbreviazione di pro; nell’esecuzione del postillatore il tratto che forma l’occhiello della p scende marcatamente sotto il rigo di scrittura, men­tre nell’esecuzione del copista è tracciato quasi in parallelo alla linea di scrittura; p. 56 tenemur reddere rationem vilicationis omnium subditorum nostro­rum mg.: il segno di abbreviazione per ur in tenemur è tracciato dal postilla­tore con una ampia linea spezzata, a salire, sopra la m; in modo assai diverso il copista abbrevia ur in teneamur con un piccolo segno sopra la m, somiglian­te a una s; ma soprattutto il postillatore scrive correttamente reddere, che invece il copista ha erroneamente scritto deddere; p. 57 Commendatitia et digna epistola mg.: la nota è scritta da due diverse mani, la prima che traccia la parola Commendatitia è evidentemente quella del copista (stesso inchiostro, stesso modulo di scrittura); et digna epi­stola è invece la scrittura del postillatore (cambia il modulo, cambia l’inchio­stro e lo strumento scrittorio); la g è tracciata in maniera sensibilmente diver­sa da quella usata dal copista nel testo: l’occhiello inferiore è tracciato dal postillatore dopo un piccolo tratto a discendere dall’occhiello superiore, men­tra il copista congiunge i due occhielli; p. 129 Responsio huius epistolae habetur in medietate quam vide omnino, quia digna et elegans est mg.: la s nella parola elegans è eseguita rotonda (s), non dritta; invece la s finale è sempre eseguita dal copista in forma dritta; p. 171 Excuso me ab iniqua suggestione abbatis mg.: nel testo, diversa­mente dal postillatore, il copista scrive sugestione, con ortografia scempia; p. 173 Narro quae de abbate mihi referebant(ur) mg.: anche qui è apprez­zabile la diversità del ductus della h: il postillatore chiude il secondo tratto della lettera sulla linea di scrittura, mentre il copista con il secondo tratto scende sotto la linea di scrittura; inoltre è apprezzabile anche una diversità nel tracciare il segno di abbreviazione sopra la t (per tur), poiché il postillatore lo traccia con un leggero svolazzo ascendente, il copista lo traccia come una piccola s; p. 176 no(ta) scandalu(m) occursum ipso ab(bate) auctore mg.: la parola scan­dalum è scritta dal postillatore come scandalu, invece il copista scrive scandalu.; p. 186 il postillatore rileva a mg. tre nomi: Vlixes, Dyogenes, Democrit(us); nel testo il copista scrive Diogenes; inoltre il ductus della V è difforme: il postillatore la traccia come lettera maiuscola, il copista come minuscola, il postillatore abbreva Democrit’, il copista usa scriptio plena; Tale campionatura è a mio giudizio bastante a trarre la conclusione che il postillatore – nella grandissima maggioranza dei casi – è persona diversa dal copista del manoscritto medesimo. A tale osservazione ne va congiunta una ulteriore, concernente l’apparato iconografico. In prossimità di serpentine che evidenziano sezioni testuali considerate più significative, sono sovente tracciati profili scorciati: a pp. 4, 65, 159 (un uomo barbuto iscritto nella serpentina sul lato sinistro), 171 (profilo di un chierico), 372 (profilo di uomo barbuto iscritto nella serpentina sul lato sinistro), 369 (profilo di uomo barbuto, sul lato destro della scrittura, è perfettamente iscritto nella serpentina), 454 (profilo di uomo barbuto in prossimità della nota marginale Nota vitam isto­rum), 486 (profilo di uomo imberbe, con, parrebbe, un copricapo), 546 (pro­filo di uomo barbuto, iscritto nella serpentina, sul margine sinistro); mentre a p. 10 è tracciato il rapido ritratto frontale di un chierico. Frequenti i disegni del pastorale (pp. 65, 78, 87, 111, 324, 371, 423, 431, 516), teste di volatili (pp. 148, 216, 279, 454), piccoli elementi geometrici regolari, descrivibili come cornici (rettangolari per lo più, con lato corto quale base) internamente colorate a penna, a pp. 403, 510, 517 (nel caso un ovale), 537, 546, 563. E poi una miriade di maniculae (pp. 72, 78, 79, 84, 87, 91, 102, 120, 124, 129, 133, 134, 137, 138, 139, 141, 150, 152, 159, 171, 173, 181, 195, 197, 230, 233, 242, 264, 267, 278, 279, 302, 306, 310, 311, 314, 316, 321, 323, 330, 340, 345, 356, 357, 359, 362, 369, 373, 375, 382, 395, 399, 402, 409, 415, 418, 423, 431, 436, 440, 446, 457, 468, 470, 492, 493, 499, 504, 510, 512, 523, 537, 541, 546, 568, , 572, 591, 598, 632, 637, 654, 656, 662). A p. 129 la nota marginale Responsio huius epistolae habetur in medietate quam vide omnino, quia digna et elegans est è incorniciata e sormontata dal disegno di un elemento architettonico – sembrerebbe una colonna su un piedistallo. Tutto l’apparato iconografico (da attribuirsi senza dubbio alla medesi­ma mano) è realizzato spessissimo in perfetta corrispondenza delle note del postillatore e il tratto della penna e l’inchiostro della decorazione, o del dise­gno, appare sempre corrispondere a quello del postillatore. Ragione per cui ritengo ragionevole ed economico attribuire tutti i disegni – e così serpentine e maniculae – alla mano del postillatore medesimo. Ma le postille sono articolate spessissimo in prima persona (ad es. p. 9 mitto pisces in gelatina; p. 11 pro caritativo s(u)bsidio clericis imposito expurgo me; p. 16 Accuso eum honeste quod non scripsit et excuso me et cetera); e B, com­posto di carta prodotta in Padova, appare un manufatto compatibile in tutto con l’ambiente culturale da cui proveniva Maffeo Vallaresso. Chi può dun­que aver esteso una così fitta rete di annotazioni marginali, intervenendo in maniera così diretta e compartecipe alla narrazione epistolare, corredando il tutto di tanti elementi iconografici così peculiari, i quali sembrano ispirati in parte a un concreto realismo (non privo talvolta di qualche ironica venatura), in parte alla volontà di affermare anche iconograficamente (penso ai tanti disegni del pastorale) quell’autorità e quella autorevolezza che più e più volte l’arcivescovo proclama e cerca di tutelare nelle sue epistole? L’ipotesi più sem­plice e immediata è che si tratti dello stesso Maffeo Vallaresso. Se così è, B va considerata una copia idiografa (cioè realizzata in presenza dell’autore) e il copista, il quale adopera una morfologia di scrittura molto prossima a quella del postillatore (il supposto Maffeo) potrebbe essere stato persona a lui vicina culturalmente, educato alle medesime sue abitudini grafiche: cioè uno fra i suoi segretari o collaboratori, se non, addirittura, un suo parente, implicato direttamente nelle vicende narrate, come (ma è solo mera ipotesi) l’amatissi­mo fratello Giacomo. Tale ipotesi incontra però alcune difficoltà. Una parola certa e definitiva sulla paternità delle note (come dell’apparato iconografico) potrà essere pro­nunciata solo per confronto con specimina di riconosciuta e certa autografia. Ad oggi però l’unico confronto è con il manoscritto Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Cicogna 59, contenente quel noto prontuario grammaticale (Regulae) la cui soscrizione recita: «Iste regule sunt mei Mafei Valaresso domini Georgii de contrata Sancti Proculi confessoris. Deo gratias. Amen. Fate de otubrio MCCCCXXXII Venetiis». Ora, come già osservato da Melchiorre,31 Pochissimi altri manoscritti recanti alcune lettere del Vallaresso, o di corrispondenti, sono cen­siti da Kristeller 1965-1997, e, dietro di lui, da Novakovic 2012, 6 n. 1. In particolare: Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 2948 (Miscellanea Tioli), vol. 14 (Kristeller, I, 21a; II, 498b-499a) e vol. 25 (Kristeller, I, 22); San Daniele del Friuli, Biblioteca Civica Guarneriana, ms. Guarn. 28 (Kristeller, II, 566a: raccolta delle epistole di Francesco Barbaro; cfr. Casarsa-D’Angelo-Scalon 1991, 210-218 [scheda di Laura Casarsa]; inoltre Barbaro 1991, 257-281); Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5220 (Kristeller, II, 372a: altro testimone della raccolta epistolare del Barbaro: cfr. Barbaro 1991, 169-170); Vat. lat. 9070 (Kristeller, II, 346b). Sia le lettere comprese nella Miscellanea Tioli, sia quelle comprese nel Vat. lat. 9070 sono copiate da B; invece il Guarn. 28 e il Vat. lat. 5220 ne trasmettono una (quella indirizzata al Barbaro per la promozione a procuratore di San Marco, n° 277) in redazione diversa da B: vd. infra. i pareri in merito al codice sono divergenti: se Arnaldo Segarizzi riteneva che le Regulae fossero opera composta da Maffeo su di un modello grammaticale ascrivibile a Guarino da Verona, e tuttavia non fossero sua autografa trascrizione, gli studi più recenti di Robert Black propendono ad accreditare l’opera al lavoro di un grammatico anonimo e invece accreditano a Maffeo la trascrizione. Sull’auto­grafia del codice io credo occorra cautela, perché la soscrizione certifica non il nome del copista, ma del proprietario (o, potrebbe essere, dell’autore). Ma soprattutto la soscrizione è suddivisa chiaramente in due distinte sezioni: la prima, in un colore rosso acceso, ha un ductus solenne e posato, assimilabile a una littera textualis («Iste regule sunt mei Mafei Valaresso domini Georgii de contrata Sancti Proculi confessoris. Deo gratias. Amen»); la seconda («Fate de otubrio MCCCCXXXII Venetiis») è in diverso inchiostro rosso, in grafia più corsiveggiante, priva dei nessi tipici della textualis, ma anche difforme dalla prima parte in quanto composta in una lingua più prossima al volgare che al latino. Se questa seconda sezione appare graficamente prossima alla mano che ha copiato il testo delle Regulae, la prima parte, invece, ne è assai difforme (basti osservare il ductus della lettera g, che è sempre istruttivo, e non è per nulla coin­cidente con la g vergata dal copista); c’è inoltre ragione di dubitare che una stessa persona abbia scritto tutta intera la soscrizione: a che pro, infatti, avrebbe mutato così repentinamente il suo stile di scrittura? L’identificazione del postillatore di B con Maffeo Vallaresso incontra un’ulteriore difficoltà, e cioè la tipologia delle note stesse, le quali hanno un carattere esclusivamente contenutistico, rivolto cioè solamente agli argomenti trattati nelle lettere, ma non rivelano invece alcuna preoccupazione di tipo filologico, relativa cioè alla correttezza del testo trasmesso dal manoscritto – come invece ci attenderemmo nell’ipotesi che sia l’autore stesso a postillare il manoscritto che tramanda il suo stesso epistolario. Infatti le note apposte a B sono funzionali nella massima parte a porre in rilievo quelle epistole o quelle sezioni testuali ritenute meritevoli di speciale attenzione.42 Di qui in seguito, normalmente con “p.” intendo la pagina del manoscritto B. Come si spiegherà nel seguito, le lettere in B non sono ordinate cronologicamente; nella presente edizione, invece, esse sono state disposte in stretto ordine cronologico; perciò sono caratterizzate da una doppia numerazione: la prima è quella della presente edizione, la seconda, fra parentesi tonda, è quella del manoscritto bar­beriniano. In questa introduzione generalmente faccio riferimento al numero della epistola così come definito nella nostra edizione critica; ma se il numero dell’epistola è dato fra parentesi tonda, ciò vuol dire che in quel caso specifico si fa riferimento all’epistola secondo l’ordine in cui essa appare in B (in appendice al mio contributo sono peraltro fornite due tabelle di corrispondenze fra l’ordine delle lette­re così come ricostruito nella edizione critica e l’ordine in cui le lettere si susseguono in B). Il codice è stato anche digitalizzato – pertanto almeno parte di quanto qui scrivo può essere direttamente verificato on-line, cfr. http://www.mss.vatlib.it/guii/scan/link1.jsp?fond=Barb.lat. Ad es.: p. 14, a 15.1: Bona est epistola; p. 17, a 20.1 nota bonum principium; p. 19, a 21.1 bona est epistola; p. 30, a 14.1 Bona est epistola et cuilibet legenti digna; p. 42, ad 64.2 Nota genus hypocritarum; p. 49, a 82.5 ubi crescunt dona crescunt rationes donorum. Oppure a etichettarne il conte­nuto, ad es.: p. 15, a 19.1 Accuso eum honeste quod non scripsit et excuso me et cetera; p. 36, a 51.1 Narro casum Pagi occursum; p. 40, ad 61.1 congratulatio; p. 42, a 64.1 Epistola commendat[itia] et bona; p. 53, a 100.1 Do notitiam cuiusdam causae meae sibi commissae; p. 57, a 97.1 Commendatitia et digna epistola; p. 409, a 342.1 Inhibeo sibi ne ad sacros ordines aliquem promoveri faciat; p. 462, a 396.2 Nota vitiosum genus Dalmaticorum. Altrove i marginalia richiamano citazioni, proverbi, frasi a carattere gnomico, ovvero i nomi di auctores che compaiono nelle epistole, ad es.: p. 17, a 20.4 summum ius saepe est malitia; p. 49, a 82.5 ubi crescunt dona cre­scunt rationes donorum; p. 88, a 213.3 sententia Platonis; p. 442, a 375.2 Plau­tus; p. 226, a 47.4 Bernardus; p. 432, a 368.3 Maius bonum praeponitur mino­ri et publica utilitas speciali. Più raramente, sono funzionali a commentare (anche ironicamente), a suggerire una interpretazione, a esplicitare quanto trasmesso dalla lettera mede­sima, ad es.: p. 71, a 156.1, dove il testo ha dilatantes maxime sermonem vestrum super facto compositionis per nos fiendae inter paternitatem vestram et Arabes illos, e dove Arabes ha, a mio giudizio, una connotazione ironica – è una paronoma­sia giocata sul termine Arbenses, gli abitanti di Arbe con i quali il destinatario della lettera ha una causa pendente – con la relativa nota marginale avverte: aliter Arbenses dicere voluimus; e a p. 42, a 64.2, dove Giovanni Sobota descrive il comportamento falso di alcuni avversari di un suo protetto (praecipuam san­ctimoniam prae se ferunt, vivosque in catalogo sanctorum, si quis non numeret, commoventur ac indignantur), annota: Nota genus hypocritarum. Più complesso il caso di p. 129, a 273.1 Responsio huius epistolae habetur in medietate quam vide omnino, quia digna et elegans est. Occorre nel caso, per cercare di intendere correttamente la nota, considerare nello specifico il testo della lettera: Facit viri optimi domini Thomae consilium, ut in tuarum litterarum ab eo mihi redditarum responsionem paucioribus contentus sim, quam fortassis expostulet hac in parte vel dignitas rei, vel expectatio vestra, vel voluntas mea, quando quidem ipse prudentis ac optimi viri officio motus, bello pacem anteponit plurisque facit a praesule nobilissimo vinci quam invito eo victoriam triumphumque reportare. Qui è Lorenzo Zane a scrivere a Maffeo, in uno stile artefatto ed elabora­to; la sostanza della questione è che Maffeo ha precedentemente revocato un provento (una mansionaria) di cui Tommaso, vicario di Lorenzo, già aveva goduto, e ha così destato amarezza e delusione in lui e in Lorenzo stesso. Dal tono che Lorenzo usa, pare che Maffeo abbia nel caso autorità e ragione per agire in tal senso (l’argomentazione di Maffeo, esposta in 270.4, è infatti convincen­te). Lorenzo ha già scritto una precedente lettera a Maffeo (non pervenuta), il cui tono doveva essere concitato e diretto; a tale lettera Maffeo ha replicato, appunto, con la n° 270. Nel passo citato della 273 Lorenzo – se ho bene inteso – dice: ‘per suggerimento di Tommaso, in merito alla risposta tua che mi è stata da lui stesso recapitata, mi accontento delle poche parole; e ciò quantunque ben altro richiederebbe l’importanza della questione, l’attesa che abbiamo di voi, la mia stessa volontà, dal momento che Tommaso, mosso dal dovere che è proprio di un uomo prudente, preferisce la pace alla guerra, e preferisce essere vinto da un presule tanto nobile, piuttosto che riportare una vittoria contro la volontà di lui’. A questo esordio così articolato e complicato, in relazione alla responsio cui allude Lorenzo, è la nota di commento: Responsio huius epistolae habetur in medietate quam vide omnino, quia digna et elegans est. Cioè: ‘la risposta è tenuta nel giusto mezzo, vedila, perché è degna ed elegante’; così infatti ritengo debba intendersi il termine medietas – il giusto mezzo, l’equilibrio.53 Vd. Melchiorre, Un arcivescovo umanista, in questo stesso volume, 20. Nel complesso si tratta di annotazioni certamente riferibili a un autore coinvolto in un processo di lettura empatica con le epistole da lui stesso com­poste, o ricevute, in un passato più o meno lontano. E tuttavia, come già osser­vato, esse non dimostrano preoccupazione grammaticale, funzionale a rivisio­nare e correggere il manoscritto, e ciò quantunque (come subito si vedrà) il copista sia incorso in errori anche evidenti, e abbia addirittura lasciato spazi bianchi in casi nei quali, forse, non intendeva l’antigrafo, come a 286.1 et quic­quid est admissum tarditatis virtuti potius . . . cum, dove fra le parole potius e cum è lasciato uno spazio di circa dieci lettere. I pochi interventi di correzione testua­le (pochi davvero, se comparati alla lunghezza dell’epistolario) sono dovuti infatti, quasi sempre, alla mano del medesimo copista, il quale si è autocorretto a margine o inter scribendum, ad es. alle pagine del manoscritto 264 (et B1 : ut corr. s.l.), 347 (senatum om. B1 : add. s.l. B2), 473 (non om. B1 : add. s.l. B2), 519 (me B1 : add. me s.l. B2), 615 (licet litteris indigentem om. B1 : add. mg. B2), ecc. Vi è una sola, ma interessante, eccezione: a p. 462 del manoscritto, in cor­rispondenza dell’incipit dell’epistola 396, dove l’aggiunta marginale iura et rationes meas referam, in primisque scire volo d[ominationem] v[estram] sembra del postillatore (cioè, secondo la mia opinione, di Maffeo stesso) e non del copista; ma un aggiustamento al luogo operato dall’arcivescovo sarebbe ben comprensibile, perché la lettera è una delle più concitate e nevralgiche dell’epi­stolario e concerne un argomento bruciante, la contesa con Bogdan, abate del monastero di San Grisogono, vicenda che è il centro di numerose lettere, e che trova il suo apice proprio nell’epistola 396. Desta dunque lecita sorpresa il fatto che Maffeo Vallaresso, ipotizzato annotatore del manoscritto Barberianiano, non presti una attenzione dovuta, e direi anzi ovvia, alla correttezza testuale del suo stesso epistolario, limitandosi a vergare note con quel carattere di commento, spesso auto-celebrativo e/o apo­logetico, che abbiamo sopra rilevato. A ciò si può forse replicare, considerando che l’arcivescovo zaratino non è propriamente un umanista, con l’indefettibile e caratterizzante interesse filologico, ma un ecclesiastico il quale, al volgere della sua vicenda terrena, ripercorre documenti che testimoniano il suo impegno pastorale, i suoi interessi culturali, e la sua dedizione alla causa familiare, com­memorando fra sé – con comprensibile commozione – vicende che lo hanno nel passato fortemente impegnato e coinvolto. Né certo sarebbe questo l’unico caso di un autore poco attento o disinteressato alla ‘forma grammaticale’ della sua opera. Si pensi, per fare due diversi, ma entrambi significativi esempi, a Boccaccio, il cui notissimo autografo del Decameron, l’Hamilton 90, è affetto da un’‘imbarazzante’ quantità di errori di copia;64 Come chiarito anche nelle abbreviazioni bibliografiche, allorquando si cita una lettera con il solo numero arabo (cioè nella maggioranza dei casi), ci si riferisce sempre alla prima parte dell’epistolario; qualora invece si faccia riferimento a lettere o a testi trasmessi dalla parte seconda, ovvero dalla parte terza, al numerale arabo è premesso il numero romano II, ovvero III. e a Baldassarre Castiglione, l’assetto formale della cui ‘opera unica’, Il Cortegiano, fu curato da altri, essendo lui stesso «un autore senza grammatica».75 Cfr. Lewis & Short 1879, s.v. medietas: «a middle course, medium: medietatem quandam sequi, Dig. 5, 4, 3 fin.; (…)». È interessante che in tale accezione il termine sia in uso nel latino tardo e giuri­dico, che costituisce l’ossatura espressiva dell’epistolario. 2. Scriptor malefidus Chiunque sia il copista di B – un segretario di Maffeo, un suo prossimo parente, come ho timidamente ipotizzato – è chiaro che egli sovente lavora di fretta, ovvero sbadigliando (o entrambe le cose insieme): né possiamo volergliene, essendo il materiale che andava trascrivendo non solo ingente, ma ripetitivo e/o poco interessante (decine sono le lettere di raccomandazio­ne, che possono essere un documento storico significativo per noi moderni, ma che di fatto ripropongono, quasi invariabilmente, le stesse trite formule). Fatto si è che, per fretta, stanchezza, scarso interesse, il latino ecclesiastico e cancelleresco dell’arcivescovo – strumento già di per sé indocile e attorcigliato – viene di frequente viziato da errori di trascrizione, di cui nel seguito si dà una campionatura: 4.1 quod per nos fieri non potest, per eos qui sunt nobis magis proximi exple­atur (expleantur B): il plurale tràdito non è ammissibile, essendo il soggetto sempre quod; forse l’errore è provocato dalla vicinanza di proximi; analoga­mente 257 Singularis humanitas quae in reverendissima dominatione vestra scita praedicatur (praedicantur B, ma nel caso l’errore è stato rettificato dal copista); 298.2 Nova curiae quae significat eadem d[ominatio] v[estra] (significant B): il senso è: ‘le novità della curia che Vostra Signoria comunica’, il verbo al plurale è forse originato dalla prossimità del neutro plurale Nova (la correzione è già dello Jelic). Ma vi sono altri differenti casi in cui la nasale è aggiunta in manie­ra ancor più incongrua: 123.3 Si quid etiam aliud relatione dignum sentire in futurum contigerit, significare nobis cura (contingerit B): la nasale segna infatti il tema del presente, e non del perfetto, qui necessario per la formazione del futuro anteriore (la correzione è di Jelic); ugualmente 314.1 etsi non me fallit arduum esse persuasu ut Urbem reliquerim (relinquerim B); 122.2 De illis vaca­tionibus beneficiorum, quae superioribus diebus contigerunt (contingerunt B); ancor più è fuori posto a 292.1 et non ignorent (ingnorent B). 2.2 pusilla tabula in ea virginea figura primario opere elaborata (plimario B): Maffeo invia in dono a Pietro Barbo un oggetto d’arte prezioso, sembra di intendere l’immagine di una Vergine dipinta su tavola; ritengo primario correzione sicura, per l’altrimenti non attestato plimario, da intendersi: ‘lavo­rata con arte di prim’ordine’, ovvero ‘di fattura sopraffina’. Consimili scambi di consonanti, oppure anche di vocali, sono frequentissimi. Altri esempi: 25.2 videlicet Lucretium Cornutum et Persium (ad Persium B): ad sembra banale distrazione, necessaria è infatti la congiunzione coordinante et. Inol­tre: 105.2 cum simus in eo gradu constituti, ut … rationem reddere (rationem deddere ms): qui è notevole il fatto (già sopra notato) che il postillatore citi a margine il passo secondo lezione corretta e attesa (tenemur reddere rationem vilicationis omnium subditorum nostrorum), senza tuttavia peritarsi di correg­gere la svista del copista. E ancora 153.2 Ad propositum fac ut iuvenis veniat (far B). 251.5 non immemor meae erga te summae caritatis (erge B). 288.1 Cum enim processissem ad institutionem novae sacristanae loco eius quae defun­cta nuper est (super B). 28.3 Nam praemia vobis digna manent dum vires animique sciunt tolle­rare labores (animisque B): necessario il nominativo (animique), l’aggiunta della s finale può essere originata dalla prossimità di vires. 29.5 codices meos quasi quibusdam compedibus vinctos aut quoquam <…> prodire, sivis: il senso è chiaro: Maffeo chiede a Lauro Quirini la resti­tuzione di codici che sono prigionieri presso di quello; ma a seguito di quo­quam (avverbio, aggettivo, pronome che sia) manca una specificazione e pro­dire sembra sospeso (difficile pensare che sia retto da sivis; Jelic corresse sinis, ma è un rammendo non soddisfacente, perché al punto ci sarebbe semmai bisogno di un esortativo, o imperativo, come sinas). 22.4 significare possum (signifare B), fra le tante omissioni, nel caso di un semplice segno di abbreviazione sovrascritto; in maniera in parte simile: 236.1 Licet enim ab ovium nostrarum puliari grege longe videamur abesse: in B è scritto infatti puliari (parola suddivisa, in quanto dislocata a fine rigo: pu / liari), e anche nel caso un’abbreviazione dell’antigrafo non è stata intesa e/o non riprodotta. 298.2 Meo tamen consilio rectius egeritis (retius B). 380.1 certiorem (cetiorem B). 33.2 nemo esset socius te humanior, fidelior, carior, quem tibi praeponen­dum putarem (cui tibi ms): cui è sintatticamente inaccettabile, è necessario il complemento oggetto (né saprei chiarire la genesi dell’errore). 61.2 Quare, etsi ob virtutes ac merita sua in Curiam ampliore munere digna omnium videatur opinione, hic tamen gradus honestissimus est ac perorna­tus (Quae etsi B): la lezione tràdita Quae (che sia inteso come nesso o come relativo subordinante) resta priva di connessione sintattica; ragion per cui è lecito ipotizzare una svista nella trascrizione (l’errore può semplicemente dipendere dalla mancata trascrizione del segno sovrascritto per r); analoga­mente 42.2 Quare, si qua occasio commoditasve data est, calamum statim arri­piam (Quas B): anche nel caso l’errore può dipendere da un errore nello sci­glimento della abbreviazione; così come 366.2 Quare… una mecum perennes gratias … se debere protestantur (Quae B). 64.4 Aegre fert bona illa abs te sequestrari, quo ille et patronatus iure et apostolica auctoritate possidet (quo ms): il tràdito quo può forse essere originale (in accezione di ‘perché’, o simili, sarebbe in ogni caso un uso non classico), ma è atteso quae, correzione dello Jelic. 77.3 cum totiens repetas de quitatione verba (quietatione B): subito prima il termine è usato secondo la morfologia quitatio (che è in qualche modo difficilior):86 Vd. in merito, recentemente, Fiorilla 2015, in particolare 213-215. è pertanto ragionevole rettificare, attribuendo l’incoerenza al copista. 78 quandoquidem vestrae reverendissimae dominationis praesentiam intue­ri nequeo, saltem litteras eiusdem saepius visere vellem (viseri ms): nel latino clas­sico il verbo viso appartiene alla coniugazione terza; la forma tràdita viseri non dà senso. 106.2 Quod si ita feceris, nemo erit qui sit tibi timendus (nemo erit nemo erit B): il manoscritto è costellato di analoghe dittografie (così ad es. 449.3 ac vestrae: ac ac vestrae B), le quali spessissimo (come nei citati casi) non sono rilevate e conseguentemente non sono eliminate. 153.1 dicis postremo te recepisse unum bonum sescal: non trovo altra atte­stazione della voce sescal; è possibile che il copista abbia male inteso l’antigra­fo, forse scritto per compendio, cioè sescal[cum], o anche se[ne]scal[cum]; tut­tavia è questo un caso tipico, nel quale l’editore deve usare prudenza, poiché gli usi lessicali dell’epistolario sono peculiari, e non si può escludere che la voce sia originale (e dunque hapax); in maniera almeno in parte analoga 156.4 polliga, che deve valere polizza. 156.2 nos reiicimus onus ad utrasque partes, nec sit nostrum tantas inter vos componere lites: il nec tràdito è accettabile ammettendo una costruzione influenzata dal volgare (‘né sia nostro affare comporre la divergenza fra di voi’); di tali costruzioni l’epistolario è disseminato; tuttavia non escluderei che la lezione originaria fosse ne, con valore finale (‘perché non sia compito nostro’), e che nec sia addebitabile allo scriptor. 213.2-3 quod et ego … laudo … id asseverans … [3] maioris profectionis esse pro omnibus gentibus … maximos labores molestiasque suscipere, quam in soli­tudine Deum orare: Maffeo si rivolge al patriarca neo-eletto, dicendo che loda la di lui sottomissione al volere di Dio, perché è segno di maggiore profectionis (sic B) spendersi a favore di tutti, piuttosto che trascorrere un vita orante; mi sembra del tutto plausibile che la lezione originaria sia perfectionis (segno di maggior perfezione!), e che profectionis tràdito sia una menda del copista. 285.1 redditae sunt mihi litterae paternitatis vestrae plenae officii et amoris, in eo quod curam et sollicitudinem vestram circa pecunias illas indicant, amoris quod ob tarditatem vestram scribendi ad me veniam precamini: la costruzione richiede la ripresa del termine officii a introdurre la successiva spiegazione, in modo da realizzare una corrispondenza necessaria fra due membri distinti, così: plenae officii et amoris, in eo quod curam et sollicitudinem vestram circa pecunias illas indicant, amoris quod (…); è possibile insomma che ci sia al punto omissione di parola (per prossimità di parola identica). 320.1 provocari te aliquo litterarum genere a me flagitas (…) ut certem tecum calamo, quem graviorem mihi puto quam rastros Menedemi (medendi B): Maffeo si rivolge a Lorenzo Zane, dicendogli: ‘tu mi inviti a sfidarti in qual­che genere letterario, per competere con la penna, la quale io considero più pesante dei rastrelli di Menedemo’; il riferimento è all’Heauton Timorumenos terenziano, dove il punitore di sé stesso è, appunto, Menedemo, il quale, come noto, per autopunirsi si esercita in pesanti agricoli, usando i rastri (cfr. Ter. Heaut. v. 88: «at istos rastros interea tamen adpone, ne labora. ME. Minime»). Il copista non ha inteso, storpiando il nome proprio in medendi (la correzione nel caso mi pare sicura, anche in considerazione del fatto che Terenzio è fra gli auctores citati nell’epistolario; osservo che lo Jelic aveva inte­so che il testo è corrotto, e aveva corretto tacitamente astra metiendi, che for­nisce senso, ma è paleograficamente non ammissibile). 329.1 Conabor tamen aliquando de fonte pedis percussione nato bibere (natum B): l’accusativo natum, grammaticalmente irrelato, va di necessità corretto nell’ablativo nato, che specifica fonte, cioè l’Ippocrene (sorgente sgor­gata, appunto, dal colpo di zoccolo inferto da Pegaso). A 373.1, in una citazione di Giovenale (2,78-81: dedit hanc contagio labem / et dabit in plures, sicut grex totus in agris / unius scabie cadit et porrigine porci / uvaque conspecta livorem ducit ab uva), sono notevoli due errori, il primo dei quali non poteva essere nel testo originale, poiché guasta il voca­bolo chiave per il quale il luogo della satira è citato (al v. 78 contagio è in B corrotto in cogitatio: Maffeo cita il passo parlando del diffondersi di una metaforica epidemia, cioè l’insubordinazione alla Chiesa cattolica); ma anche il secondo errore è improbabile si trovasse nella missiva originale, poiché compromette la metrica (al v. 81 uvaque è in B corrotto in uva quaeque). Ciò comprova la precarietà e la superficialità con cui è stato confezionato B. La grafia del copista, come si chiarirà in seguito, è capricciosa, soprat­tutto (ma non solo) perché costellata di scempiamenti e raddoppiamenti. In una situazione complessivamente caotica, fenomeni di carattere formale pos­sono produrre esiti sostanziali (cioè voci diverse dalle originali, che assumono la consistenza di una variante). Ad es. 400.2 Hoc intellecto illico misi ad eum dicens ei ut dissuaderet abbati (missi B); 448.3 Haec enim causa… maximae dissensionis pacisque violandae (discensionis B); 246.3 nihil quicquam efficax (efficas B). In modo in parte simile 23.2 Spes omnis capellani in te sita est (scita B): il tràdito scita, con epentesi di c, ha ingannato uno studioso pur esperto come Jelic, il quale, invece di eliminare semplicemente la lettera surrettizia, al posto di scita congetturò facta. Un fenomeno in tutto analogo si osserva anche a 160 saepius visere litteras vestras … desidero (viscere B). L’inserzione di una c epentetica è frequente in caso diverso, cioè di fronte a dentale, ma non ingenera ambiguità di sostanza (251 condictio ecc.; 255.1 explecta; 413.1 expectendis; 413.2 audictorum). Invece l’opposto indebolimento di c a fronte di consonante può essere fuorviante, come a 188.2 quaeratis iuvenem aliquem … qui ad dictandas litteras familiares … idoneus habeatur (ditandas B). Per alcune parole giudicate corrotte (o in quanto grammaticalmente non coerenti al contesto, o in quanto voces nihili, non riconducibili a usi les­sicali noti, comprensibili e linguisticamente giustificabili), non si è trovato restauro affatto sicuro e/o convincente; esse sono state perciò stigmatizzate fra cruces, suggerendo semmai una possibile correzione in nota. Così: 207.2 De patriarcha electo quod subterfugere videatur onus a multis †desi­derante†, veram tulisti sententiam: il participio desiderante non fornisce senso plausibile; desiderantibus è la correzione di Jelic, paleograficamente giustifica­bile, grammaticalmente sensata, ma anch’essa insoddisfacente per quanto attiene al senso; qui è atteso desideratum, adeguato sia per la grammatica che per il senso: il patriarca eletto, Maffeo Contarini, pare evitare un onus che è invece desiderato da molti (cui tanti aspirano). 313.4 dummodo idem pater … idoneus ac sufficiens videatur ipsi domina­tioni vestrae, †constito† eidem prius de canonica susceptione clericalis tonsurae nec aliquo alio obstante impedimento: potrebbe trattarsi di aplografia da constituto. 321.2 Verum enim vero tu (ut videre videor), sicuti es, ille videri vis qui verborum copiam elegantem, qui ornatum dicendi, qui disertam †valeam† disci­plinam… habes: in apparato si è suggerito validam, plausibile paleografica­mente e accettabile quanto al senso. 410.1 ex morbo †hypoplesis† nuper cecidisse: del termine medico così come trasmesso da B non trovo attestazione ulteriore; la voce che più gli si approssima è apoplexis. Proprio in merito al lessico greco, occorre rilevare l’assoluta ignoranza del copista, la quale emerge chiaramente nella terza parte dell’epistolario, contenente testi in buona parte riferibili all’attività dell’arcivescovo di Creta Fantino Vallaresso, il quale di greco doveva avere una qualche discreta cogni­zione (diversamente nelle sue lettere Maffeo non iscrive alcuna consimile citazione; il che tuttavia non significa che egli di quella lingua fosse affatto digiuno). Ci sono dunque nella terza parte alcune parole greche, le quali sono rese meccanicamente, o traslitterate in alfabeto latino, senza comprensione alcuna, e vengono in tal modo sfigurate e rese del tutto incomprensibili (così nell’epistola III 22); laddove si può ricostruire con sicurezza il testo greco orginario – per confronto con altre fonti – risulta chiaro come la trascrizione del copista di B sia del tutto fuorviante: la n° III 41 è escerto di una lettera di Panormita a Poggio, dove la parola greca originaria è ....F......S. Essa dal copista di B è stata storpiata in un insensato e quasi irriconoscibile ERMAGMTOF. Per tale ragione, in corrispondenza delle poche parole gre­che tràdite in maniera tanto arruffata e bislacca, si è rinunciato al tentativo di restaurare il testo originale (arrischiata infatti è la congettura, quando sia priva affato di qualsiasi fondamento documentale). Il grado di affidabilità della trascrizione di B è, insomma, mediamente basso. Tanto più ritengo opportuno segnalare, per antitesi, come un testo di speciale importanza, tràdito quale incipit della terza parte del manoscritto Barberiniano, cioè la lettera di Fantino Vallaresso al pontefice Eugenio IV, prefatoria al trattato sull’unione delle chiese dello stesso Fantino,97 Cfr. Quondam 2002, p. CVII. sia invece trasmesso in una redazione particolarmente accurata, probabilmente migliore di quella trasmessa dal ms. Vat. lat. 4163, utilizzato da Bernard Schultze quale testimone unico della sua edizione critica. E infatti a III 1.3 (p. 5 Schultze), cioè in conclusione dell’epistola, sono due almento le lezioni tra­smesse da B senz’altro preferibili a quelle accolte da Schultze: Ea vero quae tua Sanctitas apud ipsum opusculum aut inconcinne vel minus recte dicta esse iudicabit, quoniam ad te solum, pater beatissime, pertinet prava, in directa et aspera dirigere in vias planas, digneris pro tua sanctitatis clementia cum tua sancta emendatione corrigere, ut ipsa plantula ex se infructuosa, ex hac tuae san­ctitatis correctione in bonam olivam inserta possit fructum utilitatis afferre. Deve essere infatti dirigere in vias planas (B) la lezione genuina, non corrigere in vias planas (Schultze); e sicuramente è genuino correctione (B), non certo correptione (Schultze), che al luogo non dà senso plausibile. 3. Uno storico croato sulle tracce di un arcivescovo veneziano Nel corso dei secoli B è stato letto, riletto, parzialmente trascritto (ad es. nella già cit. Miscellanea Tioli della Biblioteca Universitaria di Bologna). Alcune lettere sono state pubblicate a stampa in saggi e contributi riguardanti cospicue personalità che appaiono tra i corrispondenti di Vallaresso, ovvero che sono citate in alcune sue lettere – fra esse il cardinale Bessarione, Fantino Vallaresso, Isidoro di Kiev, Enea Silvio Piccolomini, medici attivi nella curia pontificia, o collegati a eminenti curiali: cfr. ni 15, 139, 257, 398, 488, 489, 490, III 6, III 9, III 21, III 33, III 34. Sull’epistolario in sé un lavoro più specifico e più ampio, tale da inquadrarne (seppur parzialmente) il valore documentario, si deve a Luka Jelic, eminente storico e archeologo croato, vis­suto a cavaliere tra Otto e Novecento (Vranjic 1864–Kaštel-Stari 1922). Come si apprende dalla voce bio-bibliografica dedicatagli da Slavko Kovacic e Nikša Lucic nel Hrvatski biografski leksikon,108 Cfr. Du Cange s.v. Jelic ebbe una solida institutio prima presso le scuole di Spalato e il Seminario di Zara, dove fu ordinato sacerdote; quindi presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, dove si addottorò in diritto canonico nel 1889; sempre in Roma, approfondì gli studi presso la scuola di diplomatica e archivistica della Biblioteca Apostolica Vaticana e presso il Collegio del Campo Santo Teutonico. Successivamente ebbe l’opportunità di soggiornare a Vienna, dove studiò archeologia e storia dell’arte, per rientrare definitivamente in Dalmazia nel 1893: insegnò diritto canonico e storia della Chiesa nel Seminario di Zara fino al 1917, anno del pensionamento. Nel 1898 sulla rivista «Starine» (vol XXIX, pp. 33-94), Jelic diede l’edizione di un certo numero di epistole tratte dal Vat. Barb. lat. 1809, mantenendo l’ordine nel quale le epistole sono tràdite da B, in particolare: (1-20); (24), (26), (29-31), (34-37), (42), (48), (50), (52-55), (58-63), (65), (69-72), (79-81), (84), (87), (93), (101), (106), (108-111), (113), (115), (117-121), (123), (129), (131-135), (137-144), (150-151), (153-158), (160), (162), (164-166), (168-169), (171-172), (175-190), (297-303); di poche altre fornì un brevissimo sunto, premettendo all’edizione una succinta notizia e descrizione del medesimo manoscritto. Può essere che Jelic avesse avuto conoscenza di B già dagli anni della sua formazione romana; ma poiché anche quando si era ormai stabilizzato a Zara fece più volte ritorno a Roma, è probabile che in una di queste occasioni avesse approntato il citato contri­buto: il quale, rimasto alla base della conoscenza dell’epistolario per oltre un secolo, testimonia sia un’encomiabile capacità di lavoro (dobbiamo pensare che lo studioso trascrivesse direttamente da B, senza usufruire di sussidi foto­grafici, e disponendo di poco tempo), sia una solida padronanza del latino; esso tuttavia è segnato anche da inevitabili limiti, alcuni intrinsechi alle modalità disagevoli con cui venne confezionato, altri originati da una insuf­ficiente attenzione per l’ecdotica del testo e da una troppo disinibita pratica della congettura. Jelic infatti seppe individuare varie corruttele di B, talora le corresse in modo opportuno, ma talora intervenne con libertà eccessiva, e, soprattutto, senza avvertire che la lezione da lui accolta è esito di sua propria correzione. Bastino due esempi: 23.1 Spes omnis capellani in te scita est (B): consapevole che scita è inam­missibile, Jelic congetturò facta, che fornisce senso, ma non è in alcun modo giustificabile paleograficamente. 320.1 provocari te aliquo litterarum genere a me flagitas (…) ut certem tecum calamo, quem graviorem mihi puto quam rastros Menedemi (medendi B): il luogo è stato già sopra discusso; Jelic intese che il testo è corrotto, e tacita­mente corresse astra metiendi, dando un senso, ma forzando in modo grave e non giustificabile la lezione tràdita. Rimase invece fedele a B sia rispetto a usi ortografici affatto anomali (non curò cioè una normalizzazione, necessaria considerata l’incoerenza gra­fica del copista), sia rispetto a lezioni del manoscritto che sono palesemente inaccettabili: 2.2 virginea figura plimario opere elaborata (plimario non è altri­menti attestato); 329.1 Conabor tamen aliquando de fonte pedis percussione natum bibere (natum va corretto in nato); 355 perinde ac ob re sua ipsius iure suo et arbitrio disponat: la preposizione ob nell’epistolario è sempre, secondo la norma, costruita con l’accusativo (nel caso il copista ha dimenticato il segno di abbreviazione per la nasale). La trascrizione di Jelic non è priva di sviste e omissioni, procurate, evi­dentemente, da quella precarietà di lavoro cui si è accennato. Così: 391 ad suum comprovinciale concilium videor invitari et evocari, non possum de repente et quasi ex improviso invasus tam cito me properare ad iter (et evocari non pos­sum de repente omisit Jelic, per saut du même au même). Lo scioglimento delle abbreviazioni è un aspetto insidioso nella ecdotica del testo. Anche Jelic talora fu tratto in inganno, così a 319.1 Quid enim hoc tempore auribus tuis dignum scribere possum, privatus praesertim optimo illo fructu disputationum vestrarum? egli sciolse il pronome incipitario della interrogativa (che è abbre­viato) in Quod, restituendo una proposizione assertiva, che non dà senso. E, sempre nella medesima epistola 319, al § 3, laddove il manoscritto trasmette correttamente un’interrogativa retorica (Quid ergo scribam? Non de ipsa qui­dem voluptate quam cepi illo tuo adventu…), egli male intese il punto interro­gativo susseguente scribam, interpretandolo come abbreviazione per est (i segni sono infatti simili), perciò restituendo, anche nel caso, un periodo privo di senso (Quid ergo scribam est non de ipsa quidem voluptate quam cepi illo tuo adventu…). Ma, al netto di tali limiti, l’opera dello Jelic (come già è stato sottolineato da Darko Novakovic)119 Vallaresso 1944. appare meritoria. Essa infatti è stata il veicolo fondamentale di conoscenza dell’arcivescovo veneziano, e resta uno strumento utile a definire l’ecdotica di alcuni problematici luoghi delle lette­re, così come tràdite da B. 4. L’epistolario nella redazione del manoscritto Barberiniano Il titulum apposto in B, Regestum litterarum, ci avverte, già in limine, che il manoscritto trasmette tendenzialmente una forma consuntiva delle let­tere, non una forma completa; ecco dunque l’insistita presenza di et cetera, frequente specie in conclusione dei testi: infatti, in linea di principio, le omis­sioni riguardano la parte canonica conclusiva della lettera, cioè il conclusivo saluto (nel qual caso, poco danno). Ma occorre notare varie omissioni che apparivano giustificate a chi ha organizzato e realizzato il regesto (perché omissioni di testo considerato ovvio, o che poteva essere ricostruito per con­fronto con altre lettere, ecc.), ma che per il lettore moderno costituiscono spesso un inciampo e un problema nella comprensione del testo. Ci sono infatti varie lettere che risultano decurtate di porzioni testuali per noi non scontate e non banali e che proprio perciò non lasciano comprendere chiaramente la situzione. Così la n° 110.3, dove Maffeo dice di aver convocato il vescovo di Nona, per leggergli quanto Paolo Barbo gli ha scritto in merito all’esenzione dell’abbazia di San Crisogono: Quibus coram legi feci litteras vestrae reverendissimae dominationis eidemque domino episcopo dixi ut, si quid umbrae de me haberet, quod ego moleste feram, exemptionem monasterii Sancti Grisogoni r[everendissimae] d[ominationi] v[estrae], prout ipsa scribit et cetera. Che cosa ha scritto in merito il Barbo? L’informazione giudicata o inutile o ripetitiva dal copista, e perciò omessa, per il lettore moderno sarebbe stata invece utile a intendere appieno (o almeno un po’ più chiaramente) la comunicazione fra le parti. Così l’epistola 175, dove Maffeo, apparentemente scherzando con Gio­vanni Scaffa (il quale non si è presentato a un concilio provinciale), conclude: Nihilominus bene fecisses, si causam impossibilitatis tuae, et cetera; forse il testo omesso avrebbe aiutato a meglio intendere i motivi addotti per giustificare la mancata partecipazione. Nella n° 256 raccomanda a Bessarione il fratello Gia­como a proposito di un fatto particolare (sottaciuto con il canonico et cetera): forse lì discuteva del ruolo di suddiacono che Giacomo avrebbe dovuto ricopri­re a Roma. Nella n° 259 scrive a Pietro Foscari intercedendo a favore dei mona­ci di San Cosma e Damiano, vessati da un presbitero Francesco, che è il con­duttore di quella abbazia; scrive nello specifico al Foscari: Primo nanque, ubi debetur eis, et cetera: l’omissione ci lascia nell’ignoranza circa la specifica azione richiesta al mittente. Analogamente in un breve biglietto (n° 265) richiede a Leonardo Dati di intercedere per lui presso il cardinale Pietro Barbo, momen­taneamente indisposto: quoniam reverendissimus dominus meus patitur (ut aiunt) dolorem cruris, credo raros admittat ad audientiam, nisi sint admodum domestici, qualis es tu, nec litteras cuiuspiam prae doloris molestia legit et cetera; nell’originale si doveva evidentemente chiarire in quale maniera Leonardo Dati avrebbe dovuto agire a pro di Maffeo. Nel febbraio del 1458 Maffeo si rivolge al patriar­ca Contarini, perché alcuni notabili zaratini hanno raccolto alcune disposizioni a forma di statuto contro la libertà ecclesiastica, le hanno quindi affidate ad ambasciatori che hanno inviato a Venezia (n° 289). Ma le precisazioni su questa raccolta sono purtroppo omesse (et eadem capitula in modum statutorum dolose formata cupiunt et cetera), lasciandoci nell’incertezza circa quella iniziativa e le contromisure che Maffeo chiedeva, evidentemente, di adottare. Il 16 marzo 1458 scrive a un Giovanni Ranar (o Ravar) scutifero del pontefice (questi gli ha in precedenza offerto i suoi servigi), per imporre alle sue spalle, così forti per grazia di Dio, un peso (n° 299): Ego vero in praesentiarum nihil habeo quod magis ex corde tibi iniungam quam ut me diligas. Est et aliud pondus humeris tuis imponendum fortissimis per Dei gratiam. Quidam d[ominus] Ia[cobus] et cetera. È possibile che il pondus concernesse qualche azione a favore del fratello Giaco­mo, ma la cosa resta nel vago. E si potrebbero aggiungere molti altri esempi. A comprendere la modalità di copiatura e registrazione delle lettere soccorre un fatto di per sé notevole: in B alcune lettere sono state copiate due volte, a distanza di molti fogli le une dalle altre. In particolare: n° (54) = n° (302) = n° 101 n° (74) = n° (318) = n° 145; n° (201) = n° (444) = n° 426; della presente edizione n° (213) = n° (470) = n° 466; n° (275) = n° (297) = n° 69. La cosa fa riflettere sotto due diversi punti di vista: anzitutto rivela che le modalità di assemblare il materiale nel manoscritto non sono né con­sequenziali né rigorose; tali ripetizioni sono spia del fatto che il copista rice­ve i testi in modo non bene preordinato, ma piuttosto caotico: solo così si spiega il fatto che alcune missive siano sottoposte a doppia copiatura a distanza di molti fogli l’una dall’altra – tale caoticità, vedremo, è rispecchia­ta dalla caoticità cronologica in cui le epistole sono trascritte. In secondo luogo occorre notare che le epistole in questione nella seconda copia recano sempre, rispetto alla prima, più o meno significative divergenze. La n° (74) e la n° (318) sono in una relazione abbastanza semplice, essendo la n° (318) una versione longior, che offre una conclusione più articolata – nel caso si può immaginare che nella prima copiatura del medesimo antigrafo il copi­sta abbia esercitato maggiore sintesi, nella seconda copiatura abbia mag­giormente rispettato il dettato originale (ma sempre a partire dal medesimo antigrafo, erroneamente e involontariamente ricopiato per due volte); e discorso in parte analogo si può fare per le relazioni che intercorrono fra la n° (201) e la n° (444) e fra la n° (213) e la n° (470): tra la prima e la secon­da redazione le divergenze possono essere addebitate a disattenzioni e/o a plausibili interferenze esercitate dal copista. Diverso il caso della n° 101.(54), di cui riporto, per comodità, la redazione prima e seconda una accan­to all’altra, sinotticamente: (54) Reverendo patri domino Felici epi­scopo Scardonensi. Etsi nihil dignum occurrat quod mihi scribendum sit, cum tamen illuc esset profecturus germanus meus domi­nus Iacobus non fui passus eum abire vacuum litteris meis ad paternitatem vestram et cetera. Valete in Domino, et me ut hactenus fecistis diligite. Ex Hyadra, die III Iulii MCCCCLIII. (302) Ad reverendum patrem dominum Felicem episcopum Scardonensem. Reverendissime pater et cetera. Etsi nihil dignum accidat quod mihi scribendum sit ad paternitatem vestram, cum tamen illuc esset iturus frater meus dominus Iacobus non sum passus eum abire vacuum litteris ad eandem paterni­tatem vestram cui notifico me et omnes meos bene valere, itidem ex vobis ac vestris desiderare. Valete in Domino, ad commoda et beneplacita sua paratum ne dubitet meque ut hactenus fecit diligat. Ex Hyadra, die III Iulii MCCCCLIII. Il confronto evidenzia che la lettera nella redazione n° (54) è brevior rispet­to alla n° (302), ma evidenzia anche variazioni lessicali di un certo rilievo: occurrat / accidat; germanus / frater; esset iturus / esset profecturus; non fui passus / non sum passus; ut hactenus fecistis / ut hactenus fecit; diligite / diligat: la situazione è più complessa rispetto ai casi precedentemente considerati: perché se la redazione più o meno lunga può essere originata dalla discrezionalità del copista, e non neces­sariamente dell’autore; parrebbe diverso il caso di varianti lessicali che paiono piuttosto, nel caso, doversi addebitare a una precisa opzione autoriale. Altra spia di come l’epistolario è stato trasmesso dal ms. Barberiniano si ottiene dall’esame di un’epistola, la n° 40, tràdita anche da una fonte completa­mente diversa e indipendente, cioè il ms. Guarneriano 28 della Civica biblioteca di San Daniele del Friuli. La n° 40 è un breve biglietto, con il quale Maffeo si complimenta con Francesco Barbaro per la sua elezione a Procuratore di San Marco: nella redazione guarneriana il testo appare in vari punti meglio trasmesso, e in alcuni punti diverge sensibilmente rispetto alla redazione preservata in B. Vat. Barb. lat. 1809 (B) Ad clarissimum equitem dominum Franc[iscum] Barbaro procuratorem Sancti Marci. Magnanime vir ac eques generose. Nuper ex litteris meorum accepi non absque maximis suffragiis a senatu illo praeclarissimo procuratorio munere donatum. Quae res mihi nova inexpec­tatave non est visa, quia virtutum tua­rum tantus est cumulus ut nemo paene in illa civitate sit cui te praeferendum non censeam. Domi enim et foris, in pace et in bello qualis sis quantunque sapias palam est. Quapropter licet maio­re ac maiore honore te dignum non dubitem, hoc tamen munus, etsi serius ac erat expectatio mea collatum tibi gaudeo atque gratulor. Deinde si quid me vis, da paucis. Tuum enim est iube­re, mihi iussa capessere fas est. Vale diu longaeva dignissime vita. Hyadrae XVIII Februarii. San Daniele del Friuli, ms. Guarn. 28, f. 113r Magnanimo viro ac generoso equiti Francisco Barbaro salutem dicit. Nuper ex litteris meorum accepi non absque maximis suffragiis a senatu te illo praeclarissimo procuratorio munere donatum. Quae res mihi nova inexpec­tatave non est visa, quia virtutum tua­rum tantus est cumulus ut in illa civi­tate nemo paene sit cui te praeferendum longe non censeam. Domi siquidem et foris, in pace et in bello qualis sis quan­tunque sapias palam est. Quocirca etsi maiore ac etiam maiore dignum honore te haud quaquam dubitem, hoc tamen munus, licet serius ac fuit expectatio mea collatum tibi gaudeo atque congra­tulor. Deinde si quid me vis. Tuum est iubere, mihi iussa non minus ac geni­toris mei capessere fas est. Vale diu lon­gaeva dignissime vita. Ex Hyadra vii idus februarias 1451. Alcune varianti del ms. Guarneriano risultano stilisticamente più ricer­cate e retoricamente intonate, basti il caso di honore te dignum non dubitem B / dignum honore te haud quaquam dubitem Guarn.: la variante sembra doversi addebitare allo stesso autore, piuttosto che alla discrezionalità del copista di B (il quale, nel caso, avrebbe agito in senso semplificativo), ovvero del copista del ms. Guarn. (il quale, all’opposto, avrebbe dovuto agire in senso opposto, cioè elativo). Ma, oltre a tale plausibile variante d’autore, importa notare come il testo del Guarn. sia indubitabilmente più corretto rispetto a B in almeno tre luoghi: accepi non absque maximis suffragiis a senatu te illo praeclarissimo procu­ratorio munere donatum (te omisit B): il te è assolutamente necessario, qui non si tratta certo di variante stilistica, ma di distrazione del copista di B; Quocirca etsi maiore ac etiam maiore (etiam omisit B): analogamente al precedente caso, la parola che in B è assente, è assente per omissione – cioè non si tratta affatto di una aggiunta ‘esornativa’ nel testo del Guarn., ma di omissione di una parola necessaria nel testo tràdito da B; Ex Hyadra vii idus februarias 1451 (Hyadrae XVIII Februarii B): la data corretta è evidentemente quella del ms. Guarn., poiché quella trasmessa da B è susseguente alla data della responsiva (n° 41). I confronti qui istituiti confermano da un lato l’approssimazione gene­rale della trascrizione di B, dall’altro suggeriscono che le lettere riversate nel Barb. lat. 1809 non sono state concepite come testi da trasmettere e preser­vare seconda una redazione scrupolosamente e definitivamente fissata: tagli, aggiustamenti, mutamenti rispetto a un non più conservato antigrafo dove­vano essere nel normale modo di procedere di chi ha provveduto alla copia. Oltre a ciò, per quanto attiene alla facies della raccolta così come testimoniata da B, vi è una considerazione più generale concernente l’ordine (o meglio il disordine) nel quale i testi sono stati ricopiati. 5. Un labirinto cronologico Nel dare pubblicazione di un epistolario, preoccupazione ovvia è in genere quella di strutturare le lettere in un ordine cronologico coerente. Ora, una tale istanza nell’allestimento di B, così come ci è pervenuto, sembra man­care: mi riferisco nello specifico alla prima parte dell’epistolario, dove le oltre cinquecento lettere (di cui cinque replicate!), che coprono un arco cronolo­gico di 21 anni (1450-1471), si susseguono con apparente grave disordine. Solo per fare un indicativo esempio, in B la n° (1) e la n° (281) sono entrambe dell’anno 1450; la n° (6) e la n° (286) sono entrambe del 1451; la n° (44) e la n° (275) sono entrambe dell’anno 1452. Tale confusione non è tuttavia frutto di completa disattenzione al dato cronologico. Osserviamo anzitutto che le lettere sono nella massima parte dei casi datate (fanno eccezione pochissime, sette in tutto, la cui approssimativa cronologia (cioè almeno l’anno), può essere congetturata: sono, in ordine cronologico, le n° 83 [1452], 123 [1453], 124 [1453], 125 [1453], 198 [1455], 284 [1457], 379 [1460]. Già il fatto che nella trascrizione di B si dia puntualmente conto della data, assicura l’attenzione rivolta dal redattore del manoscritto (e dunque anche dall’autore) a questo fondamentale aspetto – non è per quell’epoca un fatto scontato, e basti ricordare come ci siano epi­stolari umanistici sotto questo profilo del tutto carenti.1210 Kovacic-Lucic 2005. In realtà nella com­plessiva sequenza delle lettere si possono individuare alcune autonome serie, nelle quali i testi sono ricopiati in successione cronologica abbastanza coeren­te. Ma tali indipendenti sequenze sono fra loro giustapposte, in modo tale che l’ordine complessivo della raccolta è di fatto privo di una strutturazione cronologica coerente nel suo insieme. Con riguardo al dato cronologico, l’e­pistolario può essere dunque suddiviso nei seguenti sei gruppi: 1) lettere ni (1-213), sono ordinate cronologicamente in maniera com­patta (non esente però da salti e da anomale dislocazioni), coprono l’arco degli anni 1450-1462; 2) lettere ni (214-274), coprono l’arco degli anni 1451-1461; 3) lettere ni (275-299), sembrano costituire anch’esse una distinta sequenza, poiché comprendono il biennio 1451-1452; 4) lettere ni (300-378), sono ordinate in modo coeso, coprono l’arco degli anni 1453-459; 5) lettere ni (379-494), coprono l’arco degli anni 1458-1464; 6) lettere ni (495-503), un piccolo gruppo residuale, che non pare orga­nizzato, ma costituito per giustapposizione di elementi, risalenti a un arco cronologico assai ampio, anni 1455, 1463, 1466, 1467 (2), 1470, 1471 (3). Va aggiunta un’osservazione ulteriore, concernente la parte terza dell’epistolario: essa raccoglie quei vari testi per lo più inerenti l’attività dell’arcivescovo Fantino, nonché altri del tutto estranei alla famiglia Valla­resso (così alcune lettere di celebri umanisti, ricopiate forse perché esempli­ficative dello stile, o perché ritenute significative dal punto di vista letterario): un coacervo in cui è arduo trovare un filo conduttore, e in cui è compresa anche una parte del carteggio tra Maffeo Vallaresso e Giovanni Sobota (in tutto 8 lettere); una parte che a ragione avrebbe dovuto figurare invece nell’epistolario di Maffeo, e cioè i ni III 23 (Maffeo a Giovanni Sobota, s.d.), III 24 (Giovanni Sobota a Maffeo, ante 1457), III 35 (Gio­vanni Sobota a Maffeo, 15 luglio [1435]), III 36 (Giovanni Sobota a Maf­feo, s.d.), III 37 (Giovanni Sobota a Maffeo, [1443]), III 38 (Giovanni Sobota a Maffeo, [1436-1438]), III 39 (Giovanni Sobota a Maffeo, [1438 o 1442]), III 40 (Giovanni Sobota a Maffeo, 31 agosto [1438]). Può essere che tali epistole siano state accluse nella terza parte di B, in quanto quasi tutte precedenti il 1450, cioè la data di elezione di Maffeo all’arcivescovado zaratino, momento fondamentale della sua esistenza, e che viene perciò assunto quale punto di avvio della raccolta epistolare – ciò conferma, indi­rettamente, l’attenzione nei confronti del dato cronologico. L’individuazione di nuclei indipendenti e che in sé hanno un ordina­mento consequenziale induce a ritenere che tali nuclei possano corrispondere a singole, precedenti raccolte: cioè a copialettera parziali, i quali erano forniti via via al copista, perché realizzasse quell’unica raccolta (il codice Barberinia­no), la quale, proprio per tale sua genesi, non poteva risultare cronologica­mente ordinata. L’intero materiale è stato nella presente edizione riordinato cronologicamente. Due tabelle pubblicate in appendice a questo saggio for­niscono rispettivamente (I) il prospetto delle lettere nell’ordine cronologico dato dall’edizione critica a confronto con il numero d’ordine del codice bar­beriniano, (II) il prospetto delle lettere delle lettere di Vallaresso nell’ordine del codice Vat. Barb. lat. 1809 a confronto con corrispettivo numero dell’or­dine cronologico. 6. Ars dictandi Stilisticamente le lettere di Maffeo Vallaresso sono senz’altro riconduci­bili alla tradizione epistolografica maturata nell’ambiente cancelleresco ed eccle­siastico veneziano tardo medievale.1311 Novakovic 2012. Pur presentando una cospicua varietà e mutevolezza formale, in quanto originate dalle più diverse necessità, esse sono in genere regolamentate da schematismi preordinati, e la lingua che le informa è per tanti aspetti erede di un lessico e di costrutti sintattici mediolatini. Occor­re peraltro ricordare come anche la rinnovata tradizione della cultura umanistica, la quale gioca anch’essa un ruolo importante nella raccolta, non sia estranea a una tipizzazione e regolamentazione eredità dall’ars dictandi.1412 Ho in mente l’esempio dell’epistolario di Iacopo di Porcia, costituito da un corpus di lettere assai nutrito, nel quale i dati cronologici sono quasi del tutto assenti: cfr. Iacopo di Porcia 2018. Le diverse e talora opposte esigenze da cui originano le lettere sono testimoniate nell’uso difforme del pronome allocutivo, il quale varia a secon­da del mittente. In linea con la rinnovata tradizione umanistica è l’uso della seconda persona, generalizzato nelle missive a parenti e amici più stretti, spe­cie quelli che condividono interessi e ideali del classicismo rinascimentale, come Lorenzo Zane e Lauro Quirini. A questo, per fare un esempio solo, così si rivolge nella missiva 42.1 del 16 febbraio 1452 (ammesso che la lettera, come la maggioranza, sia datata more Veneto): Ornatissime mi Laure, salvere te plurimum cupio. Non mihi oblivionis aut segnitiae vitio vertas quod, cum iampridem tuae mihi litterae fuerint et a me tanta animi lubentia, tanta deside­rii ac expectationis magnitudine perlectae sint, non tibi ex aequo hostire curave­rim ut citius responderem compellenti amico. Ma quando il destinatario sia un superiore di grado nella gerarchia ecclesiastica (tanto veneziana quanto roma­na), compreso, ben s’intende, il patrono par excellence, Pietro Barbo, il pro­nome allocutivo è invariabilmente quello di terza persona, cui si congiunge il canonico appellattivo dominatio vestra, accresciuto spesso in dominatio vestra reverendissima. Così, ad es., nelle missiva 2.1 del 4 novembre 1450, con la quale intende ringraziare il Barbo all’indomani della promozione alla diocesi zaratina: Etsi parum in praesentiarum accidat quod ad dominationem vestram reverendissimam scribam, cum superioribus diebus satis abunde prout necesse fuit, conscripserim, non possum tamen continere me silentio quia dulce est mihi cum eadem dominatione colloqui quam nimium diligit anima mea.1513 Una tradizione epistolografica cresciuta all’ombra di personalità che profondamente segnarono la politica e la cultura della Serenissima: cfr. Rausa 2000. In questa, come in altre consimili missive composte all’insegna di un formalismo molto accentuato, si possono persino individuare alcune clausole confacenti alla pratica del cursus (2.1 vinculo obligavit: velox; grates perquiram: planus; 2.2 vestrae dedicavi: trispondaicus; 2.3 animo acceptavit: velox; manebit non igno­rat: trispondaicus; 2.4 continue fateatur: velox): tuttavia che tale pratica sia adoperata scientemente e miratamente non si può affermare in assenza di un’analisi quantitativa d’obbligo.1614 Cfr. Alessio 2001; Acocella 2011, in particolare 262-264. Una significativa persistenza dell’ars dictaminis nella cultura veneziana quattrocentesca era stata già osservata da Branca 1998, in partico­lare 120-121. L’uso di un formulario mediato dalla tradizione è bene evidente in espressioni esordiali e soprattutto conclusive di lettere ufficiali (si veda, ad es. la insistenza di una formula come 209 Valeat felix dominatio vestra, cui par­vitatem meam devote commendo; 210.2 Quam bene valere desidero meamque parvitatem eidem commendo; 255.3 cuius gratiae et meam parvitatem cupien­tissime ac devotissime dedo atque commendo; 317.2 Plura dicturus non sum, nisi quod meam parvitatem commendo; 453.3 Aliud scribendum non occurrit nisi meam parvitatem reverendissimae dominationi vestrae humiliter commendare; ecc.); e poi, in modo più esteso e più sostanziale, in quelle lettere che sono funzionali ai più pratici e comuni aspetti della vita, sia privata che civile: cioè lettere di raccomandazione, congratulazione, condoglianza – ai margini sono sovente etichettate come commendatitiae, congratulatoriae, consolatoriae: cioè sono classificate nello stesso manoscritto proprio in quanto appartenenti a un genere e a una tipologia bene identificate –, suppliche e lettere che accompa­gnano doni inviati e offerti a benefattori e patrocinatori. Si possono considerare tra le commendatitiae (a mo’ di esempio) le n° 56, 97, 103, 146, 210, 214, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 247, 255, 267, 269, 419, (ecc.), nonché alcune che rispondono a raccomandazioni estese da altri e indirizzate a Maffeo, e che assicurano l’impegno dell’arcive­scovo a favore del raccomandato: fra esse le n° 58, 174, 384, 217, ecc. Lo schema della commendatitia può variare, anche e soprattutto in ragione della persona cui la richiesta è indirizzata (così la n° 210, a Bessarione, per il fratello Giacomo, ha un incipit comprensibilmente più artificioso e ela­borato), ma il nucleo centrale resta invariato, e corrisponde in sostanza alle stesse commendatitiae che Maffeo riceve da altri (ad es. da Giovanni Sabota, n° 97). Alcuni testi sono funzionali a promuovere Donato Belloria, segretario di Maffeo, il quale nel 1456 parte da Zara alla volta di Padova per ottenervi un dottorato: l’arcivescovo compone per lui almeno otto diverse lettere ad altrettanti diversi destinatari – ni 223-230 –, l’ossatura del testo rimanendo la medesima (come è ovvio che sia). E tale essa è anche nelle altre commenda­titiae, fondate su tale iterata struttura, dove sono numerose le tracce di un formulario consolidato, ancorché declinato a seconda della circostanza. Si faccia solo l’esempio di 97 Qua ex re maiorem in modum te rogo atque etiam rogo, ita illum suscipias, ut intelligat meam commendationem apud te tantum et ponderis et auctoritatis habuisse, che ricorre anche in 262 rogo ut dominatio tua sic eum benigno favore prosequatur, ut nostram amicitiam intelligat non vulga­rem esse et hanc commendationem sibi magno usui atque adiumento fuisse, nonché in 146 Quare rogo paternitatem vestram ut intuitu mei, eum commen­datum habeat, cui conducendo, quantum possibile est, faveat, ita ut liquido cognoscere possit hanc commendationem meam sibi magno adiumento fuisse. Non diversamente anche le congratulatoriae (fra esse le n° 38, 40, 61, 137, 176, 279, 282, 290, 390, ecc.) hanno una formularietà che si può evin­cere considerando ad es. la n° 61: Maffeo ha appreso la notizia della promo­zione del destinatario, ne gioisce, così da non potersi trattenere dal manife­starlo; la promozione è bensì inferiore ai meriti del destinatario, essa tuttavia assicura l’ascesa a più alte cariche – evidente la prossimità anche lessicale di 61 me continere nequiverim quin has congratulatorias ad dominationem vestram non destinarem, e di 38 non potui me continere quin ad reverendam paternita­tem vestram has perbreves darem, quibus me significarem tanto honori ac digni­tati vestrae congratulari; e, analogamente, di 61 Quare, etsi ob virtutes ac meri­ta sua in Curiam ampliore munere digna omnium videatur opinione, hic tamen gradus honestissimus est ac perornatus e di 38 Et licet sciam eandem ampliore munere ac honore dignam censeri, tamen pro debito antiquae amicitiae nostrae, ita vobis gratulor. Tra le consolatoriae per la morte di persone care sono le n° 48, 128, 335, 371, 442, 463, 470, 481, 485. Anche in questa fattispecie, non si può parlare di una semplicemente meccanica stereotipizzazione, ché anzi, alcuni testi sono latori di commozione sincera – valga soprattutto l’esempio della n° 481, indirizzata a un cugino monaco Benedettino, Girolamo, in occasione della morte del padre di lui, Zaccaria, zio di Maffeo: una perdita che profon­damente e sinceramente addolora l’arcivescovo, il quale nella morte dello zio avverte la precarietà della stessa situazione sua e della sua famiglia, e pensa al vecchio padre, ancora vivo ma ormai senio confectus. E tuttavia, anche laddove la partecipazione è sincera, sono ravvisabili facilmente tratti comuni al gene­re, replicazioni lessicali, e una molto semplice e condivisa struttura argomen­tativa: la notizia della morte addolora Maffeo; questi è vicino al destinatario colpito dal lutto; il dolore non deve tuttavia soverchiare, ma va anzi lenito, perché nulla capita contro la volontà di Dio; il destinatario è persona forte, né abbisogna di esortazione per reagire alla prova. Nella replicazione dello schema, il lessico non può non ripetersi, pur con necessarie e dovute variazio­ni, e basti confrontare 236.2 non putamus nobis laborandum esse in oratione, cuius vi dolorem vestrum lenire possimus, con l’analogo 371 Cui quidem dolori tuo leniendo nullum consolationis temperamentum per me adhiberi potest, quod tibi ipsi non sit in promptu. Oppure la ripetizione di una sententia la quale, pur variate e rimaneggiata, echeggia sempre l’oraziano Carm., I 24, 18-20; essa ricompare in 236.2 Quod cum fieri nequeat, quid aliud agendum sit nisi aequanimiter ferre? Quod est nefas corrigere non videmus?, in 48.3 Ergo licet durum, sed levius ut fiat patientia ac prudentia tua quicquid corrigere est nefas, in 128.7 Durum est enim quod dico, sed levius patientia fit quicquid corrigere est nefas, in 442 Sed interim puto iam dolorem amovendum et potius ferendum esse aequo animo quicquid corrigere est nefas. L’arcivescovo compone anche alcune suppliche secondo una topica precisa, tra esse quelle in favore del fratello Giacomo, scritte con intento di assicurargli commende e ruoli di qualche prestigio. Esse sono indirizzate in maggioranza al patrono par excellence, il cardinale Pietro Barbo. A lui riserva formule celebrative tendenti all’iperbole: a 250 lo appella come meum singu­lare confugium; a 377.2 lo identifica in un fiume, dal quale richiede acqua di grazia e di pietà: cum ex clementissima dominatione vestra tanquam ex flumine pietatis aquam gratiae sublimioris petamus; a 240 il cardinale è il protector et benefactor unicus; a 410.1 l’arcivescovo dichiara di non avere né volere avere altri patroni che il cardinale, con un periodo sontuosamente costruito, con­cluso in una metafora militare, che sancisce la sua fedeltà indefettibile: Cum neminem alium habeam nec habere velim ad quem recurram et confugiam in opportunis commodis et necessitatibus meis nisi ad reverendam dominationem vestram – sub cuius auspicio felici in hunc usque diem opima spe militavi. Non può che essere humillimus il servitore che chiede a tanto patrono. E, infatti, a 250 humiliter supplicans ut; a 377.2 Quare humillime supplico reverendissi­mae dominationi vestrae ut (…); a 240.2 humillime supplico ut, quem ad hanc dignitatem provehi contenta fuit vel emolumentorum vel beneficiorum admini­culis eius tenuitatem eadem reverenda dominatio vestra augere dignetur; a 141 Quare humillime supplico (…). Seguono uno schema nella sostanza preordinato i biglietti che accom­pagnano doni (cfr. lettere n° 2, 9, 258, 296, 345, 381), ossia, in maggioranza, confezioni più o meno cospicue di pesce in gelatina, cioè in savòr, ricetta usa­tissima dai veneziani per la conservazione del pescato, evidentemente mer­canzia ambita, specie da quanti, come Pietro Barbo, si trovavano sotto un cielo che non concedeva (e nemmeno conosceva) simili specialità. Il dono (che sia il savòr, che sia qualcos’altro di più raffinato e artistico, come la tavo­la depicta della lettera n° 2, oppure le medaglie di cui alla n° 345) è sempre indicato da Maffeo come cosa di scarso valore, inadeguata al destinatario. Il quale, tuttavia, guarderà piuttosto all’animo di chi lo invia, accettandolo con benevolenza. Una tale formula, con i necessari aggiustamenti (cioè, a seconda del caso, decurtazioni o amplificazioni), si riscontra sempre: 2.3 Accipiat igi­tur reverendissima dominatio vestra eam tabulam quaeso hac lege et hoc pacto ut non attendat ad rem oblatam (res enim est parum digna tanto domino) sed ani­mum spectet offerentis, qui se obligatissimum eidem dominationi vestrae dum vita manebit non ignorat; 9.2 quae quidem res etsi non sit tam digna ut deceret tuae magnificentiae, tu tamen pro tua humanitate non ad rem, sed ad animum dantis hilara fronte spectabis; 258.2 humiliter supplicans, ut non ad rei parvita­tem sed ad animum gratissimum et laetissimum mittentis attendat; 296.2 sup­plicans eidem ut hanc exiguam gelatinae (…) hilari fronte accipere dignetur more quondam Xerxes, qui, ut fertur, haustam e proximo fonte utraque manu aquam ei oblatam a paupere viatore, labris attingere non renuit (…), con la notevole amplificatio di un classico esempio, che parrebbe mediato da Eliano; 345 mitto ipsi reverendissimae dominationi vestrae aliquid, nummos antiquita­tis superstites, videlicet medalias aureas numero XVIII nonnullas quoque argen­teas, cum certis corniolis, quae quidem, licet sint vilia et abiecta ac tanto domino penitus indigna, ea tamen, qualiacumque sint, solum procedentia ex animo puro et grato, et ad maiora obnoxio obligatoque, acceptare humanissima dominatio vestra quaeso non aspernetur I canoni dell’ars dictandi sono dunque raramente estranei o inattivi nella stesura dell’epistolario. Tratti formulari si potranno riscontrare infatti in molte altre lettere, anche estranee a una precisa e definita tipologia: è infat­ti proprio del genere il reimpiego e la riutilizzazione di schemi fruibili in ana­logo contesto. Tanto che non desta sorpresa scoprire come almeno un testo contenuto nel Barberiniano sia frutto di un vero e proprio plagio commesso ai danni di un altro epistolario. Ciò capita nella sezione terza, quella conte­nente alcuni materiali relativi all’arcivescovo Fantino, dove la lettera n° III 20, composta da un non identificato letterato prossimo a Guarino Veronese, ripropone al suo principio, talis et qualis, un’epistola di Guarino stesso, il cui incipit, con evidenza, si addice perfettamente all’occasione nella quale si trova l’ignoto mittente1715 Peraltro nella scelta del pronome allocutivo, Maffeo non poteva certo, considerata la sua condi­zione, ostentare la libertà usata da Petrarca nel rivolgersi ai grandi della terra, per cui vd. Rausa 2000, 163-164. – appunto un esempio istruttivo (fra altri) di come l’epi­stolografia umanistica venga ‘piegata’ e ‘sfruttata’, anche in modo surrettizio, ai fini di imbastire una comunicazione letterariamente più decorosa, efficace e retoricamente intonata. Frequente nella scrittura di Maffeo – e ciò in coerenza piena con la tra­dizione dell’ars dictaminis – è la costruzione di periodi complessi, strutturati con artificio ricercato, in cui sono attivi parallelismi e rispondenze fra mem­bri, come, ad es. 62.1 maxime obligationis meae respectu, quam adversus ean­dem habeo pro innumerabilibus beneficiis, quae, si essent linguae centum et toti­dem ora, minime enumerare possem, dove gli avverbi, di senso antitetico, sono posti a incorniciare il periodo. La struttura di una frase può essere estrema­mente estesa, tanto che un solo periodo può costituire una lettera intera, come nel caso della n° 114, la cui strutturazione sintattica può essere così visivamente chiarificata: Cum fratres conventuales Sancti Francisci de Hyadra a nonnullis vexentur ac dif­famentur aemulis et obtrectatoribus suis, / asserentibus plerosque eorundem fratrum impudentem agere atque olim acti­tasse vitam, / inter quos etiam includunt fratrem Iohannem nunc guardianum Sancti Francisci de Hyadra, / rogamus paternitatem vestram ut, quia de dicto fratre Iohanne plenam (ut ipse asseruit) notitiam habetis qualem Sibe­nici tanto tempore duxerit vitam, iuxta notitiam vestram et aliorum testimonium, / ab extra nobis intimare velitis per litteras vestras, / maxime quoniam per apostolica mandata nobis iniunctum est super diligenti inquisitione eorundem moribusque vitae. / Da cui appare come la costruzione della frase sia ponderata in modo da ottenere una simmetria pressoché perfetta, con la proposizione principale baricentrica rispetto a una concatenazione di subordinate, le quali si dispon­gono in due diverse sequenze, che sono egualmente tripartite: la prima sequenza ante e la seconda sequenza post il baricentro stesso dell’intera strut­tura. Un altro esempio di tale periodare complesso si può apprezzare a 138.3 Et quia praefatus archidiaconus vester et mihi et omnibus de familia nostra carus acceptissimusque semper, ob merita virtutum suarum habitus est ac in praesen­tiarum habetur, propterea venturus ad paternitatem vestram, non possum facere quin eum eidem recommittam ac ita recommittam, ut arctius et strictius facere nequeam, orans eandem vestram paternitatem, ut intuitu mei se sibi benignum, et si opus fuerit, favorabilem exhibeat, quod quidem mihi ipsi factum reputabo, dove, in maniera non dissimile dalla lettera n° 114, la proposizione principale funge da baricentro di una struttura simmetrica, in cui le subordinate sono articolate a principio e a conclusione del complesso periodo. A 136.1, invece, il verbo reggente è posto a chiudere un periodo che comunica una forte tensione emotiva, perché l’arcivescovo è stato accusato da un caro amico, Girolamo Loredan, di avere assunto un atteggiamento vessatorio nei confron­ti dei frati francescani che abitano nella sua diocesi. Sicché Maffeo non sa se la lettera di Loredan gli abbia comunicato maggior piacere (perché rievoca la loro amicizia), ovvero tristezza per quanto essa trasmette: Plusne iocunditatis genuerint, quod antiquam necessitudinem nostram prae se ferant, quam maeroris exageraverint, quod accusent tantae crudelitatis et immanitatis adversum veros Christi servos et observatores regulae sancti Francisci, fratres videlicet ordinis tui, quos me insequi et debellare dicis, vix discernere queo: dove occorre leggere per intero il periodo, che resta lungamente sospeso, per giungere finalmente a quel vix discernere queo, con il quale è finalmente sancito lo stupore che la lettera dell’amico ha destato in lui. Né possono mancare le strategie più tipiche (e abusate) dell’ars, cioè l’insistito e martellante uso di figure reoriche, allorché il contesto richieda speciale intonazione e forza persuasiva. Un caso è specialmente significativo, e segna il culmine della relazione tra Maffeo e una persona che gli è partico­larmente cara: Donato Belloria, già suo vicario, un uomo ancora giovane (per quanto si apprende dall’epistolario) che lo ha servito fin dal suo arrivo nella diocesi zaratina – è stato addirittura inviato a precedere Maffeo nella sua destinazione, per preparare nell’episcopio quanto necessario al neo eletto vescovo, come si apprende dalla lettera n° 3, dove di lui dice che per i grandi meriti è stato eletto vicario generale, tanto per il potere temporale che spiri­tuale: virum per omnia probatissimum et sufficientissimum quem exigentibus virtutibus meritisque suis elegimus in vicarium nostrum generalem, tam in tem­poralibus quam in spiritualibus, revocantes et irritam facientes omnem aliam ordinationem et electionem per nos alias factam. Ebbene il Belloria lo ha fedel­mente aiutato, e nel 1456, esprime una lecita volontà: di poter acquisire un dottorato in Padova, in vista di una possibile futura carriera. L’arcivescovo non diniega, anzi, dando prova dell’affetto e della considerazione per il vica­rio, compone a vantaggio di lui una serie di lettere commendatitiae, ben dodi­ci, tutte datate 28 aprile. Con esse si rivolge a tutti i suoi conoscenti padova­ni, tra cui ci sono politici (Leonardo Contarini, capitano di Padova: n° 224; Antonio Diedo, potestà di Padova: n° 225), ecclesiastici (Fantino Dandolo, arcivescovo: n° 222; Antonio Ducci, vicario: n° 230), ma soprattutto docenti universitari (Francesco Alvarotti: n° 232; Alvise Bertoldo: n° 229; Angelo De Castro: n° 228; Lorenzo da Fano: n° 221; Pietro Marino, rettore dell’Univer­sità: n° 223; Francesco Porcellini: n° 231; Antonio Roselli: n° 227; Giacomo Zocchi: n° 226). Che sia per il credito delle lettere di raccomandazione, che sia per la preparazione del Belloria (o forse entrambe le cose insieme), la mis­sione patavina va a buon fine, tanto che Maffeo può complimentarsi con il vicario, e il 2 agosto dello stesso 1456 così gli scrive (n° 242): Maxima me voluptate per hos dies litterae tuae affecerunt, quod significarent affectati gradus et honoris tui consecutionem, quae fuit cum unanimi consensu totius celebratissi­mi illius doctorum collegii. Spero dehinc reliquos honores et dignitates tibi facilius patere. L’arcivescovo, da Zara, è ancora pronto ad aiutare il suo Donato, cui augura di poter raggiungere gradi ulteriori. Ma capita l’inatteso, ed è per Maffeo un dolore sincero e profondo: il Belloria, accasatosi ormai in ambien­to ben diverso da quello della lontana diocesi dalmata, non ha la minima intenzione di rientrare a servizio del suo patrono, e sull’onda dei recenti suc­cessi trova evidentemente nuove e più allettanti opportunità nell’ambito della chiesa veneziana, come si evince dalla n° 244, del 14 agosto dello stesso 1456 (in questa infatti pare essere già a servizio del patriarca). Sicché a metà novem­bre di quello stesso anno, Maffeo gli indirizza un’ennesima lettera (la n° 251), con la quale il sincero turbamento per il modo di agire del vicario è espresso in un periodo elaborato all’insegna della più consunta ars dictandi, un appello accorato al vicario, dimentico di quanto ha ricevuto (251.5): Alioquin maxima me iniuria affectum abs te arbitrarer, si meo lacte (ut ita loquar) educatus, mea cura fotus, meis facultatibus ornatus, meis favoribus et com­mendationibus ubique protectus, meis armis, meis adminiculis et suffragiis adiutus, ad fastigium doctoratus tanta cura, tantis praeparationibus et impensis erectus, sic tandem absque nulla causa a primario duce deficias et ad castra exterorum te conferas. L’espressione di una delusione profonda e sincera è corroborata, anzi sostanziata, da accumulazioni asindetiche, anafore (per ben sei volte ricorre il pronome possessivo di prima persona, meus, variamente declinato, due volte l’aggettivo tantus), allitterazioni (FOtus / FAcultatibus / FAvoribus), e dalla chiusa, con metafora militare che evoca il gravissimo reato di tradimento: Belloria è sul punto di passare dal suo legittimo comandante a un acquartie­ramento di genti straniere. 7. Costrutti anomali, lingua d’uso e lingua affettiva Tale può essere la cura stilistica con la quale Vallaresso intesse le sue mis­sive. Tuttavia, leggendo l’epistolario, se ne ricava spesso, e anzi forse più di fre­quente, un’impressione opposta, cioè di un dettato per nulla sorvegliato, segnato anzi da anacoluti, sillessi (concordanze ad sensum), e una serie di tratti (anche lessicali) che sono prossimi piuttosto al parlato che allo scritto. Si con­sideri una frase come 123.3 Si quid etiam aliud relatione dignum sentire in futu­rum contigerit, significare nobis cura ut, si quid nobis providendum est secundum temporum varietatem, ne inveniamur, ut aiunt, inter oscitantes improvisi: essa fa parte di una missiva indirizzata al Belloria, il quale è andato in missione ad Arbe, per dar conto di una situazione difficile. ‘Fai in modo’, dice Maffeo ‘di avvertirci, qualora ti capiti di ascoltare qualcosa degno di essere segnalato, affin­ché, se ci fosse la necessità di intervenire in relazione alla varietà delle situazioni, non ci lasciamo trovare – come si suol dire – colti di sorpresa fra quanti sbadi­gliano’. Il senso è chiarissimo, ma più aspetti del periodo non sono punto in linea con un linguaggio sorvegliato: l’ellissi del pronome nell’infinitiva (Si quid etiam aliud relatione dignum sentire in futurum contigerit, dove manca l’atteso e necessario te: ma è una ellissi frequente nell’epistolario, cfr. ad es. n° 111 mole­steque fero pro tantis meritis condignas vices in praesentiarum respondere non posse, con ellissi del pronome di prima persona, me); l’uso di improvisus, che nel latino classico vale ‘imprevisto, inaspettato’,1816 Cfr. Orlandi 2008. mentre qui, evidentemente, ha valore opposto, e cioè ‘sorpreso, che non se lo aspetta’ (vale cioè imprudens); ma è più notevole ancora la doppia congiunzione che introduce la proposizione comple­tiva: cura ut… ne inveniamur, così come trasmesso è evidente che il periodo è anacoluto, perché ut è sospeso (bisogna pensare forse che l’autore ha comincia­to la subordinata con ut, e abbia poi inserito la negazione ne, necessaria al senso, senza tuttavia provvedere a eliminare il precedente ut). Il 3 luglio del 1453 Maffeo scrive a Stefano, abate di San Nicolò in Sebenico. Pur non conoscendolo direttamente, ma sapendo che è in relazione d’amicizia con il padre, la cognizione della sua probità e della sua equità lo inducono a chiedere che una certa vertenza legale avviata a carico del primi­cerio di San Marco sia affidata al vescovo di Sebenico e a Stefano stesso, rite­nendo per sicuro che egli a quel momento si trovasse a Sebenico e lì risiedes­se. Questo il senso che ricavo da 99.1 Cum exploratum mihi esset vos iam diu magnifico domino genitori meo amicitiae vinculo alligatum, praeterea etiam bona fama probitatis et aequitatis vestrae dedit mihi fiduciam, ut causam certae differentiae, quam cum domino primicerio Sancti Marci Venetiarum per aposto­lica scripta committi facerem, reverendo patri domino episcopo Sibenicensi et vobis credens, quod Sibenici essetis ac moraremini. Senonché, a bene esaminare, la proposizione introdotta da ut è ellittica del verbo (committi facerem è il verbo della subordinata di secondo grado introdotta dal quem): si può pensa­re lecitamente a una delle tante omissioni del distratto copista di B (e cioè che l’anacoluto sia secondario, causato da errore di trasmissione), ma non esclu­derei affatto che l’anacoluto sia invece originale, prodotto da una svista nell’architettare il tipico periodare solenne e artificioso, che solitamente con­traddistingue il principio di missive di tale importanza. Ma nella stessa frase c’è dell’altro: Cum exploratum mihi esset vos iam diu magnifico domino genitori meo amicitiae vinculo alligatum. È una concordanza ad sensum, perché la grammatica richiederebbe alligatos (con riferimento evidente a vos). Concordanze a senso consimili sono frequenti. A 462.3 Postea, quasi ego oboedire mandatis apostolicis neglexerim, quod est omnino falsissimum, supervenerunt duo brevia eiusdem sanctissimi domini nostri, quorum alter ad me directus erat, mordacissimum, quale non scriberetur ab eodem pontifice cuipiam Turcho aut rebelli suae sanctitatis, dove l’attesa sarebbe alterum (si intende breve) ad me directum erat, in linea con il subito successivo mordacissimum. Qui l’incongruenza grammaticale è patente, e non può certo essere originata da una svista nella trasmissione. Avendo ricevuto da Lorenzo Zane, per tramite di un breve apostolico, il mandato di essere giudice di una spinosa vertenza, il 19 settembre 1461 Maffeo comunica a Lorenzo di assumersi il mandato senza tuttavia averne piacere alcuno, poiché ne conseguiranno più guai che vantaggi – sospetta anzi che Lorenzo gli abbia affibbiato l’onere per non doverselo direttamente assu­mere. Scrive infatti (403.1): cum ex onere huiusmodi honor vel minimus vel nullus, molestia multa, commoditas nulla commissarius consequi soleat, dove sarebbe naturalmente atteso: cum ex onere huiusmodi honorem vel minimum vel nullum, molestiam multam, commoditatem nullam commissarius consequi soleat. Anche nel caso l’incongruità grammaticale è certamente da addebitare all’autore, non certo a errore di trascrizione. Spesso le anomalie di tipo grammaticale-sintattico si rinvengono in contesti di forte emotività, dove cioè Maffeo esprime speciali emozioni – timore, angoscia, sdegno, sarcasmo, ira –, sentimenti che connotano consi­stente parte di lettere che furono concepite in un contesto sociale e politico difficile e spesso ostile, segnato da rivalità profonde con la società (sia civile sia religiosa) della diocesi. Facciamo il caso dell’epistola 493: indirizzata a Lorenzo Zane, di argomento per Maffeo difficile e delicato, poiché tocca le ‘aspettative di grazia’, cioè relative alla successione di prebende godute da per­sone che sono ancora in vita. Stando al resoconto di Maffeo, Lorenzo avrebbe negato al suo cappellano Giacomo di pretendere alcunché nella diocesi zara­tina, se non dietro assenso dello stesso Maffeo. Il cappellano in un primo tempo aveva acconsentito, promettendo di essere rispettoso dell’accordo, ma poi, presentatasi la prima occasione, ne è divenuto presto immemore – ha incassato infatti le prebende di un ecclesiastico di recente deceduto, e che Maffeo avrebbe inteso devolevere a un suo familiare. Di fronte all’accaduto Maffeo prorompe in un lamento amaro (493.3): Fateor hoc, praesul dignissime, moleste tulisse ac in praesentiarum ferre. Non enim! Alter nemo fallere me potuisset, cum potius tuae dominationi quam sibi cre­didi, de tua liberalitate confidens, sciensque hoc crimen a tua virtute et fide abesse, sed idem capellanus sine consilio et scitu hoc fecisse tuo minime dubito. L’intero passo è segnato da un’espressione concitata, tipica piuttosto del parlato che dello scritto, essa incespica in un periodare scomposto, fin da principio incurante della grammatica (la prima infinitiva è ellittica, come spesso accade, del soggetto atteso, me), improntato a una decisa affettività (la quale si esplicita nell’esclamativo Non enim!, forse ispirato dal volgare: «No infatti!»), concluso in un evidente anacoluto (idem capellanus resta infatti sospeso, atteso sarebbe l’accusativo eundem capellanum, soggetto di una pro­posizione oggettiva retta da minime dubito): sembra quasi che il testo sia pro­dotto qui dall’estemporanea dettatura, a viva voce, fatta a un segretario, piut­tosto che dalla diretta e meditata scrittura dell’arcivescovo. Una scrittura così concitata è testimoniata anche in molte delle lettere concernenti i rapporti tesissimi con i religiosi della diocesi, e più in partico­lare con il monastero di San Crisogono, di cui è abate l’irriducibile Bogdan (una fitta serie di missive, le n° 31, 110, 383, 389, 392, 393, 394, 395, 396, 397, 400, 408, 409, 412, 440, 459, 460, 462, 464, 465, 466, la maggior parte composte nell’anno 1461), e con il monastero di Santa Maria, la cui badessa è una donna altrettanto irriducibile, di cui però non è mai fatto il nome (280, 281, 283, 288, 306, 322, 325, 328, 332). Gli elementi di una lingua affettiva, caratterizzata da una autentica e agitata indignatio, si riscontrano pienamente realizzati nella n° 389, a Paolo Barbo, il 3 maggio 1461, testo lungo ed elaborato, letterariamente fra i più riusciti, nel quale Maffeo riepiloga i punti chiave della sua angosciante ver­tenza con l’abate, raccontando dettagliatamente gli eventi più inquietanti e persino scabrosi della vicenda. Al paragrafo quarto della lettera la scrittura si agita, inarcandosi in alcune proposizioni interrogative retoriche, di cui una è oltretutto incisa da una parentetica esclamativa (389.4): Quid egi equidem? Nunquid increpavi? (…) Quid his verbis meis melius, humaniusne potuit dici? Ipse tamen (quanta est eius barbara impudentia et proter­vitas!) nunquid in partem accepit bonam? Immo protinus in furorem et iracundiam excandescere cepit, quasi crederet me livore invidiae ductum, moleste ferre quod sit abbas, respondendo mihi ampullose insolenterque ac minatorie, saepius ac saepius replicans: «providebo, providebo ne subsim tibi!». Johann Baptist Hofmann, in un’opera ancora fondamentale dedicata all’argomento, ha precisato come la domanda «compare ad ogni momento nella lingua d’uso in funzione dell’affermazione di una realtà mentale»,1917 Cfr. Guarino da Verona 1915, ep. n° 277, 426-428. cioè non solo in un contesto logico in cui richiede una esplicita risposta, ma molto più spesso «al servizio della espressione delle più varie correnti affettive che sono nascoste nella coscienza del parlante e che si muovono soprattutto nell’ambito della compassione, dell’impazienza, dell’irritazione e della sorpresa».2018 Cfr. Lewis & Short 1879, s.v.: «‘not foreseen, unforeseen, unexpected’». Formule interrogative come 389.4 Quid egi equidem? Nunquid increpavi? vanno considerate appunto quali domande affettive che sono parte di un monologo, esprimono stupore e irritazione, e sono tipiche anche dello stile epistolare.2119 Hofmann 1980, 189. A una lingua sostanziata da affettività va poi ricondotta l’in­teriezione quanta est eius barbara impudentia et protervitas!, la quale, come spesso le formule esclamative, esprime direttamente uno stato d’animo di «meraviglia, scherno, ironia, pathos vivace».2220 Ibid. Infine il discorso diretto è anch’esso manifestazione di forte emotività, e non è un caso che proprio al punto si assommino due anafore (saepius ac saepius e providebo, providebo), le quali anch’esse indicano l’immediato sfogo affettivo.2321 Ivi, p. 191. La forte indignatio che caratterizza le molte lettere sui rapporti spinosi con i religiosi della diocesi è esplicitata inoltre da formule imprecatorie, come 288.3 femina impudentissi­ma et temeraria; 368.2 vix adduci possum ut credam in una muliere quae abba­tissa est praedicti loci tantam proterviam, insolentiam, temeritatem rusticamque audaciam denique barbaram inesse (…); 400.3 ipse abbas obmutuit tanquam bestia (nec mirum, cum prima elementa litterarum ignoret); 395.4 iniquitas et malitia barbarorum istorum, quorum mens mala, ingenium pravum, animus pessimus, semper ad malum tendit; e ibid. Tantum igitur scandalum dictus abbas suscitavit et hic et Venetiis lingua sua dolosa, ut Tiberis fluenta ad extinguendam vix sufficerent. Sono il segno, tali formule, di un’«intensificazione affettiva»,2422 Ivi, p. 188. propria di un animo esacerbato, incapace di contenere il ramma­rico, anzi lo sdegno, per una situazione di cui avverte l’ingiustizia e la perico­losità per la sua autorità che è gravemente minacciata. È notevole come nella lettera n° 396 una consimile trafila di improperi sia però mediata e filtrata dalla cultura dello scrivente, il quale, nel caso, deve rapportarsi al suo grande patrono, il cardinale Pietro Barbo, che probabilmente avrebbe poco gradito uno sfogo troppo aggressivo e scomposto (396.2): Sunt enim genus hominum asperum quia natum est et educatum in locis asperis et petrosis, mendax et vafer, quia servilis conditionis, ferum et inconstans, quia a conscientia iuris et a studiis humanitatis ac prorsus ab omni virtute remotum et alienum, ut non mirum si summus orator imprecetur eisdem Dalmaticis malum, quia bellicosi et seditiosi semper habiti sunt (Cic. fam. V 11,3). Et Iuvenalis eiusmo­di gentem vitandam dicat: «horrida», inquit, «vitanda est Gallia, Gallicus apis, Illi­ricumque latus» (Iuv. 8, 116-117), cum ceteras gentes imbelles dicat. Itaque si abbas iste, Bugdanus nomine, pars infima Dalmatiae plebis, ceu aliter gradu Crispinus (Hor. Serm. I 4,14), verna canapi, provocat me continuis iniuris et controversiis, imitatus vitium gentis suae, facit certe officium suum. Dove le espressioni di forte indignazione, segno di un risentimento e di una rabbia manifesti, non sono risparmiate: ma l’amarezza per l’accaduto si compone in un dettato ben strutturato e meditato, arricchito di citazioni dotte, lontano e distinto dalla spontanea affettività che caratterizza altre ana­loghe missive. E va in merito notato ancora come spesso il sentimento di rab­bia e di irritazione, così come la volontà di denuncia, si stemperino in un autentico piacere per la narrazione degli eventi. Cosicché alcune fra le epistole citate divengono, oltre che testimonianza dei difficili rapporti fra l’autorità religiosa veneziana e l’ambiente religioso croato, testi provvisti di un inatteso e sorprendente valore letterario. E si faccia solo il caso della lettera n° 395, dove Maffeo racconta una vicenda licenziosa che ha, quali protagonisti appe­na abbozzati, sospesi tra goffaggine e ridicolo, una donna piena di malizia, madre di un prepotente abate, la quale tiene in casa fanciulle di dubbia repu­tazione, con il fine di adescare un improvvido presbitero sottoposto all’auto­rità vescovile, il quale, preso all’amo della seduzione, viene sopraffatto da un gruppo di frati e villici a tal fine prima istruiti; quindi, legato e immobilizza­to, è fustigato un’intera nottata, finché, fortunosamente, è soccorso dal brac­cio secolare, ossia dai soldati del padre di Maffeo (395.2-3): Is idem abbas domi suae, ubi habitat mater eius, habet quasdam famulas sini­strae (ut fertur) famae, quas instruxerat ut lenociniis et illecebris impudicis (venia sit dicto) familiares et domesticos meos, tum laicos, tum etiam clericos bonae existimatio­nis inescarent, in quibus malitia sua non habuit locum. Cumque perduraret in hoc nequissimo proposito, fere per unum mensem continuum (ut fertur) singulis noctibus monachos et villicos quosdam suos armatos domi praedictae excubare faciebat ad foven­das insidias quas paraverat. Sicque factum est ut tandem quendam presbyterum cepit, qui tota illa nocte ligatus iussu abbatis verberibus cessus fuit usque ad effusionem san­guinis. Fabula esset nimis longa, immo vera historia, quam fortasse reverenda domina­tio vestra ab aliis forte didicit seriosius. Mane facto, quod ego tunc facere debui, audito maxime dictum sacerdotem in vinculis destineri, nonne requisitus relaxandum eum fore procurare debui? [3] Illico misi ad dominum genitorem meum, nunc praefectum seu capitaneum huius civitatis, implorans bracchium militum suorum, praesertim quia cum dicto presbytero alter miles eiusdem domini capitanei captus erat. Non è un caso che l’arcivescovo interrompa al mezzo il racconto con una considerazione metanarrativa: sì, la fabula, dice, è forse troppo lunga, anzi, è troppo lunga la historia, che tale è, verità, ma così simile a una fabula… 8. Media Latinitas Nell’epistolario plurimi sono gli usi linguistici che testimoniano la per­sistenza della cultura latina tardo medievale, sia a livello sintattico che lessi­cale. È un’eredità condivisa da buona parte della tradizione epistolografica quattrocentesca, ancora in bilico fra usi cancellereschi e/o ecclesiastici, e quel­li della rinnovata tradizione umanistica.2523 Ivi, p. 185. A livello sintattico va segnalato l’a­dozione frequente del quod completivo di verbi di ‘dire’, ‘pensare’, ‘stimare’, ‘sapere’, ecc.,2624 Ivi, p. 216. ad es. 12.2 Ego etsi non credam quod dominatio reverendissima vestra arbitretur me affinem esse huius maculae; 72.2 Non enim intendimus quod ecclesia nostra aliquid patiatur detrimentum; 23.4 Etsi fieri posset ut resu­scitaretur tibi puerulus, scio quod non facerem; ma anche quod come completi­vo dei verbi accido e persuadeo, ad es. 2.1 Etsi parum in praesentiarum accidat quod ad dominationem vestram reverendissimam scribam; 19.1 non possum mihi persuadere quod tibi tam cito a memoria deciderim. Rarissimo, invece, l’analogo uso di quia completivo (posso citare 13.1 non videmus quia, secundum vetus proverbium, «qui in uno offenderit reus efficitur omnium»), congiunzione che sembra mantenere, nella grandissima maggioranza dei casi, il classico valore subordinante causale. Secondo un uso diffuso nel tardo latino, e che ha invece attestazione rara e controversa nel latino classico, quoad è usato come preposizione con accusativo, con accezione di limitazione a 356.3 Licet enim utilis fuerit eccle­siae quoad cantum suum, cum sit tam scandalosus, satius est ut abscidatur ne corrumpat ceteros.2725 In generale sulla persistenza della cultura tardo medievale nel Quattrocento vd. Rizzo 2002, 150-153; in merito alla epistolografia vd. Delle Donne 2002, 44-45; più recente­mente Bellieni 2018, 739-741. Frequentemente usata è la congiunzione qualiter, attestata soprattutto (anche se non esclusivamente) nel mediolatino, a introdurre anzitutto una proposizione modale (con l’accezione di: ‘in quale maniera’ / ‘nella maniera in cui’), che può avere il verbo al modo indicativo ovvero congiuntivo.2826 Cfr. Väänänen 1982, 273. E così anche nell’epistolario di Vallaresso tale valenza modale è attestata sia con l’indicativo (6.2 notificare decrevi qualiter hic quidem tam a clero quam ab uni­verso populo benigne maximaque cum caritate susceptus fui; 82.1 compertum est mihi qualiter reverenda olim mater […] migravit ad Christum; 462.1 Memini tibi alias scripsisse […] qualiter res processerat; 126 Quod si contigerit et in quem et qualiter actum est cum talibus tuis litteris facito me certiorem), sia con il con­giuntivo (20.3 Qualiter enim peccatoribus dandae sint paenitentiae, nosti; 172.5 significes nobis qualiter ipse F[ranciscus] se gerat in dies). Ma più spesso la congiunzione ha funzione di completiva con verbi come accipio, comperio, nosco, intelligo, per introdurre una proposizione oggettiva (acquista cioè la stessa valenza di quod), sia con l’indicativo (135.1 Bene nosti qualiter […] dominus comes una cum Pagensibus […] non rectam de nobis informationem exhibuerunt; 45.2 significare duxi qualiter nuper unum breve […] accepi; ), sia con il congiuntivo (61.1 accepi qualiter dominatio vestra promota sit ad eccle­siam Traguriensem; 38.1 intellexi qualiter sanctissimus dominus noster […] magnam dignitatem vobis contulerit; 108.1 Ex relatione Bla[sii] dis[erte] intel­leximus qualiter spectabilitas vestra omnino deliberaverit bona stabilia presbyteri G. vendere; 54 notum esse iam credo, qualiter videlicet nuper reverendus domi­nus Spalatensis decesserit; 120.1 Cum itaque nuper intellexerim qualiter sanctus dominus noster illam amplam ac dignissimam abbatiam Rosatii vobis concederit; 144.1 Noverit reverenda dominatio vestra qualiter presbyter Lucas nuntius meus istuc rediens e curia litteras mihi attulerit). Notevole (e isolato) il caso di 109.1 Noverit eadem dominatio vestra qualiter iuxta illam primam determinationem et compositionem vestram Fabriani factam inter ipsum scilicet dominum Phi[lippum] Fos[cari] et me sibi satisfatum esse ad unguem, dove, in dipen­denza dal verbo noverit, alla congiunzione qualiter segue l’infinito (secondo la classica costruzione della proposizione oggettiva). Il pronome di terza persona sui, sibi, se è usato spesso – in continuità con la tradizione medievale – senza riguardo all’originario valore riflessivo,2927 Cfr. Lewis-Short 1879, s.v., § 3: «With respect to, as to, = quod attinet ad»; gli esempi forniti sono dubbi e spesso corretti dagli editori. Invece l’ampia attestazione di quoad preposizione è attestata da DMLBS, s.v. quoad, n° 4. come nella nota marginale alla lettera n° 100.1 Do notitiam cuiusdam causae meae sibi commissae; inoltre 97.2 sibi suasi (‘lo persuasi’: a scrivere è nel caso Giovanni Sobota); 190 rogo ut ad expeditionem administrandae iustitiae pater­nitas vestra sibi faveat, dove sibi è riferito a una donna per la quale Maffeo ha scritto una raccomandazione. È usato con valore riflessivo ad es. a 23.2 Spes omnis capellani in te sita est, dolebitque sibi multum, si non hoc mei causa effe­ceris, ‘il cappellano si addolorerà’ (con riflessivo pleonastico);3028 DMLBS e Niermeyer, s.v. 52.4 observa­tum iri velit, quod in se ipsam vellet observari; 61.2 Valeat felix dominatio vestra, quae si videt me sibi usui esse posse, disponat de me; ecc. Anche qualche aspetto morfologico riconduce alla tradizione mediolatina, come la forma testimoniata dalla lettera 384 insteti in luogo di institi.3129 Cfr. Harrington 1997, 33. Ci vorrà ancora tempo perché la riflessione grammaticale del Valla imponga la sua autorità: Mantello-Rigg 1996, 132 (sul De reciprocatione sui). Dal punto di vista lessicale vanno segnalate numerose voci le quali, evi­dentemente, appartengono alla tradizione medio-latina; alcune poche non hanno attestazione nei lessici (talora è plausibile pensare a neologismi); in ordine alfabetico: - ambassiator (289 mandaverunt quaedam capitula […] contra liberta­tem ecclesiasticam ambassiatoribus; III 9.2 Boemorum principes cum eorum sacerdotibus nec non dominus Constanciensis sacri concilii ambassiator): vocabo­lo di origine provenzale,3230 Väänänen 1982, 216. diffuso sia nel mediolatino (con grafia prevalente ambasciator),3331 Ha numerose attestazioni nel latino medievale, ad es. Bonifatius (s. VIII), Ars grammatica (CPL 1564 b), de verbo (a) (p. 37-60): et similiter adiectis praepositionibus, ut praesteti insteti resteti prosteti; è anche attestata come variante in manoscritti grammaticali, ad es. dell’Ars di Carisio (243K); varie anche le attestazioni nel latino del tardo rinascimento. sia nel latino umanistico;3432 Devoto 1968, s.v. ambasciatore. - amulio (II 13 cum amulione et quattuor aut quinque salmis […] iter per nonnulla loca Venetias versus et Hyadram sit facturus): come tràdito da B, il termine non ha corrispettivo preciso nei lessici; la radice è tuttavia la stessa di hama, che in origine vale ‘recipiente’,3533 DMLBS e Niermeyer, s.v. ambasciator. e che indica poi anche una misura per il vino;3634 Ramminger, s.v. ambasciator. da cui hamula, cioè, in mediolatino, il dolium vinarium (contenente la misura di una hama),3735 Lewis & Short 1879, s.v. hama: «waterbucket, esp. for extinguishing fires, a firebucket» (attesta­to nell’epistolario di Plinio, in Giovenale, nel Digesto). diminutivo da cui potrebbe derivare amulio; - assasinamentum (51.1 commisit ibidem homicidium pensatum, assasi­namentum et furtum): è bene attestato nel mediolatino assasinus,3836 Du Cange, s.v. hama; Niermeyer, s.v. ama. mentre assassinamentum è registrato solo da Du Cange, come tarda latinizzazione del volgare italiano assassinamento;3937 Du Cange, s.v. hamula; Niermeyer, s.v. amula. - bancherius (421.2 remittendo solutionem vestrae paternitati fiendam per viam bancheriorum; 465.5 quae per me mittenda erat per viam bancheriorum ad manus reverendissimi domini; 453.3 per vias bancheriorum Romam transmit­tam, ecc.): i lessici registrano bancarius;4038 Cfr. DMLBS e Niermeyer, s.v. assassinus. ma la grafia ricorrente in B è diffusa in coevi e precedenti documenti veneziani, ed è prossima a banquerius;4139 Cfr. Du Cange, s.v.: «ab Ital. Assassinamento, Homicidium. Chron. Placent. ad ann. 1482. apud Murator. tom. 20. Script. Ital. col. 970: His temporibus multa facta fuerunt latrocinia, occisiones et Assassinamenta»). - barile (258.2 collegi summulam piscium […] quos […] tribus barilibus […] mitto; 296.2 electorum […] piscium in duobus barilis [sic] stipatorum; 343 duo barilia ficuum; ecc.): termine attestato nel mediolatino4240 DMLBS (con un solo esempio, nell’accezione di «banker, moneychanger»), Du Cange (‘thesau­rarius’), Niermeyer (nell’accezione di ‘trésorier d’une université’). e nel latino umanistico;4341 La grafia banquerius è registrata da Du Cange (s.v. bancarius). da notare a 296.2 l’eteroclisi barilis, ablativo plurale della secon­da declinazione; - beneficiolum (252 Ia[cobus] Romae, obtinuit quoddam beneficiolum Paduae, mediante vestra intercessione; 270.4 illud beneficiolum non esse benefi­cium perpetuum tituli et dignitatis; 480.2 puto utilius reservare ad beneficiolum aliquid obtinendum, si fors tulerit): diminutivo attestato sia nel mediolatino4442 DMLBS e Du Cange, s.v. barile. sia nel latino umanistico,4543 Ramminger, s.v. barile. usato con diversa connotazione semantica, sia affettiva (480.2), sia di precisa limitazione, in opposizione a beneficium (270.4); - c(a)espitatio (424: equi […] cespitatione laesus in locis vitalibus, ‘ferito negli organi vitali a causa dell’incespicare del cavallo’): voce presumibilmente coniata sul verbo c(a)espito, bene attestata in documenti rinascimentali;4644 Niermeyer, s.v. beneficiolum. - chiarinatio (III 43.2 qui Liberi sacra celebrant, quae non bacchanalia […] appellantur, sed, recentiori vocabulo, ab his qui eam religionem profitentur, ‘chiarinationes’ dici solent, quorum claram mentem et curis expeditam faciant): la lettera è scritta da un Gir(olamo) che pare legato, per quanto si apprende dalla lettera medesima, a Maffeo; personaggio di buona preparazione umani­stica, che qui trasmette un termine allora in uso, una neoformazione ludica, di cui fornisce puntualmente il significato: i banchetti segnati dall’abbondan­te libagione venivano detti chiarinationes, in quanto capaci di schiarire la mente e di liberarla dalle preoccupazioni; - concerno (III 23 Id enim adauctum fuisse concerno litterarum tuarum experimento, ‘noto che questo (esercizio epistolare) è stato da te rinvigorito mediante il saggio della tua lettera’): pur nella terza parte dell’epistolario, la lettera è scritta da Maffeo Vallaresso e indirizzata a Giovanni di Traù, cioè Giovanni Sobota; concerno è frequentemente attestato in mediolatino, con accezione di ‘notare’, ‘constatare’ (che è già del latino patristico);4745 Ramminger, s.v. beneficiolum. ma è anche bene attestato in documenti rinascimentali;4846 Ramminger, s.v. c(a)espitatio, con plurimi esempi; anche registrato da DMLBS, che tuttavia per la voce fornisce una sola occorrenza. analogo uso a III 7.3 Te igitur, quem ipsius defuncti attinentem ex tuis litteris esse concerno (ignoti il mittente, il destinatario e l’anno); - concordium (460.1 nescio quid concordium ex parte ipsius abbatis mecum esse secutum. De quo quidem concordio inter nos habito nihil profecto scio): equivale a pactum, ovvero foedus, con attestazioni (rare) in documenti mediolatini e rinascimentali;4947 DMLBS, s.v. concernere, 1.: «to observe, regard, consider». - congratulatorius (61.1 me continere nequiverim quin has congratulato­rias ad dominationem vestram non destinarem; ecc.): aggettivo ampiamente attestato in tutto l’epistolario (specie nelle note marginali), sempre riferito a litterae ovvero epistula;5048 Ramminger, s.v. concerno, con esempi, fra altri, da Salutati e da Alberti. - corniola (10.3-4 diligentiam usque modo habui in quaerendis corniolis et medaiis […] Corniolae […] non solum non inveniuntur Hyadrae, sed nec quid id sit scitur; 345 mitto […] medalias aureas numero XVIII […], cum certis corniolis; 347.2 Corniolas vero et medalias quod accepit sub conditione certe supra modum tristor; III 40.1 Corniolam in qua mortis effigies sculpta sit citius quoad potero comparatam ad ipsum mittam): equivale probabilmente all’italia­no ‘corniòla’, voce che a sua volta indica una varietà di pietre (calcedonio, calcare, una qualità di cammeo);5149 Du Cange e Ramminger, s.v. concordium. - dental (?) (152.2 Quod scribis ut mittam tibi de piscibus nostris, hoc est dentalibus in gelatina, faciam libenti animo, modo adsit nuntius. Sed quid opus est tibi dentalibus nostris […]): è una specie ittica, il dentice, in veneziano dental,5250 Non pare avere grande diffusione: è registrato solo dal DMLBS, s.v., che ne dà una sola attestazione. da non confondere, ovviamente, con dentale, ampiamente attestato nei lessici mediolatini, che indica invece una parte dell’aratro, ovvero una punta;5351 Solo Du Cange registra la voce corniola, con accezione (per l’appunto) di ‘pietra’; l’esempio (uni­co) è tratto dagli Acta S. Franciscae viduae: «vox Italica, Cornum, Gall. Cornouille. Acta S. Franciscae viduae (…): Nonus vero lapis erat similis Corniolae qui denotabat virginis virilitatem». - dietim (116 Ita factum est ut hac spe suspensus dietimque expectans prae­fatae causae finem; 141.1 Itaque cupienti mihi ad tuas dietim respondere; ecc.): equivalente di quotidie, attestato ampiamente, ma con prevalente grafia diatim;5452 Boerio 1867, s.v. dental. - dilamatio (142.1 non possum teneri quin ex tantis dilamationibus, immo dilationibus dixisse volui, admodum admirer et doleam non minus aerumnam et calamitatem dicti fratris mei): dilamatio (ammesso che il testo sia correttamen­te tràdito) appare un neologismo, forse costruito sulla morfologia del succes­sivo dilatationibus, la cui radice è nel termine lama, ‘pantano’; il senso è abba­stanza chiaro, ma resta intraducibile il gioco di parole: ‘non posso non stupirmi e dolermi per la sventura e la disgrazia di mio fratello, causate da tanto grande pantano (?), anzi, avrei voluto dire, da tanto grandi dilazioni’. - exburso (401.3 Baculus quoque pastoralis deglutivit mihi non mediocrem pecuniarum summam, quam de meo exbursavi): voce verbale attestata sia nel latino medievale che umanistico;5553 DMLBS, s.v. dentale, Du Cange, s.v. dentales. - exhibitrix (190 honesta ac proba mulier […] praesentium exhibitrix): non pare registrato in lessici mediolatini, ma ha sicure attestazioni nel latino umanistico;5654 DMLBS, Du Cange, Niermeyer, s.v. diatim. - fiducialiter (74 accepi litteras quas iocundissime legi tuasque humanissi­mas oblationes utraque manu amplector, quibus cum opus erit fiducialiter utar): già attestato nel latino patristico (Agostino), ha attestazione ampia nel latino medievale;5755 Du Cange, Piccini 2006, Ramminger, s.v. exbursare. - granditudo (317.2 Tanta est insuper magnanimitas eiusdem reverendis­simae dominationis vestrae, ut potius gaudeat granditudine animi generosi […]): ‘grandezza’, ‘magnanimità’, è del latino medievale,5856 Ramminger, s.v. exhibitrix. ma ha varie attestazioni anche in quello umanistico;5957 DMLBS, Du Cange, Niermeyer, s.v. fiducialiter. - gothonus (175 quod ornare solet delicatos principum thalamos, podagrici, gothoni perpulchra ordimenta): ‘cotone’, voce rara, registrata dal Du Cange, che attesta una ricorrenza sola, in un documento significativamente di ambi­to veneziano;6058 DMLBS e Du Cange, s.v. granditudo. - inculcatio (254.1 inculcatione verborum nobis minime satisfactum vide­ri: ‘non siamo per nulla soddisfatti dalla ripetizione delle vostre parole’): voce attestata già in Tertulliano (Apologeticum 39), è anche testimoniata nel mediolatino;6159 Ramminger, s.v. granditudo, con esempi da Giovanni Conversini e da Teofilo Folengo. - invitiatus (255.1 cum vestra in me officia non solum invitiata, verum etiam cumulatissime impensa atque etiam expleta constent): i favori (officia) del Barbo nei confronti di Maffeo sono invitiata, cioè sine vitiis (senza difetti); l’aggettivo ha rara attestazione nel mediolatino;6260 Du Cange, s.v. gothonus: «Gall. Coton, apud Cypriotas: De venditionibus bladorum, Gothonorum aut vinorum suorum (Venise, Archiv. génér. Senato. Misti, XLVII, f. 65, an. 1406)». nell’umanesimo è attestato almeno nella commedia Oratoria di Tito Livio Frulovisi;6361 DMLBS, s.v. inculcatio. - ludisatio (370.3 obsecro ut eundem […] cogat iuri parere et praemissis non contravenire et sic ludisationi locus submoveatur, ‘prego che il medesimo obbedisca alla legge, non contravvenga a quanto stabilito, sia così tolto spazio alla beffa’): ‘dileggio’, ‘beffa’, ‘derisione’, questo il senso (almeno per come si ricava dal contesto e dalla radice) di una voce che appare un hapax assoluto, forse un neologismo del Vallaresso; - materiatiis (469.2 Si roges quid egeam materiatiis, ‘se chiedi di che cosa abbia in concreto bisogno’): il senso generale appare chiaro, ma il vocabolo (materiatiis) non è altrimenti attestato; è sì attestato in scrittori medievali materiatus, un aggettivo di uso tecnico-filosofico;6462 Fra i lessici da me consultati solo DMLBS registra il termina, dando una sola occorrenza. nel caso è lecito sospettare una corruttela – si potrebbe congetturare, exempli gratia, materiariis; - medalia / medaia (10.3 Summam diligentiam usque modo habui in qua­erendis corniolis et medaiis; 10.4 Corniolae autem aut medaiae non solum non inveniuntur Hyadrae; 353.1 recuperare studui aliquas medalias quibus eadem oblectatur): voce ampiamente attestata nel mediolatino, con una notevole varia­bilità grafica,6563 Frulovisi 2010, 10: Virgo est, pudica virgo, incorrupta, invitiata virgo; la voce è rilevata anche nel commento della editrice Cristina Cocco (in Frulovisi 2010, 72). rispecchiata in parte anche dall’epistolario di Vallaresso; - molaris (407 casei peciam sane molarem transmisistis): aggettivo di uso non frequente nel latino classico,6664 Ad es. Bonav. Commentaria in quattuor libros Sententiarum Magistri Petri Lombardi, in librum II comm. in distinct. 3, pars 1, articulus 1, quaestio 3, conclusio: sic et materia, quia infinita, in omnibus materiatis est una propter infinitatem eius, quae venit ex summae possibilitatis imperfectione. più diffuso (sembrerebbe) nel mediolatino;6765 Du Cange e Niermeyer, s.v. medala. l’accezione originaria (‘del mulino’, ‘relativo al mulino’), non può valere nel caso (il riferimento essendo a un pezzo di formaggio, detto appunto sane molarem); semmai potrebbe essere inteso nel senso di ‘assai grande’, ‘assai pesante’ (appunto come una macina); - mulaterius (381 per mulaterios illius loci ad reverendam dominationem vestram deportentur; 382 certus te habuisse destinatum ordinem […] ad ipsum dominum cardinalem illico per mulaterios eius sumptibus ad id conducendos): ‘mulattiere’, ‘conducente di muli’, con attestazioni sia in documenti medio­latini che umanistici;6866 Lewis & Short 1879, s.v. molaris, e: «of or belonging to a mill or to grinding (…)». - myropolium (372.3 qui gymnasia atque myropolia, aedes principum et templa deorum frequentant): ‘spezieria’, ‘profumeria’, voce già attestata in Plauto,6967 DMLBS e Du Cange, s.v. molaris. ricompare nel latino medievale;7068 Du Cange e Ramminger s.v. mulaterius. - negotiatorius (112.4 triremes negotiatorias): già attestato nel latino postclassico proprio in riferimento a imbarcazioni atte al commercio,7169 Lewis & Short 1879, s.v. myro-polium: «a shop where ointments, balsams, essences, etc., were sold, a perfumer’s shop». l’ag­gettivo ricorre anche in documenti mediolatini;7270 DMLBS, s.v. myropolium; Du Cange, s.v. miropolum; al termine è qui assegnata l’accezione (più ampia di quella originaria) di taberna mercatoria. - obviatio (415.3 Quod autem idem scelestus exprobrare pergat officium obviationis Auserum usque mihi tunc ex Venetiis naviganti impensum, ‘che quel ribaldo continui a rinfacciare il dovere da lui compiuto di venire incontro a me, che veleggiavo da Venezia, fino a Ossero’): ‘incontro’, voce mediolatina, anche attestata in documenti umanistici;7371 Lewis & Short 1879, s.v.: «of or belonging to trade or tradespeople (post-class.): naves, trading vessels (…)». - ordimentum (175 quod ornare solet […] gothoni perpulchra ordimenta): benché non trovi alcuna attestazione di ordimentum né in lessici del medio­latino, né del latino umanistico, ritengo tuttavia la voce genuina (non una corruttela); può essere infatti latinizzazione del volgare ordimento, che ha varie attestazione nell’italiano antico;7472 DMLBS, s.v. negotiatorius. - organicina (56 Deinde est organicina optimus): si intende probabil­mente l’arte organaria, ma della voce non c’è attestazione nei lessici consulta­ti; essa ricorre invece in molto seriori trattati teologici;7573 DMLBS, Du Cange, Niermeyer, Ramminger, s.v. obviatio. - oriatarga (131 intelligens oriatargas, illas quas tanta cura paraveram, corruptas penitus et marcidas fuisse): indica una specie ittica, confezionata secondo metodo del savor, per essere inviata al cardinale; nel latino medievale è aurata, da cui l’italiano ‘orata’;7674 È registrato nella quinta edizione del Vocabolario della Crusca: «Lo stesso che ordito, detto di ma­teria tessile. Ed altresì, la cosa medesima ordita (…)», cui seguono varie esemplificazioni. - pedisequa (III 27 te magnopere rogo ut pedisequam aliquam, de qua sae­pius coram verba habuimus, ad me mittas): Barbone Morosini chiede a Gio­vanni Sobota di procurare una ‘fantesca’, appunto una pedisequa, voce ampia­mente attestata nel mediolatino, anche con grafia pedisqua;7775 Ad es. Nei Philosophemata di William Ames (1643). - pensionarius (389.4 ob reverentiam reverendissimi domini mei, cuius pensionarium eum esse cognoscebam): ‘colui che riceve un reddito’,7876 Du Cange, s.v. aurata; Devoto 1968, s.v. ‘orata’. in genere dalla tesoreria del suo dominus; nel caso specifico, l’abate Bogdan è pensiona­rius del cardinale Pietro Barbo; - perfunctorie (213.2 istud onus […] si perfunctorie agatur): avverbio dall’aggettivo perfunctorius, attestato nel tardo latino giuridico,7977 DMLBS, s.v. pedisequa; Du Cange s.v. pedisqua. e quindi anche in documenti mediolatini e umanistici;8078 DMLBS, Du Cange, Niermeyer, Rammingher, s.v. pensionarius; è plausibile che l’uso del termine provenga al Vallaresso dagli usi giuridici e cancellereschi, ben testi­moniati in tutto l’epistolario; - petia (392.3 Nunc audio ipsum facere grandes petias et casum ingen­tem et cum sit reus actorem se constituere): è voce diffusissima nel latino medievale; l’accezione fondamentale è ‘parte’, ‘porzione’,8179 Cfr. Lewis & Short 1879, s.v.: «done in a careless or superficial manner, slight, careless, negligent, perfunctory (jurid. Lat.)»; ivi: «Adv.: perfunctorie, slightly, carelessly, negligently, perfunctorily (late Lat.)». da cui derivano significati più specifici e tecnici; nel contesto sembra acquisire un valore proprio di contesti giuridici (ma registrato solo dal Du Cange),8280 DMLBS, Niermeyer, Ramminger, s.v. perfunctorie. ‘querela’, ‘atto di accusa’, o simili; - polliga (156.4 Sique missa fuisset nobis ille polliga conventionum inter illos et cetera, iam res habuisset finem): così come trasmessa, la voce non è atte­stata nel latino medievale, e di fatto Jelic corresse in polliza – una correzione plausibile, perché il copista potrebbe avere frainteso la lettera z dell’originale, di fatto raramente usata e somigliante a g –, ma non si può escludere una variante originale rispetto alla consueta e moderna morfologia pòlizza;8381 DMLBS, Du Cange, Niermeyer, Piccini, s.v. pecia. - praesentialiter (254.2 non sufficit citandos in domibus propriis, ut asse­ritis citare, sed praesentialiter ubi reperiuntur): ‘in presenza’, ‘di persona’, avverbio del lessico medievale tradizionale;8482 È registrato da Du Cange, s.v. petia: «Instrumentum lite pendente productum, qua notione etiam Practici nostri Piece dicunt». - quitatio (77 Quod vero scribis ac saepius replicas de facto illius quitatio­nis et cetera, breviter tibi respondemus): voce attestata nel latino medievale,8583 La voce sembra originata dal greco bizantino *apódeiksa, transitato attraverso un tipo veneziano *pòdissa: Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, s.v. pòlizza. con la diversa accezione di ‘esenzione, ‘immunità, ovvero ‘salario’, ‘stipendio’; - redolentia (304.1 Facile perspexi ex vestrae reverendae dominationis sua­vissimis litteris redolentiam; 305.1 redolentiam antiqui amoris, quae procul dubio periocunda est, rememorans): ‘fragranza’, ‘profumo’, con alcune attesta­zioni nel medio latino,8684 DMLBS, Du Cange, Niermeyer, s.v. praesentialiter. è spesso usato dagli umanisti;8785 DMLBS e Du Cange, s.v. quitatio; più diffuso il termine nella grafia quietatio. - refuxa (?) (353.3 Cum autem idem germanus scribat mihi, ut originalem illius medaliae maioris refuxae): voce dubbia, di cui non trovo altra attestazio­ne; Jelic corresse in refusae, pare evidente che la radice del vocabolo sia quella di fundo, ‘fusione’, cioè ‘medaglia di migliore fusione / fattura’; - salma (381.1 sex barilia a salma mitto vestrae reverendae dominationi Anconam usque): voce molto diffusa nel latino medievale, attestata seconda varia grafia;8886 Cfr. DMLBS, s.v. redolentia. in varia accezione: ‘sella’, ma anche ‘carico’, trasportato sulla sella e/o sulla cavalcatura; nel caso, con ogni probabilità, è l’unità di misura di ciascun contenitore (usata infatti per vari materiali, anche il pesce);8987 Ramminger, s.v. redolentia, fornisce una serie di esempi da Valla, Platina, Merula, ecc. inve­ce a II 13 cum amulione et quattuor aut quinque salmis dicti domini archiepi­scopi, la voce è usata in accezione di ‘cavalcatura’ che trasporta il carico di beni appartenenti al Vallaresso; - scutifer (319.1 mora tam longa scutiferi mei; 319.4 Applicuit huc Iohan­nes scutifer meus 320.2 Gaudeo Io[hannem] scutiferum sospitem advenisse, ecc.): la voce ha varie accezioni, originariamente vale ‘scudiero’, e quindi, più gene­ricamente, passa a indicare l’‘attendente’, ovvero l’‘inserviente’;9088 DMLBS, s.v. salma; Du Cange e Niermeyer, s.v. sagma. - series (II 15 et harum serie fidem facimus): il vocabolo è usato qui in accezione giuridica, tipica dei diplomi medievali, onde conferire veridicità alla scrittura (si nota come la seconda parte dell’epistolario, composta di copie di atti, è caratterizzata da usi terminologici propriamente cancellereschi);9189 Cfr. in particolare Niermeyer, s.v. sagma, 3. - sescal (153.1 Quod dicis postremo te recepisse unum bonum sescal): voce di cui non trovo attestazione nei lessici, possibile nel caso un errore di trascrizione (compendio non inteso) per sescalcus,9290 DMLBS, Niermeyer, Piccini 2006, s.v. scutifer. con identica accezione di siniscalcus;9391 Tale accezione specifica degli usi giuridici è bene individuata da Du Cange, s.v. series: «Formula est haud infrequens in ejusmodi notitiis quam clarius exhibet notitia ann. 1032 (…): Testimonium no­strum per seriem harum conditionum jurejurando confirmavimus, etc.». - sospitas (76 sufficietque mihi in litteris tuis unicum verbum quod sospi­tatem tuam declaret; 337 De nobis, ut scias quod agatur, noveris nos omnes gra­tia Dei sospitate frui; 47.5 Certe ut sospitatem et incolumitatem sibi corporalem opto; 65 de sospitate vestra, quod ante omnia scire cupio, certior factus sum, ecc.): voce attestata già in Macrobio,9492 Sescalcus / sescallus è registrato in Du Cange. e quindi anche in documenti medievali;9593 Voce anch’essa registrata in Du Cange. - stramarium (469.2 si qua tibi stramariorum […] supellex extat): della voce (che suppongo neutra) non trovo attestazioni nei lessici; indica eviden­temente il materasso (cfr. stramen); - thesauraria (III 33 ut mihi filio tuo et minimo servitori… thesauraria Crethensis confereretur; III 34.2 curare ut nobis thesauraria Cretensis tribuatur): è la dignitas del tesoriere;9694 Lewis & Short 1879, s.v. sospitas: «safety, health, welfare (late Lat.; opp. pestis), Macr. Saturnalia I 17: sospitatem significantia cognomina (…)». a III 33 la grafia di B è thasauraria, che è stato corretto perché a III 34 la voce è correttamente tràdita; - transumptum (439 feci enim eiusdem transumpti tenorem […] legi, ‘ho provveduto a far leggere la trascrizione’): dal mediolatino transumere, è qui nell’accezione di ‘trascrizione’;9795 DMLBS e Niermeyer, s.v. sospitas. - treugua (287.1 Sanctissimus dominus noster conclusit treuguas inter reverendissimos dominos Ursinum et de Columna ipsorumque seguaces): il voca­bolo, che ricorre quattro volte nella medesima lettera di Lorenzo Zane a Maf­feo, è latinizzazione del franco treuwa ‘patto’;9896 Du Cange, s.v. thesauraria: «Gall. Thresorerie, Thesaurarii dignitas, vel locus ubi thesaurus reconditur». con grafia variabile (treuga / treva) è ampiamente attestato nel mediolatino;9997 DMLBS e Du Cange, s.v. transumere, Niermeyer, s.v. transsumere. - visceretenus (52.4 pro iure tamen ecclesiae meae salvo amicitiae ac pro­pinquitatis vinculo, visceretenus dimicare non recuso): ‘non rifiuto di combat­tere a favore della mia chiesa fino alle mie viscere’, ossia ‘con tutto me stesso’; in B è tràdito in scriptio continua, come unica voce, di cui non c’è altra atte­stazione; potrebbe intendersi come una neoformazione avverbiale, formata da viscere (ablativo da viscus) + tenus, postposizione con ablativo, sul modello di aliquatenus, eatenus, hactenus, aliquatenus;10098 Devoto 1968, Avviamento alla etimologia italiana, s.v. tregua. si potrebbe anche pensare (più semplicemente), che nell’originale le due parole fossero distinte: viscere tenus; 9. Euristica delle fonti: tra classici, Bibbia e diritto canonico A fronte di un’eredità medievale che è dunque (almeno a livello di lin­gua e di stile) palese e pressoché onnipresente, non mancano tuttavia tracce della nuova sensibilità rinascimentale: un’attenta e qualificata predisposizione alla lettura di testi non compresi nel canone della cultura trecentesca si evince specie dal carteggio con Lauro Querini, di cui già offre un preciso quadro Matteo Melchiorre nel precedente saggio introduttivo: da quelle lettere, tra le più note forse dell’epistolario intero, se ne ricava l’impressione di un auten­tico interesse per codici che trasmettono l’opera di auctores sia della classicità latina, sia del nuovo umanesimo – Lorenzo Valla, Vittorino da Feltre, Giorgio Trapezunzio –, codici prestati e quindi solo tardivamente restituiti, dietro ripetute e insistite richieste, secondo uno schema che informa i carteg­gi dei più noti padri del rinascimento letterario italiano. Ma è nell’esame specifico delle citazioni di auctores contenute nell’epi­stolario che ancor più concretamente è dato verificare lo spettro delle letture dell’arcivescovo, le fonti da lui tesaurizzate e di cui fa prevalente uso. Vi sono anzitutto una serie di rinvii a classici latini, in particolare, come atteso, a Cicerone, di cui ricorrono citazioni piuttosto estese, anzitutto dal primo libro del De officiis: 213.3 iuxta Platonis sententiam, «non nobis solum nati sumus, sed partim patriae, partim amicis» et proximis, quibus nolle prodesse, si possis, immanissi­mum est (= De officiis I 22); 356.1 Cum enim iuxta summi oratoris sententiam «duobus modis, id est aut vi aut fraude fiat iniuria, frausque quasi vulpeculae, vis leonis videatur utrunque ab homine vestro alienissimum, sed fraus est odio digna maiore. Totius autem iniustitiae nulla capitalior fraus quam eorum qui tum cum maxime fal­lunt id tum agunt, ut viri boni esse videantur» cum non sint (= De officiis I 41); 368.4 Nam contemplationis amor et investigandae veritatis studium a rebus gerendis et ab officio neminem abducere debet, quia «virtutis laus omnis in actione consistit» (= De officiis I 19); 396.3 Non enim debemus reddere malum pro malo, quin potius in bono vincere malum, non obstante quod alibi scriptum sit: «iustitiae primum munus esse ne sui quis noceat, nisi lacessitus iniuria» (= De officiis I 20). Vi sono inoltre citazioni dal De amicitia e dalle Familiares: 415.3 Et tamen nunquam commemorare cuiquam ea volui. «Est enim odio­sum genus hominum officia exprobrantium», ut ait Cicero, «quae meminisse debet is in quem collata sunt, non commemorare, ille qui contulit» (De amicitia, 71). 326.4 «Ea est enim profecto iocundissima laus», ut ait Marcus Cicero, «quae ab iis proficiscitur qui ipsi in laudem et sunt et vixerunt» (fam. XV 6,1). 396.2 non mirum si summus orator imprecetur eisdem Dalmaticis malum, quia bellicosi et seditiosi semper habiti sunt (fam. V 11,3: Dalmatis di male faciant qui tibi molesti sunt! sed, ut scribis, brevi capientur et illustrabunt res tuas gestas; semper enim habiti sunt bellicosi). Poche sono le divergenze fra il testo così come citato in B e quello oggi criticamente definito, né di particolare rilievo, salvo I 20 ne cui quis noceat] ne sui quis noceat, dove non escluderei un errore da parte del copista di B (per il resto si tratta di fatti trascurabili, come De off. I 41 homine alienissimum] ab homine vestro alienissimum B; De off. I 19 virtutis enim laus] virtutis laus B; ecc.). Tanto nelle lettere di Maffeo che dei corrispon­denti, si potranno isolare inoltre varie pericopi testuali modellate su Cice­rone, come ad es. 1.2 (dove a scrivere è Barbone Morosini) Dominationi ergo tuae etiam atque etiam permaxime gaudeo, et, ut ei aeternae saluti ac perpetuae laudi sit ipse pontificatus exopto (= fam. II 7,1: ut sempiternae laudi tibi sit iste tribunatus exopto). Una conoscenza diretta delle opere citate è più che plausibile; e tuttavia non si dovrà pensare che a ciascuna citazione risponda sempre una consulta­zione puntuale, o una consapevole, precisa memoria dell’opera e del suo con­testo, poiché alcuni luoghi sono evidentemente comune e ordinario patrimo­nio della cultura letteraria tardo medievale e umanistica, tanto da essere divenuti locuzioni proverbiali in funzione moraleggiante, di facile memora­bilità e di semplice riuso – in epistolari e trattati del Quattrocento innumeri sono infatti le ricorrenze di non nobis solum nati sumus, ma anche, frequente, è virtutis laus omnis in actione consistit,10199 Cfr. Piccini 2006, s.v. treuga. nonché iocundissima laus quae ab iis proficiscitur qui ipsi in laude vixerunt.102100 Cfr. Ernout-Meillet 1985, s.v. tenus (II). Così anche l’oraziano Carm. I 24,18-24 Durum / sed levius fit patientia / quicquid corrigere est nefas, ricorre almeno in due passi dell’epistolario (35.3 e 463.2), funzionali entrambi alla consolazione del destinatario, versi ormai cristallizzati in una massima, della cui fonte prima forse non c’è nemmeno più consapevolezza esatta.103101 Per virtutis laus omnis in actione consistit (De officiis I 19) vd. ad es. la lettera di Vittorino da Feltre ad Ambrogio Traversari riportata (fra altri) da Woodward 1921, 82 e 183; la lettera di Poggio a Francesco Vellati (n° 23 del libro III) in Poggio 1832, 251; la lettera di Francesco Barbaro a Alberto Guidalotti, in Barbaro 1999, 35. E alla stessa maniera, a 128.1, ancora in funzio­ne consolatoria, si susseguono due distinti prelievi, rispettivamente da Plauto (Amphitr. 634 Ita dis est placitum, voluptatem ut maeror comes consequa­tur) e da Orazio (Carm. II 16,27 nihil est ab omni / parte beatum), ma quasi appartenessero al medesimo autore (non esplicitato): Sic enim cuique compa­ratum est, ut idem ait poeta: «sic diis placitum est, ut gaudium maeror comes consequatur», ut «nihil sit ex omni parte beatum», dove è evidente come i due escerti siano ormai decontestualizzati e congiunti a formare quasi una stessa massima con valore esemplare.104102 Per iocundissima laus (fam. XV 6,1) vd. ancora Francesco Barbaro a Raffaele Fulgosio, in Barbaro 1999, 59. Al proposito, occorre anche considerare che vi è in Vallaresso una pre­disposizione a infiorare la scrittura di tratti aforistici, i quali provengono da un patrimonio consolidato, e forse, pur in misura residuale, sono anche da lui stesso coniati o variati: è congruo infatti al genere epistolare e allo statuto dell’ecclesiastico corroborare il discorso con quelle forme brevi di per sé carat­terizzate da una gravitas funzionale a elevare la comunicazione in senso etico e moraleggiante.105103 Cfr. Tosi 1992, 745 n° 671. Nella nostra panoramica teniamo distinti proverbi e mas­sime da vere e proprie citazioni d’autore, anche se molte di tali forme brevi sono documentate a partire dalla letteratura classica.106104 Per Nihil est ab omni parte beatum cfr. Tosi 1992, 742 n° 1660. Nella considerazione di ciascuna citazione, occorre inoltre tenere pre­sente la possibilità di una fonte intermedia (distinta dunque da quella origi­nale), da individuarsi nel pelago vasto di florilegia, lessici, epistolari, trattati medioevali o umanistici, ma anche raccolte omiletiche.107105 Nosarti 2010, 38. È il caso, ritengo, di 462.4 Quippe quantum sic res se habebit ut depinctum est in veteri Esopi fabula, quod contendentes invicem rana et mus directi tandem fuere a milvo, hoc est a fortiore (…), dove si può prescindere dal considerare l’originaria fonte della fabula, la quale infatti ha nella cultura mediolatina una diffusione cospi­cua, trovandosi (almeno) nell’Aesopus di Gualterus Anglicus (circa 1175), nonché in Giacomo di Vitrì († 1240), Sermones vulgares vel ad status, 1 (ad praelatos et sacerdotes), § 15 Hii igitur qui curam animarum recipiunt et aliis ducatum promittunt, ipsi autem nec sibi, nec universo gregi attendunt, merito assimilantur rane que per medium stagnum muri promisit ducatum, ligans quo­dam filo pedem muris pedi suo; sed milvo rapiente murem simul traxit et ranam: sono siffatti testi mediolatini le fonti più plausibili del Vallaresso. Analoga­mente a 47.4 è citato un Bernardus, così: Etiam certe quamprimum vidissent eum bene curatum, tum expedita quae­dam hic quae mihi imperfecta reliquit et totum remisissem eum ad portum tranquil­lum religionis suae. «Ubi homo», ut ait Bernardus, «vivit securus, surgit velocius, moritur confidentius», et cetera. La ricerca della fonte ha puntato in primis sul corpus di Bernardo di Chiaravalle, ma senza esito. Invece, da subito, è apparsa una possibile e pro­babile fonte intermedia, cioè l’omiletica latina di Bernardino da Siena, il quale in più luoghi cita il medesimo passo, in forma aucta rispetto a quella tràdita da B, ad es. nel Quadragesimale de Christiana religione, sermo XVI (Sabbato post I Dominicam in quadragesima):108106 Almeno in nota vanno segnalati alcuni esempi di forme brevi a carattere proverbiale e sen­tenzioso. Leggiamo a 13.1 secundum vetus proverbium, «qui in uno offenderit reus efficitur omnium», et «qui in caput peccat refragatur ceteris membris», dove la prima sententia ha plurime corrispondenze negli scrittori cristiani, tra cui Agostino, epistola CLXVII (a Girolamo), § 16, CSEL 44, p. 604 (si in uno offenderit, fit omnium reus), e Beda Venerabile, Expositio actuum apostolorum (CPL 1357), cap. 20 (cum enim in uno offenderit, factus est omnium reus), ecc. (non trovo invece corrispondenza preci­sa per la seconda sententia). Anche a 52.5 nodum in scirpo quaerere instituam, et in re liquida luceque ipsa clariore quaestionem introducere velim, sono congiunte due espressioni proverbiali, di cui la prima ha attestazione già antica, cioè Ennio, Saturarum fragmenta, v. 70 e Plauto, Menaechmi, 247, ecc.; la seconda ricorre frequentissima in scrittori sia classici (ad es. Cicerone, Cat. I 6 luce sunt clariora no­bis tua consilia omnia), che medievali (fra i tanti anche Bernardino da Siena, predicatore a Vallaresso probabilmente noto; si veda, ad es., Sermones de diversis IV [in Bernardinus Senensis 1959, 407]: Quia igitur haec sunt luce clariora). Ha origine classica anche la massima iscritta a 153.2, oculatus testis potior est quam tres auriti, la quale già è attestata in Plauto, Truculentus, 488 Pluris est oculatus testis unus quam auriti decem, e ha poi larghissimo corso (ad es. Apuleio, Florida, 2,2, ecc.). La locuzione idiomatica a 105 nefas esset ut surda incedamus aure et velatis oculis subditorum dissimulemus errata trova corrispondenza in alcuni scrittori cristiani, ad es. Girolamo, Commentarii in prophetas minores (CPL 589), SL 76A, In Malachiam, cap. 2 (surdis auribus caecisque oculis). Iscritta nell’epistola 153, nullum sapientem consuevisse merces in sacco vel emere vel vendere sed in propatulo rem lectam ostenta­re, è una massima confrontabile con l’italiano vender gatto in sacco, registrato nella terza edizione del Vocabolario della Crusca, s.v. ‘vendere’ (nell’accezione di dare, o dire una cosa per un’altra ad altrui, senza che e’ possa prima chiarirsi di quel che e’ sia). A 132 faciliusque posset lac de petra emungi, oleumque de saxo durissimo, quam oraculum aliquid ex ore tuo, riprende una locuzione bene attestata nella tarda latinità, ad es. in un Gregorio Illiberitano (s. IV), Tractatus Origenis de libris Sanctarum Scripturarum (CPL 546), 11, nemo adhuc umquam aut mel de petra aut lac de terra fluere meminit. Un adagio no­tissimo è richiamato a 362.3, vere in me ipso experiar, id quod est in Graecorum proverbio «amicorum omnia communia», che è effettivamente di origine greca, è ha ampio corso in latino a cominciare da Terenzio, Adelphoe, 804 (cfr. Tosi, Dizionario, cit. n° 1305 p. 586). All’amico Andrea Conti l’arcive­scovo richiede spessissimo di intercedere a tutela degli interessi propri e della sua famiglia; teme per­tanto di pretendere troppo da lui, sicché il 15 gennaio 1456 gli scrive (199.1): cum te negotiis meis sae­pius defatigem, timeo ne obiciias mihi antiquum proverbium: «nimis emungens, elicit sanguinem»; la sen­tenza ha una ascendenza biblica: Liber proverbiorum, XXX 33, qui vehementer emungitur elicit sangui­nem, e di qui si propaga all’esegesi tardo antica, ad es. Gregorio Magno, Moralia in Iob (CPL 1708), SL 143A, XXI 1,48 qui vehementer emungit, elicit sanguinem, ecc. E vi sono ancora altre espressioni a carattere proverbiale (talora esplicitamente tali dichiarate), per le quali si potranno individuare, Rationes autem et causas quare melius sit esse in statu religionis quam saeculi, exprimit devotus Bernardus, hoc verbum ad hunc sensum exponens et dicens: Bonum est nos hic esse, videlicet in religione, quia «in ea homo vivit purius, cadit rarius, resurgit velocius, incedit cautius, quiescit securius, irroratur frequentius, pur­gatur citius, moritur confidentius et praemiatur copiosius». L’ampia diffusione dell’omiletica bernardiniana e l’ammirazione da essa suscitata presso il patriziato di Venezia (Francesco Barbaro in primis),109alienam discerpere tunicam ut meam resarciam; 64.2 luce meridiana clariorem; 123 ne inveniamur, ut aiunt, inter oscitantes improvisi; 261 video (…) de minima scintilla foculum suscitasse; 136.1 a teneris unguiculis; 377.3 Petentis nancon più attenta e completa ricerca, origini e precedenti; fra esse 52.6 que culpa redarguitur ubi de dantis benignitate non dubitatur; 395.1 sellam scilicet caedit, qui caballum attingere nequit; 396.5 quia pepercisti virgae, ideo filios imprudentiores fecisti; 403.1 ubi opus est facto, non sufficiunt verba; 430 cum veritas odium pariat, stomace potius quam nuda mordacitate utendum est, quia grave est contra illos scribere qui possunt proscribere; 477.4 regnum non capit duos. Anche i corri­spondenti dell’arcivescovo non mancano di arricchire le proprie missive con tratti sentenziosi; così, ad es., Giovanni Sobota scrive a Maffeo, rievocando una massima celebre (III 24): testor me nunquam te hortaturum fuisse ad illam palaestram in qua (ut aiunt) et oleum et operam perdidisses; essa deriva da Plauto, Poenolus 332 (Tum pol ego et oleum et operam perdidi: cfr. Tosi 1992, 218 n° 472).­ rende plausibile che al punto in questione fonte di Vallaresso sia effettiva­mente questo, o uno fra gli altri sermoni del predicatore francescano contrad­distinti dalla citazione di Bernardo. Vi sono peraltro prove evidenti di una conoscenza diretta, non aneddotica o mediata, di alcuni classici latini. Certa­mente Vallaresso ha letto le satire di Giovenale, come suggerisce la frequenza delle citazioni e anche il contesto delle lettere in cui il poeta è menzionato. Il 12 gennaio 1459, scrive a Lorenzo Zane, con cui intrattiene un carteggio gio­coso e letterariamente impegnato (i due prelati condividono una passione autentica per la cultura umanistica); l’amico non si meravigli del ritardo con cui Maffeo risponde alla precedente elegante missiva, quasi fosse incerto e impallidito, come un retore che si appresta a parlare di fronte all’altare di Lione (326.1): Minime mirum tibi videri debet, reverendissime pater, quod nunc paulo maiori dilatione in tuarum ornatissimarum litterarum responsione fuerim usus, quasi subdubitem et palleam tanquam rhetor dicturus ad aram Lugdunensem, ita rescripturus ad novissimas tuas (…). Il riferimento implicito è a Giovenale, satira 1,44 (et sic / palleat ut […] Lugudunensem rhetor dicturus ad aram), dove c’è un ulteriore implicito rinvio a un episodio tràdito da Svetonio: l’imperatore Caligola avrebbe indetto un agone oratorio a Lione, prevedendo una punizione di severità inusitata per quei partecipanti che non avessero saputo compiacere l’uditorio.110107 D’obbligo il rinvio a Di Benedetto 1997. Insomma, nel replicare a Lorenzo, Maffeo si sente quasi come un retore impallidito e intimo­rito per un possibile insuccesso, con le sue prevedibili penose conseguenze. Il passo della lettera può essere apprezzato solo da chi conosca il verso della satira nella sua corretta esegesi e dunque conosca anche l’episodio relativo all’agone retorico indetto dal famigerato imperatore – un carteggio giocoso sì, ma che ha al contempo la pretesa di un’erudizione tutta umanistica. Il 22 giugno 1460, da Padova, l’arcivescovo si rivolge a Nicolò, suo vicario. Ha saputo di minacce provenienti alla giurisdizione ecclesiastica da alcune potenti famiglie, in particolare dai Detrico. Non ne è sorpreso, perché l’Oriente ha abbandonato la vera fede, e anche la Dalmazia è stata infettata dal morbo (373.1): Ratio est in promptu, quia, cum totus fere Oriens a veri Dei cultu recesserit, a sanctae matris ecclesiae gremio longe aberraverit, necesse quidem est ut finitimi et vicini Orientis ipsius populi, quales sunt Dalmatae, eiusdem erroris participes fiant: «Dedit hanc contagio labem / et dabit in plures, sicut grex totus in agris / unius scabie cadit et porrigine porci / uvaque conspecta livorem ducit ab uva». L’allegato diretto prelievo da Giovenale, 2,78-81, perfettamente con­gruo al tema, suggerisce una conoscenza diretta della satira, ciò che è anche confermato da un’altra lettera (394), assai lunga e complessa, indirizzata al cardinale Calandrini. In essa Maffeo risponde (fra l’altro) ad accuse mossegli contro la regolamentazione che lui stesso ha attuato relativamente all’abito di chierici e di religiosi. È venuto di moda nel clero zaratino un copricapo con imbottitura di lino (394.10 serico sive de suo sive de alieno caputeum fulcire). Ciò scandalizza il popolo, che mormora contro il lusso ostentato dagli eccle­siastici. Il cardinale potrà anche dire che nulla importa al vivere secondo ret­titudine il fatto che i chierici portino un copricapo con o senza imbottitura. Eppure Maffeo, con il rispetto dovuto al cardinale, non può non dichiarare che i buoni costumi, i quali sono misurati dall’apparenza esteriore di ciascu­no, contano assai al vivere bene e felicemente (394.11): cum maxima observantia et veneratione amplitudinis vestrae, dico bonos mores (qui extrinsecus considerari solent in verbis et in factis, in aspectu oculorum, in cultu corporis et incessu) multum referre ad bene beateque vivendum. An est ridiculum et vulgare illud dictum «ecce qui mollibus vestiuntur in domibus regum sunt»? «Quaero an deceant multicia testem. / Acer et indomitus libertatisque magi­ster, / Cretice, perluces». Nel caso doppia e consecutiva citazione diretta, e anche qui senza dichiarazione della fonte, cioè, rispettivamente, il Vangelo di Matteo (11,8), e, ancora, la seconda satira di Giovenale, versi 76-78 (immediatamente pre­cedenti a quelli richiamati nella lettera 373.1). Il poeta latino inveisce qui contro un leguleio, Cretico, il quale nei tribunali si fa notare perché veste indumenti leggerissimi (multicia), indecorosi per lui e per il contesto in cui sono esibiti: essi non convengono nemmeno a un testimone, figuriamoci a un magistrato severo e indomito come Cretico, il quale, calzandoli, lascia trasparire la propria nudità! I versi allegati, che sono perfettamente funziona­li al contesto e che perciò ben supportano l’argomentazione, confermano l’impressione di una lettura diretta e di una memoria viva della satira. Traspare a tratti dall’epistolario il sentimento di una distanza pro­fonda dalla società della dalmazia; un sentimento che si precisa in una dicotomia fra genti autoctone da un canto, giudicate prive di cultura, e l’arcivescovo e il suo eletto circolo dall’altro, depositari di una civiltà la quale si riconosce nei più raffinati ideali umanistici. È il caso, ad es., dell’e­pistola III 43, scritta da un veneziano, di nome (pare) Girolamo, molto affezionato (per sua dichiarazione) all’arcivescovo Vallaresso; Girolamo è restato solo, perché l’amico cui scrive è rientrato a Venezia; si trova, così, infelicissimo, circondato di immanes barbari (come nomina gli abitanti del luogo) della cui compagnia non può certo gioire, poiché anche quanti fra loro si considerano aristocratici lo guardano torvi, e osano dichiararglisi apertamente ostili (III 43.1-2): Nequeo plane tam fortis et constans videri, quin vehementer commovear et angar cum verum miserrimus ad immanes barbaros reditus sim, quorum neque ser­mone neque praesentia cum voluptate frui valeo. [2] Nam, idem qui se proceres vocari volunt, sic me torvis oculis intuentur, ut nutu et oratione sibi me infestissi­mum dicere audeant. È il sentimento che aleggia in alcune lettere con le quali Maffeo espri­me la propria afflizione e amarezza per i contrasti gravissimi che lo oppon­gono ai religiosi zaratini, in primis al priore del monastero di San Crisogono. Così scrive infatti al suo patrone, il cardinale Barbo (396.2): Sunt enim genus hominum asperum quia natum est et educatum in locis asperis et petrosis, mendax et vafer, quia servilis conditionis, ferum et inconstans, quia a conscientia iuris et a studiis humanitatis ac prorsus ab omni virtute remotum et alienum, ut non mirum si summus orator imprecetur eisdem Dalmaticis malum, quia bellicosi et seditiosi semper habiti sunt. Et Iuvenalis eiusmodi gentem vitandam dicat: «horrida», inquit, «vitanda est Gallia, Gallicus apis, Illiricumque latus», cum ceteras gentes imbelles dicat. A sancire la distanza da genti che, vissute sempre nel mezzo di una natura ostile, «aspra e petrosa», non riconoscono il valore del diritto e men che meno gli studia humanitatis, Maffeo allega anche qui due consecutive citazioni, dalle Familiari di Cicerone (V 11,3) e poi, di nuovo, da Giovenale, 8,116-117: entrambe non possono che provenire da diretta conoscenza e da diretto studio di quei testi, a confermare una consuetudine non occasionale con i rispettivi auctores. Inoltre una lettura dell’altro grande poeta satirico imperiale, Persio, sembra probabilissima leggendo la missiva a Lorenzo Zane del 28 febbraio 1459, nella quale si fa ugualmente sfoggio di molta erudizio­ne latina (330.2): Maffeo ricorda qui che in una precedente lettera, Lorenzo gli ha scritto di volersi abbeverare alla fonte dell’Ippocrene (De fonte caballi­no), per poter scendere a una contesa (probabilmente poetica, probabilmente da disputarsi con lo stesso Maffeo), e così sembrare di aver sognato con il poeta Ennio sul Parnaso; l’arcivescovo replica, citando i Coliambi incipitari della raccolta Persio, nato a Volterra, il quale (appunto nel Prologo alle Satire) irride quanti ritengono di essere poeti per aver bevuto a quella sacra fonte, o per aver sognato sul Parnaso. Ego vero non puto tuae amplitudini tantam frugalitatem amplectendam ut in campum descensurus de fonte illo bibas cum Ennio et Musis, quasi non eque obiiciatur eidem Ennio a Flacco Persio Volterrano poeta, quod et proluisse humi­dasseque labia fonte illo et somniasse in Citerone ac Elicone montibus gloriatus sit, ut sic repente poeta prodiret, quemadmodum te pugilem in campum discessurum appotum aqua ipse gestire videaris. L’arcivescovo dimostra anche di conoscere Eutropio, autore assai diffu­so nella cultura tardo medievale (si veda 236.3 con riferimento a un episodio storico narrato nel breviario a I 10,2 e I 11,4); Orazio (sue citazioni nella stessa 330.2, carm. III 21 e in 396.2, Serm. I 4, oltre a una serie di richiami che hanno però del proverbiale, e che dunque potrebbero venire dal già ricor­dato comunissimo patrimonio di sententiae, come, ad es., Ars poetica, 139, che appare in III 23, lettera di Maffeo a Giovanni Sobota); Plauto (due cita­zioni da commedie della tradizione medievale, dunque spia di una plausibile diretta conoscenza, in 375.2 e 448.4, con richiami rispettivamente a Cist. 211-212 e a Capt. 202) e Terenzio (a 320.1 è implicitamente citato, con un gioco di parole, l’Heauton Timorumenos, v. 88, ammesso che la nostra con­gettura sia corretta; a 333.3 un plausibile prelievo da Eunuchus, 40); Plinio il Giovane (esplicito e quasi letterale richiamo in 333.3 a Ep. I 6,1); probabil­mente Valerio Massimo (si veda 326.6 e 397.2 con possibili richiami rispet­tivamente di VIII 15,3 e II 6,6); naturalmente Virgilio, benché con un solo richiamo (a 397.1, in cui si allude ad Aen. II 612). E il greco? Ci si può lecitamente chiedere se Maffeo avesse una qualche cognizione di quella lingua: essa infatti era senz’altro nota già allo zio Fantino,111108 Bernardinus Senensis 1950, 182. era parlata in realtà geografiche non troppo distanti da Zara (o con cui Maffeo intratteneva scambi continuativi, si pensi a Creta), ed era stata anche recentemente riacquisita da buona parte della cultura umanistica, specie fiorentina e veneziana. Ma nessuna consuetudine con essa è compro­vata dalla lettura dell’epistolario; alcune espressioni in greco sono comprese solo nella parte terza di B, e sono attestate in lettere pertinenti Fantino Val­laresso, non Maffeo – peraltro, come già ho notato, tali espressioni sono deturpate dal copista, che di greco è sicuramente ignaro. La conoscenza del patrimonio culturale e letterario ellenico, per quanto ho potuto osservare, nemmeno è deducibile da tracce indirette – intendo citazioni in latino che sottendono la lettura di un originale greco. Facciamo il caso di 296.2, dove Maffeo ha inteso infiorare il canonico biglietto che accompagna la spedizione di pesce in savor al suo patrono, il cardinale Barbo, con una dotta citazione. Il cardinale riceva di buon animo il modesto dono, così come il grande Serse accettò di ricevere acqua dalle mani di un povero viator: Haec pauca scribere ad humanissimam dominationem vestram duxi, suppli­cans eidem ut hanc exiguam gelatinae satis electorum ac tempestate piscium in duo­bus barilis stipatorum hilari fronte accipere dignetur more quondam Xerxes, qui, ut fertur, haustam e proximo fonte utraque manu aquam ei oblatam a paupere viatore, labris attingere non renuit, oblectatus potius animo dantis quam re ipsa, quae per se vilis est. L’aneddoto è trasmesso in origine da una fonte greca, la Varia historia di Eliano, XII 40 .pe. d. .. t... ...µ. t.p. .d...se., ..d.p. t.. .e.ape.a. ....s.., ........ t. st.at.p.d., e. t.. ..e. .d.. .. t.. ...sp.., ..a d. ßas..e. p.e... .a. e..... t.. ß.a.. .a. ses.p.. ..... .p.e. ... t..t. . ......, .a. e.e...t.. t.. d..ta ...µ.se., .t. .. .p..et. t. d..., e. µ. ..e.... e...... Ma poteva Maffeo disporre di quel testo, leggerlo e tradurlo? Il fatto che lo stesso aneddoto sia molto più tardi riportato anche da Erasmo negli Adagia112109 Cfr. King 1986, 34 (= King 19891, I, 52). induce piuttosto a ipotizzare un tassello intermedio – un qualche testo latino, classico, tardo-antico o medievale, che non è stato fin qui possibile individua­re – piuttosto che a una diretta conoscenza di Eliano. In analoga maniera per una lettera di condoglianze a Pietro Barbo, del 25 giugno 1459, dove cita un episodio concernente Catone il Vecchio (335): Nihil magis hunc ipsum dolorem put vulgarem non fuisse. Sed qualem Cato ex morte filii tulit, quem ideo lugere omisit quod eum fortunae invidia quam superare virtute contendebat interceptum crediderit. Anche nel caso è plausibile che la fonte sia un testo latino, intermedio tra l’aneddoto, come raccontato da Vallaresso, e l’originale, la plutarchea vita di Catone (Cato maior, 24,6 . d. p.esß.te... .... .te.e.t.se st.at...., .a. µ.µ..ta. µ.. a.t.. p....... .. t... ß.ß..... . ..t.. .. ..d... ..a... .e....t.., p.... d. .a. f...s.f.. ...eta. t.. s.µf.... ..e..e.. .a. µ.d.. .µß..te... d.. a.t.. e.. t. p...t... .e..s.a.; all’epoca già era divulgata la traduzione di Francesco Barbaro), con accortezza variata in un senso più mar­catamente moraleggiante. Com’è lecito attendere, frequenti sono i riferimenti alla Bibbia, sia all’antico testamento – a 236.4 è richiamato Genesi 32,8 (in modo esplicito ma non letterale), a 326.3 Isaia LX 6 (implicitamente), a 270.3 Habacuc III 2 (esplicitamente e alla lettera), a 443 il salmo 121,1 (letteralmente) –, sia al nuovo testamento – a 236.3 e a 208.2 è richiamato il Vangelo di Giovanni (11,33 e 15,5: citazione implicita la prima, esplicita la seconda), a 394.11 il Vangelo di Matteo, 11,8 (esplicitamente), a 8.1 l’epistola ai Corinzi, II 3,1 (eplicitamente ma non alla lettera) –. È possibile forse discernere tra citazioni direttamente tratte dai testi, e quelle che invece sembrano piuttosto formule confluite in un prontuario d’uso comune (tale appare ad es. il riferimento ai dromedari di Madian e di Efa in 326.3, che, a partire da Isaia LX 6, diven­gono una metafora di abbondanza, ricchezza, ovvero velocità, e come tale sono evocati dai predicatori, ad es. Goffredo di Admont, Homiliae festivales, XVI: Dromedarii Madian et Epha… Nos, fratres, nos dromedarii illi, scilicet veloces cursores esse debemus, ecc.). Alcuni riferimenti scritturali sono di più complessa valutazione, perché non sono riconducibili immediatamente alla Bibbia, ma hanno invece una corrispondenza più precisa con opere esegetiche medievali. Così 373.1 Tan­dem purgabit Deus ecclesiam suam quando libuerit ei, et scopabit eam sumetque vindictam de hostibus suis cum hostibus suis, scriptura id testante. Tale passo va senz’altro confrontato con Isaia 14,21 perdam Babylonis nomen et reliquias et germen et progeniem ait Dominus et ponam eam in possessionem ericii et in palu­des aquarum et scopabo eam in scopa terens dicit Dominus exercituum. La cita­zione di 373.1, tuttavia, ha addentellati più precisi con le Glossae ad Isaiam 14,23 Mundus quoque ab hericio et paludibus possidetur modo id est ab immun­dis spiritibus sed in fine mundi scopabit id est purgabit eum Dominus igne pur­gatorio; inoltre con Rabano Mauro, Expositio in librum Iudith, 14 Dies autem Domini exercituum sumet vindictam de inimicis suis, devorabit gladius et satu­rabitur, et inebriabitur sanguine eorum; nonché con il commento a Isaia di Hervé di Bourg-Dieu, II 14,23 Quamobrem clementissimus Dominus scopabit eam vehementissime terens, et quasi quodam everticulo ad purum usque munda­bit, ut Babylonis semina perdat. È improbabile che tali fonti medievali fossero nella disponibilità del Vallaresso, e tuttavia esse indicano che la citazione a 373.1, come altre, possa provenire dal testo biblico, conflato però con diversi e seriori materiali. Fra gli scrittori ecclesiastici l’arcivescovo cita a più riprese san Girola­mo: a 330.1 quod est oratoris proprium […] dicere consuesti, ut de tuae domi­nationis scriptis ac dictis id merito dici queat quod de Iob libro divus inquit Hie­ronymus: «quot verba tot sententiae», per cui non c’è esatto riscontro, ma qualcosa di simile si legge in varie opere geronimiane, ad es. nel Tractatuum in psalmos series altera, 92 quot verba, tot sensus: quot versiculi, tot sacramenta; nel Tractatuum in psalmos series altera, 82 singula nomina habent singula sacra­menta: quot enim verba, tot mysteria; e ancora in Epistulae, 53, vol. 54, § 9 Apocalypsis Iohannis tot habet sacramenta, quot verba. Più precisa rispondenza nel caso di 372.3 quanquam non intelligam satis clare quid illi proficiant, qui […] pergrinationes ac visitationes sacrorum locorum subeunt, cum «non Hyero­solimis fuisse sed Hyerosolimis bene vixisse laudabile sit», che è ricavato (pur non ad verbum) da una lettera geronimiana, la 58 (vol. 54), § 2 non Hierosolymis fuisse, sed Hierosolymis bene vixisse laudandum est. Non trovo invece corrispondenza alcuna a una sentenza attribuita a Girolamo a 493.3, dove Maffeo dice: in sacerdote veritatem inesse putabam, iuxta illud Hieronymi, «nihil turpius in sacerdote quam in ipsius ore menda­cium»; qualcosa di simile si riscontra in un’omelia di Aelredo (Etelredo) di Rievaulx, Sermones I-CLXXXII, coll. Claraevallensis prima, sermo 28 (ad cle­rum in synodo Trecensi), par. 11, CM 2A, p. 231 Regite linguam ne loquatur mendacium, quia verba sacerdotis aut vera aut sacrilega sunt; nonché in un carme dubitativamente attribuito a Pierre de Blois, Carmina, sectio 2, car­men 2, stropha 6, linea 51: verba confirmes opere, / quia non decet temere / os sacerdotis pollui / mendacio; forse nel caso Maffeo ricorre nuovamente a una massima (come dimostrano le due fonti citate), attribuita senza precisa cogni­zione a Girolamo, per accrescerne l’autorevolezza. Il 16 aprile 1460 scrive al patriarca neoeletto Andrea Bondumier per complimentarsi e per esortarlo all’azione, poiché è tramite la vita attiva che si consegue il bene comune, da anteporre sempre a quello del singolo; la prio­rità della vita attiva su quella contemplativa è dimostrata dal fatto che Gesù discende non da Rachele, ma da Lia, e dal fatto che sia stato accolto in casa non da Maria, ma da Marta (368.3): Ad quod utique designandum unigenitus Dei filius dominus Iesus Christus non de Rachele secundum carnem natus est, sed de Lia, nec legitur eum in domo sua Maria recepisse, sed Martha. Tale osserva­zione ha fondamento esatto nella trattazione teologica di san Tommaso, che può essere una fonte nota e fruita direttamente: Summa Theologiae II-II, q. 179 a. 2 s.c. Sed contra est quod istae duae vitae significantur per duas uxores Iacob, activa quidem per Liam, contemplativa vero per Rachelem; et per duas mulieres quae dominum hospitio receperunt, contemplativa quidem per Mariam, activa vero per Martham; ut Gregorius dicit, in VI Moral. Non autem esset haec congrua significatio si essent plures quam duae vitae. Una parte di speciale rilievo nella stesura di molte lettere ha il diritto canonico, poiché nelle annose vertenze tra l’arcivescovo da un canto e i reli­giosi autoctoni dall’altro – cioè l’abate del monastero di San Crisogono, Bog­dan, e la badessa del monastero di Santa Maria, il cui nome resta sempre taciuto – le raccolte normative sovente sono chiamate in causa a comprovare ragioni di una parte a carico dell’altra. È istruttiva e divertente in merito la lettera al fratello Giacomo del 4 agosto 1461, dove Maffeo riferisce gli svilup­pi della vicenda che lo oppone a Bogdan. Questi si è rivolto a Benedetto Venier, comes di Zara, per chiedere autorizzazione a partecipare a una proces­sione e il comes ha acconsentito, subito però avvertendo Maffeo. Il quale, a sua volta, è intervenuto per negare la partecipazione all’avversario, in quanto scomunicato. L’abate allora, dietro consiglio di un Antonio appartenente allo stesso monastero di San Crisogono, si è presentato al comes recando con sé un grosso tomo di decretali, e richiedendo che all’incontro sia presente anche il vicario dell’arcivescovo (400.3): Postera die abbas, informatus consilio Ant[onii] de Grisog[oni] venit ad comitem cum grandi codice decretalium super dubia excommunicationis causa, procuravitque ut vicarius meus ad ipsum comitem accerseretur, cum volebat consta­re se posse venire ad processionem cum nondum habeatur pro excommunicato, quia, antequam excommunicetur, debet iudex trina monitione eum admonere cum ordine iudiciario ab excommunicatione contra eum procedere, quod nondum fac­tum fuerat ideo, et cetera. Et in favorem iurium suorum allegavit c[apite] I «De exces[sibus]» plura, ubi de his diffusius. Sed vicarius optime respondit ei illud c[aput] intelligi debere de excommunicatione quae sit ab homine, non de excommunicat[ione] canonis, in qua non est opus aliqua monitione, sed tantum pronuntiatione ut talis evitetur, prout erat in casu nostro. Ad quod ipse abbas obmutuit tanquam bestia (nec mirum, cum prima elementa litterarum ignoret). L’abate insomma si presenta all’autorità, civile ed ecclesiastica zaratina, recando con sé il codice stesso con il quale intende dimostrare la invalidità della scomunica, in quanto essa, prima di essere comminata, non è stata pre­ceduta da una triplice ammonizione prevista; evidentemente il vicario di Maffeo ha buona consuetudine con il diritto, e immediatamente replica che l’ammonizione è richiesta solo per la scomunica ab homine, non per la excom­municatio canonis, che è il caso in cui si ritrova l’abate. Ma, tralasciando il profilo strettamente giuridico della vicenda, è interessante notare come nella contrapposizione fra le parti un ruolo essenziale sia attribuito alla raccolta dei canoni anche nella sua fisicità: infatti il codex che raccoglie le decretali è gran­dis, sembra acquisire autorevolezza grazie anche alla sua esteriore maestosità. Ma certo le raccolte giuridiche non erano privilegio del monastero di San Crisogono: ché anzi nell’episcopio di Maffeo c’era sicuramente più di una raccolta di canoni. L’arcivescovo, addottoratosi in diritto già nel 1445,113110 Svet. Cal. 20: Edidit et peregre spectacula, in Sicilia Syracusis asticos ludos et in Gallia Luguduni miscellos; sed hic certamen quoque Graecae Latinaeque facundiae, quo certamine ferunt victoribus praemia victos contulisse, eorundem et laudes componere coactos; eos autem, qui maxime displicuissent, scripta sua spongia linguave delere iussos, nisi ferulis obiurgari aut flumine proximo mergi maluissent. in varie occasioni – non solo relativamente ai tempestosi rapporti con i religiosi della diocesi – fa uso preciso e tecnico delle sue cognizioni giuridiche, citando con riferimenti puntuali e debiti, spesso anche letteralmente, la legislazione ecclesiastica – giova rilevare la profonda differenza con le modalità usate nel richiamare qualsivoglia altra tipologia di testi (Bibbia, opere di autori classici latini, quelle di autori cristiani tardo-antichi o medievali), modalità che è in genere (come si è visto) sovente incerta, talora arruffata, quasi sempre priva di chiara indicazione della fonte. Lasciando ai competenti storici del diritto valutare le implicazioni giuridiche delle frequenti contese legali ingaggiate da Maffeo, mi limito qui a rilevare alcuni luoghi nei quali l’arcivescovo chiama in causa la legislazione, a dimostrare quella speciale attenzione al testo che è propria solo di questa fattispecie di citazione. Il 23 ottobre del 1462 l’arcivescovo scrive al patriarca Bondumier: que­sti ha assolto dalla scomunica l’abate Bogdan, e ha a suo favore citato alcuni capita del codice. Ma l’assoluzione non ha valore alcuno, controbatte Maffeo, senza mostrare la benché minima soggezione nei confronti della maggiore autorità patriarcale, ben sicuro del fondamento giuridico dell’argomentazio­ne propria. Il testo addotto dal patriarca non si addice alla situazione, essendo l’abate scomunicato ipso facto, non per sentenza pronunciata da Maffeo, che non ha mai additato l’abate in quanto scomunicato; per cui l’abate non ha nemmeno diritto di rivolgersi a un superiore sporgendo querela (466.2-3): Clarissime constat quod idem abbas praemeditata machinatione operam dedit ut clericus ille caperetur nuntiisque mandavit expresse ut eum ligarent ac ver­berarent. Dicimus et asserimus quod eadem reverenda paternitas vestra eum absol­vere non potuit nec debuit, prout etiam non potest nec debet per iura alias allegata. Praeterea ipsa paternitas vestra reverenda fundat se super textum c[apitis] Sacro. De sententia exc[ommunicationis] et dicit quod gravatus possit deponere querelam apud superiorem de iniusta excommunicatione. [3] Ad quod respondetur, salva pace vestrae reverendae paternitatis, quod ille textus non loquitur in casu nostro. Nam ibi loquitur de excommunicato ab homine, quo casu, procedit illud quod dicit reve­renda dominatio vestra. Sed iste abbas et ceteri erant excommunicati ipso facto a iure ut est casus in c[ausa] Si quis suadente XVII, q[uaestione] iiii, et quia laesio erat enormis, s[cilicet] cum magna sanguinis effusione, casus est papalis, ut in c[apite] Pervenit et c[apite] Cum illorum de sententia excommunicationis. Immo iste abbas vel aliquis ex eis nunquam fuit denuntiatus per me pro excommunicato, unde non potuit nec debuit apud superiorem querelam deponere. Conferiscono al discorso l’autorevolezza di un parere giuridico non ignorabile la severità e l’austerità del lessico (clarissime constat / dicimus et asse­rimus), nonché l’articolazione studiatamente bipartita: nella prima parte è confutata l’azione finalizzata a tutelare l’abate, con revoca della scomunica; l’articolo chiamato in causa dal patriarca, che è puntualmente citato (vestra reverenda fundat se super textum c[apitis] Sacro. De sententia exc[ommunicationis]) e che trova rispondenza precisa nel Liber extra, la rac­colta di decretali di Greogorio IX (libro V, titolo XXXIX, cap. 48: Sacro approbante concilo prohibemus, ne quis in aliquem excommunicationis senten­tiam, nisi competenti admonitione praemissa, et personis praesentibus idoneis, per quas, si necesse fuerit, possit probari monitio, promulgare praesumat…), non ha valore nel caso specifico, poiché il reato commesso da Bogdan cade sotto fat­tispecie diversa. Nella seconda parte della trattazione, l’arcivescovo introduce invece due capita che si addicono alla fattispecie in oggetto: anche qui le cita­zioni sono puntuali e puntualmente trovano riscontro, la prima nel decreto di Graziano (causa XVII, quaestio iv, canone 29: Item placuit ut, si quis suadente diabolo hujus sacrilegi reatum incurrit, quod in clericum vel monachum violentas manus injecerit, anthematis (sic) vinculo subjaceat et nullus episcopo­rum illum praesumat absolvere, nisi mortis urgente periculo, donec apostolico conspectui praesentetur, et ejus mandatum suscipiat), la seconda nelle Decretali di Gregorio IX (libro V, titolo XXXIX, cap. 32: Quum illorum absolutio, qui pro violenta manuum iniectione in clericos labem excommunicationis incurrunt, praeterquam in quibusdam casibus, a praedecessore nostro exceptis, sedi duntaxat apostolicae reservetur…). Con altrettanta precisione Maffeo richiama alcune pertinenti fonti a 412.3 (epistola indirizzata all’uditore di Rota, Pietro Ferici, perché interven­ga a regolamentare una vertenza che lo oppone a un suo stesso arcidiacono, il quale, ottenuta la commenda di un’abbazia, si disinteressa degli uffici cui è preposto) e a 142.3 (al patriarca Lorenzo Giustiniani, per una vertenza coin­volgente il fratello Giovanni: avverte che una giovane, la quale è cresciuta in monastero, veste l’abito, è dedita alle consuete pratiche liturgiche, non può, alla luce del diritto, tornare a vita secolare al fine di maritarsi). Nell’aprile del 1457 Giovanni Frangipane, conte di Veglia (Krk), gli scrive per ottenere un parere in merito a una situazione complessa verificatasi nell’isola, dove è vacante l’autorità episcopale. Giovanni chiede se, come qualcuno ha afferma­to, la confessione con un religioso sia invalida; se sia invalida anche la confes­sione fatta con un qualsiasi ministro senza previa licenza del proprio sacerdo­te (cioè del proprio parroco); se i sacerdoti e i frati minori che abbiano avuto licenza di confessare, non possono ora dare assoluzione, essendo la licenza decaduta con la morte del vescovo. La lettere 264 di Maffeo al Frangipane, fondata sull’autorità delle Clementine e di alcuni glossatori, fonti puntual­mente citate, costituisce un parere giuridico dettagliato, a comprovare come in tema di diritto canonico l’autorevolezza dell’arcivescovo sia riconosciuta ampiamente, anche fuori dalla sua stessa diocesi zaratina. 10. Ortografia del manoscritto Barberiniano La caoticità di B non è limitata all’anomala disposizione delle lettere. Anche l’ortografia del copista – come anche del postillatore, che sospettia­mo essere lo stesso Maffeo – è in sé incoerente e contradditoria, talora così atipica (almeno rispetto agli usi odierni) da complicare e appesantire inevi­tabilmente la lettura. Nella presente edizione è stato perciò assunto un cri­terio normalizzante, attuato però in osservanza di alcune prevalenti consue­tudini del manoscritto. Nell’edizione la dittongazione è restituita secondo i moderni criteri. In B essa è di fatto generalmente avvertita, quasi sempre in finale di parola, e lo è tramite cediglia. Ma anche nel caso sono frequenti (e per l’epoca consuete) le incongruità. Così, ad es., sono diffuse grafie come 138.1 letitie, dove è avvertito il dittongo finale, non quello della prima sillaba. Il dittongo interno di parola è difatti in genere ignorato: a 97.2 scrive presidii, preclara, presi­diumve; a 136.1 meroris; a 282.2 hesit (per haesit), a 282.3 fecis (per faecis), ecc. Senza dittongo scrive anche, uniformemente, Mapheus. Sono frequenti (e anch’esse normali per l’epoca) grafie (valutabili forse come ipercorrettismi) quali cetera (ma nel caso, in genere, prevale la scrittura in compendio, senza esplicitazione del vocalismo interno), 106.1 accepimus, 109.1 accepi, 138.1 acceperim, ecc.; 173 felix, 193.2 felicis, ecc.; capita che la cediglia sia usata in maniera ancor più bizzarra, ad es. a 286.3 e 288.4 scrive quem (accusativo del pronome relativo), e a 170 scrive quendam fratrem. Altri fatti concernenti il vocalismo: è generalizzato benivolentia (il voca­bolo è tuttavia spessissimo compendiato in bnvolentia, con segno di abbrevia­zione sovrascritto; a 449.1 si trova la scriptio bnivolentia, sempre con segno di abbreviazione); distineo (‘tengo diviso’, ‘tengo occupato’) è scritto con gra­fia destineo a 52.1 (ed è stato rettificato, la confusione è infatti isolata); epistola è scritto in genere per compendio (epla, con sovrascritta linea di abbreviazio­ne), ma a 212.1 è scritto integralmente epistola, e tale grafia si è generalizzata; iocundus / iucundus e vocaboli con medesima radice: si trova scritto 27.1 iucundum, 28.3 iucundum, 136.1 iucunditatis, 295.1 iucundisimaeque, 273.3 iucunditatem, ma è ampiamente prevalente la grafia con o (10.3 iocunditate, 11.1 iocundae, 20.4 iocundissima, 21.1 periocundum, ecc.), la quale è stata perciò generalizzata; a 396.5 scrive obulum in luogo di obolum, a 413.2 scrive pongendum per pungendum; scrive valitudo (ad es. a 47.2 e 204), non valetu­do; in genere usa la grafia vultus, che si è generalizzata, ma a 48.2 voltu. Per quanto attiene all’uso di y si segnala la grafia Epycurus (con y), che, in quanto uniforme, è stata accolta, così come Hyerosolimis (372.3), per Hie­rosolymis; ricorre sia laicus (ad es. 106; 156.3; 336.3), grafia accolta nell’edi­zione, sia laycus (ad es. 188.2; 356.1; 389.4; 375.2); correttamente scrive Olympi (397.4) e tyrannus (403.1, ecc.), ma in modo uniforme phisicus (gra­fia adottata) in luogo di physicus; prevale hilaris, ma hylaris a 52.1 e 113.3; il vocabolo presbyter ricorre quasi sempre per abbreviazione (pbr, con segno di abbreviazione sovrascritto), e così anche archipresbyter (archipbr, con segno di abbreviazione sovrascritto); in scriptio plena a 152.1 presbyter, in base alla quale si è sciolto sempre secondo la grafia classica, presbyter, appunto (non praesbyter, che è pure all’epoca diffuso); in genere, correttamente, scrive sigil­lum, ma a II 12 sygillum. Nell’uso della h va rilevata la scrittura 47.1 auserim (per hauserim); 35.1 e 296.2 ilari (per hilari); 13.3 ortamur (per hortamur) e così 396.2 orrida (per horrida), 368.1 ortatorias (per hortatorias). A 47.2 anelare (per anhelare); a 342.4 in nota a margine è usata la grafia inhibeo, e invece la forma inibeo nel testo; spesso (ad es. a 47.4, 253 et alibi) scrive isthuc (grafia etimologica); a 66 scrive (in maniera del tutto anomala) istoch; e così a 95 e 166 e 177 scrive istuch. A III 26.2 scrive cathalogo e a 64.2 addirittura chathalogo; si trova scrit­to talora lachrima (ad es. 27.2, 371, 470.2), accanto alla corretta grafia lacri­ma (che è stata generalizzata); Pascha è attestato sia con, sia senza h, anche nella medesima lettera (326.7), e si è perciò normalizzata la grafia con h; patriarcha è sempre scritto correttamente con ch; a 157 scrive nell’intestazio­ne Culfi, ma nel corpo della lettera Culphi; a 415.2 scrive nephario (per nefa­rius, che è prevalente), così come scrive a 442 nephas (e anche altrove); a 476 scrive iteratamente schandala, mentre altrove è tràdito scandalum. Riguardo al consonantismo si nota un quasi generalizzato passaggio dell’o­riginario t intervocalico a c: così 25.1 Laercium (per Laertium), 5.2 laeticiam, 19.1 negociis, 78 nuncius, 20.1 preciosa, 1.2 puericia, ecc.; tuttavia anche nel caso non mancano eccezioni notevoli, ad es. scrive sempre etiam (non eciam), corret­tamente scrive a 117 amicitia, 210.3 martii, 111 e 314.1 praesentiarum. È bene attestato il fenomeno opposto, cioè il passaggio dall’originario c intervocalico a t (ipercorrettismo?) come 158, 202, 300, 336.1 affitior, 416.1 audatiorem, 273.3 audatius, 290 ditionis, 273.5 perspicatius, 344 e 84.2 provintia (ma, correttamen­te 376 indicia). Si è scelto di intervenire nel senso della restituzione corretta sia del t sia del c intervocalico, anche perché alcuni usi (come 112.1 siciat per sitiat) rendono disagevole, se non ostica, la comprensione. Sono frequentissimi i casi di geminazione come: 273.3 accerbius, 304.2 addimunt, 28.1 addiret, 7.1 anellat (cioè anhelat), 255.3 ascenssum, 296 baril­lis, 210.1 collere, 255.1 cumullatissime, 159, 221, 225 confissus, 294.3 deffen­dere, 261 dillacerare, 261 ferramque, 261 focullum, 258.3 gellatinae, 296 illari (cioè hilari), 252 humilliter, 151 iddentidem, 36.1 incollumitatem, 58.1 incurssurus, 251 ingerrere, 286.4 littus (ma, subito prima, litus), 282 opportere, 193 penssio (cioè pensio), 255.1 prossit, 301.1 pulssus, 261 querellis, 223 reffer­re, 86.1 reddeunti, 77.3 reppetas, 251 sollidioris, 258.2 sollito, 258.3 sollitudi­nem, 258.2 summullam, 10.2 tabullamque, 294.3 tutella, 286.1 ussus, ecc. Ma bene attestato è l’opposto fenomeno, cioè lo scempiamento, come: 129 abhoreo, 10.3 aceptis, 14.4 Alobrogum (per Allobrogum), 282 anuere, 1.2, 23.4, 27.2 aprime, 123.2 cale (per calle), 20.3 comissum, 51.1 e 287.3 comisit, 99 comitti, 205 coroboratur, 251 eficax, 294.1 erorem, 14.4 exteritus, 204.2 extolis, 99 feret (per ferret, congiuntivo imperfetto), 1.2 e 156.1 imo, 99 incomodo, 136.3 iusisset, 20.1 literas, 15.1 naravit, 287.1 occurerint, 135 offere, 298.1 occurenti, 70.1 operiens, 255.3 poleat, 18.1 praetermitendum, 28.1 recomissum, 78 suficitque, 109 sumisi, 52.4 sumittere, 156.3 tolenda, 14.5 valum per vallum. L’originario nesso consonantico -ct-, è ridotto a -t-, in cuntationis (per cunctationis) a 286.1; succinte (per succincte) a 221 e 227.1 (ma succincte a 287.1 e 264.1); addutus (per adductus) a 290. Altri fenomeni di riduzione in assendit per ascendit a 288.2; capessere (per capescere) a 306.1; disernere (per discernere) a 286.1; obnise (per obnixe) a 289. Fenomeno opposto è l’inserzio­ne di un c epentetico in parole come audictorum (per auditorum) 413.2; blactero (per blatero) 318.3; condictio (per conditio) 59, 251, 288.2, 316.2, 389.7; expectendis (per expetendis) a 413.1; explecta (per expleta) 255.1; scilen­tio (per silentio) 319.4. Scrive sempre capellanus (con una sola p), mai cappellanus, e tale forma scempia (attestata ampiamente all’epoca) si è perciò accolta. Excomunicatio / excomunicare è scritto sempre in abbreviazione (excoicatio, con la linea sovra­scritta), si è generalizzato la forma piena excommunicatio / excommunicare. È generalizzata la grafia classica mihi e nihil (in un solo caso michi a 230). È spesso attestata la grafia forsam (per forsan) a 164, 186.3, 196, 270.5, 286.1, 339.1, 347.1, 353.3 (ma a 138.1, 251.3, ecc. forsan). Dove la grafia è esplicitata per intero, cioè senza abbreviazioni, è costan­te l’uso della nasale dentale (‘n’) in parole come duntaxat, nanque, nunquam, nunquid, quanquam, quantunque, quanvis, quicunque, tanquam, unquam, utrunque (la grafia è stata perciò promossa nell’edizione). Una più specifica attenzione meritano alcuni nomi geografici, la cui grafia è spesso instabile, a cominciare dal toponimo Zara / Zadar, che è indi­cato con due diverse grafie (anche a brevissima distanza), cioè Hyadra (grafia che è stata generalizzata) e Iadra; l’aggettivo è tratto prevalentemente da tale seconda grafia, scrive cioè Iadrensis (ma Hyadrensis a 45) e Iadertinus (ma Hyadertinus a 238 e 313.1). Božava (Bosavia), nell’isola di Dugi Otok (ossia Isola Lunga o Isola Grossa), è reso sempre con Boxava. Scrive in genere Creta e Cretensis (a 1.3, 8.1, 92, ecc.); talora si trova anche Cretha e Crethensis (302, 320.3), o, anche Cretha e Crethensis (32, 57, 126, 180); tali grafie (minoritarie) sono state normalizzate secondo l’uso cor­retto e prevalente; a 112.4 Naves quoque de vindemiis Candidae, dove è da notare l’uso del toponimo Candida (per Candia, cioè Creta), fondato sull’e­timologia pretesa di Candia < candida. L’Eubea è indicata, secondo l’uso veneziano, come ‘Negroponte’; in B il termine ha però una morfologia variabilissima (tale instabilità deriva dall’ambiguità dell’etimo, che può essere ricondotto a un composto di niger + pons, pontis; ovvero a un composto di niger + pontus, ponti). Talora è voca­bolo composto di due parti entrambi declinate (cioè niger + pons, da cui, ad es. 168.4 Euboam seu Nigrumpont[um]); talora è scritto come vocabolo unico, che può essere declinato secondo la seconda o la terza declinazione: Nigropon­tus, da cui Nigropontum, ecc.; ovvero Nigropons, Nigropontis (168.4 a margi­ne: insula Euboeae seu Nigropontis). Si è optato per una normalizzazione e semplificazione, accogliendo la morfologia Nigropons, -ntis. A 230 Seravallo (Serravalle) è scritto in forma scempia. Il toponimo Spalatum (Split, Spalato) è spesso tràdito con vocalismo in e, cioè Spaletum (così ad es. a 99.2 (bis), 275.2 (dove però, nella intestazione, è scritto Spalatensis), nella sottoscrizione della 321, e altrove; si è generalizzata la forma corretta, la quale pure è attestata, soprattutto nelle intestazioni (Spalatensis).114111 Fantino doveva avere appreso il neogreco in vista dello speciale mandato ricevuto da Eugenio IV, quello cioè di avviare una riconciliazione fra le due chiese cristiane, in una situazione geografica di speciale importanza come era l’isola di Creta: perciò basti il rinvio alla lettera III 1, cioè la dedica a Eugenio IV del Libellus de ordine generalium conciliorum et unione Florentina, dove è esplicitamente dichiarata la sua diretta cognizione del greco (III 1.2): Nam conciliorum antiquorum ordinem et tempo­ra, eorumque diffinitiones et causas quibus compilata fuerunt, summatim et compendiose collegi, prout ex eorum gestis in Graeco et Latino sermone conscriptis et ex annalibus antiquis, tam Graecis quam Latinis, comprobatum inveni. Da notare ancora alcune incongruità nella morfologia dei nomi propri: si trova attestato sia Barbonus Maurocenus (19), sia Barbo Maurocenus (22 e 151, dove si è corretto in Barbonus); si trova sia Marcus Barbus (129: nomi­nativo), sia Marcum Barbo (con Barbo inteso come indeclinabile: 93 e 120); tale incongruità è stata rispettata. IL CODICE BARBERINIANO LATINO 1809 DELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA: NOTA CODICOLOGICA Marco Cursi Cartaceo. Le condizioni del supporto di scrittura sono discrete; in al­cune carte compaiono macchie di umidità, ma non alterano mai la leggibilità del testo. Le filigrane sono di un unico tipo: corno da caccia, misurante mm. 31x36, simile a Piccard, VII, tipo VII, n° 241 (Napoli, 1476).1112 Erasmus 1703, chilias 2, centuria 7, proverbium 5, col. 614, l. 29: Graecis hemistichium Heroicum proverbiale, quo significatur, in amicorum muneribus non esse spectandum rei missae precium, sed mittentis potius animum, ut Xerxes ille aquam manibus haustam, à rustico libenter accepit. I filoni sono disposti in orizzontale; il formato è l’in-4°. Il manoscritto, databile alla seconda metà del sec. XV, è composto di cc. II (cart.) + 350 +I’ (cart.).; è presente una numerazione per paginazione, presumibilmente seicentesca, in cifre arabiche poste nel margine superiore esterno di ciascuna pagina; le pp. 603-604 sono bianche; tra le pp. 620 e 621 sono state aggiunte 4 carte bianche, numerate a lapis, di mano novecentesca «620II-620V»; forse alla stessa mano si deve la numerazione progressiva delle epistole del Vallaresso, in cifre arabiche a lapis, apposte di norma nel margine esterno, all’altezza della riga iniziale. Il codice è costituito da diciannove fascicoli (I-VIII18, IX-XV20, XVI18, XVII12, XVIII-XIX18), privi di numerazione. I richiami, collocati nel margine inferiore destro dell’ultima pagina di ciascun fascicolo, sono preceduti e se­guiti da un semplice motivo ornamentale dato da un tratto ondulato posto tra due punti. Le carte misurano mm. 213x145 = 20 [135] 58 x 35 [90] 20; rr. 2/ ll. 23 (la rilevazione è stata effettuata alla p. 55). La rigatura comprende due righe ver­ticali di giustificazione, eseguite per piegatura, e due righe orizzontali di testa e di piede, che delimitano il campo di scrittura; non sono visibili tracce di foratura. La copia è attribuibile a due mani: la prima, cui si deve la trascrizio­ne di quasi tutto il codice, si serve di una corsiva umanistica dal tracciato leggermente contrastato, abile e disinvolta; la seconda, che copia le sole pp. 616-620, fa uso di un’antiqua dal tracciato uniforme, con una spiccata ten­denza alla corsività. Le iniziali sono filigranate, in inchiostro bruno, prive di letterine di gui­da, misuranti dai 10 ai 15 mm. di altezza; eseguite in modo piuttosto rozzo, sono con ogni probabilità da attribuire alla mano del copista; soltanto l’ini­ziale incipitaria, alla p. 1, è eseguita con maggiore cura e misura 23 mm. di altezza. Nella pagina iniziale è presente un fregio a inchiostro con motivi fito­morfi; al centro del margine inferiore della medesima pagina sono tracciate le figure di due angeli che sorreggono una corona d’alloro all’interno della quale doveva essere posto uno stemma, che però è rimasto in bianco. La legatura, in cuoio su assi di legno, è stata sottoposta a restauro; il dorso, completamente sostituito, si presenta a cinque nervature; la superficie superiore degli antichi piatti è stata innestata sui piatti di restauro. Nel con­tropiatto anteriore è incollato un tassello recante tracce di scrittura forse cin­quecentesca, di difficile lettura (si distinguono le parole: «[..]ffei Valla [...]»). Nel verso della seconda guardia iniziale sono presenti alcune notazioni: nel margine superiore la cifra «1709», poi depennata; al di sotto, di mano moder­na: «Maffei Vallaressi Archiepiscopi Hyadrensis epistolae et orationes»; anco­ra sotto la cifra «2141»; più in basso, la segnatura «XXIX.153». NOTA EDITORIALE Ciascuna epistola è caratterizzata da una doppia numerazione: in gras­setto il numero d’ordine cronologico, che è assunto nella presente edizione; a esso segue, fra parentesi tonda, il numero d’ordine della medesima epistola nel manoscritto Vaticano Barberiniano latino 1809. Quando nel manoscritto le date sono omesse, ma possono essere ipotizzate, si è inserita la data conget­turale tra parentesi quadre in corsivo (ad es. [1451]); qualora l’ipotesi non abbia elementi affatto sicuri, si è aggiunto anche un punto di domanda (ad es. [1451?]); qualora la data mancante non si possa ricostruire, si usa la sigla [s.d.] = sine data; nel caso in cui nella datazione cronica a mancare sia solo l’anno, e si conoscano invece il mese e/o il giorno, si usa invece la sigla [s.a.] = sine anno; le datazioni sono uniformate al calendario solare; se la datazione delle lettere è more veneto (con inizio dell’anno al 1 marzo), a evitare frainten­dimenti si inserisce la notazione [m.v.] = more veneto. Ciascuna epistola è preceduta da un regesto (dove, in alcuni casi, sono forniti rimandi interni a missive precedenti o successive implicate nel dialogo epistolare), ed è suddivisa in paragrafi, che ne distinguono le sequenze principali. Nel testo, tra parentesi quadre, sono incluse le lettere esito di sciogli­mento di abbreviazione per troncamento, la quale nel manoscritto è usuale soprattutto nei titoli (ad es. r[everenda] d[ominatio] v[estra]), ma anche nei nomi propri (ad es. Bar[bonus] Maur[ocenus]); fra parentesi uncinate sono accluse invece le lettere integrate, in quanto erroneamente saltate dal copista del manoscritto (ad es. quantum oneris fere potestis; oppure Audio praete­rea te in iungendis); un numerale arabo in corpo minore accluso fra i due trattini / / indica la corrispettiva pagina del manoscritto Barberiniano. Restituzioni rese impossibili a causa di danneggiamento dell’inchiostro o di indecifrabilità, sono segnalate con un asterisco (*) per ogni lettera non leggibile o non decifrabile. La grafia del manoscritto Barberiniano è affatto incongrua e fluttuante; essa è stata perciò normalizzata secondo quanto più ampiamente trattato nel saggio introduttivo di Matteo Venier (L’epistolario di Maffeo Vallaresso: ecdo­tica e stilistica; in particolare § 10. Ortografia del manoscritto Barberiniano). A pie’ pagina è un doppio apparato: il primo, contraddistinto da richia­mi in lettere alfabetiche, ha carattere filologico (ma registra anche le nume­rose annotazioni marginali del manoscritto Barberiniano); il secondo, contraddistinto da richiami in cifre arabe, esplicita le fonti classiche e medie­vali (identificate) citate da Vallaresso e dai suoi corrispondenti. La registrazione dell’apparato filologico è tendenzialmente positiva: prima è riportata la lezione giudicata corretta, quindi quella tràdita, giudicata erronea; ad es. con la scrittura «innata corr. : innacta ms Jelic», si intende che la lezione a testo innata è correzione per il tràdito innacta del Barberiniano, accolto anche da Jelic. La registrazione del tipo «dominationem tuam oratam velim aliquando ms1 : exp. oratam velim ms2» indica che nel Barberiniano il copista ha in prima battuta scritto dominationem tuam oratam velim aliquan­do, e che in un momento successivo ha espunto («exp(unxit)») la pericope oratam velim. Altre abbreviazioni utilizzate nell’apparato filologico: add. = addidit; corr. = correxi ovvero correxit; del. = delevit; exp. = expunxit; mg = in margine; ms = manoscritto Vaticano Barberianiano latino 1809; s.l. = supra lineam; ut vid. : ut videtur (la dicitura segnala lettere o parole di decifrazione incerta). 113 Si veda in merito il contributo di Melchiorre, supra, 9. 114 La grafia Spaletum ha altre attestazioni, anche seriori, ad es. nell’opera storica di Miklós Istvánffy (Istvánffy 1758, 183) e di Ivan Lucic (Lucic 1666, 187 [bis], 382, ecc.). 1 G. Piccard, Wasserzeichen Horn, Stuttgart, Kolhammer, 1979. } EPISTOLARIO DI MAFFEO VALLARESSO PARTE PRIMA LETTERE DI MAFFEO VALLARESSO E DI SUOI CORRISPONDENTI (1450-1471) Lettere 1-275 a cura di Matteo Venier Lettere 276-499 a cura di Matteo Melchiorre 1.(1) Barbone Morosini a Maffeo Vallaresso Venezia, 17 luglio 1450 Barbone Morosini conosceva da tempo le benemerenze di Maffeo e sperava che egli fosse elevato a una dignità condegna [1]; si complimenta ora per la sua nomina ad arcivescovo di Zara, diocesi tanto antica quanto illustre; tale incarico è premessa di promozioni ulteriori [2], solo che il neo­eletto coltivi il senso di umanità e di virtù con cui è stato sempre educato, e abbia nello zio (Fantino Vallaresso) il suo modello [3]; finalmente M. V. consideri il Morosini non più un fra­tello, ma un figlio [4] (Jelic, 34-35). /1/ Bar[bonus] Maur[ocenus] Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Cognovi iam diu, pater reverende, te non solum clara stirpe ipsa nostra praeclarum, verum industria, studio et vigilantia etiam, virtutibus ac scientia ornatissimum. Videbam quoque te apostolicum talem esse principem et antistitem, qui summa vel prope divina sapientia ingenia liquido perscruta­tur et maxima potentia ac clementia benemeritos condignis praemiis donare solet. Sperabam ideo quotidie te ingenti aliqua dignitate extolli debere. Cum vero usque ad hoc tempus nihil meis optatis respondere viderem, cruciabar animo, angebar dolore, ita ut ad te scribere neque vellem neque possem. [2] Evenit demum, ut dominationem tuam non episcopatui sed archiepi­scopatui, neque cuiusdam oppidi, sed potentis atque antiquissimae urbis Hyadrae, donatam audiremus. Gavisus sum ea re apprime, et continuo ad te scribere non modo posse, immo silere non posse cognovi. Cum enim quod tam diu sperave­ram, tam ardenter volueram, tam denique maxime peroptaveram, nobis datum prospexerim, non potuit mens plena gaudio tacere, et maxime tecum qui huius laetitiae causa es et origo. Dominationi ergo tuae etiam /2/ atque etiam permaxi­me gaudeo, et, ut ei aeternae saluti ac perpetuae laudi sit ipse pontificatus exop­to.1a1 ut ei aeternae saluti ac perpetuae laudi sit ipse pontificatus exopto] cfr. Cic. fam. II 7,1: «ut sempiternae laudi tibi sit iste tribunatus exopto». [3] Quod facile consequeris si ab immortali Deo dignitatem hanc largitam cognosceris, eidem persaepe commendaveris; et si, posthabitis mundanis caduci­sque pompis, humanitati et virtutibus quibus a pueritia nutritus es, insudaveris. Nec tibi ad hoc leve calcar erit memoria reverendissimi illius dominationis tuae patrui Cretensis antistitis, qui scientia et vitae sanctimonia posteris omnibus, tibi autem in primis, haud obscurum benevivendi exemplar reliquit. [4] Haec tamen quoniam optimum ingenium tuum longa consuetudi­ne cognovi, non ut te velut iacentem excitarem dixi, sed ut currenti iam tibi stimulum adderem. Me vero quem innataaa innata corr. : innacta ms Jelic. tibi humanitate in fratrem usque modo habuisti, nunc quaeso filium tenere non renuas. Et si quod pro tua re vel dignitate efficere me posse diiudicas, id ex me ut ex filio expecta, expec­tatumque habebis; mea enim in dominationem tuam caritas ac reverentia aetate dignitateque tua simul acrescit. Ceterum reverendissimo patriarchae ceterisque nostris me plurimum commenda. Vale. Ex Venetiis XV Kalendas Augustas MCCCCL. 2.(4) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Venezia, 4 novembre 1450 M. V. invia in dono a Pietro Barbo, per tramite di Zaccaria Trevisan, un’immagine su tavola decorata (Jelic, 36). /4/ Ad reverendissimum dominum meum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Etsi parum in praesentiarum accidat quod ad dominationem vestram reverendissimam scribam, cum superioribus diebus satis abunde prout necesse fuit, conscripserim, non possum tamen continere me silentio quia dulce est mihi cum eadem dominatione colloqui quam nimium diligit anima mea. Dulce est mihi de ipsa cogitare, quae me amoris sui et beneficio­rum vinculo obligavit. Quid /5/ enim ad eam loquar? Quid primum exordiar nisi ut dignas dominationi vestrae grates perquiram? Quas ingentes dico, et libenter refero. Sed cognoscens me tantis muneribus imbecillum, et tenuem posse satisfacere, tandem me remitto ad illum Creatorem nostrum qui sua clementia desiderium meum supplere potest. [2] Cum autem essem reverendissime domine in vestri contemplatio­ne, in qua frequentissime persisto, menteque volvens si quid possem invenire, quod delectabile esse posset eidem dominationi vestrae, non quod ea re vestris aliqua in parte beneficiis erga me indignum collatis, satisfacere me putarem cui iamdiu me totum dedicavi; sed potius ne videar immemor vestrae cle­mentiae circa me ac benignitatis, veniens mihi ad manus pusilla tabula in ea virginea figura primarioaa primario corr. : plimario ms, Jelic. opere elaborata, margaritarum gemulis aliquantu­lum irrorata, quam illico dominationi vestrae dedicavi. [3] Accidit etiam divino munere, ut non deesset etiam opportunus lator dominus Zacharias Trivisano ad maiestatem regis Aragonum orator destinatus, qui sua humani­tate eam deferendam dominationi vestrae reverendissimae hilari fronte ac libenti animo acceptavit. Accipiat igitur reverendissima dominatio vestra eam tabulam quaeso hac lege et hoc pacto ut non attendat ad rem oblatam (res enim est parum digna tanto domino) sed animum spectet /6/ offerentis, qui se obligatissimum eidem dominationi vestrae dum vita manebit non ignorat. [4] Et certe haec mea sententia est: non excidet a memoria mea humanitas ac summa benignitas vestra quam erga me servum suum et habuit dominatio vestra et semper habitura est, adeo ut ego et totum genus meum, si quid in eo est, se totum debitorem vestrae reverendissimae dominationis non imme­rito continue fateatur. Diutius in sermone et gratiarum actione equidem libentissime immorarer, sed ne dominationi vestrae ingentibus negotiis occu­patae fastidium afferam, sermonem praecidens ad finem accedo meque ac genitorem meum fratresque meos dominationi vestrae humiliter commendo, atque semper et ubique offero. Valete diu ac feliciciter in Domino. Ex Venetiis, die IIII Novembris MCCCCL. 3.(2) Maffeo Vallaresso al capitolo cattedrale di Zara Venezia, 22 novembre 1450 M.V. invia a Zara Giacomo e Donato Belloria per provvedere all’episcopio; il capitolo li accolga con il dovuto rispetto (Jelic, 35). /2/ Mapheus archiepiscopus Hyadrensis capitulo suo. [1] Cum simus in praesentiarum quamplurimis irretiti negotiis, neque possimus omnibus adesse locis, necessarium duximus illuc /3/ mittere germa­num nostrum dominum Iacobum, qui praeveniens adventum nostrum praeparari et instrui faciat archiepiscopium, et quae sunt necessaria. Cum quo etiam mittimus dominum Donatum Belloria virum per omnia probatis­simum et sufficientissimum quem exigentibus virtutibus meritisque suis ele­gimus in vicarium nostrum generalem, tam in temporalibus quam in spiri­tualibus, revocantes et irritam facientes omnem aliam ordinationem et electionem per nos alias factam. [2] Quo circa dilectissimi nobis in Christo filii gratum erit si germanum nostrum humaniter et officiose accipietis (uti vos facturos non dubitamus), praefato autem domino Donato vicario nostro debitam reverentiam pariter et obedientiam, ut dignum est, exhibeatis. Valete in Domino semper. Ex Venetiis die XXII Novembris MCCCCL. 4.(3) Maffeo Vallaresso a Natale, vescovo di Nona Venezia, 22 novembre 1450 M. V. chiede a Natale vescovo di Nona (la città dalmata prossima a Zara) di non risentirsi per avere inviato Donato Belloria in qualità di suo vicario generale (Jelic, 35-36). /3/ Ad reverendissimum patrem dominum N[atalem] episcopum Nonensem. [1] Cum simus maximis in praesentiarum irretiti negotiis, adeo ut non possimus aliquotiens nostris satisfacere dum aliena curamus, opere pretium fore rati sumus ut quod per nos fieri non potest, per eos qui sunt nobis magis proximi expleatur.aa expleatur corr. : expleantur ms. Proinde germanum nostrum dominum Ia[cobum] illuc mittimus providendum, quae sint frugi ac necessaria adventui nostro; libuitque una cum dicto germano etiam dominum Donatum Belloria, quem digne ac merito (vir enim et sufficientissimus et nobis probatissimus est) in vi/4/carium nostrum generalem tam in spiritualibus quam in temporalibus constituimus. [2] Quod quidem oro paternitatem tuam moleste haud quaquam acci­pias. Non enim ideo constituimus eum ut tibi iniuriam faceremus, aut te deprimeremus cui obligatos nos esse pro tuis in nos meritis arbitramur. Verum enim vero cum nos ipsi illuc profecturi simus, illicque residentiam nostram acturi ut facilius onera nostra et curam pastoralem gerere valeamus, opportu­num fuit ut talem virum apud nos haberemus, qui vice nostra interdum fun­geretur et iugum onusque nostrum aliquotiens alleviaret. [3] Tuque etiam solertius et accuratius tuismet negociis vacare possis. Idcirco iterum atque iterum oramus paternitatem tuam ne graviter feras quod a nobis non nisi optimo animo factum est. Hoc tibi persuasum esse velimus, nos non parvi te facere sed maxime quidem et te et consilia tua, quibus saepenumero libentis­sime utemur cum illic erimus. Vale pater reverende et, ut facis, nos ama. Datum Venetiis die XXII Novembris. 5.(281) Guglielmo Pagello a Maffeo Vallaresso Vicenza, 1 dicembre 1450 Il vicentino Guglielmo Pagello esprime a M. V. la propria gioia alla notizia della nomina di Giorgio Vallaresso, padre di M. V., alla podestaria di Vicenza; la gioia è accresciuta dalla spe­ranza che M. V. stesso possa nel futuro prossimo giungere in visita a Vicenza; Guglielmo e i concittadini sono inoltre compiaciuti del fatto che il neoeletto podestà avrà in qualità di Vicario il giureconsulto Antonio Zabarella. /283/ Gulielmus Paie[llus] M[apheo] archiepiscopo Hyadrensi. [1] Reverende et cetera. Postea quam pater optime mihi nuntiatum est magnificum ac integerrimum genitorem tuum in urbe nostra praetorem desi­gnatum fuisse, tanto me hercle gaudio pariter et iocunditate affectus sum, ut temperare mihi non potuerim quin extemplo has meas tumultuarias litteras ad reverendam dominationem tuam /284/ darem, praesertim cum optime intelligerem civitatem nostram hoc uno praeside et patrono felicitatem quan­dam adeptam esse. Platonemaa Platonem] Plato mg. enim dicere solitum accepimus perbeatas fore respublicas quas aut sapientes regerent aut studiosi sapientiae gubernarent. Optima sane sententia et sanctissimo viro digna, quam quidem cum diligen­tius mecum animadverto, magis ac magis fortunatam rempublicam nostram censeo, quae tam sapientissimum tamque iustissimum praetorem ab immor­tali Deo consequuta sit. [2] Accedit etiam ad non parvam omnium Vincentinorum laetitiam, quod speramus humanissimam dominationem tuam aliquandoaa dominationem tuam oratam velim aliquando ms1 : exp. oratam velim ms2. apud nos venturam. Quod in praesentiarum superest hoc unum benignissimam domi­nationem tuam oratam velim ut si qua per me meosque agenda sunt quae ad gloriam et statum magnifici genitoris tui in urbe nostra conducere videantur, pro iure tuo imperes. Nihil tam arduum tamque difficile excogitari posset quod non lubenti animo tui tuorumque causa subituri simus. [3] Accepimus praeterea clarissimum et praestantissimum iuriscon­sultum dominum Antonium Zabar[ella] una cum /285/ aequissimuo geni­tore tuo vicarium ad nos profecturum. Quo profecto fidissimo iuris inter­prete urbs nostra superioribus quoque annis summa cum aequitate gubernata est, ubi adeo extra ordinem se gessit, ut in hunc diem non sine magno desiderio talem virum Vincentini recordentur. Hunc quantum possum dominationi tuae commendo atque ut eum sapientissimo patri commendes oro. Quo nihil gratius Vincentinis tuis facere poterit humanissima domina­tio tua, ita enim frugi vir est ut nemo esse possit qui eum non diligat, colat, admiretur. Valeat felix tua reverenda dominatio et me in numero servorum tuorum suscipe. Ex Vincentia, V Nonas Decembris MCCCCL. 6.(6) Maffeo Vallaresso a Niccolò V papa Zara, 17 marzo 1451 In occasione del viaggio a Roma del vescovo di Nona, M. V. scrive a Niccolò V per esprimere gratitudine e descrivergli la situazione di Zara (Jelic, 37). /7/ Ad sanctissimum dominum nostrum papam Nicolaum. [1] Sanctissime ac clementissime in Christo pater et domine post pedum oscula beatorum. Postquam ab vestrae sanctitatis me oculis /8/ subtra­xi ad Hyadrensem proficiscens ecclesiam, cui sanctitas vestra me licet indi­gnum in praelatum praeesse pastoremque dignata est, ad quam prospero e Venetiis navigans cursu die XIIII Februarii proxime elapsi salvus applicui, nulla mihi nuntiorum facultas hactenus affuit, per quos de statu meo aliquid beatitudini vestrae innotescere potuissem. [2] Et quoniam nunc reverendus pater dominus episcopus Nonensis personaliter se ad curiam transfert, per has breves meas literulas sanctitati vestrae notificare decrevi qualiter hic quidem tam a clero quam ab universo populo benigne maximaque cum caritate susceptus fui. Debitus quoque honor et reverentia, sanctitate vestra mediante, ab omnibus mihi exhibetur, et ego erga omnes paternalem tenens affectionem, summa cum diligentia pastoralem gero curam, ut reddere possim Domino populum acceptabilem bonorumque operum sectatorem. Spero quoque de die in diem, quod pro­ficiet. Ceterum beatissime pater cum his superioribus diebus ex relatione mihi facta sanctitatem vestram aegrotare sensi, molestum admodum tuli, maximumque cordis dolorem intrinsecus passus sum, et cetera. Hyadrae, XVII Martii 1451. 7.(5) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 18 marzo 1451 M. V. invia una lettera a Pietro Barbo per tramite del vescovo di Nona, che si appresta a partire alla volta della curia; piuttosto che una lettera avrebbe voluto inviargli una gelatina di Zara (cioè una confezione di pesce in savor: cfr. ad es. epistola n° 9), perché Pietro ha sempre a che fare con lettere e inchiostri, ma per lui la gelatina è rara come la Fenice [1-2]; M. V. è oberato dagli uffici inerenti l’episcopato, sicché non può fare altro che scrivergli [3] (Jelic, 36-37). /6/ Idem ad eundem. [1] Reverendissime domine mi unice et cetera. Cum essem Venetiis scripsi dominationi vestrae reverendissimae de his quae mihi tunc occurre­bant, litterasquae illas commisi magnifico viro domino Triadano Griti, qui designatus erat ad illustrissimum regem Aragonum orator; simul et quan­dam tabulam de qua alias. Nec dubito haec omnia delata fuisse dominationi vestrae reverendissimae. Ceterum ex quo Hyadram veni, nihil dominationi vestrae scripsi. Hoc autem non ex negligentia aut oblivione feci, cum sem­per habeam humanissimam dominationem vestram et in ore et in corde; sed tabellariorum penuria id effecit, ut non possem satisfacere animo /7/ meo, qui nil aliud anhelat nisi reverendissimae dominationi vestrae non ingratus videri. [2] Cum igitur reverendus pater dominus episcopus Nonensis illuc se profecturum dixisset mihi, non sum passus eum vacuum litteris meis abire ad eminentissimam dominationem vestram reverendissi­mam, quanvis haberem in animo visitare gelatinis Hyadriensibus potius quam carta et atramento: his enim non eget dominatio vestra, illas vero, scilicet gelatinas, admodum Phenicem raro videre contingit dominationi vestrae. [3] Sed cum sim adhuc novus in hac civitate negotiaque tanta mihi cumulentur in dies, obque carentiam praelati quam passa est haec civitas, tantae mihi lites componendae sunt et causae ut nunquam habere possim requiem, nec mihi ipsi aliqua in parte satisfacere, itaque quod in hoc prin­cipio facere non potui, in posterum satisfaciam favente Deo. Nil aliud quod scribam vestrae reverendissimae dominationi nisi eidem humillime suppli­care, ut sicut pro humanitate sua me praesentem dilexit, ita et absentem diligere dignetur. Ego enim multo magis accensus sum, ferveoque plus modo quam Romae morem gerere reverendissimae dominationi vestrae eique in omnibus inservire. Valeat dominatio vestra meique iugiter recordetur. Datum Hyadrae, die XVIII mensis Martii MCCCCLI. 8.(7) Maffeo Vallaresso a Mosé Buffarelli Zara, 18 marzo [1451] Mosè Buffarelli ha venduto parte delle suppellettili di M. V., inviando il ricavato a un creditore di M. V. stesso (Jelic, 38). /8/ Ad Moysem de Buffar[ellis] decretorum doctorem. [1] Nuper accepi per quendam monachum suaves litteras tuas, quae ingenti me gaudio affecerunt quod et reverendissimi domini mei totiusque familiae et tuam potissimum incolumitatem prae se ferebant. Quod autem scribis te partem /9/ illarum suppellettilium mearum vendidisse, pretiumque septem ducatorum inde traxisse, ac decano Cretensi pro parte cuiusdam debiti mei meo nomine dedisse, gratias habeo tibi. Facis enim uti decet ami­cum pro amico insudare. [2] Reliquam vero partem significas te invexisse in domum reverendissimi domini mei; si hoc ex scientia eius fecisti gratias habeo. Non enim tantum res meas, verum etiam me ipsum totum in opus reverendissimae dominationi suae iamdiu oblatum habeo ac dedicatum. Verum si id dominationi suae latet, obsecro te ut des operam quo innotescant ei res ipsae, et cetera. Vale feliciter in Domino. Ex Hyadra, XVIII Martii. 9.(8) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 3 aprile [1451] M. V. invia a Paolo Barbo, per tramite del fratello Marco, una terrina di pesci in savor (Jelic, 38). /9/ Ad clarissimum equitem dominum Paulum Barbo. [1] Ex quo Hyadrae me transtuli, nihil ad te dedi litterarum mearum neque enim opportunum erat, sed cum redditurus esset Venetias Marcus frater meus, dignum duxi per eum ad te aliquid scribere, quod et incolumi­tatis meae et amoris maximi erga te esset aliqua tibi coniectura. Non igitur solum ad te scribere suffecit mihi, nisi aliqua re indicarem affectum ad te cordis mei. Mitto itaque tibiaa Mitto itaque tibi] Mitto pisces in gelatina mg. per praefatum M[arcum] vasculum plenum piscibus in gelatina: [2] quae quidem res etsi non sit tam digna ut deceret tuae magnificentiae, tu tamen pro tua humanitate non ad rem, sed ad ani­mum dantis hilara fronte spectabis. Debitorem equidem tuum in his et in aliis quam /10/ plurimis me recognosco. Tu autem ignoscas si, uti caritas me compelleret, non satisfacio. Nam quod vires nequeunt dilectio ipsa submi­nistrat. Vale dignissime equitum quem salvum et felicem semper cupio. Ex Hyadra, III Aprilis. 10.(9) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 3 maggio [1451] M. V. ha ricevuto una breve lettera da Pietro Barbo tramite il vescovo di Ossero Antonio di Pago (per cui vd. anche ep. n° 84) il quale lo rassicura sulla benevolenza del cardinale (Jelic, 38-39). /10/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Non dubium est mihi, quoniam reverendissima dominatio vestra exceperit litteras meas quas eidem misi per episcopum Nonensem. Vestrae autem dominationis litteras per episcopum Auserensem ego quidem sitibun­dus amplexus sum, quae licet fuerint perbreves, dulces tamen mihi super mel et favum, insuper remittentes sese dicti domini Auserensis,aa insuper remittentes sese dicti domini Auserensis parum perspicuum. [2] qui cum alia multa, tum praecipue reverendissimam dominationem vestram mihi pro humanitate sua propitiam et affectam more solito esse dixit, tabulamque illam a me missam hilari fronte ab eadem dominatione vestra acceptam extitisse. [3] Qua ex re summa iocunditate affectus sum, quia dominatio vestra reverendissima id gratum habuerit. Non tamen ea lege dictam tabulam domi­nationi vestrae missam volo, ut pro tot ac tantis beneficiis mihi a dominatio­ne reverendissima vestra collatis satisfaciat, sed ut sit aliqua coniectura grati­tudinis meae pro acceptis beneficiis a vestra dominatione, cui quoad vixero obligatum me reputo. Summam diligentiam usque modo habui in quaerendis corniolis et medaiis nec invenire aliquid potui quod possem mittere domina­tioni vestrae reverendissimae nisi ossa matris magnae id est arida saxa, quae se gradientibus offerunt ultro. [4] Corniolae autem aut medaiae non solum non inveniuntur Hyadrae, sed nec quid id sitbb sit Jelic : scit ms. scitur. Si quid in futurum huiusmodi rerum invenero, partici/11/pem efficiam dominationem vestram, nihil mihi reservans. Credo non latere dominationem vestram reverendissi­mam quod cum essemus Fabriani et cetera. Valeat ipsa dominatio vestra diu ac felicissime. Datum Hyadrae, III Maii. 11.(10) Maffeo Vallaresso a Francesco Condulmer Zara, 14 maggio1451 Francesco Condulmer ha indirizzato a M. V. una lettera cui non sa esprimere adeguatamente la sua gratitudine: dimostra cioè che il prelato lo ha caro, come se egli fosse a lui sempre presente (Jelic, 39). /11/ Reverendissimo domino F[rancisco Condulmario] episcopo Portuensi cardinali Veneto. [1] Pridie summa cum reverentia accepi litteras reverendissimae domi­nationis vestrae quae adeo mihi gratae ac iocundae fuerunt ut nihil supra. Sed respondere eisdem non aliunde quam a gratiarum actione incipere pra­estat. Ast opis meae non est, fateor, reverendissimae dominationi vestrae grates persolvere dignas; verum si quas possum habeo in animo pro tam suavibus ac mellifluis litteris eiusdem dominationis vestrae. Quibus explora­tum habeo eodem loco me absentem haberi a reverendissima dominatione vestra quo praesens habitus sum. [2] Quod vero se offert commodis meis eadem dominatio vestra id excedit quidem merita mea, ac benigne nimium humaneque mecum agit. Cui et in hoc non habere ingentes grates non pos­sum. Libere autem si opus fuerit patrocinio utar reverendissimae dominatio­nis vestrae, uti eidem pro sua clementia semper placere cognovi, et cetera. Valeat feliciter, et cetera. Ex Hyadra, die XIIII Maii MCCCCLI. 12.(11) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 14 maggio 1451 M. V. si discolpa dalle accuse di aver imposto un tributo ai chierici della sua diocesi: Pietro Barbo sa che egli è esposto alle malelingue ed è innocente (Jelic, 39-40). /11/ Reverendissimo domino meo P[etro] cardinali Sancti Marci. [1] Nuperrimeaa Pro caritativo subsidio clericis imposito expurgo me mg. cum omni reverentia excepi litteras suavissimas reveren­dissimae dominationis vestrae, plenas omni officio caritatis ac benivolen­tiae. Quibus ab eadem admoneor, ut abstinear a tanto gravamine caritativi subsidii quod imposuisse dicor omni provinciae meae, et mitius agere in diocesi mea. Grates /12/ ingentes habeo dominationi vestrae quod pro humanitate sua cautiorem me reddere dignatur in his vel observandis vel evitandis, quae honori aut dedecori meo incumbunt. [2] Ego etsi non credam quod dominatio reverendissima vestra arbitretur me affinem esse huius maculae, sed obtrectatorum linguis (quas nec ipse Iesus Christus evitare potuit) patere me, declarat ipsa dominatio vestra, ut, si verum est quod de me dicitur, sponte mea corrigar et emen­der; sin secus est atque mihi detrahitur gaudeam hac innocentia; tamen quo veritas superemineat et malitia detrahentium confundatur purgans conscientiam meam, non nisi veritatem (ut moris est mihi) loquar eidem reverendissimae dominationi vestrae. [3] Ego quippe in provincia mea nemini caritativum subsidium vel iniunxi iniungere unquam cogitavi, conscientia teste, imo in diocesi mea mitius egi quam alii praedecessores mei, tam in summa pecuniaria quam in tempore exactionis, prout ex eorum scriptis facile cognoscitur. Declarando etiam dominationi vestrae quod id subsidii caritativi quod habui in diocesi mea non fuit a me iniun­ctum, sed ipse clerus meus quod sua sponte obtulit se mihi daturum, sine aliqua contradictione acceptavi. [4] Idcirco nescio unde sit orta de me querela eiusmodi, sed si forte et cetera. Nihil aliud occurit quod ad praesens scribam dominationi vestrae reverendissimae, nisi eandem rogare atque obsecrare ut me digne­tur commendare sacrosanctis pedibus sanctissimi domini nostri, omnibusque aliis quibus me debitorem novit dominatio vestra, quam semper valere /13/ feliciter opto. Datum Hyadrae, die XIIII Maii MCCCCLI. 13.(12) Maffeo Vallaresso al capitolo di Pago Zara, 5 giugno 1451 M. V. ha ricevuto al capitolo di Pago una lettera non gradita, alla quale replica, invitando a usare umiltà e a inviare il tributo (Jelic, 40). /13/ Capitulo Pagensi. [1] Legimus litteras vestras, quas misistis per venerabilem virum presbyterum Mis., erga quem humanitatis officio usi estis intuitu nostri. Cuius rei gratia gratificari ne vobis multum debeamus, an secus non videmus quia, secundum vetus proverbium, «qui in uno offenderit reus efficitur omnium»,aa Nota vetus proverbium etc. mg. et «qui in caput peccat refragatur ceteris membris». [2] Vos autem quantum in nos culpabiles reddamini, testes sunt litterae vestrae, quae cum non sint eo sale conditae quo deberent, tum maxime in aliquibus nos carpere videntur, adeo ut, nisi caritas Christi urgeret nos vestras infirmitates ac imperfectiones affec­tu sufferre, facile nosbb facile vos ms, ut vid. lacesseretis, ut paulo severius quam moris est nostri vobiscum ageremus. [3] Sed prima ducti compassione ignoscendum vobis censemus. Speramus enim Domino praestante vos de cetero correctiores effici, neque in stimulum calces dare. Nunc tantummodo monemus vos ac hortamur, filioli, ut si pastorem vestrum venerari vultis, humilitate potius ac oboedientia invi­cem contendatis. Nos enim non sumus adeo inhumani ut ultra id quod facere potestis humeros vestros oneremus. Satis enim novimus partim ex vobis, partim informatione bonorum virorum, quantum oneris fere potestis. [4] Cum autem veniemus illuc visitare vos, sedulo /14/ curabimus cognoscere oves nostras, earumque necessitatibus si fieri poterit providebimus. Interim curate residuum debiti vestri caritativi subsidii ad nos quam cito mittere nec irritare verbis, sed factis potius mitigare. Satis excusatione ac dilatione usque modo usi estis. Deinceps nihil nobis rescribatis, sed opere potius adimplete quod debetis. Valete in Domino. Hyadrae, die V Iunii 1451. 14.(26) Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso Venezia, 28 giugno 1451 Giovanni di Sobota racconta a M. V. i particolari della rottura avvenuta tra i Veneziani e il Colleoni; questi è stato grandemente onorato dalla repubblica, e posto a capo della cavalleria [1]; ma ha maturato un’eccessiva ambizione, che i senatori considerano pericolosa per la repubblica [2]; si è scoperto che ha negletto gli ordini, e che è in contatto con il nemico; il Consiglio dei dieci ha perciò comandato a Nicolò Canal, che si trovava nell’accampamento con Gentile da Leonessa, che il Colleoni con i suoi soldati sia fatto prigioniero; Nicolò, ricevuti gli ordini, convoca Gentile e Iacopo (Giacomo) Piccinino; [3]; sul far della sera, con circa 5 mila soldati scelti, si dirigono all’accampamento di Colleoni, che era nel territorio di Verona; nella notte compiono un viaggio di quasi 55 miglia, all’alba, assaltano l’accampamento di Colleoni, che, colto di sorpresa, fugge; i nostri conquistano splendide armi e magnifici cavalli; invece l’intero bottino conquistato com­battendo è finito nelle mani del nemico: perché la fortuna non concede mai di realizzare piena­mente le proprie aspettative; sono state trovate lettere sigillate, le quali trasmettono i propositi di lui; 300 soldati si muovono in direzione di Legnago; li ha intercettati il valoroso Carlo Fortebracci, figlio di Braccio da Montone, che li ha audacemente sfidati, catturando 14 loro cavalieri; gli altri sono riusciti a fuggire e si trovano tra il muro di cinta e il vallo (di Legnago); essi si sono arresi al pretore, il quale ha intimato a Carlo di non assediarli [5]; il Colleoni si è ritirato in qualche rocca nel Mantovano; conclusa e firmata la lettera, Giovanni Sobota è venuto a sapere che il Colleoni si è recato dal duca di Milano (Francesco Sforza) [6] (Jelic, 44-45). /30/ Iohannes Sobotae Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Novi excellens ingenium tuum, quam cupidissimus sis magnarum rerum, praecipue strenue ac magnifice gestarum.aa praecipue strenue ac magnifice gestarum] Bona est epistola et cuilibet legenti digna mg. Hoc insigne ac memorabile facinus, quod hisce diebus ex sententia Senatus non minus prudenter quam fortiter gestum est, ad te vir ornatissime in praesentiarum scribere constitui. Bartholomeus Colionus, vir in re militari non spernendus, homo sane magni animi et utinam sapientis consilii fuisset, susceptis maximis et amplissimis ab hoc ordine ornamentis, quae ipsum et posteros eius plurimum honestarent – vix (ut opinio mea fert) sibi maiora tribui poterant – praeerat summa cum potestate splendidissimo equitatui: omnium peritorum huiusce disciplinae bellicae opinione nulla gens in tota Italia suae genti conferenda erat. [2] Sed tam immoderata cupiditas dominandi, tantave ambitio ani­mum eius inva/31/sere, ut omnia divina et humana iura facile perversurus videretur. Patribus quibus cura est, ne quid res publica detrimenti caperet, haec animi elatio perniciosa visa est, et a quiete publica vehementer aliena. Animus paratus ad periculum, si sua cupiditate non utilitate communi impel­litur, audaciae potius quam certitudinis nomen habet, ut sapientes litterarum monimentis pulcherrime tradidere. Ex hac elatione et animi magnitudine, facillime pertinacia et nimia cupiditas principatus nascitur. [3] A patribus conscriptis compertum est ipsum imperata negligere, nimis alta ac immoderata petere, cum hoste sentire. Hac indignitate rei decemvirum severissimus ordo compulsus, more maiorum in Colionum tan­quam in improbum et audacem animadvertere statuit, Nicolao Canalio, qui hac tempestate decreto Senatus una cum magnanimo Gentile in castris erat, mandat omni studio quam diligentissime curaret, ut Bartholomeus cum omnibus suae factionis militibus in praedam ac direptionem traderetur. Susceptis litteris, nulla interiecta mora, Gentilem proconsulem et magnifi­cum Iacobum Piceninum fortissimos et amantissimos reipublicae viros vocat; omnem rem exponit; que voluntas sit Senatus ostendit. Illi autem qui omnia de republica praecla/32/ra ac egregia sentirent, sine recusatione et sine ulla mora negotium suscipiunt. [4] Et cum advesperasceret cum circiter V milia electissimorum equitum composito exercitu, prout temporis angustiae patie­bantur, ad stationem Bartholomei (erat enim in agro Veronensi) incredibili celeritate contendunt, ut illum nihil suspicantem facilius opprimerent. Ea nocte confecto maximo itinere ferme LV milia passuum (sunt nonnulli qui tradunt) sole oriente, sublato clamore militari de more, stationes Colionensium militum audacissime et cupidisime invadunt ac diripiunt, nihil praeter libera corpora relinquunt. Bartholomeus, novitate rei exterritus, fuga saluti consu­luisse dicitur. Ornatissimis armis, pulcherrimis equis nostri magna cum lae­titia ac alacritate potiuntur. Quicquid auri argentique ex Gallorum Allobrogumque manubiis apud Bartholomeum congestum fuit, id totum parvo momento hosti fortuna elargita est, quae nihil magnarum ac laetarum rerum integrum purumque permittit, sed bona simul ac mala miscens mor­talium vitam affligit. [5] Nonne magnam partem et gloriae illorum praeclarissimorum proe­liorum quam cum Gallis Allobrogisque fortissime dimicando militari virtute vendicaverat, hac insigni cala/33/mitate fortuna evertisse videtur? Litterae praeterea publicae et privatae quaecunque repertae sunt integris signis proconsuli traditae sunt, indices suorum consiliorum. Circiter III centi milites quadrato agmine Lignacum contendunt, quos magnificus Carolus magni Bracii filius consecutus, audacissime invadit, tumultuarie ex itinere dimicare coguntur. Tandem captis non amplius XIIII equitibus, ceteri incolumes tum fugiendo, tum strenue dimicando, inter moenia et vallum consistunt, praetoris fidei sua omnia divina et humana promittunt, pro vallo pugnant. Praetor Carolum monet, ne dediticios oppugnet, sena­tus haec animadversio est. Tandem ab urbanis peditibus reiectus est, susceptis duobus periculosissimis vulneribus, ad suam stationem defertur; quid de militibus statuendum sit, senatus haec animadversio est. [6] Bartholomeus in quodam agri Mantuani oppido se continet, erepta etiam omni spe, quae homines sola in miseriis consolari solet. Publicatis bonis, hostis a Senatu iudicatus est. Nihil praeter haec relatu dignum gestum est. Vale vir ornatissime et me tibi commenda. Ex Venetiis, IIII Kalendas Iulii 1451. Post scriptas et obsignatas litteras, nuntiatum est Bartholomeum ex agro /34/ Mantuano ad ducem Mediolani se contulisse. 15.(13) Maffeo Vallaresso ad Andrea, medico Zara, 16 luglio [1451] Un notabile di Zara ha chiesto a M. V. di indicare un sostituto per il precedente medico della città; scrive così ad Andrea, per invitarlo ad assumere l’incarico (edita in Marini 1784, 138-139; Jelic, 40-41). /14/ Magistro Andreae phisico. [1] Clarissime artium ac medicinae doctor et cetera.aa Bona est epistola mg. Cum hesterna die visitandi gratia venisset ad nos quidam ex civibus Hyadrae primarii ordinis, quo ordine cassaverint medicum phisicum huius civitatis, scilicet N. de Coneglano, narravit nobis. Dumque percuntaretur a nobis (ad hoc enim publice deputatus erat) an haberemus aliquem medicum idoneum, suffi­cientem, probabiliorem hoc nostro, mens nostra ad te subito pervolavit. [2] Quantam enim curam ac diligentiam habueris circa magnificum domi­num patrem nostrum, iampridem comitem Sibenicensem tunc temporis aegrotantem, clare nobis constat. Deinde etiam frater noster Marcus prae­clara de te praedicat. His bonis de te testimoniis aedificati, peroptamus apud nos ut sis. [3] Itaque quod animi habeas an te istuc velis conductum solito salario trecentorumaa trecentorum] CCCorum ms. ducatorum an nolis et quo tempore firmae tuae terminus instat, litteris tuis fac nos quam mox certiores. /15/ Speramus enim te si voles conduci huc, rescribas igitur sententiam tuam ubi citius poteris, ut quid sit faciendum nobis sciamus. Nam semper virtutibus tuis favebimus. Vale. Datum Hyadrae, die XVI Iulii. 16.(214) Maffeo Vallaresso a Francesco Condulmer Zara, 28 luglio 1451 Una precedente epistola di M. V. a Francesco Condulmer non ha ricevuto risposta, ma ciò è dovuto senz’altro agli impegni del cardinale [1]; si professa devoto servitore del Condulmer; ha gioito per la notizia della nomina di Marco Barbo a vescovo di Vicenza [2]; ha saputo anche che Condulmer ha trovato una composizione sulla questione relativa al patriarcato di Aquileia; in merito M. V. avrebbe molto da suggerire, ma teme di scrivere, perché le sue lettere potrebbero essere intercettate [3]; Zaccaria Vallaresso sta rientrando a Roma dalla Spagna: Condulmer potrà così approfittare delle sue maturate competenze: tutta la famiglia Vallaresso è desiderosa infatti di manifestargli la propria devozione; soprattutto Condulmer è pregato di raccomandare M. V. a sua santità il pontefice [4]. /213/ Ad reverendissimum dominum vicecancellarium dominum F[ranciscum] cardinalem Venetiarum. [1] Superioribus diebus dedi litteras ad reverendissimam dominatio­nem vestram nec dubito quin eas habuerit. Quibus etsi minime responsum fuerit, non oblivioni mei, sed ingentibus negotiis reverendissimae domina­tionis vestrae, a qua ultra merita mea videor mihi diligi adscribo. In prae­sentia vero etsi mihi parum occurrat quod scribam dominationi vestrae reverendissimae, non tamen idcirco desistam, quin frequentius scribam eidem, cui me obbligatissimum ad mortem usque exisistimo servi/214/toremque fidelissimum passim profiteor. [2] Nec est in vita quod mihi iocundius ac suavius esse possit quam ut reverendissima dominatio vestra me in servitorum suorum gregem recipere dignetur. Quod mihi tunc maxi­me persuasum erit si eadem dominatio vestra reverendissima sui causa me in aliquo exercuerit. Nuper accepi reverendissimum dominum cardinalem Sancti Marci praefectum esse ecclesiae Vincentiae, cui congratulatus sum ex corde quantum dici potest. Nec dubito quin reverendissima dominatio vestra sibi pro mutuis vestris officiis in hac parte multum faverit. [3] Intellexi praeterea reverendissimum dominum camerarium se composuisse cum illustrissimo dominio pro patriarchatu Aquileiensi,aa De compositione patriarchatus Aquilegiensi cum illustrissimo dominio mg. super qua re multa haberem occultius intimare dominationi vestrae reverendissimae, sed quod talia non sine periculo litteris traduntur quae multoties ab iniquis interci­piuntur, ea reservare in calamo praestat, quae ad tempus reverendissimae dominationi vestrae promere spero. Hoc unum precor tanquam fidelis servitor eiusdem dominationis vestrae, ut praeteritum tempus in memo­riam aliquotiens reducatis. [4] Dominus Zacharias Vallaressus patruus meus ad illustrissimum Aragonum regem designatus legatus, ut credo, in reditu suo iter faciet Romae, cui si quid committere voluerit reverenda dominatio vestra, poterit quidem tutissime secum conferre de omnibus perinde ac cum amico et servitore optimo ac fidelissimo dominationis vestrae reverendissimae. Nam non solum ego verum omnes mei quicumque /215/ sunt venerantur unice ac observant reverendam dominationem vestram, cui si qua in re inservire possent maximum se beneficium nanctos putarent, quod experiri gratissimum foret. Summis precibus peto a reveren­da dominatione vestra ut me commissum faciat pedibus sacrosanctis san­ctissimi domini nostri. Cupio diu ac felicissime valere dominatio vestra reverendissima, cui me totum humillime recommitto. Ex Hyadra die XXVIII Iuli MCCCCLI. 17.(215) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 15 agosto [1451] M. V. ha scritto più volte a Pietro Barbo, dopo che questi ha ricevuto il vescovado di Vicenza, ma non ha ricevuto risposta, e ciò sicuramente a causa dei tanti impegni del cardinale; avrebbe voluto incontrarlo a Venezia, ma Paolo (forse Paolo Barbo) lo ha dissuaso; dal vescovo di Nona è però venuto a sapere che il cardinale ha intenzione di venire personalmente in Dalmazia, ciò che rende particolarmente felice M. V. /215/ Ad reverendissimum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Ex quo episcopatus Vincentinus adiunctus fuit amplissimae dignitati vestrae reverendae dominationis pluries ad eandem scripsi et quod nihil responsum mihi fuerit ab eadem nihil miror propter occupationes et curas quotidianas quibus ipsa dominatio vestra reverenda tenetur nonnunquam invita. Ceterum cum pauloante ex litteris meorum intellexerim reverendam dominationem vestram possessionem dicti episcopatus habuisse, quanto sim elatus gaudio cogitandum relinquo eidem licet nunquam dubitaverim. Habebam autem in animo Venetias obviam ire reverendae dominationi vestrae cuius mihi praesentia praeter omnia desideratissima est. Idque relatu meorum spectatissimus dominus Paulus cum resciret, ut id facerem prohibu­it omnino, ni aliud mihi significatum esset. Praeterea dominus episcopus Nonensis nuper mihi quasdam litteras vestrae reverendae dominationis ostendit, in quibus inter alia scri/216/bit se sperare istuc venturam. Quod an credere possim nescio. Sed utinam tanto merear munere a Deo donari, tan­toque gaudii imbre perfundi ut in his regionibus praesentiam vestrae reveren­dae dominationis videam mihi iocundissimam quam mille annis videor mihi non vidisse. Qua de re si quid mihi rescribere dignata fuerit gratissimum erit et cetera. Cui me humillime commendo. Hyadrae XV Augusti. 18.(14) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 20 agosto [1451] M. V. ricorda a Marco Barbo la loro antica amicizia, gli scrive per ravvivarla, accenna al vescovado di Vicenza assunto da Pietro Barbo (Jelic, 41). /15/ Ad clarissimum dominum Marcum Barbo. [1] Postquam ad Hyadrensem ecclesiam meam veni, nihil me credo tibi scripsisse, nec tuas aliquas accepisse. Hoc ideo quoniam nihil opportunum fuit ad scribendum. Et licet in praesentiarum parum occurrat quod necessa­rium tibi scribam, considerata tamen antiqua nostra consuetudine et amicitia a cunabulis firmata, statui non praetermittendum esse ut ultra procedat silen­tium nostrum, quod ad praesens debilitare posset amicitiae nostrae vinculum. [2] Ego enim etsi absum tibi, ita tamen te cordi praefixum habeo, ut mihi videar te praesentem videre, itidemque te facere non dubito. De episcopatu Vincentino qui adiunctus est reverendissimo domino meo gavisus sum maxi­me, congratulorque in primis honori ac utilitati suae reverendissimae domina­tionis, tum tecum hanc laetitiam, tanquam cum suavissimo fratre meo com­munico. [3] Et precor immortalem Deum ut antequam ex hac vita migremus utrique videamus reverendissimam dominationem suam elatam ad summum usque papatus culmen. Et quoniam superfluum est tibi offerre id quod in tua potestate est, non arbitror me tibi offerendum, et cetera. Hyadrae, XX Augusti. 19.(15) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Zara, 20 agosto [1451] M. V. scrive a Barbone Morosini invitandolo a dargli notizie sugli sviluppi dei fatti veneziani in Lombardia (Jelic, 41-42). /16/ Ad celeberrimum dominum Barbonum Maur[ocenum]. [1] Ex eo tempore quo me praesentia corporali abste seiunxi (nam spiritu et animo adsum semper tibi) nihil tuarum literarum accepi.aa Accuso eum honeste quod non scripsit et excuso me et cetera mg. Qua ex re consi­derata nostra antiqua mutua necessitudine ac benivolentia, non possum non demirari ex hoc tuo tam longo adversum me silentio. Ego autem cum ex animo meo tuum spectem non possum mihi persuadere quod tibi tam cito a memoria deciderim, ac in oblivionem prorsus venerim. Sed hoc potius negotiis tuis ascri­bo familiaribus, curae etiam tuae, quam ex officio erga rempublicam habes. [2] Et licet tu idem e contra de me conqueri posses, quod nihil ad te ante hoc scripserim, si ego ipse tacuero neque me de hoc purgarem, tu ipse pro tua prudentia facile advertere animo potes, quantis maxime in his prin­cipiis tenear sollicitudinibus et occupationibus curae pastoralis, ita ut dum aliis satisfacere studeo, mihi ipsi aliquando non possim. Tamen cum sim circa plura distractus et occupatus, quam tu, non sum oblitus tui, ut mihi non vindicarem aliquid tempusculi, quo tibi aliquid scriberem ac lacesserembb lacescerem ms. te ad scribendum. Ut igitur mihi scribas oro te. [3] Quicquid vero scripseris cordi erit maxime si mihi significabis ut procedit respublica in factis Lombardiae et quid tu opineris ac sentias. Nam opinio ac sententia tua mihi pro decreto erit fir/17/mo ac stabili. Non autem mihi ea significanda peto, quae patribus conscriptis archana sunt, sed quae in vulgus sine periculo pro­duntur. Ego siquid pro te ac tuorum quovis Hyadrae vel alibi locorum pos­sum, non recuso laborem. Vale in domino, meique memineris. Hyadrae, XX Augusti. 20.(16) Maffeo Vallaresso a Giovanni Condulmer Zara, 25 agosto 1451 M. V. si lamenta con Giovanni Condulmer, perché, da quando è a Zara, non ha ricevuto da lui alcuna lettera: lo perdona, pensando che l’amico non si sia di lui dimenticato, ma sia oberato dagli impegni [1]; se non ha di che scrivergli, gli parli pure dell’aria di Verona! O meglio, gli racconti delle sue relazioni con i parrocchiani di San Sebastiano: sa perlatro che l’amico è conosciuto per essere un animo devoto [2]; lo invita a tuttavia non essere troppo severo, imponendo penitenze eccessive ai fedeli [3]; lo invita, se dovesse trovarsi a Venezia, a raggiungerlo a Zara [4] (Jelic, 42). /17/ Ad vene[rabilem] dominum Io[hannem] Condul[marium] subdiaconum apostolicum. [1] Probe facis ut quae sunt pretiosa ac desiderabilia mihi, ea tu facis rara, ut quanto minus est spei tanto magis desiderem.aa nota bonum principium mg. Sed interim nostrum frustras amorem, dum te subtrahis, dum nihil scribis. Ex quo enim me habet Hyadra, expectavi litteras tuas, frustra tamen, quia nihil accepi. Quo circa facile oblivionis mei ac negligentiae te reprehendere possem, si non amor meus maximus tibi ignosceret ac tuum hoc silentium ex occupationibus ac negotiis tuis provenire potius quam ex oblivione mei censeret. [2] De cetero nequaquam te reddas ita tardum ad scribendum maxime mihi a quo unice amaris. Si nihil habes quod scribas, scribas saltem de caelo aereque Veronensi. Magnam enim et copiosam invenies materiam. Et licet non dubitem te prudentissime ac optime procedere in dies cum parochianis tuis Sancti Sebastiani, tamen et de hoc me certiorem efficias. Ut si verum est quod de te sentio congratulor tibi. Diceris enim devotus effectus esse /18/ praeter modum: quod summopere laudo. Videbare autem mihi etiam Romae huius devotionis habere radicem; ita ut aliud non restaret nisi ut in tortam ferres cervicem. [3] Quod sis autem sollicitus ac vigilans circa gregem curae tuae commis­sum, audire iocundum est. Sed timeo te in os laudare, ac hortor ut de virtute in virtutem ambules Deo serviendo, sicut cepisti. Audio praeterea te in iungendisbb iungendis ms : inungendis (sic) Jelic. confessionum paenitentiis paulo plus severiorem. Et quia amo te non possum tibi non consulere ex animo, licet consiliis meis parum indigeas. Qualiter enim peccatoribus dandae sint paenitentiae, nosti partim ex te ipso, partim in libris legisti; mea tamen sententia melius est in clementia ac lenitate nimia delinquere quam in severitate. [4] Summum enim ius saepe summa est malitia.cc summum ius saepe est malitia mg. Fretus tabellarii fidelitate, duxi iocari tecum. Nunquam enim ad te scribo quin mihi in memoriam non veniat antiqua nostra consuetudo ac fami­liaritas iocundissima. De hoc satis. Peterem abs te summo affici beneficio, nisi vererer importunus haberi. Hoc autem est, quod a te maxime volo ac desidero, ut si quando Venetias venire tibi contingeret, transferas te Hyadram usque mei amore et cetera. Vale in Domino et ut scribas saepius ac saepius iterum rogo. Datum Hydrae, XXV Augusti MCCCCLI. 21.(17) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 31 agosto [1451] M. V. sollecita l’amico Urbano Vignati a scrivergli e a rinsaldare la loro amicizia (Jelic, 42: excerptum). /18/ Ad eximium doctorem dominum Urbanum Vignati archidiaconum Castellanum. [1] Ubi abs te seiunctus Hyadram me transtuli, nihil tuarum /19/ litte­rarum accepi, quod mihi admirationis fuisse scias.aa bona est epistola mg. Licet enim non diffidam me tibi esse amantissimum, tamen periocundum fecisses si litterarum tuarum effecisses me participem, quod amicitiae nostrae confirmationi augmentoque multum conducerent. [2] Scio tamen ad excusationes aliquas te subito evola­turum. Dices enim aut opportunitatem scribendi, aut tabellarios defuisse, aut aliquid aliud esse impedimento ne ad me scriberes. Ego vero, nullam istarum causarum admittens, negligentiae potius te accuso, ita tamen ut facile tibi ignoscam ea lege ut in futurum emendes quod aliquo impedimento iusto vel iniusto omiseris. [3] Forte acrius aliquanto quam debuissem scripsisse videor, sed hoc ideo feci quia tecum omnia possum, tum ut cognoscas quantum mihi sint gratae litterae tuae, quibus me immunem nescio cur fecisti. De hoc satis. Opus est mihi aliquo pontificali bono et cetera. Vale in Domino, et ut me mutuo diligas, obsecro. Hyadrae, ultimo Augusti. 22.(25) Barbone Morosini a Maffeo Vallaresso Zara, 9 settembre [1451?] Barbone Morosini scrive a Maffeo, dicendosi felice per la lettera da lui ricevuta [1]; si scusa per il lungo suo silenzio, dovuto ai molti impegni [2]; accoglie le scuse di Maffeo, che a sua volta gli ha scritto raramente a causa degli impegni pastorali; non può comunicargli la verità sulla situa­zione della Lombardia, perché è stato trattenuto a casa dall’influenza, né ha potuto frequentare la curia [3-4]; si dichiara a sua volta pronto a dargli ogni possibile aiuto [5]. /28/ Barbo[nus] Maurocenus Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Quanta me affecerunt laetitia litterae tuae mihi his diebus redditae nullo pacto explicare possem. Antiquam enim mutuam neccessitudinem nostram et meam nunc erga dominationem tuam singularem observantiam quae ex absentia nostra propter longam taciturnitatem (tametsi re non est) oblivioni tradita videbatur revocarunt. [2] Ego quidem /29/ si ad te ut mei erat officii hactenus litterarum mearum nihil dedi, id profecto tum privatis rei meae familiaris angustiis tum publicis occupationibus, quas ex officio consecutus sum, evenit. Quare si in scribendo meo erga dominationem tuam non sum functus officio, et piger abs te haberi possum, tua reverendissima paternitas, quae mihi semper cle­mentissima et humanissima nota est, ignoscat mihi oro. [3] Cum enim quid otii nactus fuero tibi in scribendo satisfacere conabor. Excusationem tuae dominationis si non ad me antea scripseris, licet apud me non excusatione opus est nec mihi de tua dominatione queri posse facultas ulla data est. [4] Accipio mihi enim tum curae nomine pastoralis tibi creditae solli­citudinibus tum aliis quam pluribus occupationibus exploratissimum est non te eam diligentiam quam soles in scribendo adhibere posse. Petis a me quid opinor quidque in rebus Lombardiae sentio tibi significari, non id tamen quod senatoribus archanum est, sed quod vulgus praedicat. Non ad domina­tionem tuam quicquid quod veritatem contineat significareaa significare] signifare ms. possum. Febrilis enim valitudo diebus plurimis me domi continuit nec etiam ex ea adeo liber factus sum quod domo ad curiam proficiscar. Quod cum ita sit, a me tibi certi nihil in rebus Liguriae nuntiare posse video. [5] Dominationi tuae quae tanta humanitate omnibus in rebus mihi gratis et iocundis promptam se dicit /30/ gratias ago habeoque et cum uti opera tua voluero ad te tanquam ad patronum pro rebus et meis et amicorum scribam. Demum siquid a me fieri velis tum quia pater tum etiam eius germanus pro republica absentesaa absentes] abscentes ms. sunt, tua interest iubere, me enim ad tua habebis iussa. Valeat dominatio tua et quidem bene cui me mirum in modum commendo. Venetiis die VIIII Septembris. 23.(18) Maffeo Vallaresso a Luca Leoni Zara, 12 settembre [1451] M. V. chiede a Luca Leoni di recuperare alcuni manoscritti appartenenti a un cappellano dello stesso Maffeo, ma al momento in possesso di un presbitero di Verona; esorta il Leoni a non disperarsi troppo per la morte di un fanciullo, e a non divulgare il suo dolore, che potrebbe essere frainteso (Jelic, 43: excerptum). /19/ Ad dominum Lucam Leono canonicum Veronensem. [1] Nuper accepi litteras tuas mihi valde iocundas, quibus te excusatum facis ab hac culpa, quod nihil tuarum litterarum redditum mihi fuisse questus sim, quam excusationem pro meo in te singulari amore admitto, ac potius tabellariis hoc vitio do.bb Admitto excusationes mg. Quod autem libros capellani mei extorquere non potueris a manibus illius presbyteri, aegre fero. [2] Ceterum rogo te ut cum Veronam reddieris quam melius scias de manibus lupi eos eripias. Spes omnis capellani in te sitacc sita corr. : scita ms, facta Jelic. est /20/, dolebitque sibi multum, si non hoc mei causa effeceris. Nec diffido te effecturum prudentia tua, ut dicti libri Hyadram usque transmittantur. De his satis, nam semel dictum sapienti sat est. [3] Quod vero tam aegre tuleris mortem pueri tui, mihi novum non est, quia natura ipsa adeo humanum, adeo mansuetum te finxit ut ne dicam carissimorum ac proximorum tibi, verum etiam extraneorum casus non deflere vehementer ac miserari non possis. An modo etiam Romae ob necem illius iuvenis tui emori cupiens praecipitem te dare in Tiberem voluisti, nisi ego prohibuissem amore Dei? Ab hoc furore temperes te atque amoris habe­nas coherce. [4] Nam id arbitror apprime esse utile ut nequid nimis. Tamen tibi compatior unaque tecum condoleo. Etsi fieri posset ut resuscitaretur tibi puerulus, scio quod non facerem. Deus bone, si huius mortem tam fers fami­liariter, quod tu facies mihi fratri tuo? Profecto vereor ne iugulo tenus admo­veas gladium! Ah!aa Ah!] ha ms. ne facias obsecro! Nonne istud est sapere ut ubi opus sit animum mutes? [5] Deinde mors mortalium facile est ferenda. Pluribus te exemplis tum sanctorum, tum illustrium virorum admonerem mortem hominum non esse miseram, si non mihi compertum esset te omnia haec melius legisse. Sed quia familiariter ad me scripsisti, ego familiarius respon­deo ac in aliquibus lusi tecum domestice, fretus fide tabellarii qui est ger/21/manus meus. [6] Oratum tamen te volo ut nemini alii ita occulta tua expromas amo­ris curas, quod a plerisque in deteriorem partem accipi solet. Parum tibi gratiarum habeo quod si licentiam a canonicis tuis habuisses, Hyadram usque mei visendi gratia venisses. Non enim licentia te tenuit, sed potius avaritia et rei cupiditas ne amitteres suaves portiunculas tuas, quas amici causa flocci facere debuisses, et cetera. Vale. Ex Hyadra, XII Septembris. 24.(19) Maffeo Vallaresso ad Andrea Venier Zara, 12 settembre 1451 Pur non avendo novità, M. V. scrive ad Andrea Venier per attestargli la sua amicizia (Jelic, 43: excerptum). /21/ Ad clarissimum utriusque iuris doctorem dominum Andream Venerio. Nihil dignum quod ad te scriberem usque modo habui in praesentia­rum, vero etsi essem quam pluribus negotiis occupatus, tum maxime cura pastorali, vendicare tamen mihi volui paululum temporis quo ad te aliquid scribere possem, ut quantum te diligam ex hoc maxime coniecturam capias, quod cum Marcus germanus meus Venetias usque navigaturus esset, nolui eum vacuum litteris meis ad te venire ut cognoscas me non locorum distantia impeditum quominus tui recorder. Non occurritur aliud quod tibi scribam nisi oratum te facere et cetera. Vale feliciter. Ex Hyadra, die XII Septembris MCCCCLI. 25.(20) Maffeo Vallaresso a Lauro Quirini Zara, 12 settembre [1451] M. V. chiede a Lauro Quirini di restituirgli un codice di Acrone appartenente al suo canonico Sim(one), come lui gli ha restituito un Laerzio; gli chiede inoltre di inviargli codici di Lucrezio, Cornuto e Persio (Jelic, 43). /21/ Ad dominum Laurum Quirino. [1] Clarissime ingenuarum artium doctor ac iuris interpres eximie, uti frater optime, sal[utem] in Domino. Non dubito red/22/ditas tibi esse litteras meas, quas superioribus diebus ad te dederam. Sed miror nihil te respondisse, neque reddidisse Acronem meum, quem a capellano meo presbytero Sy[mone] habuisti. Ego vero e contra Laertium tuum ad te remisi, quem nescio si habu­isti a Iohanne germano meo. [2] Quo circa rescribas mihi quam primum atque reddas quaeso Acronem ipsum Marco germano meo praesentium lato­ri, postquam etiam absolveris reliquos codices meos, videlicet Lucretium Cornutum et Persiumaa et Persium Jelic : ad Persium ms. quam mox ad me transmittas, ut et ego tibi tuos missos faciam. Siquid pro te aut tuorum quovis Hyadrae atque alibi locorum possum, praesto sum, periculum facito. Vale. Hyadrae die XII Septembris. 26.(21) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Zara, 15 settembre 1451 M. V. è rattristato, avendo saputo delle precarie condizioni di salute del Morosini, cui chiede novità, sentendosi isolato e lontano dagli eventi mondani. /22/ Ad celeberrimum iuris interpretem dominum Barbo[num] Maur[ocenum]. [1] Desiderio desideratae litterae tuae redditae sunt mihi, ex quibus iocun­ditatisne an aegritudinis plus auxerim non video. Tanti enim amici prae se feren­tes praesentiam non possunt esse non suaves et iocundae. Verum cum te adversa ista valitudine presum denuntiant, ita me dolore completum reddiderunt ut nisi te quam mox liberatum significes, ad maiorem ego aegritudinem promove­bor. Cum enim te germani habeam loco difficile est mihi tuis vel secundis rebus non gaudere vel sinistris non acriter commoveri. [2] Istam autem valitudinem tuam etsi tu pro animi tui magnitudine parvifacias, tamen ego qui longe absum tibi ac de animo te, ea potius /23/ tibi evenisse timeo quae in aliquem parentes propinqui quam quae uxor irata cogitat. Sed Deus ille qui humiliat nos corripit et castigat, ipse certe exaltabit, alleviabit, salvabit nos. Ne mireris autem si supe­rioribus litteris abs te petierim ut me certiorem facias de factis Lombardiae cum neminem in praesentiarum habeam qui melius de eis rebus quam tu me informa­re possit. [3] Tu maxime quia sum in hac regione remotissima, ut, si caelum rueret nihil sentire possem ita mihi videri videor esse sepultus ut in aprico quid agatur clam me sit. Si quid senseris de patruo et cetera. Bene valeas in Domino. Datum Hyadrae, die XV Septembris MCCCCLI. 27.(22) Maffeo Vallaresso a Luca Leoni Zara, 15 settembre [1451] M. V. esorta Luca Leoni a non affliggersi per un recente lutto e a prendere esempio dallo stile di vita di Giovanni Condulmer. /23/ Ad venerabilem dominum Lucam Leono canonicum Veronensem. [1] Pridie accepi litteras tuas admodum suaves quibus te indicas solertem curiosumque fuisse pro exigiendis illis codicibus capellani mei, quod iocundum est mihi, sed erit multo iocundius et gratius si exactos transmittas restituasque in portum tranquillum. Cui rei si curam tuam adiunges spero propediem eos rehaberi capellano, qui non ideo sollicitus est pro eis quod sint magni precii, sed quod in faucibus lupi constituti multum periclitantur. [2] Quod vero nondum expueris dolorem istum ex morte illius pueri conceptum compatior tibi simulque tecum condoleo eo usque tamen ut non insanire tecum videar. Si vis flere /24/ hominum mortem, defleas primum mortem Christi, quae te ab orcho reducem fecit. Pium est aerumnas homi­num miserari, ita tamen ut ad praesens animum flectere possimus. In priori­bus litteris iocatus sum tecum, tunc, sano consilio, dico tibi a modo tempe­randum esse a lacrimis. Nam id arbitror apprime in vita esse utile ut omnia commode et nequid nimis. Parum tibi prodest foris sapere, aliis consulere, tibi ipsi non posse auxiliari. [3] Exemplo sit tibi vir optimus dominus Io[hannes] Condul[marius], qui quondam quasi catulus delicatus nihil mole­sti in vita admittebat, nunc quasi miles vetulus, defixis ad postem Herculis armis, latet abditus agro et quasi pastor bonus ducit gregem suum ac reducit quo ipse vult et quicquid in mundo novi accidit divino nutu accidisse credit, sicque nihilo curat nisi de ipso. Ei salutem plurimam dicas nomine meo. Valeas in Domino meo. Hyadrae, XV Septembris. 28.(23) Maffeo Vallaresso a Pietro Molin Zara, 17 settembre [1451] Benedetto Morosini ha portato a M. V. i saluti del giovane Pietro Molin, cui scrive per ringra­ziare e per avere novità circa il suo stato di salute, e circa il procedere dei suoi studi; è pronto a fare per lui quanto può: infatti, per Maffeo è una priorità quella di aiutare gli amici, e anzitutti il giovane Pietro. /24/ Ad eloquentem virum dominum Petrum Molino. [1] Egrege vir artiumque ingenuarum studiosissime uti frater carissime sal[utem] in Domino. Dum adiret me visendi gratia ornatissimus vir Benedictus Mauroc[enus], necessarius tuus intimus ac vere benedictus, per diversarum rerum sermonem transcurrere cum illo libuit multisque verbis ultro citroque habitis illius diei pars maxima nobis consumpta est. Demum veroaa vero] voro ms, ut vid. in tui mentionem incidimus. Cumque multa praeclare de te deque tuis virtutibus disseruissemus,bb disseruissemus] disceruimus ms. tum Andreas /25/ nomine tuo salvere me iubet teque mihi officiosissime paratum ad omnia dicit, inprimisque facere recom­missum litteras tuas se ad me non habere, te tamen libentissime scripsisse voluisses, inquit, nisi valitudo sinistra obesset. [2] Ego vero perinde ac si scripsisses gratias tibi habeo tuamque erga me officiosissimam voluntatem complector. Et licet superfluum fuerit te mihi cuius ope nihil indigeas commissum fecisse, tamen quod me diligas et observes, ita usus es adversum me humanitate ut me ad scribendum ad te provocares. Cum enim ita mihi afficiaris non es passus ad me mutum venire nuntium. Ego e contra ne vacuus litteris meis ad te hinc abiret studui. Hoc autem eo libentius feci quod te in adversa ista valitudine tua constitutum oratione mea recreare speraverim, tum quod capias ex hoc aliquam coniectu­ram si te cumulata mensura diligo quando prior ad te scribo. [3] Tu si ad me rescribas non aberrabis ab officio quicquid vero scripseris cordi erit, inprimi­sque si me certiorem feceris de sanitate tua, illud quoque iocundum erit scire, quando studiorum tuorum palma consecuta doctoratus acceperis dignitatem, quo et tibi gratuler et patriae nostrae quae tuis summis virtutibus magnum consecuta est propediem splendorem decusque. Neque de Benedicto medio­cre quid speramus sed summa omnia de utroque vestrum. Pergite igitur optimi iuvenes comparate vobis virtutes /26/ ut cepistis. Nam praemia vobis digna manent dum vires animiquecc animique] animisque ms. sciunt tollerare labores. [4] Nil enim sine magno vita labore dedit mortalibus nec a me non ea de causa dicta putes ut te atque Benedictum nostrum quasi dormientes evi­gilarem, sed ut currentes in campo virtutum vehementius accenderem. Bene enim ista uterque intellexistis qui a teneris annis elegistis imbibere praeclara litterarum studia, de his satis. Ego quidem, mi Petre, absum tibi longo maris ac terrae spatio parumque possum, sed siquid est quod tui amore per me possit effici, pergratum erit si me quid iusseris. Eum equidem questum maximum in animum induxi amicorum commodis tuisque in primis quam maxime inservire. Da operam ut bene valeas. Hyadrae die XVII Septembris. 29.(24) Maffeo Vallaresso a Lauro Quirini Zara, 3 ottobre [1451] M. V. lamenta il comportamento dell’amico Lauro Quirini, che non gli ha risposto nonostante le tre lettere da lui inviategli; lo esorta a restituirgli i codici che gli sono dovuti (cfr. ep. n° 32 ed ep. n° 42; Jelic, 43-44). /26/ Ad dominum Laurum Quirino. [1] Cum ternas ad te dederim litteras quas haud dubium tibi redditas spero, ego vero nullas abs te ne dicam litteras, si nec litteram solam accepe­rim, non possum non aegre ferre istud silentium tuum. Licet enim sic tractare soleas absentes amicos, me tamen non sic debuisses, quia cum scias olim intercessisse nobis tantam necessitudinem, non decebat tibi cartam et atra­mentum tanti pendere ut maximo amico tuo ea peroptanti denegares. [2] Domestice fabulabor tecum: si ad maximum pontificem totiens /27/ litteras dedissem, credo pro humanitate sua vel rescripsisset vel rescribi fecisset. Tu vero etsi hac tempestate pro virtutibus tuis proque officii tui dignitate magnus admodum existas, quanto maior sis, tamen velim te submissiusaa submissius] sumissius ms. geras. Ecce quantum tecum me posse confidam videas cum, quando sit opus, insimula­tumbb insimulatum] insumulatum ms. te negligentiae atque obiurgatum proinde non vereor facere. [3] Verum, cum secundum canones sacros caritas perfecta eiusmodi sit ut omnia aequanimiter ferat neque perperam agat, ego pro mea in te summa benivolentia silentium istud tuum immunem a culpa negligentiae censeo, quodque neque ad me scripseris neque codices illos meos transmiseris, negotiis tuis familiaribus officiisque imputo. Mihi quoque non desunt curae occupa­tiones negotia diversi generis. Studui tamen adsciscerecc adsciscere] adsiscere ms. mihi tantum temporis ut ad te aliquando scribere possem atque reliquis amicis morem gererem. [4] Hunc quaestum mihi maximum esse in animam induxi, amicorum commodis inservire eo usque ut etiam mihimet incommodum esse patiar. Memineris, quaeso, te codices illos meos Acronem, scilicet, Lucretium Cornutum et quae­dam alia mutuo sumpsisse a capellano meo, e contra te sibi dedisse nescio quaedam (ut ita loquar) commentaria atque Laertium Dyogenem? Mea sen­tentia, meo consensu comunicatos tibi feci codices illos, ac libentissime quidem feci, ita tamen, ut ad tempus restitutum /28/ iri eos meminisse debeas, prout pollicitus es, et ut id citius faceres remisi ego ad te Laertium tuum, quem nescio si habueris ab Iohanne germano meo, qui si forte non reddidit eum tibi, infortunio illo tuo quam negligentiae potius vitio dabis. [5] Tu vero codices meos quasi quibusdam compedibus vinctos aut quoquam <…> prodire, sivis.aa sivis ms : sinis Jelic; ego vero post quoquam lacunam statuendam censeo. Diu omnes expecto. Sed ut mihi videor videre, non se recipient in locum suum, nisi prius tute tuos adesse tibi intuearis. Non possum mihi persuadere te hoc animi adversum me habere. Tamen si id cordi tibi est, si non una omnes, saltem unum ex eis ad me per presentium latorem transmittas. Ego prope diem reliquos tibi tuos mittam. Siquid litterarum tuarum mihi impertieris, beneficio affecisti. Vide si an tui amore ego aliquid possim, non me existimes defuturum, proindeque quod te iuvet effecero. Valeas prospere. Hyadrae, V Nonas Octobris. 30.(27) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Zara, 21 ottobre 1451 M. V. si complimenta con il Morosini per la di lui nomina alla magistratura dei Dieci; gli domanda di intervenire per un suo amico ingiustamente carcerato. /34/ Domino Barbono Mauroceno. [1] Accepi ex litteris meorum te pro virtutum tuarum cumulis assump­tum in officium decemviratus.bb Gratulor quod ad officium decemviratus assumptus sit mg. Quod munus quia summae dignitatis et auctoritatis est ut nihil supra quantum inde gaudii hauserim, facile tibi per­suasum puto, cum ne tibi pro nostra mutua benivolentia congratuler conti­neri nequeam. Tanto enim ex honore tuo gaudio afficior, quanto ex meo ipsius aut meorum quovis in vita carissimo. [2] Licet autem superfluum sit mea tibi recommissa velle fieri (sunt enim ita ut plus recommissa esse non possint), tamen quia et tu diversis tenere curis, tum publicis, tum privatis, ita ut nonnunquam tuis ipsius com­modis desis, dum aliorum satisfacere eniteris, commonefactum te atque ora­tum velim ut I[acobi?], qui nunc in carcere est ob indignum illud facinus falso sibi omnium iudicio impositum, memineris, ac si qua ex parte officii tui patrocinio possis allevatum reddas. [3] Non poteris mihi atque meis maius beneficium hoc tempore conferre, quam si infortunio istius tua prudentia opem feras. Ita enim dolore confectus sum ex incommodo huius, ut si tu succurras huic rei cum propter alia multa tum ob hoc praecipue obnoxium tibi in perpetuum efficies. [4] Et ne prece potius quam amicitia hoc abs te /35/ sperare videar, finem orationis facio, te multum obsecrans, ut si quid per me effici potest quod te delectet, familiariter iubeas. Rescribas autem mihi obsecro ut siquid per officium tuum profuturum te speras dicto I[acobo?]. Vale in Domino et uti facis me mutuo ama. Ex Hyadra die XXI Octobris MCCCCLI. 31.(216) Maffeo Vallaresso a Nicolò V papa Zara, 15 novembre [1451] Riferendosi a vicende precedenti (cfr. l’ep. n° 12, indirizzata a Pietro Barbo, dove si discolpa dalle accuse di aver imposto un tributo), in questa M. V. si discolpa con il papa Nicolò V, al quale sono giunte dichiarazioni infamanti a carico di M. V. da parte di un abate di Pago, nella nota marginale identificato con l’abate di San Crisogono; questi lo ha accusato di avere imposto a tutta la diocesi una tassa (onus caritativi subsidii); M. V. ha richiesto un tributo di molto inferiore ai suoi predecessori, e a sua discolpa allega una lettera del vescovo di Nona. /216/ Pontifici maximo domino Nicolao papae V.aa Expurgo innocentiam meam propter calumniam per abbatem Sancti Grisogoni mihi obiectam, et cetera mg. [1] Beatissime pater et domine mi supreme. Humili ac prostrata ad usque oscula pedum sacratissimorum. Prece deposco supplex aures sanctitatis vestrae mihi accommodari parumper siquidem paucis daturus sum. Qua in parte me velim purgatum effici ab ea macula quam ut devitarem dignata est beatitudo vestra per breve iubere mihi cuius tenor talis est et cetera. Quod quidem breve ea reverentia et observatione qua decuit legi. Et licet aegre tulerim me apud sanctitatem vestram ita iniuste diffamatum, hilari tamen fronte ac devoto animo monitiones et mandata eiusdem accepi. [2] Et cum me scirem illius culpae immunem et expertem nolui iudex esse in propria causa, sed testes innocentiae meae convocavi ac demum rogavi dictum domi­num episcopum Nonensem ut hanc provinciam susciperet et abbatem illum Pagensem ipse exami/217/naret qui apud beatitudinem vestram questus fuerat quod ego provinciae meae universali onus caritativi subsidii imposuerim. Si hoc verum est an non, cui rei tota Hyadra simulque omnis provincia mea testimonium reddere potest me ne dicam provinciae nihil oneris imposuisse, verum etiam ab ipsa diocesi multo minus exegisse quam praedecessores mei. Quibusdam enim solitum subsidium iniunxi, a plerisque nihil postulavi nisi quod sponte sua obtulerunt, a nonnullis nihil omnino accipere volui, consi­derata eorum impotentia. [3] Sed a provincia mea nec exegi aliquid neque ut exigerem cogitavi. Et ne prolixitate orationis taedio sim sanctitati vestrae, remitto me ad litteras praefati episcopi, qui uti spero rei veritatem clarissimae beatitudini vestrae significabit. Licet autem vel dictus abbas vel illi qui denigrare nomen meum apud e[andem] sanctitatem vestram conati sunt iuxta sacros canones poenam mereantur pro crimine impositionis, ego nihilominus, ut christianum decet, eis ignosco et rem hanc cognoscendam discutiendamque beatitudini vestrae relinquo ac tandem eidem humillime supplico ut rei veritate cognita detrac­tores illi prout digni sunt tractentur. Me autem innocentem ipsa clementis­sima sanctitas vestra recommissum solito more habere dignetur. /218/ Valeat diu felix beatitudo vestra cuius pedibus sacrosanctis me provolutum semper commendo. Hyadrae XV Novembris. 32.(280) Lauro Quirini a Maffeo Vallaresso Zara, 2 gennaio 1452 Lauro Quirini scrive di avere già restituito a M. V. la copia di Lucrezio che il medesimo M. V. gli aveva richiesto (cfr. ep. n° 25), né dubita che tale copia sia già stata recapitata all’amico; gli chiede copia del commento di Donato, poiché Lauro è in partenza per Creta, dove mancano del tutto copie di quel testo, peraltro raro anche in Italia. /283/ Laurus Quirino M[apheo] archiepiscopo Hyadrensi. Reverende et cetera. Litteras tuas superioribus mensibus accepi eisque respondi misique per eundem nuntium ut iussisti, Lucretium tuum. Non dubi­to fideliter redditum fuisse. Itaque rogo reverendam dominationem tuam ut mihi mittas commentaria illa Donati, quam citiusaa citius] titius ms. et fidelius, quoniam, ut scripsi aliis meis Cretam sum petiturus, ubi eiusmodi rerum nulla copia est. Ne patiare igitur illam provinciam tanto bono carere, id est copia illius commenta­rioli, quem universa lugetbb quem universa luget] que universa luget ms. Italia. Expecto igitur ea per totum mensem Ianuarii. Restat ut dominatio tua mihi continuo iubeat. Me enim ubicunque tandem fuero paratum ad omnia inveniet. Valeat felix reverenda dominatio tua. Venetiis II Ianuarii 1451. 33.(28) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 8 gennaio 1452 M. V. si lamenta con Andrea Conti per non aver da lui ricevuto alcuna lettera. /35/ Ad eximium doctorem d[ominum] Andream de Comitibus. [1] Non possum non mirari ex hoc tuo tam longo silentio, quia, cum saepius ad te litteras dederim, tu mihi unquam rescribendum censuisti. Sed fortassis hoc non permiserunt occupationes tuae quotidianae, tum maxime cura humeris tui, quo ita occuparis ut nonnunquam respirare nequeas. [2] Ego quoque immunis non sum aut expers multis modis tum curae pastoralis tum familiaribus negotiis, et tamen non queo tui oblivisci, nec iniuria tui memoria teneor, quia satis devinctus sum officiis tuis,aa satis devinctus sum officiis tuis parum perspicuum. adeo ut existenti mihi Romae, nemo esset socius te humanior, fidelior, carior, quem tibibb quem tibi corr. : cui tibi ms. praepo­nendum putarem. [3] Qua ex re amicitia nostra et fraterna consuetudo omni­bus satis nota erat. Sed nunc per te ad nihilum redigetur, si in hoc persevera­bis silentio, quod ne fiat plurimum te oratum facio. Verum scribas mihi et cetera. Vale. Hyadrae die VIII Ianuarii MCCCCLI. 34.(282) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Zara, 8 gennaio 1452 M. V. assicura a Barbone Morosini che il presbitero Simone si sta adoperando al fine di reperire un puer (servitore?) di cui il Morosini ha chiesto, cosa che sarà senz’altro compiuta non appena Simone avrà disbrigato alcune altre faccende di cui lo ha incaricato M. V. stesso. /285/ Ad clarissimum virum dominum Barbonum Maurocenum. Clarissime vir uti frater et amice unice, salvere te plurimum iubeo. Nudiustertius iocundissimas litteras tuas accepi, eo quidem sale conditas quo cetera soles. Quantum autem sim gratulatus ex pristinae valetudinis tuae restauratione tuo advertendum animo id relinquo. Pergratum fecisti de actis novis reipublicae nostrae mihi significare /286/ tum de statu Liguriae. Non enim est opinio tua vulgaris, sed firma et recta ac futuri praesaga. Et ut in dies itidem certiorem me reddas de huiusmodi rebus peto abs te precario. Presbyter Sy[mon] capellanus meus, ubi rescivit iussionem tuam de puero inveniendo, magnam dat operam ut ope sua habeas quod animo tibi sedeat, fecissetque votis satis, nisi his diebus festis aliis circa me negotiis occuparetur. Sed ubi primum expeditus fuerit, peraget facere quod tibi tuisque iocundum fore cognoverit. Nam tuis erga eum beneficiis nimium se obstrictum fatetur seque tibi commendat. Nihil aliud occurrit animo quod ad te in praesentia scribam, nisi te orare ut si quid me tui gratia posse videas nequaquam labori meo parcas quin id fiat quod te delectet. Vale in Domino Iesu. Ex Hyadra, die VIII Ianuarii MCCCCLI. 35.(283) Maffeo Vallaresso a Luca Leoni Zara, 8 gennaio 1452 M. V. ringrazia Luca Leoni il quale è riuscito a recuperare alcuni codici del suo cappellano (cfr. ep. n° 23), codici di qualche valore, qualunque esso sia [1]; ancora altri due vanno recuperati, ma M. V. è sicuro della loro salvezza, perché l’amico è sollecito della loro sorte; Leoni tuttavia faccia attenzione, poiché si trovano nella casa di un magister deceduto a causa della peste [2]; Leoni non si è ancora rassegnato alla morte del suo puer (cfr. ancora l’ep. n° 23); M. V. gli raccomanda di salutare Giovanni Condulmer [3]. /286/ Ad dominum Lucam Leono canonicum Veronensem. [1] Venerabilis et cetera. Binae mihi litterae tuae pauloante mihi red­ditae fuerunt, quas hilari fronte et sitibundo animo legi. Principio autem hoc in eis animo adverti te, scilicet bene valere, me abs te perinde diligi ac semper humanitate tua fecisti. Demum vero signi/287/ficas te capellani mei codices illos recuperasse, quod mihi gratissimum factum non infitior. Nam perierant nisi tu tua virtute succurrisses. Nunc qualescumque, tamen de lucro sunt, et quanvis minus accurate te in hac re facturum nequaquam mihi persuaderem, quod tamen id laboris mei gratia sumpseris, ad multas grates quas tibi habeo adiungo. [2] Et nisi versa vice ita metum agas ut me redimam ac dissolvam obligatum maximis in me officiis tuis, parum meo favebis desiderio et cetera. Reliquos etiam illos duos codices me habere in pugno existimo, postquam tu ita sollicitus es, ut si res tua propria ageretur, nihilo plus accurate insudares. Non tamen obsecro mei gratia te aliquo periculo exponas ut priusquam pur­gata fuerit domus illius magistri peste necati, inferas illuc pedem tuum, sed mature omnia facias ut sine tuo discrimine amico morem geras, et cetera. De his satis. [3] De morte illius pueri tui (ut videor videre) adhuc impatiens es, sed nisi ignoscerem amori, pluribus te obiurgarem, quae omnia in aliud tempus reservo dictum sapienti sat est. Durum sed levius fit patientia quicquid corrigere est nefas.1aa occupatus sit] occupatus sis ms. 1 Hor. Carm., I 24, 18-20. Iube salvere omnes ibi quos nobis amicos credis, maxime autem domi­num Io[hannem] Condul[marium] quem nomine meo negligentiae ac/288/cuses ac oblivionis mei, quia cum ad eum saepius iocundas satis dede­rim litteras, nunquam dignatus est respondere. Licet enim satis occupatus sita negotiis suis, plus tamen ego et meis et alienis, et tamen amicitiam colo, quantum possum, et foveo neque labori parco. Vale diu digne vita. Hyadrae die VIII Ianuarii MCCCCLI. 36.(284) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 8 gennaio [1452] In una recente missiva, Urbano Vignati ha ribadito a M. V. il suo affetto, si è preoccupato anche di reperire un nuovo libro pontificale; M. V. lo ringrazia, e gli manifesta la propria gioia per la promozione di Lorenzo Giustiniani alla carica di patriarca, la quale accresce il prestigio dello stesso Vignati [1]; prega il Vignati di recare al Giustiniani le sue congratulazioni; non ha scritto direttamente al neoeletto, perché sa che quella carica è per lui più di peso che di onore [2]; si raccomanda ancora al Vignati [3]. /288/ Ad venerabilem dominum Urbanum Vig[nati] archidiaconum Venetiarum. [1] Nuper accepi litteras tuas quae licet non essent recentes, periocundae tamen fuerunt, quod et incolumitatem tuam memorabant et animum erga me tuum indicabant officiosissimum, maxime in inquirendo pontificali, quod mihi novum non est, quia iampridem quanta est diligentia ac solertia tua in negotiis meis exploratum est mihi. Quantum gaudii auserim ex promotione reveren­dissimi domini patriarchae, tum ex augmento dignitatis tuae, quae nunc maximi honoris est, vix verbis explicare ausim.aa ausim] hausim ms. [2] Et licet maiora merearis, id nihilomi­nus honoris quicquid est accessisse tibi gratulor ac multo maiora et pretiosiora imprecor tibi bona tanquam animae meae. Itidem reverendissimo domino patriarchae gratulari me dicito et nisi certus essem reverendissimam dominatio­nem suam hanc dignitatem invicte suscepisset, considerans potius eam maeroris, /289/ laboris ac oneris esse quam honoris, dedissem litteras quibus me gratulari dignitate sua indicarem quanquam ampliori dignitate et honore, meo atque omnium iudicio dignus existimetur. [3] Te autem maximopere oro ut me oratio­nibus reverendissimae dominationis suae commendatum facias. Prout alias, ita et nunc peto abs te ut me litteris tuis frequentius revises. Non modo enim tu, sed etiam tua omnia, qualiacumque sunt, iocunda et grata mihi esse certo scias. Interim si quid Hyadrae tui gratia posse me vides, da paucis quod me velis. Vale diu ac me quaeso ama vel saltem, quo contentus ero, dilige. Hyadrae VIII Ianuarii. 37.(285) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 20 gennaio [1452] M. V. ha saputo che Giovanni Scaffa, vescovo suffraganeo di Arbe, ha raggiunto la sua sede; gli manifesta il suo compiacimento, lodandolo perché Giovanni si sente inadeguato a quel compito: egli così dimostra infatti la consapevolezza che ogni nostra buona azione viene solo da Dio, non da noi stessi, così come insegna San Paolo [1]; Giovanni è preoccupato che alcuni suoi sottoposti possano spargere maldicenze, lo tranquillizza in merito [2]; ha accettato un gradito dono di Giovanni; desidera conoscere il contenuto di una lettera che Giovanni ha presso di sé, indirizzata a M. V. dal vescovo di Treviso (Ermolao Barbaro); ci sono stati dissensi nel clero di Arbe [3]; ma il rientro di Giovanni placherà ogni polemica [4]. /289/ Ad reverendissimum patrem dominum Io[hannem] episcopum Arbensem suffraganeum. [1] Accepi litteras paternitatis vestrae per primicerium vestrum quae mihi iocundae fuerunt hac maxime causa, quod salvum et incolumem vos advenisse Arbum ad visitandum dilectam ac formosam sponsam ecclesiam vestram indicabant. Et quanvis paternitas vestra eiusdem ecclesiae guberna­tioni se imparem existimet, id maxime humanitatis vestrae signum demon­stratis, quod vobis non mediocri laudi ascribendum puto, quod cum apo­stoloaa Paulus mg. b provenisse] pervenisse ms. humanam imbecillitatem et insufficentiam cognoscere studeatis. «Non enim sufficientes sumus» /290/, inquit, «ne dicam efficere, sed nec aliquid boni cogitare a nobis ipsis, sed sufficentia nostra ex Deo est».1b1 cum apostolo ~ Deo est] cfr. Ep. Pauli ad Corinthios II 3,1: «fiduciam autem talem habemus per Christum ad Deum non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis quasi ex nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est, qui et idoneos nos fecit ministros». Ipse autem Dominus, qui praefecit vos dignitati huiuscemodi et docebit cor vestrum ut digne valeatis fungi officio vestro, et laudem habere in nomine ipsius et «offerre illi incensum dignum in odorem suavitatis virtutum vestrarum».2c2 offerre illi ~ vestrarum] cfr. Bernardi Claraevallensis Sermones in vigilia nativitatis Domini VI 9: «offerre incensum dignum in odorem suavitatis proprium sit eorum, quos posuit Dominus ut eant et fructum afferant, id est Ecclesiae praelatorum»; cfr. etiam Thomae a Kempis Soliloquium animae I 23: «quatinus sic aliquo modo reperiam incensum dignum in odorem suavitatis: qui nihil bonitatis et dignae in me reperio recompensationis»; Innocentii III papae De quadripartita specie nuptiarum Epithalamium in laudem sponsi et sponsae, col. 961: «Ex quibus (odoramentis virtutum) delectaverunt te filiae regum, offerentes incensum dignum in odorem suavitatis Altissimo», e Id., Mysteriorum evangelicae legis et sacramenti eucharistiae libri VI De sacro altaris mysterio, II 14. [2] Quod vero petit paternitas vestra ut si forte quis subditorum vestro­rum istuc ad me murmurationis causa advenerit, non ei acquiescam, sed quoadusque veritas innotescat, supersedeam. Id, si a nemine requisitus essem, more meo facere consuevi, tum maxime id lubens faciam, vestra suasus ora­tione. Cum enim respectu reverendi episcopi Tar[visini] vos semper dilexe­rim, tum potissime paternitatis vestrae amore compellor, virtutum vestrarum contemplatione. [3] Munus vestrum condignum profecto qualis est, qui illud misit eo libentius accepi. Quo nisi accepissem, credo vos moleste tulissetis. Gratias tamen vobis habeo multas. Litteras dicti domini Tar[visini] quas ad me habetis, videor videre quid velint intelligere, quandocunque tamen reddi­deritis eas, pergratae erunt. Nihil aliud scribere occurrerit, nisi ut oretis Deum pro me, et clero vestro salutes plurimas dicatis meo nomine. A pluribus acce­pi in dicto clero vestro dissensiones multas esse, quas ex /291/ absentia pater­nitatis vestrae provenissebdarbitror. [4] Nunc vero prudentia vestra omnia in melius reformabuntur aut iam reformata sunt. Ita enim mihi persuadeo vos semper vigilantem et solli­citum esse cum in aliis rebus, tum praesertim nunc eritis circa gregem vestrum, prout decet, optimum pastorem qui dat animam suam pro ovibus suis, non quaerens quae sua sint, sed quae Iesu Christi. De his satis. Reliquum est ut me atque mea vestris commodis offeram, unde, si quid pro vobis possum, non recuso laborem. Valete. Hyadrae XX Ianuarii. 38.(217) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 20 gennaio [1452] M. V. ha saputo della nomina a protonotario di Marco Barbo: con lui si congratula, augurando­gli ancora maggiori soddisfazioni; si dichiara inoltre al suo servizio; lo prega di ricordarlo al suo benefattore (il cardinale Pietro Barbo). /218/ Ad reverendissimum dominum Marcum Barbum protonotarium apostolicum.aa Congratulatoria mg. [1] His diebus transactis ex litteris meorum intellexi qualiter sanctissi­mus dominus noster, considerata virtutum vestrarum amplitudine, pronota­riatus magnam dignitatem vobis contulerit. Quare cum ab ineunte aetate nostra summo ad invicem amore conglutinati fuerimus, non potui me conti­nere quin ad reverendam paternitatem vestram has perbreves darem, quibus me significarem tanto honori ac dignitati vestrae congratulari. [2] Et licet sciam eandem ampliore munere ac honore dignam censeri, tamen pro debito antiquae amicitiae nostrae, ita vobis gratulor ex corde ut plus magisve fieri nequeat a quovis intimo necessario vestro. Neque hoc contentus, sed maiora ac maiora honorum ac dignitatum culmina vobis divina favente clementia conferri peropto. Ut dum bene vobis sit, mei etiam meminisse possitis. Alias me dedicavi vobis, nunc eandem cantilenam cano. [3] Si quid videtis me posse pro commodo et honore vestro, eo more quo olim de Mapheo vestro facere poteratis, nunc et pro libito animi vestri disponatis. Ego vero nihil habeo quod paternitatem vestram /219/ in praesentiarum velim, nisi ut hono­ri meo faveatis suppleatisque absentiae meae, tum maxime frequenter reve­rendissimo domino meo ac benefactori unico me commendetis,aa commendetis corr. : commendatis ms. quem mihi Deus, per maximam misericordiam suam diu ac feliciter conservet. Valete. Hyadrae XX Ianuarii. 39.(229) Maffeo Vallaresso a Vitale Lando Zara, 31 gennaio [1452] Nel 1452 Vitale Lando sposò Elisabetta Zane (figlia di Paolo di Giovanni, vedova di Giacomo Contarini di Leonardo), sorella di Lorenzo, arcivescovo di Spalato; di recente M. V. non gli ha mai scritto, anche perché non ne aveva urgenti motivi, ma ora si congratula con lui; avrebbe voluto scrivere anche al fratello di Vitale (Girolamo), ma le triremi sono partite d’improvviso. /233/ Ad clarissimum doctorem dominum Vitalem Lando.bb Congratulatoria mg. [1] Multum temporis ante hoc elapsum est, quo tibi aliquid litterarum mearum impertitum a me non recordor, non quod antiquae consuetudinis ac benivolentiae nostrae mutuae immemor fuerim, sed quod causae habuerim nihil. Nunc opportunitatem scribendi ad te percommodam nactus laetus ad calamum accedo. Nuper ex litteris magnifici domini genitoris mei accepi te superioribus diebus coniugalis vinculi lege ligatum, dignissima celebrasse spon­salia. [2] Egregiam mulierem domus nobilissimae Zane, sororem quidem reve­rendi domini archiepiscopi Spalatensis, insuper, quod omnia superat, neptem reverendissimi domini vicecancellarii, in uxorem duxisse, tibi aeterno amore devictam. Quare cum considerem ex hoc tuo tam prudenti consilio /234/ tantum tibi ac tuis etiam emolumentum ac decus accessurum ut nihil supersit, non sum passus hanc meam laetitiam silentio obruendam, quin tecum, qui huiusmodi causa es, eam communicem aut tuis auspicatissimis congratuler sponsaliciis. [3] Congratulor autem tantum quantum fas est germanumcc germanum] germatum ms, ut vid. ger­mano, amicissimum amicissimo, tuumque gaudium ac honorem mihi semper communem duxi ac duco. Superfluum autem puto me atque mea tibi offerre, cum ea te habere in tua potestate non dubites. Si autem dubitas non amice facis. Scripsissem etiam reverendo domino protonotario fratri tuo, nisi festino triremium abituaa abitu conieci : hitum, id est habitum, ms. essem impeditus. Rogo autem te ut me paternitati eius excu­ses, simul et commendes. Hyadrae pridie Kalendas Februarii, hora noctis ferme prima. Raptim. 40.(277) Maffeo Vallaresso a Francesco Barbaro Zara, 7 febbraio 1452 M. V. si congratula con Francesco Barbaro per la nomina a procuratore di San Marco, la quale finalmente è venuta, ancorché tardi rispetto a quanto M. V. si attendeva; l’epistola è edita in Barbaro 1743, 202, sulla base del ms. San Daniele, Biblioteca Civica Guarneriana, Guarn. 28, f. 113r, che della medesima epistola trasmette una indipendente redazione, evidentemente più corretta rispetto a quella del ms. Barberiniano, specie per quanto attiene alla data, che nel ms. Barbariniano è evidentemente erronea (essendo susseguente alla data della responsiva). /281/ Ad clarissimum equitem dominum Franc[iscum] Barbaro procuratorem Sancti Marci.bb Ad clarissimum equitem dominum Franc[iscum] Barbaro procuratorem Sancti Marci] Magnanimo viro ac generoso equiti Francisco Barbaro salutem dicit Guarn. 28. Magnanime vir ac eques generose.cc Magnanime vir ac eques generose om. Guarn. 28. Nuper ex litteris meorum accepidd accepi] Congratulatoriae mg in ms. non absque maximis suffragiis a senatu ee te Guarn. 28 : om. ms. illo praeclarissimo procurato­rio munere donatum. Quae res mihi nova inexpectatave non est visa, quia virtutum tuarum tantus est cumulus ut nemo paene in illa civitateff nemo paene in illa civitate ms : in illa civitate nemo paene Guarn. 28. sit cui te praeferendum gg longe Guarn. 28 : om. ms. non censeam. Domi enimhh enim ms : siquidem Guarn. 28. et foris, in pace et in bello qualis sis quantunque sapias palam est. Quapropter licetii Quapropter licet ms : Quocirca etsi Guarn. 28. maiore ac aa etiam Guarn. 28 : om. ms. maiore honore te dignumbb honore te dignum ms : dignum honore te Guarn. 28. noncc non ms : haud quaquam Guarn. 28. dubitem, hoc tamen munus, etsidd etsi ms : licet Guarn. 28. seriusee saepius ms1 : serius corr. ms2. ac eratff erat ms : fuit Guarn. 28. expectatio mea collatum tibi gaudeo atque gratulor.gg gratulor ms : congratulor Guarn. 28. Deinde si quid me vis, da paucis.hh da paucis ms : om. Guarn. 28. Tuum enim est iubere, mihi iussa capessere fas est.ii Tuum enim est iubere, mihi iussa capessere fas est ms : Tuum est iubere, mihi iussa non minus ac genitoris mei capessere fas est Guarn. 28. Vale diu longaeva dignissime vita. Ex Hyadra vii idus februarias 1451.jj Ex Hyadra vii idus februarias 1451 Guarn. 28] Hyadrae XVIII Februarii ms. 41.(278) Francesco Barbaro a Maffeo Vallaresso Venezia, 15 febbraio [1452] Francesco Barbaro ringrazia M. V. per la precedente lettera di congratulazione. /281/ Responsiva ad superiores. Reverende pater et cetera. Quam mihi gratae fuerint litterae dominationis tuae facilius intelligi quam explicari potest. Nam cum plenae sint humanitatis et benivolentiae, merito me delectare debuerunt. Mihi enim privatim et publice congratulantur de procuratione Sancti Marci quae mihi honorifice oblata est, ut verbis vestris utar propter magna merita in rempublicam. Ego autem gratias habeo Deo nostro qui mihi concessit ut et bene de patria et de bonis omnibus mererer et in me ornando universa civitas /282/ ita laetata et recreata sit ut non mediocrem fructum cepisse videatur laborum pericolorumque meorum. Gratias quoque habeo reverendae paternitati vestrae, quae de meis moribus iam quidem ita sentit ut hunc honorem et amplissimum magistratum in me optime collatum putet. Valeat paternitas vestra bene et feliciter, sicut opto. Venetiis XV Kal. Martias. 42.(287) Maffeo Vallaresso a Lauro Quirini Zara, 16 febbraio 1452 (?) M. V. è da molto che non scrive a Lauro Quirini, e se ne scusa: è stato assorbito dalle cure pastorali, ma non ha dimenticato l’amico [1-2]; ha inviato a Lauro le Explanationes di Mario Vittorino al De inventione di Cicerone (commentarios Victurini in artem veterem); attende di riavere la copia di Lucrezio (che pure Lauro dice di avere già restituito: cfr. n° 32: il che potrebbe indicare o che la presente lettera è datata secondo lo stile moderno, non veneto – è cioè dell’anno 1451; oppure che la copia del Lucrezio in questione non è ancora pervenuta a M. V., nonostante quanto ha già scritto Lauro nella lettera n° 32); non gli ha ancora potuto inviare il commento di Lauro a Giovenale e l’Asconio Pediano, perché il suo copista non ha compiuto ancora la trascrizione [3]; ha saputo che Lorenzo Valla ha scritto e pubblicato qualcosa sulle orazioni di Cicerone e sulle Declamazioni di Quintiliano: chiede di avere in merito maggiori notizie [4]. /292/ Ad dominum Laurum Quirino.aa Bona est epistola mg. [1] Ornatissime mi Laure, salvere te plurimum cupio. Non mihi obli­vionis aut segnitiae vitio vertas quod, cum iampridem tuae mihi litterae fue­rint et a me tanta animi lubentia, tanta desiderii ac expectationis magnitudine perlectae sint, non tibi ex aequo hostire curaverim ut citius responderem compellenti amico. Non me id culpa, sed varia occupatione curae pastoralis meae, tum inclementia caeli ac tempestatis effectum est. Verum, etsi me quo­tidie aestus in altum longe rapiat, non tantum ita ventis stat vela dare, ut nunquam in portum paulatim saltem remeare queam. [2] Fateor me satis superque curis implicatum, at non amicorum tuique imprimis oblivione teneri. Quare,bb Quare corr. : Quas ms. si qua occasio commoditasve data est, calamum /293/ statim arripiam quo me ostendam amicitiae, ut aequum est, accuratum cultorem. Ad te autem saepius ac saepius scribere statui. Sed, ut superius memoravi, diversis curis dietim emergentibus, prohibitus sum usque modo. [3] Transmisi ad te commentarios Victurini in artem veterem, nec dubium quin exceperis eos. Volebam ego itidemque nuntio iusseram abs te Lucretium meum expeteret, quem maximopere nonnulli amicorum meo­rum intueri antiquitatis amore, tum ipsius poetae sublimi materia affectum ardent. Quare si quid unquam de te meruit amor meus, reddas eum domi­no Ia[cobo] germano meo, quem ad me vel propediem transmittat, vel secum istinc venturus afferat. Ego e contra tuos commentos in Iuvenali Asconiumque Ped[anum] iam misissem si essent transcripti. Ubi primum a librarioaa libraterio ms1 : corr. ms2. expediti fuerint, ad primi heri complexus procul dubio me iubente confugient. [4] A pluribus accepi Laurentium Vallensem nescio quid ad orationes Ciceronis et declamationes Quintiliani scripsisse dedisseque id in publicum. Si quid huiusmodi aureae me impartieris fruge, pergratum fece­ris. Ego tui amore nihil operor quia nihil me iubes. Si quid igitur me vis, ecce me tuus sum. Vale et uti facis me ama, ac etiamsi animo stat saepiu­scule scribas. Hyadra XVI Februarii 1451. 43.(286) Maffeo Vallaresso ad Angelo Cavazza Zara, 18 febbraio 1452 Da quando Angelo Cavazza ha raggiunto la sua diocesi di Traù, M. V. non ha più avuto occa­sione di incontrarlo; gli dispiace avere saputo di una malattia del vescovo, da cui si augura di ricevere presto nuove. /291/ Ad reverendum patrem dominum Ang[elum] episcopum Traguriensem. Reverende pater et cetera. Etsi nihil dignum relatione accidat quod scribendum reverentiae vestrae censeam, tamen cum esset illuc iturus mini­ster fratrum minorum, non sum passus eum vacuum litteris meis ad ean­dem vestram dominationem proficisci. In primisque a vobis efflagito ut antiquam amicitiam nostram mutuo amore fovere dignemini. Et ubi ad os compellere alterutrum ac colloqui locorum intervallis non datur, saltem litterarum ope atque opera, id navare studeam. Ex quo dominatio vestra ad ecclesiam suam se ex Venetiis transtulit, nihil mihi de se significatum esse voluit, quod mirum visum mihi est. Illud autem molestissimum tuli, quod paternitatem vestram aegrotasse nuper acceperim, nec si id verum fuerit a vobis certior factus sum. Qua /292/ re dominationem vestram oratam velim ut mihi de valetudine sua significare aliquid dignetur, quod erit gratissimum. Praeterea si quid possum pro commodo et honore vestro, familiariter tanquam filio quidvis oneris iniungatis. Valeat feliciter domina­tio vestra et nisi piget, Io[hanni] Sobotaeaa Sobotae] Sobbotae. meo nomine salutem plurimam nuntiare dignetur. Hyadrae die XVIII Februari MCCCCLI. 44.(279) Maffeo Vallaresso a Tommaso Tomassini Zara, 18 febbraio [1452] M. V. scrive a Tommaso Tomassini, vescovo di Lesina (Hvar) (cfr. ep. n° 88), scusandosi per non avergli dato più sue notizie dal rientro a Zara; ora, essendo un francescano in procinto di rag­giungere Tommaso, coglie l’occasione per salutarlo, invitandolo a dargli sue notizie. /282/ Ad reverendum patrem dominum T[homam] episcopum Pharensem. Reverende in Christo pater et cetera. Ex eo tempore quo me ad eccle­siam meam recepi, nihil ad paternitatem vestram litterarum mearum dedisse me memini. Hoc autem non ideo factum est quod oblitus vestri fuerim vel non habuerim in animo ad vos aliquando scribendum. Ita enim devictum me arbitror amore vestro ut nunquam dominationis vestrae nomen et honor excidere debeat ab animo meo. Verum enim vero licet in praesentiarum nihil occurrat quod necessario scribam paternitati vestrae, nihilominus sciens opti­mum patrem ministrum ordinis Sancti Francisci illorsum iturum, iniustum visum est mihi si ad vos veniret litteris mei mancus. Summam totius desiderii haec est, orare ut si quid est quod per me gratia vestri exequi possit, aequae amicitiae nostrae iure significetis mihi et a me omnia libenti animo peragi certo sciatis.bb sciatis] scitis ms. Praeterea si litteris vestris visitatum me saepius effeceritis, per­gratum erit. Itidem me facturum nequaquam dubitetis. Valete. Hyadrae XVIII Februarii. 45.(218) Maffeo Vallaresso a Nicolò V papa Zara, 23 febbraio [1452] M. V. non ha novità rilevanti, ma preferisce scrivere al pontefice Nicolò V per manifestargli la propria gratitudine, piuttosto che tacere e apparire così dimentico dei tanti benefici [1]; ha rice­vuto un breve concernente una vertenza tra i frati minori conventuali e il popolo di Zara [2]; i frati hanno il loro convento, il popolo non li osteggia; M. V. non mancherà di informare circa gli sviluppi della situazione [3]; si professa persona di nessuna importanza: se qualcosa vale, lo deve al pontefice. /219/ Ad beatissimum papam V dominum N[icolaum]. [1] Sanctissime pater et domine post devota pedum beatorum oscula desiderabilia.aa desiderabilia add. mg. Etsi nulla urgeat necessaria causa qua compellar aures beatitu­dinis vestrae meis obtundere ineptiis, consideratis, tamen erga me vestrae clementiae maximis beneficiis, contineri nequeo quin gratitudinem animi mei qualicumque modulo adversum eandem vestram sanctitatem ostendam. Et quia id alia non sufficio via, vel litterarum officio enitar efficere ut potius importunitatis accuser quam ingratitudinis beneficiorum vestrorum et obli­vionis. Hinc est quod ante hac saepius scripsi ad beatitudinem vestram, nec dubium quin litterae meae ad eandem pervenerint. [2] Atque in praesentiarum etsi nihil est quod necessario scribendum sit sanctitati vestrae, nihil minus inde occasionem scribendi ut haberem, eidem sanctitati vestrae significare duxi qualiter nuper unum breve super quadam fratrum minorum conventualium differentia quam habent cum hoc Hyadrensi populo, ea veneratione ac humilitate /220/ qua decuit accepi. [3] Super qua re nihil hactenus innovatum est. Dicti enim fratres conventum suum possident, populus nihil adversatur. Si quid in futuro novitatis orietur, ego mandatis beatitudinis vestrae parere curabo, prout in dicto brevi conti­netur, observando nimiumque colendo. Reliquum est ut more meo parvita­tem meam recommissam faciam clementiae vestrae magnitudini. [4] Non equidem inficior me pusillum vermiculum ac vile pulvisculum in conspectu maiestatis vestrae. Si quid tamen sum, id ab eius clementia accepisse me profiteor, speroque si magnitudo vestra et votis annuat, maiora etiam atque etiam accepturum. Valeat diu ac felicissime sanctitas vestra, quam Deus in prospero statu per tempora longaeva misericorditer conservare dignetur. Ex Hyadra die XXIII Februarii. 46.(219) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 28 febbraio [1452] M. V. scrive a Maffeo Contarini per chiedere di intercedere a favore del fratello Giacomo, il quale si trova presso Congregazione dei Canonici regolari di San Giorgio in Alga (Contarini ne è pri­ore); ha già richiesto che il fratello possa allontanarsi dal convento perché malato, e possa fermarsi a Zara da M. V: al fine di coadiuvarlo nel disbrigo di alcuni impegni; ma i confratelli hanno posto un rifiuto [1]; la famiglia di M. V. ha sempre onorato la Congregazione del Contarini, la quale non può nutrire alcuna ostilità nei confronti dei Vallaresso; tutti possiamo sbagliare; altri nella Congregazione hanno potuto soccorrere i loro familiari al momento del bisogno, come M. V. chiede faccia ora Giacomo [2]; M. V. ha bisogno urgente di lui, perché da quando è stato nominato vescovo, ha dovuto, da solo, provvedere al rendiconto di introiti e di spese; pertanto chiede che, anche contro sua volontà, Giacomo sia inviato a Venezia e poi a Zara [3]; tutti i parenti di M. V. sono lontani, altri fratelli sono inadatti per età, solo Giacomo può essergli utile [4]; la Chiesa predica carità, M. V. non dubita che la Congregazione sarà caritatevole; non sia mai che M. V. debba ottenere (in maniera assai facile) tale licenza per altra via [5]. /220/ Ad venerabilem dominum Mapheum con[ven]ti Sancti Georgii. [1] Per dominum Iacobum germanum meum scripsi vobis declarans quid causae fuerit ut eum illuc ablegarem, postulaveramque a vobis ac magnis precibus illos vestros fratres obsecraram, ut postquam pro humanitate sua (in primisque vestra debuissem dicere) concessa mihi fuit ut eum iuxta libitum meum Hyadram adducerem distineremque /221/ apud me quoadusque vide­retur mihi eum ab infirmitate sua convaluisse eamque sententiam non revoca­retis priusquam memoratus, absolutis negotiis meis, quae sibi iniunxi Hyadram rediens, tandiu apud me maneret quamdiu perfecte curaretur et a me prout pollicitus fueram denuo vobis mitteretur. Sed cum illi fratres vestri nihil eorum quae ab eis flagitaveram mihi consentire voluerint, non potest fieri quin amor meus ita laesus, si non irascatur, conqueratur saltem. [2] Facile tamen venia datur ubi culpae causa malitia non fuit. Nostra autem domus religioni vestrae ab initio tyrocinii vestri reverentiam ac devotionem gerere nunquam destitit, neque aliquid sinistrum de vobis cogitaret, quia virtutes vestrae et caritas ardentissima quae de vobis passim praedicatur, ita omnium animos devincit, ut nemo sit qui non colat et observet vestros mores, vestram vitam laudabilem. Quo fit ut neque ego credere possim hoc factum a vobis iniquo animo sed potius pure ac zelo Dei et religionis vestrae. Verum, quia homines sumus, non omni ex parte perfecti esse possumus, non unquam etiam inviti labimur, erra­mus, delinquimus, passionibus movemur propriis, ubi placere credimus ibi desplicemus. Nihilaa nihil Valeat diu felix ms1 : Valeat diu felix expunxit ms2. /222/ miror si vos in me deliquisse videam. Quod si verum est, vos ipsos iudices constituo. Quam plurimos vestrum scio id factitavisse parentibus et propinquis suis in tempore opportuno paruisse et adiumento fuisse prout ego volebam ac iusseram germanum meum ut faceret mihi. [3] Non credatis me ita oblectari in eo, ut absque eo vivere nequeam. Sed verum fatear vobis conscientia teste primum optabam ut sanitatem pri­stinam restauraret quo aptior esse posset religioni vestrae. Deinde cum postquam Hyadram venerim et plurimis curis ac occupationibus detentus usque modo sim, computum rationum archiepiscopatus mei computumque introituum et expensarum ipse solus tenuit. Ego rebus eiusmodi vacare nun­quam potui. Quocirca oro vos per pacem atque obsecro ut dictum dominum Iacobum mei amore, mei contemplatione, Veneti[as] revocetis ad expedien­dum reliquum negotiorum meorum et ut finaliter Hyadram veniat ad consi­gnandum mihi rationes administrationis suae et etiam invitum compellite. Certe nullo unquam tempore mihi ac toti domui nostrae opus est adiumento operis atque opera domini Iacobi sicut in praesentiarum. Nam nemo nostrum est Venetiis qui possit necessitatibus quotidianisque negotiis inser/223/vire. [4] Genitor meus est Vincentiae, patruus Neapoli, frater unus usque modo non liber fuit. Alter ad haec non tam aptus. Alii nesciunt quia in eis repugnat aetas. Solus dominus Iacobus, licet et ipse parum libenter faciat, idoneus ad facta nostra habetur. Et hunc etiam fratres vestri prohibent inser­vire necessitatibus nostris, quas si fratres vestri intelligerent, credo equidem invitum etiam compellerent, opem ferre mihi atque meis hoc tempore. Immo si vestrum aliquem postulassem, credo, si caritas est in eo, adiuvaret me. Non enim ignoramus et vos quid postulent religionis iura, satis nanque, partim experientia quotidiana, partim ex lectione sacra, veritatem didicimus, quod debeamus Deo, quod amicis et patriae, carisque propinquis scimus. [5] Praeterea sponsam idest sanctam ecclesiam ac religionem ordinatam habere caritatem, identidem et vos facere non dubito. Igitur iterum atque iterum oratos vos omnes facio, ut caritas potius vos vincat quam aliqua alia vis humana aut super humana. Fieri enim facile potest ut haec licentia alia mihi concedatur via. Quod a me absit ut aliquid contra honorem congregationis vestrae moliri velim, quo et aliis principium darem et viam adspirantibus ad malum aperirem, et cetera. Oro etiam vos ut super hac re quam citius respon­dere mihi dignemini, ut sciam quid /224/ facere debeam. Valete ac me oratio­nibus patrum ac fratrum illorum plurimum quaeso commendetis. Datum Hyadre die ultimo Februarii MCCCCLI. 47.(220) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Giustiniani Zara, 28 febbraio [1452] Lorenzo Giustiniani sa quanto la sua recente nomina a patriarca abbia recato gioia a M. V. [1]; M. V. ora gli scrive in merito al proprio fratello Giacomo, il quale per ragioni di salute, l’anno passato è stato portato da M. V. a Zara [2]; infatti le cure di cui aveva necessità non potevano essere dispensate in monastero [3]; ma la necessità ha costretto M. V. a inviare nuovamente, per breve tempo, Giacomo a Venezia, onde poter disbrigare alcuni affari [4]; mentre si trovava a Venezia, i padri di San Giorgio hanno revocato il permesso precedentemente concesso, obbligando Giacomo a restare in convento [5]; M. V. perciò prega Lorenzo che interceda a suo favore presso i padri di San Giorgio, i quali sicuramente obbediranno alla sua autorità [6]. /224/ Ad reverendum dominum L[aurentium] patriarcham Venetiarum. [1] Etsi ante hac litterarum nihil dederim ad reverendam paternitatem vestram eo quod nulla viguerit necessitas, non tamen abfuit quin eidem maxi­ma observatio ac devotio a me usquam habita fuerit. Neque inficiari potest vester reverendus dominus archidiaconus dominus videlicet Urbanus quantum gaudii hauserim ex honore ac munere patriarchalis dignitatis nuper vobis col­latae. Quod munus nisi credidissem vos ingratis accepisse ut puta remunero­sam, difficilem, odiosam quieti propositi vestri, non foret quin dedissem con­gratulatorias meas ad dominationem vestram quemadmodum etiam ad archidiaconum memoratum dedisse me scio. [2] Nunc paucis dabo, quod ad vos scribere constitui. Cum superiori anno, dum essem Venetiis, viderem ger­manum meum dominum Iacobum languescentem vix anhelare, ne dicam incedere, praenimiaque langoris sui passione in dies vergere in deterius, nec remedia commoda in religione qua est habere posse, prudentum ac medicorum consilio suasus, mecum Hyadram eum conducere duxi, ubi loci et medicina­rum et indulgentioris cibi remedio restaure posset vires suas pristinamque reas­sumere /225/ valitudinem bonam, qua resumpta competenti habitudine ad gregales suos reddiret ac religionis illius optimum institutum commodius per­sequi posset. [3] Scit enim reverenda dominatio vestra aegrotantes religionibus molestissimos esse nec posse sibi omnino necessaria provideri. Igitur petita licentia rectoris Sancti Georgii obtinui tandem ut mecum ad vota mea profici­sceretur Hyadram eumque tandiu apud me destinare quoadusque conscientiae meae visum fuerit, quod ab infirmitate sua curatus sit, sicque factum est, ut mecum Hyadram ivit, stetit aliquantisper. Opera omnis data est eius curae. Convalescere nunc coepit, nunc recidere. Verum ut sunt humana omnia, nihil est ex omni parte beatum. Interim supervenit mihi negotium laboriosum et arduum, quod absolvi minime poterat, nisi aut per memet ipsum aut per domi­num Iacobum. [4] Quo factum est ut cum ego ipse aliis atque aliis curis tenear, tum spiritualibus tum familiaribus, non potuit fieri secus atque istuc Venetias transmitterem dictum dominum Iacobum ad extricandum illud negotium tum etiam alia quamplurima. Abeunti autem sibi praecepi qua possum aucto­ritate ut quam citissime, expeditis negotiis meis Hyadram reverteretur dedique sibi litteras ad patres illos suos orans ne sibi essent impedimentum neu adver­sarentur quo minus hoc tempore perageret /226/ iussa mea et quidem honesta neque religionis suae obstantia. Alioquin et ego qui iuberem ineptus et ipse qui iussa capesceret, amens iudicaretur, ubi vero reversus fuisset Hyadram, animo sedebat meo minus eum distinere quam opinantur patres illi. Etiam certe quamprimum vidissent eum bene curatum, tum expedita quaedam hic quae mihi imperfecta reliquit et totum remisissem eum ad portum tranquil­lum religionis suae. «Ubi homo», ut ait Bernardus,aa Bernardus mg. «vivit securus, surgit velo­cius, moritur confidentius», et cetera.1b1 «Ubi homo», ut ait Bernardus, «vivit securus, surgit velocius, moritur confidentius», et cetera] cfr. Bernardini Senensis Quadragesimale de Christiana religione, sermo XVI (Sabbato post I Dominicam in quadragesima), I, 182: «Rationes autem et causas quare melius sit esse in statu Religionis quam saeculi, exprimit devotus Bernardus, hoc verbum ad hunc sensum exponens et dicens: Bonum est nos hic esse, videlicet in Religione, quia “in ea homo vivit purius, cadit rarius, resurgit velocius, incedit cautius, quiescit securius, irroratur frequentius, purgatur citius, moritur confidentius et praemiatur copiosius”»; il luogo è più volte citato da Bernardino da Siena (che potrebbe essere una fonte di Vallaresso), non trovo invece il corrispettivo luogo in Bernardo di Chiaravalle. [5] Cum ergo dictus dominus Iacobus partem illorum negotiorum meorum Venetiis absolveret, partem absolvendam haberet, essetque propinquus fini ac perfectioni, tum illi patres sui, nescio quo ducti consilio, praeciderunt, velut a texente tela quae praeciditur, quicquid expediendum ab eo fuerat. Nullo magis quam hoc tempore potuissent mihi incommodare, cum nemo meorum Venetiis sit. Verum equidem quia ab ineunte virili aetate summa devotione ac fide ei congregationi affectus sum, non quo id factum malo animo praevertere velim, quod esset contra caritatis ius quae nunquam cogitat malum aut agit perperam, non tamen mirari non possum subitam eorum mutationem, ut quem mihi ad libitum paulo ante concesserant, mox mutata sententia repetunt quod dederant. Hoc autem maxime mo/227/lestum tuli quod non solum ne istuc veniret, verum ne per­geret exequi quae incoeperat inhibuerunt. An ipsi Iudaei sunt et ego Samaritanus cui Iudaeis convenire prohibetur? An forte eum a Christi fide avertere molior? Certe ut sospitatem et incolumitatem sibi corporalem opto, ita magis atque magis spiritualem peropto atque imprecor. [6] Quare, reverende pater, ne dominationem vestram diutius morer, cum sciam dictae congregationis mores et sciam illorum plerosque factitavisse quod iusseram dominus Iacobus ut faceret, oratam velim reverendam domi­nationem vestram quod ea auctoritate qua in dicta congregatione fungimini, et cetera. Nihil enim dubito quin, si voluerit dominatio vestra, concedant mihi quae ab eis oro. Scio enim quod prudenti consilio ducti parent iussis vestris. Quod si diu facient, diu in eo culmine perseveraturos spero. Virtus enim vestra nota est isti civitati. Beatus qui adhaerebit consiliis vestris. Pluribus verbis a dominatione vestra reverenda petere destituo, cum sperem id potius benivolentia quam multiloquio impetrare. Valeat dominatio vestra cuius orationibus me humiliter commendo. Die ut supra. 48.(288) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 3 marzo 1452 La morte del padre di Urbano Vignati induce M. V. a scrivere una consolatoria al Vignati stesso, quantunque l’amico non abbia risposto a ben due sue precedenti missive; il testo dell’epistola è in più occorrenze involuto, probabilmente viziato da errori di trascrizione. /294/ Ad dominum Urbanum Vig[nati] archidiaconum Venetiarum. Pro morte patris.aa Consolatoria mg. [1] Quanvis potius tuas expectare liceret (binarum enim debitor mihi litterarum es), quam ad te mearum aliquid darem, ex litteris tamen germani mei cum accepim (heu!) genitorem tuum virum optimum ac probatissi­mum, delitias tuas, curaeque omnes cessusque levamen, ex hac subtractum luce, non potui facere quin ad te aliquid scriberem, quo et significarem huius mortem me graviter tulisse, istumque dolorem tuum mihi una communem dividuumque esse tecum. Quantum enim tibi gratus dum viveret fuerit, quam commodus! Et licet per te satis ipse sapias, quantum bonus domi con­siliarius, non me fugit, una perdidisti omnia. Haec dicta volui ad exageratio­nem potius doloris mei, quam ad tui solamen. [2] Difficile nanque, cum ipse non valeo, tibi aegro possum dare con­silia recta. Verum, quia ex officio meo alios hortari, alios evocare, et, ut dici­tur, bellicum aliis canere tenear, promerebb promere] premere ms. licet prius altum corde dolorem. Spem etiam †sumulant† vultu tandem hortari te, tam cari cupias lenire dolo­rem. Quod pluribus verbis fecissem nisi te scirem prudentem virum ac mode­ratum alienis consiliis aut parum aut nihil indigere in hac parte. Illud tantum meminisse non pudet: nihil invitis fas quemque sidere divis. [3] Ac postquam ita Deo placitum est, aequo ut feras animo. Non enim mortem intempestam obiit. Tempus /295/ aderat reddere matri magnae corpus quod acceperat. Ergo licet durum, sed levius ut fiat patientia ac prudentia tua quicquid cor­rigere est nefas. De his hactenus. Vale et amantem te ama. Datum Hyadrae die III mensis Martii MCCCCLII. 49.(221) Maffeo Vallaresso al banno Pietro Zara, 13 marzo 1452 A Zara è giunto un sacerdote con lettera credenziale di Pietro (banno, da intendersi forse come carica politico-amministrativa, piuttosto che nome proprio); Pietro richiede a M. V. di dare notizia pubblica della scomunica di un cavaliere Tommaso, comminata dal vescovo di Spalato; ciò a cui M. V. provvederà. /227/ Ad magnificum bannum dominum Petrum. Externa die hic venerandus sacerdos, praesentium gerulus, vestrae magnificentiae litteras credentiales nobis /228/ exhibuit, quas grato animo itemque vultu recepimus. Satis quoque attente ea quae idem sacerdos ex parte vestrae dominationis exponere voluit intelleximus, hoc in effectu concludens, quatenus Thomam equitem, quem reverendus dominus archiepiscopus Spalatensis sua sententia publice excommunicavit, hic etiam Hyadrae pro excommunicato publicare faceremus. Hanc utique rem cum intuitu vestrae magnificentiae tum etiam considerata amplissima amicitia et cetera. Offerentes sese ad quaecumque grata eiusdem vestrae dominationis, quam Altissimus per tempora longaeva feliciter conservare dignetur. Datum Hyadrae die XIII mensis Martii MCCCLII. 50.(29) Maffeo Vallaresso ai vicari di Pago Zara, 13 aprile [1452] Trovandosi in ristrettezza finanziaria a causa di spese e prestazioni forzate (angherie), M. V. esorta il capitolo di Pago a punire quanti non assolvono il debito della decima (Jelic, 45-46). /36/ Ad vicarios nostros Pagenses. [1] Expectavimus his diebus, ut decimarii illi nostri ad assignatum termi­num istuc venientes, persolverent nobis reliquam sui debiti partem, nec tamen venerunt. Quocirca, cum nobis in presentiarum quam plurimae incumbant expensae et angariae, maxime autem illustrissima dominatio nostra, cui pro taxa mihi imposita et cetera persolvere compellimur, [2] praecipimus ergo vobis, ut dictis debitoribus decimariis nostris denuntietis terminum nomine nostro octo dierum ad satisfaciendum nobis pro reliqua parte. Quod si negligentes fuerint ac praedictum octo dierum terminum per incuriam transgressi fuerint, mandato et auctoritate nostra eos per censuram eclesiasticam compellentes, omnino coga­tis, sive mediante foro saeculari, sive anathematis censura, ut satisfaciant debito suo. [3] Significetis tamen prius nobis, si dicti non curaverint solvere quod debent, quia tunc transmittere vobis intendimus per litteras auctoritatem nostram, ut possitis eos excommunicare, si opus fuerit, ut poena graviori. Valete. Hyadrae, XIII Aprilis. 51.(30) Maffeo Vallaresso al doge di Venezia Zara, 20 aprile [1452] M. V. comunica al doge di un omicidio compiuto da un presbitero oriundo della Valacchia, il quale è stato condannato alla reclusione in gabbia con perpetua penitenza di pane e acqua (Jelic, 46). /36/ Illustrissimo dominio Venetiarum. [1] Serenissime princeps et cetera.aa Narro casum Pagi occursum mg. Superioribus diebus sicuti fortuna tulit, accidit in his regionibus quidam enormis et inauditus casus: quod qui­dam presbyter genere Vulachus sceleratissimae vitae, habitator Pagi, commi­sit ibidem homicidium pensatum, assasinamentum et furtum in persona cuiusdam Pagensis. Capto igitur dicto nequissimo presbytero, et /37/ cognito de eius delicto per iudicium et officium meum, tandem iustitia sic exigente, damnandus est ad perpetuam paenitentiam panis et aquae in cabia (nam degradari et in potestatem iudicis saecularis tradi requivit, multis rebus opportunis adhuiusmodi solemnitatem deficientibus). [2] Cumque excogitarem locum apud quem sententia exequeretur, nullum locum idoneum et securum inveni, ubi cabia poneretur, nisi apud aliquam turrim castri vestri Hyadrae, habitoque de hoc colloquio cum magni­ficis rectoribus vestris et cetera. Nam sicuti vestra Excellentia declarabit, ita exequetur, videborque Deo et mundo satisfecisse, gratiae Serenitatis vestrae humiliter semper me recommitendo. Hyadrae, XX Aprilis. 52.(31) Maffeo Vallaresso a Pietro Foscari Zara, 21 aprile [1452] M. V. contesta che un’abbazia soggiacente al suo territorio (si tratta di S. Crisogono) sia esentata dal sussidio caritativo, che invece fu versato durante l’episcopato del suo predecessore Lorenzo, come appare dai libri contabili di quello (Jelic, 46-47). /37/ Ad reverendum patrem dominum P[etrum] Foscari primicerium sancti Marci. [1] Litteras paternitatis vestrae superioribus diebus accepi, quibus pro­pediem responsum iri cordi erat, si non eisdem, quibus et ipsa dominatione tua, atque aliis causis et occupationibus distinerer. Item nudiustertius alterae mihi eiusdem reverendae dominationis tuae litterae redditae fuerunt, quas, prompta accipiens manu, legi ardentissimo atque hilari animo, utpote quae ferebant prae se nomen et decus piissimi patris carique propinqui, cuius propinquitate mihi gloriandum medius fidius non mediocriter (sed haec satis, ne in os laudasse videar, assentationis potius causa quam quod ita ut in veritate sentiam). [2] Nunc autem ipsas utrasque litteras respondebo, in quibus /38/ illud potissimum est conari manibus ac pedibus, acerrimaque oratione asseverare illam reverendae dominationi tuae abbatiam eius esse immunitatis, ut nemini unquam archiepiscoporum Hyadertinorum solvere quippiam consueverit subsidii caritativi, verum etsi quid aliquando solvit, utputa reverendo patri domino Laurentio paenultimo praedecessori meo ducatos XXV, hos nequa­quam iure subsidii caritativi, sed potius consecrationis illius abbatis gratia solutos fuisse. [3] Qua quidem ex re non mirari supra modum non possum, quo paternitas tua id sibi tam facile persuadeat dictum dominum Laurentium memoratam auri quantitatem consecrationis causa potius quam subsidii cari­tativi exegisse, cum ex libris eiusdem liquido pateat praefatos XXV ducatos pro caritativo subsidio, nulla autem alia causa habuisse. Alioquin si pro con­secratione exegisset, nonne omnino amens, nonne symoniae notandus macu­la? Absit, ut tantae prudentiae ac sanctitatis virum ad tam turpia devolutum commertia credamus. Sed praeter affirmationem scripturae manu ipsius fac­tae, non desunt mihi etiam idonei testes, qui id viva affirmant voce, praedic­tam abbatiam et pendere consuevisse caritativum subsidium, et subiacere visitationi Hyadertini praesulis. [4] Quo circa oratam velim reverendam paternitatem vestram ut veri­tatis firmitate et scripturae testimonio, si creditur ei, contenta, non inani persuasione ac confirmatione ducta, dignetur ut in ceteris omnibus, ita etiam in hac parte cervicem summittere iugo ecclesiasticae ordinationis et consue­tudinis, ac in me /39/ observatum iri velit, quod in se ipsam vellet observari. Quae, etsi bonorum meorum non indigeat, si tamen vult sibi dictam pecu­niam donationis gratia remitti, facturum me libentissime id offero, oraturus ne me vel litis vel expensarum, si pergam exigere ius meum, incursione terrifiat. Licet nam res mihi exilior sit, pro iure tamen ecclesiae meae salvo amicitiae ac propinquitatis vinculo, visceretenus dimicare non recuso. [5] Quo vero reverenda dominatio tua petit, ut huic rei supersedere velim, donec quid iuris decernatur, neque hoc admiratione vacat, quod paternitas tua me tam hebetem arbitratur, ut nodum in scirpo quaerere instituam, et in re liquida luceque ipsa clariore quaestionem introducere velim. Quae ambigui­tas hic iuris est, nisi videre an praefata abbatia consueverit solvere dictum caritativum subsidium, et si hoc, aut per testes aut per scripturam declarari potest, et e contrario? [6] Iubeat igitur reverenda dominatio tua a quovis legi libros ratio­num dicti domini Laurentii praedecessoris mei, ubi facile quilibet edoceri potest ita esse ut loquor. Ego autem non sum is, qui velim novas in diocesi mea inducere consuetudines aut alienam discerpere tunicam ut meam resarciam. Solum stat animo tueri ac observare iurisdictionem ecelesiae meae, nec id vitio vertat ipsa dominatio tua, quin potius omissis dilationi­bus, debito suo satisfacere dignetur. Valeat diu et feliciter tua reverenda dominatio, ac me diligat. Hyadrae XXI Aprilis. 53.(32) Maffeo Vallaresso a Francesco Condulmer Zara, 30 aprile [1452] M. V. ringrazia Francesco Condulmer, da cui ha ricevuto una lettera; gli raccomanda il latore della presente risposta. /39/ Ad reverendissimum dominum, dominum F[ranciscum] vicecancellarium card[inalem] Ven[etum]. [1] Hodierna die redditae sunt mihi litterae vestrae reverendissimae dominationis, quae licet /40/ sint breves, succi tamen plenae, plenae quoque humanitatis et clementiae erga me servulum suum, quod mihi novum quic­quam visum est. Oblationibus quoque iocundissimis eiusdem, cum ex usu erit, utar ac sub umbra clementissimae dominationis vestrae cum opus erit confugiam tanquam ad dominum et protectorem meum maximum. [2] Hunc presbyterum latorem praesentium, qui pro parte capituli mei hya­drensis illuc pro certa sua causa mittitur, recommissum facio suppliciter vestrae reverendissimae dominationi, ut ei favorem et expedictionem in dicta capituli mei causa exhibere dignetur. Valeat ipsa dominatio vestra reve­rendissima diu ac felicissime, cui me iterum atque iterum humiliter et liben­ter commendo. Hyadrae ultimo Aprilis. 54.(289) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 30 aprile [1452] M. V. gioisce per aver ricevuto nuove dall’amico Andrea Conti, e per saperlo sano e salvo; lo ringrazia per avergli dato informazioni su quanto accade in curia, preziose poiché M. V. vive in una regione remota (precisamente indicata con il toponimo di Liburnia), nella quale raramente pervengono notizie da Roma; accenna alla morte di un dominus Spalatensis (forse il vescovo Jacopino Badoer). /295/ Ad dominum Andream de Comitibus doctorem. His diebus proxime elapsis litterae vestrae mihi redditae fuerunt, quas prompta accipiens manu legi animo sitibundo longaque expectatione defati­gato. Ipsis autem lectis adprime recreatus sum, tum quod vos incolumem, quod praeter omnia vobis opto, memorabant, tum etiam quia antiquam nostram mutuam consuetudinem ac familiaritatem redolebant. Quod vero scribitis de curia et maxime de nostratibus gratissimum fecistis oroque ut et in futurum similiter faciatis. Cum sim enim in his Liburniae remotissimis regionibus, raro sentire licet quid Romae geratur. Vestra autem diligentia ac erga me singularis affectio, si defectui distantiae meae supplere ac animo desi­deranti morem ingerere ac re dignata fuerit, et amici se functam officio et mihi rem iocundam fecisse se cognoscat. Hic novi nihil aliud contigit hoc tempore, nisi quod et vobis notum esse iam credo, qualiter videlicet nuper reverendus dominus Spalatensis decesserit et cetera. Valete /296/ in Domino diu, prospere ac feliciter. Hyadrae, ultimo Aprilis. 55.(292) Maffeo Vallaresso a Giovanni di Cattaro (Kotor) Zara, 2 maggio 1452 M. V. coglie l’occasione di inviare un biglietto a Giovanni, arcidiacono di Cattaro (Kotor), per manifestargli la sua stima. /298/ Ad presbyterum Io[hannem] archidiaconum Catharensem. Cum scirem N[icolaum], praesentium latorem, illuc iturum, non sum passus eum vacuum litteris meis ad te venire. Et licet nihil scribere occurrat, tamen, ut cognoscas te mihi esse dilectissimum ob virtutes tuas, has perbreves ad te dare duxi, offerens me tibi tuisque ad commodum et honorem tuum semper promptissimum. Vale. Hyadrae II Maii 1452. 56.(291) Maffeo Vallaresso a Emanuele vescovo di Scutari (Shkodër) Zara, 6 maggio [1452] M. V. raccomanda al domenicano Emanuele, vescovo di Scutari, un presbitero della sua diocesi, Deodato, il quale è raccomandabile sotto ogni aspetto, e anche perché esperto nella organicina, cioè, pare, nell’arte organaria. /297/ Ad reverendissimum dominum Hema[nuelem] episcopum Scutarensem.aa Commendatitiae mg. Reverende pater et cetera. Illuc venit praesentium gerulus presbyter, videlicet Deodatus canonicus Hyadrensis. Qui, cum se cupiat in gregem reci­pi servitorum reverendissimi domini mei vicecancellarii, rogavit me ut eum commendarem paternitati vestrae, in qua maximam habet spem posse conse­qui quod quaerit et desi/298/derat, si modo eidem paternitati vestrae id colli­bitum fuerit. Quare licet iuvenis per se satis commendatissimus sit ob virtutes suas, quibus est a natura deditissimus, nihilominus, ut votis eius satisfaciam commendo eum paternitati vestrae, quantum scio et possum, declarans ipsum esse sacerdotem in gradu suo sufficientissimum, ut in dies videre poteritis. Deinde est organicina optimus. Fidelitatem vero ac honestatem, quae in eo magna est, laudare non est tempus. Nam plus est forte quam dicere vellem. Valeat felix paternitas vestra, cui me ad vota promptissimum offero. Hyadrae VI Maii. 57.(290) Maffeo Vallaresso a Matteo Speroni Zara, 12 maggio 1452 M. V. aveva scritto già a Matteo Speroni, quando questi era a Venezia; ora ha saputo da una lettera del fratello Giacomo che Speroni si è trasferito in curia: notizia che lo ha fatto molto gioire, poiché l’amico potrà adeguatamente difendere i suoi interessi in quella sede [1]; infatti Speroni è sempre stato benvoluto dalla famiglia Vallaresso [2]; è venuto il momento che Sperone provi il sentimento di amicizia nei confronti di M. V.; gli raccomanda un sacerdote del suo capitolo [3]; non c’è bisogno che M. V. gli offra i suoi servigi, poiché già lo ha fatto in precedenza e Speroni può disporre delle cose di M. V. come se fossero sue [4]. /296/ Ad dominum M[atthaeum] a Speronibus decanum Cretensem. [1] Superioribus diebus existenti tibi Venetiis scripsi satis copiose secundum temporis opportunitatem. Tu vero quod non rescripseris forte causam dederunt occupationes tuae quibus amicorum gratia detineris. Verum cum ex litteris germani mei domini Ia[cobi] didicerim te nuper in curiam migrasse, iocundissimum fuit id scivisse. Sic enim cogito mecum postquam ego ipse adesse nequeo in curia, ubi loci multa mihi in dies emer­gunt peragenda et per neminem possint exequi satis fideliter, tu saltem sup­plebis absentiae meae defectui. Teque solum fidelem ac solertem procurato­rem negotiorum meorum defensoremque acerrimum honoris ac nominis mei reputabo. [2] Satis enim superque fides ac probitas tua probata est mihi ac meis ob quod merito dilectus es primum reverendissimo olim domino ac patruo meo deinde ab reliquis omnibus domus Vallaressae bene honoratus. Quocirca ut paucis tecum utar verbis, prout expedit cum amico cui semel dictum sat est, nosti me hic positum in hac regione et cetera. [3] Tibi autem archana cordis mei revelare ideo duxi ut et tu intelligas quantum in te fidei habeam et ego /297/ experiar quantum me ames. Si pro honore meo meorumque insudare te videro quod facturum spero, si quid fortuna ad manus obtulerit germanum meum et cetera. De his satis. Praesentium latorem sacerdotem idoneum qui illuc missus est ex parte capituli mei, commendo tibi ut, quia inexpertus est negotiorum curiae, velis eum instruere et in quibus potes adiu­vare et cetera, quia causa facilis est ut ex ore eius ediscere poteris. Quicquid ei feceris, mihi factum reputabo. [4] Me vero tibi offerri non licet denuo, quia multo antea oblatum habes. Nam de me ac meis rebus disponere potes, non minus quam de te ipso. Et hoc mihi molestum est maxime non posse meam erga te ardentissi­mam ostendere voluntatem quam tu beneficiis humanitatis tuae tibi valde obligasti. Vale in Domino amantissime. Hyadrae, die XII Maii 1452. 58.(33) Maffeo Vallaresso a Giovanni Francesco Pavini Zara, 3 giugno [1452] Avendo ricevuto una commendatoria di Giovanni Francesco Pavini, M. V. decide di condonare il canonico Luca, che si era inopportunamente assentato. /40/ Ad eximium doctorem dominum Iohannem Fran[ciscum] Pavini. [1] Reddidit mihi litteras tuas presbyter Lucas canonicus Hyadrensis, quibus eum commendatum facis.aa commendatio mg. Ego autem etsi intelligam eum plus aequo metas excessisse comeatus sui, considerato tamen a quo commendatur et cui deservierit, volo irritas esse poenas quas ex vacatione sua incursurus esset. [2] Hoc autem ideo libentius facio gratia tui, qui tanto tempore eum diligere ostendis, ut cognoscat preces tuas apud me plurimum valere. In his autem et in aliis quibus possum libenter tibi morem geram, propter virtutes tuas quae me etiam Paduae cum essem semper delectarunt. Vale. Hyadrae III Iunii. 59.(293) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 5 giugno [1452] Urbano Vignati è in debito di ben due lettere con M. V.; se avesse dovuto ricambiarlo con la stessa moneta, non avrebbe dovuto più scrivergli; ma sa che Urbano è molto impegnato, tanto da non poter usare cortesia; gli chiede in ogni caso di procurargli un cuoco a determinate condizioni salariali (omesse). /298/ Ad dominum Urbanum Vig[nati] archidiaconum Venetiarum. Semper fuit moris mei eniti officio superare omnes necessarios et ami­cissimos meos,aa semper ~ meos] bonum principium mg. ut autem tecum itidem facio, qui si vellem correspondere moribus tuis, nihil ad te /299/ modo scribere debuissem, cum sis mihi debitor plusquam binarum litterarum. Sed fortassis occupationes tuae tantae sunt, ut amicis te gerere morem non permittant, quod non credo. Quomodocunque tamen sit, dummodo sis sospes ac superstes, animo mihi iocundissimus es. Et quia de te tantum mihi praesumo, ut quidlibet oneris iniungere tibi non diffidam, oratum te vellem ut mei gratia modicum insudes in inveniendo mihi aliquo bono et sufficienti coquo, aut per viam Paduae aut alio modo et via meliore, prout novit prudentia tua, hac autem lege et conditione, dictum coquum velim conducas ut pro salario et cetera. Vale. Hyadrae V Iunii. 60.(222) Maffeo Vallaresso a Domenico Capranica Zara, 28 giugno [1452?] M. V. raccomanda a Domenico Capranica un frate francescano, Antonio da Ragusa, inviato dal suo provinciale: l’ordine ha una vertenza con i frati dell’osservanza della stessa città di Ragusa; Capranica dia il suo favore ad Antonio, secondo verità e giustizia. /228/ Ad reverendissimum dominum Dominicum cardinalem Firmanum. Venit illuc praesentium lator videlicet frater Antonius de Ragusio ordi­nis beati Francisci, specialiter missus ex parte ministri provincialis Dalmatiae ordinis eiusdem, pro quadam differentia quam cum fratribus Ragusii habent illis, videlicet qui dicuntur de observantia, prout ex dicto fratre reverendissi­ma dominatio vestra informari potest. Et quia rogatus sum a praefato magi­stro ut eum eidem dominationi vestrae recommissum facerem, ita facio, supplicans ut dicto nuntio favorem ac patrocinium iuxta veritatem et iusti­tiam, ut ipse petit, impartire dignetur vestra reverendissima dominatio, cui et me humiliter iteratis vicibus commendo. Valeat diu et feliciter ipsa domina­tio vestra, quam Dominus omni in sua gratia in sempiternum conservet. Hyadrae 28 Iunii. 61.(34) Maffeo Vallaresso a Giacomo Turloni Zara, 18 luglio 1452 M. V. si complimenta con Giacomo Turloni (Trugloni) per la nomina a vescovo di Traù (Jelic, 47-48). /40/ Ad reverendum dominum Ia[cobum] Turlono electum Traguriensem.aa congratulatio mg. [1] Superioribus diebus per litteras meorum ex Venetiis accepi qualiter dominatio vestra promota sit ad ecclesiam Traguriensem, maximo patrum /41/ ac summi Pontificis consensu, et voluntate ac desiderio maiora etiam vobis conferendi. Quod mihi fuit auditu iocundissimum, adeo ut me conti­nere nequiverim quin has congratulatorias ad dominationem vestram non destinarem. [2] Quare,bb Quare corr. : que ms : quae Jelic. etsi ob virtutes ac merita sua in Curiam ampliore munere digna omnium videatur opinione, hic tamen gradus honestissimus est ac perornatus, et principium vobis ad maiora facillime ascendendi. Ego autem Deum praecor, ut ceptis faveat, et melior fortuna sequatur. Valeat felix dominatio vestra, quae si videt me sibi usui esse posse, disponat de me prout debet et potest. Datum Hyadrae, XVIII Julii, 1452. 62.(35) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 18 luglio [1452] M. V. invia a Pietro Barbo il suo reverente saluto per tramite di un presbitero diretto a Roma (Jelic, 48). /41/ Ad reverendissimum dominum meum dominun patrem cardinalem Sancti Marci. [1] Sciens hunc praesentem presbyterum Hyadrensem Romam usque iturum devotionis suae causa, non par visum est mihi ut absque litteris meis ad reverendissimam dominationem vestram iret maxime obligationis meae respectu, quam adversus eandem habeo pro innumerabilibus beneficiis, quae, si essent linguae centum et totidem ora, minime enumerare possem. [2] Et licet ipsa reverendissima dominatio vestra tam longo mecum utatur silentio, ego tamen id ascribens occupationibus eiusdem, omnia in meliorem partem accipio, quia ipsa experientia teste semper reverendissima dominatio vestra adversum me visa est maiori benignitate ac humanitate per gratiam suam, quam exigunt merita mea. Si quid est autem quod parvitas mea et cetera. Valeat diu dominatio vestra et cetera. Hyadrae, die XVIII Julii. 63.(294) Maffeo Vallaresso a Matteo Speroni Zara, 18 luglio [1452] Lettera di cortesia di M. V. a Matteo Speroni, il quale si trova in quel momento a Roma; gli chiede di portare il suo saluto a Pietro Barbo e di informarlo circa le novità della curia. /299/ Ad dominum Matthaeum a Speronibus decanum Cretensem. Debitor mihi es unarum litterarum, quia licet superioribus diebus rescripseris mihi per presbyterum Cres. capellanum meum, ita tamen breviter scripsisti ut nihil minus. Ego nunc habens nuntii commoditatem, non potui pati ut sine litteris meis ad te illuc veniret. Sed propter temporis angustiam breviter scribam, imprimisque commendo tibi honorem meum et ut me saepius carum facias reverendissimis dominis illis meis videlicet domino cardinali Sancti Marci et vicecancellario. Hoc tibi scribo domestice ac familiariter tanquam fidis­simo amico. Tu interim dum in curia manes, facito me certiorem de rebus novis occurre/300/ntibus quae ibi geruntur. Si quid ergo per te hic possum, libentissi­me faciam, et erit gratum si me in aliquo tui gratia exercueris. Vale. Hyadrae XVIII Iulii. 64.(36) Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso Traù, 2 agosto 1452 Giovanni Sobota scrive a M. V. per raccomandargli il presbitero Luciano, il quale deve affrontare una causa che avrà come giudice lo stesso M. V. (Jelic, 48). /42/ Iohannes Sobotae Mapheo archiepiscopo Hyadrensi.aa Epistola commendat[itia] et bona mg. [1] Omnes qui excellens ingenium tuum novere, clara voce et predi­cant et fatentur, te iustitiae esse acerrimum patronum, nec unquam ullius auctoritas tantum efficere potuit ut a dignitate, splendoreve tuo discederes. Qua ex re virtute tua et animi magnitudine fretus, Luciano sacerdoti mode­stissimo illa de te pollicitus sum, quae de summo viro polliceri possunt. Postquam iudicem suumbb suum add. s.l. te esse cognovi, ipsum bene sperari iussi. Est mea ex sententia sacerdos singulari modestia, mihi iustis de causis carissimus. [2] Habet praeterea causam (ut opinio mea fert) luce meridiana clariorem, cum diligentius consideres. Pro singulari tua iuris prudentia multarumque rerum usu facile percipies, non iure, sed vi aperta et auctoritate nonnullorum cau­sam suam oppugnari. Et quod magis mirum ac stupendum est, illi aperte ipsum oppugnant, qui praecipuam sanctimoniam prae se ferunt,cc praecipuam sanctimoniam prae se ferunt] Nota genus hypocritarum mg. vivosque in catalogo sanctorum, si quis non numeret, commoventur ac indignantur. [3] Huiuscemodi hominum genus perversissimum est, qui omnia non ex iure, sed ex sua libidine moderantur. Scio virtute pravam libidinem vinces. Usque ad haec tempora nunquam vidimus patronos, qui suo labore suaque impensa ecclesias aedificavere dedicavereque violato divino et humano iure, maximis contumeliis affectos /43/, proprio et avito iure privari. [4] Lu[ciano] suasi sine aliqua haesitatione tuae fidei omnia sua iura committat. Aegre fert bona illa abs te sequestrari, quoaa quo ms : quae Jelic, fortasse recte. ille et patronatus iure et apostolica auctori­tate possidet. Maiorem in modum rogo, ita rem suam suscipias, ut ipse intel­ligat me ad te hac de re non frustra scripsisse. Vale. Ex Tragurio IIII Nonas Sextilis MCCCCLII. 65.(223) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 26 agosto 1452 M. V. ha ricevuto l’attesa lettera di Pietro Barbo, che lo informa della sua guarigione. /229/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Ingenti desiderio desideratas litteras vestrae reverendissimae domina­tionis accepi per quendam praesbyterum Hyadrensem, quibus de sospitate vestra, quod ante omnia scire cupio, certior factus sum, credoque reverendis­simam dominationem vestram ad me frequentius antehac scripturam, ut dicit, nisi nuntiorum copia defuisset. Ego vero nedum hoc verum, etiam occupationes multifarias huic rei puto impedimento fuisse, ne reverendissima dominatio vestra ad me servulum suum scribere posset. Sed cum per viam Venetiarum scribendi modus facilis sit neque unquam et cetera. Valete. Ex Hyadra die XXVI Augusti MCCCCLII. 66.(295) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 31 agosto 1452 Urbano Vignati non gli ha ancora risposto e M. V. lo incita scherzosamente ad espellere la sua atrabile; poiché M. V. è intenzionato a riformare la sua chiesa, chiede a Urbano di produrre copia del codice delle costituzioni patriarcali, e di inviargliela rapidamente; il padre di M. V. salderà le spese. /300/ Ad dominum Urbanum Vignati archidiaconum Venetiarum. Non potest fieri quin istoc tuum tam longum silentium sit ab re. Si quid adversum me habes, quod non credo, expue et melius habebis. Id enim reme­dium optimum est, bilem atram patienti ut expuat. Sed ista dicta velim non serio, nam de tuo in me amore nihil ego unquam dubitavi. Tu si de me dubitas, non recte facis. Nunc quod abs te velim paucis accipe. Certior factus sum a multis in ecclesia vestra patriarchali pulchras esse constitutiones capituli et cleri. Quare cum ego ecclesiam meam pro virili mea reformare cupiam, oratum te velim ut cures illas constitutiones patriarchalis ecclesiae transcribi mihi facias ac demum quam citius poteris, transmittas. Ego interim scribam genitori meo, ut tibi pro expensis fiendis in librario tibi ad plenum satisfaciat. Vale in Domino ac me ama. Ex Hyadra ultimo Augusti 1452. 67.(296) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 31 agosto 1452 Da alcuni giorni M. V. non riceve nuove da Andrea Conti; quantunque non abbia novità di rilievo, M. V. non può fare a meno di scrivergli, essendo l’amico fra le persone a lui più care; gli chiede di portare i suoi saluti al cardinale Barbo. /300/ Ad dominum Andream de Comitibus egregium doctorem. Si vales bene, optimum id est. Ego etiam bene valeo. Plures sunt dies quibus aliquid litterarum tuarum non acceperim, sed /301/ hoc imputo potius negotiis tuis, tum offcio, quo non parum occuparis, quam quod mei oblitus sis. Ego autem non possum facere quin ob benivolentiam quam ad te habeo, saepius tibi scribam. Et cum nihil dignum scribere occurrerit, tunc fingam aliquid ut habeam scribendi causam quia nihil mihi suavius est quam cum eo fabulari, cui ardenti dilectione afficior. Sed cum pauci sint, quo aeque diligam atque te, sic apud me constitui ut, licet tu nihil scribere cures, ego frequentes ad te dare non desistam, multum offerens tibi me atque mea, quanquam et superfluum sit, tamen et cetera. Commendatum me facito reve­rendissimo domino meo. Vale bene et feliciter ac me ama. Hyadrae ultimo Augusti MCCCCLII. 68.(298) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 4 settembre 1452 Giovanni Scaffa, vescovo suffraganeo di Arbe, ha scritto una lettera che M. V. disapprova; M. V. esorta Giovanni a usare più cautela [1]; M. V. non può non dare udienza e non può non ascoltare quanti gli chiedono giustizia; è inammissibile quanto chiede Giovanni: che cioè M. V. debba consultare Giovanni prima di ascoltare qualcuno che con Giovanni stesso ha una controversia pendente [2]; anche Giovanni deve procedere, secondo il diritto, per via di sentenza giudiziale; lo esorta a usare maggiore umanità con i suoi sottoposti [3] (Jelic, 91-92). /302/ Ad reverendum patrem dominum Io[hannem] episcopum Arbensem suffraganeum. [1] Reverende pater et cetera. Reddidit mihi nuper quidam frater litteras paternitatis vestrae datas ex Arbo XXVIIII Augusti, quas non absque animi perturbatione a vobis dictatas video. Siquid vellem ad eas respondere secundum verba vestra, dicerem quae forsan vobis minus placerent. Sed ignosco vobis ac potius imputo primis motibus quam velim aliter /303/ credere de paternatite vestra. Hortor tamen vos ut de cetero cautius ac diligentius scribatis. [2] Ego nunquam, ut dicitis, facilem de vobis aut de aliquo alio fidem alicui dedi. Verum appellantes ut de iure est admittere ac petentibus iusti­tiam dare compulsus sum, ac ita inhibitiones facere consuevi, ut si ita est, semper adiicere quae clausula, etsi non esset apposita, semper intelligenda est. Non possum autem non mirari de paternitate vestra ex eo quod dicit me prius debuisse ac in futurum debere vobis significare de eo quod de vobis quis conqueritur aut gravatur. Ergo et papa deberet prius significare per litteras apostolicas quid de aliquo dicitur, demum in causa procedere, quod esset absurdissimum. Itaque nec ego teneor significare quid sim acturus. [3] Et paternitatem vestram debet procedere secundum ius in iudicio. Inhibitioni autem, si de iure est, cedere, sin aliter purgare se et nihilominus in causa procedere. De his satis. Hortor tamen et oro vos ut cum subditis vestris humaniter vivatis, ne quid ad aures meas, ut factum est, perveniat. Hoc autem paternitati vestrae dico domestice, quia diligo eam ac eius honori faveo. Valeat paternitas vestra diu et bene in domino Iesu. Datum Hyadrae, die IIII Septembris MCCCCLII. 69.(275) Maffeo Vallaresso a Giovanni Sobota Zara, 12 settembre 1452 Giovanni Sobota ha scritto a M. V. raccomandanogli il presbitero Luciano [1]; dalla lettera si evince la grande considerazione che Giovanni Sobota nutre per M. V. stesso [2]; M. V. è dispia­ciuto dal fatto che Giovanni, ritornando da Venezia verso Traù, non si è fermato a salutarlo [3]. Questa stessa lettera è replicata (con minime varianti di cui si dà conto in apparato) quale n° (297) nell’ordine del ms. /279/ Ad litteratissimum virum dominum Io[hannem] Soboteaa Sobote] Sobbote ms, hic et in n° (297) (sed cfr. ep. 14.(26), 64.(36), 97.(60), ubi semper scriptum est Sobote). Trag[uriensem].bb Ad dominum Iohannem Sobbotae Traguriensem titulum in n° (297). [1] Legi nuper ornatissimas litteras tuas consueta animi oblectatione, quibus commendatum mihi earum latorem Lucianum presbyterum facis. Quem ego, etiamsi a nemine rogatus essem, quantum ad iuris aequitatem attinet, commendatum suscipio. In reliquis autem omnibus, tui gratia humanitatis, quantum fas est, impartivi ac deinceps impartiam ei. [2] Quod vero tu eam de me existimationem facias, quae fieri debet, de summo viro, immo maiorem quam est in re opinionem de me habes, gratias tibi multas refero. Hoc tamen mihi ex te novum non fuit aut inexpectatum.aa novum non fuit aut inexpectatum] non fuit novum aut inexpectatum n° (297). Semper siquidem mihi ob singularem probitatem tuam maxima benivolentia con­vinctum te effecisti, ut, etiamsi velles de me quam optime non sentire nequeas, de his hactenus. [3] Superioribus diebus alteras abs te litteras acce­pi, eo sale conditas quo cetera soles, quibus mihi significabas de re benege­sta exercitus nostri. Et ego tibi ex opposito immediate respondissem, nisi quia legens tuas adverti animo te ex Venetiis decessisse, immo secus Hyadram dando ad me litteras navigasse. Quod ubi scivi, te ad amicum non divertisse moleste tuli. Sed forte aliquo honesto impeditus negotio /280/ id efficere non potuisti, facies tamen in futurum quod gratum erit. Me atque mea tibi offerre credo superfluum. Siquid tamen est quod per me exequi sit ad rem tuam, scis cui provinciam credere debeas.bb debeas] n° (297) : dedeas n° 69.(275). Vale et uti facis, me ama. Ex Hyadra die XII Septembris MCCCCLII.cc MCCCCLII] omisit n° (297). 70.(44) Marco Barbo a Maffeo Vallaresso Roma, 25 settembre [1452] Marco Barbo si scusa per non aver prima risposto a M. V.: quando ne avrebbe avuto il tempo, gli mancavano i messi, quando i messi c’erano, gli mancava il tempo per scrivere; lo ringrazia per averlo considerato degno dell’incarico di protonotario. /46/ Marcus Barbus Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Non est a me praetermissum superiori tempore negligentia ulla seu oblivione quin paternitati vestrae binis litteris responderem. Verum, cum se aliquis istuc profecturum offeret, tot me praemebant occupationes ut otium nullum scribendi nancisci possem. Postea vero, etsi in tot non impe­direr, opperiens tamen alterius nuntii commoditatem, denuo eo habito, incidebam in /47/ pristina impedimenta quibus ante et nulla re alia effectum est ut pluries cum scribere vellem aut possem. Cum vero facultas scribendi aderat, opperiendo latorem et omittebam et differebam. [2] Quod tamen, etsi accusari merito possit et debeat, veniam a paternitate vestra scio mihi concedi debere, cum praesertim et huiuscemodi omissionis causam fatear et eam non moleste ferre paternitatem vestram rogem. [3] Ceterum paternitati vestrae habeo plures gratias quod unis litteris suis me prothonotariatus officio dignum fecerit. Scio etiamsi diu mihi compertum est tanta affectione a vestra paternitate amplecti ut mihi non illud officium solum sed etiam magnam dignitatem cuperet. Iterum ergo atque iterum paternitati vestrae gratias maxi­mas ago et me ad eiusdem mandata paratissimum offero. Ex urbe XXV Septembris. 71.(299) Maffeo Vallaresso a Lauro Quirini Zara, 28 settembre [1452] M. V. restituisce a Lauro Quirini il commento di Asconio Pediano alle orazioni di Cicerone; ha trattenuto il commento di Donato all’Eunuco di Terenzio, che sta facendo trascrivere, insieme ad altre opere contenute in quel manoscritto; quando il lavoro sarà terminato, restituirà il tutto al suo proprietario; gli chiede di restituire Lucrezio per tramite del latore della presente lettera (Jelic, 92). /304/ Ad clarissimum virum dominum Laurum Quirino. Ingenue ac litteratissime vir, salvere te cupio. Festinus nuntii abitus dat causam breviter scribendi. Asconium Pedianum ad orationes T[ullii] C[iceronis] mitto tibi per eum nuntium praesentium latorem. Retinui autem Donatum tuum super Eunuchum T[erentii], quem transcribi facio una cum aliis opusculis in eodem volumine contentis. Ubi opus absolutum fuerit, medius ac fidius ad patronum suum faxo revertatur. Tu interim praedicto nuntio reddas Titum Lucretium qui mihi expectatissimus est. Bene vale ac insuetae brevitati ignosce tuarumque aliquid impartire dignare. Hyadrae, XXVIII Septembris. 72.(37) Maffeo Vallaresso a Mar., mansionario della cattedrale di Zara Zara, 11 ottobre [1452] M. V. esorta il mansionario, assentatosi per addotte ragioni di salute ben oltre i tempi previsti, a ritornare a Zara, essendogli stato ancora conservato il suo ruolo (Jelic, 48-49). /43/ Ad presbyterum Mar. ecclesiae Hyadrensis mansionarium. [1] Non parum admirati sumus, quod dum a nobis licentiam habueris mensium duorum Venetias aut Paduam pro recuperanda sanitate tuae aegri­tudinis te ut transferes, deindeque Hyadram redires, uti nobis promiseras, promissionem tamen tuam minime hactenus adimplere curasti, quod minus quam bene fecisti. Nos autem, sperantes quod tuae promissioni omni modo satisfaceres, diu locum tuum reservavimus et hucusque etiam ad patris tui contemplationem tuorumque amicorum illum reservavimus. [2] Unde, si venire disponis, fac ut cum patre nunc venire cures, quoniam graciose te acceptabimus. Quod si redire neglexeris, nullam habeas spem locum tuum habendi. Non enim intendimus quod ecclesia nostra aliquid patiatur detri­mentum. De G. fratre tuo, si vult reverti et vivere bene honesteque prout decet clericum, contenti sumus, quod veniat nec timeat carceris poenam, dummodo de cetero et cetera. Hyadrae, XI Octobris. 73.(38) Maffeo Vallaresso a Giovanni Condulmer Zara, 18 novembre [1452] In una recentissima lettera Giovanni si è scusato per non aver scritto prima a M. V.; M. V. accetta le scuse, ma lo esorta a continuare a scrivergli; fra i curiali veneziani merita particolare elogio Marco Barbo. /44/ Venerabili domino Iohanni Condulmario. [1] Familiaris meus quem in curiam miseram reversus istuc reddidit iocundissimas litteras tuas, quibus te purgas ex eo quod te accusabam rarius ad me scribere quam convenit. Quam purgationem, licet mihi consona non videatur, acceptare volo, sed deinceps quaeso non committas ut des mihi locum te accusandi, verum saepius scribas litterasque tuas non cuilibet nuntio credas, sicque mihi rem pergratam feceris teque functum ostendes officio tuo. [2] Quod scripsisti de curia curialibusque Venetis maxime de amico illo cuius animus grandia expectat bene te intellexi gratumque fuit talia ferre. Sed meo iudicio neminem video quem non praecedere debeat integerrimus vir domi­nus M[arcus] Barbo noster ob singularem suam probitatem et multarum rerum peritiam et fundatum favorem quem habet. De facto illius appellat, et cetera. Vale. Hyadrae XVIII Novembris. 74.(39) Maffeo Vallaresso a Nicolò da Perugia Zara, 18 novembre [1452] M. V. ha ricevuto una lettera da Nicolò, di cui accoglie con gioia le offerte; a sua volta gli manifesta la propria disponibilità. /44/ Domino Nicolao de Perusio. Ad regressum istuc familiaris mei accepi litteras quas iocundissime legi tuasque humanissimas oblationes utraque manu amplector, quibus cum opus erit fiducialiter utar. Ex opposito tibi potestas largissima est adversum me facendi, sique feceris ingratum non erit. Aliud in praesentiarum scribere non venit ad calamum. Vale. Hyadrae XVIII Novembris. 75.(40) Maffeo Vallaresso a Giovanni da Novara Zara, 18 novembre [1452] M. V. ringrazia Giovanni per avergli sollecitamente risposto, gli dichiara la sua disponibilità a favorirlo in ogni circostanza. /44/ Domino Iohanni de Novaria. Revertens istuc famulus meus detulit litteras tuas quas vidi ac legi animo libentissimo. Et quidem tuam nunc amicitiam quam maximi facio quae cum olim oratione inceperit nunc re ipsa /45/ cum effectu tua ex parte confirmatur. Quam iocundum mihi fuerit tuam sollicitudinem adhibitam illi rescripto conficiendo non est meum dicere. Qua in re multum tibi gratiarum habeo rogoque ut, siquid me vides tui gratia posse, promptum ac paratum commodis tuis ne dubita. Vale. Hyadrae, XVIII. 76.(41) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 18 novembre [1452] M. V. accoglie le scuse di Andrea Conti, che gli ha troppo raramente scritto, e lo invita a dargli più spesso sue notizie. Ad venerabilem dominum Andream de Comitibus. In redditu famuli mei ex Curia accepi suavissimas litteras tuas, quibus more solito apprime delectatus sum, tuasque excusationes, quod litteras rari­us tuas accipio, admitto eamque culpam infidelitati nuntiorum una tecum ascribo ac rogo ut in posterum suppleas, sufficietque mihi in litteris tuis uni­cum verbum quod sospitatem tuam declaret, et cetera. Vale. Hyadrae, die XVIII. 77.(42) Maffeo Vallaresso a Bogdan, canonico di Zara Zara, 18 novembre [1452] M. V. esorta il canonico Bogdan a comportarsi sempre secondo virtù, come sta facendo, così da rendere veritiera la lettera di raccomandazione che M. V. ha scritto dietro sua richiesta; la sospensione dall’ufficio (quitatio) non pregiudica il favore che M. V. gli ha sempre portato (Jelic, 49). /45/ Presbytero Bogdano canonico Hyadrensi. [1] Superioribus diebus plures litteras tuas legimus gratumque fuit nobis quod bene valeas, bene contenteris sorte tua. Hortamur autem te, ut sicut instituisti, ita perges ac perseveres honeste ac secundum virtutem vivere, maxime ideo ut commendationes ac testificationes, quas ex te litteris nostris reddidimus, solidae ac veritatis plenae inveniantur. Quod si feceris, haudqua­quam dubitamus te in brevi, mediante favore reverendissimi domini tui, aliquid dignitatis habiturum munus. Nam fautorum sat habet semper qui recte facit.aa fautorum… facit] fautorum sat habet semper etc. mg. De his hactenus. [2] Quod vero scribis ac saepius replicas de facto illius quitationis et cetera, breviter tibi respondemus. Si recte sapis, potuisti iam olim advertere animo qualem et quantam humanitatis /46/ copiam, ex quo te novimus, impertiri studuerimus, quantunque tibi per omnia faveri­mus tu ipse iudex esto. [3] Neque ista commemoravimus tanquam nos facti paeniteat, sed cum totiens repetas de quitationebb repetas de quitatione] reppetas de quietatione ms. verba, videris de nobis dubi­tare, quod non licet. Nam semper te dileximus ac in praesentiarum pari modo diligimus, et cetera. Vale. Hyadrae, XVIII Novembris. 78.(43) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 18 novembre 1452 M. V. comunica a Pietro Barbo la sua felicità per aver ricevuto una sua lettera; vorrebbe leggerne più spesso, non avendo l’opportunità di vederlo. /46/ Ad reverendissimum dominum meum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Regressus istuc nuntius meus reddidit mihi litteras suavissimas et expectatissimas reverendissimae dominationis vestrae, quibus ita maxime consolatus sum sicut antea sitiens aestuansque earum desiderio angebar. [2] Constitutus siquidem in hac aspera ac remota regione, quandoquidem vestrae reverendissimae dominationis praesentiam intueri nequeo, saltem litteras eiusdem saepius visereaa visere] viseri ms. vellem, sufficitque mihi si minimus servitorum suo­rum scribat, dummodo notificet vestram dominationem bene valere. Siquid autem visus sum queri, ex hac voluptatebb voluptate scriptura evanida. lectionis et reverentiae impulsus fui, non quod dubitem et cetera. Valeat dominatio vestra reverendissima. Ex Hyadra XVIII Novembris 1452. 79.(45) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 18 novembre 1452 M. V. risponde a una precedente di Marco Barbo (cfr. ep. n° 70), cui nel futuro si rivolgerà come a un intimo fratello, il quale, a sua volta, userà con lui la stessa familiarità. /47/ Responsivae ad superiores. [1] Per quendam famulum meum accepi litteras tuas datas XXV Septembris, quas consueta animi laeticia legi utpote quae antiqui amici et fratris optimi nomen referunt. Licet enim longe absum a te, ita tamen tibi afficior ac si nunquam a te corporali motu recesserim, tuaque omnia mihi iocundissima sunt litterisque tuis apprime recreor, quorum etiamsi antehac mihi parvam copiam feceris, spero in futurum supplebis. [2] Excusationes nihilominus tuas accipio simul et oblationes complector. Et si qua re opus erit ad te recurram tanquam ad fratrem intimum cui supplicari velim ut mecum ex opposito itidem agat meaque opera fami/48/liariter utatur. Bene et prospere te valere appeto et cetera. Datum Hyadrae die XVIII mensis Novembris 1452. 80.(225) Maffeo Vallaresso a Pietro Foscari Zara, 22 novembre [1452?] M. V. scrive a Pietro Foscari in merito alla vicenda dell sussidio caritativo (per cui vd. ep. n° 12, 13, 31, 52); ha inviato a Venezia un messo per richiedere un formale giudizio sulla questione; spera tuttavia, prima di avviare la causa, che Foscari, resosi conto della situazione, comprenda le motivazioni dell’imposta richiesta da Maffeo. /230/ Ad reverendum dominum P[etrum] Foscari protonotarium apostolicum. [1] Propter frequentia gravamina reverendi domini patriarchae mihi facta ad instantiam dominationis vestrae, necessarium duxi per viam curiae huic rei providere circa factum caritativi subsidii, et cetera. Unde, misso illuc speciali nuntio, obtinui iudices. Verum, cum sperem paternitatem vestram melius informatam per regressum venerabilis domini plebani illam contro­versiam non ultra prosequi debere, sed iustae exactioni cedere, deliberavi nihil innovare neque rescriptum impetratum iudicibus praesentare, nisi prius rescivero quid intentionis habeat dominatio vestra, ut nihil a me praetermis­sum sit, ut me in omnibus honestarem. [2] Nam cum quovis agitare lites odi, tum maxime cum eminentissima dominatione vestra, cui et propinquitate et amicitia domus mea coniuncta est, molestissimum scio. Sed cum ecclesiae meae iurisdictionem defendere tenear, facile vestra dominatio mihi in hac parte veniam dabit, si iure meo uti studeam. Igitur paternitatem vestram rogo ut me litteris suis certiorem faciat velitne cedere an ad ulteriora prosequi. Ego tamen ad beneplacita eiusdem paratus sum, quam feliciter valere cupio. Hyadrae XX Novembris. 81.(226) Maffeo Vallaresso a Francesco Condulmer Zara, 22 novembre [1452?] Francesco Condulmer ha scritto a M. V. che la giurisdizione del castello di Aurana, pertinente alla diocesi zaratina, deve essere risolta per bullas; M. V. lo ringrazia, concorda con lui, ma esplicita che non ha al momento persone da inviare all’uopo in curia, né vuole impegnare denaro per una tale pratica, considerato che infima è la rendita derivata dalla cura del castello. /230/ Ad reverendissimum dominum F[ranciscum] cardinalem Venetiarum. Per quendam famulum meum istuc reversum litteras reverendissimae dominationis vestrae accepi datas XXV Septembris, quarum concinnitate ac humanitate supra modum demoratus sum /231/, gratesque immortales eidem vestrae reverendae dominationi habeo, quod se mihi super facto curae illius castri Auranae paratam complacere scribit rectiusque sentit ut per bullas id negotium exequatur, itidemque et ipse sentio. Verum, quia in praesentiarum nullus adest mihi nuntius qui istinc in curiam recta proficiscatur via, quia etiam dicta cura illius castri parvi aut nullius emolumenti est, interim expectans opportunum ali­quem nuntium, quod super eo facto deliberaverim, significatum faciam reveren­dissimae dominationi vestrae. Nollem tamen in bullis conficiendis magnos facere sumptus, ubi utilitas nulla est, sed ut praedecessorum meorum iurisdictionem conservem, totis viribus invigilare studebo, commendando me in omnibus domi­nationi vestrae reverendae, quam feliciter in Domino valere cupio. Hyadre die XXII Novembris. 82.(46) Maffeo Vallaresso a Marina Donato Zara, 4 dicembre [1452] In seguito alla morte della badessa Foscari, Marina Donato è la nuova badessa del convento di San Zaccaria, eletta con unanime suffragio: M. V. si complimenta con lei, raccomandandole le sue sorelle. /48/ Ad dominam Marinam Donato abbatissam Sancti Zachariae noviter electam. [1] Reverenda domina et in Christo mater devotissima, sal[utem] in vero salutari. Nuper ex litteris domini genitoris mei compertum est mihi qualiter reverenda olim mater et abbatissa domina Foscari deposita gravi sar­cina mortalis corporis migravit ad Christum, receptura laborum suorum immarcessibilem coronam. Ex cuius quidem decessu non mediocriter dolui. [2] Nunc autem eo amplius et cumulatius gaudeo ac consolor ex vestra creatione et ad illud sublime regimen praefectione, quo nihil diffido isti amplis­simo monasterio deinceps iacturae affuturum vestra pervigili prudentia, quin potius spero ob integritatem ac vitae sanctimoniam vestrae omnia in melius reformanda atque universa virtute vestra illustranda. [3] Quapropter non potui me contineri quin has perbreves revererendae maternitati Vestrae scriberem ac denotarem me ita electioni ac promotioni vestrae congratulari, ut nihil hoc tempore iocundius et gratius sentire potuissem. Verum ex ista promotione vestra nihil admiratus sum quasi esset res nova et inexpectata, quoniam ad hoc munus iam diu vos dignissimam omnium ob virtutem vestram existimavi. [4] Illud etiam accidit vestrae laudi et gloriae quod omnes illae venera­biles sorores praeter morem suum nulla discrepante sed maximo consensu summaque concordia in electionem vestram unani/49/miter conspiraverint. Quod fieri haudquaquam potuisset, nisi ille spiritus sanctus pacis ac unitatis concordiaeque largus ac benignus largitor affuisset. Nunc igitur, mater mea in Christo dilectissima ac veneratione colenda, cognoscere debetis, uti credo faciatis, vocationem vestram vestraeque dignitatis gravissimum onus. [5] Et quanto nunc maior ac sublimior ceterisque omnibus estis, tanto humilioraa Quanto maior tanto humilior mg. atque ad serviendum Deo promptior esse debetis, quia ubi crescunt dona ibi etiam crescunt rationes donorum et cetera.bb ubi crescunt dona crescunt rationes donorum mg. Haec autem non ideo dixerim quod credam vobis opus esse adhortationibus meis, quippe quae ab ineunte aetate integerrime ac prudentissime vixistis, sed filiali propter aetatem affectu haec scribere domestice duxi, rogans maternam in Christo pietatem vestram ut me in omnibus vestris dignemini habere commendatum. [6] Meas vero sorores puto superfluum esse vobis recommittere, quas, siquidem ob humanitatem vestram materno affectu perinde ac filias semper dilexistis speroque in futurum non minus facietis, tamen eas vobis ita com­mendatas velim, ut ipsae recognoscant vestrum amorem erga se auctum litte­ris et commendationibus meis. Ego autem et cetera. Valete. Hyadrae IIII Decembris. 83.(224) Maffeo Vallaresso a Ludovico Bertoldo [Zara], s.d. M. V. non ha ricevuto risposta alle missive che ha inviato a Ludovico Bertoldo: perciò gli rinnova con la presente il sentimento della sua amicizia, e, per esortarlo a dargli sue notizie, gli invia un piccolo vaso di fichi. /229/ Ad egregium doctorem dominum Ludovicum Bertoldum. Hoc anno proxime transacto, cum et litteras ad te dederim et rebus quae apud nos reperiuntur visitarem nihil tu ad me rescripsisti. Sed es mihi debitor amodo binarum litterarum. Ego tamen iniuriam ac negligentiam istam tuam ad me scribendi, ascribere potius duxi negotiis tuis quam seorsum ab amicitia et affinitate aliter sentire. Qua re ut habeas scribendi causam, his brevibus allo­qui te statui, simul etiam mitto vasculum ficuum, non satis electorum sed quales hic reperiuntur. Mihi autem siquid tuarum rerum opus erit, ad te recur­ram, utpote amicum, affinem, optimum, quod te ex opposito facturum velim. Vale bene et fauste. 84.(227) Maffeo Vallaresso ad Antonio di Pago Zara, 3 gennaio [1453?] M. V. scrive ad Antonio di Pago, suffraganeo della diocesi di Ossero (cfr. ep. n° 10), il quale gli ha assicurato che gli affittuari di M. V. hanno saldato quanto dovuto e che alcuni chierici hanno finalmente assunto uno stile di vita confacente al loro ruolo; presto M. V. invierà ad Antonio la lettera concernente il suo vicariato, la quale non ha avuto ancora modo di scrivere per le molte sue incombenze; attende di ricevere un pontificale. /231/ Ad reverendum dominum episcopum Auserensem suffraganeum. [1] Redditae sunt nobis paulo ante litterae paternitatis vestrae quibus compertum est nobis vos, quoad fieri potuit, omnem adhibuisse curam ut affic­tales illi nostri debitum exsolverent suum. In quo maxime commendamus vos gratiasque habemus atque iterum rogamus ut de integro sollicitetitis quo ubi primum fieri possit, dictas pecunias habeamus, quia et nos hic sollicitamur et compellimur quodammodo. [2] Quod vero scribit paternitas vestra illos cleri­cos /232/ commendabilius nunc vivere ac virtuosius, iocundissimum nobis fuit eamque laudem certe vobis adiungimus. Et cum semper de vobis ac de pruden­tia vestra optimum tulerimus iudicium ac per hoc vicariatus provinciam pater­nitati vestrae crediderimus, non possumus aliud expectare a clericis illis nostris quam ut ductu vestro laudabiliter vivant in timore domini prout iam ceperunt. [3] Litteras autem vicariatus eidem paternitati vestrae iam misissemus, nisi aliis negotiis tum et solennitatibus istis preoccupati fuissemus. Neque etiam in prae­sentiarum mittere possumus quia visitare ecclesias huius civitatis iam inchoa­vimus post prandiumque eundum est nobis ad ecclesiam beati Symeonis prop­ter quod et primicerius occupatus habetur. Ubi primum dabitur commoditatis facultas mittemus eas, pontificale vestrorum interim expectantes. Valete. Hyadrae III Ianuarii. 85.(300) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 7 gennaio 1453 M. V. ha ricevuto la lettera di Giovanni Scaffa, vescovo suffraganeo di Arbe, che ha letto con molto piacere; non risponde punto per punto, non avendo il tempo; si auguro che la controversia venga presto chiarita (Jelic, 92). /304/ Ad reverendum patrem dominum Io[hannem] episcopum Arbensem suffraganeum. Reverende pater et cetera. Praesentium lator veniens istuc detulit nobis litteras paternitatis vestrae, quas consueta animi iocunditate, ut omnia vestra vidimus ac perlegimus, quibus particulariter non respondemus, tum quia aliis in praesentiarum distinemur curis, prout ab ipso nuntio discere potestis, tum etiam quia super ea materia et cetera. Aliud ad praesens loqui non est necesse. Speramus autem huius rei veritatem ad breve tempus elici posse. Licet nos de paternitate vestra nihil sinistri sentire possimus. Hyadrae, VII Ianuarii 1453. 86.(51) Maffeo Vallaresso a Giovanni Condulmer Zara, 21 gennaio [1453?] Tornato dalla visita apostolica, M. V. ha trovato una lettera del Condulmer, che gli comunica alcune novità (tra cui la nuova commenda di San Gregorio attribuita a un Lando); lo ringrazia e gli augura una rapida promozione. /52/ Ad dominum Iohannem Condulmario subdiaconum apostolicum. [1] Diebus elapsisaa Diebus elapsis] Bonum principium mg. redeunti mihi ex visitatione provinciae meae unae litterae tuae redditae fuerunt quibus valde recreatus sum, tum quod te inco­lumem testantur, tuum etiam quod de novis curiae gestis me participem fecere. In primisque scitu id gratum fuit quod reverendo domino proth.bb .th. ms (prothonotario?). Lando illa abbatia Sancti Gregorii in commenda collata fuerit. [2] Expecto autem ac desiderio desidero ut et tu (nam dignus es) promovearis, nec tamen dubito, si perseverabis sub umbra ista, quin cito tibi de aliqua sponsa et quidem multis dotata bonis provideatur, et cetera. Vale ac me totum tuum, ut semper fui, habeas ac dilige pari lance. Ex Hyadra XXI Ianuarii. 87.(228) Maffeo Vallaresso ad Antonio di Pago Zara, 25 gennaio [1453?] M. V. esorta Antonio di Pago a inviare il denaro di affittuari che gli debbono la decima; se opponessero rifiuto, ricorra anche alla scomunica: M. V. richiede tale pagamento poiché deve esborsare 150 ducati quale tributo richiesto da San Marco. /232/ Ad eundem. Superioribus diebus scripsimus paternitati vestrae, et inter alia potissimum ut faceretis instantiam illis decimariis nostris ut quam primum fieri posset nobis debitam pecuniam persolverent. Nunc de integro illud idem atque idem scribi­mus ut paternitas vestra cum eis acrius a modo agat. Et postquam sunt ita frontis attritae, etiam ad excommunicationis sententiam usque procedatis cum eis. Hoc autem dicimus /233/ quia, ut alias scripsimus, expedit nobis praeter alia gravamina nunc nunc duc[atorum] CL excudere ad instantiam Sancti Marci. Neque hunc calicem evitare aliqua licet via perprimum itaque nuntium vestrum expectamus et dictam pecuniam et pontificale, quod hactenus non misistis nuntiorum (ut credimus) carentia. Interim si opus est vobis aliquo pontificali, mittemus nostrum, quo uti licebit paternitati vestrae ad beneplacita sua, et cetera. Valete. Ex Hyadra die XXV Ianuarii. 88.(230) Maffeo Vallaresso ad Antonio di Pago Zara, 21 febbraio [1453?] M. V. restituisce a Antonio di Pago, suffraganeo della diocesi di Ossero, un libro pontificale, avendone ricevuto un altro dal vescovo di Lesina (ab episcopo Farensi), cioè dal domenicano Tommaso Tomassini; il presbitero Simone restituisce a sua volta un codice della Retorica del Trapezunzio, poiché al momento non è in grado di utilizzarlo (lo stesso presbitero è citato come proprietario di codici dati in lettura a Lauro Quirini alle epistole n° 25 e n° 29). /234/ Ad reverendum dominum Antonium episcopum Auserensem suffraganeum. Hesterna die litteras paternitatis vestrae accepimus nobis semper gratissi­mas et prout scribitis mittimus vobis pontificale vestrum per praesentium latorem presbyterum G., de quo habemus gratias paternitati vestrae, nec opus est ut illud remittatis, quippe cum aliud perfectius et copiosius habuerimus a reverendo patri domino episcopo Farensi. Quod autem dicitis vos Auserum iturum, mementote in vicarium substituere archipresbyterum, cui ecclesiae illius gubernationem dili­genter commendetis. Presbyter Sy[mon] capellanus noster, cum in praesentiarum aliis teneatur /235/ curis, non potest uti codice illo Rethoricarum, verum Trapezunti, decrevit remittere eidem paternitati vestrae, ne interim ob carentiam eius incommodum aliquid patiamini. Ipse autem alii tempori se reservans, quo si indiguerit iterum domestice repetere non dubitabit, et cetera. Hyadrae, 21 Februarii. 89.(47) Maffeo Vallaresso ad Urbano Vignati Zara, 28 febbraio [1453] Non avendo avuto risposta, M. V. scrive nuovamente a Urbano, ricopia la precedente lettera, temendo che essa non gli sia mai stata recapitata. /49/ Ad venerabilem dominum Urbanum Vignati archidiaconum Venetiarum. Superioribus mensibus dedi ad te litteras per quendam germanum illius canonici mei noviter instituti, quem tu /50/ mihi per litteras tuas commenda­tum feceras. Verum, quia nec ille nuntius istuc rediens nec aliquis alius tuas mihi responsivas reportavit, veritus ne illae litterae improbitate cuiuspiam retentae tibi minime redditae fuerint, eas perbreviter replicare duxi. Cum in hac civitate Hyadrae et potissimum in archiepiscopatu meo maxima sit nota­riorum penuria scripsi reverendissimo domino vicecancellario et cetera. Hyadrae XXVIII Februarii. 90.(48) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 1 marzo 1453 M. V. comunica al vescovo suffraganeo Giovanni Scaffa di dover riinviare la visita alla chiesa di Arbe, per recenti gravi accadimenti lì occorsi, sui quali assumerà informazioni per tramite del suo vicario, che vi è stato appositamente inviato (Jelic, 49). /50/ Ad reverendum patrem dominum Iohannem episcopum Arbensem. Quanquam deliberaverimus post festa resurrectionis dominicae proxi­me sequentia, divina favente gratia, nos ipsi per litteras illuc accedere ad visitandum locum illum totamque simul provinciam, tamen, propter scanda­la illa quae ibi superioribus diebus exorta noscuntur, ut satisfaceremus debito iustitiae ac voluntati civium illorum, necessarium duximus ad hoc specialiter illuc mittere vicarium nostrum, qui audire debeat, causamque illam intellige­re, nobis ad tempus visitationis omnia alia reservantes. Valete. Datum Hyadrae, die primo Martii MCCCCLIII. 91.(231) Maffeo Vallaresso a Giusto Gauro Zara, 1 marzo 1453 Avendo saputo di alcuni scandali occorsi nell’isola di Arbe (Raab), M. V. invia lì il suo vicario e lo raccomanda a Giusto Gauro (se è corretta la grafia del nome). /235/ Ad spectabilem dominum Iustum Gauro,aa Gauro dubia lectura, hic et in ep. n° 94; fortasse scripsit Gairo vel Gaurro. Arbi comitem.bb Commendo vicarium meum quem ei illuc mitto mg. Cum propter scandala illa quae ibi dudum exorta noscuntur, cupieri­mus nos ipsi personaliter illuc accedere ut ea purgaremus ac sedata reddere­mus, nec compotes huius voti, ob infinitas occupationes quibus irretimur, ad praesens esse potuerimus, neccessarium duximus illuc mittere vicarium nostrum praesentium latorem, qui suppleat hoc tempore vices nostras. Qui si ope et auxilio indiguerit vestro, rogatum facimus spectabilitatem vestram ut intuitu nostri, favorem ei opportunum in omnibus quibus ab eo requisiti fueritis benigne praestetis, ut maxime iustitia locum habeat et innocentes defendantur, rei autem et qui culpabiles fuerint, puniantur. Reputantes nobis secundum quicquid eidem vicario nostro et cancellario nostro quem una secum mittimus. Vestra faciet spectabilitas, de qua in his maioribusque aliis, nihil dubitamus. Parati et nos ad beneplacita vestra. Valete. Hyadrae 1 Martii 1453. 92.(49) Maffeo Vallaresso a Francesco Condulmer Zara, 14 marzo [1453] M. V. scrive a Francesco Condulmer, ringraziandolo per le epistole ricevute, scritte in diverse occasioni, prova di un’umanità che forse non gli avrebbe saputo manifestare nemmeno lo zio Faustino Vallaresso. /50/ Ad reverendissum dominum, dominum F[ranciscum] vicecancellarium. Nuper accepi, cum omni reverentia qua decuit, litteras vestrae reveren­dissimae dominationis diversis datas temporibus, ad quas respondendum imparem me certo fateor. Nam ita sunt humanitatis /51/ et dulcedinis succo refertae, ut me sibi succumbere cogant. Nescio profecto si dominus Cretensis olim patruus meus superstes hoc tempore esset, an ita mihi humaniter suffi­cienter ac familiariter rescriberet, uti facit dominatio vestra reverendissima ad omnia negotia mea, pro quibus eidem scribere cogor. Pro qua re immortales gratias habeo. Hyadrae XIIII Martii. 93.(232) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 14 marzo [1453] M. V. raccomanda a Marco Barbo frate Benedetto, che gli è stato a sua volta raccomandato dal provinciale dell’ordine francescano in Dalmazia. /236/ Ad venerandum dominum Marcum Barbo.aa Commendatitia mg. Plures dies sunt ac menses quibus non credo aliquid ad vos scripsisse. Hoc ideo quia conveniens nihil accidit. Nunc etiam paucis me verbis expe­diam, ne vos aliis occupatum negotiis morer. Cum venerabilis pater magister provincialis Dalmatiae Sancti Francisci ordinis pro certis negotiis suis iustis ac honestis illuc mittat nuntium istum, videlicet fratrem Benedictum in sacra pagina baccalarium rogaveritque me ut reverendissimo domino meo et vobis commendarem, non possum facere quin ei morem geram ob vitae suae integri­tatem et sanctimoniam. Itaque quantum possum vobis eundem recommissum facio, rogans ut saepe dictum introducatis ad reverendissimum domi­num communem favoremque ei omnimodo in suis iustis petitionibus exhibeatis ac etiam exhiberi faciatis. Quod si feceritis, gratissimum erit et ad magnum id adscribam beneficium. Valete ac me totum vestrum, ut semper fui, habete dili­giteque pari lance. Ex Hyadra XIIII Martii. 94.(233) Maffeo Vallaresso a Giusto Gauro Zara, 30 marzo 1453 M. V. ringrazia Giusto Gauro (ma per la grafia del nome cfr. ep. n° 91) per l’aiuto fornito al suo vicario. /236/ Ad spectabilem dominum Iustum Gauro Arbi comitem. Ex litteris vestris accepimus quantum intuitu nostri favere vicario nostro studueritis ut iustitiam audacter ministrare posset, prout etiam ipse­met nobis ad os retulit. Quare spectabilitati vestrae plurimas habemus gratias, ac ex opposito paratos nos ad beneplacita vestra offerimus. Plura scribere dierum celebritas ac officiorum divinorum non /237/ patitur. Valere vos feli­citer optamus. Datum Hyadrae die XXX Martii MCCCCLIII. 95.(301) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 30 marzo [1453] M. V. scrive ancora a Giovanni Scaffa, per dirgli che il vicario, rientrato da Arbe, gli ha esplici­tato la situazione; M. V. è felice di sapere che Giovanni ha ristabilito la propria autorità; gli raccomanda ancora di essere cauto, per evitare il morso dei suoi denigratori; gli scriverà più dif­fusamente terminate le celebrazioni liturgiche. /304/ Ad eundem. Regressus istuc vicarius noster una cum comitibus suis /305/, ut sese habuit causa vestra sufficienter nobis declaravit, remque ordine dixit, quo circa non mediocrem voluptatem accepimus, tum quod iustitia suum habuit debitum, tum quod paternitas vestra tantis erepta curis ad culmen honoris sui restituta aliquantulum consolata sit. Amodo eandem paternitatem vestram hortamur et obtestamur ut deinceps cautius incedat tam cum laicis quam cum ipsis clericis, ut non de integro tale incidatis inconveniens, et ut obtrec­tatores oblatrandi causam non habeant, quanvis difficile sit eorum effugere morsus. In praesentiarum scribere diffusius temporis celebritas et officiorum divinorum prohibet, ad tempus visitationis reservantes. Bene valete interim ac pro nobis orate. Hyadrae 30 Martii. 96.(303) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 28 aprile 1453 M. V. scrive rapidamente ad Andrea Conti affinché, insieme al fratello Giovanni, faccia in modo che Pietro Barbo si degni di rispondere alla lettera che M. V. gli ha inviato. /306/ Ad dominum Andream de Comitibus doctorem. Angustia temporis dat causam breviter ad te scribere et id quod scribere duxi non magni tibi fore laboris spero. Oh, quam, si ita esset, laeto animo subires, perinde ac ego tui amore facere non vererer. Res habet se ita. Scribo litteras reverendissimo domino meo super quodam negotio non mediocris ponderis et cetera. Quare confisus tua exactissima in omnibus rebus diligen­tia ac sollicitudine eam rem tibi commendare non dubitavi, rogans ut p[ari]ter cum praelibato domino Io[hanne] curam tuam adhibeas ut super his lit­teris mihi reverendus dominus meus respondere dignetur. Quam responsio­nem per Venetias aut aliqua tutiori via mihi transmittas. Vale, Hyadrae XXVIII Aprilis 1453. 97.(60) Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso Traù, 30 giugno [1453] Giovanni Sobota gli raccomanda Stefano Gige, le cui giuste ragioni potranno essere facilmente difese nel dibattimento che lo riguarda (Jelic, 52). /57/ Iohannes Sobotae Mapheo archiepiscopo Hyadrensi.aa Commendatitia et digna epistola mg. [1] Multis de causis, vir clarissime, Stephanus Gige a me et diligitur et amatur. Qua ex re maiorem in modum te rogo atque etiam rogo, ita illum suscipias, ut intelligat meam commendationem apud te tantum et ponderis et auctoritatis habuisse, quantum scribens confidebam. [2] Habet causam (ut opinio mea fert) iustam et virtute tua dignissimam, umbra tantum tui prae­sidii facile defendi poterit. Et quia virtus tua praeclara, in multis magnisque rebus mihi cognita ac spectata est, sibi suasi ut omnem spem in singulari ac prope divina virtute tua ponat, nec aliunde auxilium praesidiumve speret. Vale, et vivens gloria tua fruere. Ex Tragurio, pridie Kalendas Julii. 98.(234) Maffeo Vallaresso a Giusto Gauro Zara, 2 luglio [1453] M. V. raccomanda a Giusto di parlare solo dello stretto necessario, e così facciano anche i suoi ufficiali, in modo tale che gli altri prendano esempio del timor di Dio (ma il testo è oscuro causa i sottesi non esplicitati). /237/ Ad eundem. Ultimo Iunii litteras spectabilitatis vestrae accepimus quas laeto animo vidimus. Et quia dicitis durum esse vobis et officialibus vestris abstinere ab excommunicatione, placet nobis ut spectabilitas vestra cum eis conversetur. Sed eandem hortamur ut non nisi in rebus necessariis cum ipsis loqui et conversari velit, ne aliter facientes videamini in ecclesiae contemptum facere, quod absit a religioso pectore vestro. Itidem dicimus de officialibus vestris, ut quam pariter fieri possit, solummodo in rebus valde necessariis cum eis loquantur, ut ceteri inferiores videntes hoc a vobis et officialibus vestris obser­vari, bonum exemplum timoris Dei capientes, non repugnent sanctae matris ecclesiae, ut nobiles illi facere videntur. Valete. Hyadrae II Iulii. 99.(52) Maffeo Vallaresso a Stefano abate Zara, 3 luglio 1453 M. V. ha avviato un procedimento avverso il primicerio di San Marco (cfr. ep. n° 80), chiede perciò a Stefano, abate di San Nicolò di Sebenico, il quale si trova momentaneamente a Spalato, di tornare a Sebenico per presiedere con il vescovo della città al dibattimento (Jelic, 50). /52/ Domino Stephano abbati Sancti Nicolai Sibenicensis. [1] Cum exploratum mihi esset vos iam diu magnifico domino genitori meo amicitiae vinculo alligatum, praeterea etiam bona fama probitatis et aequitatis vestrae dedit mihi fiduciam, ut causam certae differentiae, quam cum domino primicerio Sancti Marci Venetiarum per apostolica scripta committi facerem,aa causam ~ facerem anacoluthon videtur (omissio verborum suspicanda). reverendo patri domino episcopo Sibenicensi et vobis credens, quod Sibenici essetis ac moraremini. [2] Sed cum modo nuntiatum mihi esset, paternitatem vestram Spalatibb Spalati] Spaleti ms. morari, mittens Sibenicum germa­num meum dominum Iacobum pro supradicta et aliis causis, decrevi ut Spalatumcc Spalatum] Spaletum ms. quoque se trans/53/feret, et vos in praefata causa tanquam ore meo plenius conformaret, cui integram in omnibus praestare fidem ac si mihi ipsi potestis. [3] Quare si absque incommodo vestro fieri potest, rogo pater­nitatem vestram, ut se transferat Sibenicum et una cum reverendo patre domino episcopo adesse velit in iudicio dictae causae; quod mihi gratissimum admodum erit. Paratus et ego ad quaeque iocunda ac beneplacita vestra; quam bene valere opto. Hyadrae, die III Iulii 1453. 100.(53) Maffeo Vallaresso a Giorgio, vescovo di Sebenico Zara, 3 luglio 1453 M. V., ricordandogli l’amicizia che lo lega a suo padre, chiede a Giorgio, vescovo di Sebenico, di intervenire nella causa che lo contrappone al primecierio di San Marco, così come ha fatto con l’abate di San Nicolò; non esplicita i particolari della vicenda, che gli saranno chiariti da Giacomo, latore della lettera (Jelic, 50-51). /53/ Ad reverendum patrem dominum G[eorgium] episcopum Sibenicensem.aa Do notitiam cuiusdam causae meae sibi commissae mg. [1] Cum quandam satis levem differentiam habeam cum domino pri­micerio Sancti Marci Venetiarum, fretus ea familiaritate et amicitia quam habet magnificus dominus genitor meus cum paternitate vestra, tam bona fama aequitatis vestrae, commiti feci praefatam causam eidem paternitati vestrae ac domino abbati per apostolica scripta, [2] ut a germano meo domi­no Iacobo praesentium latore perdiscere potestis, quem illuc ad paternitatem vestram mitto, ut huic negotio detur principium aliquod, cui plenariam in omnibus tanquam mihi ipsi fidem eadem paternitas vestra praestare velit. [3] Et quia ad ipsum me remitto, qui ore proprio vos cumulate informabit, de dicta causa nihil scribere existimavi. Quocirca rogatam velim eandem pater­nitatem vestram, ut onus mei amore sumere placeat, uti et ego pro vobis facerem, declarando quod non aliud nisi decus et honorem ex hoc assequi poterit, cum sit res facilis ac luce meridiana /54/ clarior. Paratus et cetera. Datum Hyadrae die III Iulii 1453. 101.(54) Maffeo Vallaresso a Felice da Spalato Zara, 3 luglio 1453 M. V. approfitta del viaggio di Giacomo a Scardona (Skradin), per affidargli un biglietto di saluto indirizzato al vescovo di quella città, Felice da Spalato (Jelic, 51). La medesima lettera è replicata come ep. n° (302) nell’ordinamento del ms.; fra i due testi intercorrono sensibili varianti (di cui si dà conto in apparato), le quali indicano come la redazione prima copiata alla pagina 54, quale n° (54), sia ‘brevior’ rispetto a quella copiata alla pagina 305, quale n° (302) del ms. /54/ Reverendo patri domino Felici episcopo Scardonensi.aa Reverendo patri domino Felici episcopo Scardonensi] Ad reverendum patrem dominum Felicem episcopum Scardonensem n° (302). Etsibb Etsi] Reverendissime pater et cetera. Etsi n° (302). nihil dignum occurratcc occurrat] accidat n° (302). quod mihi scribendum sit,dd quod mihi scribendum sit] quod mihi scribendum sit ad paternitatem vestram n° (302). cum tamen illuc esset profecturusee profecturus] iturus n° (302). germanusff germanus] frater n° (302). meus dominus Iacobus non fui passusgg non fui passus] non sum passus n° (302). eum abire vacuum litteris meis ad paternitatemhh litteris meis ad paternitatem] litteris ad eandem paternitatem vestram n° (302). vestram et cetera.ii et cetera] cui notifico me et omnes meos bene valere, itidem ex vobis ac vestris desiderare n° (302). Valete in Domino, et me ut hactenus fecistis diligite.jj et me ut hactenus fecistis diligite] ad commoda et beneplacita sua paratum ne dubitet meque ut hactenus fecit diligat n° (302). Ex Hyadra, die III Iulii MCCCCLIII. 102.(235) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 3 luglio 1453 M. V. comunica a Giovanni Scaffa, vescovo suffraganeo di Arbe, di aver dato il suo consenso ad una donna per un pellegrinaggio ad Assisi. /237/ Ad reverendum patrem dominum Io[hannem] episcopum Arbensem suffraganeum. Dum Arbi essemus ecclesiamque Sancti Cristophori visitaremus, mulier illa quae apud eandem ecclesiam est inclusa permaxime nos molestavit ut eundi Assisium pro sua devotione sibi licentiam concedere dignaremur. Cui quantum potuimus dissuasimus ipsi licentiam, nullam tunc concedentes. Nunc autem variis viis nobis supplicare non desinit ut optatum votum adim­plere /238/ possit, unde humilibus eius precibus annuentes et ad nimiam devotionem sui itineris nostrum inclinantes animum licentiam sibi gratiose concessimus. Quare paternitatem vestram de hoc advisandam duximus ad hoc, ut, cum iter arripere voluerit, nullam sibi molestiam inferre debeat et quod desiderium suum cum devotione adimplere valeat. Ex Hyadra die III Iulii MCCCCLIII. 103.(56) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 8 luglio [1453] M. V. raccomanda a Pietro Barbo suo fratello, senza indugiare in preghiere, che sarebbero prolisse nei rispetti di un patrono da cui sa di essere amato oltre i suoi stessi meriti (Jelic, 51: excerptum). /54/ Reverendissimo domino meo P[etro] cardinali Sancti Marci. Commendaturus vestrae reverendissimae dominationi causam unius fratris mei longis uterer principiis ac prolixis precibusaa Commendaturus ~ precibus] Bonum principium mg. nisi mihi persuaderem me atque meos diligi ultra merita nostra etiam cum eadem /55/ posse loqui conferreque domestice de rebus opportunis, uti facere debent fidi servitores cum optimo ac benignissimo domino suo. Causa vero talis est, quae fortassis reverendissimae vestrae dominationi iam nota est. Accidit fere biennium quod germanus ipse et cetera. Valete. Datum Hyadrae die VIII Iulii. 104.(57) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 17 luglio [1453] Essendo gravato da molti impegni, M. V. chiede al Barbo di supplicare il pontefice perché gli conceda di rinviare al triennio successivo la sua visita apostolica; auspica peraltro di visitare presto sia Barbo sia il pontefice stesso. /55/ Ad eundem reverendissimum dominum meum. Cum sciam me iure honestatis ac debiti vinculo obstrictum de triennio in triennium apostolorum limina visitare, quod in praesentiarum multis modis irretitus curis facere nequeo, id circo vestram reverendissimam domi­nationem supplex rogo ut dignetur supplicare Sanctissimo nostro domino ut mihi ipsius in aliud usque triennium prolongetur,aa ut mihi ~ prolongetur] Quod visitandis liminibus tempus mihi prolongetur mg. ne angar scrupulo con­scientiae propter ius iurandum. Mihi autem nil magis est curae quam et sanctitatem domini nostri et vestram reverendissimam dominationem visitare si facultas dabitur. Speroque in brevi huius desiderii me fore compotem et cetera. XVII Iulii Hyadrae. 105.(59) Maffeo Vallaresso a Francesco, vescovo di Veglia Zara, 18 luglio [1453] M. V. ha ricevuto una lettera dal vescovo di Veglia: se le cose lì scritte sono vere, vanno lodate e approvate; chiede tuttavia che il vescovo si presenti a lui, essendo numerose le voci di accusa a suo carico; potrà venire in occasione della festa di San Simeone, in modo tale che la sua visita non sollevi maldicenze (Jelic, 51-52). /56/ Reverendo patri domino F[rancisco] episcopo Veglensi. [1] Archipresbyter et vicarius paternitatis tuae attulit nobis litteras tuas quas laeto vidimus animo, licet adventus tuus ad nos magis ad propositum extitisset. Et quia nihil aliud scribit paternitas tua, nisi ea quae faciunt partim ad defensionem contra obtrectatores ut dicis tuos, partim ad vitae tuae com­mendationem, nos qui coram plura tecum conferre necesse habemus, quae honestius ac melius viva tractantur voce, quam per internuntios et epistolas, quid potissimum rescribere debeamus, non videmus, nisi quae ipsa paternitas tua scribit, si vera sunt ut asserit, commendare et approbare. [2] Sed cum simus in eo gradu constituti, ut non solum de vilicatione vestra, verum etiam de cuiuscunque humeris nostris impositi vita ac moribus rationem reddereaa reddere] deddere ms. coram Cristo Iesu teneamur,bb cum simus in eo gradu constituti ~ rationem reddere coram Cristo Iesu teneamur] tenemur reddere rationem vilicationis omnium subditorum nostrorum mg. nefas esset ut surda inceda­mus aure et velatis oculis subditorum dissimulemus errata. Neque hoc dixe­rimus, quod aliquid sinistri de tua paternitate facile credamus, quanquam universitati credere non posse difficillimum sit. [3] Verum enim magnificus ille dominus et paternitas tua propriis nuntiis oravit nos ut mandatum quo iniunximus tibi ut ad nostram praesentiam infra unum mensem post adven­tum tuum ex Venetiis te reciperes causa honoris tui remissum faceremus; non possumus non gerere morem, et ex aliqua complacere parte, maxime cum amore illius nos esse obstrictos cognoscamus. Itaque contenti sumus ut adventus ad nos /57/ tuus aliquantulum differatur. [4] Et si id honeste fieri posset, rem totaliter omissam faceremus. Verum, quia conscientiae urgemur aculeis, paternitatem vestram hortamur in Domino, monemus ac eidem per praesentes iniungimus, ut omnino se transferat ad nostram praesentiam sal­tem circa diem festum Sancti Symeonis, quo tempore erit vobis honestissima causa, nequis ex improbis mussitare possit. Valeat in Domino paternitas vestra, cuius precibus ad Deum nos recommitti cupimus. Hyadrae XVIII Iulii. 106.(61) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 29 luglio [1453] M. V. accoglie le scuse di Giovanni, che gli ha risposto con ritardo; lo esorta a vivere con benevo­lenza, sia con i laici, sia con i chierici (Jelic, 52). /57/ Reverendo domino Io[hanni] episcopo Arbensi. [1] Accepimus litteras paternitatis tuae per N., quibus se excusat nostris /58/ illico responsum ideo non dedisse, quia nuntii defuerunt, licet quidam presbyter Christophorus Hyadram iter arripuerit tibi inscio. Ad quas ita respondemus: excusationem tuam nobis admissam. [2] Hortamur autem in Domino paternitatem tuam, ut tam cum laicis quam cum clericis benigne vivat, prout decet ministrum Christi et pastorem animarum. Quod si ita feceris, nemo eritaa nemo erit nemo erit ms. qui sit tibi timendus, nisi solus Deus et cetera. Vale in Domino. Ex Hyadra XXVIIII Iulii. 107.(236) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Giustiniani Zara, 31 luglio 1453 M. V. comunica a Lorenzo Giustiniani di aver ricevuto la lettera credenziale recata da Antonio vescovo di Ossero; il padre di M. V. chiarirà al patriarca quanto M. V. ha in merito concepito. /238/ Reverendissimo domino Laurentio patriarchae Venetiarum.bb Litterae credentiales mg. Superioribus diebus venit ad me reverendus pater An[tonius], episcopus Auserensis, cum litteris reverendissimae dominationis vestrae credentialibus, quem ob reverentiam eiusdem libentissime vidi et quae mihi ex parte domina­tionis vestrae exposuit bene intellexi. Super quibus magnificus dominus genitor meus relationem faciet eidem. Nam sibi plenarie scripsi et quid voluntatis habeam declaravi. Si quid autem interim possum pro commodo et honore reverendissimae dominationis vestrae, licet parum possim, promptum para­tumque me offero. Hyadrae ultimo Iulii. 108.(237) Maffeo Vallaresso a Fantino Dolfin Zara, 1 agosto 1453 Sono stati posti in vendita i beni di un presbitero di Pago; il ricavato va consegnato a M. V., il quale provvederà quindi a impiegarlo saldando debiti, conferendo una quota al cancelliere di Pago e a tutti gli altri creditori, per quanto spetta a ciascuno. /238/ Spectabili domino Fan[tino] Delphino Pagi comiti. Ex relatione Bla[sii] dis[erte] intelleximus qualiter spectabilitas vestra omnino deliberaverit bona stabilia presbyteri G. vendere, allegando id vestri esse fori secundum nonnullorum statutorum vigorem. Super qua re nos dili­genter considerantes, videtur nobis haec honesta via, qua mediante tam iuris­dictio vestra quam nostra in suo gradu permanebit, verum ut spectabilitas vestra praefata /239/ bona stabilia vendat ad libitum suum. Sed venditionis tractum praedictorum bonorum, quia efficitur mobile, de iure ad nostrum forum converti debet. Itaque hortamur vos ut tractum dictorum bonorum vicario nostro consignare velitis ad requisitionem nostram. Et nos de praefatis bonis et aliis quae sunt penes eum, satisfaciemus primum debitis camerae, deinde cancellario vestro et omnibus aliis pro rata creditoribus cuiuscumque secundum vestram taxationem, nec dubitamus hunc modum honestissimum spectabilitati vestrae non placere, quae intelligit aliter fieri non posse. Valete. Ex Hyadra die primo Augusti MCCCCLIII. 109.(62) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 8 agosto [1453] Relativamente al contenzioso che lo oppone a Filippo Foscari, M. V. ringrazia il cardinale Pietro Barbo di averlo difeso dalle insinuazioni dell’avversario, il quale, pur dopo un accordo concordato e siglato a Fabriano, ordisce nuove mosse a suo danno e rinfocola il contenzioso; il Barbo ha sancito che M. V. versi all’avversario 104 ducati; M. V. giudica positivamente il provvedimento, perché ispirato a sua stessa tutela (Jelic, 53). /58/ Reverendissimo domino meo domino Petro cardinali sancti Marci. [1] Heri vespere accepi litteras reverendissimae dominationis vestrae consueta animi iocunditate, quas ubi legi, absque mentis angore remansi; admirans technas et fallacias illius boni viri, quibus semper utitur ad alios circumveniendum, nec est veritus queri de me falsa pro veris dominationi vestrae reverendissimae suggerendo. Noverit eadem dominatio vestra qualiter iuxta illam primam determinationem et compositionem vestram Fabriani factam inter ipsum scilicet dominum Phi[lippum] Fos[cari] et me sibi satisfatum esse ad unguem. [2] Et licet credebam omnes differentias nostras illa prima compositione sopitas, ipse tamen qua est probitate usus postquam reverendissima dominatio vestra Venetias venit, nova bella movit, alias suscitat lites, compositores obtundit aures, quo factum est ut reverendis­sima dominatio vestra se ab eius fastidiosa et importuna fiagitatione expediret et ut me totaliter ab eo liberaret, [3] usa mecum quadam securitate, condem­navit me centum et quattuor ducatis quos eidem domino Phi[lippo] persol­vere deberem, cui deliberationi ac sententiae ego me humiliter /59/ summisi, sciens quod ipsa dominatio vestra id fecerit ad finem bonum, licet non dubi­tem et cetera. Valeat dominatio vestra. Hyadrae VIII Augusti. 110.(63) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 25 agosto [1453] M. V. scrive nuovamente al cardinale Pietro Barbo, il quale ha ricevuto informazioni errate sul suo conto dal vescovo di Nona, e proprio perciò ha assunto nei suoi confronti un atteggiamento di sospetto; per chiarire l’equivoco, ha convocato il vescovo di Nona, leggendogli una lettera del Barbo stesso, concernente la questione relativa alla esenzione della abbazia di San Crisogono (Jelic, 53). /59/ Ad eundem reverendissimum dominum meum. [1] Nuper accepi unas litteras reverendissimae dominationis vestrae, quas, ubi legi, non potuit mihi non moveri animus a sede sua, intelligendo nonnulla de me falsa subsibilata fuisse auribus suis, adeo ut a multo tempore citra ipsa dominatio vestra non bene sincero animo sese adversum me habue­rit ob istas malas frequentesque informationes. Verum considerans innocen­tiam meam et conscientiam recte factorum, quorum recordatio suavissima est, revocans animum aliquantisper me ipse consolavi eo maxime quo anima tantum angebar, nescius eius quis esset, qui me clam a tergo carperet et in odium duceret apud tantum dominum meum. [2] Nunc ergo intelligens talium auctorem fuisse reverendum patrem dominum episcopum Nonensem, cui ob reverentiam reverendissimae domi­nationis vestrae semper honor et humanitas omnis a me exhibita est, opere pretium fore duxi si me et apud eandem et coram ipso etiam domino episco­po de eo quod mihi impegit purgarem ne si hoc tacuissem vel assensisse videar, vel (quod absit!) in contemptum dixisse. [3] Hodie itaque, praemissis praecibus, praefato domino episcopo ut ad me veniret affeci. Similiter magnificum dominum comitem huius civitatis rogavi, ut una et ipse veniret, quos simul cum quibusdam ex nostris nobilibus in secretum cubiculum respectu honoris ipsius domini episcopi mecum duxi. Quibus coram legi feci litteras vestrae reverendissimae dominationis eidemque domino episcopo dixi /60/ ut, si quid umbrae de me haberet, quod ego moleste feram, exemptionem monasterii Sancti Grisogoni r[everendissimae] d[ominationi] v[estrae], prout ipsa scribit et cetera. Prolixius quam forte debue­ram scripsi, vestramque reverendissimam dominationem rogo, ut mihi ignoscat quia multa dicere paucis verbis nescio et cetera. Valeat dominatio vestra. Ex Hyadra XXV Augusti. 111.(64) Maffeo Vallaresso a Niccolò Dalle Croci Zara, 31 agosto [1453] Nicolò Dalle Croci non ha risposto alle due precedenti missive di M. V., tuttavia quest’ultimo ha ricevuto indirettamente dal padre le scuse di Nicolò; lo perdona dunque volentieri, soprattutto perché è consapevole di quanto egli si stia adoperando in suo favore. /60/ Domino Nicolao a Crucibus domini patriarchae Venetiarum Vicario. Cum sciam te mihi binarum litterarum debitorem, moleste ferrem hanc tuam taciturnitatem, nisi magnificus dominus genitor meus certiorem me litteris suis fecisset a te excusationem cur non rescripseris apud eum fac­tam fuisse, qua ego aequo animo libentissime admitto, maxime cum apertissime videam te actione ipsa officii potius quam verbis fovere amici­tiam, et cetera. Quocirca habeo tibi immortales gratias molesteque fero pro tantis meritis condignas vices in praesentiarum respondere non posse, tamen ab animo nequaquam talia evadent et cetera. Vale. Hyadrae ultimo Augusti. 112.(304) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 24 ottobre [1453] Pietro Barbo senz’altro desidera conoscere ciò che succede in Oriente (Romania), e poiché un messo è in partenza per Roma, M. V. gli riferisce quanto ordiscono i Turchi [1]. Un vascello è giunto ieri, destinato a Venezia dai rettori di Corfù, con lettera di Giacomo Loredan; il vascello si è fermato a Zara, si è saputo così che i Turchi preparano una ingente armata (di cui è descritta la composizione) per assaltare l’Eubea (Negroponte) [2]; presso Tenedo c’è una flotta di navi da carico genovesi: pare che le postazioni dei genovesi si siano accordate coi Turchi, o perché in inferiorità militare, o per qualche altro deprecabile proposito [3]; avendo saputo ciò, il capitano (Loredan) ha tenuto presso di sé le triremi commerciali (negotiatorias) di Beirut, Alessandria e Cipro, nonché navi apprestate per la vendemmia, e molte altre, fino a raggiungere una flotta di 32 triremi [4]; con una flotta di oltre 60 navi attende il nemico di fronte all’Eubea, né teme di attaccar battaglia, quantunque le dodici grandi navi dei genovesi siano temibili [5]; il capitano ha inoltre arruolato cinquemila arceri dall’isola di Creta a difesa dell’Eubea [6]. /306/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Reverendissime in Christo pater et domine et cetera. Non dubito quin reverenda dominatio vestra, proaa pro add. mg. animi sui generositate, quotidie, ut ita loquar, sitiat earum rerum quae in Romania geruntur fieri certior. Et licet non desint fortasse plures qui ei vel referant vel scribant quae dietim tam a Teucro quam a nostris fiant, occurrens tamen mihi nuntius curiam petiturus, par visum est ea reverendae dominationi vestrae insinuare quae ad praesens contingunt. [2] Heri vespere appulit hunc unus grippus, ad illustrissimum domi­nium destinatus a rectoribus Corfiensibus cum litteris magnifici domini Ia[cobi] Laur[edani] eius capitanei, qui quidem grippus, etsi acceleraret iter suum, hoc tamen ad os /307/ rettulit videlicet quod Teucer expedierat ingen­tes copias sexaginta fere milia equitum, classemque maritimam multam, nimis centum videlicet et sexaginta velorum, naves quoque onerarias ingentes et munitissimas circiter XII. Hunc omnem potentatum contra et adversus Nigropontem dirigit. [3] Terrestres copiae non longe absunt a Nigropontem. Classis vero navalis prope insulam Thenedos notissima fama. Illae naves one­rariae iuxta relationem nautarum illius grippi feruntur esse Ianuensium. Nam et Chium et Mitilene et alia eorum loca cum Teucro consensisse dicuntur, sive id fecerint timore coacti (vires enim eius nimium sunt), sive alio ducti consilio, orribile dictu est mihique incredibile, quanquam id quoque asseren­do aiunt praefata Ianuensium loca levasse Teucri insignia. [4] Haec omnia suprascripta explorata habens capitaneus noster auxit classem suam et ipse quoad potuit triremes negotiatorias Baruti, Alexandriae et Cypri aliasque multas apud se retinuit. Naves quoque de vindemiis Candidae et omnes alias subditorum illustrissimi d[ominii], quas colligere potuit, sequi se iussit. Itaque egregie munitus cum tota classe triremum videlicet duarum ac trigin­ta. [5] Navium quoque ultra sexaginta expectat hostem in fronte insulae Nigropontis neque conserere manum veretur, quanquam non minima ex parte naves illae ingentes XII quae asse/308/runtur Ianuensium, ei formidolo­sae habeantur. De cetera autem classe barbarica aut nihil aut parum curat. [6] Conflictus iste, qualis futurus sit, qualemque exitum sortiri debeat pro certo nescitur. Spes tamen optima est et in Deo qui non derelinquit sperantes in se, et in potentia sua gloriantes humiliat. Et in maturis consiliis strenui capitanei, qui etiam ultra supradictam provisionem fecit delectum arcuariorum seu sagittariorum quinque milium ex insula Cretensium, quos potuitaa potuit et ms1 : del. et ms2. in Nigroponte pro defensione civitatis et insulae. De his satis etc. Longior in scribendo fui quam vellem, sed rei materia causam dedit. Itaque valeat reverenda dominatio vestra bene ac prospere. Hyadrae XXIIII Octobris. 113.(305) Maffeo Vallaresso a Ermolao Barbaro Zara, 4 novembre [1453] Se M. V. non ha scritto a Ermolao Barbaro, ciò non è causato da incuria, ma dai troppi impegni e dal fatto che non c’era nulla di interessante da riferire [1]; M. V. sta facendo riassettare il palazzo arcivescovile: ci sono alcune zone che devono essere decorate; nulla di meglio, come sog­getto, delle così dette Feste romane (probabilmente quelle che certo Donatello dipinse nel Palazzo vescovile di Treviso, andate perdute); poiché gli artisti che lavorano a Zara non intenderebbero bene il soggetto, Ermolao faccia in modo che Donatello abbozzi in un foglio di carta due o tre scene, aggiungendo anche i colori; consegni quindi al padre di M. V. il bozzetto, il quale provve­derà ad inviarlo a M. V. [2]; ringrazia Ermolao, dicendosi sempre pronto a compiacerlo [3] (l’epistola è da tempo nota e citata: cfr. Serena 1912, 309 e 394; Gentili 1985, 18; Dempsey 2001, 8; Rolfi Ozvald 2015, 827-881: 865, con riproduzione del f. contenente la lettera, 881, tav. VIII). Si veda quanto criticamente scritto, al proposito di questa lettera, da Melchiorre nel saggio introduttivo della presente edizione (pp. 56-57). /308/ Ad reverendum dominum Hermolaum episcopum Tarvisinum. [1] Reverende pater et cetera. Quod ad vestram dominationem tam raro scribam, non est quod incuriae aut oblivioni mihi vitio detur,bb Bonum principium mg. quippe cum eandem dominationem vestram ob eius in me maxima humanitatis offi­cia frequenti memoria prosequar et colam, tum, propinquitate consanguini­tatis constrictus, singulari complectar benivolentia. Vero enim vero huius mei tam diuturni silentii causa fuerunt occupationes meae, deinde quod ad scribendum nihil se dignum obtulit. Nunc etsi nulla gravi causa motus ad scribendum venerim, spero tamen quod dominatio vestra graviter non advertet /309/ cum potissimum id fecerim ut et me memoriam vestri cui teneor observare demonstrem et ad scribendum etiam vos lacessam. [2] Cum in praesentiarum in palatio archiepiscopali fabricari faciam sintque nonnulae quae levi pictura in ea fabrica decorari flagitant, non video quid honestius ac decentius pingi possit quam id quod vulgo Festae Romanae dicitur, quod picturae genus, cum istis artificibus aut declarare nesciam aut ipsi capere animo nequeant, oratam velim reverendam dominationem vestram ut Donatellum iubeatis vestrum instar illarum quas in palatio vestro ipse depinxit, duas tresve in uno papiri folio effingere, in scriptis diversorum ani­malium capitibus, additis etiam coloribus, ita ut ad imitandum exemplar nulla prorsus sit difficultas. Idque ubi citius et commodius fieri potest, magnifico domino genitori meo transmittatur, qui statim et ipse ad me transmittet. Quod si forte visum fuerit excellenti paternitati vestrae hoc a me liberius ac familiarius quam par est postulatum, ascribatur id velim maximae humanitati vestrae. [3] Qua tamen fretus vel de infimis rebus scribere non sum veritus. Tantum enim ipse mihi tribuo ut cum dominatione vestra secu­re ac domestice ac si cum patre optimo de omnibus agere et conferre sermo­nem non verear. Illud etiam periocundum admodum putabo, si quid domi­natio vestra quod eam delectet, /310/ humeris iniunxerit meis, quod ego amplo et hilari animo ita complectar ut nihil tam difficile possit quin ego sub fasce alacris incedam. Valeat reverenda dominatio vestra. Hyadrae pridie Nonas Novembris. 114.(65) Maffeo Vallaresso a Giorgio, vescovo di Sebenico Zara, 26 novembre 1453 M. V. chiede a Giorgio di testimoniargli per iscritto la probità di Giovanni, custode del convento di San Francesco di Zara, sul quale gravano voci calunniose e infamanti (Jelic, 54). Cfr. l’ep. n° 144 del giugno 1454 nella quale informa che i frati conventuali zaratini sono stati espulsi dal loro convento, e che nei loro confronti è stata perpetrata una violenza. /60/ Ad reverendum patrem dominum Georgium episcopum Sibenicensem. [1] Cum fratres conventuales Sancti Francisci de Hyadra a nonnullis vexentur ac diffamentur aemulis et obtrectatoribus suis, asserentibus plerosque eorundem fratrum impudentem agere atque olim actitasse vitam, inter quos etiam includunt fratrem Iohannem nunc guardianumaa guardianum nunc ms1 : del. nunc ms2. Sancti Francisci de Hyadra, [2] rogamus paternitatem vestram ut, quia de dicto fratre Iohanne plenam (ut ipse asseruit) notitiam habetis qualem Sibenici tanto /61/ tempore duxerit vitam, iuxta notitiam vestram et aliorum testimonium ab extra nobis intimare velitis per litteras vestras, [3] maxime quoniam per apostolica man­data nobis iniunctum est super diligenti inquisitione eorundem moribusque vitae, parati et nos ad quaeque grata et beneplacitabb beneplacita quia (ut vid.) ms1 : del. quia ms2. vestrae, cuius orationibus nos adiuvari desideramus. Valete. Ex Hyadra die XXVI Novembris MCCCCLIII. 115.(306) Maffeo Vallaresso a Tommaso Tomassini Zara, 30 novembre 1453 M. V. ha ricevuto una lettera da Tommaso Tomassini, vescovo di Lesina, ha ritardato nel rispondere, non per negligenza, ma perché non sapeva dove si trovasse Tomassini, il quale è gravato di troppi impegni, che tuttavia sono assunti a gloria della religione cristiana. /310/ Ad reverendum patrem dominum Tho[mam] episcopum Pharensem. Reverende pater et cetera. Superioribus diebus accepi unas litteras paternitatis vestrae per N. praesentium latorem. Ad quas quod non rescripserim tam cito quam erat conveniens, non alicui negligentiae aut oblivioni paternitas vestra imputet, sed potius incertitudini mansionis vestrae. Non enim exploratum habebam ubi maneret excellens paternitas vestra, quae tot curis toto ferme anno implicita, nullam quietis sedem consequi potuit. Sed istaecc istae] istech ms. vestrae curae et sollicitudines, quantum pro augmento et conservatione Christianae religionis impenduntur, sanctae nimirum et gloriosae sunt et cetera. Valeat paternitas vestra feliciter meque sibi paratum teneat. Hyadrae, pridie Kalendas Decembris 1453. 116.(66) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Giustiniani Zara, 5 dicembre [1453] M. V. ha differito fin qui di scrivere al patriarca Lorenzo Giustianiani, nell’auspicio di poterlo ringraziare per aver intercesso nella vertenza in cui è implicato il fratello Giovanni; ma la ver­tenza si trascina ancora, costringendo sia il padre sia il fratello di M. V. a una triste e incerta condizione. /61/ Ad reverendum dominum Laurentium patriacham Venetiarum. [1] Iam diu est quodaa diu est quid ms1 : corr. ms2. ad reverendam paternitatem vestram nihil scripserim, quod nihil causae occurrebat. Demum ex litteris domini genitoris mei intelligens quam benigne ardenterque vestra reverenda dominatio ad cognitionem causae Iohannis fratris mei principio accessit, bonam spem de ipsius expeditione sibi fienda per officium vestrum concepi tunc temporis. Ita factum est ut hac spe suspensus dietimque expectans praefatae causae finem ut eidem reverendae dominationi vestrae gratias referrem in hunc usque diem scribere distuli. [2] Sed cum ea spes mihi adempta sit quasi lassus curaque confectus remaneo. Accidit huc quod etiam genitor meus iam senio confectus id molestissime fert et ipse germanus quasi navis solutus a litore absque gubernaculo vagatur et damnis afficitur et cetera. Hyadrae V Decembris. 117.(67) Maffeo Vallaresso ad Antonio Feletto Zara, 21 dicembre [1453] M. V. scrive ad Antonio Feletto, felicitandosi in occasione della di lui elezione alla cattedra epi­scopale di Concordia; per lungo tempo non gli aveva scritto, attendendo il momento di una sua meritata promozione. /61/ Ad reverendum dominum Antonium Feleto electum episcopum. [1] Ob antiquam nostram consuetudinem et amicitiam quae a tene/62/ris incepta annis cum aetate simul crevit, debuisset vel dominatio vestra hactenus aliquid ad me scripsisse vel ego ad ipsam. Sed, ut de me fatear veritatem, ego usque modo ex industria distuli, continue expectans novam exaltationem ali­quam de vestra paternitate factam, cui congratulaturus opportunam scribendi causam consequerer. Ceterum tandiu expectanti mihi eo difficilior erat mora quo dignior paternitas vestra ad aliquid episcopale munus promerendum videbatur. [2] Tandem cum mihi pauloante renuntiatum sit paternitatem vestram promo­tam ad episcopatum Concordiae, tanta affectus laetitia ut contineri nequiverim quin in his brevibus eam laetitiam communicarem cum vestra dominatione, cui ita gratulor ut nemini suorum intimorum in hac parte concesserim. Et licet cognoscam eandem ampliorem ob virtutes suas mereri dignitatem, tamen id sor­tis quodcunque est in praesentiarum obtigisse certe iocundum est. Sed melior fortuna sequetur modo vita supersit. Interim vero consideret et cetera. Hyadrae XXI Decembris. 118.(307) Maffeo Vallaresso a Ermolao Barbaro Zara, 21 dicembre [1453] M. V. scrive ad Ermolao Barbaro per la di lui promozione al vescovado di Verona; non occorrono molte parole, giacché fra Ermolao e M. V. intercorre una stretta familiarità; M. V. tuttavia non può tacere, poiché Ermolao ne potrebbe inferire che M. V. non abbia gioito per l’evento; gli dice dunque che la notizia della promozione gli ha procurato la più grande gioia. /310/ Ad reverendum dominum Her[molaum] Bar[barum] ad ecclesiam Veronensem translatum. Reverende pater etc.aa Congratulatoriae mg. Magnis uti liceret exordiis, si ad quenpiam minus notum venirem gratulatum. Sed mihi congratulationis causa scribenti ad vestram reverendam dominationem cum qua necessitudinis et propinquitatis tanta vis intercedit, paucis est opus /311/ verbis. Quanquam si tacuissem etiam facile, tamen dominatio vestra sibi persuaderet nihil abfuisse a me quin ex vestris commodis et honoribus maximas mihi compararem voluptates. Itaque ubi pauloante rescivi reverendam paternitatem vestram dignitatem suam com­mutasse – ex episcopatu videlicet Tarvisii ad episcopatum Veronae, almae urbis, transcendisse – tanto elatus sum gaudio, tanta obrutus iocunditate, ut nihil hac tempestate sentire potuerim quod me magis delectaret quam hic honos dominationis vestrae, cui me maximopere gratulari oportet, quia com­munis boni eadem est laetitia. Sed non ego ex hac vestra ampliori dignitate quippiam admirationis cepi, quia, cum neminem viderem ex nostris cui non sit vestra reverenda dominatio merito praeferenda, evidenti consequebar coniectu­ra nemini potius conferendam eam dignitatem quam dominationi vestrae, quae ad multo maius culmen, ut spero, in brevi evadet. Quod Deus faxit. Valete, Hyadrae XXI Decembris. 119.(308) Maffeo Vallaresso a Francesco Barbaro Zara, 21 dicembre [1453] M. V., usando una scrittura breve, adeguata ai legami che ha con il destinatario, si complimenta con Francesco Barbaro per la nomina al vescovado di Verona di Ermolao (nipote di Francesco stesso). /311/ Clarissimo equiti domino F[rancisco] Bar[baro] procuratori Sancti Marci.aa Congratulatoriae mg. Nisi tanta intercederet mihi tecum vis necessitudinis et propinquitatis, ampliore usus oratione persuadere tibi eniterer et tuis tuorumque commodis et honoribus me affici summo gaudio. Sed quia ita esse tibi dubium nequaquam est, propterea quantum voluptatis auserim ex ista dignitatis amplificatione et honoris /312/ nostri reverendi patris domini episcopi olim Tarvisini, nunc Veronensis tuae prudentiae iudicandum relinquo. Neque tamen hoc meum gaudium celare potui ut non tam reverendae paternitati suae quam tibi, cuius est tanta vis beni­volentiae ad ipsum gratuler ac ita gratuler ut nemini in hac parte concesserim. Plura non sum dicturus nisi quod, ut mea fert opinio, cito visuri sumus ipsum dominum episcopum ad maiora etiam atque etiam dignitatis evectum fastigia maximo suis futurum ornamento. Tu interim bene vale vir amplissime. Hyadrae, XXI Decembris. 120.(309) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 21 dicembre 1453 Marco Barbo ha ricevuto la commenda dell’abbazia benedettina di Rosazzo (in Friuli): M. V. si congratula con lui, che ha sempre considerato come un fratello e per il quale attendeva un tale riconoscimento [1]; Marco tuttavia è promesso a più alto onore, anche se non vi è per lui onore congruente ai meriti; gli chiede con quale titolo debba a lui rivolgersi, e se abbia assunto quello di protonotario [2]. /312/ Ad clarum virum dominum Marcum Barbo. [1] Scripturus ad vos gratulationis causa, paucis agere verbis praestare potius puto quam longis praefationibus <…> antiquam nostram familiarita­tem et amicitiam nunc demum incohare videri novis principiis.aa antiquam ~ principiis : sententia verbo principali carere videtur, quare statuendam lacunam duxi. Vobis enim iam diu credo constare me vestris honoribus et commodis non minus iocun­dari quam cuiusvis fratris mihi admodum cari, in cuius loco semper vos duxi ac duco. Cum itaque nuper intellexerim qualiter sanctus dominus noster illam amplam ac dignissimam abbatiam Rosatii vobis concederit,bb Gratulor pro collatione abbatie Rosatii mg. tanta incensus sum gaudii vehementia, ut nihil ferme contigisse potuerit quod me magis tanto tempore vestram exaltationem expectantem recrearet. [2] Quare his optimis vestris auspiciis gratulor, nec solum gratulor, sed etiam plenus numine quodam vaticinio ad altius culmen vos cito evasurum. Non tamen haec mihi Phoebus /313/, sed virtutum vestrarum iubar iampridem praemon­stravit. Nihil est enim tam amplum, tam honorificum quod non vobis iudicio meo congruat. Quod si elatior haec mea sententia de vobis visa fuerit, non assentationi sed amoris magnitudini adscribatur. Et quia frequentius dubito, quos honoris titulos vobis scribere tribuam, rogo ut me certiorem faciatis utrum in habitu consueto sitis, an protonotariatus dignitatis insignia sumpse­ritis. Valete bene ac feliciter, ut ego opto. Ex Hyadra, die XXI Decembris 1453. 121.(312) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 29 dicembre 1453 M. V. scrive al cardinale Pietro Barbo, perché sa le tante molestie cui il cardinale stesso è sottoposto da parte di Filippo Foscari (sulla controversia cfr. ep. n° 109) [1]; quantunque il Foscari sia del tutto inaffidabile, M. V., adempiendo gli ordini del cardinale, ha deciso di por fine alla contro­versia e ha scritto a Venezia perché sia saldato il residuo del debito, ma nel rispetto delle garanzie [2]; Foscari insinua che M. V. potrebbe scomunicarlo, se non fossero resi a M. V. i documenti pertinenti il suo arcivescovado, già dati in pegno: ma è ovvio sia così, se, una volta saldato il debito, non sia restituito il pegno [3]; se infatti avendo avuto saldato da M. V. il debito per intero, Foscari non riconsegnerà il pegno, M. V. non potrà avere nessuna fiducia per il futuro, considerato che, anche dopo l’accordo di Fabriano, Foscari ha continuato a contendere, estorcendogli cento ducati [4]. /315/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Reverendissime in Christo pater et domine et cetera. Quantis que­relis et clamoribus illius boni viri domini videlicet Phi[lippi] Fos[cari] vestra reverenda dominatio obtundatur ac continuis molestationibus afficiatur, ex litteris eiusdem dominationis mihi delatis facile constat. [2] Quamobrem, etsi pro certo sciam ipsum dominum Phi[lippum] nihil absque technisaa technis] techmis ms, ut vid. et fallaciis pro more suo facturum, ita ut nullum com­mercium tute fieri secum possit (expertus loquor), tamen, ut reverendae dominationis vestrae paream iussis ac mandatis, statui omnino etiam cum periculo rei meae dare litibus finem. Itaque scripsi nuper Venetias, ut residu­um debiti, quod semper fuit paratum, ips[i] d[omino] Phi[lippo] persolvatur, observatis ab eo cautionibus, qua reverendissimae dominationi vestrae se facturum scribit. Quod si faciet, non amplius mussitabit. [3] Quod vero scribit mihi non defore excommunicationis remedia contra eum, si nolit reddere scripturas et instrumenta ad archiepiscopatum meum spectantia, nescio quid ad hoc mihi respondendum sit, nisi absurdum mihi videri persolvere debitum non accepto pignore, de quo rehabendo con­tro/316/versiis novis et excommunicationibus postea sit agendum. [4] Si enim nunc habiturus residuum illud ea instrumenta reddere negligit, habita omni persolutione, postea magis ac etiam magis negliget. Et quomodo fidere sibi possum certe nescio, qui, postquam mediante vestra reverenda dominatione se mecum Fabriani composuit, ita ut ego omnia litigia sedata inter nos cre­derem, postea novas lites movere coepit, ita ut nullo modo cessare posset, nisi mihi centum ducatos extorqueret, quos quali habuerit conscientia Deus diiu­dicet! De his satis et cetera. Hyadrae IIII Kalendas Ianuarias 1453. 122.(310) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 30 dicembre [1453] M. V. scherzosamente perdona Urbano Vignati, il quale gli ha finalmente scritto, scusandosi per il silenzio [1]; M. V. lo loda, perché ha saputo ottenere da un creditore quanto era dovuto: Urbano è un provetto curatore degli affari di M. V. [2]; invece Urbano non gli ha scritto nulla di benefici resisi vacanti, mostrandosi così dimentico di M. V., il quale, al contrario e nonostante la distanza, è sempre pronto a corrispondere all’amico [3]. /313/ Ad dominum Urbanum Vignati archidiaconum Venetiarum. [1] Accepi superioribus diebus litteras tuas per An. quae me admodum recrearunt.aa Admitto excusationem mg. Eam autem excusationem tuam, quod non responderis ad meas, quas tibi Venetiis existenti misi, licet non sit verisimilis, admitto, eo tamen pacto ut in posterum caveas nugatorias nectendo causas amici desiderio in longum ducere. [2] Laudo diligentiam tuam quam in extorquendis pecuniis e faucibus illius boni viri adiunxisti, neque aliter te facturum pro tua summa prudentia expectabam, credoque hactenus nihil quod sit ab eo exigendum tibi restare, et cetera. Ego enim credebam te non solum curatorem rerum mearum, verum etiam solertissimum quendam, ut sic dixerim, speculatorem, qui me omnium certiorem redde/314/ret. [3] De illis vacationibus beneficio­rum, quae superioribus diebus contigerunt,bb contigerunt] contingerunt ms. cui collata fuerint talia beneficia, qui fuerint competitores, tua cura nihil unquam scire possem. Utrunque mihi quemadmodum corpore longe a me distas, ita corde atque animo totus a me abalienatus es, nec recte facis non correspondere meo erga te amori. Nam ego tam praesens quam absens pari benivolentiae mensura tibi afficior, nec tempus nec locus est impedimento, ut beneplacitis et commodis tuis, ubi advertere possum, libentissime adessem. Vale, Hyadrae, III Kalendas Ianuarias. 123.(50) Maffeo Vallaresso a Donato Belloria Zara, [1453] M. V. ringrazia Donato Belloria che si è recato ad Arbe per vagliarne la situazione; lo invita a giudicare con severità ed equanimità, e, assodata la colpa, a punirla esemplarmente; Belloria abbia cura inoltre di avvertirlo per tempo di altre eventuali difficoltà, perché M. V. non si trovi ad affrontarle impreparato (Jelic, 50). /51/ Domino Donato Belloria vicario Hyadrensi. [1] Litteras tuas datas Arbi hodie accepimus, quarum tenore, quoniam intelleximus te comitesque tuos salvos et incolumes illuc appulisse, oblectati sumus. Quod autem dicis causam illam abs te intricatissimam ex parte omnium repertam, et quod a concordia et pace tractare incohaveris, lauda­mus operationem tuam. [2] Illud potissimum ad memoriam reducendo, quod et alias saepissime diximus, ut personarum acceptionem aliquam non facias, sed recto calle, ut consuevisti, nullius respecta facie. Et si forte pre­sbyter ille Col. culpabilis abs te inventus fuerit, talem ex eo iustitiae poenam sumas, ut esse possit spectaculum omnibus qui praelatos suos temere diffa­mare praesumpserint. [3] Si quid etiam aliud relatione dignum sentire in futurum contigerit,aa contigerit Jelic : contingerit ms. significare nobis cura, ut, si quid nobis providendum est secundum temporum varietatem, ne inveniamur, ut aiunt, inter oscitantes improvisi. Bene valeas, ac super omnia des operam, ut cito inde te absol/52/vas ac demum revertaris. Datum Hyadrae et cetera. 124.(55) Maffeo Vallaresso a Pietro da Sebenico Zara, [1453] M. V. chiede a Pietro, canonico di Sebenico, di assumere la procura nella causa avviata con il primicerio di San Marco; i particolari della vicenda gli saranno esposti dal fratello Giacomo (Jelic, 51). /54/ Presbytero Petro de Sibenico canonico. Respectu cuiusdam differentiae satis frivolaeaa frivolae] frimolae ms ut vid. quam habeo cum domino primicerio Sancti Marci Venetiarum, quam per apostolica scripta committi feci reverendo patri domino episcopo Sibenicensi, et quibusdam aliis collegis, ut ex ipsis rescriptis discere poteris, fretus prudentia ac probitate tua, quas iam diu in te cognovi, constitui te procuratorem meum in praefata causa; in qua te germa­nus meus dominus Iacobus ad unguem instructum proprio ore efficiet. Ad quem me totaliter remitto. Non dubito autem quin laeto animo eam suscipies causam, tua prudentia curandam, sicut ex opposito ego pro te facerem. Vale et me ad commoda et beneplacita tua paratum ne dubita. Hyadrae et cetera. 125.(58) Maffeo Vallaresso a Giovanni Frangipane Zara, [1453?] Un messaggero ha recato a M. V. una lettera da Giovanni Frangipane, signore di Veglia; a questi risponde, chiedendogli di dare la massima fiducia a quanto lo stesso messaggero gli riferirà (Jelic, 51). /55/ Magnifico domino Iohanni de Frangepanibus, Veglae domino. Venit ad me nobilis vir M. praesentium lator cum litteris credentiali­bus, quem ob reverentiam vestrae magnificae dominationis libenter et offi­ciose vidi. Et quae mihi pro parte sua exposuit, bene intellexi, ac integram sibi fidem exhibui. A me autem quid responsum sit, ex ipso nuntio perdiscere poterit. Quam similiter oratam velim, ut relationibus eius plenariam ad pra­esens fidem adhibere dignetur. Valete. 126.(313) Maffeo Vallaresso a Matteo Speroni Zara, 25 gennaio 1454 M. V. chiede a Matteo Speroni di dargli sue nuove, che non riceve da quando Matteo si è ritirato a Creta; non avendo messi che possano direttamente raggiungerlo sull’isola, invia la lettera a Venezia; gli chiede se ha avuto notizia della sua vertenza con Filippo Foscari, e se sì, come sia stato narrato il caso a Creta. /316/ Ad dominum M[atthaeum] a Speronibus decanum Cretensem. Ex quo te in Cretam recepisti, nihil abs te significatum mihi est de incolumitate tua, quae in auditu et visu mihi iocundissima est. Sed hoc imputo nuntiorum penuriae quam et ego continue patior. Nunc etiam nul­lum habens nuntium per viam Venetiarum scribere cogor. Cum verser in lite cum domino Phi[lippo], impossibile est enim eiusmodi casum quandoque Cretae non contigisse. Quod si contigerit et in quem et qualiter actum est cum talibus tuis litteris facito me certiorem, et bene vale. Hyadrae die XXV Ianuarii 1453. 127.(311) Maffeo Vallaresso a Lauro Quirini Zara, 29 gennaio [1454] M. V. ha trattenuto ancora presso di sé il commento di Donato a Terenzio (cfr. ep. n° 71), anche perché incerto della residenza di Lauro Quirini, che aveva saputo essersi trasferito a Creta; il volume è prezioso e non bisognava metterlo in pericolo; ora finalmente glielo rende, invitandolo a fruire liberamente della sua stessa biblioteca (cfr. Branca 19982, 220). /314/ Ad ornatissimum virum dominum Laurum Quirino. Humanissime vir ac eximie legum interpres, ne feras moleste quod usque modo Donatum tuum distinuerim, quem tibi scio desideratissimum. Nam ut id facerem duabus adductus sum causis, prima quod, cum nobis antiqua coniunctis amicitia omnia fere putarem secure, tuis usus sum rebus, quemad­modum te meis uti cupio. Altera causa et quidem praecipua ea est, quod signi­ficatum esset mihi te Cretam petiise, dubitans cui potissimum codicem in manus mitterem, praestare censui, quoadusque certior factus essem vel tuis vel alterius litteris ubi terrarum sies, tam pretiosum antiquitatis monumentum apud me quasi in quadam tuta retine/315/re statione, quam inconsulte pelagi committere periculo. Sed ecce revocatum ad propria Donatum habes, cum quo simul omnem bibliothecam meam tuo petere arbitrio ne dubita, qua, si non utare, tua erit culpa. Vale feliciter et si quid erratum a me cognoscis, ignosce. Ex Hyadra, IIII Kalendas Ianuarias 1453. 128.(314) Maffeo Vallaresso a Ermolao Barbaro Zara, 15 febbraio [1454] Lettera di condoglianze di M. V. a Ermolao Barbaro per la morte del di lui zio Francesco: aveva scritto a Ermolao di recente per congratularsi del vescovado di Verona, ma ora occorre altro stile, per lamentare la morte di Francesco [1]; la nostra vita è soggetta a capovolgimenti continui; il destino ha rapito Francesco, onore non di Venezia, ma dell’Italia tutta [2]; le Muse siedono dolenti accanto alle Camene, quelle Muse che Francesco ha saputo addomesticare e rendere a tutti note; M. V. non avrà lacrime abbastanza per piangere una tale perdita [3]; la patria è stata salvata dalla sapienza di Francesco, tutti piangono a causa del loro danno personale, ricevuto dalla di lui morte [4]; ora Francesco è sottratto alla vista dei mortali, ma vive e intercede per noi presso il tribunale di Dio [5], né la sua fama potrà mai essere obliata [6]; Ermolao saprà peraltro tollerare questo dolore con la misura che conviene; M. V. ha parlato con libertà, poiché sente di potersi rivolgere a Ermolao come a un padre [7]. /316/ Ad reverendissimum dominum Hermolaum episcopum Veronensem pro morte patrui. [1] Superioribus diebusaa Consolatoria et bona mg. dedi ad dominationem vestram exaltationi vestrae congratu/317/latorias ad episcopatum Veronensem. Nunc, ubi allatum est ad me ingratum ac potius lamentabile nuntium de morte divini illius homi­nis domini Francisci Barbari nostri, alio genere dicendi utendum est mihi. Mirabar nanque si ea voluptas quam auseram ex augmento dignitatis vestrae, sic diutius permaneret nisi etiam eius rei vicissitudo esset. Itaque satis parva res est voluptatum in vita, praeterquam quod molestum est. Sic enim cuique com­paratum est, ut idem ait poeta: «sic diis placitum est, ut gaudium maeror comes consequatur»,1 ut «nihil sit ex omni parte beatum».2 [2] Deus bone, quam misere nobiscum fortuna tantis ludibriis agit! Ecce parumper laetati sumus, paulopost tantus accessit luctus, ut vel minima illius laetitiae memoria non remanserit. Propterea incusare licet crudelia fata, quae nobis e vita tantum abstulerunt decus, Franciscum videlicet nostrum, nedum civitatis nostrae, verum etiam totius Ausoniae splendidissimum lumen et ornamentum. Cuius eximiae virtutes quantum domi et foris in pace et in bello emicuerint, montes, ferae silvaeque loquuntur. [3] At Musae ipsae divaeque Camenae iam tristes sedent, deflentes interitum eius qui aversas eas a nobis et quodammodo fugien­tes per inhospita nemorum,aa nemorum] memorum ms. solertissima reduxit cura et mansuefaciens eas, non solum cognitas verum etiam domesticas ac familiarissimas huiusmodi virgines /318/ mortalibus essent. Quis dabit capiti meo aquam et oculis meis fontem lacrimarum, ut plorem occasum tantae lucis, ut defleam tanti boni amissionem, tanti viri mortem? Nam praeter eum dolorem, qui iure propinquitatis me nunc exasperat, accedit alius qui me confodit et exulcerat medullitus, id est commu­ne civitatis nostrae damnum, quod ex morte huius sortita est, deinde universalis iactura omnium litteratorum. [4] Nam et patria consiliis eius est optimis con­servata hactenus et aucta est, tum litterarum studia quam maxime illustrata. Nunc omnes graviter tulisse insuper et paenebb paene] penes ms. 1 Cfr. Plaut. Amphitr. 634: «Ita dis est placitum, voluptatem ut maeror comes consequatur». 2 Cfr. Hor. Carm. II 16,27: «nihil est ab omni / parte beatum». ingemuisse leones interitum huius mirandum non est. Unusquisque enim suam utilitatem potius quam mortem ipsius dolet. Sed illud admiratione dignum, quod in tam excelso viro et omni virtute praedito, insuper et humanarum divinarumque rerum scientia redimito, qui solet homines nonnunqum inflatiores reddere, tanta inerat men­tis humilitas et quaedam facilitas et humanitas omnibus tractabilis, ut nemo esset qui non hunc ob morum gravitatem et oris ac sermonis maiestatem maxi­me veneraretur, aut ob eam quam dixi humanitatem summe diligeret. [5] Haec licet notoria sint dominationi vestrae reverendae, tamen ea dixisse ad consolationem mei, qui non minus ipsius mortem dolui quam quivis alius libuit. Sed cum in memet ipsum redeo, ad quid tantus maeroraa maeror add. mg. prosit non video, maxime quia /319/ licet sublatus sit de viventium luce, non tamen interiit, quin potius quidem vivit meliori sorte quam in hoc mundo vixerit. Atque etiam candidus insuetum miratur limen Olimpi sub pedibus et pro nobis orat apud tribunal summi Dei, ne lupus insidians pecori, ne retia cervis ulla dolum meditentur. [6] Superest quoque fama viri, ac ita superest ut nunquam interitum aut oblivionem aliquam sit habi­tura. Extant enim monumenta praeclara eximiarum eius lucubrationum, quae aeternum sibi memoriae testimonium perhibebunt. Nanque dum iuga montis aper, fluvios dum piscis amabit, semper honos nomenque suum laudesque manebunt. Ergo respirandum et a lacrimis cessandum volunta­sque nostra divinae conformanda voluntati. [7] Durum est enim quod dico, sed levius patientia fit quicquid cor­rigere est nefas. Non equidem dubito reverendam dominationem vestram hunc dolorem prudenter ac moderate laturam. Et haec a me tam libere tamque domestice scripta non alia causa putet quam humanitatis vestrae fiducia, qua ita fretus fui, ut quicquid cogitatio affert in medium adducere non sim veritus. Scio enim apud alium licere hoc, apud alium illud et apud hunc prohibet dignitas, apud alium pudor vetat. Sed apud /320/ dominatio­nem vestram, quam mihi loco patris optimi diu assumpsi, liberius loqui licere mihi credo quemadmodum vellem, eandem ex opposito mecum agere. Nam cum hactenus plures ad vos dederim, nullas a vobis extorquere queo, quod tamen ascribo curis et occupationibus vestris. Valeat felix dominatio vestra reverenda meque, ut facit, diligat. Hyadrae, die XV Februarii. 129.(68) Marco Barbo a Maffeo Vallaresso Roma, 23 febbraio 1454 Marco Barbo ringrazia M. V. per la stima dimostratagli nel ritenerlo degno di più alta carica; Marco ricambia l’apprezzamento, e augura a M. V. una rapida promozione; lo assicura che nutre desiderio non di maggiore autorità, ma di compiere il proprio dovere nell’abbazia di cui è commendatario. /62/ Marcus Barbus Mapheo archiepiscopo Hyadrensi.aa bona est epistola mg. [1] Facile declarat dominatio vestra quantum mihi afficiatur quando quidem commoditatibus meis tam humanissimis congratulatur ac mihi maiora exoptet pro quibus me dominationi vestrae summas gratias debere scio, neque novum duxi quod dominatio vestra statui meo etiam longe digniora cupiat cum virtutibus meis caritatem suam /63/ praeponat. Non quippe meritus sum apud vestram dominationem tanta dilectione amplecti qua etiam viri dignissimi et summis dignitatibus insigniti contenti essent. [2] Ego quippe iure ipso dominationi vestrae opulentissimum statum ac dignissimum expeto et expecto neque dubito falli. Novi nam integritatem, novi dominationem vestram optimas conditiones, praecipue in hac pontifi­cali dignitate in qua (mihi vera scribenti credat) haud mediocrem gloriam sibi peperit ac suis. Sed de his hactenus. Nollem autem, qui adulationes omnes veluti perniciosam pestem abhorreo, si qua vere de vestra dominatione sensero scripserim, assentator extimari. [3] Quando vestra dominatio ad me scribit, oro satis putet me titulo consueto venerabili etc. appellare. Non enim ullam habeo aut appeto digni­tatem mihi satis ac plusquam satis omnesque vires meas excedens a sanctissi­mo nostro domino opera reverendissimi domini cardinalis nostri collatum est. Ei det omnipotens Deus tam amplissimi muneris ut non sim ingratus. [4] Cum primum mihi licuerit proficiscar ad meae abbatiae regimen quam etsi commendae nomine susceperim, tamen re ipsa haud secus quam verius illius abbas sibi praeesse statui ac prodesse. Bene valeat vestra dominatio cui me iterum commendo et totum trado. Ex Urbe, die XXIII Februarii MCCCCLIIII. 130.(315) Maffeo Vallaresso a Mosè Buffarelli Zara, 5 aprile [1454] M. V. scrive a Mosè Buffarelli, da cui ha ricevuto, per tramite del vescovo di Nona, una lettera, da cui apprende che l’amico sta bene; a sua volta gli comunica di stare bene; lo informa dell’attesa pace che Venezia ha siglato con il nemico (cioè Milano: è la pace di Lodi); il momento liturgico (la settimana santa) gli impedisce di scrivere di più. Chiede di salutargli un M., probabilmente Marco Barbo. /320/ Ad reverendum dominum Moy[sem] episcopum Polensem. [1] Regressus istuc reverendus pater episcopus Nonensis suaves litteras vestras attulit mihi, quarum testimonio comperiens paternitatem vestram divino munere bene valere, non mediocri gaudio affectus sum. Et quia itidem de me sentire cupitis, me quoque Christi gratia bene valere accipite. Quod vero cupientissima fuerit quid boni mihi significare de pace quam plurimas grates eidem paternitati vestrae pro sua tam officiosissima adversum me voluntate habeo referre, eandem rogans ut in futurum itidem curet novarum rerum curiae contingentium certiorem me facere litteris suis. [2] Verum tamen ea pax quae Romae fienda per sanctum dominum nostrum expectaba­tur, per internuntios quosdam religiosos in provincia Galliae nostrae facta est, ita ut illustrissimum dominium Venetiarum cum solito quam maximo hono­re suo remanserit, prout /321/ non dubito paternitati vestrae haec omnia clare patere. Hinc novae rei nihil habeo quod ad vos scribam nisi hanc pacem Italiae nedum hostibus et inimicis reipublicae nostrae, verum etiam barbaris formidulosam fore. Divina et veneranda officia praesentis diei, quintae vide­licet feriae maioris ebdomadae plura scribere in praesentiarum vetant, praeter illud ut me scilicet totum offeratis integerrimo domino M[arco] meoque nomine salvere iubeatis atque etiam gradatim ceteros omnes, etc. Hyadrae, V Aprilis. 131.(238) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 20 aprile 1454 Il pesce inviato da M. V. al cardinale (probabilmente orate: oriatarga) è giunto a destinazione marcio; si scusa umilmente, provvederà in breve a rimediare. /239/ Ad reverendissimum d[ominum], dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Ad regressum reverendi domini episcopi Nonensis accepi litteras reve­rendae dominationis vestrae cum revererentia consueta et quantum molestiae hauserim intelligens oriatargas, illas quas tanta cura paraveram, corruptas penitus et marcidas fuisse vix exprimere queo, atque etiam id contigisse eo magis miror, quod nonnullae quae remanserunt mihi, licet minusculae essent, attamen satis bonae gustui visae sunt. Illas autem quas mihi v[estrae] r[everendae] d[ominationi] quam summo studio, quasi ex acervo quodam delegeram, optimas esse arbitrabar. Sed si minus successit, nunc alia deinceps aggrediar via. Quare humillime supplico clementissimae dominationi vestrae, ut ignoscat et peccatis /240/ meis id potius adscribat. Ego autem scio quod in futurum agere debeam. Hyadrae XX Aprilis MCCCCLIIII. 132.(239) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 20 aprile [1454] M. V. scrive a Urbano Vignati, che ha richiesto sette ducati, di cui è creditore, al vescovo di Nona, il quale è appena rientrato dalla curia; M. V., in tono faceto, è meravigliato perché Urbano non li ha direttamente a lui richiesti, e soprattutto perché Urbano non gli scrive mai; indica quindi la modalità con cui Urbano riceverà il denaro dovutogli, e cioè o attraverso una bolla pontificia, o attraverso una lettera di cambio che gli sarà inviata da suo padre. /240/ Eximio doctori domino Ur[bano] Vignati archidiacono Venetiarum. Cum intellexerim a reverendo domino episcopo Nonensi, istuc nuper e curia reverso, te exegisse illos VII ducatos ab illo bono viro et ad me nihil ex ea re scripsisse te videam, non admirari supra modum non possum, maxime cum de hoc saepius ac saepius ad te scripserim. Tu vero, tanta mecum uteris, ne dicam parsimonia, sed extrema, ut verum fatear, litterarum tuarum penuria faciliusque posset lac de petra emungi, oleumque de saxo durissimo, quam oraculum aliquid ex ore tuo. Unum quid causae habeas ignoro, nisi forte numen genii tui subiratum responsa dare propterea negligat, quod ei ceso non sacrificem bove. At quia res modica ferre, litabo, tu interim votis meis annuas. Et quid alias te rogavi, facito, videlicet illam bullam de duobus seu pluribus, si est possibile, creantis notariis mihi a summo pontefice mediante, favore reverendissimi domini mei, videbis an obtinere possis, prout alias diffusius a me dictum est, ubi loci, si libuerit, quanti et quos dummodo sint idonei. Sin minus id obtinere possis, praefatos VII ducatos tresque illos, quos tibi ipsi ad supplementum misi, quam primum magnifico genitori /241/ meo per litteras cambii Venetias remittas, quod te facturum, qua es probitate, non dubito. Illud etiam gratum feceris, si de his omnibus quam citius ad me rescribas. Vale in Domino ac me tibi deditissimum, ut semper tecum fuerim, ne dubita. Ex Hyadra die XX Aprilis. 133.(240) Maffeo Vallaresso a Domenico Capranica Zara, 20 aprile 1454 M. V. scrive a Domenico Capranica, vescovo di Fermo, per informare che ha dato esecuzione a una bolla recatagli dal generale dell’ordine francescano in Dalmazia; poco dopo è pervenuta una lettera apostolica contro i frati conventuali, cui non ha dato esecuzione, poiché quella lettera non sarebbe stata emanata se il pontefice avesse conosciuto precisamente la verità. /241/ Ad reverendissimum dominum, dominum Dominicum cardinalem Firmanum. Superioribus diebus omni reverentia qua decuit accepi litteras vestrae reverendae dominationis simul et breve apostolicum cum quadam bulla per venerabilem patrem ministrum provinciae Dalmatiae ordinis Sancti Francisci. Quod quidem breve cum omni reverentia, cura et diligentia, prout astringor, executioni (debito iuris ordine servato) demandare curavi, eo magis quo lit­teris eminentissimae vestrae dominationis summopere adstringebar. Verum quia paulo post contra fratres conventuales aliae emanatae litterae apostolicae istuc allatae fuerunt, ego ob reverentiam dictae sedis apostolicae, ipsis litteris cessi, quae, ut certus sum, nunquam emanassent, si sanctitas domini nostri veram et debitam habuisset informationem. Sed ne ulterius prolixitate ser­monis taedium generem vestrae reverendae dominationi, plura in hac parte dicturus non sum. Datum Hyadrae XX Aprilis 1454. 134.(69) Maffeo Vallaresso a Fantino Dolfin Zara, 23 aprile [1454] A causa di insinuazioni a danno di M. V. fatte da alcuni cittadini di Pago, a difesa sua propria e della sua carica ha comunicato a Venezia la pura verità dei fatti (cfr. in merito l’epistola seguente); ne ha ricevuto il responso che comunica al Dolfin, non per riesumare una vicenda ormai chiusa, ma, anzi, per rinsaldare il legame che lo unisce al Dolfin stesso (Jelic, 54). /63/ Spectabili domino Fantino Delphino comiti Pagensi. [1] Novit spectabilitas vestra quanta superiori tempore controversia, ob quorundam civium Pagensium instigationem vobis factam /64/, inter nos habita sit, eo usque ut etiam illustrissimo dominio tum temporis non recta informatio de me data fuerit. Verum ego qui et indemnitatem ecclesiae meae conservare, et honorem meum tueri teneor, illo tunc scripsi ad praefati illu­strissimi dominii celsitudinem rei gestae declarans meram veritatem. [2] Quo circa habita recta ac debita informatione, ab eodem illustrissimo dominio rescribitur nunc vestrae spectabilitati per praesentes litteras ducales, quae, quoniam ea controversia nostra quiete ac pacifice iam sedata est, superfluae videntur, nec est opus praeteritae meminisse litis, sed eam amicitiam quam se habere cum tota domo nostra fatetur conservare, et ut etiam inter nos magis ac magis augeatur, operam dare. Valete in Domino cui me tanquam bonus amicus et frater ad vota offero. Hyadrae XXIII Aprilis. 135.(70) Maffeo Vallaresso a Margeto arciprete di Pago Zara, 23aprile [1454] M. V. incarica l’arciprete di Pago di dare pubblica lettura della sentenza giunta da Venezia, relativa alla controversia sul tributo del sale, la quale lo oppone al conte di Pago (cfr. l’epistola precedente); nella stessa occasione, l’arciprete inviterà il conte a dare risposta, se lo ritenga, a M. V. (Jelic, 54). /64/ Presbytero Marg[eto] archipresbytero Pagensi. [1] Bene nosti qualiter superiori tempore ob eam differentiam quae inter nos et dominum comitem Pagi versabatur pro illorum sale et cetera praefatus dominus comes una cum Pagensibus conquesti apud celsitudinem illustrissimi dominii, non rectam de nobis informationem exhibuerunt. Quare nos, volentes purgare iudicii et sententiae nostrae aequitatem, neces­sarium duximus tunc temporis praefato dominio illustrissimo scribere et rei veritatem insinuare. [2] Ad quas quidem litteras rescribitur nunc per litteras ducales dicto domino comiti. Quas litteras per presentium latorem tibi transmittimus /65/ hoc ordine, ut existenti ipsi comiti aut in logia sua aut in platea debeas eas praesentare, et ab eo humaniter petere, siquid velit ad nostras respondere; nosque eidem ad sua beneplacita offere. Hyadrae XXIII Aprilis. 136.(81) Maffeo Vallaresso a Girolamo Loredan Zara, 25 aprile 1454 Girolamo Loredan non creda alle dicerie secondo cui M. V. avrebbe umiliato e offeso i frati francescani, ché anzi, egli ha sempre onorato tutti coloro che sono veramente fedeli a Cristo; se qualcosa ha fatto contrariamente alle aspettative dell’ordine (che gli è stato sempre particolarmen­te a cuore), è perché ha compiuto quanto richiesto da mandato pontificio (Jelic, 56-57). /72/ Religioso fratri Hieronimo Lauredano ordinis sancti Francisci. [1] Allatae mihi nuper litteraeaa Allatae mihi nuper litterae] Lege hanc epistolam quae digna et gravis est mg. caritatis tuae. Plusne iocunditatis genuerint, quod antiquam necessitudinem nostram prae se ferant, quam maeroris exageraverint, quod accusent tantae crudelitatis et immanitatis adversum veros Christi servos et observatores regulae sancti Francisci, fra­tres videlicet ordinis tui, quos me insequi et debellare dicis, vix discernere queo. Sed ut verum fatear, in hoc recte gloriari possum in Domino, mihi a teneris unguiculis ardentissimam quandam caritatis affectionem erga omnes Christi servos, potissimumque ordinis tui fratres insitam medullitus, eo magis nunc id attinet, veros imitatores Christi venerari ac etiam omnes fideles in Christo visceribus complecti. [2] Quos ut ego insequi, et ut tu dicis opprimere pergam, Deus omnipotens prohibeat, et talem a me imma­nitatem avertat! Quicunque igitur ille fuerit qui tibi haec ad aures insufla­verit, ne credas facile, improbus est. Ipsi fratres tui testes mihi esse possunt, si verum fateri velint: nullum sibi commodum in me clausum, nullam denegatam gratiam, sed omnibus ecclesiis meis et praecipue cathedrali usi sunt et in praedicationibus et in confessionibus, quod alibi fieri non con­suevit, perinde ac sua propria. [3] Verum si quid ego in re conventualium mitior, et ipsis fratribus tuis aliqua ex parte contrarius esse iussus sim, id me scias non mea sponte fecisse, sed apostolicis quibus teneor mandatis parere voluisse. Si quid in contrarium ipse sanctissimus Dominus noster mihi iusisset, fecissem itidem. Quare oro ac etiam obsecro te in Domino Iesu, ut hanc ex reli/73/gioso pectore tuo falsam de me opinionem amoveas, ac prorsus eradices. [4] Et me tibi tuisque fratribus in Christo deditissimum et fautorem maximum in rebus licitis et honestis, et quae non sint contra caritatem Dei et proximi, ne dubita esse, ac in futurum fore. Vale in Domino, frater dilecte, et meam imbecillitatem devotis orationibus tuis, quantum potes, potes autem mul­tum, adiuva. Ex Hyadra, die XXV Aprilis MCCCCLIIII. 137.(241) Maffeo Vallaresso a Giovanni Frangipane Zara, 25 aprile [1454] M. V. si congratula con Giovanni Frangipane, conte di Veglia, che ha sposato la figlia di Paolo Morosini. /241/ Ad magnificum dominum Io[hannem] Veglae comitem. Cum superioribus diebus ex litteris meorum intellexeram /242/ vestram magnificentiam coniugale sacrum vinculum inisse et hoc cum egregia qua­dam adulescentula patricii viri domini Pauli Mauroc[eni] filia, laetatus sum in Domino in his quae dicta fuere mihi adeo ut eam ingentem laetitiam etiam vobiscum communicare continue gestierim. Sed tamen dietim exspectans magnificentiae vestrae redditum ad propria, distuli hactenus. Nunc adve­niens istuc nuntius vester et illud idem mihi afferens quod per meos didice­ram nuptiarum vestrarum iocundissimum nuntium, renovavit profecto pri­stinam laetitiam, ac ita renovavit ut nequiverim contineri, quin sibi abeunti congratulatorias ad vestram dominationem litteras darem. Gratulor itaque huic sollemne nuptiarum vestrarum festivitati non solum ob amorem et reve­rentiam quam ad humanissimam magnificentiam vestram habeo, sed etiam ob id quod in patria mea quae et vobis et maioribus vestris propria est, ex ampla et nobili Maurocenorum familia, eam vobis optimam iuvenculam matrimoniali associaveritis foedere, cuius fruendi longaeva temporis felicitate dominus Iesus Christus vobis gratiam ad vota tribuat. Paratus ego et cetera. Ex Hyadra die XXV Aprilis. 138.(71) Maffeo Vallaresso a Bernardo da Piove di Sacco Zara, 4 maggio 1454 Bernardo da Piove di Sacco è stato eletto vescovo della diocesi di Cattaro; M. V. si congratula con lui, scusandosi per il ritardo, e per non avere potuto personalmente condividere la sua gioia; peraltro non gli ha finora scritto, ignorando dove Bernardo si trovasse; può finalmente inviargli la presente lettera, tramite un di lui arcidiacono, cui M. V. stesso è molto affezionato, e che perciò vivamente gli raccomanda (Jelic, 55). /65/ Ad reverendum patrem dominum Bernardum electum episcopum Catharensem. [1] Ea consuetudine ac benivolentia, quae mihi cum paternitate vestra semper extitit maxime considerata, viderer forsan contra officium hactenus egisse, in eo quod, cum acceperim eandem paternitatem vestram ad ecclesiam Catharensem promotam, non illico saltem litteras congratulationis ad eam dederim, quando personaliter ipse adesse eiusmodi laetitiae nequiverim. Sed si me audierit paternitas vestra nihil mihi ob eam taciturnitatem imputabit. [2] Nam ut verum fatear, et debitor sum id facere, gratulari scilicet vobis, et ex vestris commodis ac honoribus mihi summam comparare volup­tatem. Quorum omnium mihi praetermisi, praeterquam litteras gratulationis indices, quod idcirco obtigit, quoniam ubi terrarum siet paternitas vestra ignorabam. Nunc attingens huc archidiaconus vester iturus ad vestram pater­nitatem, tabellarii loco officium explebit, et praesentes litteras gratulationis meae ad eandem apportabit. [3] Et quia praefatus archidiaconus vester et mihi et omnibus de fami­lia nostra carus acceptissimusque semper, ob merita virtutum suarum habitus est ac in praesentiarum habetur, propterea venturus ad paternitatem vestram non /66/ possum facere quin eum eidem recommittam ac ita recommittam, ut arctius et strictius facere nequeam, orans eandem vestram paternitatem, ut intuitu mei se sibi benignum, et si opus fuerit, favorabilem exhibeat, quod quidem mihi ipsi factum reputabo. Paratus et ego ad quaeque grata et iocun­da paternitati vestrae, quam bene et prospere valere cupio. Ex Hyadra die IIII Maii, MCCCCLIIII. 139.(73) Maffeo Vallaresso a Isidoro di Kiev Zara, 8 maggio [1454] M. V. risponde al cardinale Isidoro di Kiev, che lo ha onorato con l’offerta dei suoi servigi; in realtà è M. V. che si considera suddito del cardinale; a lui invia il suo deferente saluto (edita da Hofmann 1952, 151, con breve introduzione dedicata alla figura di M. V.). /66/ Ad reverendissimum dominum Isidorum cardinalem Ruthenum. [1] Nunc nunc accepi litteras reverendissimae dominationis vestrae, quibus reverenter lectis, ingenti plane laetitiae cumulo obrutus sum, ex eo maxime quod ipsa dominatio vestra me in gregem servitorum suorum, quod apprime optaveram, annumerare dignata sit. [2] Illud praeterea, quale quan­tunque estaa quantunque sit ms1 : corr. ms2. humanitatis insigne, ut /67/ eadem vestra reverendissima domina­tio sese mihi servitori suo ad ea quae mihi opus essent amplo ac bono animo paratam offerre voluerit. Excedit fateor hoc merita mea ac pro tali oblatione, etsi grates a me satis digne persolvi nequeant, haberi tamen possunt habebun­turque perpetuo. [3] Verum ego si parvitatem meam ad invicem offerre velim clementissimae dominationi vestrae superfluum fore putarem, cum ipsa me iam habeat sibi dediticium totum, ne dicam dedicatum. Valeat dominatio vestra et cetera. Hyadrae VIII Maii. 140.(72) Bernardo da Piove di Sacco a Maffeo Vallaresso Venezia, 25 aprile [1454] Bernardo da Piove di Sacco ringrazia M. V. per la precedente lettera (ep. n° 138), lo rassicura che terrà caro l’arcidiacono da lui raccomandatogli (Jelic, 55). /66/ Responsivae ad superiores. Per archidiaconum meum congratulatorias vestrae dominationis pri­dem recepi litteras. Ago eidem gratias de tanta sua in me caritate. Ipse potens et misericors Deus, qui me licet immeritum numero episcoporum ecelesiae sanctae suae aggregari voluit, me dignum efficiat, quaeso. Dominum archi­diaconum praefatum, tum quia mihi urbanus apparet, tum intuitu vestrae reverendae dominationis commendatum, suscepi et in futurum habebo. Altissimus conservet praefatam dominationem vestram, cui me benignissime et libenter commendo. Venetiis XXV Maii. 141.(316) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 25 aprile 1454 M. V. si rivolge al cardinale Pietro Barbo per chiedere di aiutarlo nel sostenere economicamente il fratello Giacomo; causa la morte dell’abate, si è infatti reso vacante il beneficio del monastero di San Nicolò fuori le mura, presso Sebenico; gli chiede perciò di devolverlo al fratello. /321/ Ad reverendissimum dominum meum dominum P[etrum] cardinalem sancti Marci. Reverendissime domine et cetera. Nisi longa edocuisset experentia quantum reverenda dominatio vestra adversum me servulum suum semper fuerit et sit benefica et prompta ad omnem commodum et honorem meum meorumque, pluribus verbis et grandioribus principiis exordiri statuissem, eoque amputatis longis anfractibus ad rem ipsam simpliciter accedo. Novit enim reverenda dominatio vestra me iamdiu super humeris habere illum ger­manum meum domiminum Ia[cobum] quem alias commendavi pro confe­rendo sibi aliquo beneficiolo. Et quia clementissima dominatio vestra rescrip­sit se paratam si modo aliquid vacasset quod pro eo faceret neque tunc aliquid vacabat, ego ne opportunus viderer aures amplius non obtundere duxi. Nunc sors obtulit quod revrenda dominatio vestra facile si libuerit ei conferri /322/ faciet et me ac totam familiam nostram sibi obnoxiam perpetui servitii efficiet, licet iam simus, ut nihil sumus. Nuper enim videlicet XVIII Maii quidam frater abbas Sancti Nicolai de Portu extra muros Sibenici ex vitali decessit aura eoque abbatia sua iam vacavit et vacat. Quare humillime suppli­co et cetera. Valeat felix reverenda dominatio vestra per tempora Nestorea. Hyadrae, XXVIII Maii 1454. 142.(242) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Giustiniani Zara, 12 giugno [1454] M. V. sollecita il patriarca a prendere una decisione relativamente alla causa coinvolgente il fratello Giovanni (cfr. anche le epistole n° 168 e n° 181), da tempo rimasta sospesa a causa di quanti guadagnano con il rinviare, evitando di sottoporre il problema al patriarca stesso, il quale è sempre stato favorevole ai deboli [1]; M. V. chiede dunque che sia assunta una decisione, non a danno di qualcuno e a vantaggio di Giovanni, ma una decisione rispettosa del diritto [2]; non è infatti ammissibile che una fanciulla, rimasta per tanto tempo in un monastero, possa quindi maritarsi, e ciò sia in considerazione del mutamento di vita, sia del lungo periodo trascorso in monastero, protrattosi oltre l’età della piena consapevolezza, avendo sempre praticato le attività che sono proprie delle religiose, come si ricava da alcuni capitoli del codice di diritto canonico. /242/ Ad reverendum patrem dominum patriarcham Venetiarum.aa commendatitia mg. [1] Cum ante hac nihil ad dominationem vestram reverendam com­mendandae /243/ gratia causae Io[hannis] germani mei scripserim, celerem sperans expeditionem utpote rei lucidissimae per vestrum effectum dari, viso tamen eam causam a tribus ferme annis in hunc usque diem dispendio pro­tractam ac dilatatam, advocatorum potius vitio, quorum pessimus inolevit mos lucri sui causa partes per longas dilationes ducere quam arbitrio mode­stissimi pectoris vestri, cuius fuit semper officium lapsis compati et oppressis subvenire, non possum teneri quin ex tantis dilamationibus, immo dilationi­bus dixisse volui, admodum admirer et doleam non minus aerumnam et calamitatem dicti fratris mei, quam continuam patris angustiam et afflictio­nem, qua sic in dies afficitur, ut nullam penitus omnium nostrorum conso­lationem admittat, nullam cohortationem in hac parte recipiat. [2] Quare humillime supplico reverendae paternitati vestrae ut, omissis tantis dilationibus, praefatam causam ad aliquem bonum finem perducat, ut et ipse pater meus in hac sua aetate consolari possit, et ipse frater sublevatus iusti­tia vestra respirare queat ac de cetero cautior effectus, ad rectam virtutis rediens viam, multarum sese vobis gratiarum debitorem recognoscat. Neque ego haec idcirco dicta velim, quasi ea quae iniusta sunt ab iustis petere videar, ut videlicet alteri parti iniu/244/stitiam faciatis, quod nunquam consuevistis, meum autem fratrem absolvatis. Sed id duntaxat precibus oro, ut quod de iure est, in ea parte celeriter ac mature quidem decernatis. Ego enim non video quid in ea causa supersedendum, quid tanto tempore titubandum fuerit. [3] Nam a saeculo auditum non fuit ut virgo tanto tempore in mona­sterio manens, tandem matrimonium contrahere queat, tum ratione muta­tionis vitae, quae evidenter apparet per saeculi renuntiationem pomparumque eius, item tum per ingressum religionis et professionem ex longa perseverantia ultra discretionis annos, portando habitum indistinctum a professis, psallen­do in choro et cum ceteris professis in monasterio conversando, ut apparet per c[aput] I De vo[to] li[bro] VI, et c[aput] Statuimus de reg[ularibus], et cetera.1a1 ut apparet per c[aput] I De vo[to] li[bro] VI, et c[aput] Statuimus de reg[ularibus], et cetera] per il capitolo De voto] cfr. Reiffenstuel 1833, 639-646 (De voto et voti redemptione); per l’uso dell’abito cfr. Clementinae ed. Lugduni 1550, 112 (Liber III) cap. De statu monachorum vel canonichorum regolarium. Quae cum omnia et alia vobis utpote homini docto ac sacrarum lit­terarum et iurium perito clarissime patere sciam. Plura in hac parte in prae­sentiarum dicere necesse non puto, praeter illud solum, videlicet et cetera. Ex Hyadra die XII Iunii. 143.(243) Maffeo Vallaresso a Nicolò V papa Zara, 17 giugno 1454 M. V. comunica al pontefice di aver ricevuto il breve con il quale gli veniva indicato di interve­nire nella controversia concernente i minori conventuali; ha dato effetto al breve, sospendendo l’alienazione dei beni posseduti dal convento. /244/ Ad beatissimum dominum nostrum dominum Nicolaum papam V. Sanctissime pater et domine clementissime post oscula pedum beatorum desiderabilia. Pateat sanctitati vestrae nuper a me omni qua decuit reverentia unum breve vestrum datum XXV Maii acceptum fuisse. Cuius teno/245/re mihi mandatur ut in causa fratrum conventualium de Hyadra ordinis Sancti Francisci per autentica scripta beatitudinem vestram diligenter informare debeam et alie­nationem possessionum dicti conventus inhibere. Quae omnia, prout in ipso brevi continentur, diligenti et exacta confeci cura. Rei autem ipsius seriem et causas, prout habere potui, in autentica scripta redigens per praesentem nuntium ad pedes sanctitatis vestrae transmitto. Quibus iussis et intellectis iubeat ac dispo­nat ipsa beatitudo vestra prout sibi melius expedire videbitur. Aliud scribere in praesentiarum non occurrit, nisi parvitatem meam vestrae clementiae humillime commendare. Quam optime et felicissime valere per tempora longiora desidero. Ex Hyadra die XVII Iunii MCCCCLIIII. 144.(317) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 17 giugno 1454 M. V. scrive al cardinale Pietro Barbo, il quale sa quale lettera è giunta a M. V., recatagli dalla curia per mezzo del presbitero Luca; non ha tempo per scrivere una replica adeguata; forse il cardi­nale sa il motivo per cui i frati conventuali zaratini sono stati espulsi dal loro convento e al loro posto sono stati introdotti i frati dell’Osservanza; e forse sa quale violenza è stata loro inflitta da alcuni cittadini di Zara con grave oltraggio (a descriverne le cause e la trafila, non bastano il giorno e la notte) [1]; lo prega dunque di patrocinare la loro causa [2]. Cfr. l’epistola n° 114, scritta nel 1453, la quale allude a dicerie calunniose contro i frati del convento zaratino di San Francesco. /322/ Ad eundem. [1] Noverit reverenda dominatio vestra qualiter presbyter Lucas nun­tius meus istuc rediens e curia litteras mihi attulerit, ad quas respondendi posse tempus mihi suffecturum ob celerem praesentium latoris recessum diffido. Sed in aliud tempus opportunum me reservo.aa ad quas ~ me reservo] propter temporis angustias mg. Ego quidem haud scio si reverendissimae dominationi vestrae innotuerit quabb qua] quae ms. causa fratres conven­tuales de Hyadra or[dinis] S[ancti] Fr[ancisci] expulsi fuerint de con[ventu] suo et illi de Observantia introducti, et quae vis sibi a nonnullis civibus istis expressa illata sit iniuria, cuius causas et longam seriem ab origine ductam si velim recensere, dies pariter et nox me deficeret. [2] Tamen quia sanctissimus dominus noster et cetera. Quare humilli­me supplico ut praefatis fratribus ipsa reverenda dominatio vestra favere ac patrocinari dignetur, si sibi res iusta et honesta visa fuerit. Et quia ipsi fratres maximam habent spem tum in reverendam dominationem vestram tum in istis litteris meis, rogo eandem ut causam oppressionis eorum aliqua ex parte sublevare velit, ut cogno/323/scant spem suam non esse frustratam litterasque meas apud reverendam dominationem vestram aliquanti valuisse eisque pro­fuisse. Aliud scribere non restat, etc. Hyadrae, die XVII Iunii MCCCCLIIII. 145.(74) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 6 luglio 1454 M. V. scrive ancora a Pietro Barbo relativamente alla controversia con il Foscari (per cui vd. la lettera 109): il Barbo evidentemente non ha ricevuto né la sua né la lettera di suo padre; l’avver­sario, invece, ha potuto descrivere e distorcere a suo piacimento i fatti; sicché il Barbo gli ha intimato di chiudere la vertenza. La medesima lettera è stata nuovamente copiata, in forma più completa e aderente all’originale alla pagina 323 del ms., quale n° (318) (le divergenze fra le due redazioni sono riportate qui in apparato). /67/ Ad reverendissimum dominum meum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Putabam ego tum meis tum etiam patris mei litteris superioribus mensi­bus deditis declaratum ac satisfatum reverendae dominationi vestrae quid cau­sae esset ut non id parum residui summae illius pecuniariae persolutum sit hactenus domino Philippo Fos[cari]. Sed, ut videor videre, eae litterae quas dixi vestrae reverendae dominationi redditae non sunt. Quo factum est ut postea, querente adversum me domino Philippo apud eandem dominationem vestramaa dominationem vestram] om. n° (318). colorando ius suum, visus est honestiores quam ego partes habere, ita ut ipsabb ipsa] ipsa reverenda dominatio vestra n° (318). dictis eius fidem adstipulanscc adstipulans] ad se impulans (sic) n° (318). scripsit ad me litterasdd litteras] litteras data XII Iunii n° (318). mandans et iubens ut con­troversiae finis imponatur. Ego vero cupientissimus semper et cetera.ee Ego vero cupientissimus semper et cetera] Ego vero cupientissimus humiliter parere mandatis statui omnino huiusmodi differentiis finem imponere, etiamsi mihi damnum ex eo futurum sit et cetera. Valeat reverenda dominatio vestra feliciter sicut desidero n° (318). Datum Hyadrae VI Iulii MCCCCLIIII. 146.(319) Maffeo Vallaresso a Felice da Spalato [Arbe?], 31 agosto [1454] M. V. raccomanda a Felice, vescovo di Scardona, il medico Andrea, il quale ha terminato il suo mandato presso Arbe, dove M. V. si è ritirato causa una pestilenza che imperversa in Zara; Andrea ha dimostrato la sua capacità curando un famulus di Maffeo; egli volentieri vorrebbe trasferirsi a Spalato, quantunque sia stato richiesto a ottime condizioni anche altrove (cfr. le ep. n° 15, 247, 248). /323/ Ad reverendum patrem dominum Felicem episcopum Scardonensem. [1] Non opus est mihi multis verbis uti in commendando paternitati vestrae homine mihi pro meritis virtutum suarum gratissimo,aa pro meritis virtutum suarum gratissimo] Commendatitia mg. maxime cum pro certo habeam paternitatem vestram petitionibus meis, quae semper honestissimae esse consueverunt, locum libenter dedisse /324/ quoad fieri potuit. Cum igitur iampridem commigraverim Arbum propter pestem quae Hiadram hactenus devastavit plerique (ut fit visitandi gratia) me adeunt inter quos est magister Andreas phisicus sufficiens ac optimus in arte sua, qui alias conductus ab Arbensibus fructum temporis sui nunc complet. [2] Quanvis autem a multis aliis multo salario requiratur, tamen propter Spalatibb Spalati] Spaleti ms. famam eo libentius veniret praesertim quia intellexit Spalatenses medico indigere, quibus meo iudicio hic vir utilissimus et acceptissimus foret. De cuius peritia et probitate, licet ab aliis multa intel­lexerim, ipse etiam optimum testimonium perhibere possem ex quadam cura quam exercuit in quodam famulo meo, erga quem profecto bene se gessit. Quare rogo paternitatem vestram ut intuitu mei, eum commenda­tum habeat, cui conducendo, quantum possibile est, faveat, ita ut liquido cognoscere possit hanc commendationem meam sibi magno adiumento fuisse. Paratus et ego et cetera. Datum pridie Kalendas Septembres. 147.(320) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Venezia, 8 settembre [1454?] Da Venezia, M. V. indirizza a Pietro Barbo una lettera di raccomandazione: è giunto un epi­scopus Gessolanus chiedendo a M. V. di scrivere a favore di un Pietro, abate di San Michele di Leme (Kloštar, presso Vrsar / Orsera), nella diocesi di Parenzo; M. V. non conosce l’abate, ma chiede ugualmente al Barbo di concedergli la sua benevolenza, come il cardinale ha sempre fatto nei confronti dei deboli. /324/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Venit ad me nuperaa Venit ad me nuper] Commendatitia mg. reverendus dominus episcopus Gessolanus,bb Gessolanus episcopus reperire non valeo. rogans ut praesentium latorem dominum videlicet Petrum abbatem Sancti Michaelis de Lem, Parentinae dioecesis, vestrae reverendissimae dominationi in certa sua causa, quam habet cum domino episcopo suo commendarem. Quare roganti pro sua in me benivolentia negare quod petebat non potui. Licet autem hunc hominem alias non cognoverim, nec in eius causa /325/ informa­tus aliqualiter sim, tamen rogatus et ipse rogo ut reverenda dominatio vestra, quae miserorum ac oppressorum consuevit esse vineamcc vineam lectura dubia. et confugium singu­lare, suscipere eum dignetur in causa sua ad iustitiam recommissum. Nam iniusta ab iustissimis petere equidem nunquam ausus essem, neque reveren­dissima dominatio vestra annuisset, quam feliciter valere peropto. Venetiis, VIII Septembris. 148.(244) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Venezia, 28 settembre [1454] M. V. scrive a Pietro Barbo, avendo saputo che il cardinale non giungerà a Venezia, dove lui lo attendeva. M. V. ha deciso di tornare alla sua diocesi, nella speranza di andare presto a trovare il suo signore presso la curia. /246/ Ad reverendissimum dominum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Credo iam rescisse reverendissima dominatio vestra me venisse Venetias ad obligationum mearum debitum faciendum et ad honorandum, quantum in me est, adventum eiusdem Venetiis, prout alias scripsi et ulti­mo per quendam abbatem parentem. Verum cum videam frustratum desi­derium meum, quoniam reverendissima dominatio vestra sicut nuper ad illustrissimum dominium scripsit istuc ventura non est, statui ad ecclesiam meam /246/ redeundum, eo quidem aegrius quo laetius et iucundius Venetias adveneram, sitibundus videre desideratam faciem vestrae reverendissimae dominationis. Et quantumvis hac vice non processerit haec res ad vota mea, spero me cito, nisi aliud obstiterit, curiam petiturum, ubi eandem reveren­dissimam dominationem vestram ad os alloquar et desideriis mei satisfaciam. Venetiis 28 Septembris. 149.(75) Maffeo Vallaresso a Zaccaria Trevisan Venezia, 1 ottobre [1454] M. V. si è recato più volte nella casa veneziana di Zaccaria Trevisan per salutarlo e rendere dovuto omaggio all’amicizia e consuetudine di sempre; non lo ha mai trovato, e perciò si contenta di scrivergli questa breve lettera. /67/ Ad clarissimum dominum Zachariam Tri[visanum]. Antiquae amicitiae nostrae satisfacturus officio veni semel atque iterum ad domum vestram vestri gratia salutandi et valefa/68/cendi prius quam obi­retis legationem vestram. Prima vice vos ivisse in forum, ultima, tam paulo­ante, ex Venetiis recessisse responderunt vestri. Cuius rei satis pertaesum fuit. Excusaturus itaque meum erga vos officium, his brevibus contentus fui ut intelligatis, quanquam intelligitis, eundem nunc me cultorem et observato­rem amicitiae nostrae quod olim fuimus, rogans et cetera. Venetiis primo Octobris. 150.(245) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Venezia, 1 ottobre [1454] M. V. si è proposto di andare a salutare personalmente Paolo Barbo, per manifestargli la ricono­scenza che deve al cardinale Pietro e a tutta la famiglia; si è recato perciò a casa di lui tre volte, senza tuttavia mai incontrarlo. /246/ Ad magnificum equitem dominum Paulum Barbo. Respectu obligationum quas adversus reverendissimum dominum meum habeo et totam eius domum, videbar officii mei esse priusquam obi­retis legationem venire ad domum vestram vestri gratia salutandi et valefa­ciendi. Quod et feci nec semel solum, sed iterum ac tertio. Nunquam autem domi vos offendere potui. Haec itaque apologetice scribenda duxi, ut sciatis a me nihil abfuisse quod debitum meum exsolverem. Valete. Venetiis primo Octobris. 151.(76) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Venezia, 8 ottobre 1454 È tanto che M. V. non comunica con il Morosini, ma l’amicizia loro è sempre salda, perché fondata sulla virtù; trovandosi a Venezia, ma in partenza per Zara, M. V. coglie l’occasione per chiedergli se necessita di qualche favore; è certo di poter contare a sua volta sulla disponibilità di Barbone. /68/ Magnifico domino Barbo[no] Mauroceno capitaneo Veronae. [1] Etsi ab utroque nostrorum multum temporis intermissum sit quo litterarum nihil invicem dederimus, non tamen proptereaaa non tamen propterea] bonum principium propter intermissionem litterarum utriusque mg. ullum detrimen­tum passa est amicitia nostra, quin immo integra et ardens in suo gradu consistit, utpote fundata olim et radicata in virtute. Verum, ne quodammodo mutuum silentium nostrum ei officiat, scribere ad te constitui, significans me incolumem, quod tibi iocundissimum arbitror, itidem cupere ex te tuisque omnibus sentire. [2] Et ut etiam reliqua non ignores, scito me iamdiu Venetias venisse pro quibusdam negociis meis. Nunc ad paucos dies Hyadram rever­tar. Quod tibi id circo significatum volui, ut si cui rei tuae mea opera oppor­tuna fuerint vel Hyadrae vel alibi locorum constituto mihi onus iniungere possis, poteris autem si voles nec dubium quin velle debeas. Identidem mihi cum tua claritudine e contra licere spero. Vale in domino. Ex Venetiis VIII Octobris 1454. 152.(246) Maffeo Vallaresso a Luca Leoni Venezia, 9 ottobre 1454 M. V. ha ricevuto due lettere di Luca Leoni, sempre graditissime; ma avrebbe preferito vedere l’amico di persona, il quale invece non si è mosso, adducendo la mancanza di cavalli e la raccolta dei frutti; Leoni gli chiede di inviargli dentici in savor, M. V. ne è stupito, considerando che l’amico è abituato a mangiare trote e carpe, cioè pesci ben più grandi dei piccoli dentici; M. V. non mancherà tuttavia di inviare all’amico quanto da lui desiderato. /246/ Ad egregium dominum L[ucam] Leono canonicum Veronensem. [1] Presbyter An[tonius] ad me hesterna die binas litteras tuas attulit, quae mihi, ut reliqua omnia tua consueverunt, periocundae admodum exti­terunt, quanquam mihi praesentia tua iocundior et gratior esset. Quia tantam equorum penuriam causaris et recolligendorum fructuum adventum, feram aequanimiter absentiam tuam. Verum non sic ego tecum egissem /247/, si pristinae libertatis compos essem. Non me profecto caeli inclementia, non maris saeva tempestas, non asperitas montium deterruisset quin ad talem amicum, a multo tempore non visum, transmearem. Excuses te, ut libet, certe excusationes tuae non cohaerent. Itaque rogatum te velim ut deinceps cum amico rectius incedas, et cetera. [2] Quod scribis ut mittam tibi de piscibus nostris, hoc est dentalibus in gelatina, faciam libenti animo, modo adsit nuntius. Sed quid opus est tibi dentalibus nostris, cum dentes tui assue­facti trutis et carpionibus, in comestione pisciulorum nostri obstupescerent? Licet autem sciam ioco te appetisse dentales nostros, tamen, ut mos tibi geratur, curabimus mittere. Tu autem de carpionibus tuis spero aliquam por­tiunculam mihi transmittes. Quod si feceris, carpentur tui gratiae. Vale et haec dicta per iocum serio ne praevertas. Datum Venetiis VIIII Octobris MCCCCLIIII. 153.(77) Maffeo Vallaresso a Luca Leoni Venezia, 22 ottobre [1454] Il giovane siniscalco (se così va interpretato la voce sescal tràdita, che potrebbe essere un errore di trascrizione per sescalcum, cioè senescalcum) che il Leoni gli ha trovato, si presenti presso M. V., il quale preferisce giudicarlo di persona, piuttosto che sulla fiducia della parola. /68/ Domino Lucae Leono. [1] Hesterna dieaa Hesterna die] brevis responsio mg. legi litteras tuas ad quas breviter respondebo /69/ propter multas occupationes et propter temporis penuriam. Quod dicis postremo te recepisse unum bonum sescalbb sescal ms : fortasse sescal corrigendum, vel sescal. sed nonnullis causis iustis praepe­ditum venire modo non posse nisi prius fulciatur aliquibus rebus sibi neces­sariis, honesta oratio. Sed quia rescribi tibi postulas sic accipe: nullum sapien­tem consuevisse merces in sacco vel emere vel vendere sed in propatulo rem lectam ostentare. [2] Ad propositum faccc fac] far ms. ut iuvenis veniat et me alloquatur ut sciam quid facere debeam. Licet enim (non dubitem tuo confirmatus testi­monio) quin ipse sit, prout dicis, bonus sufficiens honestus fidusque, tamen oculatus testisdd fidusque tamen oculatus testis] oculatus testis mg. potior est quam tres auriti. Proinde ut veniat adhortare, si placebit et cetera. Vale in domino et diligentem te dilige. Ex Venetiis XXII Octobris. 154.(78) Maffeo Vallaresso a Giovanni Herman Venezia, 15 novembre 1454 M. V. scrive a Giovanni Herman per chiedergli aiuto nella vertenza ancora aperta con il Foscari (cfr. ep. 109); gli raccomanda inoltre un presbitero. /69/ Ad venerabilem dominum Iohannem Hermanum. Quoniam vere necessitamusaa necessit ms1 : corr. ms2 s.l. et caritatis officium est ut alter alterius onera portet, non verebor hac de causa parum negocii humeris tuis ingiunge­re, sperans te mei gratia omnia diligenter executurum prout et ego non minus tui amore facerem. Non puto te latere differentiam illam quae adhuc in pedi­bus stat inter spectabilem dominum Philippum Foscari et me pro canonica­tibus et cetera. Praeterea id a te precario peto ut hunc presbyterum commen­datum habeas, et cetera. Vale. Ex Venetiis XV Novembris 1454. 155.(79) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 6 gennaio [1455] M. V. accoglie le scuse di Giovanni Scaffa, che da tempo non gli scriveva; M. V., invece, anche recentemente gli ha inviato una lettera, non recapitata a causa del latore (il primicerio, un uomo assai pigro); nella presente consiglia Giovanni di affrontare i contrasti con il popolo di Arbe; altri consigli gli saranno recati a voce dal latore della presente, a cui Giovanni darà piena fiducia (Jelic, 55-56). /69/ Ad reverendum patrem dominum Iohannem episcopum Arbensem. [1] Nuper accepimus litteras tuas per Hermo[laum] cumcivem tuum, quas quidem /70/ laeto animo vidimus. Quod vero purgas tuam tarditatem in scriben­do, iustis rationibus allegatis, admittimus, et excusatum recipimus, eo tamen pacto, ut eodem tarditatis (nescio an torporis vel segnitiae vitio) nos minime laborare putes, quippe cum iam plurimi dies sint quod primicerio ordinavimus unas litteras ad paternitatem tuam, quibus eidem significatum volebamus cum de appulsu nostro Hyadrae, tum de rebus gestis Venetiis cum oratoribus Arbi coram reverendissimo domino patriarcha circa negotium pecuniarum solvendarum. [2] Sed, ut novit paternitas tua primicerii nostri extrema pigritia, nedum in alienis negotiis, verum etiam in suis propriis, eo factum est, ut easdem lit­teras in hunc usque diem mittere protraxerit. Itaque hanc culpam ei potius ascribas. Illud autem quod scribit paternitas tua de nimia ovium suarum pro­fectione et cetera intelleximus, hortamurque ut aequo animo toleres. [3] Sic enim et virtus tua et eorum improbitas tandem cognoscetur. Nobis itidem non defuit cicadarum huiusmodi molesta quidem importunitas, sed virtutis et aequitatis mucrone facile superata. Per varios casus, per tot discrimina rerum tendimus in caelum (de his alias). Reliqua vero quae pertinent circa factum differentiae tuae cum Arbensibus et quid fecerimus cum oratoribus illis, diffu­sius intelliges ex praesentium latore, cui ad os tibi plura iniunximus referenda. In omnibus autem quae nostro nomine referet tibi, fidem ei plenariam exhi­beas. Vale in domino semper, et clerum tuum nostro nomine salvere iubeas, eiusdemque orationibus imbecillitatem nostram recommittas. Ex Hyadra VI Ianuarii. 156.(80) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 24 gennaio [1455] Poiché Giovanni non accetta la composizione della vertenza con gli abitanti di Arbe nel modo in cui viene prospettata da M. V., quest’ultimo rinuncia al ruolo di paciere che il patriarca gli aveva chiesto di svolgere; esorta tuttavia Giovanni a evitare litigi e ad accordarsi con i suoi avversari (Jelic, 56). /71/ Ad eundem episcopum Arbensem. [1] Quidam clericus nuntius vester attulit hodie nobis litteras paterni­tatis vestraeaa litteras paternitatis vestrae] ad suas (?) litteras prolixas respondeo breviter mg. nequaquam breves, sed scriptas et integro,bb ex integro Jelic : et integro ms. quibus ad binas nostras superioribus diebus missas respondet, dilatantes maxime sermonem vestrum super facto compositionis per nos fiendae inter paternitatem vestram et Arabes illos,aa Arabes illos] aliter Arbenses dicere voluimus mg. et super scripturis et processibus tradendis. Ad quae omnia brevi responsione opus est. [2] Cum enim moleste audiremus laedi honorem vestrum ab aratoribus (immo oratoribus) illis, hortante reverendissimo domi­no patriarcha, suscepimus id oneris componendarum controversiarum, ut ipsis malivolis vestris finem latrandi statueremus, et, ut de cetero, pax inter vos locum haberet. Sed postquam paternitati vestrae hoc non placet, et mole­ste ferret omnem compositionem, nos reiicimus onus ad utrasque partes, nec sitbb nec sit ms : fortasse ne sit corrigendum. nostrum tantas inter vos componere lites. [3] Verum si quid officii nostri ea in parte intererit, fiet de iure. Hortamur autem paternitatem vestram et obsecramus in Domino ut lites quoad potest fugiat,cc lites quoad potest fugiat] lites fugiendae sunt mg. et pacem sectetur, ut Deus pacis adsit operibus vestris. Nostis enim filios huius saeculi prudentiores et astutiores filiis lucis, et laicos clericis oppido infestos scitis. Propterea tollenda est omnis scandalorum occa­sio. [4] De his hactenus. Unum errorem commisit paternitas vestra, quod existentibus nobis Venetiis, nihil unquam scripsit. Sique missa fuisset nobis ille polligadd polliga ms : polliza Jelic, fortasse recte. conventionum inter illos et cetera, iam res habuisset finem. Valete in Domino. Ex Hyadra, die XXIIII Ianuarii. 157.(247) Maffeo Vallaresso a Domenico Diedo Zara, 30 gennaio 1455 Domenico Diedo è stato eletto per decreto del Senato a guidare la flotta del Golfo; con lui M. V. si congratula, offrendo ogni suo possibile aiuto nel caso la flotta transiti presso Zara. /247/ Ad spectabilem dominum Dominicum Diedo capitaneum Culfi designatum.ee gratulatoria mg. Intellexi nuper ex litteris multorum capitaneatus triremium Culfi demandatum spectabilitati vestrae honorem senatus consulto. Qua ex re plu­rimum voluptatis cepi quod et virtus vestra augeatur et summa reipublicae sapientissimo gubernatore geratur. Speroque nisi me /248/ auguria fallant, ad multo maiores magistratus meritis vos vestris efferendum. Interim autem conceptum gaudium ex hac dignitate vestra celare diutius non potui quin his brevibus vobis gratuler et meam laetitiam una vobiscum communicem. Offerens me ad vestra beneplacita, ut, siquid per me fieri possit gratia vestri, vel cum appuleritis, vel transieritis secus Hyadram, nihil laboris omittatur.Valete in Domino prospere ac feliciter. Hyadrae 30 Ianuarii 1454. 158.(82) Maffeo Vallaresso a Leonardo Dati Zara, 18 febbraio 1455 M. V. è sempre affezionato al Dati, nonostante da lungo tempo non gli scriva e non lo veda; spera in futuro di poter ascoltare di nuovo la sua voce. /73/ Domino Leonardo Dathi Florentino. Etsi nihil hactenus ad te scripserim, tamen memor semper fui amicitiae et humanitatis tuae qua continue usus sum cum in curia essem. Nec locorum distantia impedi possum quin tibi, ac etiam cuilibet ex servitoribus reveren­dissimi domini comitis, ita dilectionis vi afficior, perinde ac si praesens tecumaa praesens dei tecum ms1 : corr. ms2. adessem, cum tamen multo tempore te non viderim. Sed spero vivas quan­doque audire voces et dextram coniungere dextris. Haec hactenus. Venit autem illuc praesentium lator dominus et cetera, paratus. Datum Hyadrae XVIII Februarii MCCCCLIIII.bb MCCCCLIIII scil. more veneto. 159.(83) Maffeo Vallaresso a Giacomo Anania Zara, 18 febbraio 1455 M. V. ricorda la loro antica amicizia; al fratello Giacomo che reca la lettera, Giacomo Anania sappia offrire consiglio e aiuto. /73/ Domino Iacobo de Anania. Confisus benivolentia tua et humanitate, has breves scribere duxi in signum recordationis consuetudinis nostrae. Et quia venit istuc germanus meus dominus Iacobus praesentium lator et conferet tecum quaedam, roga­tum te velim ut consilium et opem ei praestes, ita ut regressus istuc ami/74/citiam nostram non esse vulgarem asserat. Paratum me offerens, et cetera. Ex Hyadra XVIII Februarii MCCCCLIIII.aa MCCCCLIIII scil. more veneto. 160.(321) Maffeo Vallaresso a Mosè Buffarelli Zara, 18 febbraio 1455 M. V. scrive a Mosè Buffarelli, lamentando di ricevere raramente sue lettere e di non poterlo più spesso frequentare; coglie l’occasione di inviargli questa lettera, essendo sul punto di partire per la curia il fratello Giacomo, che raccomanda all’amico. /325/ Ad reverendum patrem dominum Moy[sem] episcopum Polensem. Rarius ad me scribit paternitas vestra quam ego vellem, qui, cum ardenter vos diligam, saepius viserebb visere corr. : viscere ms. litteras vestras vel coram alloqui deside­ro. Sed hoc non datur propter locorum distantiam. Verum, si qua nuntiorum occasio mihi aliquando datur, nullam praetereo. Hinc est ut profecturum in curiam dominum Ia[cobum] germanum meum non simcc sim corr. : sum ms. passus venire vacuum litterarum mearum ad eandem paternitatem vestram, rogans ut sicut pro humanitate sua mihi semper maximam caritatem affectam se praebuit, ita velit etiam ipsi fratri meo humanitatem opportunam exhibere, reputans mihi factum quicquid ei officii collatum fuerit. Non defuturus et ego vobis ac vestris omnibus commodi et ornamento quantum pusillae vires meae sinunt. Valeat paternitas vestra in Domino diu et feliciter. Datum Hyadrae, die XVIII mensis Februarii MCCCCLIIII. 161.(322) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 18 febbraio [1455] Altra lettera di raccomandazione a favore del fratello di M. V., Giacomo, e anche di Giovanni, questa volta diretta ad Andrea Conti. /326/ Ad dominum Andream de Comitibus doctorem egregium. Credo alienum a mutua benivolentia nostraaa Credo alienum a mutua benivolentia nostra] commendatitia mg. ut commendaturus vobis quenpiam rei meae magnis utar exordiis, quin potius id quod est aperte cum amicissimo loquar. Venit enim illuc dominus Ia[cobus] germanus meus prae­sentium lator, quem suscipiatis velim perbenigne ac perhumaniter intuitu mei. Etsi opus erit introductione ac favore vestro et consilio in rebus agendis, facite perinde ac si ego essem, quem vos apprime diligitis. Causam praeterea Io[hannis] curate tanquam fratris vestri. Multum ut videtis de vobis praesu­mo. Sed tantus est amor noster, mihi credatis, ut multo multa maiora ex vobis sperem. E contra nihil est quod ego vobis pro maximis officiis vestris in me collatis non debeam. Valete feliciter. Hyadrae, XVIII Februarii. 162.(324) Maffeo Vallaresso a Nicolò V papa Zara, 18 febbraio 1455 In occasione della prossima quaresima, M. V. invia al pontefice Nicolò V una confezione di pesce in savor (piscium gelatinorum portiunculam). /327/ Sanctissimo domino nostro Nicolao papae quinto. Beatissime pater et clementissime domineaa Beatissime pater ac clementissime domine] De gelatinis mg. post devota pedum oscula sacratorum. Saepenumero considerans mecum quid gratum sublimitati vestrae mittere possem, statui tandem aliquam piscium gelatinorum portiunculam recu­perare quam sanctitati vestrae pro instanti Quadragesima devote tanquam fidelis servus et indignus vassallus in recognitionis signum transmitto, humillime sup­plicans ut dominatio vestra hoc, quicquid est, acceptare dignetur. Nec ad obla­tionis vilitatem, sed ad mittentis servi devotum animum respiciat. Valeat feliciter sanctitas vestra, gratiae cuius parvitatem meam prostratus humi commendo. Hyadrae, XVIII Februarii 1454. 163.(326) Maffeo Vallaresso a Isidoro de Medio Zara, 18 febbraio [1455] L’amicizia di M. V. con Isidoro de Medio è salda perché radicata nella solida virtù; l’antica benevolenza è sempre viva nel cuore di M. V., che ha altre volte scritto all’amico, senza riceverne risposta; poiché Giacomo è sul punto di partire alla volta della curia, M. V. gli affida questa lettera, a rinsaldare l’antico sentimento. /327/ Ad eximium doctorem dominum Isidorum de Medio. Verae ac sincerae fundamenta amicitiae nostrae non facile eradicari possuntbb Verae ac sincerae fundamenta amicitiae nostrae non facile eradicari possunt] ] Lege quia satis bona mg. vel aliquo casu evelli /328/, quippe quae sunt in virtutis soliditate iacta. Eo fit ut prisca benivolentia nostra adhuc in pectore meo urgeat, ac ita urgeat ut quotiens memoria nominis tui ingeritur animo meo, totus certe recreor et hilaresco. Scripsi tibi alias, sed nihil respondisti. Cum itaque pro­fecturus esset in curiam dominus Ia[cobus] germanus meus praesentium lator, nolui eum sine litteris meis ad te venire ut nihil omitterem quin ex parte mea amicitiam conservare studuerim, offerens me paratum et cetera. Vale in Domino, Hyadrae XVIII Februarii. 164.(327) Maffeo Vallaresso a Marcello, segretario pontificio Zara, 18 febbraio 1455 Lettera di raccomandazione per il fratello di M. V., Giacomo, questa volta indirizzata a un segretario pontificio di nome Marcello. /328/ Ad dominum Marcellum pontificis secretarium. Confisus antiqua amicitia et humanitate tua mirifica, has breves ad te dare non fui veritus.aa has breves ad te dare non fui veritus] Commendatitia mg. Quoniam venit illuc dominus Ia[cobus] germanus meus, lator praesentium, et habebit forsan tecum conferre sermonem de ali­quibus negotiis meis, exoratum te velim ut consilium et adiutorium tuum quod ego magni pretii duco, ei deficere non sinas. Paratus et ego et cetera. Hyadrae, XVIII Februarii MCCCCLIIII. 165.(328) Maffeo Vallaresso a Giacomo Bragadin Zara, [18 febbraio 1455?] Seppure il vincolo di amicizia e parentela che lo lega a Giacomo Bragadin gli impedisca di rac­comandargli il fratello Giacomo, tuttavia M. V. gli chiede di assisterlo, poiché Giacomo giungerà in curia inesperto dell’ambiente, né si fermerà lì a lungo. /328/ Ad dominum Iacobum Bragadenum doctorem. Proficiscentem in curiam dominum Ia[cobum] germanum meumaa Proficiscentem in curiam dominum Ia[cobum] germanum meum] Commendatitia mg. com­mendare tibi prohibet antiqua amicitia et vinculum propinquitatis et affinitatis quae tibi est cum familia Vallaressa prorsus vetat. Tamen quia velut tyro ac novus miles illuc venit, non multo temporis illuc moraturus, rogatum te velim ut consuetam humanitatem et iocundissimam societatem tuam perinde ac si ego essem ei praestes. Tantundem ego et multo amplius tui ac tuorum gratia facturus. Vale, et me tui amantissimum ama, vel saltem dilige. 166.(329) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 18 febbraio 1455 M. V. scrive a Pietro Barbo una lettera di presentazione a favore di Giacomo, che con essa si presenterà a lui, per discutere alcune questoni riguardanti M. V. stesso; Giacomo recherà con sé, in dono per il cardinale, alcuni barili di pesce in savor e del tonno salato, dono modesto, ma fatto da M. V. con animo lieto. /329/ Ad reverendissimum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Quoniam istuc venit dominus Ia[cobus] germanus meus praesentium lator,bb germanus meus praesentium lator] Mitto barilia piscium gelatinae cum tunnis salatis mg. pauca scribere duxi, ad ipsum me referens omnino, qui, cum sit plura communicaturus de negotiis meis cum reverenda dominatione vestra, humi­liter supplico ut gratam et humanam (ut est moris vestri) audientiam repor­tet. Praesentabit etiam clementissimae dominationi vestrae aliquid barilia piscium gelatinorum et nonnullos tunnos salatos nomine meo, quae licet sint exigua, tamen quia ex hilari animo procedunt, humillime supplico ut vestra reverenda dominatio dignetur accipere. Valeat excellens vestra reverenda dominatio, cuius gratiae parvitatem meam et ipsum germanum meum humillime commendo. Datum Hyadrae die XVIII Februarii MCCCCLIIII.cc MCCCCLIIII] scilicet more Veneto. 167.(325) Maffeo Vallaresso a Pietro de Leodio Zara, 19 febbraio [1455] Nei confronti di M. V., Pietro de Leodio ha dimostrato sempre una speciale benevolenza; perciò M. V. lo ringrazia, raccomandandogli il fratello Giacomo. /327/ Ad Petrum de Leodio camerarium reverendissimi domini cardinalis Sancti Marci. Ex multis nuntiis meis ad curiam missis relatum est mihi tuae erga me incredibilis benivolentiae ac observationis optimum testimonium. Quare nihil est amoris et gratiae quod ego tibi e converso maiori mensura non debeam. Et has breves in signum dilectionis tuique recordationis scripsi, rogans ut, si quid esset opus officii tui domino Ia[cobo] germano meo prae­sentium latori, humanum ac sedulum te mei intuitu exhibeas ei, quod erit gratissimum. Paratus et cetera. Hyadrae, XVIIII Februarii. 168.(249) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Zara, 3 marzo 1455 M. V. risponde a una lettera del fratello Giacomo, contenente notizie varie, fra cui la promozione di Leonardo Dati a segretario di Pietro Barbo [1]; accenna a una controversia in cui è implicato Giovanni (si tratta probabilmente del fratello, e della controversia di cui si parla ad es. nelle epistole n° 116, 142, 180 e 181), invita il fratello a porvi un termine [2]; si meraviglia che Giacomo abbia richiesto un vestito da Venezia, quando avrebbe potuto procurarselo a Roma [3]; i Turchi stanno preparando una flotta [4]; intendono conquistare Negroponte e hanno già con­quistato tutta la Serbia [4]. M. V. auspica un intervento dell’esercito cristiano; spera che il fratello possa tornare ad aiutarlo, poiché egli ha il peso dell’intera famiglia, e nessun coadiutore [5]. /249/ Ad venerabilem dominum Iacobum Vallaresso subdiaconum apostolicum. [1] Ultimas vestras per presbyterum Mart. accepi datas X Aprilis, quae mihi gratae fuerunt, quod maxime vestram sospitatem denotarent. De nova pontificis creatione intellexi et de voto persequendi Theucros. Haec omnia optima sunt initia, si modo effectum debitum sortiantur. Dolet mihi de morte olim domini Iacobi de Vinc[entia]. Gratulor autem de exaltatione domini Leo[nardi] Dathi, qui, licet multo maiora mereatur ob virtutes suas, tamen ex secretariatu sanctissimi domini nostri, magnum assequetur hono­rem. De regressu vestro adhuc dubitatis creditisque diutius stare quam velitis. [2] Miramur ex tanta mora vestra et mutatione prolixa, maxime cum levia negotia sint expedienda vobis et nobis multo maiora audiendi animus non desit. Si creditis brevi tempore /250/ causam Iohannis ibi in curia expedire, maxime quia contradictores non habetis et pars adversa non habet ibi ali­quem ex corde, sicut Iohannes, neque expensis contendere possunt, bonum est dare finem. Alioquin si praefata causa magnum tempus exigit, faciatis eam committi ad partes prout scribit vobis dominus genitor noster. [3] Nihil scribitis mihi de copia brevis quam misi vobis per quendam presbyterum Traguriensem. Si eam habuistis, prout spero, curare etiam illam causam terminare, sicut alias vobis dixi. Erat enim mihi in animo hoc anno illud castrum visitare, sed priusquam vos non revertamini, portantes nobiscum camum et frenum quibus eorum maxillae constringantur, nihil innovabo. De Petro remittendo bene censuistis. Quod vero miseritis Venetias pro panno, non potui esse absque admiratione, cum sitis mansurus ibi parvo tempore et Romae non desint panni Florenteni optimi et sarziae Flandrens[es], ex quibus facere potuissetis vobis unam vestem pro caloribus illis et non taedio et onere afficere reverendum prot[honotarium] Landum, cui non parvae gratiae sunt habendae quod illud onus per tantum iter subire voluerit. Eius p[ater]nit[atis] me com­missum facite. [4] Per presbyterum Petrizam misi vobis ducatos in auro XXV ut causam non habeatis aliquid recipien/251/di ex litteris cambii. Quod scribitis de dono quod mittere volebat reverendissimus dominus intellexi ac bene fecistis non cura­re velle scire. Ego enim nihil volo aliud neque cupio nisi gratiam suam cui me humiliter commendetis. Nova hic feruntur non bona ex partibus Orientis. Dicitur enim quod magnus Turcus classem instruit maritimam ingentem et exer­citum terrestre ultra quam dici potest, videturque minari insulae Chio. Sed suspi­catur quod potius invasurus sit Euboeam seu Nigropontem.aa insula Euboeae seu Nigropontis mg. Iamque cepit oppi­dum non parvum aedificare ex opposito Nigroponti. Serviam totam occupavit. [5] Dicunt eum sensisse de Christianorum congregatione adversus eum. Idcirco si erit, proinde dubito quod principes fidei nostrae sero ad pu­gnam venient, cum hostis fortissima quaeque occupaverit, spoliisque gaudens in tuto requiescet. Deus autem illuminet Christianorum corda et sanctissimus dominus noster votum faciat perficere suum, ut inimicus noster confundatur et religionis Christianae decus et honor augeatur. Redditus vester ab omnibus desideratur et mihi esset gratissimum quia gubernandae familiae totum onus habeo ultra curas et negotia externa et quia ubique adesse non possumus, multa ruunt in malum nec coadiutores habemus in aliquo sufficientes ut vellemus. Totam /252/ familiam reverendissimi domini mei salvere meo nomine iubetis, quibus etiam me offeratis ad vota. Valete in Domino. Ex Hyadra, III Martii 1455. Raptim. 169.(248) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Giustiniani Zara, 25 aprile 1455 Il patriarca Lorenzo Giustiniani ha convocato un sinodo da celebrarsi nella quarta settimana dopo la Pasqua; gli impegni assunti e la sua situazione non permettono a M. V. di prendervi parte; affida dunque al patriarca ogni decisione da assumere nel corso del sinodo (la lettera di convocazione inviata dal Giustiniani è la n° 5 della II parte dell’epistolario). /248/ Ad reverendum patrem dominum L[aurentium] patriarcham Venetiarum.aa Responsio propter concilium comprovinciale fiendum etc. mg. Superioribus diebus accepi litteras vestrae reverendae dominationis qui­bus me invitat ad comprovinciale concilium quod eadem reverenda paternitas vestra in civitate Venetiarum, cui, Deo disponente praeest, celebrare decrevit, quarta ebdomada immediat[e] sequenti post festum Paschae proxime praeteri­ti. Sancta profecto et salubris vestrae reverendae paternitatis deliberatio, cui parvitas mea prompto ac devoto animo parere desiderat. Sed cum in praesen­tiarum multimodis negotiis et quidem gravibus distinear, adeo ut ad praefixum terminum nisi cum maximo meo ac multorum detrimento et incommodo interesse non possim, vocem et auctoritatem meam non video apud quem melius ac decentius pro securi/249/tate conscientiae meae collocare possim, quam apud reverendam dominationem vestram. Quae quicquid statuerit in hac sancta synodo et cui parti voluerit applicare vocem meam, faciat pro libito arbitrii sui, quia mihi profecto ratum et firmum erit. Valeat reverenda domina­tio vestra, cuius orationibus me commendatum semper cupio. Datum Hyadrae, die XXV Aprilis MCCCCLV. 170.(84) Maffeo Vallaresso a Marco da Bologna Zara, 28 aprile 1455 M. V. chiede al vicario generale dei frati minori che sia inviato a Zara un suo confratello, il quale già aveva vissuto nel convento zaratino (Jelic, 57). /74/ Reverendo patri fratri M[arco] de Bononia, fratrum de Observantia vicario generali. Cum plerisque nobilibus huius civitatis nota sit antiqua amicitia nostra, audacter accedentes rogaverunt me ut ad paternitatem vestram, in cuius manu totius fere ordinis Observantiae summa consistit, scriberem et roga­rem, ut quendam fratrem N. Polen[sem] qui alias praefuit monasterio vestro Hyadrae dignaremini in hoc anno istuc mittere, et cetera. Ex Hyadra XXVIII Aprilis MCCCCLV. 171.(330) Maffeo Vallaresso a Girolamo Loredan Zara, 28 aprile [1455 (?)] M. V. scrive al francescano Girolamo Loredan in occasione della venuta presso di lui del frate Pietro Morosini; M. V. gli comunica di star bene, e di attendere sue notizie; i francescani hanno agito bene a inviare a Zara Pietro Morosini, religioso di vita esemplare, assai bene accetto agli zaratini; M. V. auspica che Pietro possa essere confermato nella sua missione zaratina, o che possa presto ritornare a Zara. /329/ Ad fratrem Hyeronimum Lauredano or[dinis] min[orum]. Cum esset regressurus illuc integerrimus ac religiosus vir frater Petrus Maur[ocenus], indecens putavi ut veniret ad te absque litteris meis, quas ob humanitatem et caritatem erga me tuam, scio tibi non ingratas. Primum omnium me incolumem gratia Dei noveris identidem ex te sentire cupientissimum esse. Incredibile est dictu quam laudabiliter et prudenter fecerint fratres ordinis tui quod huc miserint praefatumaa praefatum] praefactum ms. fratrem Pe[trum], quem laudare per singula non expedit maxime apud te /330/ quem optime nosti, tamen propter exemplarem vitam suam et liberam verbi Dei praedicationem adeo factus est gratus et accep­tus populo Hyadrae ut nihil amplius optent ut iste optimus vir vel firmetur hic, vel remittatur denuo, quod etiam mihi esset gratissimum. Quapropter, si id fieri potest, primum honor Dei et fructus animarum uberior sequetur, deinde laus ac decus religionis vestrae cumulatius augetur. Vale in Domino. Ex Hyadra, die XXVIII Aprilis MCCCCLIIII.bb fortasse MCCCCLV corrigendum. 172.(331) Maffeo Vallaresso a Tommaso da Zara Zara, 1 maggio 1455 M. V. si rivolge allo zaratino Tommaso, studente a Padova, per raccomandargli un chierico, nipote dell’arcidiacono, di nome Francesco, latore della lettera, il quale ha chiesto licenza di poter partire per dedicarsi agli studi [1]; soprattutto guardando ai meriti del detto arcidiacono, che sempre è impegnato nel suo ufficio, confidando anche che Francesco possa raggiungere il termine degli studi e riuscirne dottissimo, M. V. ha acconsentito a dargli una licenza annuale, eventual­mente estendibile, per studiare a Padova [2]; perciò M. V. raccomanda Francesco a Tommaso, il quale è stimatissimo dall’arcidiacono, da un presbitero Michele e da Francesco stesso; tutte le spese saranno a carico di Francesco [3]; se Tommaso non potrà ospitarlo presso il suo stesso alloggio, provveda a trovare una degna sistemazione per Francesco, ma vigili sempre su di lui, perché non sia traviato nel suo percorso di studio [4]; si è così dilungato per il rispetto dovuto all’arcidiacono, Tommaso si impegni a dare effetto alla presente raccomandazione, e dia frequente relazione a M. V. della condotta di Francesco [5]. /330/ Ad dominum Thomam de Hyadra Paduae studentem. [1] Conveniens est virtutum ac litterarum studiosis omnino opem et auxi­lium impendere quo possint voti sui compotes evadere.aa quo possint voti sui compotes evadere] Commendatitia et efficax pro clerico Hyadrensi mg. Cum igitur Franc[iscus] clericus ac nepos archidiaconi nostri, praesentium lator, perdiscendarum littera­rum desiderio ardeat, accessit ad nos, rogans humiliter et petens ut sibi licentiam proficiscendi dare dignaremur. [2] Nos, qui debitores sumus omnes in Christi visceribus et potissimum clericos nostros bonarum artium aemulatores pietatis officio complecti <…>,bb post complecti verbum carere videtur, e.g. desideramus, ut sensus sit: ‘e soprattutto nel nostro dovere di pietà desideriamo abbracciare i nostri chierici che sono zelanti nelle belle lettere’. attendentes primum ad affinis sui archidiaconi praefati merita, qui sub pondere diei et aestus pro ecclesia nostra continue fatigatur, sperantes etiam quod dictus F[ranciscus] reportaturus palmam /331/ studiorum suorum evadat perdoctus, tam honestis eius petitionibus annuimus, dantes ei licentiam per unum annum studendi Paduae, vel ubi melius potuerit, eandem licentiam ulterius ampliori, si bene se gesserit et in virtute profecerit. [3] Et quia idem F[ranciscus], velut tyro et novus quodammodo miles in gymnasium litterarum proficiscitur et quasi peregrinus in terram alienam vadit, tibi eum recommittendum duximus eo maxime quod tam archidiaconus quam presbyter Michael et ipsemet F[ranciscus] multum te ob virtutes tuas diligentes bene confidunt quod sis eum recepturus et eorum gratia fraterno more tracta­turus. Itaque, primum amore Dei, deinde intuitu nostri, demum etiam suorum gratia, habeas eum commendatum, non immemor quicquid ei feceris, nobis et patruo suo gratum fore. Onus autem expensarum nullum. Per suos enim tibi fiet satis. [4] Verum, si commode eum apud te recipere non posses, cura saltem ut alio in loco quodam bono et honesto collocetur. Apud quencumque tamen fuerit, habeto curam illius et oculos vigilantes ad mores et opera eius, ne ab improbis quorum pars maxima est ibi, de via virtutis (ut consuevit fieri) sedu­catur. Sed te duce, comite, consiliario et cohortatore, dum tempus habet et sinit aetas, studio virtuosis incumbat. Quod si fecerit fructus /332/ erit eius laudis autem pars maxima tua. [5] Diffusius progressi sumus quam par erat, sed archidiaconi pietas, quem in Domino diligimus, causam nobis praebuit. Tu autem, qua es probi­tate, studebis has nostras commendatitias executioni debitae mandare, ne fru­stra factae videantur. Et nos te etiam ob id gratiorem habebimus. Illud etiam probe facies, et ut facias iubemus, quod continue significes nobis qualiter ipse F[ranciscus] se gerat in dies. Vale in Domino Iesu. Datum Hyadrae Kalendis Maii MCCCCLV. 173.(85) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 5 maggio 1455 Morto il vescovo di Concordia, M. V. auspica che il Barbo possa concedere un beneficio pertinen­te, in quella diocesi, a suo fratello. /74/ Ad reverendissimum dominum meum dominum patrem cardinalem Sancti Marci. Non dubito reverendissimae dominationi vestrae iam innotuisse de morte reverendi patris domini episcopi Concordiensis qui nuper ex hac vita decessit, scioque competitores huic ecclesiae plurimos non defuturos, tamen in permutationibus beneficiorum aliquid credo vacabit, quod pro domino Iacobo germano meo faceret. Quare humiliter supplico et cetera. Valeat reve­rendissima dominatio vestra felix. Hyadrae V Maii MCCCCLV. 174.(86) Maffeo Vallaresso ad Angelo de la Gronda Zara, 15 maggio [1455] Il latore della lettera di Angelo de la Gronda, Benedetto, è persona da M. V. assai stimata: non occorrevano le tante parole adoperate da Angelo per raccomandarglielo. /74/ Domino presbytero Angelo de la Gronda. Accepi litteras tuas per Benedictum quae, quia incolumitatem tuam ostendebant, gratae mihi admodum fuerunt. Non expediebat autem ipsum Benedictum tot verbis et praecibus commendatum mihi efficere, cum ob gratiam tui cui ego multum debeo et ob virtutes ipsius, plurimum a me diligatur eratque opus unico verbo indicare, et cetera. Vale. Hyadrae XV Maii. 175.(87) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 16 maggio [1455] Il vescovo di Arbe Giovanni Scaffa non si è presentato al concilio provinciale, giustificandosi con una lettera, da cui si apprende di una trattativa da lui abilmente condotta; vi si allude con riferimenti metaforici, probabilmente ironici: Giovanni Scaffa ha recato infatti mercanzie degne degli Assiri, non pepe degli Indi e incenso degli Arabi, ma ciò che di solito orna i letti dei principi e i tessuti (ordimenta) di cotone (gothoni) propri di chi è malato di podagra (podagrici) (Jelic, 57-58). /75/ Reverendo patri domino Iohanni episcopo Arbensi. Ex litteris tuae paternitatis quas accepimus per praesentem nuntium, quid causae fuerit quod ad concilium provinciale non fueris profectus, intel­leximus ac firmis coniecturis consecuti sumus te optimum negotiatorem Assiricas conduxisse merces, non piperis indici aut arabici thuris, sed quod ornare solet delicatos principum thalamos, podagrici, gothoni perpulchra ordimenta. Nihilominus bene fecisses, si causam impossibilitatis tuae, et cete­ra. Interim valitudinem tuam cura. Hyadrae, die XVI Maii. 176.(88) Maffeo Vallaresso a Vittore Capello Zara, 16 maggio [1455] M. V. si complimenta con Vittore Capello per la nomina di lui ad ambasciatore presso il pontefice. /75/ Spectatissimo domino Victori Capello ad maximum pontificem legato designato. Ex litteris meorum intellexiaa Ex litteris meorum intellexi] congratulatoria mg. nuper senatus consulto delatum vobis munus legationis ad maximum pontificem. Gavisus sum vehementer et quanquam cognoscam spectabilitatem vestram propter virtutes suas mirificas et sapientiam singularem etiam sublimiori honore dignam, considerans tamen legationem hanc ornatissimam et vobis honori splendidissimo con­gruam, non potui teneri quin hoc meum gaudium una vobiscum communi­carem, congratulans maximo honori ac dignitati vestrae, offerens me atque omnia mea vestris beneplacitis. Valete. Hyadrae XVI Maii. 177.(332) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 14 giugno 1455 M. V. ringrazia Andrea Conti per come ha accolto il fratello Giacomo e per il dono di calzature di cuoio (calceos ex corio), le quali avrà cura di conservare finché potrà. /332/ Ad eximium doctorem dominum Andream de Comitibus. Nuper istuc regressus dominus Ia[cobus] frater meus,aa Nuper istuc regressus dominus Ia[cobus] frater meus] Ago gratias de humanitate praestita fratri meo mg. quanta humani­tate prosecutus a vobis fuerit, quanta officiositate affectus, longo sermone declaravit. Quod mihi novum in vobis non videtur, quippe cum antiquorum more amicum non pensetis emolumento, sed eundem praesenti ac longe absenti vos exhibetis. Accepi etiam calceos ex corio mihi a vobis dono missos, quos ad memoriam vestri erga me fraterni amoris tenebo, et quoad potero conservabo, de quibus omnibus habeo vobis multas gratias, offerens me atque mea omnia ad vestra beneplacita. Valete. Datum Hyadrae, die XIIII Iunii MCCCCLV. 178.(89) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 7 luglio [1455] M. V. comunica a Pietro Barbo che un suo familiare è giunto incolume a Zara; avrebbe voluto proseguire il suo itinerario in Terrasanta, ma il viaggio ieri pare essere stato interrotto, a causa di una flotta di Turchi. /75/ Reverendissimo domino domino P[etro] cardinali Sancti Marci.aa Bonum principium mg. Nacta opportunitate cuiuscunque nuntii deliquisse mihi viderer si ad dominationem vestram reverendissimam non scriberem. Si valet iocundissi­mum est. Ego diebus elapsis febri aliquantulum laboravi, nuper convalui Dei gratia. Venerandus dominus M. propinquus vester hic Hyadrae sanus habe­tur ac incolumis profecturus Hyierosolimam ad adorandum sanctum domini Iesu sepulchrum. Sed /76/ heri peregrinatio eius revocata videtur, eo quod classis Theucrorum etc. Valeat dominatio vestra. Datum Hyadrae VII Iulii. 179.(90) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bon Zara, 22 luglio [1455] Il vescovo di Equilio, Andrea Bon, non gli ha mai risposto, e tuttavia M. V. continua a scrivergli, per ricordargli la sua vertenza con Filippo Foscari e la causa del fratello Giovanni. /76/ Reverendissimo patri domino Andreae episcopo Equilino. Licet paternitas vestra debeat mihi plures litteras ad responsionem mea­rum, quia tamen continuo certior fio quam bene se gerat et hactenus gesserit, et in controversia quam habeo cum domino Philippo Fos[cari] et in causa Iohannis fratris adhuc scribere non cessabo, multas referens gratiarum actio­nes, et cetera. Valeat paternitas vestra. Datum Hyadrae XXII Iulii. 180.(333) Maffeo Vallaresso a Giovanni Morosini Zara, 22 luglio 1455 M. V. non ha scritto a Giovanni Morosini, certo non per mancanza di stima, ma perché non ha avuto occasione di comunicare a un uomo della sua gravità alcunché di importante; ora ha avuto la felice notizia che, in assenza dell’arcivescovo di Creta, Morosini è stato delegato alla causa matrimoniale del fratello di M. V., Giovanni [1]; pertanto, considerata la di lui fama di uomo giusto, gli raccomanda di provvedere con celerità alla risoluzione della causa in questione [2]. /333/ Ad egregium doctorem dominum Io[hannem] Maurocenum. [1] Antehac scribendi ad vos nulla mihi fuit conveniens causa non quod non diligam et ob virtutes vestras observem vos, sed quia ad virum gravem de rebus non gravibus scribere levitas videtur. Audivi causam matri­monialem Io[hannis] germani mei propter absentiam reverendi patris domini archiepiscopi Cretensis per subdelegationem ad vos devenire. Quod mihi iocundissimum est. [2] Tanta est enim probitas et iustitiae ac peritiae vestrae fama, ut nemo dubitare possit vel animam suam pretiosam committere, quia cum omnibus bene agere vir bonus novit. Itaque mihi par non videtur prae­fatum germanum meum et causam eius ad iustitiam vobis commendare, nisi tantum ad celerem expeditionem, quem ut exhibeatis ei vos plurimum oro et propter amicitiam nostram mutuam obtestor, facturus et ego tantundem et multo amplius dummodo pusillae vires agere id sciverint, pro honore ac ornamento vestro et cuiusvis vestri. Valete. Ex Hyadra, XXII Iulii 1455. 181.(250) Maffeo Vallaresso a Filippo Paruta Zara, 22 luglio [1455] M. V. scrive a Filippo Paruta, arcivescovo di Creta, in merito alla controversia (cfr. l’epistola precedente, n° 180) protrattasi per un quadriennio nella quale è implicato il fratello Giovanni; si eplicita qui trattarsi di una causa matrimoniale, per la cui soluzione Maffeo si affida al Paruta, confidando nella antica amicizia delle due famiglie. /252/ Ad reverendum dominum Phili[ppum] archiepiscopum Cretensem.aa Comm**** causam sibi delegatam mg. Confisus magnificus dominus genitor meus summa integritate et exac­tissima aequitate vestra fecit delegari reverendae dominationi vestrae quan­dam causam matrimonialem Iohannis fratris mei. Quae causa cum insideat cordibus omnium meorum, his brevibus recommittendam duxi vestrae dominationi, eidem supplicans in primis ut celeri expeditione praefatam cau­sam cognoscat et ad finem usque perducat. Satis enim per quadriennium ferme protracta est. Pluribus autem verbis in hac petenda gratia non utar, ne diffidere videar antiquo amori qui semper fuit inter domum vestram et nostram. Illud etiam non praetermittam mihi et reliquis omnibus meis ad maximum applicari beneficium quicquid dominatio vestra huic causae favo­ris et auxilii dederit, quo ad optatum finem perveniatur. Paratus et ego quic­quid possum pro honore et commodo vestro, etc. Hyadrae XXII Iulii. 182.(502) Domenico Capranica a Maffeo Vallaresso Roma, 4 settembre 1455 Il cardinale Domenico Capranica (il quale ricopriva allora l’ufficio di gran penitenziere) si rivolge a M. V. per intercedere a favore di un N. (probabilmente Nicolò) da Sebenico, che è giunto a Roma per essere assolto dai suoi peccati; Domenico, secondo l’uso, lo rimanda a M. V., con intenzione non di togliere la penitenza, se essa è stata comminata; tuttavia M. V. consideri che non c’è giustizia senza misericordia, né misericordia senza giustizia. /599/ Dominicus tituli Sanctae Crucis in Hierusalem presbyter cardinalis Firmanus Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. Veniens ad curiam Romanam pro absolutione ab excessibus eorum, remittimus secundum stilum poenitentiariae ad ordinarios suos, non ea intentione ut, si quid paenitentiae laturi sunt quod etiam aliorum exemplum cedat, id per commissionem nostram tollatur. Et propterea cum quidam N. de Sybenico veniat nunc ad paternitatem vestram cum litteris officii nostri praefati, consideret paternitas vestra praedicta ita secum agere, ut iustitia sine misericordia non sit, nec rursus misericordia sine iustitia. Hoc enim modo, ut credimus, providebitur. Paratus ad beneplacita vestra. Romae, IIII Septembris MCCCCLV. 183.(91) Maffeo Vallaresso a Donato Bianco Zara, 2 ottobre [1455] Il cappellano e segretario di M. V., Simone, è in procinto di partire: desidera infatti dedicarsi agli studi letterari; M. V. approva con gioia tale scelta, ma ora deve procurarsi un nuovo cappellano, in grado di svolgere anche l’incarico di segretario (cfr. epistole n° 184 e n° 188). /76/ Presbytero Donato Bianco. Cum a multo tempore exploratum habeam quanto desiderio adiscen­darum litterarum presbyter Sy[mon], capellanus meus, accensus sit et nuper a me petierit licentiam abeundi explendique voti sui, non potui resistere quin aequo et libenti animo ei annuerem ac etiam conplacerem, eo maxime quod virtuti operam sit daturus. Verum, cum praefatus exerceat officium capellani et secretarii, sine quo ego commode esse non possum, necessarium mihi est quenpiam alium invenire, qui idem officium exequatur, et cetera. Vale. Hyadrae, die II Octobris. 184.(251) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bon Zara, 2 ottobre [1455] M. V. chiede ad Andrea Bon, vescovo di Equilio, di trovare un nuovo cappellano capace di fargli anche da segretario; preferisce che non sia veneziano di origine, poiché si potrebbe arrogare ecces­sive libertà; preferisce sia lombardo (cfr. ep. n° 183 e n° 188). /252/ Ad reverendissimum dominum Andream episcopum Equilinum.aa Equilinum] Aquilinum ms (sed cfr. ep. 179). Ex nostra mutua et singulari benivolentia ma/253/ximam continue fiduciam capio et familiariter ad paternitatem vestram scribere audacterque in rebus et negotiis meis exercere. Cum in praesentiarum opus habeam uno capellano et eodem secretario, rogatam velim paternitatem vestram ut hoc parum oneris suscipiat mei amore, ut diligenter quaerat aliquem sacerdotem honestum ac etiam mediocriter litteratum, qui et pro capellano et secretario mihi satisfaciat, habiturus a me convenientem provisionem, ita ut contentus esse possit. Sin autem in huiusmodi capellano inveniendo difficultas aliqua erit, quaeratis aliquem iuvenem laicum sufficienter litteris imbutum, qui ad litteras missivas quas frequenter scribere necesse est, sit idoneus. Cui dabo honestum salarium, videlicet ducatorum XVIII singulo anno, et aliquanto melius iuxta merita sua. Nolim autem Venetum natione, quia, ut domestice cum paternitate vestra loquar, huiusmodi iuvenes propter patriae libertatem et nimiam familiaritatem, omnia sibi licere putant. Si Lombardus erit, faci­lius ad manum ducetur. Plura dicere sapienti non est necesse, nisi ut inven­tum huiusmodi genitori meo mittatis, quem ipse, si videbitur convenire, ad me Hyadram mittat. Valeat paternitas vestra in Domino. Ex Hyadra die II Octobris. 185.(334) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 2 ottobre 1455 M. V. scrive a Pietro Barbo, dandogli notizia che qualche giorno prima, in Epiro, un contingente del condottiero albanese Giorgio Castriota Scanderberg e del re d’Aragona, a causa di una con­dotta disattenta, è stato sconfitto e annientato dai Turchi. /333/ Ad reverendum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Quanquam dignum nihil quod scribam occurrat, tamen antiquo insti­tuto meo non desinam scribere et parvitatem meam sublimitati dominationi vestrae recommit/334/tere, prout quisque fidelis servitor facere debet cum unico domino suo. Discrucior nanque quod reverendissimae dominationis vestrae faci­em desideratissimam videre non possim. Proinde litteris meis vel ineptiis saepius eam visitare decrevi. Novi nihil in praesentiarum occurit. [2] Superioribus diebus commilitones aliqui Scanderbeg et nonnulli suf­fecti pedites illustrissimi Aragonum regis in Epyro a Turchis fusi, stragem non parvam (ut fertur) dederunt, quod incaute se gerentes ex improviso inter oscitan­tes (ut dicitur) oppressi sunt. Quae omnia latius innotuisse reverendae domina­tioni vestrae per viam Venetiarum non dubito. Siquid in futuro obtigerit, excel­lenti reverendae vestrae dominationi quamprimum significare curabo, dummodo nuntiorum facultas detur. Valeat reverenda dominatio vestra prospere. Hyadrae, II Octobris MCCCCLV. 186.(335) Maffeo Vallaresso a Giovanni Condulmer Zara, 2 ottobre 1455 M. V. scrive a Giovanni Condulmer, per rispondere a una sua precedente sollecitazione: M. V. potrebbe aspirare a ottenere l’episcopato di Treviso (ma poco prima, il 7 settembre, esso era stato già assegnato a Marco Barbo: forse l’invito del Condulmer originava dalla precedente vacanza di quella sede); Giovanni lo ha perciò esortato a scrivere al cardinale Pietro Barbo; M. V. ringrazia Giovanni, perché la sua iniziativa testimonia l’affetto che Giovanni nutre per lui [1]; tuttavia la sede di Treviso non è per M. V. appetibile: l’attuale sede gli offre un reddito mediocre, di circa 1100 ducati, ma non è sottoposta a tributi e oneri (collectae e angariae), cui invece soggiacciono le diocesi italiane e in particolare quella di Treviso, la quale si trova vicino a Venezia [2]; per­tanto M. V. prega di dissuadere il cardinale a impegnarsi a favore di una permuta della diocesi: M. V., infatti, non vorrebbe dover essere costretto a rifiutare una tale proposta [3] e prega Giovanni di salutare il cardinale [4]. /334/ Ad venerabilem dominum Io[hannem] Condul[marium] subdiaconum apostolicum. [1] Iam multis diebus elapsis accepi litteras tuas, ad quas hactenus ideo respondere distuli,aa Iam multis diebus elapsis accepi litteras tuas ad quas hactenus ideo respondere distuli] Respondeo ad hortationes suas pro ecclesia Tarvisina vacante mg. quod sperabam per aliquem nuntium, qui ad te hinc recta proficisceretur via scribere. Quem cum minime habere potuerim, per viam Venetiarum litteras dare duxi. Ut res ad tuas veniam, quibus fraterno more de ecclesiae Tarvisii me sollicitas, cui ut possem admodum /335/ cupis, ac ut scribam aliquid reverendissimo domino communi hortaris, non credo hoc aliunde procedere quam ex nimio amore tuo quo mihi affectus es. Nec miror nunc si hunc honorem mihi cupis, cum aliter saepius tuam erga me ardentis­simam caritatem satis cognoverim. Nec propterea gratias tibi refero, cum ob multa alia immortales perpetuasque tibi debeam. [2] Ecclesia autem illa celebris et honorifica et si viro collata dignissi­mo, mihi tamen in praesentiarum nec appetenda est nec quaerenda. Possum enim hoc tempore mea contentus esse, quae licet redditus non habeat amplis­simos, sed mediocres, videlicet ducatorum circiter mille et centum, tamen caret illis gravaminibus et oneribus quae patiuntur ecclesiae Italiae. Non enim ecclesia mea solvit illustrissimo dominio collectas nec aliquam aliam angariam patitur. At illa Tarvisina et collectas gravissimas solvit et propter vicinitatem Venetiarum intolerabiles habet angarias. Taceo infinitam hospi­tum moltitudinem quotidie adventantium quibus, velis nolis, sumptuosa exhibenda sunt conviva. Hic autem Hyadrae etsi interdum non desint multi hospites, commoditas tamen victus et rerum ubertas maxima est, ut omnia parvo constent pretio. His igitur et multis aliis de causis /336/, eccle­siam hanc non permutarem cum illa. [3] Proinde, si reverendissimus dominus communis aliquam faceret mutationem, ut me ad illam ecclesiam transferret, tu ob antiquum amorem nostrum dissuadeas pro viribus. Nollem enim ut reverendissima dominatio sua laboraret id mihi conferri facere, quod ego postea respuerem. Scio nan­que quod reverendissima dominatio sua me ut fidelem servitorem suum in memoria habet, ut siquid in futurum vacaret, quod pro me faceret, non essem de ultimis pro quibus eadem dominatio sua procuraret. Et tu item solertius procurabis et accuratius, si quid melius contigerit, quemadmodum ego pro te si in curiam praesens essem, quod spero forsan cito fore. [4] Si quid interim vel pro te vel pro aliquo tuo possum, non recuso laborem, quanquam nihil adeo difficile esse possit ut mihi laboriosum videri possit ob gratiam tui. Praefato reverendissimo domino communi me humili­ter commendatum reddas. Totam autem eius familiam nisi taedet laboris meo nomine salutes.Tu autem vale. Ex Hyadra, II Octobris MCCCCLV. 187.(336) Maffeo Vallaresso a Pietro Morosini Zara, 2 ottobre 1455 M. V. si compiace con il francescano Pietro Morosini, il quale è stato designato vicario provincia­le; tale carica è più onerosa che onorifica, ma è bene sia stata assegnata a chi, come Pietro, ne è degno e benemerito [1]; in tale ufficio, infatti, Pietro saprà fare il bene del suo ordine, e ne avrà grande lode; lo ringrazia per avergli inviato cata (incerto il senso del vocabolo; secondo il Du Cange può valere anche per una specie di trota); lo prega di salutare il frate Paolo da Mantova, compagno di Pietro, al quale non è ancora riuscito a rispondere [2]. /336/ Religioso viro fratri Petro Mauroceno or[dinis] mi[norum]. [1] Redditae sunt mihi nuper litterae vestrae tam plenae humanitatis quam conditae sale sapientiae,aa conditae sale sapientiae] Congratulator quod ad vicariatum provinciae sit delegatus mg. quae mi/337/hi gratae admodum fuerunt, non ex eo quod meam in vos beneficentiam, quae aut nulla est quidem, aut parvi pretii referant, sed quod ex ipsis percepi vicariatum provinciae vobis designa­tum. Quod quidem munus etsi oneris ac laboris plus in se habeat quam honoris, tamen ego ingenti gaudio affectus sum, quod huiusmodi officia administranda dignis ac benemeritis viris per p[at]res vestros tribuantur. [2] Ego enim quantum confidere possum virtuti vestrae spero ac firma certitudine teneo vos ex istius officii vestri administratione magnum decus ac perpetuam laudem apud Deum et homines consecuturum. Pro illis catis mis­sis, licet nondum receptis, gratias vobis infinitas habeo. Si quid in me vel apud me cognoscitis vobis gratum et iocundum id totum sub ius et arbitrium vestrum dedo. Ad litteras fratris Pauli de Mantua, individui comitis peregri­nationis ac praedicationis vestrae, respondere in praesentiarum diversis occu­pationibus impeditus nequeo. Quem ut nomine meo plurimam salutem impertiatis cupio.Valete in Domino Iesu ac vestris devotis orationibus meam parvitatem commendatam habetote. Ex Hyadra die II Octobris MCCCCLV. 188.(337) Maffeo Vallaresso a Cosma Contarini Zara, 2 ottobre 1455 M. V. richiede a Cosma Contarini di trovare un giovane sacerdote che possa fargli da cappellano e segretario [1]; se non troverà un sacerdote disponibile, cerchi un laico, oppure uno studente (scolasticus) in grado di espletare l’incarico; preferisce non sia veneziano, ma piuttosto lombardo, vicentino, padovano, trevigiano o friulano; lo presenti al padre di M. V., il quale deciderà se inviarlo o no a Zara [2] (cfr. le epistole n° 183 e n° 184). /338/ Clarissimo doctori domino Cosmae Contareno. [1] Non puto mutuae convenire benivolentiae nostrae ut scripturus ad vos multa utar circuitione,aa ut scripturus ad vos multa utar circuitione] Scribo quod reperiat mihi unum capellanum doctum mg. sed rem ipsam potius aperte loquar. Cum opus habeam uno capellano eodemque secretario scribendarum litterarum, non video cui melius hanc provinciam iniungam quam vobis, qui cum et sapien­tia et multarum rerum experientia polleatis, recte hominum iudicia ex vultu et oratione facere consuevistis. Rogatum itaque vos velim ut inveniatis mihi aliquem honestum sacerdotem et aliquantulum litteratum, qui et pro capel­lano satisfaciat mihi et pro secretario, dando eidem provisionem honestam, ita ut possit esse contentus. [2] Si tamen huiusmodi sacerdos inveniri non poterit, quaeratis iuve­nem aliquem laicum vel aliquem scolasticum pauperem mediocriter litteris imbutum, qui ad ditandas litteras familiares, quas frequenter scribere necesse, idoneus habeatur. Habebit autem pro salario suo ducatos XVIII sin­gulo anno, et aliquanto melius secundum merita sua. Nolimbb nolim] nolin ms. autem aliquem Venetum sed potius Lombardum aut Vicentinum, Paduanum seu Tarvisinum vel Furlanum. Huiusmodi hominem inventum domino genitori meo mitta­tis, quem, si videbitur ei quod pro me faciat Hyadrae, /339/ ad me mittet. Paratus et ego ad vestra beneplacita. Valete. Ex Hyadra, II Octobris MCCCCLV. 189.(338) Maffeo Vallaresso a Francesco Porcellini Zara, 2 ottobre 1455 M. V. estende la medesima richiesta di cui alla lettera precedente a Francesco Porcellini. /339/ Ad celeberrimum doctorem dominum F[ranciscum] de Porcellinis. Antiqua nostra confisus amicitia, has breves ad vos dare constitui, orans precarioque a vobis petens ut quaeratisaa orans precarioque a vobis petens ut quaeratis] Quod perquirat aliquem capellanum litteratum mg. ac prorsus inveniatis mihi aliquem honestum sacerdotem litteris mediocriter imbutum qui mihi pro capellano et secretario subserviat, habiturus a me competentem provisionem ultra expen­sas, ita ut esse possit contentus et cetera. Ego autem alias vestris beneplacitis oblatus sum. Nunc iterum me paratum offero etc. Hyadrae, die ut supra. 190.(92) Maffeo Vallaresso a Felice da Spalato Zara, 5 novembre [1455] M. V. raccomanda a Felice da Spalato, vescovo di Scardona, una donna, la quale, avendo una controversia con un fratello sacerdote a Spalato, è stata a sua volta raccomandata a M V. dai nobili Detrici (una famiglia la cui attività è attestata a Zara anche da altre fonti ma vd. qui anche l’epistola n° 206 e n° 214; Jelic, 58: excerptum). /76/ Reverendissimo patri domino Felici episcopo Scardonensi.bb commendatitia mg. Venit ad praesentiam paternitatis vestrae honesta ac proba mulier M. praesentium exhibitrix, quae, quoniam habet certam differentiam cum quo­dam presbytero patre Spalatensi, germano eius, fecit me rogari a nobilibus istis Detricis, et vestris et meis domesticis et amicis, ut eidem paternitati vestrae litteris meis eam commendarem. Itaque rogatus rogo /77/ ut ad expeditionem administrandae iusticiae paternitas vestra sibi faveat, quo rogatu meo cognoscat se adiutam. Paratus etiam ego ad beneplacita vestra. Valete in domino. Hyadrae V Novembris. 191.(339) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 14 novembre 1455 M. V. si rivolge ad Andrea Conti per riceverne aiuto in merito a una causa matrimoniale: un cit­tadino di Zara (M.), figlio di Simone de Piachiaro ha siglato un patto nuziale con la figlia di un L. de Soppe, ma poiché si è scoperto che i due sono imparentati in quarto grado, M. V. ha interdetto loro di procedere nel matrimonio, prima di avere la dispensa pontificia [1]; i due hanno inviato perciò un frate eremita, Vito (probabilmente la stessa persona cit. alla ep. n° 202), per ottenere tale dispensa; Andrea faccia in modo, perciò, che la causa sia affidata a M. V. stesso, il quale, considerato l’albero genealogico, darà la dispensa avendo ricevuto l’autorità apostolica [2]. /339/ Ad egregium doctorem dominum Andream de Comitibus. [1] Grandis fiducia singularis et mutuae benivolentiae nostrae facit ut exequendisaa mutuae benivolentiae nostrae facit ut exequendis] De dispensatione cuiusdam matrimonii mg. et meis et amicorum meorum negotiis ad te tanquam ad firmum et solidum adnixus parietem audacter saepius recurram. Cum igitur nobilis quidam civis Hyadrensis M. quondam Sy[monis] de Pichiaro nuper con­traxerit matrimonium cum quadam iuvencula Per. nomine, filia olim nobilis viri L. de Soppe, qui tandem inventi sunt invicem attinere in quarto consan­guinitatis gradu et affinitatis, /340/ prohibiti sunt a me ad ulteriora consum­mationis, videlicet matrimonii procedere, priusquam per sedem apostolicam cum eis dispensetur. [2] Proinde rogaverunt me ut praesentem nuntium fratrem Vitum heremitam, quem illuc specialiter ad hoc mittunt pro dispensatione obtinen­da, tibi vel cuipiam amicorum qui id negotium sollicitaret et exequeretur litteris meis commendarem. Cum autem iudicio meo nemo accuratius et melius id exequi sciat et possit quam tu, qui et auctoritate et curiae magna polles experientia, oratum te velim ut per viam paenitentiariae, facias hanc mihi causam committi. Ego vero, habita commissione et viso diligenter arbore huius propinquitatis, auctoritate apostolica cum eis dispensabo. Et quia propediem nuptias celebrare cuperent, celebremaa celebrem ms : fortasse celerem corrigendum. expeditionem praefato nuntio tribuas. Pro litteris autem conficiendis et pro labore sollicitudinis et cetera praelibato nuntio dari feci pecunias, qui ad omnia integre satisfaciet. Paratus et ego si quid possum per te et amicis tuis. Vale et cetera. Datum Hyadrae, XIIII Novembris MCCCCLV. 192.(93) Maffeo Vallaresso a Margeto arciprete di Pago Zara, 4 dicembre [1455] M. V. ha ammonito un presbitero del capitolo di Pago, a proposito del quale aveva ricevuto una nota preoccupante; ne informa l’arciprete Margeto, che nomina quale suo unico vicario, con raccomandazione di sorvegliare il detto presbitero, e di intervenire con severità a carico di chiun­que sia degno di punizione (Jelic, 58). /77/ Domino Margeto archipresbytero Pagensi. [1] Cum pridem sinistra quaedam relatio de presbytero G. tuo nobis exhibita fuisset, nos ex paternae sollicitudinis officio cupientes morbidae vul­neribus oviculae congruum adhibere medicamen, iussimus eum ad nostram pervenire praesentiam. In quo non ita invenimus quemadmodum relatum erat. Commonitum igitur ad te remittimus, praecipientes ut oculos apertos ad ipsum habeas, qui, cum sub tua creverit disciplina, quicquid male egerit, in te culpa reiicietur. Haec satis. [2] Visum est nobis praeterea te unicumbb te unicum] instituo ipsum unicum vicarium insulae Pagi mg. ac solum vicarium nostrum insulae Pagi constituere, quem per praesentes constituimus et constitutum declaramus, nostram tibi auctoritatem committentes, ut vigilantem curam illius nostrae Pagensis ecclesiae et cleri totius habeas, et omnia ac singula tam in spiritualibus quam in temporalibus, quae opportuno remedio indigere cognosces, auctoritate nostra disponas ordinesque, ac prorsus, inspirante Deo, omnes corrigendoscc cor corrigendos ms1 : corr. ms2. corrigas et castiges, cum omni severitate et caritate, quemadmodum decet ministros Christi. [3] Et ut nemo excusari possit de hac nostra deliberatione et institutione, quod eam ignoraverit, congregari facias omnes clericos Pagenses, qui ibi praesentes fuerint, quibus astantibus, legi facias istas, ut mentem nostram intelligant, et tibi utpote unico vicario nostro de cetero sint reverentes et obedientes. Vale. Ex Hyadra, die IIII Decembris. 193.(94) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 20 dicembre [1455] Marco Barbo è stato eletto vescovo di Treviso: incarico prestigioso, ma che prelude a sorte più alta. Anche i suoi familiari ne saranno felici, scrive M. V., perché avranno in lui un successore degno dello zio (Lodovico Barbo), la cui santità è a tutti nota; M. V. si rallegra inoltre avendo appreso che sono stati riservati alcuni benefici abbaziali. /78/ Reverendo patri domino M[arco] Barbo electo episcopo Tarvis[ino]. [1] Accepi a quodam canonico meo ex curia nuperrime venientiaa venienti : expectes veniente. quod sanctissimus dominus noster, considerata summa integritate vestra et in omnibus rebus prudentia mirabili, ad dignissimam ecclesiae Tarvisinae sedem vos sublimavit. Quae quidem etsi per se satis celebris habeatur, tamen iudicio meo magis ac magis nunc illustrior dominationis vestrae accessus habetur. [2] Quamobrem et Tarvisinis, quibus antiquo amore affi­cior, admodum gratulor, et vestrae paternitatis illis, quod felicis recordatio­nis reverendissimi patrui vestri, cuius sanctitatis fama ad aetera penetravit, superstitem ac successorem non imparem virtutibus tandem sint consecuti reverendissimam paternitatem vestram. [3] Itidem eo quod maiorum suo­rum vestigiis inhaerens bonarum virtutum suavitatem ita redoleat, ut maxi­mus pontifex, etiam absentis vestri attractus et illectus odore, quibus facul­tas datur, studeat dominationem vestram ornamentis decorare dignitatis. Verum ego proinde nulla moveor admiratione quippe quia iudicii et opi­nionis meae ac, ut sic dixerim, pronosticatum, de reverendissima domina­tione vestra ex veris coniecturis ductae non immemor, ne ac sorte quidem contentus, multo maiora mihi de vobis polliceor. Omnipotens autem Deus secundet haec vota! [4] Illud etiam ad voluptatis mihi cumulum accessit, quod paternitatis vestrae abbatias reservatas intellexerim, licet quaedam parva iniuncta pensio sit, quae, ut spero, tempore componetur. Plura scribere non patitur tempus, nisi me totum dominationi vestrae offerre ac debere, ut, cum prius vos in fratrem optimum habuerim, a modo iam in patrem colendissimum et obser­vandissimum habiturus sim. Valeat felix dominatio vestra. Hyadrae XX Decembris. 194.(252) Maffeo Vallaresso a Vittore Capello Zara, 20 dicembre [1455] M. V. raccomanda a Vittore Capello un Maffeo di Cattaro. /254/ Ad spectabilem dominum Victorem Capello.aa Commendatitiae mg. Venit illuc venerabilis vir Maffeus Catarensis praesentium lator, qui me rogavit ut eum vestrae magnificentiae commendarem. Itaque rogatus rogo ut in eis rebus quae vobis honeste videbuntur et ad iustitiam ac pietatem spec­tantes sibi favere dignemini, paratus et ego ad quaeque grata et iocunda spec­tabilitati vestrae quam bene valere peropto. Hyadrae die XX Decembris. 195.(340) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Zara, 20 dicembre 1455 Barbone Morosini scrive a M. V. solo di rado, invece Maffeo, nonostante sia oberato dagli uffici pastorali, pensa sempre a lui; ha saputo dai suoi familiari che Barbone è stato eletto fra gli ambasciatori diretti al pontefice: la presenza di Barbone conferirà lustro a una tale legazione [1]; M. V. soprattutto gioisce perché gli interessi della Repubblica saranno tutelati presso il pontefice da un uomo di provata esperienza e capacità [2]. /340/ Ad clarissimum doctorem dominum Bar[bonum] Maurocenum. [1] Quod saepius tuas mihi, quemadmodum opto, facultas videndi non detur,aa facultas videndi non detur] Congratulatoria legationis ad maximum pontificem mg. facile ignoscere possum ac tuis /341/ privatis publicisque curis veniam dare. Ego vero, etsi pastorali regimine, quod est omnium gravissimum, distra­har, miris, ut dicam modis totus tamen erga te versor, tota tibi mente afficior. Cui sic affecto iocundissimum ex te nuntium litteris meorum significatum est tibi videlicet homini dignissimo legationis munus ad maximum pontificem, senatus consulto demandatum. Quae quidem legatio etsi per se celebris et decora sit, ex tua tamen spectatissima et gravissima auctoritate, multo maius amplitudinis et dignitatis culmen assecuta est. Nam virtus tua, quovis vel subli­mi vel elato in nostra republica munere mihi superior visa semper est. [2] Gaudeo itaque non proinde quod haec ornatissima legatio iniuncta tibi sit a senatu, qui bene de te meritus maiora procul dubio tibi debet, sed proinde gaudeo et vehementer exulto quod huius tempestatis quae omnium est laboriosissima atque difficillima res gravissimae rei publicae per eum gerantur et exequantur apud pontificem maximum, qui ex auctoritate sua et prudentia mirifica et singulari doctrina et insuper, quod omnia vincit, rerum omnium experientia et usu mirabili valet ac etiam ceteris praestat. /342/ Sed haec in aliud tempus reservanda omittantur, ne in os laudare videamur. Vale. Haec tecum prolixius quam decuit domestice dixi utpote cum unico ac vero amico, quorum hoc tempore copia rara admodum est. Iterum vale. Datum Hyadrae, die XX mensis Decembris MCCCCLV. 196.(341) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Zara, 28 dicembre 1455 M. V. raccomanda a Giovanni Scaffa, vescovo suffraganeo di Arbe, un francescano, vicario della provincia di Dalmazia, il quale avrà bisogno dell’aiuto di Giovanni: questi si impegni a dimo­strargli che la lettera di M. V. ha avuto il suo effetto. /342/ Ad reverendum patrem dominum Io[hannem] episcopum Arbensem suffraganeum. Venit Arbum venerabilis ac religiosus vicarius fratrum Sancti Francisci provinciae Dalmatiaeaa vicarius fratrum sancti Francisci provinciae Dalmatiae] commendatitia mg. habiturus forsan opus ope et auxilio vestro, quem cum ob virtutes suas et vitae suae integritatem quibuslibet favoribus a nobis prosequi mereatur, his brevibus recommittendum paternitati vestrae duximus, eandem rogans ut primum amore omnipotentis Dei, tum intuitu nostri, in quibus fas et par est ei faveat, ita ut has nostras litteras ad eius instantiam confectas apud paternitatem vestram aliqua in parte profuisse advertat. Valete. Hyadrae, XXVIII Decembris 1455. 197.(96) Maffeo Vallaresso a Giuseppe De Moisis Zara, 29 dicembre [1455] M. V. riguardo alla controversia che lo oppone al Foscari (cfr. ep. 109, ecc.), lamenta di essere stato condannato riguardo ai canonicati di Creta e del Chersoneso; è indignato soprattutto perché avrebbe dovuto essere giudicato e condannato pro rata, cioè per la sola parte di sua competenza. /80/ Praesbytero Joseph de Moysis Veneto. Quam studiose et diligenter hactenus te gesseris in controversia mea quam habeo cum spectabili domino Philippo Foscari plurimis litteris magni­fici domini genitoris mei certior factus sum. Verum, cum nuper acceperim de canonicatibus Cretensibus et Kironensibus contra me latam et promulga­tam sententiam, multis ex causis moleste tuli, tum ex eo maxime quod, cum decem mensibus integris curiae serviverim, debuissem saltem condemnari et sententiari pro rata. Cum autem iuxta voluntatem meam appellaveris et apo­stolicos dimissorios exceperis, et cetera. Vale. Ex Hyadra, die XXVIIII Decembris. 198.(323) Maffeo Vallaresso a Giovanni Condulmer [1455?] M. V. raccomanda a Giovanni Condulmer il fratello Giacomo, il quale giunge da lui senza conoscere nessuno; il fratello possa avere prova dell’affetto che Giovanni nutre per M. V. /326/ Ad venerabilem dominum Io[hannem] Condul[marium] subdiaconum apostolicum. Si tibi est ut cupis, gaude.aa Si tibi est ut cupis, gaude] commendatitia et familiaris mg. Ego enim valeo tuique videndi et com­plectendi sum cupientissimus. Reliqua perdisces ex praesentium latore domi­no Ia[cobo] germano meo, qui, quoniam venit illuc quasi inter ignotos, sit quaeso tibi curae ut cognoscat ac testimonium perhibeat quantum mei ac mea omnia mutuo diligas. Ego enim, ut nosti, loco fratris te semper duxi ac duco tuique gratia omnem laborem, quanvis gravissimum, iocundum admo­dum existimarem. Ita et tu erga meos facito, etc. Vale et diligentem dilige. Hyadrae. 199.(342) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 15 gennaio 1456 M. V. ricorre per l’ennesima volta ad Andrea Conti, in nome del sentimento d’affetto che nutre per lui [1]; quando alla nomina episcopale di M. V. sono stati concessi i suoi canonicati di Treviso e di Creta a Michele di Filippo Foscari, ne è nata una controversia in merito alle prebende relative all’anno in cui M. V. è stato promosso alla sua attuale sede, prebende che M. V. secondo diritto ha già incamerato [2]; il fu patriarca di Venezia, non essendo esattamente informato, ha dato ragione a M. V. per il canonicato di Treviso, ma gli ha dato torto per quanto attiene a quello di Creta; i procuratori di M. V. hanno perciò fatto appello alla sede apostolica, in quanto M. V., calcolato il tempo nel quale ha servito presso la curia, avrebbe dovuto al massimo essere sanzionato per quella porzione; è stato fissato un termine di tre mesi per l’appello a partire dal dicembre trascorso [3]; gli chiede di portare la vertenza presso la Rota, che il fratello Giacomo, in breve tempo raggiunta Roma, provvederà a sollecitare [4]. /342/ Ad dominum Andream de Comitibus doctorem eximium. [1] Cum te negotiis meis saepius defatigem, timeo ne obiciias mihi antiquum proverbium: «nimis emungens, elicit sanguinem», quod recte obiicere /343/ posses, nisi pro tua innata probitate hanc meam de te maxi­mam confidentiam, ne dicam praesumptionem, aequanimiter ferens vero amori adscribas. [2] Cum itaque in promotione nostra ad hanc ecclesiam collati fuerint canonicatus mei Tarvis[inus] et Creten[sis] domino Michaeli, filio spectabilis domini Filippi Fos[cari], orta fuit illico inter praefatum dominum Phil[ippum] et me controversia maxima de fructi­bus illius anni in quo promotus fueram, quos quidem fructus ego iam acceperam iure meo. [3] Et quia reverendus olim dominus patriarcha Venetiarum, non habens veram et rectam informationem de canonicatu Cretensi, contra me protulit sententiam, cum de canonicatu Tarvisino in favorem meum sen­tentiasset, quare, cum iniustitiam mihi factam expresse procuratores cogno­vissent mei, quia, computato termino quo curiae serviveram, debuissem adaa ad sententiam ms1 : del. sententiam ms2. summum condemnari per ratam, appellaverunt ad sedem apostolicam. Terminus autem prosequendae appellationis tribus mensibus praefixus est, incipiens a Decembri proxime elapso. [4] Ut autem haec causa clarius ac melius cognoscatur, rogatum te velim per amicitiam nostram mutuam ut quam primum praefatam causam committi facias ad Rotam. Dominus autem Ia[cobus] germanus meus, quem illuc de proximo /344/ missurus sum, monebit ac sollicitabit eam, tuo adiutus consilio et suffragio. Apostolos credo iam tibi missos, informatio­nem pleniorem ex ipso germano meo accipies. Vale et me uti facis dilige mutuo. Nova hinc relatu digna habemus nulla, nisi obitum reverendissimi olim domini patriarchae Venetiarum, quod et te latere non puto. Ex Hyadra, die XV Ianuarii 1455. 200.(95) Marco Barbo a Maffeo Vallaresso Treviso, 3 febbraio 1456 Marco Barbo risponde a M. V. (cfr. ep. 193) che non era nei suoi desideri assumere un incarico tanto gravoso: lo ha accettato contro volontà, in obbedienza ai precetti dei suoi avi; Cristo, semmai, ha soddisfatto i voti di M. V., a cui ora chiede aiuto e consiglio nell’intraprendere il nuovo compito. /79/ Responsio ad superiores. [1] His diebus proximis vestro nomine lepidissimae et suavissimae lit­terae ad me allatae fuerunt, quae omni ex parte cum pietatis tum humanitatis quam refertissimae erant, quibus mihi non difficile fuit vestrum de me ani­mum confirmare. Gratulationem dominationis vestrae ex hoc meo episcopa­tu, ad quem non sponte mea, non voluntate sed fugitans, invitus, maiorum meorum praeceptis obtemperans accessi, minime admiror, eo praecipue quod id desiderii, id cupiditatis iam pridem animo insederit vestro ut aliquem in ecclesia mihi dignitatis gradum vendicarem. [2] Placuit Christo, cui obsequi omni mente debemus, vestris erga me assiduis precibus respondere, ut tam mihi arduam tam difficilem provinciam delegaret, quam equidem spero me facillime ministraturum, si a dominatione vestra, cui plurimum tribuo, quid fuero adiutus et expeditam mihi provinciam in sortem iudicabo cessisse. Eorum probe qui novam militiam ingrediuntur permaxime interest illorum uti consiliis quorum omnis in certamine vita fuit. [3] Plura dominationi vestrae modo scriberem, eo quod et mea erga vos observantia et amor meus haec et ampliora me facere cogunt, si meo erga vos officio satisfacere voluero. Verum haec mihi provincia adeo implicita est, ut, si is quibus praesum officium praestare voluero, non dominium sed sollicitudinem fatear peperis­se. Valeat felicissime reverenda dominatio vestra, cui plurimum commissum me facio. Ex Tarvisio III Nonas Februarii MCCCCLVI. 201.(98) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Zara, 5 febbraio [1456] Barbone Morosini ha probabilmente già ricevuto la lettera scritta pochi giorni prima; pur se non sono occorse novità di rilievo, con la nuova missiva M. V. vuole attestargli la sua fedeltà (che gli è peraltro nota), nonché la gioia di sapere che un tale amico, avendo ottenuto una importante posizione presso la curia, potrà grandemente aiutarlo. /81/ Ad ornatissimum dominum Barbonum Maurocenum. [1] Credo tibi iam redditas litteras meas quas superioribus diebus, cum adhuc Venetiis esses, ex tua ornatissima legatione ad maximum pontificem supra modum gratulatus laeto ac iocundo calamo ad te scripsi. Nunc vero etsi nihil accidat quod graviter et digne per me scribi possit, tamen, ut pernoscas (licet olim satis cognoveris) me et amantissimum et observantissimum esse tui (quippe qui nullis locorum intersticiis valeam impediri ut tuae gratissimae non immemor amicitiae), /82/ cuiuscunque nuntii facultas detur, te litteris meis revisem, [2] illud idem per parentes replicans ac recensens, quod per alteras litteras item dixi, me summo affectum gaudio quod te talem amicum habeam in curia, qualis hodie vix reperiri potest in omnibus amicitiis, de quo dubitari nihil et sperari multa possint. Plura scribere et tua me prohibent negotia et meae obstant curae. Reliqua si qua erunt ad recessum domini Iacobi germani mei, qui de proximo profecturus in curiam est, reservabo. Tu interim valeas et me, ut consuevisti, ames vel saltem, quod satis reputabo, diligas. Datum Hyadrae die V Februarii. 202.(100) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 5 febbraio [1456] M. V. scrive ad Andrea Conti un’altra responsiva, in ritardo rispetto a quanto avrebbe auspicato, non per colpa propria, ma per carenza di latori; non ha novità da segnalargli, spera che l’amico stia bene, così come sta bene lui stesso; allegata alla presente è un’epistola per Barbone Morosini; gli raccomanda inoltre Vito, un frate eremita cui è affezionato e che è latore dell’epistola. /83/ Venerabili domino Andreae de Comitibus. Etsi alteras litteras responsivas ad tuas nunc demum serius quam opta­bam mittam, ea tamen culpa non mihi sed nuntiorum defectui ascribenda est. Ut autem praesens tabellarius ad te vacuus non veniat, recentius aliquid scribere institui, ut intelligas me incolumem, qualem te admodum desidero. Hic nihil novi habemus, si qua isthinc evenerint significare non pigeat. Invenies his alligatas litteras ad integerrimum virum dominum Barbo[num] Mauro[cenum], illustrissimi dominii nostri legatum ad maximum pontifi­cem, quae ut in manus suas per te reddantur obnixe rogo. Si quid autem rescribere velit, per praesentem nuntium rescribat. Huic heremitae fratri, s[cilicet] Vito, ob virtutum suarum merita satis afficior, non possum facere quin eum tibi commendem, rogans ut si forte aliquo favore tuo indiguerit intuitu mei faveas. Vale V Februarii. 203.(343) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 5 febbraio 1456 Da una recente lettera M. V. ha saputo che Lorenzo Zane è giunto felicemente sino a Ossero; Dio gli conceda di proseguire lietamente il viaggio; Lorenzo non deve scusarsi di essere partito repen­tinamente da Zara senza avere atteso M. V., il quale antepone sempre la volontà dell’amico alla sua propria. /344/ Ad reverendum dominum Lau[rentium] Zane archiepiscopum Spalatensem. Ex litteris tuis nuperrime acceptis certior factus sum de felici navigatio­ne tua ad Auserum usque. Quod reliquum est cursus et itineris secundet Deus. Illud autem non admodum necessarium fuit, ut dominatio tua apud me excusatam sese redderet, quod in discessu suo istinc expectare me paulum nequiverit ob nautorum importunitatem, qui tamen dominationi tuae parere debuissent. Venire ad portum satagebam. Aequo animo tam repentinum abitum accipio et quanlibet voluntatem tuam meis desideriis antepono, non tantum meam sed me ipsum ad eiusdem reverendae dominationis tuae arbitrium anteponens. Vale reverendissime pater et domine, cuius orationi­bus me commendo. Datum Hyadrae, die V Februarii MCCCCLV. 204.(97) Barbone Morosini a Maffeo Vallaresso Roma, 9 febbraio [1456] Barbone Morosini è felice di apprendere, dall’ultima epistola ricevuta, che M. V. sta bene (cfr. supra, ep. 201); ringrazia l’amico che lo ha molto lodato per il suo nuovo incarico; benché non sia degno dell’alto giudizio su di lui pronunciato, spera tuttavia di diventarlo, grazie allo sprone delle parole indirizzategli; si augura ora di essere utile a M. V., le cui esigenze saranno considerate alla pari delle sue stesse. /80/ Barbonus Maurocenus Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Tertio instantis litterae dominationis tuae mihi redditae fuerunt quae mihi gratissimae et periocundae extiterunt. Nam eis certior factus sum de bona valitudine tua, de quo Domino Deo nostro summas habeo gratias et tibi quod id mihi denotare dignatus es. Quod mihi ignoscas si ad te, ut optas, litteras meas non dederim, id agis tua clementia de amore dominationis tuae erga me et, ut vero scribis, hoc secutum est ob publicas occupationes, quae effecerunt quod privatis rebus amicis benivolisque meis satisfacere, dum Venetiis extiti, nequiverim. [2] Neque aliter mihi unquam persuasi quam ut scribis quod tua pastoralis dignitas non ab affectione mea distrahat cum ami­citia mutuaque benivolentia nostra a parvulis simul cum aetate et dignitate semper creverit, si privati nos invicem dilexerimus eo magis in dignitate con­stituti nos invicem diligere debemus cum sic nobis amicitiae leges persua­de/81/ant. Quod congratularis mihi hoc legationis munus delatum fuisse et me tot laudibus extollis, id te agere censeo ob tuam erga me benivolentiam potius quam sic in me, ut scribis, esse existimem et cognoscam. [3] Quod enim de me asseris accipio pro monitis ut id efficere studeam et talem virum me praebere quod re vera dicere faciam et rebus senatus nostri satisfacere valeam. Verum de his omnibus quae scribis tibi habeo gratias. Demum quod gaudeas me huc in locum venisse, ubi res tua agitur, gaudeo et ego magnopere tui gratia et eo magis atque magis gaudeo, quod tibi prodesse possim. [4] Nam te certum velim me utilitatem dignitatem ascen­sionesque tuas non minus optare quam proprias. Quare si quicquam novero quod in re tua sit non aliter agam quam pro re mea. Et si reverenda domina­tio tua me de aliqua re, et cetera. Nec plura tua reverendae dominationi me commissum facio. Romae VIIII Februarii, raptim. 205.(99) Barbone Morosini a Maffeo Vallaresso Roma, 22 febbraio 1456 Morosini ha ricevuto la lettera di M. V. (cfr. ep. 201), nella quale M. V. gli ricorda di avergliene inviata un’altra, quand’era ancora a Venezia; Morosini ha ricevuto essa pure, e a essa ha già risposto; si augura, nel suo nuovo incarico, di poter giovare a M. V. e ai suoi familiari. /82/ Responsiva ad superiores. [1] Vestras pridie accepi litteras quibus alias, cum adhuc Venetiis essem, ad me recolitis dedisse, quas quidem suscepi ac inde meas eisdem responsivas ad vos tradidi. Et quoniam ipsis denuo mecum gratulamini de legationis huius munere in me delato, et vobis iterum gratias refero. Et quanquam hae legationes plus oneris quam honoris afferant, tamen si res a me fieri posset, quae dominationi vestrae aut vestris honorem afferret dum ipsa fruor, tunc de ea gratularer. Nam ob mutuam nostram ingentem beni­volentiam vestri omnes honores vestrorumque magno me afficerent gaudio potissimum quidem cum me ipsorum viderem occasionem. [2] Ad reliquas vero partes quas tanta humanita/83/te tantave benivolentia redundantes scri­bitis, vobis gratias ago et habeo, et quanvis prius mihi non esset ignotus vester in me singularis amor, tamen et per ipsas eum clarius intelligo anti­quaque nostra individuam individua corroboratur benivolentia. Reliquum est me totum quem vobis alias obtuli denuo offerre et tradere. Valeat felix vestra dominatio. Romae die XXII Februarii MCCCCLV. 206.(344) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 23 febbraio 1456 M. V. raccomanda a Paolo Barbo lo zaratino Vito Detrico (sulla cui famiglia vd. l’ep. n° 190), il quale ha pregato M. V. di ottenere l’intercessione di Paolo a favore di una sua degnissima causa; ciò che M. V. prontamente richiede a Paolo, considerata sia la fedeltà della famiglia Detrico, sia l’affetto che Paolo nutre per lui. /345/ Ad magnificum equitem dominum Paulum Barbo. Venit istuc nobilis civis Hyadrae Vitus Detricus,aa Venit istuc nobilis civis Hyadrae Vitus Detricus] commendatitia mg. quem ob virtutum suarum maiorumque merita non solum diligere, verum etiam dignis atque opportunis commendationibus prosequi teneor. Is autem exploratam habens non vulgarem mihi vobiscum amicitiae coniunctionem intercedere, rogavit me ut vobis eius causam, quae honestissima videtur, litteris meis commenda­rem. Quare non minus gratia fidei suae suorumque maiorum, qua usi sunt in senatum illustrissimum ducalis dominationis nostrae, quam intuitu et amore mei adductus, opportunos quaeso et salubres favores ei impartiri dignemini, ita ut has litteras meas apud magnificentiam vestram alicuius pensi esse cognoscat. Paratus et ego et cetera. Hyadrae XXIII Februarii 1455. 207.(101) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 14 marzo 1456 L’epistola di Lorenzo ha reso felice M. V.: essa gli accerta il buon esito della navigazione (da quello intrapresa alla volta di Venezia) e gli manifesta anche una generosa e amicale disponibi­lità, che M. V. pienamente ricambia; come ha notato Lorenzo, il patriarca eletto (Maffeo Contarini) sembra voler sottrarsi all’incarico ricevuto (Jelic, 58). /83/ Ad reverendum patrem dominum Laurentium archiepiscopum Spalatensem. [1] Litteras reverendae paternitatis tuae hesterna die acceptas, non mediocris vo/84/luptatis loco duxi, eo praecipue quod et navigationem tuam et appulsum Venetias felicem et incolumem significent. Quod vero de novis contingentibus scribis et scripturum te in posterum polliceris, domestice agis et amice, quod quidem gratissimum est atque erit. Pro oblationibus autem tuis tam amplis, tam liberalibus, quibus cum res postulabit ad vota utar, habeo gratias ingentes. [2] Tantundem ex opposito et eo amplius quo magis tibi ob singularem humanitatem tuam afficior, me atque mea omnia qualia­cunque existant offero atque dedo. De patriarcha electo, quod subterfugere videatur onus a multis †desiderante†,aa desiderante corruptum videtur : desiderantibus Jelic : desideratum conieci. veram tulisti sententiam. Valeat felici­ter dominatio tua cuius me orationibus commendo. Ex Hyadra XIIII Martii. 208.(345) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 14 marzo 1456 M. V. è rasserenato perché Marco Barbo gli ha manifestato l’accettazione, pur contro sua volontà, del mandato pastorale ricevuto: si è con ciò assoggettato al volere di Cristo [1]; nell’incarico, che può apparire gravoso, Marco sarà diretto dalla divina pietà, che lo ha prescelto [2], né M. V. oserà offrire i propri consigli, poiché già fatica a compiere il proprio dovere; in breve Marco si adatterà all’incarico e riuscirà meglio di molti veterani [3]. /345/ Ad reverendissimum patrem dominum M[arcum] Barbo episcopum Tarvisinum. [1] Nuper accepi litteras dominationis vestrae, datas III Nonas Februarii, quibus supra modum recreatus sum, ex eo maxime quod voti ac desiderii mei compos evaserim, ut dominationem vestram reverendam (licet invitam ac renitentem) tamen ut maiorum suorum mandatis pareret assensis­se tandem, ac suavi Christi iugo cervicem inclinasse perceperim. [2] Non inficior eam provinciam pastoralis curae vobis admodum laboriosam et perdifficilem videri. Sed divina pietas, quae vos ad id munus elegit, /346/ quod erit vobis debile ac infirmum, fovebit consolidabitque et gressus vestros diriget in semitam mandatorum suorum, quia scriptum est: «sine me nihil poteritis facere».1a1 Cfr. Evang. sec. Iohannem 15,5: «ego sum vitis vos palmites qui manet in me et ego in eo hic fert fructum multum quia sine me nihil potestis facere». Ego autem non sum is qui vestram domina­tionem (ut scribitis) consiliis meis in hac veluti nova militia iuvare possim. [3] Vix me pedibus meis prae magnitudine ponderis huius ipse porto, nedum alios iuvare pergam. Quod libens facerem, si opus esset. Verum dominatio vestra reverenda, quae sapientissima est, ei militiae propediem assuefiet, ita ut multos iam veteranos excellat. Valeat feliciter excellens dominatio vestra, cuius orationibus me commendatum velim. Hyadrae, XIIII Martii 1456. 209.(102) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 16 marzo [1456] Pietro Barbo abbia la bontà di accogliere tra i suoi familiari il fratello di M. V., Giacomo, latore della lettera, il quale a lui si rivolge, sperando di godere della nota magnanimità con la quale il cardinale ha sempre aiutato i veneziani, e in particolare la famiglia Vallaresso. /84/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Cum benignitatis ac humanitatis vestrae magnitudo erga me satis clare constet omnibus propinquis meis, totam spem suam in clementiam dominationis vestrae collocaverunt, praecipueque dominus Iacobus germa­nus meus praesentium lator, qui dum hactenus propter absentiam suam beneficiorum consequi nihil potuerit, decrevit tandem in curiam se trans­ferre. Et cui potius inhaerere, cui potius noctes et dies deservire quam reve­rendissimae dominationis vestrae, exemplo mei quo patrocinio, quo perfu­gio nullum salubrius Venetis omnibus maximeque domui nostrae inveniri potest? [2] Qua re humillime supplico eidem reverendissimae dominationi vestrae ut sub umbra /85/ salutifera alarum suarum eum recipere et in gre­gem servitorum suorum ascribere dignetur. Et si forte aliquid in dies con­tingat quod pro eo faciat reverendissima dominatio vestra sibi favere velit, quemadmodum et mihi per suam clementiam semper favit, ita ut nunquam grates debitas persolvere queam. Valeat felix dominatio vestra, cui parvita­tem meam devote commendo. Hyadrae XVI Martii. 210.(103) Maffeo Vallaresso al cardinal Bessarione Zara, 16 marzo 1456 I Vallaresso sempre si sono affidati al Bessarione e a lui hanno sempre dimostrato il loro ossequio; ora M. V. gli si rivolge, auspicando che possa aiutare con la sua autorità il fratello Giacomo, giunto presso la curia, fiducioso anche lui nell’aiuto che il cardinale certamente vorrà concedergli. /85/ Ad reverendissimum dominum, dominum B[essarionem] cardinalem Nicenum. [1] Cum omnis familia nostra cognoscat magnam dilectionis gratiam sibi a reverendissima dominatione vestra semper impertitam, merito se uni mecumaa uni mecum expectes una mecum. devovit eandem obsequenter colere et humiliter observare, ita ut nil tam difficile et laboriosum sit, quod laeto ac iocundo animo quilibet Vallaressorum pro commodis et honore vestrae reverendae dominationis non officeret. Quo animo nos affecti magnam ac firmam spem in ipsa reverenda dominatione vestra constituimus, eo maxime quod virtus et auctoritas et summa sapientia vestra tam apud maximum pontificem quam in collegio reliquorum patrum plurimum valet et omnia quae velit maxima optinet. [2] Quapropter, cum dominus Iacobus germanus meus lator praesentium pro­fecturus in curiam et ibi mansurus cupiat se admodum devovere et commen­datum reddere vestrae clementissimae dominationi, in cuius patrociniis et favoribus multum sperat et fidit, humillime supplico eidem dominationi vestrae ut ipsa demonstrare ei aliquo modo dignetur huiusmodi spem suam et omnium nostrum inanem non fuisse, quod facturam revendissimam domiationem vestram pro sua consueta humanitate non dubito. Quam bene valere desidero meamque parvitatem eidem commendo. Ex Hyadra die XVI Martii 1456. 211.(104) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 16 marzo 1456 In occasione della partenza del fratello Giacomo, M. V. stava scrivendo la presente lettera, quando gli è giunta quella di Andrea, licenziata da Roma a fine febbraio; di qui è stato informato che il suo appello è stato presentato al giudice, il vescovo di Oloron; spera che il fratello possa divenire contubernale di Giovanni. Attende novità da entrambi. /86/ Eximio doctori domino Andreae de Comitibus. [1] Instituenti mihi ad hanc profectionem domini Iacobi fratris mei has praesentes scribere illico desideratae litterae tuae allatae sunt, datae ex Urbe XXVII Februarii proxime elapsi, quibus inter cetera certior factus sum de novis curiae et de appellatione mea signata ac iudici praesentata, qui est episcopus Olorensis. Pro quibus rebus habeo tibi ingentes gratias. [2] Responsionem autem aliquarum partium ipsarum litterarum tuarum alia­rumque rerum occurrentium relationem ipse dominus Ia[cobus] tibi nomine meo viva voce facturus est, quem tibi commendare non est necesse, quoniam et mihi et ipsi amor tuus singularis spectatus satis ac probatus est. Ego autem, quantum ad me spectat, cuperem satis ut una pariter cohabitaretis. [3] Tamen ipsemet tecum erit et simul conferetis tam de eius mansione quam de reliquis rebus et de adventu meo in curiam, de quibus omnibus quicquid statueritis mihi omnino ratum et gratum futurum est. Plura scribere non patitur tem­pus. Vale et me tibi deditissimum ut facis dilige. Ex Hyadra XVI Martii MCCCCLVI. 212.(346) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Zara, 16 marzo 1456 Con una lettera, la quale in ogni sua parte per eleganza supera la congratulatoria indirizzatagli (cfr. ep. n° 195), Barbone Morosini ha dimostrato la sua benevolenza e la sua liberalità nei confronti di M. V. [1]; questi gli risponde, compiacendosi che tutti i familiari conoscano la pro­fondità della mutua loro benevolenza, specialmente il fratello Giacomo, latore della presente, il quale ha deciso di trasferirsi a tempo debito in curia, dove Dio immortale e la virtù di Barbone ha fatto sì che si trovasse Barbone stesso: Giacomo, con l’aiuto di lui, spera di ottenere qualche frutto [2], né la sua speranza sarà vana, perché Barbone ha grande influenza: M. V. lo prega perciò di intercedere per il fratello [3]. /346/ Ad celeberrimum virum dominum Bar[bonum] Maurocenum. [1] Suavissimas litteras vestras ex Urbe nuper accepi quibus ad meas gratulatorias affatimaa affatim] affatin ms. et copiose respondetis,bb ad meas gratulatorias affatim et copiose respondetis] bona est epistola mg. adeo ut nullam partem ipsarum litterarum praetermiseritis mearum, quam vestrae consuetae humanitatis melliflua oratione non superaveritis. Taceo liberalissimas oblationes vestras et amantissimas pollicitationes, quibus totum animum vestrum ad rem meam paratissimum comprobatis, quemadmodum semper effectu comprobavistis. Pro quibus etsi iampridem habitis obnoxi/347/um me vobis non dubitem, tamen recentes etiam atque etiam gratias ago atque debeo. [2] Gaudeo autem et vehementer exulto quod huius nostrae mutuae benivolentiae vim et magnitudinem omnes propinqui mei clare cogno­scant et carissimum habeant, maximeque dominus Ia[cobus] germanus meus ac praesentium lator, qui profecturus in curiam hoc tempus congrue (ut mihi videtur) elegerit istuc se transferre, quocc istuc se transferre, quo corr. : istuc se transferre. Quos ms. Deus immortalis et virtus vestra, ut et vos ibi essetis, effecit. Vestra enim dignitate et gravissima fretus auctoritate sperat se aliquid pensi consecuturum. [3] Nec erit spes huiusmodi vana, quia et apud maximum pontificem et apud senatumdd senatum om. ms1 : add. s.l. ms1. virtus vestra ut missum faciamee faciam publicum ms1 : expunxit publicum ms2. plurimum valet, ut quicquid velitis magna­rum rerum facile obtinere possitis. Licet autem ego non dubitem vos et mihi et meis bona omnia velle et cupere, tamen rogatum vos velim, ut de ipso domino Ia[cobo] ostendatis re ipsa qualem animum erga me geratis. Valete et me, uti facitis, diligite. Hyadrae, XVI Martii 1456. 213.(107) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 5 aprile [1456] M. V. ha saputo che, dopo la morte del patriarca Lorenzo Giustiniani, il Senato di Venezia, riunitosi, ha unanimamente indicato in M. V. Contarini il successore; nessuno può dubitare che sia stata realizzata così la volontà di Cristo, perché in tal modo a tutti sarà nota la virtù del neoeletto; l’incarico, assai oneroso e anche pericoloso se compiuto con superficialità (perfunctorie), è stato accettato dal Contarini, che va dunque lodato, perché secondo il giudizio degli antichi, è molto più opportuno prodigarsi per il bene di tutti, compiendo gravi sacrifici, che pregare Dio in solitudine; Vallaresso ha scritto tutto ciò per la consolazione di sapere che la sua patria ha acqui­sito una guida di valore incomparabile. /87/ Reverendissimo patri domino Mapheo Contareno patriarchae Venetiarum electo. [1] Superioribus diebus relatum est mihi cum, post obitum et ani­mam caelo redditam sanctissimi viri domini Laurenti Iustiniani olim patriarchae Venetiarum, de novo pastore eligendo senatus et ordo patrum conscriptorum ad consultandum conveniret, /88/ multique in medium essent adducti et quidem probatissimi viri eligendi, consideratis tamen ac diligentissime discussis vestris mirificis virtutibus rerumque omnium summa prudentia et vitae maxima integritate ac sanctimonia, in solam reverendissimam paternitatem vestram vox omnium et consensus totius senatus conversus unanimiter inhaesit. [2] Sicque in pastorem et gubernatorem animarum tam excellentissi­mae civitatis ita laudabiliter et gloriose eadem reverenda paternitas vestra electa illico et iam per maximum pontificem rite ac feliciter confirmata est. Quis hic dubitet Christi voluntatem operatam, ut lucerna iam diu accensa non sit deinceps in occulto, sed palam et super candelabrum, ut, qui ingre­diuntur domum Dei et egrediuntur, lumen virtutum vestrarum videant et exemplar vitae perfectioris accipiant? Sed quanvis eidem reverendae vestrae paternitati istud onus laboriosissimum et periculosum admodum, si per­functorie agatur, iussum fuerit, tamen ipsa paternitas vestra Dei voluntatem in se recognoscens cervicem suam iugo Domini humiliter inclinavit ac submisit, quod et ego pro parvitate ingenioli ac iudicii inopia laudo atque magnopere approbo, id asseverans (quod dicunt sapientes) [3] maioris profectionisaa profectionis ms : fortasse perfectionis corrigendum. esse pro omnibus gentibus, si fieri possit, vel salvandis vel conservandis vel iuvandis maximos labores molestiasque suscipere, quam in solitudine Deum orare, quia, iuxta Platonis sententiam,bb sententia Platonis mg. «non nobis solum nati sumus, sed partim patriae, partim amicis»1 et proximis, quibus nolle prodesse, si possis, immanissimum est. Virtutis enim laus omni in actione con/89/sistit. [4] Haec licet reverenda paternitas vestra melius intelligat, tamen dicta velim ad meam consolationem, quae quidem consolatio ex hac dignitate vestra vobis caelitus ac humanitus collata mihi exorta et mirum in modum aucta praebuit causam has litteras scribere, quibus gaudium et laetitiam meam vobis filiali more significarem, tam virtuti et honori vestro congratulans, quam patriae meae, quae talem ac tantum auspicem sortita est, qualis aetate nostra haberi possit nemo. Valeat reverendissima paternitas vestra, cuius ora­tionibus meam imbecillitatem commendo. Ex Hyadra die V Aprilis. 214.(256) Maffeo Vallaresso a Giacomo Loredan Zara, 15 aprile 1456 M. V. raccomanda a Giacomo Loredan di intercedere a favore di due fratelli, Gregorio e Alvise Detrico, servitori della famiglia Loredan, che Giacomo ha sempre avuto cari, e che hanno al presente un contenzioso con la Repubblica (sulla famiglia Detrico vd. l’ep. n° 190). /256/ Ad magnificum dominum Iacobum Lauredano.cc Commendatitia mg. 1 non nobis ~ amicis] cfr. Cic. De officiis I 22. Etsi non sit admodum necessarium commendare vobis nobiles viros Gregorium et Aloisium fratrem eius Detrici, cum semper fuerint et sint boni et fidi servitores domus Lauredanae ob quam rem caros acceptosque eos merite vestra habet. Verum cum habeant certam causam coram illustrissimo dominio, prout ex ipsis intelligere melius poteritis, rogaverunt me ut his brevibus eidem magnificentiae vestrae eos commendarem. Quod libens facio, rogans ut ad meam complacentiam eis aliquanto ardentius faveatis et patro­cinemini, ita ut praesentes litteras sibi aliquid profuisse cognoscant. Valeat magnificentia vestra. Hyadra XV Aprilis 1456. 215.(352) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Zara, 21 aprile 1456 M. V. raccomanda a Marco Barbo un maestro al momento attivo a Zara, Girolamo Cinna, il quale, allievo di Lorenzo Valla, vorrebbe ora trasferirsi in Italia, dove è nato, per ottenere un più elevato e degno incarico; alcuni amici hanno consigliato Girolamo di trasferirsi a Treviso: lì egli volentieri si trasferirebbe, se potesse ricevere un incarico adeguato [1]; Nicolò Zocchi, cancelliere del comes di Zara, ha chiesto a M. V. di rivolgersi perciò a Marco Barbo, ciò che M. V. volentieri ha fatto, conoscendo l’autorevolezza dell’amico [2], e pur essendoci in Treviso altre autorità, come i rettori, cui avrebbe potuto rivolgersi [3]. /352/ Ad reverendum dominum M[arcum] Barbo episcopum Tarvis[inum]. [1] Cum certo sciam reverendam paternitatem vestram sua sponte homi­nibus doctis et virtuosisaa hominibus doctis et virtuosis] Commendatitia mg. semper favere consuevisse, ea propter in eo commen­dando, quem ipsa virtus ubique commendat et extollit, paucis verbis utar. Cum igitur habeatur hic Hyadrae ludi magister Hieronymus Cinna, vir meo iudicio satis superque doctus sub Laurentii Vallae egregia praeceptione institutus, qui superiori anno ab his civibus Hyadrensibus honesto et convenienti salario con­ductus in hunc usque diem digne ac laudabiliter eis serviverit, nunc autem subli­miora virtutis et honoris culmina desiderans, Italiam, unde genus ducit, repetere cupit. Non defuerunt amici suo beneficio comparati, adhortantes et consulentes multis de causis ut Tarvisium potius quam alio se transferat, si veros fructus et emolumenta suae artis ac doctrinae excipere velit. Quod facere et ipse dispone­ret, si de aliquo iusto et compete/353/nti salario sibi provisum foret. [2] Ego autem, cum a nonnullis, praesertimque ab egregio et prudenti viro Nicolao Zucholo magnifici comitis huius cancellario rogatus fuerim ut eum ipsum Hieronymum reverendae dominationi vestrae commendarem, id me fac­turum libenter promisi, eo maxime quod ei ob virtutes suas et vitae ac morum honestatem mirum in modum afficior et eandem dominationem vestram ex auctoritate sua quicquid velit in civitate Tarvisii consequi posse confidam. [3] Quapropter, licet sciam et magnificos rectores huius civitatis et nonnullos alios pro eo scribere, ipse quoque ad reverendam paternitatem vestram scribere duxi, rogans eandem ut praedictum Hieronymum commendatum habere dignetur, favoresque necessarios prout postulata ac rogata fuerunt ei praestare velit, ita ut intercessio mea apud dominationem vestram non vulgaris fuisse deprehendatur. Paratus et ego ad beneplacita eiusdem dominationis vestrae reverendae et cetera. Datum Hyadrae, XXI Aprilis 1456. 216.(253) Maffeo Vallaresso a Pietro Foscari Zara, 22 aprile 1456 M. V. raccomanda a Pietro Foscari un Francesco, canonico di Zara, che è servitore fedele di Pietro, e non necessita perciò di raccomandazione; ha accolto con grande gioia la notizia della prossima venuta a Zara di Pietro. /254/ Ad reverendissimum dominum P[etrum] Foscari protonotarium apostolicum. Venit ad paternitatem vestram istuc presbyter Franciscus canonicus Hyadrae,aa Franciscus canonicus Hyadrae] Commendatitiae mg. quem, licet ob virtutes suas satis diligam, tamen commendandum vobis non censeo, quippe qui cum sit dominationis vestrae fidelis servitor et defensor acerrimus iurium ac utilitatum abbatiae vestrae, gratum et acceptis­simum non immerito habetis. Si quid autem potest ei gratiae addi, velim ut eadem dominatio vestra id mei amore addat. Ab eodem intellexi paternitatem vestram hac aestate huc fore venturam. Quod mihi quam gratissimum erit in his tectis videre et accipere eum quem diligit anima mea. Si quid interim per me fieri potest quod sit ad rem vestram, paratum non dubitetis. Valeat domi­natio vestra in Domino. Hyadrae XXII Aprilis 1456. 217.(254) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane, arcivescovo di Spalato Zara, 22 aprile [1456] M. V. conferma a Lorenzo Zane che è giunto a Zara Marco Morosini con una una lettera di raccomandazione scritta dallo stesso Lorenzo; Marco non ha bisogno di raccomandazione alcuna, e tuttavia M. V. farà ogni cosa perché Marco sia consapevole che la lettera di Lorenzo è stata utile ed efficace. /254/ Ad reverendissimum dominum L[aurentium] Zane archiepiscopum Spalatensem. Hesterna die appulit huc venerabilis dominus Marcus Maur[ocenus] /255/ a quo accepi litteras reverendissimae paternitatis vestrae easque legi con­sueta animi iocunditate. Licet autem superfluum fuerit eiusmodi hominem mihi commendatum reddere, quem ego ob virtutem suam satis diligo et dignum omni humanitatis officio puto, enitar tamen pro viribus ut, si qua in re opus habebit adiumento meo vel in concordandis vel absolvendis negotiis suis quae hic habet cum domino episcopo Nonensi vestri amoris accessionem ad meam in eum benivolentiam facile recognoscat. Paratus ad quaelibet alia pro vestra reverendissima paternitate. Hyadrae XXII Aprilis. 218.(353) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 22 aprile 1456 M. V. ringrazia Andrea Conti per una lettera recapitatagli da un frate eremita tornato dalla curia; non mancherà mai di indirizzargli un messaggio, fosse anche di nuda carta bianca, finché ci sia disponibilità di un latore [1]; lo ringrazia per avere sollecitato Barbone Morosini a scriver­gli, gli chiede di continuare a dargli notizie della curia, poiché tale incarico non può essere com­piuto in modo affidabile dal fratello Giacomo [2]. /353/ Ad egregium doctorem dominum Andream de Comitibus. [1] Quidam frater heremita nuper de curia regressus attulit mihi litte­ras tuas more solito gratissimas, quibus licet nihil dignum scribere te posse dicas, nuntium tamen vacuum abire non es passus, quod quidem /354/ est signum tui erga me maximi amoris, cui equidem aequa lance non respondere nequeo, statuique nullum quem ego noverim nuntium istuc iturum absque mea ad te epistula venire, etiamsi cartam albam et nudam mittere debeam. [2] Quod ita accurate instantiam apud ornatissimum virum dominum Bar[bonum] illustrissimi dominii oratorem feceris ut ad me scriberet, habeo tibi gratias, oroque ut in futurum scribere non desistas, cum de aliis rebus tum maxime de novis curiae non confidens domino Ia[cobo] germano meo, qui, licet ad scribendum promptus satis sit, ea tamen quae tu scribes multo erunt magis grata, eo maxime quod, nulla sanguinis passione impeditus, veri­us ac liberalius significabis omnia. Frater enim, etsi maxime omnium diligat atque amet, in multis tamen timet, quae non sunt timenda. Verus tamen amicus, qualis es tu, semper omni tempore recte omnia consulit. Vale. Datum Hyadrae, XXII Aprili MCCCCLVI. 219.(255) Maffeo Vallaresso a Tommaso Tomassini Zara, 23 aprile [1456] M. V. comunica a Tommaso Tomassini, vescovo di Lesina, di aver appreso con rincrescimento dalle sue lettere dell’ostilità manifestataglia dal vescovo di Nona; a questi M. V. ha mostrato la lettera di Tommaso; il vescovo di Nona si è proclamato innocente; M. V. spera in un suo ravvedimento. /255/ Ad reverendum patrem dominum T[homam] episcopum Pharensem. Nuperrime redditae mihi fuerunt litterae paternitatis vestrae, copiosae satis, immo prolissae, quas more solito libenter et iocunde vidi ut reliqua vestra soleo. Cum autem eadem paternitas vestra vehementer queratur ac moleste ferat dominum episcopum Nonensem in multis vobis adversatum fuisse, in praesen­tiarumque adversari ac incommodare, supramodum mihi displicuitaa displicuit] dispicuit ms. ac si in me ipsum id actum esset, neque me contineri potui quin eidem litteras vestras ostenderem, rogans et monens ut ab eo proposito declinaret, qui ostendit id gra­viter ferre, alienum se omnino ab hac culpa asseveravit. Credo quod eum, si recte sapit, apud paternitatem vestram innocentiam suam /256/ purgabit. Valete. Hyadrae XXIII Aprilis. 220.(354) Maffeo Vallaresso a Giacomo Turloni Zara, 27 aprile [1456] M. V. raccomanda a Giacomo Turloni, vescovo di Traù, un M. Morosini, lì giunto sia per affari, sia per visitare la città. /354/ Ad reverendum patrem dominum Ia[cobum] episcopum Traguriensis. Venit istuc venerabilis et generosus vir dominus M. Maurocenusaa Venit istuc venerabilis et generosus vir dominus M. Maurocenus] Modesta commendatio mg. magni­fici olim domini Andreae, non minus negotiorum suorum causa, quam solatis gratia et videndae vestrae civitatis amore. Licet autem sciam paternitatem vestram huiusmodi viris omne humanitatis officium impertiri solere, tamen /355/ ad sin­gularem probitatem vestram accedat etiam amor meus, quo eidem domino M[auroceno] afficior, ut vestra paternitas mei contemplatione, tanto se ei huma­niorem exhibeat, quanto mihi cariorem esse intelliget. Paratus et cetera. Hyadrae, XXVII Aprilis. 221.(105) Maffeo Vallaresso a Lorenzo da Fano Zara, 28 aprile [1456] M. V. raccomanda a Lorenzo da Fano il suo vicario, Donato Belloria, che intende conseguire il titolo dottorale, di cui M. V. lo giudica degnissimo: Lorenzo lo aiuti per quanto sta in lui. /86/ Clarissimo doctori domino Lauro de Fano. Confisus antiqua nostra familiaritate ac mutua benivolentia, breviter et succincte ad vos scribere duxi,aa ad vos scribere duxi] per dominum Donatum Belloria litterae commendatitiae mg. sperans plus valere apud vos amicitiam quam orationem prolixam. Venit igitur istuc venerandus vir dominus Donatus Belloria, vicarius meus, ad capiendam palmam laborum ac vigiliarum studii sui, videlicet ad suscipiendum gradum et insignia doctoratus, quibus ob vir­tutum suarum merita ac iuris peritiam dignus est iudicio meo. /87/ Quapropter commendo eum vobis quantum possum, rogans ut intuitu mei in quibus potestis, potestis autem auctoritate ac sapientia vestra, in pluribus ei favere et auxiliari velitis, quod facturum vos pro vestra innata humanitate non dubito. Paratus etiam ego pro vobis ad vota. Valete. Ex Hyadra XXVIII Aprilis. 222.(106) Maffeo Vallaresso a Fantino Dandolo Zara, 28 aprile [1456] M. V. raccomanda al vescovo padovano, Fantino Dandolo, Donato Belloria, che da sei anni svolge con diligenza il ruolo di vicario, e che è giunto in quella città per conseguire il titolo dot­torale, di cui è certamente degno (Jelic, 59). /87/ Reverendo patri domino Fantino Dandulo episcopo Paduano. Iustum ac rationabile estbb Iustum ac rationabile] commendatitiae mg. unicuique ad palmam virtutum currenti omnem opem et auxilium, si fieri possit, impendere. Proinde, cum venerabilis vir domi­nus Donatus Belloria de Seravallo praesentium lator, qui officio vicariatus a sexennio in hunc usque diem fideliter ac laudabiliter mihi servivit, istuc profici­scatur ad capienda insignia doctoratus, quibus ob iuris peritiam perdignus est, iudicio meo, non possum facere quin eum reverendissimae dominationi vestrae quantis possum viribus commendem, rogans humiliter eandem, ut ad meam contemplationem ei faveat, et in hoc assequendo gradu auxilietur. Ita ut has prae­sentes litteras sibi profuisse cognoscat. Paratus et ego ad quaeque grata et iocunda eidem reverendissimae dominationi vestrae quam bene valere cupio. Datum Hyadrae die XXVIII Aprilis. 223.(108) Maffeo Vallaresso a Pietro Marino Zara, 28 aprile [1456] Pur non conoscendo personalmente Pietro Marino, M. V. conosce tuttavia la sua virtù: gli racco­manda perciò Donato Belloria, affinché possa questi ritornare adornato del titolo dottorale, avendo a lungo studiato il diritto pontificio (Jelic, 59). /89/ Clarissimo domino Petro Marino universitatis scholarium rectori.aa Per dominum Donatum Belloria mg. [1] Etsi nunquam te viderim aut cognoverim, tamen ob mirificas vir­tutes tuas et singularem humanitatem, quae in te sita esse dicitur, diligo atque amo. Nec fui veritus his brevibus commendare tibi venerabilem virum domi­num Donatum Belloria, vicarium meum, praesentium latorem, qui cum superioribus annis multum insudaverit acquirendae virtuti et studio iuris pontificii, cupit nunc excipere fructus et honorem laborum, doctoratus vide­licet gradu insigniri. [2] Quapropter rogo te et obtestor in Domino, ut auc­toritatem ac dignitatem tuam interponendo ad instantiam precum et com­mendationum mearum ei favere auxiliarique velis, ita ut isthinc regressus, gloriae et laudis loco ducens, te ei optimum fautorem fuisse referre queat, et mihi et amicis suis. Paratus et ego et cetera. Hyadrae XXVIII Aprilis. 224.(109) Maffeo Vallaresso a Leonardo Contarini Zara, 28 aprile [1456] Pur non avendo familiarità con il Contarini, M. V. ugualmente gli raccomanda il suo dottissimo vicario Donato Belloria, perché lo favorisca nel giusto proposito di conseguire il titolo dottorale (Jelic, 59). /90/ Magnifico domino Leo[nardo] Cont[areno] Pad[uae] capitaneo.bb Per dominum Donatum Belloria mg. [1] Quanquam nulla mihi familiaritas vobiscum interveniat, tamen ob humanitatis et virtutis vestrae optimam famam vendicavi mihi tantam fidu­ciam, ut ad magnificentiam vestram has praesentes scribere non vererer. Cum igitur Paduam se transferat venerabilis et doctissimus vir dominus Donatus Belloria praesentium lator, ut praeteritorum studiorum ac vigiliarum suarum palmam et bravium excipiat et doctoratus gradum consequatur, eidem magnificentiae vestrae, cuius auctoritas et dignitas multum ubique valet, commendandum duxi, [2] rogans et obsecrans in domino Iesu, ut in obti­nendis iustis ac honestis votis suis, opportunos favores et auxilia sibi praestare dignemini, eo maxime, quod ad singularem eius peritiam iuris mirifica qua­edam bonitas accedit, quam in exercendo vicariatus officio, quo mihi inser­vivit, continue in omnibus operibus suis demonstravit. Valeat magnificentia vestra, et cetera. Ex Hyadra XXVIII Aprilis. 225.(110) Maffeo Vallaresso ad Antonio Diedo Zara, 28 aprile [1456] Per la amicizia che intercorre fra Antonio Diedo, podestà di Padova, e suo padre, M. V. gli raccomanda Donato Belloria, perché possa favorirlo nel desiderio di conseguire il titolo dottorale (Jelic, 60). /90/ Magnifico domino Antonio Diedo potestati Padu[ano].aa Per dominum Donatum Belloria litterae commendatitiae mg. [1] Confisus vestra singulari humanitate et bona amicitia, quae inter­cedit vobis cum genitore meo, non fui veritus his brevibus commendare magnificentiae vestrae praesentium latorem, venerabilem virum dominum Donatum Belloria vicarium meum, qui, cum superioribus annis ediscendo iuri canonico maximam operam dedit, nunc laborum et vigiliarum suarum palmam reportare desiderat, et doctoratus dignitate insigniri. Licet autem /91/ in ea facultate sit peritissimus ac sufficientissimus, multum tamen proderit eibb ei add. s.l. si magnificentiae vestrae favorem habere potuerit. [2] Quare eandem rogo ut ad meam contemplationem dignetur ei opportunos favores auxiliaque prae­stare, ita ut has litteras meas cognoscat sibi adiumento fuisse apud eandem magnificentiam vestram, cuius beneplacitis et me et mea omnia qualiacunque sint offero atque dedo. Valete in Domino. Datum Hyadrae XXVIII Aprilis. 226.(347) Maffeo Vallaresso a Giacomo Zocchi Zara, 28 aprile 1456 M. V. scrive al ferrarese Giacomo Zocchi, docente di diritto canonico presso l’Università di Padova: questi si è sempre dimostrato pronto a sostenere gli amici e gli allievi, che lo considerano come un padre [1]; poiché Donato Belloria, che un tempo era stato uditore di Giacomo, ha deciso di compiere gli studi e ottenere il dottorato, lo raccomanda a lui, che ha grandissima autorità sul collegio dei dottori [2]; Giacomo dunque aiuti Donato a realizzare il suo desiderio, sapendo che M. V. ha urgente bisogno del di lui rientro a Zara [3]. /347/ Ad famosissimum doctorem dominum Ia[cobum] de Zochis. [1] Cum ex vestra singulari humanitate ad honores et commoda cuiu­scunque amici vestri promptum ac semper paratumaa cuiuscunque amici vestri promptum ac semper paratum] Commendatitia quam dedi Donato Belloria mg. /348/ vos exibere consue­veritis, eo maxime id facere debetis vel intimorum amicorum precibus adducti vel eorum amore compulsi qui olim discipuli vestri fuere, qui loco patris vos merito observant, quibus etiam vos filialem dilectionem gerere tenemini, quod etiam facitis. [2] Cum itaque venerabilis vir dominus Donatus Belloria, olim auditor vester, nunc autem meus vicarius, attingere cupiens metam et palmam studii sui, gradum videlicet doctoratus, Paduam se transferat, dignus mihi videtur ob virtutes suas ac fidelissima et gratiosa servitia mihi ex officio suo praestita ut eum vobis potissimum commendem, qui et auctoritate et sapientia in illo celeberrimo doctorum collegio plurimum valetis. [3] Quare rogo vos et obte­stor in Christo Iesu, ut in hoc assequendo munere opem atque operam vestram ei praestetis, ita ut inde expediri cito valeat ac redire Hyadram in officium suum, quia, ut verum vobis fatear, absque huiusmodi homine diffi­cile facerem propter causarum multitudinem quas ego continue audire nequeo. Si quid autem ego interim et in futurum vestri gratia hic et alibi locorum possum, de me disponatis ad omnia vota vestra. Valete in Domino. Datum Hyadrae, die XXVIII Aprilis MCCCCLVI. 227.(348) Maffeo Vallaresso ad Antonio Roselli Zara, [28 aprile 1456] È molto che M. V. non scrive ad Antonio Roselli (giurisperito aretino, docente presso lo Studium di Padova, cui perciò è qui conferito il titolo onorifico di monarcha), ma il suo sentimento d’a­micizia e gratitudine non è diminuito, poiché quanto M. V. sa di diritto, a lui lo deve [1]; poiché Donato Belloria giunge a Padova per conseguire il titolo di dottore, M. V. a nessuno meglio che ad Antonio può raccomandarlo [2]. /349/ Ad celeberrimum monarcham dominum Antonium de Rosellis. [1] Licet a multo tempore nihil habuerim quod ad vos scriberem,aa Licet a multo tempore nihil habuerim quod ad vos scriberem] Commendatitia mg. non tamen amor meus erga vos aliqua parte diminutus est, quia, si quid bonarum litterarum ac scientiae iuris in me reperitur, vestra ope atque opera et prae­ceptione singulari id effectum est. Nunc autem, scribendi ad vos occasione nactus, succincte scribere duxi, sperans vos citius moveri antiqua amicitia quam oratione prolixa. [2] Cum igitur veniat illuc venerabilis vir dominus Donatus Belloria vicarius meus ad sumendum doctoratus gradum (quo certe ob sufficientiam sua dignus est opinione mea), cui vehementius et ardentius eum commendandum arbitrer quam vobis non invenio, eo maxime quod auctoritas vestra plurimum valet et ipse olim discipulus et auditor vester fuit, et nunc mihi propter officium suum gratissimus et acceptissimus habetur. Ea propter commendatum vobis velim, orans ut ad meam etiam contemplatio­nem multo magis ei in hoc assequendo munere faveatis et modis omnibus auxiliemini, quod mihi ipsi factum non dubitetis. Valete et me vobis deditis­simum, ut semper fui, habetote. Hyadrae. 228.(349) Maffeo Vallaresso ad Angelo De Castro Zara, 28 aprile 1456 M. V. raccomanda il suo vicario Donato Belloria ad Angelo De Castro. Ad eximium doctorem dominum Angelum De Castro. /349/ Cum sciam homines probos ac virtuosos vobis semperaa Cum sciam homines probos ac virtuosos vobis semper] Commendatitia mg. /350/ pla­cuisse gratissimosque esse consuevisse, idcirco in commendando vobis vene­rabili viro domino Donato Belloria vicario meo, qui Paduam proficiscitur ad accipienda insignia doctoratus, brevi sermone utar. Cum enim per sexennium fere vicariatus officio digne et laudabiliter mihi servierit, in omnibus operibus suis bene complacuerit, non possum eum non diligere et dignis prosequi commendationibus. Quamobrem rogo vos ut in eo gradu assequendo, quan­tum est possibile ei favere ac prodesse velitis, ita quod cognoscere possit meas preces apud vos aliquanti pretii fuisse. Paratus et ego, et cetera. Ex Hyadra, XXVIII Aprilis 1456. 229.(350) Maffeo Vallaresso ad Alvise Bertoldo Zara, 28 aprile [1456] M. V. raccomanda il proprio vicario Donato Belloria ad Alvise Bertoldo. /350/ Ad eximium doctorem dominum Aloisium Bertoldo. Credo vobis esse compertum quantum mihi gratus sit et acceptus prae­sentium lator dominus Donatus Belloriabb et acceptus praesentium lator dominus Donatus Belloria] Commendatitia mg. vicarius meus a quo mihi hactenus gratiosa et fidelia servitia impensa sunt. Propterea in eo commendando pau­cis opus est verbis. Cupio enim assequi doctoratus insignia ac dignitatem, quibus est pro virtutibus suis et sufficientia iuris pontificii dignissimus. Quare oratum vos et per antiquam affinitatem et /351/ amicitiam obsecratum velim, ut ad meam complacentiam omne humanitatis officium eidem exhibeatis, et in hoc assequendo gradu favores opportunos ac salubria consilia ita praestetis, sicut cuperetis ut ego pro aliquo vobis gratissimo facerem. Valete. Hyadrae, XXVIII Aprilis. 230.(351) Maffeo Vallaresso ad Antonio Ducci Zara, 28 aprile [1456] M. V. scrive ad Antonio Ducci, vicario del vescovo di Padova, per raccomandargli Donato Belloria, il quale giunge a Padova per ottenere il titolo dottorale, e ha con dignità e lode servito M. V. /351/ Ad venerabilem dominum An[tonium] de Florentia episcopi Paduani vicarium. Licet in commendando vobis homine mihi quidem ob virtutum sua­rum merita gratissimoaa ob virtutum suarum merita gratissimo] Commendatitia mg. et acceptissimo, longiuscula oratione uti deberem, antiqua tamen amicitia nostra breviter et domestice ad vos scribere me hor­tatur. Cum igitur venerabilis vir dominus Donatus Belloria de Serravallo istuc veniat ad insignia doctoratus capienda, eum vobis commendandum duxi, eo maxime quia et auctoritate vestra et officio ei prodesse plurimum poteritis, et ipse ob virtutes suas iurisque peritiam id meretur. Nam cum vicariatus officio digne ac laudabiliter mihi serviat, nihil est quod ego non debeam ei, quem vobis centenis vicibus commendo, rogans caritatem vestram ut in eis rebus quibus potestis ei favere studeatis, ut facile cognosci possit amici/352/tiam nostram non esse vulgarem. Quod erit mihi gratissimum, idque mihi factum reputabo quod ei beneficii et humanitatis feceritis. Paratus et cetera. Hyadrae, XXVIII Aprilis. 231.(355) Maffeo Vallaresso a Francesco Porcellini Zara, 28 aprile [1456] Lettera di raccomandazione a favore di Donato Belloria, indirizzata da M. V. a Francesco Porcellini. /355/ Ad famosissimum doctorem dominum Franciscus de Porcellinis. Venit istuc venerabilis ac praestantissimus vir dominus Donatus Belloria,aa Venit istuc venerabilis ac praestantissimus vir dominus Donatus Belloria] Commendatitia mg. vicarius meus praesentium portitor, ad assequenda insignia docto­ratus, quem cum ob singulares eius virtutes diligam, et ob gratissima ac fidelia servitia mihi hactenus ex officio suo impensa, gratum carumque habeam, facere non possum quin vobis eum stricte commendem, rogans et precario petens, ut intuitu mei vestra auctoritate et prudentia, quae multum ubique potest, in hoc assequendo gradu ei favere et patrocinari velitis, ita ut has praesentes litteras sibi aliquo adiumento fuisse facile intelligat. Paratus et cetera. Hyadrae, XXVIII Aprilis. 232.(356) Maffeo Vallaresso a Francesco Alvarotti Zara, 28 aprile 1456 Altra lettera di raccomandazione a favore del Belloria, indirizzata questa volta da M. V. a Francesco Alvarotti. /355/ Ad eximium doctorem Franciscum de Alvarotis. Antiqua fretus familiaritate atque amicitia, paucis verbis utar in commen­dando vobisbb in commendando vobis] Commendatitia pro domino Donato Belloria mg. homine quem etiam virtus ipsa commendat. Cupiens igitur vene­rabilis et optimus vir dominus Donatus Belloria, vicarius meus praesentium /356/ , doctoratus insigniri gradu, quo mihi ob sufficientiam suam dignis­simus videtur, Paduam se transferre ut voti compos evadat, quapropter oratum vos velim et antiqua compulsus amicitia ut tales ei favores ad meam complacentiam exhibere velitis, quales conveniunt intimis et cordialibus amicis. Paratus et ego et cetera. Datum Hyadrae, die XXVIII Aprilis MCCCCLVI. 233.(357) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 28 aprile 1456 Donato Belloria viene raccomandato da M. V. al patriarca Maffeo Contarini. /356/ Ad reverendissimum patrem dominum Maffeum patriarcham Venetiarum. Venit istuc venerabilis vir dominus Donatus Belloria,aa Venit istuc venerabilis vir dominus Donatus Belloria] litterae credentiales mg. vicarius meus, pro quibusdam negotiis suis expediendis, cui nonnulla vestra reverendissimae dominationi meo nomine referenda commisi, quam humiliter rogo ut hac vice duntaxat dictis eius fidem plenariam exhibere dignetur. Ex Hyadra, die XXVIII Aprilis MCCCCLVI. 234.(358) Maffeo Vallaresso a Ludovico Calbo Božava, 26 giugno 1456 M. V. trasferitosi, causa la peste che infuria a Zara, presso Bosavia (Božava), nell’Isola Lunga o Isola Grossa (Dugi Otok), facente parte dell’arcipelago zaratino, chiede a Ludovico Calbo se l’isola d’Arbe, dove per maggiore sua comodità vorrebbe nuovamente trasferirsi, sia esente dal contagio. /356/ Ad spectabilem dominum L[udovicum] Calbum Arbi comitem. Licet iampridem evitantes insanam pestem qua civitas haec Hyadertina miseris patitur modis, tandem extremas paene nostrae diocesis insulas cum migraverimus, ubi locorum secure sed non commode maneamus, dubitan­tes tamen hanc luem non tam cito sedari, ut aequum esset, et longius abire consilio sapientum /357/ et in commodiora loca nos recipere decrevimus. Cum autem Arbi civitas semper consueverit aerem habere saluberrimum, nisi a contingenti et ex vicinarum insularum contagione maculetur, idcirco scribere ad spectabilitatem vestram duximus, rogantes ut tandem litteris suis nos certiores reddere dignetur, si locus ille plane sanus est et ab omni peste immunis, ut venturis istuc nobis non sit necesse aliorsum navigare et novas hibernis quaerere sedes. Parati ad vestra beneplacita quaecumque possimus. Valete. Ex insula Boxavae,aa Boxavae] Boxaviae ms (sed cfr. ep. n° 235, 237, 238, ubi semper Boxava scribitur). diocesis nostrae Hyadrensis, XXVI Iunii 1456. 235.(359) Maffeo Vallaresso a Giovanni Frangipane Božava, 26 giugno 1456 Sempre da Božava (Bosavia), nell’isola di Dugi Otok, M. V. si rivolge a Giovanni Frangipane, conte di Veglia, per rinnovargli il senso della sua stima e fiducia [1], e per informarsi sulla situazione sanitaria dell’isola, perché vorrebbe lì trasferirsi, ovvero ad Arbe, ammesso che il con­tagio non sia giunto anche lì; ha già scritto negli stessi termini al conte di Arbe [2]; non si è rivolto al vescovo, il quale forse non è in sede; prega nel caso Giovanni di apprestargli una sistemazione presso l’episcopio [3]. /357/ Ad magnificum dominum Io[hannem] de Frangipanibus, Veglae comitem. [1] Etsi ad vestram humanitatem crebrius scribere debuissem, ut amor absentium utriusque nostrorum mutuis litterarum colloquiis et in dies auge­retur et magis ac magis confirmaretur, iocundissimam tamen nominis vestri memoriam altius impressam cordi continue conservavi, ita ut non minorem vestri aestimationem quam cuiuscumque carissimi vel propinqui vel amici faciam. Sed de his alias. Nunc scribendi officium idcirco aggressus sum, quod cum iamdiu sit quod ab initio fugitans hanc execrabilem pestem, quae civi­tatem Hyadertinam misere quati, ad extremas diocesis /358/ meae insulas migraverim, ubi locorum tute ac secure satis sed etiam incommode nimis maneo, ea propter vel Arbum vel ad civitatem vestram Veglae me una cum familia mea me transferre cuperem. [2] Sed, cum intellexerim eas insulas tam Arbi quam Veglae aliquibus locis pestis insanie commaculatas, idcirco priusquam navigationis cursum arripiam, scribere duxi tam ad vestram magnificentiam quam ad spectabilem dominum comitem praefatae insulae Arbi, rogans per praesentes eandem magnificentiam vestram ut de sanitate vestrae civitatis me plane certiorem reddat, ne aliorsum navigare et novas hibernis quaerere sedes compellar. [3] Scripsissem autem ad reverendissimum patrem dominum episcopum, si pro certo crederem suam paternitatem Veglae nunc esse. Qui si forte istuc non est, oratam velim dominationem vestram ut in episcopatu mihi paretur ali­quis locus, ubi sine incommodo aliorum manere possim. Hoc dictum velim familiariter, stante nihilominus civitate vestra in statu prospero ac sanitatis felici. Reliquum est ut ad finem epistulae accedam, offerens pariter et me et facultates meas mandatis magnificentiae vestra, quam bene valere cupio. Ex insula Boxavae diocesis nostrae Hyadrensis, die XXVI Iunii MCCCCLVI. 236.(113) Maffeo Vallaresso a Gregorio Detrico Božava, 3 luglio 1456 La morte di Ludovico Detrico rattrista profondamente M. V., che da Božava nell’Isola Lunga, scrive a Gregorio e agli altri fratelli del defunto, esortandoli ad affrontare con misura il dolore; M. V. protrarrebbe il lutto anche per un triennio, se ciò potesse restituire la vita terrena a Ludovico; ma non si può correggere ciò che è vietato; i fratelli guardino al cielo, nel modo in cui fece Gesù difronte alla tomba di Lazzaro; ciascuno torni, finalmente, a curare la propria famiglia (Jelic, 60-61). /92/ Nobilibus Hyadrensibus Gregorio Detrico et fratribus.aa Bona epistola pro morte fratris mg. [1] Egregii et optimi viri filii nobis in Christo dilectissimi, salutem et in domino Iesu visceribus compassionem. Molestum nuntium et vere acer­bum ad nos hodie perlatum est de morte dilecti olim filii nostri in Christo Ludovici confratris vestri, viri dum vixit spectati et probati, cuius /93/ intem­pestum fatum paterno amore doluimus. Eoque gravius tulimus, quo vestrum omnium angorem, gemitus, lamenta cordis auribus magis sentimus. Licet enim ab ovium nostrarum puliari grege longe videamur abesse, nullus tamen est in ea civitate, cui non ex intimis praecordiorum compassionibus condoleamus, unicuique pro meritis. [2] Vobis autem omnium, quod pro mirificis virtutibus vestris maio­rumque vestrorum ampliori dilectione vos in Domino Iesu complectimur et carissimos habemus. Cum autem vos omnes ea prudentia praeditos intelliga­mus, ut in prosperis nemo fere moderatior et in adversis pauci admodum constantiores inveniri possint, non putamus nobis laborandum esse in oratio­ne, cuius vi dolorem vestrum lenire possimus. [3] Vos enim ipsi et doluistis hoc tempore moderate, ut arbitramur, et virtute prudentiae vestrae invicem consolamini. Nos vero pro magnitudine amoris id polliceri possumus annum lugere vel integrum triennium una vobiscum, ut matronae Brutum luxisse leguntur,1 si tantundem modo vitam ipsam filii nostri Ludovici redimere valeamus. Quod cum fieri nequeat, quid aliud agendum sit nisi aequanimiter ferre? Quod est nefas corrigere non videmus? Nam et Christus dolens mor­tem Lazari, quem diligebat, lacrimatus est, et fremuit spiritu,2 sed infremuit suspiciens in caelum. Et vos igitur in caelum mentis /94/ vestrae oculos attol­lite, et bono Iesu confirmamini, sine cuius nutu nec folium arboris cadit in terram, nedum vita hominis. De hoc satis hactenus. [4] Reliquum est ut admoneamus et hortemur vos in Domino, caritate ducti, potius quam quod opus habeatis, quippe qui recte in omnibus rebus sapitis, ut saluti reliquorum omnium vestrum consulatis et seorsum alius ab altero separatim autem omnes a familia stare velitis, ut iuxta sententiam Iacob:aa Iacob] Iacob, si turma una subiacebit alia et cetera mg. 1 ut matronae Brutum luxisse leguntur] cfr. Eutropius I 10,2: «Brutum matronae Romanae, defensorem pudicitiae suae, quasi communem patrem per annum luxerunt»; I 11,4: «L. Valerius… mortuus est… quem matronae sicuti Brutum per annum luxerunt». 2 Christus ~ fremuit spiritu] cfr. Evang. sec. Iohannem 11,33: «infremuit spiritu». 3 cfr. Biblia sacra iuxta Vulgatam, Genesis 32, 8: «Si venerit Esau ad unam turmam et percusserit eam, alia turma, quae reliqua est, salvabitur». «si una turma periculo subiacebit, ne dicam perierit, alia salva fiat».3 Hoc autem dicimus quia relatum fuit nobis omnes vos fuisse aegritudini mortique eius. Quod si feceritis, pergratum erit. Et nos timentes familiolae nostrae longius navigare statuimus, Arbum scilicet usque. Quo in loco gra­tia Dei manebimus, quoad civitatem ab ea clade convaluisse intelligemus. Valete in Domino Iesu, qui vos a malo custodiat et benedictio sua sit super vos semper. Ex insula Boxavae nostrae Hyadrensis diocesis, die III Iulii MCCCCLVI. 237.(360) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Božava, 3 luglio 1456 M. V. scrive al cardinale Pietro Barbo: causa la peste che sta devastando la città di Zara, è costretto a viaggiare per isole e per scogli, e tuttavia, dovunque si trovi, se al mattino prende la penna, dovunque la memoria del cardinale gli torna in mente, a cui è debitore solo dopo Dio immortale; gli si raccomanda, e raccomanda il fratello Giacomo. /359/ Ad reverendissimum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Si valet clementissina dominatio vestra optimum quidem est, ego etiam valeo. Quanvis a pluribus diebus visitabundus immanitatem pestis, quae per­populatur totam civitatem Hyadrae, per insulas et scopulos, asperrima situ loca, errare compellor, quencumque tamen mutavero locum, si sumpsero pennas meas diluculo et habitavero in extremis maris, ubique mihi reveren­dissima dominatio vestrae suavissima occurrit memoria, cui post Deum immortalem magis me obligatum puto, quam hominum cuiquam. Quam laetissine eandem dominationem vestram revisens coram alloquerer, quod cum in praesentiarum non detur, litteris ipsis aliqua in parte cupio facere satis, nihil aliud rogans, praeter quam ut eidem commendatus fiam. Eidem ante me dominum Ia[cobum] germanum meum quam maxime possum commendo. Ex insula Boxavae, diocesis Hyadrensis III Iulii MCCCCLVI. 238.(111) Maffeo Vallaresso ad Andrea Marcello Božava, 10 luglio 1456 Da Božava nell’Isola Lunga, M. V. si congratula con Andrea Marcello, avendo saputo, attraverso una lettera del padre, della di lui nomina a pretore di Zara: la notizia lo riempie di gioia, perché la famiglia di M. V. e quella di Andrea sono sempre state legate da profonda amicizia; la risposta di Andrea Marcello è la successiva n° 239, la cui data deve essere errata (Jelic, 60). /91/ Spectabili domino Andreae Marcello comiti Hyadrae designato. Nihil mihi per hos diesaa Nihil mihi per hos dies] gratulatoriae mg. vel iocundius vel optabilius accidere potuit, quam quod dignissimum Hyadertinae praeturae munus maximo senatus consensu vobis demandatum, ex litteris genitoris mei intellexerim. Quo fit ut in amicorum vobis gratulantium numero, aut perpauci aut nemo me gratu­latione superet, cum aliis multis de causis, tum potissimum ob integritatem et probitatem incredibilem quae in vobis sita praedicatur, tum demum ob singularern amicitiam quae semper observata est inter domum et domum utriusque nostrum. Quare si quam interim facultatem in me videtis, quae aliquid ad decus et commodum vestrum conducere possit, ea fide, ea spe ac familiaritate mihi significatum velitis, perinde ac filio vestro aetate aut fratri dignitate. Valete. Datum in insula Boxavae X Iulii 1456. 239.(112) Andrea Marcello a Maffeo Vallaresso Venezia, 5 luglio 1456 Andrea Marcello risponde alla precedente (cfr. ep. n° 238; si noti l’errore di datazione da parte del copista, dal momento che la risposta di Marcello, così come tràdita, precede di cinque giorni, 10 luglio 1456, la missiva di M. V.), ricambiando il senso di stima e fiducia che M. V. gli aveva comunicato nella precedente lettera: fra le tante gratulatorie pervenute, nessuna gli ha fatto tanto piacere quanto quella che ha ricevuta dal lui, che gli è vicino per un vincolo di amicizia e quasi di parentela. /92/ Responsivae ad superiores.aa bona responsio mg. [1] In magno numero amicorum, qui mihi pro praetura Hyadertina perhumaniter gratulati sunt, neminem profecto esse fateor, cuius ego gratula­tionem tanti quanti vestrae reverendae dominationis faciam, cum propter insi­gnem dignitatem sui, tum etiam ob singularem amicitiam et prope necessitu­dinem quae cum patricia vestra et Marcellorum familia perpetuo intercessit, adeo ut clarum virum genitorem vestrum loco optimi et amantissimi fratris duxerim. Accedit ad gratiam quod cum in ea civitate praetor futurus sim, ubi reverenda dominatio vestra divinis praeest atque pontificatum obtinet, maxi­mam me iocunditatem ex vestra suavissima consuetudine habiturum spero. [2] Quantas igitur et quam maximas possum gratias vestrae reverendae paternitati ago tum pro suo humanissimo scribendi ad me et gratulandi genere, tum etiam pro suis liberalissimis oblationibus, quae ipso caritatis pectore emanare prae se ferunt. Accipio ingenue quaecunque mihi officiose pollicemini, ea lege ut quic­quid est in me vestro iure uti confidentissime debeatis. Bene et feliciter valeat reverenda vestra paternitas, cui me commendo. Ex Venetiis die V Iulii MCCCCLVI. 240.(257) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Arbe, 26 giugno 1456 M. V. ringrazia Pietro Barbo, il quale ha intercesso perché il fratello Giacomo ottenesse la dignità del suddiaconato; ha saputo di ciò dal fratello stesso, che al momento si trova a Zara, allontanatosi momentanemente da Roma a causa della peste; Giacomo peraltro è desideroso di ritornare a Roma per servire il cardinale, al quale M. V. chiede di sostenere la povertà del fratello, anche considerata la dignità di cui è stato insignito, per tramite di nuove prebende. /256/ Ad reverendissimum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci.bb Ago gratias pro subdiaconatu mg. [1] Reverendissime in Christo pater et domine mi singul[aris] ac pro­tector et benefactor unice, omni subiecta humilique commendatione praecedente. Nuper ex litteris domini Iacobi germani mei, novissime tandem ex ore ipsiusmet coram accepi subdiaconatus apostolici honorabilem dignita­tem ei per sanctissimum dominum nostrum, intercedente optimo favore et pia voluntate reverendae dominationis vestrae, gratis collatam. Quae gratia cum ex immensa humanitate eiusdem dominationis vestrae procedat, immor­tales eidem gratias ago, agamque /257/ dum vivam. [2] Nam relaturum neque me neque meorum quenpiam affirmare possim. Tantis enim beneficiis vestris non videor mihi respondere posse, nisi forte cum ea memoria tenuero. Tenebo autem ad extremum spiritum usque, sed cum idem frater meus prop­ter metum pestis, quae nunc Romae invalescit, ad me in Dalmatiam se con­tulerit propediem in curiam reversurus serviendi desiderio ac famulandi sublimitati vestrae, humillime supplico ut, quem ad hanc dignitatem provehi contenta fuit vel emolumentorum vel beneficiorum adminiculis eius tenuita­tem eadem reverenda dominatio vestra augere dignetur, quo dignitatis suae gradum recte sustinere queat. [3] Hic cum intellexerit de morte reverendi olim episcopi Par. de qua vestra dominatio reverenda litteris suis ex itinere significavit, sperat una mecum memoriae vobis fore vel ad ipsius episcopatum collationem vel ad aliorum beneficiorum permutationem quae in collationibus eiusdem episcopatuum fieri consuevit. Spem vero nostram fovent multa documenta et experimenta singularis liberalitatis humanissimae dominationis vestrae reverendae, cuius studia et constantissimi favoris honori meo nunquam defuerunt aut defutura sunt. Feliciter ac beate valeat reverenda dominatio vestra sublimitati cuius /258/ meam parvitatem ac ipsum fratrem humillime commendo. Ex Arbo Kalendis Augustis MCCCCLVI. 241.(114) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Arbe, 26 giugno 1456 M. V. ha ricevuto una lettera da Maffeo Contarini, cui risponde in breve, ribadendogli il suo sentimento di devozione e affetto filiale. /94/ Reverendissimo patri domino Mapheo patriarchae Venetiarum. Suavissimas litterasaa Suavissimas litteras] Satis bona ad captandam benivolentiam mg. reverendissimae dominationis vestrae nuper accepi, veteres tamen, ut videbantur, quibus brevi responsione opus est. Maxima /95/ et incredibili voluptate afficior, quod eadem dominatio vestra cognoscat se diligi a me, quam ego non solum summe diligo sed ob vitae sanctimoniam veneror et observo. Cuius liberalissimas oblationes et domino Iacobo fratri meo et mihi ipsi factas pergrato accipio animo ac propterea ingentes habeo gratias, et cetera. Reliquum est, ut eiusdem reverendissimae dominationis vestrae man­datis me, tanquam filium et servitorem, plurimum offeram atque dedam, quod et lubens facio, ut lubentius fieri non possit. Feliciter valete. Ex Arbo II Augusti. 242.(115) Maffeo Vallaresso a Donato Belloria Božava, 26 giugno 1456 M. V. si compiace che Belloria abbia conseguito il titolo dottorale, è pronto ad aiutarlo nuovamente, perché possa conseguire traguardi ulteriori; Belloria resterà in Italia per tutto il mese di settembre: ciò è forse a causa della peste, che è diffusa in varie regioni, ma che in Zara è ormai cessata (Jelic, 61). /95/ Venerabili domino Donato Belloria decretorum doctori vicario meo. Quod valeas bene gaudeo, ego itidem Dei gratia cum tota familia valeo. Maxima me voluptate per hos dies litterae tuae affecerunt, quod significarent affec­tati gradus et honoris tui consecutionem, quae fuit cum unanimi consensu totius celebratissimi illius doctorum collegii. Spero dehinc reliquos honores et dignitates tibi facilius patere. Ut autem omnino pateant, favores nostri qualescumque sint, profecto non deerunt. Quod reliquum est negotiorum tuorum, gratum est quod expedire pergas ut maturius revertaris, quanquam vel totum Septembrem in Italiam transigeres. Dummodo bene expedias rem tuam, parvi referre puto, nisi isthic diu­tius morari pigeat, quod passim undique pestis diffusa vigeat, /96/ quae, cum Hyadrae fere omnino conquieverit, dum libuerit illuc loci recta poteris proficisci. Bene et prospere ut valeas cupio. Dominus Ia[cobus], qui nuper Roma venit, sal­vere te iubet, item omnis familia, maximeque presbyter Sy[mon]. Iterum vale. Ex Arbo die II Augusti MCCCCLVI. 243.(361) Maffeo Vallaresso a Barbone Morosini Arbe, 2 agosto 1456 Da Arbe M. V. scrive a Barbone Morosini per ringraziarlo, poiché, come ha direttamente saputo dal fratello che ha lasciato Roma a causa della peste, Barbone è stato il più convinto e risoluto fautore presso il pontefice della promozione di Giacomo al suddiaconato apostolico [1]; M. V. può solo pregare Dio che ricompensi adeguatamente Barbone; questi ha agito guardando all’amicizia che nutre per M. V. e, se ci fosse stata in gioco una carica ancora più onorevole, sempre per compiacere M. V., avrebbe cercato di devolverla al di lui fratello [2]. /359/ Ad clarissimum doctorem dominum Bar[bonum] Maurocenum. [1] Acturus tibi gratias pro singularibus tuae consuetae humanitatis officiis quae in ornando nuper domino Ia[cobo] germano meoaa quae in ornando nuper domino Ia[cobo] germano meo] Ago gratias de his quae egit pro honore fratris mg. constanter et accurate praestitisti, parum refert multane oratione utar, an cum eo potissi­mum qui ex animo suo meum spectat paucis absolvam quae dicere velim. Nam ideo /360/ vel amori nostro mutuo, cui addi nihil potest maior accessio, vel obligationibus meis adversus te diminutio aliqua futura non est. Ita enim me superatum video amore tuo mirifico cum aliis compluribus de causis, tum ex eo maxime quod, quemadmodum ipse frater luculenter ac diserte superio­ribus diebus scripsit, idemque pauloante propter pestem Roma regressus coram rettulit: in obtinendo subdiaconatus apostolici claro munere nemo sibi fautor ardentior, nemo apud maximum pontificem diligentior intercessor inventus quam tu fueris. [2] Ut quibus officiis tecum certem, quo dicendi genere gratias agam, profecto non reperio, nisi Deum immortalem supplex exoravero, ut tantis meritis praemia digna ferat. Quanquam medius fidius haud dubito, quae virtus est tua, maiore cura te animatum, maiore studio cumulandi mei honoris affectum fuisse, ut si qua sors multo pinguior vel dignitatum vel benefactorum fuisset oblata, eam, pro virili tua, in ipsum fratrem meum converti mei contemplatione contendisses. Illud etiam accedit ad maiorem commendationem quod, cum officium diligentissime praestiteris, illud ver­bis extenuare studes et /361/ ab aliis potius recognosci, ut praeclarum tuum nomenque decusque maioribus laudibus merito efferam, tibi tuisque omni­bus ad arbitrium perpetuo deditus. Optime ut valeas ac me ut facis ames quantum velim. Ex Arbo die II Augusti MCCCCLVI. 244.(258) Maffeo Vallaresso a Donato Belloria Arbe, 14 agosto 1456 Donato Belloria sappia che la lettera del patriarca concernente la regolamentazione delle visite pastorali non è stata debitamente composta, e deve essere riscritta; essa infatti è in contrasto con una correlativa costituzione [1]; in tale costituzione si dichiara che, essendo stabilito un concilio provinciale ogni tre anni, nelle diocesi dalmate non si debbano compiere nel frattempo (interim) visite pastorali; diversamente nella lettera è scritto che M. V. non deve compiere visite pastorali se non di triennio in tiennio [2]; questa è una interpretazione non lecita della costituzione, che è difatto ambigua proprio nel termine interim, il quale andrà inteso nel senso che non si debbano compiere visite nel mentre del concilio provinciale [3]; la costituzione è inoltre improvvida nel dichiarare che la visita pastorale debbe essere compiuta a carico del vescovo: così non è per il patriarca quando visita le sue parrocchie, tanto meno può esserlo per chi, come M. V., nella visita pastorale deve affrontare spesse ben più gravose [4]; Belloria avrebbe anche potuto ricordare al patriarca quanto siano necessarie le visite pastorali nella diocesi di M. V., tormentata da continui scandali; la costituzione è umiliante, perché sembra quasi che M. V. abbia inteso indebitamente accaparrarsi del danaro [5]; nelle costituzioni ci sono altri aspetti che andranno riconsiderati, ciò che M. V. si ripromette di fare nel prossimo concilio [6]. /258/ Domino Donato Belloria vicario meo. [1] Venerabilis et egregie doctor, accepi nuper litteras reverendi domi­ni patriarchae super visitationibus fiendis, quae quidem litterae, quod non sint debita confectae forma, super ambiguitate constitutionis duxi te plenius informandum, ut de integro alterae conficiantur plenius et melius. Ut autem rectius intelligas quae dicere velim, et constitutionis ipsius et litterarum prae­fatarum copiam his adiungere volui. Nam videntur ipsae litterae et con­stitutiones invicem contrariae. [2] Dicit enim constitutio quod, «quia supe­rius ordinatum est comprovinciale concilium singulo triennio celebrandum fore, propterea decernimus quod in diocesibus Dalmatinis per dictorum locorum praelatos huic sedi patriarchali subditos, nulla penitus visitatio fiat interim, nisi maxima imminente necessitate». Litterae autem domini patriar­chae dicunt per te sibi assertum fuisse in proximo comprovinciali concilio Venetiis facto statutum fuisse quod ego vel alius nomine meo non debeam visitare provinciam sive suffraganeos meos, nisi de triennio in triennium, quod est contrarium superioribus, ubi dicitur «nulla interim visitatio fiat». Illud «interim», ut ego sentio, potest intelligi /259/ dupliciter, idest infra spatium triennii aut infra tempus vel dies celebrationis ipsius concilii. [3] Si enim statutum fuisset, ut sonant litterae praefatae, non debere fieri visitatio­nes provinciae nisi de triennio in triennium, nulla esset causa querendi. Sed illud «interim» est valde ambiguum et est necesse in aliis litteris hunc termi­num includi, non obstante quod proxime celebrata synodo statutum fuerit nullas interim fieri debere visitationes propter comprovinciale concilium, singulo fiendum triennio. Volumus nihilominus intelligi illud «interim» sano modo, id est infra tempus vel dies ipsius concilii fiendi, ut omnes praelati facilius interesse possint ipsi concilio. [4] Alterum dubium est, ubi declaratio est necessaria, quod cum nemo sumptibus propriis debeat militare, et statutum caveat a visitato legi­time ac necessarie pecunias recipere non debere praelatos, qui vel equos vel nautas pro ipsis visitationibus conducunt et multas alias impensas in id opus faciunt. Videtur constitutio satis dura, ita ut nemo sit hac lege visita­tiones vel maxime necessarias facturus. Est autem et in ipsa civitate Venetiarum consuetudo ut patriarcha /260/ visitans parochias suam recipiat procurationem et pecunias limitatas, cum nullum fere laborem itineris aut navigationis vel impensae ad nostri comparationem patiatur. Quod igitur sibi iustum videtur in suos, quia nobis in nostros non licet? Haec omnia conferas cum sua parte rogans ut iuribus et dignitati meae derogare nolit, sed consuetudines quae iuri non adversentur, in suum pristinum robur restituat. Alioquin alia mihi via providendum esset. [5] Poteris autem eiusdem paternitati memorare quanta fuerit necessitas mihi eam visitatio­nem fecissem, propter infinita scandala et reclamationes ac inconvenientia tam a suffraganeis quam ab eorum subdit[is] quotidie ante id tempus com­missa. Nec me credat affectare huiusmodi voluptates visitationum, quas forsan nunquam denuo sum facturus. Sed moleste fero huiusmodi consti­tutiones tempore meo scriptas, quasi ego aliquid immoderate commiserim, aut pecunias indebite extorserim, aut praeter morem nimis onerosus alicui fuerim, ut talis licentia et effrenata quodammodo libertas mihi merito sit auferenda et constitutionibus ipsis moderanda. [6] Et contendere omnino destino honoris mei decus in locum suum reduci, etiam si deberem totam substantiam pro hoc honestissimo /261/ voto exponere, multa denique alia in ipsis constitutionibus continentur quae indigent moderatione, quae in praesentiarum his inculcare nolui, ne iudicis aures fastidio afficiantur. Ea in posterum vel ad proxime futurorum comprovinciale concilium memo­randa reservo. Haec satis. Vale. Ex Arbo die XIIII Augusti MCCCCLVI. Celerrime. 245.(116) Maffeo Vallaresso a Giovanni Trevisan Arbe, 22 agosto 1456 M. V., da Arbe, scrive a Giovanni Trevisan, complimentandosi per la sua nomina a capitano e provveditore di Zara; gli aveva scritto una precedente, inviata a Venezia, da dove però il Trevisan era già partito, per raggiungere la sede del nuovo suo incarico. /96/ Spectatissimo domino Iohanni Trivisano capitaneo et provisori Hyadrensi.aa Litterae congratulatoriae mg. Ut primum ex litteris nostrorum intelleximus hanc honorabilem Hyadrae praefecturam magnificentiae vestrae contigisse, magno gaudio exhi­larati sumus litterasque gratulatorias ex debito antiquae bonae amicitiae quae vobis intercedit cum domo nostra Venetiis iam dignitati vestrae illico misis­semus, nisi relatum fuisse nobis vos iter obeundae provinciae iam arripuisse, ubi loci speramus has litteras vobis recenter occursuras, quibus certior esse debet magnificentia vestra nos pro honore et commodo eiusdem ubique ad vota paratos nostraque omnia qualiacumque sint eiusdem arbitrio offerimus atque dedimus. Clerum nostrum vobis quantum possumus commendamus ad favores gratos et opportunos. Bene valete. Ex Arbo XXII Augusti. 246.(259) Maffeo Vallaresso a Luca, arcidiacono di Zara Arbe, 24 agosto 1456 M. V. redarguisce l’arcidiacono Luca, il quale, nel mentre dell’assenza di M. V., ha provveduto in maniera difforme a quanto stabilito da M. V. circa i sacramenti della confessione e della comunione [1], nonché circa il governo delle monache: Luca si rivolga a Giacomo, se ha perso la sua memoria [2]; Luca ha anche fatto palesi alcune lettere inviategli da M. V., la qual cosa è particolarmente grave [3]; poiché Luca gli è caro, sappia che lo riprende come un padre riprende un figlio [4]. /261/ Ad praesbyterum L[ucam] archidiaconum Hyadrensem.aa Responditur circa regimen animarum mg. [1] Venerabilis et cetera. Non sine animi molestia intelleximus manda­ta quae tibi observanda iniunximus circa regimen animarum nobis commis­sarum, videlicet circa confessiones et communiones, quas per neminem exerceri voluimus nisi per dilectos presbyteros nostros, minime per te custo­diuntur aut observantur. [2] Nec solum in his praedictis error tuus manifestus est, verum etiam circa monialium gubernationem, de quibus specialia mandata in recessu nostro tibi reliquimus servanda, quorum si forte propter aetatem, quae omnia aufert animum quoque et memoriam simul, oblitus es omnino, consule dominum Ia[cobum]bb Ia[cobum] corr. : Io ms (scilicet Iohannem ms). germanum nostrum. [3] Nec tamen in similibus verum etiam in quibuslibet rebus gravibus et ponderosis, absque ipsius consilio et voluntate, qui mentem et intentionem cordis nostri optime intelligit, nihil quicquam efficax.cc efficax] efficas ms. Illud /262/ autem nobis prorsus incredibile est quod litte­ras nostras tanquam cordis nostri archana quae tibi vices nostras gerenti non­nunquam mittimus, cuipiam externo ostendas, ita etiam ut in capitulis fra­trum legantur. Quod si ita esset, ut asseritur, dura medius fidius reprehensione dignus esse censereris. [4] Sed cum te sciamus longa rerum experientia prudentissimum, non quimus nobis persuaderi te in tantam praesumptionem aut potius amentiam incidisse. Fac igitur tute ipsum tua prudentia gubernes, cui si parebis, non errabis. Consiliarios reliquos abiice procul abs te, ut reclamationum causae auferantur, nec nobis materia praebeatur in modum reprehensionis de cetero scribere, quanquam ob eam causam amor noster non minuatur, quia, quem diligimus, corripimus paterno more. Haec satis et plus quam satis. Vale. Arbi die XXIIII Augusti. 247.(117) Maffeo Vallaresso a Stefano Erizzo Arbe, 26 giugno 1456 M. V. chiede a Stefano Erizzo di intercedere a favore del medico Andrea (cfr. epistola n° 15), il quale, avendo concluso il periodo della sua condotta ad Arbe, avrebbe deciso di recarsi a Spalato, essendovi stato già invitato da alcuni cittadini, ma prima desidererebbe che tale sua chiamata fosse avallata dallo stesso Stefano, e vorrebbe altresì ottenere un salario adeguato; Stefano interceda in favore di Andrea, se può; in ogni caso, manifesti in breve quale sia la sua opinione in merito (Jelic, 62). /96/ Spectabili domino Stephano Erizo comiti Spalatensi.aa Commendatitiae et bonae litterae mg. [1] Singulari virtute ac probitate vestra freti, has breves ad vestram spectabilitatem dare veriti non sumus, sperantes nos vel consecuturos quae aliena petimus causa, vel saltem petentis amici animo satisfacturos. Igitur propter evitationem pestis, /97/ quae civitatem nostram Hyadrensem iam pridem populari coepit, Arbi nostrae provinciae in praesentiarum existentes, inter gratos et iocundos filios nostros in Christo et amicos, qui nos visitandi gratia frequentant, magistrum Andream phisicum acceptissimum hactenus habuimus et habemus. Is alias conductus ab Arbensibus firmam temporis sui, ut asseritur, iam complet. [2] Intellexit autem istam civitatem Spalatensem indigere medico et a nonnullis civibus Spalatensibus hac aestate tentatus fuit an vellet istuc venire. Nunc habito prudenti ac maturo consilio veniret ait, dummodo spectabilitati vestrae ac nobilibus illis viris placeret et de salario condecenti ei constaret. De cuius viri sufficientia nihil est profecto dubitandum. Veteranus enim miles est, quippe qui bonam aetatem consumpsit in arte sua decore ac strenue ubique functus officio suo. [3] Quapropter rogamus spectabilitatem vestram, ut ad nostram contemplationem eum commendatum habere et eidem con­ducendo favores opportunos impertiri dignetur, ita ut has litteras nostras, quae ad eius requisitionem sunt libenter factae, aliqua in parte si non in toto sibi profuisse cognoscat. Ut autem in spe huiusmodi diutius non pendeat, quamprimum sibi de sententia animi vestri et voluntate civium per litteras vestras constet quam vellemus. Parati et nos tam vestris quam amicorum vestrorum beneplacitis. Valete in Domino. Ex Arbo pridie Kalendas Septembris. 248.(118) Maffeo Vallaresso a Felice da Spalato Arbe, 31 agosto 1456 M. V. domanda a Felice, vescovo di Scardona, di raccomandare il medico Andrea ai maggiorenti di Spalato, affinché possa ottenere in quella città, dove l’autorità di Felice è grande, una degna condotta (Jelic, 62). /98/ Reverendo patri domino Felici episcopo Scardonensi. Metu pestis quae Hyadrae hactenus viguit, in praesentiarum Arbiaa in praesentiarum Arbi] commendatitiae mg. moramur, ubi loci existentes satis bonam relationem tam a reverendo patre domino episcopo Arbensi, quam a quibusdam nobilibus Arbensibus habui­mus de sufficientia et probitate magistri Andreae de Mediolano, qui alias conductus ab Arbensibus, nunc firmam suam complet. Cum autem intellexe­rit civitatem Spalatibb Spalati] Spaleti ms. medico indigere, licet habeat et alia invitamenta bona, tamen propter illorum Spalatensium bonam famam veniret illuc libenter, si placeret eis, et de convenienti salario sibi constaret. Quapropter rogavit nos ut eum paternitati vestrae litteris nostris commendaremus, quam non dubium est apud illos nobiles auctoritate sua plurimum posse. Itaque rogamus ut intuitu nostri ei favere dignemini, ut conductus honesto salario, et paternitati vestrae gratias habeat, et has nostras litteras sibi adiumento fuisse gaudeat. Paratus et cetera. Ex Arbo pridie Kalendas Septembris MCCCCLVI. 249.(260) Maffeo Vallaresso a Luca, arcidiacono di Zara Arbe, 4 settembre 1456 Essendo defunto Antonio, presbitero confessore delle monache di Santa Maria e di Santa Caterina, Luca provveda a che le monache individuino un nuovo confessore, il quale sarà poi confermato nell’incarico da M. V. /262/ Ad eundem. Cum per obitum venerabilis olim presbyteri An[tonii] canonici Hyadrensis, dilectae in Christo filiae moniales Sanctae Mariae et Sanctae Caterinae suo devo­to confessore privatae ac destitutae in praesentiarum noscantur, de quo per lit­teras vestras nihil hactenus memorare videmini, nos tamen quibus ex debito officii maior cura vigilandi super ovibus nostris impendet /263/, provisionem huiusmodi ita nunc volumus fiendam, ut nostro nomine ipsis monialibus dicatis ut quem potius velint ex dilectis canonicis seu aliis presbyteris nostris in confes­sorem idoneum et convenientem devotioni ac votis earum sanctis etaa et add. mg. benepla­centibus Deo eligere possint. Quem nobis per litteras vestras significantes ac declarantes, considerata eius integritate ac sufficientia Deo inspirante confirma­bimus. Sed ne interim animae praefatarum aliquam iacturam patiantur vos earum curam tam in confessionibus quam comunionibus habeatis, donec ab eis alius quipiam electus et per nos confirmatus fuerit. Valete. Ex Arbo die IIII Septembris MCCCCLVI. 250.(119) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Arbe, 24 settembre [1456] Essendo morto il vescovo di Sebenico, M. V. chiede a Pietro Barbo di considerare quale successore alla diocesi resasi vacante il fratello Giacomo; ovvero, se ciò non fosse possibile, di conferire a Giacomo i benefici che il vescovo deceduto aveva a Padova, ossia quei benefici che potrà ottenere colui a cui sarà affidata la diocesi vacante (Jelic, 62-63). /98/ Reverendissimo domino meo domino P[etro] cardinali Sancti Marci. Recentissimo nuntio significatum est mihi reverendum patrem domi­num episcopum Sibenicensem in castris Ungarorum ex aura vitali decessisse, cuius mortem pro antiquo amore satis dolui. Cum autem ea nunc vacet eccle­sia, statui ad reverendissimam dominationem vestram, quod est meum sin­gulare confugium, per hunc specialem nuntium scribere, humiliter supplicans ut eadem dominatio vestra, si non est ab aliis in hoc negotio (quod minime credo) praeoccupata, in collatione praefatae vacantis ecclesiae meminisse dignetur domini Ia[cobi] germani mei, ut eam, mediante /99/ firmissimo favore eodem d[ominationis] v[estrae] r[everendissimae], obtineat. Quod si fieri nequit, saltem illa beneficia, quae praefatus episcopus habebat Paduae, vel illa quae habuerit quippiam alius cui eadem vacans ecclesia conferretur, antedictus dominus Ia[cobus] habeat, ut possit citius in curiam regredi et eidem reverendae dominationi vestrae commodius et decentius deservire, ut optat. Verum si, et cetera. Valeat dominatio vestra reverendissima, et cetera. Ex Arbo, die XXIIII Septembris. 251.(122) Maffeo Vallaresso a Donato Belloria Zara, 15 novembre [1456] Donato Belloria è in debito con M. V., eppure, da quando è partito per l’Italia, ha scritto solo di rado; secondo alcuni, sarebbe a servizio del vescovo di Padova; eppure aveva promesso che, conse­guito il titolo dottorale, sarebbe tornato a Zara; M. V. gli aveva creduto, né vuole ora rinfacciargli i debiti che ha con lui contratto, piuttosto vorrebbe rinsaldare il vincolo che a lui lo lega; la fedeltà va sempre osservata, persino con gli infedeli (perciò tanto famoso è l’esempio di Attilio Regolo); se Donato non tornerà rapidamente, su di lui graverà un giudizio di tradimento; M. V. ha sempre agito in favore di Donato, con i fatti, e non con le parole, tanto che pochi mesi prima Donato è stato nominato canonico zaratino. /100/ Venerabili domino Donato Belloria decretorum doctori.aa Bona epistola efficax et elegantissima mg. [1] Non ab re fit quod ad me, cui post genitorem tuum maxime omnium pietatem debes, nedum officium omne, ex /101/ quo te in Italiam recepisti, tam raro scripseris, ut, nisi elapso semestri tempore, vix tandem calamum arripias, cum nemo sit qui litteras tuas vel potius te ipsum libentius expectet quam ego, qui non solum tui exornandi, verum etiam omni honore ac dignitate afficiendi curam et studium continuum suscepi. [2] Sed quod passim divulgatur hic quod reverendissimo domino epi­scopo Paduano inservias, quamquam ego modo nullo adduci possum ut id credam, haec tamen fama permolesta est tuaeque fidei non digna. Cur enim non credam, cum tu, homo non levis aut ingratus, tantis meis praeditus beneficiis, tantis honoribus ac muneribus donatus, ut firmioris et solidioris in posterum dignitatis apud me tibi locus foret, mutuata a me non mediocri pecunia, acceptis etiam donis et adminiculis praedignis, iactis novis conditio­nibus ac pactis amplioribus, serviendi fide firmata, summo amore, maxima concordia, tua sponte libere te reversurum et gratiam tui servitii redditurum spoponderis ac potius pollicitus fueris? [3] Nunc autem me spreto, quod ad alium transisse dicaris, credere fas non est. Licet enim quae bona fecerim aliis commemorare nunquam consueverim, quasi exprobrare velim beneficii obli­vionem, sed potius ut amorem intermissum reintegrem, ea superius a me commemorata quaeso non aegre feras. Cum permulta ingerere adhuc pos­sem, quae tibi forsan erubescentiam, mihi vero laudem /102/ parerent, quae tibi repensanda relinquo. Id solum dicere non pigebit: quicquid humanitatis, quicquid beneficii, quicquid honoris adeptus es in domo mea, me non pae­nitere, quin potius laetum esse lucris et commodis tuis, quae quanta et qualia fuerint, ipse nosti, qui alias gratissimus esse consuevisti. [4] Tua tamen tam sera reversio pro multis nostrorum est suspiciosa, mihi vero soli promissa tua firma ac perpetua, quippe quia ex corde tuo tuum cor inspicio ac diudico. Nam qua quisque fide in alios est, eandem ipse ab aliis expectat. Cum igitur queri possis in nullo tibi fidem meam defecisse, debes et tu similiter esse fidelis, quia fundamentum iustitiae est fides, idest dictorum conventorumque constantia et veritas. Quanquam etiam, ut aliqui autumant, infideli fides non sit servanda, Reguli tamen idcirco laus est per­petua, quod fidem servaverit Carthaginensibus et quidem hostibus infidelis­simis senatus populique Romani. [5] Tu autem, mi Donate, fili in Christo carissime, non immemor meae ergaaa erga] erge ms. te summae caritatis ac benivolentiae, tua virtute fideique con­stantia obtrectantium perversitatem evincas et linguas maledicas obmutesce­re facias. Alioquin maxima me iniuria affectum abs te arbitrarer, si meo lacte (ut ita loquar) educatus, mea cura fotus, meis facultatibus ornatus, meis favoribus et commendationibus ubique protectus, meis armis, meis admini­culis et suffragiis adiutus, ad fastigium doc/103/toratus tanta cura, tantis praeparationibus et impensis erectus, sic tandem absque nulla causa a prima­rio duce deficias et ad castra exterorum te conferas. [6] Quod procul abesse debet a fide et gravitate tua, nisi volueris ad tempus aliquot dierum alicui vicario inservire pro quo vices geras in eo officio. Quod esset tolerandum, sed omnino calces mihi dare intolerandum. Haec hactenus. Illud iam te rescisse puto, ut intelligas me non tantum verbis, quantum factis tua emo­lumenta, tua commoda, tuum honorem curare: superioribus mensibus, meo studio interveniente, te per capitulum Hyadrense electum esse in canonica­tum ecclesiae meae, loco presbyteri olim Ant[onii]. Spero etiam Deo favente votis meis et te exequente officium boni viri, qualis semper fuisti, maiora tibi commoda et dignitates ampliores apud me, licet nunc in parvis agentem, non defuturas. Vale. Ex Hyadra XV Novembris. 252.(120) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 28 novembre [1456] Per intercessione del Barbo, il fratello Giacomo ha ottenuto un modesto beneficio; ma essendo fuggito come tanti curiali da Roma causa la peste, teme di perderlo, non avendo potuto esibire la bolla del beneficio entro i termini previsti; intervenga dunque il Barbo a sanare la situazione, con proroga dei termini per l’esibizione della bolla medesima (Jelic, 63). /99/ Ad eundem. [1] Ut meminisse poterit reverendissima dominatio vestra hac aestate prope elapsa, cum esset dominus Ia[cobus] Romae, obtinuit quoddam bene­ficiolum Paduae, mediante vestra intercessione. Deinde pestis Romae super­venit, ita ut ipse dominus Ia[cobus], quemadmodum et reliqui curialium, saluti suae volens consulere, curia sese ad tempus absentaverit, nec bullas praefati beneficii exhibere potuit. Nunc dubitans sibi aliquid praeiudicium imminere, quod bullas dicti beneficii infra tempus sex mensium praesentare non possit, hac solum de causa praesens nuntius istuc mittitur ad eandem reverendam dominationem vestram, [2] cui humillime supplico ut huic rei aliquo modo suppetias et auxilium ferat, faciendo sibi prorogari terminum exhibendarum bullarum ad quattuor menses, vel qua visum fuerit, alia tutiori via dummodo periculum amissionis beneficii non impendeat. Licet dictus dominus Iacob prope diem eo loci sit venturus, iamque ingressus esset iter, nisi de hoc navigio insufficienti dubitasset. Haec hactenus. Reliquum est quod me clementissimae dominationi vestraeaa dominationi vestrae om. ms1 : add. mg ms2. humiliter commendatum velim, quam feli/100/citer valere cupio. Ex Hyadra XXVIII Novembris. 253.(362) Maffeo Vallaresso a Maffeo Bon Zara, 28 novembre 1456 M. V. raccomanda a Maffeo Bon, dottore delle decretali, il suo cappellano Callisto, che a voce, raggiuntolo presso la curia, gli chiarirà i motivi del suo viaggio. /361/ Venerabili domino Mapheo Bono decretorum doctori. Confisus antiqua nostra familiaritate, non verebor vos in rebus et causis meis opportunis fraterno more exercere, tantundem laboris et multo amplius, si sit opus, subiturus pro vobis. Mitto igitur praesentem nuntium presbyterum Callistum, capellanum meum, istuc in curiam, qui causam vobis ad os referret. Ad promptiorem autem sui expeditionem, si opus habeat vestra ope atque opera, oratum vos velim ut omni consilio, favore auxilioque vestro eum prosequi studeatis, ut nihil sit impedimenti quod ei moram aliquam ad remedium afferat vestramque in me amantissimam voluntatem votive expeditione testetur. Paratus et ego ad quaeque grata et cetera. Valete. Ex Hyadra, die XXVIII Novembris 1456. 254.(121) Maffeo Vallaresso al capitolo di Pago Zara, 11 dicembre 1456 Attraverso una lettera prolissa e incompiuta, il capitolo di Pago ha notificato a M. V. di avere eletto un nuovo canonico; la procedura usata, che contrasta la dignità episcopale di M. V., è da considerarsi nulla; tuttavia, volendo usare un tratto di comprensiva umanità, M. V., di sua propria autorità, elegge al canonicato la medesima persona nominata indebitamente dal capitolo (Jelic, 63-64). /100/ Capitulo Pagensi diocesis Hyadrensis. [1] Ad litteras vestras tam prolixas,aa Ad litteras verborum inculcatione conscriptas paucis respondeo mg. scriptas et in tergo nec dum finitas, sic est brevi respondendum. Inculcatione verborum nobis minime satisfac­tum videri, adeo ut, si verborum argumentis, quod longe abesse debet, a dignitate nostra contendere vellemus, nihil esset in ipsis litteris vestris quod vel confutationem vel oppositionem non acciperet. Ad ea tamen quae clare constant vos errasse, non potest non videri. [2] Primum illud est secundum iuris dispositionem, non sufficit citandos in domibus propriis, ut asseritis citare, sed praesentialiter ubi reperiuntur, consignando sibi terminum conve­nientem veniendi ad capitulum, qui maxime non fuerit extra diocesim. Nec illud obstare debuisset quod, et cetera. Quare a priori sententia nostra ani­mum non deflectentes, eiusmodi electionem vestram inanem ac prorsus nul­lam reputamus. [3] Verum, ut ad humaniorem partem declinemus, et maxi­me ut caritati vestrae complaceamus, quod potissimum bonam relationem de ipso novo per vos electo canonico nobis feceritis, auctoritate ordinaria ipsum in canonicum eligimus ac instituimus mandantes vobis, ut eum in capitulum recipiatis, dantes ei stallum in choro et cetera, prout moris est vestri. Bene valete omnes. Datum Hyadrae die XI Decembris MCCCCLVI. 255.(123) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 11 gennaio 1457 Pur non essendoci novità da comunicare al patrono, i cui uffici a favore di M. V. sono non solo perfetti, ma compiuti e realizzati in grande abbondanza (perciò M. V. spera, anche in piccola misura, di gratificare il patrono per ciò che ha ricevuto: in caso contrario la sua vita sarà triste). M. V. scrive perché il fratello Giacomo è in partenza per Roma; il Barbo è oberato di impegni, e tuttavia M. V. conta che le sue preghiere giungano all’animo di lui, sempre pronto a sostenere fatiche in favore degli uomini; valgano tali preghiere a raccomandare Giacomo, che in grazia del Barbo ha ricevuto il sud­diaconato apostolico; il Barbo lo aiuti e diriga nell’impiego di cui è ancora inesperto (Jelic, 64). /103/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Etsi nihil hic gestum sit novi aut rumore perlatum quod scribam dignum cognitione vestra, neque in meis negotiis quippiam habeam quod agam cum reverenda dominatione vestra, litteris absens, cum vestra in me officia non solum invitiata,aa invitiata] inviciata ms. verum etiam cumulatissime impensa atque etiam expleta con­stent – ut nisi ego tantundem effecero, quod oblectet reverendissimam domina­tionem vestram, quantum ab eadem, quod mihi prosit, effectum est, vitam omnem prorsus acerbam mihi putem –, tamen /104/ cum dominus Ia[cobus] frater meus ad curiam esset reversurus, militaturus sub umbra saluberrima firmis­simi patrocinii vestri, non minus sponte sua quam exemplo mei, hinc ad clemen­tissimam dominationem vestram scribendae occasionis materiam sumpsi. [2] Licet enim certo sciam vestram dominationem quanta est eiusdem humanitas, non me solum qui nunc veteranus (ut ita loquar) et antiquus servitor ipsius habeor, sed meos omnes commendatos habere, ut ineundae gratiae nova­rum commendationum opus non sit, quia tamen dominatio vestra reverenda gravibus curis apostolicae rei distrahitur, ita ut familiaribus negotiis vix satisfacere possit, nisi saepius ac saepius requiratur vel potius obtundetur, modeste verecun­deque quoad possim, rogatum velim eandam reverendam dominationem vestram ut ad ingenium vestrum, pium atque benignum et promptum omnem subire laborem pro conservandis iuvandisque hominibus, preces accedant meae, [3] quae supradictum dominum Ia[cobum] commendatum vobis iterum atque iterum reddant, ut cui per clementiam vestram fautor fuistis in assequendo munere subdiaconatus apostolici, eidem in sustinendo atque exornando eo gradu adiutor et gubernator fieri dignemini. Nihil enim mihi optatius est quam ipsius fratris exaltandi principium aliquid, qui, etsi virtute polleat, quod novus curialis est, principio tyrocinii sui difficilem ascensum habebit, nisi adiuvetur favore eiusdem dominationis vestrae, cuius gratiae et meam parvitatem cupientissime ac devotissime dedo atque commendo. Hyadrae XI Ianuarii MCCCCLVI. 256.(124) Maffeo Vallaresso al cardinal Bessarione Zara, 11 gennaio [1457] M. V. raccomanda a Bessarione il fratello Giacomo, che dal cardinale ha ricevuto tanti benefici, così come l’intera famiglia Vallaresso. /105/ Reverendissimo domino domino B[essarioni] cardinali Niceno. Ex magna fit humanitate quod reverendissima dominatio vestra se faci­lem ac benignam cuilibet se petenti exhibeat. Cum igitur dominus Ia[cobus] frater meus ac sublimitatis vestrae servitor perbenigne se a vobis continue ius­sum et liberalissimis oblationibus vestris affectum praedicet, non solum ipse in quem tanta humanitas vestra resplendet, sed omnis Vallaressorum familia immortalium gratiarum sese debitricem vobis protestatur, et cetera. Valeat felix dominatio vestra reverendissima, cui etiam me ipsum obnixe commendo. Datum Hyadrae XI Ianuarii. 257.(125) Maffeo Vallaresso a Isidoro di Kiev Zara, 11 gennaio [1457] M. V. raccomanda il fratello Giacomo a Isidoro di Kiev (edita da Hofmann 1952, 151-152, lavoro cit. a proposito della epistola n° 139, allo stesso Isidoro di Kiev; è data da Hofmann al 1456, senza valutare lo stile veneto). /105/ Reverendissimo domino domino Isi[doro] cardinali Rutheno.aa commendatiae mg. Singularis humanitas quae in reverendissima dominatione vestra scita praedicaturbb praedicantur ms1 : corr. ms2. plane me inducit ut dominum Ia[cobum] fratrem meum eidem saepius commendare non verear. Cum enim eum unice diligam omnis mea cura in eo decorando consistit. Quare humiliter supplico eidem dominatio­ni vestrae ut huic meo honestissimo desiderio ferat opem ac praefatum fratrem cordi habere dignetur, ut, quemadmodum humaniter se visum hactenus a reverenda dominatione vestra testatur, sic in assecutione benefi­ciorum vestro favore optimo adiutum sese praedicet. Paratus ego ad man­data et cetera. Hyadrae XI Ianuarii. 258.(126) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 21 gennaio [1457] Si dice di una possibile venuta del Barbo a Venezia: se di ciò fosse sicuro, senza badare ai pericoli della navigazione invernale, M. V. raggiungerebbe Venezia, come aveva fatto l’anno precedente (ma invano, perché non vi aveva incontrato il Barbo); tuttavia, per non sembrar trascurare la notizia insistente, invia tre barili di pesci in savor al patrono (per analoghi doni cfr. ad es. ep. n° 7, 9, ecc.); questi non deve badare al modesto omaggio, ma all’animo grato di colui che lo invia. /105/ domino meo domino P[etro] cardinali Sancti Marci. [1] Ferebatur hic per hos dies (incertis tamen nuntiis) reverendissimam dominationem vestram Venetias venturum. Quod mihi si aliquando consti­tisset, /106/ spretis ponti periculis, posthabita omni navigationis molestia, quae cum omni tempore tum potissimum hiemis tempestate gravissima omnibus est, eo loci vobis obviam mediusfidius, iure obligationum, venirem, quemadmodum anno superiore (sed in cassum) fecisse me memini. [2] Verum ne videar populi famam omnino negligere et quasi dissimulando adventum reverendissimae dominationis vestrae aliqua ex parte non credere, quantula mea facultas est desiderium et studium officii gerendi gratiaeque reddeundae collegi summulam piscium, sed non quantum cuperem propter hiemis asperitatem solito maiorem, quos gelatinaaa gelatinae piscium mg. conditos tribus barilibus vestrae sublimitati mitto, eidem humiliter supplicans, ut non ad rei parvita­tem sed ad animum gratissimum et laetissimum mittentis attendat. [3] Deus bone quantum esset gaudium meum videre faciem desideratam eiusdem revrendae dominationis vestrae, quod cum per hoc tempus mihi negetur, patiar hanc solitudinem invitus. Interim autem et mei ipsius et rerum mea­rum omnium curam clementissimae dominationi vestrae committo, quam feliciter valere peropto. Ex Hyadra XXI Ianuarii. 259.(127) Maffeo Vallaresso a Pietro Foscari Zara, 7 marzo [1457] Il priore del monastero di San Cosma e Damiano, con i suoi monaci, si è presentato a M. V. lamentando il comportamento del presbitero Francesco, cui il monastero è locato; Pietro Foscari intervenga a favore del priore e dei monaci; verifichi che il monastero sia stato locato per un periodo di unidici anni; provveda a restaurare la chiesa, e a munirla di necessari paramenti. /106/ Reverendo domino P[etro] Foscari prothonotario et primicerio Sancti Marci.bb Commendatitiae ad mandatorum suorum instantiam mg. [1] Ex officio curae pastoralis nobis, licet immeritis, commisso, verum illum imitaturi pastorem qui posuit animam /107/ suam pro ovibus suis, tene­mur et colligamur subditorum nostrorum necessitatibus providere et scanda­lis obviare. Venientes itaque ad praesentiam nostram venerabilis prior et monachi monasterii Sanctorum Cosmae et Damiani, dominationi tuae com­mendati, questi sunt graviter de venerabili viro domino presbytero Fran[cisco] eiusdem abbatiae conductore, quod iura et consuetudines ac etiam conven­tiones eorum, quas cum praedecessoribus tuis inierunt, eis infringere attentat. Primo nanque, ubi debetur eis, et cetera. [2] Ea propter adhortatione nostra freti, veniunt ad dominationem tuam petituri remedia opportuna, quae ut obtineant rogamus. Accepimus etiam fidedignorum testimonio quod dictam abbatiam d[ominatio] t[ua] locaverit annis XI, quod an iure possit ipsi iudi­candum relinquimus, commendant[es] eidem ecclesiam illam quae non solum reparatione, verum etiam paramentis et pallis indigere noscitur. Uberius quam statueramus scripsimus et forsan verbosius quam par erat, quod tamen amori ascribas. Vale ex Hyadra VII Martii. 260.(152) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 15 marzo [1457] M. V. informa Andrea Conti dell’ostilità con cui Jacopo Bragadin tratta il capitolo della chiesa zaratina in occasione della benedizione (se è corretto lo scioglimento della parola nel testo) di un altare eretto nella chiesa cattedrale, laddove sorgeva una chiesa dedicata a San Pietro, demolita per ordine di papa Nicolò V. /125/ Venerando domino Andreae de Comitibus. Cui melius commendem causam ecclesiae meae quam tibi, quem loco fratris habeo, immo alterum me existimo, profecto non video. Cum itaque dominus Ia[cobus] Brag[adenus] det operam turbare ac molestare capitulum meum occasione cuiusdam frivolae impr[ec]ationisaa impr[ec]ationis : imp.ationis ms. unius altaris erecti in dicta cathedrali ecclesia mea, loco unius ecclesiae Sancti Petri demolitae olim iussu ac voluntate felicis recordationis N[icolai] papae V ut melius, et cetera. Vale et me ut consuevisti mutuo dilige. Datum Hyadrae die XV Martii MCCCCLVII. 261.(128) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 28 marzo [1457] Una lettera di Paolo Barbo rende edotto M. V. che il vescovo di Nona si è di lui lamentato; M. V. ne ha sempre sopportato l’arroganza, ma non può tollerare che quello, per tramite di menzo­gne, lo discrediti agli occhi di Paolo. /107/ Magnifico domino Paulo Barbo equiti. Ex litteris magnificentiae tuae pauloante acceptis video questum fuisse apud te dominum episcopum Nonensem et de minima scintilla foculum suscitasse. Longe tamen abesse deberet ab eo viro tanta levitas ut in consuen­dis mendaciis nullam servaverit mediocritatem. Non sufficit ei iurisdictionem meam vel opprimere continue /108/ vel dilacerare, quod ego semper ob reve­rentiam reverendissimi domini mei domini cardinalis aequanimiter tuli feramque in futurum, nisi etiam iniustis querelis in odium apud te me ducere conatus sit, et cetera. Vale. Hyadrae XXVIII Martii. 262.(129) Maffeo Vallaresso a Giacomo Turloni Zara, 1 aprile 1457 M. V. raccomanda a Giacomo Turloni, vescovo di Traù, Pellegrino arcidiacono di Nona, il quale è uomo probo e modesto, ma anche dottissimo e di ottima famiglia (Jelic, 64-65). Reverendo patri domino Ia[cobo] episcopo Traguriensi. Quia tua in me benivolentia obscura non est, nec mea in dominatio­nem tuam observantia vulgaris,aa nec mea ~ vulgaris] Commendatitia et bona non praetermittenda mg. eo fit ut multi per litteras meas tibi commen­dari velint. Sed omnium quos unquam eidem dominationi tuae commenda­verim, hunc virum dominum Peregrinum archidiaconum Nonensem commendatissimum tibi fieri cupio, cui ob summam eius probitatem, mode­stiam singularem, litterarum peritiam generisque claritatem sic afficior, ut inter necessarios hunc carissimum habeam, cui ipse faveo et alios fauturos velim. Quare omni prece atque diligentia adhibita peto et maiorem in modum rogo ut dominatio tua sic eum benigno favore prosequatur, ut nostram ami­citiam intelligat non vulgarem esse et hanc commendationem sibi magno usui atque adiumento fuisse, istuc regressus, testetur. Vale. Ex Hyadra die prima Aprilis MCCCCLVII. 263.(261) Maffeo Vallaresso ad Alvise Bertoldo Zara, 4 aprile 1457 Poiché Donato Belloria si è rifiutato di restituire al fratello di M. V., Giacomo, 50 ducati datigli in prestito, M. V. nomina Alvise Bertoldo, insieme al padre, procuratore: non venga più frapposto indugio alla restituzione della somma. /263/ Ad dominum Aloisium Bertoldum. Eximie doctor et cetera. Mutuo confisus amore nostro antiqua pro­pinquitate fundato parum laboris iniungere vobis non verebor. Cum alias domino Donato Belloria de Saravallo commodaverim ducatos 50 auri et nuper eunti domino Ia[cobo] germano Venetias iniunxerim ut se Paduam conferens antedictam pecuniam exigeret, praefatus dominus Donatus debi­tor, usus superfluis cavillationibus, maxime quod dominus Iacobus procura­tionem non haberet specialem eandem pecuniam exigendi, sol/264/vere neglexit. Eapropter utaa Eapropter et ms1 : Eapropter ut corr. s.l. ms2. eiusmodi tergiversationisbb tergiversationis corr. : tergiversationem ms. causa penitus amputetur, fieri feci procurationem interim in personam magnifici domini genitoris mei et vestram, ut dictam pecuniam exigatis ab eo quam primum et exactam eidem domino genitori meo Venetiis transmittatis.Verum si praelibatus debitor et cetera. Ex Hyadra, die IIII Aprilis MCCCCLVII. 264.(262) Maffeo Vallaresso a Giovanni Frangipane Zara, 27 aprile [1457] Giovanni Frangipane, conte di Veglia, ha scritto a M. V. per ottenere un parere in merito a quanto è stato detto da un predicatore nel corso di una solenne festività [1], e cioè, anzitutto, che quanti si siano confessati a un frate minore non sono assolti; che nessuno può confessarsi a un confessore altro e diverso se non dietro assenso del proprio sacerdote; che i religiosi e i sacerdoti che abbiano avuto dal defunto vescovo il permesso di confessare, al momento, essendo vacante l’auto­rità, non hanno più tale permesso [2]; M. V., sulla base delle Clementine e dei glossatori, rispon­de partitamente a ciascuna delle citate affermazioni: i minori possono in effetti confessare, assol­vere e assegnare penitenze, purché ne abbiano avuto licenza dal clero ordinario [3]; un fedele non può confessarsi con altri che non sia il proprio sacerdote, a meno che ne abbia avuto licenza dal proprio sacerdote stesso [4], sulla cui identità i pareri tuttavia divergono, poiché secondo alcuni “proprio sacerdote” è anche colui che ha autorità delegata [5]; la licenza accordata dal defunto vescovo è tuttora valida, i minori perciò possono amministrare il sacramento della confessione [6]. /264/ Ad magnificum dominum Io[hannem] de Frangipanibus Veglae comitem. [1] Magnifice ac magnanime domine uti frater in Domino Iesu obser­vande post salutem et debitam ex more commendationem. Ex litteris vestris quas venerabilis pater vicarius fratrum Sancti Francisci nuper nobis attulit, intelleximus id quod ex nobis consultorie petitis super assertionibus quibusdam per quendam in vestrae civitatis cathedrali ecclesia inter missarum sollemnia praedicantem noviter inductis. Super quibus ad declarationem vestram pro temporis brevitate succincte respondebimus, quanvis res ipsa maiorem lucubra­tionem exigat. [2] Ut autem declarationis nostrae sententia melius intelligatur, resumendi sunt nobis articuli seuaa articuli seu corr. : articuli seri ms. capitula assertionum in litteris vestris con­tentarum et primo, qui confessi sunt fratribus minoribus absoluti non sunt. Secundo, quod nullus potest confiteri alicui alieni sine licentia proprii sacerdo­tis. Tertio, quod illi sacerdotes et fratres minores qui iam habuerint licentiam confitendi ab olim episcopo vel nunc propter vacatio/265/nem episcopi, aucto­ritatem non habent confessiones audiendi nec possunt absolvere. [3] Ad primum respondemus quod tam fratres minores quam alii men­dicantes, dummodo licentiam habuerint ab ordinariis vel eorum vices geren­tibus, audire possunt confessiones subditorum diocesis, et eis paenitentias iniungere salutares, ut in Clementinis «dudum» scilicet «statuimus» cum glo[ssa] et doc[toribus]. De sepult[uris], et cetera.1aa Salomon mg. [4] Ad secundum respondemus quod est de rigore iuris ut nemo possit confiteri alicui absque licentia propri sacerdotis, qui est parochianus, stricto modo intelligendo qui tenetur reddere rationem de anima cuiuscumque sub­diti sui et tradere ei eucharistiam et sacramenta ecclesiastica. In quorum col­latione vertitur sibi periculum, nisi quod posse sciat cui det, iuxta illud Salomonisab1 ut in Clementinis «dudum» scilicet «statuimus» cum glo[ssa] et doc[toribus]. De sepult[uris], et cetera] cfr. Clementinae, ed. Lugduni 1550, Lib. III, tit. VII, De sepulturis, cap. II («Dudum»), 103, col. 2: «In ecclesiis autem parochialibus, fratres illi nullatenus audeant vel debeant praedicare,vel proponere verbum Dei: nisi fratres praedicti, a parochialibus sacerdotibus invitati fuerint, vel vocati, et de ipsorum beneplacito et assensu, seu petita licentia fuerit et obtenta: nisi episcopus vel praelatus superior,per eosdem fratres praedicari mandaret». proverbiorum XXVIII: «diligenter agnosce vultum pecoris tuae». Unde dicunt doct[ores] quod non sufficit confiteri cuilibet sacerdoti, sed opus confiteri proprio sacerdoti. Proprius autem sacerdos secundum doc[tores] intelligitur omnis ille sacerdos qui curam animarum ordinariam habet. Sicut papae legatus et proprius episcopus. [5] Tho[mas] pe. et ceteri theologi addunt etiam illum qui habet iurisdictionem delegatam, sicut est ille, cui aliquis praedictorum /266/ committit auctoritatem confessiones audiendi et absolvendi ac paenitentias iniungendi. Concordat etiam Hosti[ensis] sub § Patriarcha, versiculo Breviter in fi[ne], ubi ponit tres pro­prios et immediatos cuiuslibet hominis sacerdotes scilicet praepositum dioce­sanum et proprium sacerdotem parochianum vel quibus ipsi indulgent spe­cialem licentiam etiam sine litteris, ut puta religiosis. Nec tenetur subditus iterum petere licentiam a proprio sacerdote, quanvis Ber. in quadam glossa super c[apitulo] Omnis, De paenitentia et remissione tenent quod sic. [6] Ad tertium dicimus quod vacatio episcopi non tollit auctoritatem et licentiam sacerdotibus et fratribus minoribus qui eam ab episcopo vestro semel habuerunt et post ipsius recessum a capitulo et vicario in cuius manibus manet ea facultas maxime propter pericula animarum imminentia. Iidem sacerdotes et fra­tres minores sunt permissi et tollerati dummodo nemo ex capitulo se opposuerit, cum ipsi non in occulto sed palam confessiones audierint in ecclesia vestra cathe­drali. Potest etiam responderi quod episcopus vester aut est translatus et confirma­tus per sedem apostolicam aut non est confirmatus. Si est confirmatus stat privile­gium pro fratribus, si non est confirmatus licentia semel concessa valet. Et cetera. Hyadrae XXVII Aprilis. 265.(130) Maffeo Vallaresso a Leonardo Dati Zara, 12 maggio 1457 M. V. sa che il Barbo soffre di gravi dolori a una gamba, e perciò non riceve né legge la corrispon­denza; scrive dunque a Leonardo Dati, che è tra i più cari familiari del cardinale, e che fra i pochissimi che lo possono visitare. /108/ Ad dominum Leonardum Dathi Florentinum. Antiquo fretus amore mutuo, tuum officium mihi hoc tempore impar­tiri expecto, ut, quoniam reverendissimus dominus meus patitur (ut aiunt) dolorem cruris, credo raros admittat /109/ ad audientiam, nisi sint admodum domestici, qualis es tu, nec litteras cuiuspiam prae doloris molestia legit et cetera. Vale et me semper tuis beneplacitis paratum tene. Ex Hyadra die XII mensis Maii MCCCCLVII. 266.(363) Maffeo Vallaresso ad Antonio Fatati Zara, 14 maggio 1457 M. V. scrive ad Antonio Fatati, vescovo di Teramo, per raccomandargli un giovane, Girolamo da Teramo, modesto e di grande cultura letteraria, il quale torna a Teramo per fare visita ai suoi; è fra i familiari prediletti di M. V. [1], e aspira a divenire sacerdote, cosa di cui è degnissimo; perciò prega anche il vescovo Antonio di concedergliene la licenza [2]. /362/ Ad revendum patrem dominum A[ntonium] episcopum Teramensem. [1] Etsi non dubitem paternitatem vestram hominibus virtutum gloria pollentibusaa Etsi non dubitem paternitatem vestram hominibus virtutum gloria pollentibus] Bona est epistula et commendaticia mg. omni tempore favere consuevisse, cum tamen istuc veniat littera­tissimus ac modestissimus iuvenis Hieronymus Teramensis, suorum gratia revisendorum, qui homo est frugi, verecundiae singularis, artium, quas liberales vocant, apprime eruditus, mihique inter omnes familiares gratissimus, ad offi­cium spectare censui ut eum dominationi vestrae commendem. In quo quidem commendando verba mihi profecto deficiunt. Quicquid enim dicerem, minus esset quam quidem merita virtutum eius exigunt. [2] Nam ita digne ac laudabiliter in hac civitate se gessit, ut cuiuscun­que ordinis hominum maximum amorem et gratiam sibi conciliaverit. Quare oratam velim eandem paternitatem vestram, ut ad affectum dilectionis quam huiusmodi viris non immerito debetis, accedat et commendatio mea, ut hunc vestrum in Christo filium et meum familiarem pergratum commendatum habere et humaniter tractare dignemini, sic ut, regressus huc ad nos, has lit­teras meas magno sibi usui et adiumento fuisse testetur. Et quia cupit hic promoveri ad sacros ordines, quibus est dignus ob virtutes suas, necesse est ei licentiae vestraeaa licentiam vestram ms1 : corr. ms2. litteras habere, quas velim ad mei con/363/templationem ei concedatis. Paratus et ego ad beneplacita eiusdem vestrae reverendissimae dominationis, quam feliciter valere desidero. Datum Hyadrae, die XIIII Maii MCCCCLVII. 267.(131) Maffeo Vallaresso a Giacomo Turloni Zara, 15 maggio 1457 M. V. rinnova le sue raccomandazioni a favore di un chierico di Zara, Martino (Jelic, 65). /109/ Reverendo patri domino Ia[cobo] episcopo Traguriensi.bb commendatitiae mg. Etsi non dubitem quin apud vestram potestatem mea pro Martino clerico Hyadrensi praesentium latore prima commendatio satis ponderis vestra humanitate sortita fuerit, ut nova confirmatione non sit opus, cum tamen mei moris semper fuerit, ut omnibus quoad possem, tum ope, tum opera nedum oratione, quod parvi constat, prodessem, et cetera. Vale. Datum Hyadrae XV Maii MCCCCLVII. 268.(263) Maffeo Vallaresso ad Antonio di Pago Zara, 27 giugno 1457 M. V. ringrazia Antonio di Pago, suffraganeo della diocesi di Ossero (cfr. ep. n° 10 e n° 84) da cui ha ricevuto 20 grossi esborsati da Simone di Fano; ma vi sono ulteriori crediti più difficili da esigere; il fratello Giovanni ha richiesto a un certo Blasio di procurare due astori; se questi se ne è dimenticato, Antonio gliene faccia memoria. /267/ Reverendo domino Antonio episcopo Auserensi suffraganeo. Ex diligentia vestra partem debiti aeris quod numeravit nobis Sy[mon] de Fan[o] ducat[orum] s[scilicet] XX grossorum V[enetorum] accepimus. Quae quidem pecunia, ut scribitis, ponetur ad computum presbyteri Geor[gii]. In reliqua exigenda, tam ab eo quam a Petro opus est impensiore cura. Extrema nam rerum difficiliora. Sed vestra paternitas ubicumque vires intenderit, proficit. Germanus noster dominus Io[hannes] alias committit Blasio duosaa Blasio dis duos ms. astures comparandos, qui libenter, ut est proprium comitatis suae, onus eiusmodi suscepit exequendum. Tamen si forte aliis occupatus negotiis, huius rei oblitus fuerit, vestra paternitas eum honeste stimulet ut meminerit neque impense parcat. Valete in Domino. Ex Hyadra, die XXVII Iunii MCCCCLVII. 269.(132) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 28 giugno 1457 M. V. raccomanda a Lorenzo Zane, vescovo di Spalato, il chierico Martino: possa egli ottenere prontamente ciò che domanda secondo equità e giustizia, e possa intendere che, grazie all’umanità di Lorenzo, non è stata vana la speranza nutrita nella presente lettera (Jelic, 65). /109/ Ad reverendum dominum Lau[rentium] archiepiscopum Spalatensem.bb commendatitiae mg. Vendicavi hanc mihi libertatem in dominationem tuam, ut ad eam domestice familialiterque et quasi pro meo iure scriberem, siquid esset, quod me cupere significarem. Cum itaque M[artinus] clericus, et cetera. Sed quia magnam spem in litteris meis constituit, quas non dubitat aliquid ponderis apud te habituras, ea propter commendatum eum tuae dominationi cupio, sicut dignitas tua et pudor meus postulat, ut et facilem additum et quae aeque ac iure quesierit, firmiter optineat, sentiatque inanem spem in litteris meis tua magna humanitate non habuisse. Paratus et ego et cetera. Datum Hyadrae die XXVIII Iunii MCCCCLVII. 270.(157) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 1 agosto 1457 M. V. è addolorato per il tono usato da Lorenzo in una epistola precedente (una lettera che non sembra essere stata conservata nel ms., ma che probabilmente è quella a cui nella successiva lettera n° 273 lo stesso Lorenzo allude), un tono non conveniente alla dignità di lui [1]; se è giusto che Lorenzo abbia a cuore i propri familiari, non per questo può tanto alterarsi per qualsiasi piccola questione [2]; se avesse ben ponderato il caso di Tommaso, avrebbe compreso che M. V. ha agito solo a salvaguardia della propria stessa Chiesa [3]: nella quale nessun chierico non residente ha mai goduto della mansionaria, beneficio che implica appunto la residenza continuativa; Tommaso era stato oralmente avvertito, seppure solo oralmente e non tramite lettera; provveda Lorenzo a sanare il danno che ha subito il suo vicario, se di danno si può parlare [4]; il chierico Martino, che M. V. aveva raccomandato a Lorenzo, diversamente da quanto sostenuto da Lorenzo, dice di non aver ricevuto alcun speciale favore, al contrario [5] (Jelic, 74-75). /133/ Responsiva epistola ad superiorem.aa Bona epistola et gravitate plena mg. [1] Non mediocri dolore affectus sum litteris reverendissimae dominatio­nis vestrae nuper mihi redditis a domino Thoma, quales nec vos mihi debebatis, consideratione amplitudinis, dignitatis, gravitatis vestrae, nec ego sperabam, fre­tus mea in dominationem vestram singulari observantia et magno amore, multis argumentis et officiis confirmato, cum nihil unquam magis alienum a me fuerit, quam de me benemeritos iniuriis lacessere et nihil vobis convenientius quam amantissimos vestri debita humanitate complecti. [2] Verum si vobis cordi est iura vestrorum tueri ac defendere, quod ego quoque approbo, non debetis tamen in levissima cuiuspiam vestri causa tam acriter moveri ac ita excandescere ut mihi, homini observantissimo, dominatio vestra bellum in curia Romana indiceretis. Faciat reverenda dominatio vestra pro iure arbitrii sui, quic/134/quid inciderit in mentem. Ego interim nec arcem instruam, nec propugnacula navaliaque parabo, quibus adventantem hostem intrepidus excipiam, sed cum omni deditione et contentione officii et amoris vobis perinde ac patri meo in Christo et domino ubicunque fuerit opus cedam. [3] Spero autem eandem dominationem vestram non facturam tantum quantum minari videtur, ut conservet scripturam dicen­tem: «cum iratus fueris misericordiae recordaberis».1aa Responsio ad obiecta mg. Memineritque dominatio vestra multos Catonem in iudicium vocasse, neminem condemnasse. Sed si dominatio vestra veram ac debitam informationem illius causae domini prae­sbyteri Thomae habuisset, aequo animo ferret quod a me factum est, non quidem in damnum dedecusque, ut scribitis, vel rerum vel ipsius domini Thomae, sed pro necessitate ecclesiae meae quae mihi luminibus ipsis carior esse debet. [4] Queritur igitur dominatio vestra, moleste fert, minatur quod quadam mansionaria (sic enim appellatur) eundem dominum Thomam vicarium vestrum privaverim, non monitum, ut dicitis, et cetera.ab1 cum iratus fueris misericordiae recordaberis] cfr. Biblia sacra iuxta Vulg., Habacuc III 2. Ad quod ego breviter respondeo, ut aliqua ex parte dolor, siquis est, leniatur. Nam ut missa faciam statuta, constitutiones consuetudinesque huius ecclesiae, quae sunt prorsus contraria petitioni domini Thomae, ut praeteream etiam iura vulgatissima de clericis non residentibus cum glo. et doc., hoc solum pro declaratione sat erit, illud beneficiolum non esse beneficium perpetuum /135/ tituli et dignitatis, quippe quod confertur in stipendium illis duntaxat, qui nocteque dieque divi­nis ecclesiae huius officiis intersunt, ut merito appelletur ‘mansionaria’ a manendo continue in residentia. Et sciat dominatio vestra quod nullus unquam mansionarius ecclesiae praefatae privata aliqua honesta vel utili absens causa habere huiusmodi stipendium consuevit, minime omnium deservire per substi­tutum. Nec inficiari potest dominus Thomas se monitum non fuisse, licet monitio huiusmodi fieri non consuevit sed monitus fuit, non quidem litteris, sed vivae vocis meae oraculo, tum Venetiis tum Hyadrae. Nec unquam, salva insinuantis reverentia, quis Hyadrae consuevit ordinari ad titulos beneficiorum, sed patrimonii esset praeterea omnino contra ius et honestatem, ut ex incom­modis et iacturis ecclesiae meae hic vester ac noster benemeritus lucrum sibi paret, quanquam lucrum hoc parvi sit faciendum. Et dominatio vestra, quae per Christi gratiam bonis cum naturae tum fortunae locupletissima florentissi­maque habetur, hoc damnum, si damnum est, facile si velit reficere queat. [5] Quod autem eadem dominatio vestra commemorat Martini clerici Hyadrensis, quem litteris meis dominatio vestra in omni iusta honestaque peti­tione commendatum feci, causam suscepisse tanquam si causa vestra esset, habeo eidem gratias immortales, quanquam is Martinus nihil a vobis factum dicat in causa /136/ sua, ex animi sui sententia, quin potius queratur se admo­dum gravatum, quod minis vestris renuntiaverit quoddam benefiolum acceptatum vigore gratiae suae. Forsan aliquid occultius est, quod mei contem­platione secum benigne gratioseque egeritis, quod ego minime intelligo et ipse dicere nescit. Quod mea interfuit hic noster dominus Thomas illico ad vota expeditus est. Si quid aliud est in me quod cedat ad usum atque decus tam vestri quam vestrorum quorumcunque, spondeo meam curam nunquam defu­turam, quamdiu non expleam vota eiusdem vestrae reverendissimae domina­tionis, quam bene valere cupio. Ex Hyadra Kalendis Augusti 1457. 271.(364) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 6 agosto 1457 Biglietto di cortesia al cardinale Pietro Barbo. /363/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Reverendissime domine et dux vitae nostrae. Non sit molestum subli­mitati vestrae inter tot occupationum varietates agenti litteras huius fidelissi­mi servitoris vestri legere, quas rariores idcirco esse volo, ne animum reveren­dissimae dominationis vestrae aliis curis defatigatum importunitate quadam obtundant. Nusquam enim suavis memoria nominis vestri mihi a praecordiis evellitur. Nunquam pro vestris in me maximis beneficiis laus ab ore meo cadit nec puto ad officium pertinere haec eadem saepius memorare, nisi forte scribendi opporunitatis causa. Cum nihil aliud scribendi habeam et cetera. Datum Hyadrae, die VI Augusti MCCCCLVII. 272.(365) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 6 agosto 1457 M. V. auspica che una bolla la quale dev’essere attuata (expedienda) a favore della sua diocesi, sia affidata all’ufficio cui è preposto il destinatario, Andrea Conti; M. V. vorrebbe ricambiare i molti favori dell’amico, si duole di non poterlo fare. /363/ Ad venerandum dominum Andream de Comitibus. Non possum non habere immortales tibi gratias pro tuo in me arden­tissimo amore proque officiosissima voluntate in omnibus complacendi mihi. Nam optavi atque etiam opto per /364/ te significatum iri domino Ia[cobo] germano meo, quotiens ad officium tuum bulla aliqua pertinens ad diocesim meam expedienda devolvitur. Quod ut facias, iterum atque iterum rogo, pro­missionesque tuas, quae superant merita mea, laeto animo accipio, quibus utendis continue opus habeo. Ego vero non mediocriter doleo quod nihil efficit pro tui nominis honore, cum tamen cura et studio, si facultas esset tui ornandi, nunquam mihi deforet. Vale anime mi et humanissimam volun­tatem tuam erga me fratremque meumaa erga me fratremque meum] erga me freque meo ms. conserva ac novorum quicquid est litteris copiosius admone. Ex Hyadra, die VI Augusti MCCCCLVII. 273.(156) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Spalato, 14 settembre 1457 Come si apprende dalla ep. n° 270, Maffeo ha revocato a Tommaso, vicario di Lorenzo Zane, una mansionaria di cui prima quello godeva. È perciò che Lorenzo Zane scrive a M. V. l’epistola seguente, la cui prolissità (congiunta a un periodare spesso involuto e poco chiaro) è funzionale a difendere Tommaso con tatto e diplomazia. Tommaso nutre massima fiducia in M. V., conside­rato giudice prudentissimo, e vuole dunque rimettersi al suo giudizio; M. V. sappia che Lorenzo ha prima di tutto a cuore l’amicizia; gli ha precedentemente scritto una lettera troppo animosa, ma lo ha fatto perché costretto. Peraltro da quella lettera si evince il grande affetto che egli nutre per M. V. Questi, provvedendo al bene di Tommaso, provvederà anche al suo onore; e se così farà, la loro amicizia non sarà mai più incrinata (Jelic, 72-74). /129/ Laurentius archiepiscopus Spalatensis M[apheo] archiepiscopo Hyadrensi. [1] Facit viri optimi domini Thomae consilium, ut in tuarum littera­rum ab eo mihi redditarum responsionem paucioribus contentus sim,aa Facit viri optimi domini Thomae consilium ~ contentus sim] Responsio huius epistolae habetur in medietate quam vide omnino, quia digna et elegans est mg. quam fortassis expostulet hac in parte vel dignitas rei, vel expectatio vestra, vel voluntas mea, quando quidem ipse prudentis ac optimi viri officio motus, bello pacem anteponit plurisque facit a praesule nobilissimo vinci quam invi­to eo victoriam triumphumque reportare. Sunt quidem a nobis ei non modo agendae amplissimis verbis gratiae, verum etiam /130/ purissimo corde haben­dae, quippe qui et me summo ac molestissimo levavit onere et causam suam tuae fidei mandat, tibi committit, te unum omnium integerrimum constituit iudicem prudentissimumque, nullo alio quidem vel fautore vel procuratore usus, quam hoc uno aequitatis ac iustitiae splendoris. [2] Quid enim oppor­tet in te perlucida perscrutatione uti? Et quod clarum est, id omne curare obumbraculis, tenebrosum reddere? Intellexit profecto prudentia tua vel, ut rectius loquar, intelligere potuit nos nihil petere, nihil excogitare, nihil exop­tare, quod iustum sanctumque non sit. Qua in re si ulla te admiratio cepit, nolim in me huiusmodi fabam cudas, sed in te ipsum, qui, cum saepe ac saepius iuris pontificii codices non modo verteris, verum etiam memoriae mandaris, quod clarissimum est, id et obscurum esse simulas, quodque eius iuri ascriptum est, id tuum, seu nescio quibus consuetudinibus praedicas. [3] Sed haec missa faciamus, et ut de me aliquid etiam dicam. Ego quidem, quoniam a teneris usque annis ita sum instructus, ut morem gerere unicuique pro viribus meis cupiam, hoc eius arbitratu uti volo, gaudeo, lae­tor, quo praesertim accipiat dominatio tua mentem meam a bello liteque abhorrere, pacem /131/ amicosque peroptare, meque etiam malle aliqua nota mea sibi amicum praestare quam omnia quae ad iustam honestamque meam utilitatem et ornamentum attinent inquirere. Vult nanque Tullius noster nullam vitae iocunditatem esse sublatis amicis. At vero illos qui iudicium tuum forte subierint debeo miseros nimis appellare, in quos anteaquam con­demnes exaequaris. [4] Solent duodecim tabulae id iudicium nullum reddere, quod latum fuerit praeter reorum defensionem. Iccirco proximioribus litteris meis a me ipso confidentiam sumpsi, ut sententiam istam tuam quam acer­bius in insontem tulisti ego refellerem. Audacius scripsi tua pro dignitate et furentem potius me ipse vidisti quam aliquo pacto sublandientem: quo fac­tum est ut me iracundiae nomine condemnes addisque tacite crimen temeri­tatis meque tanquam amentem tabulae iudiciorum pinxisti. Sed admirari nolit dominatio tua, cum et canes humaniores non ab incognitis modo sed a dominis irritati in eos latrare soliti sint, eosdemque quandoque mordere. Noxam hanc tibi potius iniungere, qui me instigaris atque omnia perfugii loca substuleris, ubi me tuto tegere possim, nisi dentem acuerem et quasi remordendi ardorem simularem. [5] Verum tamen si litteras meas perspica­cius perpendisti, si eas intus, et ut dicitur, in cute intellexisti, dulcedi/132/nem quandam mei in te amoris summi latenter absconditamaa 156.5 latenter absconditam] latenter absconditum ms. perspicere potuisti, quae te potius ad augumentum benivolentiae quam ad aliquem indignationis vomitum excitabat teque ad omnem criminis lituram peragen­dam, si quod tabulae fuerat expressum compellebat, et me inter ulnas suavis­simi amoris tui strictius collocabat. Verba ista meo fuerunt tanto caritatis melle illinita, ut spongiam amoris iam suum officium egisse non dubitarem atque omne crimen ita delesse ut sicut oculus in Polyphemi fronte, ita ego in medio animi tui collocatus sedeam otiose. Qua de re facio coniecturam ex me, quia cum te et amem et observem mirifice, nihil est quod de te mihi spondere sperare non possim. [6] Facito igitur, praestantissime praeses, ut optimi viri domini Thomae communis et benemeriti amici et servitoris commodum et honorem tuum facias. Cum ipse non dubitet te omnia veritatis inquisitione, aequitatis mode­ratione, iustitiae confirmatione prosecuturum, et ita quidem ut nullis amicitiae cuiuspiam vinculis, nullis perturbationibus, nullis animorum excogitationibus nullisve suffragiis ab ipsa humanitate et beneficentia non modo dimoveri, sed nec cieri etiam possis, possis item merito laudari clementia magis quam severi­tate delectari. Quod si feceris erit amoris nostri clavis ita perfixus ut nulla /133/ unquam sit adversa fortuna, quae animos nostros disiungere separareque possit ac memoriam mutuam inter nos aliquo pacto abolere. Hoc te facturum Crantor philosophus persuadet, qui ut iam finem imponam epistolae, amatorium nobis in amoris armentario sine medicamine, sine herbis, sine ullius veneficae carmi­ne commonstravit. Si vis, inquit, amari ama. Vale. Ex Spalato XIIII Kalendas Septembris MCCCCVII. 274.(134) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Zara, 4 ottobre 1457 Lorenzo Zane lamenta di non aver avuto risposta a una sua precedente, la quale certamente è stata a M. V. recapitata da Giorgio Negri (Niger); il silenzio di M. V. addolora Lorenzo, che non merita né che gli sia negata risposta, né che M. V. sia di malanimo nei suoi confronti; la presente sarà consegnata dal vescovo di Scardona, il quale riferirà altro a voce (Jelic, 65-66). /110/ Laurentius archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi.aa Litterae credentiales mg. Fuissem his quidem longior et fortasse verbosior, sed est in causa pater­nitas tua, quae nescio qua ratione ducta, nihil respondere curavit litteris meis, quas in manus tuas pervenisse iam pridem certior sum factus. Extitit enim illarum lator frater Georgius Niger. Quare dolere haud non possum silen­tium hoc, quod vel non redditis litteris, vel non bono in me animo tuo eve­nire necesse est, quorum neutro dignum me paternitatem tuam facere merito posse non video. Sed me plura scribere non meretur adventus istuc reverendi patris domini episcopi Scardonensis, qui harum erit lator quique meo nomi­ne plura apud eandem dominationem tuam exponet, cui fidem indubiam praestet, quae me amet et se amari a me sciat. Bene vale. Ex Spalato die IIII Octobris MCCCCLVII, festinatissimo calamo. 275.(367) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 8 ottobre 1457 M. V. scrive a Lorenzo Zane, per dirgli che Felice da Spalato, vescovo di Skradin (Scardona), gli ha manifestato direttamente tutta l’amicizia e la benevolenza che Lorenzo nutre nei confronti di M. V. stesso; Felice è persona amabile, così come descritto da Lorenzo; ha raccomandato a Felice di riferire alcune questioni direttamente a Lorenzo [1]; non ha risposto a una lettera di Lorenzo, perché era incerto se egli si trovasse o no a Spalato; la sua lettera era di una speciale eleganza, comparabile agli orti delle Esperidi, ma accanto a frutta e erbe profumate, c’erano anche spine e rovi posti a difesa; dal che M. V. ha inteso che qualcuno vorrebbe incrinare il loro vincolo ami­cale; tuttavia sia dimenticato il passato, e sia conservata la grazia che proviene da un sentimento amicale restaurato [2]. /365/ Ad reverendissimum dominum Laurentium archiepiscopum Spalatensem. [1] Nescio an ex quoquam hominum facilius ac melius cognoscere potuissem suavitatem, humanitatem, benivolentiam optimi erga me animi tui inclitaequae voluntatis tuae, quam ex reverendo patre domino episcopo Scardonensi, tuae dominationis vicario dignissimo. Ita est homo facetus, urbanus, prudens, eloquens, mutuae amicitiae nostrae utrinque conservandae studiosus, ut nec studiosiorem nec amiciorem utrique parti nec ad ea mihi referenda quam a reverenda dominatione tua in mandatis habuit aptiorem deligere sciveris. Cui ego et fidem (ut iubes) indubiam praestiti, et nonnulla eidem dominationi tuae aeque de meo animo explananda iniunxi. [2] Ad litteras autem dignationis tuae, cum ob multas variasque occu­pationes, tum maxime quod vel mansionis tuae Spalatiaa Spalati] Spaleti ms. vel concessionis in curiam nulla firma certitu/366/do et varia vox vulgi, non respondi. Quanquam siquid tum a me respondendum erat, id scilicet esset quod maxime crederet ad laudem non inanem eloquentiae luculentissimarum litterarum tuarum, quarum subtilitati et elegantiae nostra pinguis Minerva cedere non respuit. Sed easdem litteras tuae amplitudinis haud veritus essem modo quodam Hesperidum hortis comparare, quippe quod et aurea mala et omnis generis odoramentorum plantaria et rosas insuper violasque, sentes quoque ac spinas circa vallum miro disponentis artificio prae se ferant. Quae omnia aequo a me animo capiuntur. Quod putem aliquos instigasse qui nos, quo animo inter nos simus, esse nollent. Extremum illud est praeteritorum oblivisci, futuram gratiam reintegrato amore conservare. Reliqua nuntius ipse coram supplebit. Valeat reverenda dominatio tua, cui me commendo atque totum dedo. Ex Hyadra, die VIII Octobris MCCCCLVII. 276.(135) Maffeo Vallaresso a Giovanni de Dominis Zara, 15 ottobre [1457] Giovanni de Dominis ha provveduto ad acquistare e a inviare a M. V. una partita di fichi; perciò M. V. lo ringrazia e lo ringrazia anche per la disponibilità manifestata nei suoi confronti, la quale ricambia con altrettanta premura (Jelic, 66). /110/ Iohanni de Dominis nobili Arbensi. Non potuit melius et accuratius expediri negotium emendorum ficu­um quam est abs te effectum et expeditum. Nam mercimonium ipsum cre­dimus bonum et dignum /111/ amicis, et cetera. Oblationes tuas animi gene­rosi officiosissimique et ad omnia nobis in futurum grata peragenda preparati utemur tempore opportuno eo libentius, quo liberius ea spondes; quo etiam studium nostrum pro omni commodo et honore tuo augendo cumulandoque tibi alias vigilantissimum optulimus. Vale. Hyadrae XV Octobris. 277.(366) Maffeo Vallaresso a Nicolò Valentini Zara, 26 novembre 1457 La promozione di Nicolò Valentini alla diocesi di Veglia gli è stata comunicata da una lettera del di lui padre e confermata da Maffeo, abate di Veglia; M. V. perciò scrive a Nicolò, complimentandosi e manifestandogli la sua disponibilità ad aiutarlo nel difficile nuovo incarico. /364/ Ad reverendum patrem dominum N[icolaum] ad ecclesiam Veglensem electum. Etsi honestissimae dignitatis vestrae celebris promotio multorum voci­bus magnoque rumore ad nos praelata fuerit, litteris tamen reverendae pater­nitatis vestrae nuperrime ex domino Maffeo electo abbate Veglensi acceptis confirmata, magnae voluptati nobis fuit, ut nemo ad eam dignitatem praefici potuerit qui gratior et iocundior foret quam ad eandem vestra paternitas, cuius honori oppido gratulamur et huic oneri, quoad possumus, iuvamen pollicemur, quanquam nostrum onus vix /365/ ferre valeamus. Cum autem vos olim in filium et fratrem habuerimus, amodo in patrem in Christo et consortem eiusdem fere fortunae ac coadiutorem in agro domini multo sudo­re multisque laboribus excolendo habituri sumus. Paratus. Datum Hyadrae, sexto Kalendas Decembris 1457. 278.(136) Maffeo Vallaresso a Nicolò Dalle Croci Zara, 28 novembre [1457] Da una lettera del padre M. V. ha saputo che Nicolò Dalle Croci è stato eletto vescovo di Chioggia; con lui si complimenta, manifestandogli la propria gioia. /111/ Reverendo patri domino N[icolao] a Crucibus episcopo Clugiensi electo. Non putavi alienum a me scribere nunc ad paternitatem vestram et tum eadem una communicare magnitudinem gaudii mei cuius origo et cumulus ex eiusdem paternitatis vestrae dignitate processit. Cum igitur nuper ex litteris magnifici genitoris mei intellexerim ecclesiae Clugiensis vos in prae­sulem et episcopum iussu pontificis maximi datum praefectumque, fateor ingenti gau­dio me affectum auctumque quod et spes mea quae de vobis magna semper fuit non inanis habita est et virtus vestra debitum tandem consecuta est prae­mium quanquam maiori honore sublimiorique dignitate multo videa­mini dignior. Quare ita gratulor paternitati vestrae ut inter ceteros amicos dignitati vestrae congratulantes nemini concedam. Et cum antehac loco fratris in Christo vos semper habuerim, a modo in patrem habeo offerens me, et cetera. Hyadrae 28 Novembris. 279.(137) Maffeo Vallaresso ad Antonio Diedo [Zara, 28 novembre 1457] M. V. si congtratula con Antonio Diedo per la sua elezione a procuratore di San Marco, dignità che in Venezia è inferiore solo a quella del Doge (Jelic, 66: excerptum). /111/ Magnifico domino Antonio Diedo procuratori Santi Marci designato.aa Congratulatoriae mg. Etsi virtus et integritas vestra bene et optime de republica merita maio­ra honorum ac dignitatum ornamenta insi/112/gniaque postulet et requirat, tamen hoc muneris procuratorii quod est post supremam ducatus maiestatem secundum et quidem proximum, duplicatis centuriarum suffragiis maximo decore vobis obvenisse gaudeo et gratulor, ita ut maiorem in modum nequeam, Deumque obtestor ut haec procuratoris dignitas vobis sempiternae laudi, nobis autem, qui vestri omnino antiqua benivolentia sumus, sit perpe­tuae voluptati. Valete, et cetera. Die quo supra. 280.(138) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 5 dicembre 1457 Dopo la di lui partenza, M. V. dovrebbe scrivere a Urbano Vignati non una breve lettera, ma un ampio commentario. Per quanto attiene a un monastero femminile soggiacente all’ordinaria autorità, il monastero di Santa Maria di Zara, ha deposto una sagrestana nominata dalla bades­sa, e la ha sostituita con una nuova, di sua scelta (Jelic, 66). /112/ Ad reverendum patrem dominum Urbanum episcopum Sibenicensem. Explicaturus omnia quae hactenus post discessum tuum acta sunt in causa monialium, non epistola quam brevissima expedit esse, sed commenta­riis diffusioribus opus haberem. Omisso itaque in praesentiarum brevis apostolici usu et suffragio quemadmodum una egimus, accedens ad monaste­rium illud auctoritate ordinaria, sacristanam intrusam ab abbatissa revocavi deposuique et quandam aliam de novo institui, mandans et praecipiens et cetera. Novi aliud nihil accidit. Tu vale et nos ut valeamus operam continuabimus. Ex Hyadra V Decembris MCCCCLVII. 281.(368) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 8 dicembre 1457 M. V. al patriarca Maffeo Contarini: ha pregato per il suo cagionevole stato di salute, causato dalla febbre quartana [1]; gli scrive in merito alla badessa del monastero di Santa Maria di Zara (cfr. ep. n° 288, ecc.); ella, senza autorizzazione, e violando le regole di clausura, si è recata a Venezia [2], con il seguente motivo: M. V., secondo la sua ordinaria giurisdizione, ha nominato una nuova sacrestana, la quale doveva essere accolta dalla badessa nel termine di tre giorni, pena la scomunica; la badessa ha preferito incorrere in scomunica, probabilmente per il fatuo desiderio di ricorrere al patriarca, e poter così viaggiare sino a Venezia, onde assistere ai festeggiamenti del nuovo doge eletto, comportamento affatto sconveniente per una religiosa [3]; se la badessa avrà l’ardire di presentarsi al patriarca, M. V.prega che sia incarcerata, affinché sia d’esempio a uomi­ni che sono come belve e che solitamente nascono in questa regione [4]; se la badessa dovesse ricevere invece qualche protezione dal patriarca, allora la situazione per l’autorità arcivescovile di M. V.sarebbe gravemente compromessa; appena gli sarà possibile, invierà al Contarini gli atti relativi alla suddetta vicenda [5]. /366/ Ad reverendum patrem dominum M[apheum] Cont[arenum] patriarcham Venetiarum. [1] Moleste admodum tuli reverendam paternitatem vestram febre, ut aiunt, quartana superioribus diebus defatigatam optaviqueaa superioribus diebus defatigatam optavique] Narro controversiam exortam inter abbatissam Sanctae Mariae et nostrae pro institutione novae sacristanae mg. a domino Iesu pri/367/stinae incolumitati vos restitutum iri. [2] Causa vero quae nunc ad scribendum appulit oritur ex quadam controversia levissima parvique momenti quam habeo cum quadam abbatissa monasterii Sanctae Mariae de Hyadra, meae curae subiecta. Et licet vix adduci possum ut credam in una muliere quae abbatissa est praedicti loci tantam proterviam, insolentiam, temeritatem rusticamque audaciam denique barbaram inesse, ut absque praelati sui quaesita licentia, auctoritate propria vel potius temeritate, egressa limites clausurae monasterii sui, tam instigatione quorundam improborum, tum levitate animi sui adducta, oblita voti religionis suae, oblita etiam pudoris et verecundiae, Venetias hodie profectura sit; non tamen mirum si barbara mulier improbe facit et sit verum quod iter arripiat hac potissimum de causa. [3] Quod, cum videlicet nuper ego auctoritate ac iurisdictione ordina­ria qua etiam usi sunt praedecessores mei in hac parte ad institutionem novae sacristanae in dicto monasterio Sanctae Mariae de Hyadra processissem, prae­fixo trium dierum termino dictae abbatissae, infra quem parere deberet ius­sioni meae sub excommunicationis poena latae sententiae. Et illa praenomi­nata abbatissa, solita protervia sua, ut rebellis et negligens mandatorum praelati sui, passa est in laqueum /368/ excommunicationis praecipitari. Credo potius ut haberet causam sub specie cuiusdam frivolae appellationis, post excommunicationem inaniter productae coram reverenda dominatione vestra persequendae aliquantisper extra monasterium vagaret, et visere gloriam almae civitatis vestrae Venetiarum, et insuper spectare triumphos propter huius novi ducis creationem fiendos, quae sunt religiosis viris omnino prohi­bita, nedum monialibus indecora. [4] Quamobrem humillime supplico eidem reverendae dominationi vestrae ut, si dicta abbatissa veniet ad conspectum vestrum, vel in carcerem eam coniicere, vel in aliquod monasterium cohercere, vel alia strictioreaa strictiore] stricturae ms, ut vid. poena afficere dignemini, ut sit etiam aliis in exemplum. Haec autem idcirco dixi, quia cum naturaliter regio ista producat homines beluis ipsis immaniores, sine ratione, sine modestia, sine humilitate, sine aliqua prorsus devotione, cuiusmodi est ista de qua loquor abbatissa. [5] Si hactenus mandatorum meorum negligens fuit, habito nunc aliquo favore a reverenda dominatione vestra reportataque malitiae suae victoria, in tantam deinceps prorumpet insolentiam et rebellionem, vix ut ab ordinario tolerari queat, quod ad detri­mentum cederet archiepiscopalis iurisdictionis, ad vilipendium nervi ecclesia­sticae disciplinae et scandalum multorum. Ut autem dominatio vestra seriem praedictae causae /369/ melius intelligat, processum eiusdem primo navigio transmittam. Paratus ad beneplacita eiusdem vestrae reverendae dominatio­nis, quam bene et feliciter valere cupio. Ex Hyadra, die VIII Decembris MCCCCLVII. 282.(139) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 13 dicembre 1457 Il padre ha comunicato a M. V. un recente, importante ufficio cui Paolo Barbo è stato promos­so; il Senato sa dunque ben comprendere attraverso quali uomini la Repubblica desideri siano amministrate le magistrature; Dio voglia che Paolo possa raggiungere la dignità più alta! Mai mancherà a M. V. la voce per intessere le lodi della famiglia Barbo. Al momento è alle prese con alcuni temerari nobili di Zara; latore della lettera è il suo vicario, che raccomanda a Paolo (Jelic, 66-67). /112/ Magnifico equiti domino Paulo Barbo.aa Congratulatoriae mg. [1] Praestantissime vir, senatorii et equestris ordinis primarie amice observande, salutem. Vehementer laetor et exulto senatum istum recte intel­ligere, per quos viros respublica nostra munera, dignitates summosquebb summosque majt ms1 : del. majt ms2. magi­stratus administrari /113/ oportere cupiat, cumque inter alios, quorum virtutis ac sapientiae saluberrimorumque consiliorum splendor et gloria maiorem in modum ad astra se tollit ipsa respu[blica], te in primis iudicio quoddam prodat, manuque ostendat, voce clara te nomenque tuum servet. Quid est quod de futuris viribus tuis putes, quo minus brevi ad summum apicem imperii ducatusque evocaris? [2] Cui rei Deum annuere cupio. Qui autem in praesentia istud advocationis amplissimum munus tu virtute centuriatisquecc centuriatosque ms1 : corr. ms2. suffragiis cum luade maxima videlicet, scripsit genitor ad me nuper assecutus sis, gaudeo gratulorque tibi iure amicitiae obligationumque mearum tibi familiaeque tuae Barbae, in qua laudanda et extollenda vox mihi nunquam faucibus haesit. Haec alias diffusius, in re mea hoc accidit: [3] cum habeam quasdam controversias cum quibusdam nobilibus Hyadertinae faecis, quo­rum temeritas tanta fuit, exarserint et cetera. Misi istuc vicarium meum prae­sentium latorem, quem amplitudini tuae commendatum esse vellem, ut, si qua in re tui officii suffragio indigebit, dum requisita fuerit magnificientia tua a genitore meo, sic favere digneris honori meo ac utilitati ecclesiae meae, sicut fides mea in te postulat. Vale virorum optime. Ex Hyadra die XIII Decembris MCCCCLVII. 283.(369) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 13 dicembre 1457 M. V. scrive nuovamente al patriarca Contarini con riguardo alla medesima vertenza di cui sopra [1]; ha cercato di usare con la badessa una prassi più conciliante [2], concedendole o di accettare la prassi che fu già dei suoi predecessori, o di osservare le regole del suo monastero, che erano state addotte a carico di M. V. stesso, ancorché non fossero mai state applicate: tali regole prevedono che la badessa, ogni anno, nomini una sacrestana diversa; nonostante tale apertura, la badessa, istigata da un certo Paolo de Georgi, è partita alla volta di Venezia [3]; perciò M. V. supplica il patriarca di comminare una pena esemplare; lamenta inoltre il comportamento di alcuni nobili zaratini; invia a Venezia il suo vicario, Nicolò, della provincia di Zara, il quale provvederà a una serie di altre vertenze; prega il patriarca di accogliere Nicolò con la attenzione che userebbe nei confronti di M. V. stesso [4]. /369/ Ad eundem reverendum dominum M[apheum] patriarcham Venetiarum. [1] Non vereor sequentia litterarum reverendam paternitatem vestram obtundere, dum in explicanda ratione proterviae muliebris,aa in explicanda ratione proterviae muliebris] Super eadem materia controversiae mg. illius videlicet abbatissae monasterii Sanctae Mariae de Hyadra, et honestanda causa mea, sollertior quam debuissem videar. [2] Non obstante igitur sententia mea de institutione sacristanae in eodem monasterio – quam institutionem ad me pertinere et spectare iustis de causis censui, quemadmodum alteris litteris meis plenius dominationi vestrae declarasse me memini –, tamen, ut eiusdem abbatissae pestiferam sedarem indignationem, ad quam per nobiles quosdam Hyadrensis faecis, ad acta gra­viter excandescebat, considerans non omnia expedire quae licent, mitiori medicamine leniendum huiusmodi morbum temptavi, [3] proposuique eidem abbatissae duas optiones, ut vel cederet consuetudini dictae institutio­nis, quam mei usi sunt praedecessores, vel observaret regulam professionis /370/ eius et quasdam constitutiones eiusdem monasterii coram me in favo­rem suum productas. Quae constitutiones (licet nunquam observatae fuerint) iubent tamen sacristanas per abbatissam singulo anno mutari, cum consueve­rit illud officium perpetuo administrari per institutionem ab archiepiscopo. Cumque omnia haec sperneret et a me compelleretur ad dictae regulae observationem et constitutionum, tandem, velut insana ac temeraria, a pro­curatore suo instigata, videlicet Paulo de Georgiis publice excommunicato, Venetias profecta est, non tam questura de me, quam satisfactura desiderio suo vagandi extra monasterium. [4] Quare supplico eidem reverendae dominationi vestrae, ut tantum errorem barbarae mulieris alienae ab omni religione ita castigare dignetur, ut sententia vestra memoriae posteritarum commendetur. Et quia in hoc facino­re interveniunt nonnulli ex nobilibus huius civitatis de quibus graves querelas illustrissimo dominio exponendas duxi, venerabilem et egregium virum dominum Nicolaum provinciae Hyadrensis ac vicarium meumaa ac vicarium meum ac vicarium Iadre ms1 : ac vicarium Iadre del. ms2. in causa supradicta copiose instructum ad nonnullas etiam /371/ causas meas expe­diendas ablegavi ad conspectum reverendae paternitatis vestrae, cui benignam audientiam et optatum iuris favorem ad contemplationem meam praestare hac in reliquis omnibus tanquam personam mei ipsius perhumaniter tractare dignemini. Paratus et cetera. Ex Hyadra, die XIII Decembris MCCCCLVII. 284.(133) Maffeo Vallaresso a Felice da Spalato Zara, [1457] M. V. raccomanda a Felice un chierico, forse il Martino di cui alle due lettere precedenti n° 267 e n° 269 (Jelic, 65). /110/ Reverendo patri domino Felici episcopo Scardonensi. Vereor ne in commendando saepius hoc clerico, importunus paterni­tati vestrae videar. Sed quia non me fugit quantum eadem paternitas vestra possit et valeat apud reverendum dominum archiepiscopum, et cetera. Hyadrae. 285.(140) Maffeo Vallaresso ad Angelo Fasolo Zara, 1 gennaio 1458 Angelo Fasolo, vescovo di Cattaro, gli ha restituito, per tramite del vescovo di Nona, una somma di denaro prestato, scusandosi per il ritardo: la sua lettera dimostra la premura e l’amore nei confronti di M. V., il quale non aveva mai pensato a sollecitare la restituzione, considerando il Fasoli persona a lui carissima (Jelic, 67). /113/ Reverendo patri domino Angelo episcopo Cathareno.aa Bona est epistola mg. [1] Pauloante redditae sunt mihi litterae paternitatis vestrae plenae officii et /114/ amoris, in eo quodbb officii et amoris, in eo quod ms : officii et amoris, in eo quod fortasse corr. curam et sollicitudinem vestram circa pecunias illas indicant, amoris quod ob tarditatem vestram scribendi ad me veniam precamini, quasi magno aliquo beneficio meo adiuti, persolvendae eius modi gratiae mihi obnoxii videamini. Sed hoc utrunque ex magna qua­dam humanitate, comitate, bonitate naturae vestrae procedit, potius quam a me iure alicuius debiti requiratur. [2] Et amorem itaque vestrum, qui mihi antiquissimus est, et officia vestra mihi sane quam gratissima ita stricte ulnis et corporis animaeque complector, ut nunquam relaxaturus sim. Pecunias vero illas a reverendo patre domino episcopo Nonensi habui. Recipio item oblationes vestras ex vero amore procedentes, aequales et maiores si opus est, eidem paternitati vestrae hostimento quodam spondendo. Ex Hyadra, Kalendis Ianuarii MCCCCLVII. 286.(141) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 8 gennaio 1458 Lettera di M. V. a Lorenzo Zane, faceta, ma in alcuni punti oscura (anche per riferimenti indiretti a precedenti epistole non preservate). Lorenzo è in viaggio verso Roma; M. V. non gli scrive da molto: se ne scusa e motiva il suo silenzio; ha pregato per la navigazione di lui; teme perché in Ancona (evidentemente scalo del viaggio) c’è la peste; fa cenno (in via di metafora?) alla caccia di una lepre compiuta presso il lido di Zara da un arcidiacono, che l’ha inseguita e cattu­rata, e che quindi, anche sul lido di Nona, ha obbligato alcuni alla caccia, sortendo la cattura di due leprotti; gli raccomanda, una volta giunto a Roma, il fratello Giacomo (Jelic, 67-68). /114/ Ad reverendum patrem dominum Lau[rentium] archiepiscopum Spalatensem. [1] Emiratur forsan dominatio tua quod ad respondendum litteris eiusdem ad quartum idus Septembris mihi redditis segnior ac debuissem ius­sus sim. Sed si causam tantae cunctationis ipsa dominatio tua intelliget, et ignoscendum mihi facile putabit, et quicquid est admissum tarditatis virtuti potius . . . cumaa inter vocabula potius et cum spatium relictum est circiter decem litterarum. praesertim ego quidem discernere nequeam cuius rei me maior incendat cupido coelestiumne bonorum, an potius ut fruar suavissimis colloquiis tuis, quae, cum vivae vocis oraculo fieri nequeant, accipiundis scri­bundisque litteris perfici modo quodam poterunt. /115/ Itaque cupienti mihi ad tuas dietim respondere et expectanti cursores tabellariosque qui ad te lit­teras meas recte hinc perferrent, nullus unquam affuit. [2] Tandem ut animo meo morem gererem et extinguerem sitim deside­rii mei, longo usus viae anfractu per Venetias scribere ad te decrevi, videlicet sero potius quam unquam legas meas. Haec satis ad mei excusationem. Quod ad responsionem tuarum attinet, id tale ut nihil per hos dies desiderabilius perlegerim quam felicem progressum navigationis tuae, quae si non eatenus quatenus cupiebamus processit, id cuiquam tuorum occulto reatui potius quam defectui orationum nostrarum, ut scribis, imputes. Satis enim est nobis ita fer­venter orasse, videlicet ad litus qualecunque incolumes adveheremini, quod, si portus navem recipere oruit, non mirum, quippe quia superiori adven­tanti potentiae elementum inferius timendo repugnare videtur. [3] Illud me magis sollicitat ne civitas Anconae infecta peste cuipiam familiarium tuorum nocuerit, te enim Deus elegit et praeelegit atque tuetur, tu tuaque salus cordi eius est. Nihil enim est quod fortunam timeas, si te, ut soles, consulte in omni­bus gesseris. Quae autem adversa hactenus acciderunt, acciderunt infortunio et culpa quadam domini Thomae aut domini archidiaconi, qui, non contentus eo lepore, quem ascendens scapham in ripa ipsa Hyadrae non manibus solum sed pedibus ipsis saliens in /116/ morem egregii pardi intrepidus cepit, etiam in agrum aut litus Nonense expositos leporarios tuae dominationi defatigare non erubuit, priusquam duos, ut scribis, lepusculos caperent. [4] Quod ioci causa dictum velim, ne amicus moleste ferat, quod non debet, cum etiam Iulio Caesari idem acciderit, qui, priusquam egrederetur in litus Africae e navi pro­cidens in mare, «teneo te Africa», inquit,1a1 teneo te Africa] cfr. Svet. De vita Caesarum, Divus Iulius, 59,1. ut indicaret se gerere animum etiam fatis adversantibus superiorem. Nova quae scripsit reverenda dominatio tua tum de legato Marchiae, quem dixerunt maiores agrum Picenum, tum de Ia[cobo] Pizinino, scitu gratissima fuerunt. Nunc tuam dominationem Romam attigisse non dubito, ubi loci dominum Ia[cobum] fratrem meum tibi com­mendo, ut magis ardenter nequeam, et cetera. Ex Hyadra VIII Ianuarii MCCCCLVII. 287.(153) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Roma, 17 gennaio 1458 Lorenzo Zane da Roma informa M. V. della pace che il pontefice (Pio II) ha conseguito fra Orsini e Colonna; si dice che anche il conte Everso (cioè Everso II di Anguillara), vi abbia aderito. Resasi vacante l’abbazia di San Cipriano in Venezia, molti aspiravano alla sua commenda; il cardinale di S. Marco (Pietro Barbo) aveva sostenuto la richiesta di Simone Contarini, ma il pontefice ha conferita motu proprio al Barbo stesso la commenda (Jelic, 71). /125/ Laurentius archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Superioribus diebus litteris meis pollicitus vestrae reverendae domi­nationi per magistrum Bla[sium] harum latorem fore me diffusius scriptu­rum. Verum pauca occurrerint digna relatu, malui tamen sic succincte servare quod promiseram, quam promisionis meae /126/ sibi factae immemor videri. Sanctissimus dominus noster conclusit treuguas inter reverendissimos domi­nos Ursinum et de Columna ipsorumque seguaces, excluso tamen comite Everso, optima ut aiunt ratione motus. Sperabatur enim comitem ipsum, qui hactenus concordia et pacta renuere visus est, nunc ipsarum treuguarum causa facile ipsis sensum fore daturum, tametsi hodie praedicatum est ipsum iam treuguis huiusmodi consensisse. [2] Reverendissimus dominus cardinalis Ursinus prope diem fertur huc venturus, quod facile credi potest, si vera fuerit praefati comitis in treuguas assensio et cetera. Vacavit superioribus diebus abbatia Sancti Cipriani Venetiarum. Institit plurimum dominus Donatus filius domini An. ut illam, intercedente reverendissimo domino Sancti Marci, assequeretur. Institerunt quoque non minus domini Ia[cobus] et Symon Cont[arenus] ac Bartho[lomeus] Paruta, sed omnes spe sua decepti sunt. Nam cum idem reverendissimus dominus Sancti Marci supplicationem super ipsam abbatiam signandam pro domino Symone ad summum pontificem misisset, pontifex ipse dictam supplicationem motu proprio in commendam ad vitam pro dicto domino Sancti Marci signavit. [3] Unde autem haec tam liberalis pontificis voluntas exhorta sit, duxi sapientiae vestrae dominationis excogitandum relinquere, et cetera. Commendo me dominationi vestrae reverendae, quae diu felix valeat. Romae XVII Ianuarii 1458. Impeditus rebus quibusdam reumaticis, commisi has scriben/127/das secretario meo, non tamen archidiacono tuo Nonensi qui, me volente idque desiderante, sponte tantum istuc ad vos reversurus est, ut puto, cito. Vale. 288.(143) Maffeo Vallaresso a Francesco Foscari Zara, 3 febbraio [1458?] M. V. si rivolge al doge Foscari, manifestandogli la propria indignazione per quanto capitato nel monastero femminile di Santa Maria in Zara: vi ha sostituito una sacrestana defunta (cfr. ep. n° 280), ma la badessa del monastero medesimo si è ribellata alla di lui decisione, in questo appog­giata da una cricca di notabili che tramano contro M. V.; la situazione è degenerata, tanto che la badessa, scortata dai suoi protettori, si è imbarcata alla volta di Venezia per cercarvi aiuto: il doge riconosca simulazioni e menzogne di quella donna e di quanti la appoggiano; M. V. ha scritto anche al patriarca, il quale certamente interverrà a punire, come di dovere, tanta impu­denza (Jelic, 69-70). /118/ Serenissimo principi domino Francisco Fos[cari] duci Venetiarum. [1] Priusquam queri incipiam de temeritate quorundam civium Hyadrensium, causam iniuriae ab eis mihi nuper illatae paucis exponam, ne longitudine sermonis auribus celsitudinis vestrae fastidium ingeram. Cum enim processissem ad institutionem novae sacristanae loco eius quae defuncta nuper estaa nuper est] super est ms. in monasterio monialium Sanctae Mariae de Hyadra, quemadmo­dum fecerunt praedecessores mei, non modo in hoc monasterio verum etiam in altero quoddam Sanctae Catherinae eiusdem professionis monialium, abbatissa supradicti monasterii tam ex industria ingenii sui mali quam insti­gatione improbissimorum quorundam nobilium huius civitatis, quorum cura et studium promptissimum ad novas res moliendas est, rebellis et adversa mihi praeter modum extitit. [2] Tandem honestatis causa et gratia sopiendae seditionis quae in eodem monasterio per quosdam nobiles accendebatur, cum proposuissem eidem abbatissae ut vel pareret consuetudini per predecessores meos observa­tae, vel regulam professionis suae et quasdam constitutiones coram me pro­ductas observaret, sub excommunicationis poena, utramque conditionem sprevit contraque mandatum meum suasu dictorum nobilium /119/ monaste­rium egressa, in manu forti et magno comitatu huius insolentissimae nobili­tatis et rectoribus vestris nihil horum scientibus, demumque recessum eis prohibentibus, navem una cum dictis nobilibus ascendit, [3] et nunc, ut dicitur, venit ad conspectum serenitatis vestrae, ut femina impudentissima et temeraria, ita humilitate simulata et consultis mendaciis cum dictis nobilibus pariter cum ea excommunicatis, conquesturis et imploraturis a serenitate vestra favorem auxiliumque malitiae ac iniquitati eorum. Quapropter non sine animi molestia perfero hanc temeritatem dictorum nobilium, qui prae­fatam abbatissam non solum extraxerunt e monasterio, verum etiam Venetias usque comitati sunt, in contemptum Christianae religionis et in praeiudi­cium animarum suarum. [4] Proindeque humillime supplico eidem celsitudini vestrae, ut prae­dictis Hyadrensibus tanquam excommunicatis non solum favorem gratiae vestrae quem non merenturbb merentur tanquam excommunicatis ms1 : del. tanquam excommunicatis ms2. nequaquam exhibere, verum et debitam noxae poenam ad aliorum exemplum eis infligere dignemini. De vehementissimo autem abbatissae praefatae errore castigando scripsi reverendissimo domino patriarchae, nec dubito paternitatem suam huiusmodi impunem non praeter­gressuram, et cetera. Hyadrae III Februarii. 289.(144) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 5 febbraio [1458] M. V. si rivolge al patriarca Maffeo Contarini, rendendogli noto che notabili zaratini ostili al clero hanno dolosamente raccolto alcune disposizioni a forma di statuto contro la libertà ecclesia­stica, affidandole ad ambasciatori che hanno ora inviato a Venezia (Jelic, 70). /119/ Ad reverendum dominum Mapheum patriarcham Venetiarum.aa Commendatitiae mg. Licet multa cum reverenda dominatione vestra ad os potius coramque conferre desiderem, nunc brevibus utar ne lassum aegritudine caput, quod levet omnipotens, vobis defatigem. Conquesti sunt coram me clerici Pagenses quod nobiles eiusdem /120/ loci, qui omnes clericos odio gratis habent, dederunt et mandaverunt quaedam capitula contra dictos clericos et contra libertatem eccle­siasticam ambassiatoribus seu aratoribusbb aratoribus ms, fortasse ironice (scil. pro oratoribus) : oratoribus Jelic. suis, quos nuper ablegaverunt ad illu­strissimum dominium. Et eadem capitula in modum statutorum dolose formata cupiunt et cetera. Valeat, dominatio vestra, cui me obnixe commendo. Hyadrae V Februarii. 290.(145) Maffeo Vallaresso a Pasquale Malipiero Zara, 6 febbraio [1458] M. V. avrebbe voluto complimentarsi con il Malipiero di persona, ma glielo impediscono le avverse condizioni metereologiche, gli invia perciò una lettera; è giunta infatti la notizia gradi­tissima della nomina di Malipiero al dogado per volontà della Repubblica e per decreto del Senato; non vi è alcuno che non ne sia felice e che non debba perciò esultare di gioia. /120/ Excellentissimo principi domino domino Pas[quali] Maripetro duci Venetiarum designato.cc Congratulatoriae et bonae mg. [1] Facere non possum magna devotione, magna mea adversus celsitu­dinem tuam veneratione adductus impulsusque, quin gratulationis officium, quod potius praesentia corporali coramque debuissem si non tempestas prohiberet, si non caeli obstaret inclementia, saltem tibi litteris persolvam. Cum igitur post nostram memoriam gloriosius nihil accideret quam rumor, fidelissimis confirmatus nuntiis tum denique patriciis litteris huc loci tuae dicionis ad nos perlatus, de exaltatione ad amplissimum culmen ducatus et imperii reipublicae Venetae consensu et voluntate patrum conscriptorum totiusque senatus decreto, [2] nemo est qui non gaudeat vel gaudere debeat, cum propriae utilitatis tum publici commodi quod maximum est gratiae. Nam virtutis prudentiae ac sapientiae tuae tantus est splendor et cetera. Non minus itaque gratulor celsitudini tuae quam etiam precor atque obtestor pium dominum Iesum ut faciat hunc summae dignitatis supremaeque maie­statis culmen tibi tuisque omnibus /121/ et reipublicae nostrae sempiternae laudi et gloriae salutique animarum nostrarum fore. Vale. Ex Hyadra die VI Februarii. 291.(146) Maffeo Vallaresso a Ludovico Loredan Zara, 12 febbraio [1458] M. V. raccomanda a Ludovico Loredan, procuratore di San Marco, gli oratori che giungono a complimentarsi a suo nome con l’eletto nuovo Doge, e che anche discuteranno di alcune leggi concernenti lo stato del dominio medesimo. /121/ Clarissimo domino Ludovico Lauredano procuratori Sancti Marci.aa Commendatitiae mg. Multa inducunt et quasi impellunt me ut nunc hos oratores venientes ad gratulandum novo principi nostro nomine fidelissimi populi huius Hyadrensis magnificentiae vestrae multis de causis commendem, eo maxi­me quia eosdem et servitores vestros maiorumque vestrorum semper fuisse intelligo et domum Lauredanam summopere coluisse ac observasse et mihi quoque filios in Christo esse non ignoro. In eis itaque commendandis qui vestri sunt paucis utar verbis. Veniunt enim ad conspectum illustrissimi dominii propter gratulationem, exposituri quaedam capitula tangentia et concernentia statum eiusdem dominii. Quare maximopere oro atque obse­cro et cetera. Hyadrae XII Februarii. 292.(147) Maffeo Vallaresso a Domenico Diedo Zara, 12 febbraio [1458] M. V. raccomanda a Domenico Diedo gli oratori di cui alla precedente (n° 291): essi desiderano conferire privatamente con il Diedo, anche perché, dopo essersi congratulati con il nuovo Doge, esporranno alcuni capitula pertinenti lo stato del dominio veneziano. /121/ Spectatissimo domino Dominico Diedo.aa Commendatitiae mg. [1] Singularis amor et fides mea in vobis inducunt me ut vel de meis vel de amicorum et familiarium meorum rebus et negotiis necessariis ac opportunis ad vestram spectabilitatem ea spe, ea fiducia scribam qua ad ipsum genitorem meum scriberem. Cum itaque isti oratores populi Hyadrensis ad conspectum illustrissimi dominii venturi sint et non ignorentbb ingnorent ms. quale sit benivolentiae vinculum inter vos et me, [2] voluerunt omnino ut litterae meae, quibus vestra spectabilitas pro sua humanitate /122/ fidem aliquam et auctoritatem praestabit, ad gratiam eis faciendam animum vestrum promptio­rem ac liberaliorem redderent, [3] in eo videlicet ut ipsa spectabilitas vestra eos benigne videat audiatque private, parvo temporis momento, maxime quia, ut asserunt, post paratam novo principi gratulationem exposituri sunt capitula quaedam pertinentia ad statum illustrissimi dominii et ad eorum commoditatem. Quare oro et cetera. Datum Hyadrae XII Februarii. 293.(148) Maffeo Vallaresso a Matteo Barbaro Zara, 12 febbraio 1458 Come le due precedenti (ni 291-292), M. V. raccomanda, con le medesime motivazioni, i mede­simi ambasciatori a Matteo Barbaro. /122/ Ad generosum dominum Matthaeum Barbaro. [1] Antiqua amicitia nostra addita propinquitate respuit omino ut in commendandis vobis amicis meis magna utar oratione. Tantus est enim amor, tanta fides mea in vobis, ut omnia quae honesta sunt et laudabilia unico verbo me a vobis impetraturum sperem. Profecturi igitur ii oratores populi Hyadrensis gratia peragendae gratulationis pro more novo principi nostro eo egerunt me multis precibus ut eos vestrae spectabilitati, cui maxime confidunt, litteris meis commendarem. [2] Ego vero id perlibens facio quod populum Hyadrensem illustrissimo dominio fidelissimum et hos oratores viros probos esse non dubito. Quamobrem obnixe rogo spectabilitatem vestram ut ad contemplationem meam eos benigne et humaniter recipiatis et audientiam vestram privatam parvo spatio eisdem instare dignemini, maxime quia ut asserunt exposituri sunt capitula quaedam tangentia et pertinentia ad statum eiusdem dominii nostri. [3] Praeterea honestum et opportunum /123/ favorem praenominatis viris sic exhibere velitis, ut has litteras meas apud eandem spectabilitatem vestram vulgares habitas non credant. Paratus ego ad quaeque grata et beneplacita pro honore vestro vestrorumque omnium. Ex Hyadra die XII Februarii. 294.(149) Maffeo Vallaresso a Pasquale Malipiero Zara, 13 febbraio [1458] Iniquità e perfidia provenienti dall’Oriente hanno deturpato anche la Dalmazia, i cui abitanti, scrive M. V., non venerano più i sacramenti e non tengono più in conto alcuno gli uomini di chiesa; da tale morbo sono affetti anche i notabili zaratini, i quali hanno inviato oratori per complimentarsi con il neoeletto Malipiero, ma anche per esibire capitula contro la libertà eccle­siastica (cfr. ep. n° 289), a favore della quale Malipiero ha sempre combattuto, e per la quale il Doge è pregato di intercedere. /123/ Ad serenissimum principem Venetiarum dominum Paschalem Maripetro.aa Bona est epistola mg. [1] Quanta sit orientalis plagae iniquitas et perfidia ex eo maxime colligi potest quod ea non solum a cultu omnipotentis Dei recesserint et omnino se ab ecclesia Romana iampridem alienaverint, verum etiam vicinas regiones et provincias secum in errorem protrahere conatur. Quo factum est ut maxima pars Dalmatiae, quod mihi dolorem exagerat nec Deum immortalem vereri nec sacros venerari nec personas ecclesiasticas in pretio habere videntur. [2] Qui morbus etiam Hyadrentinam nobilitatem sic invasit et occupavit, ut qui debuissent oratores suos ablegare ad congratulandum tantum creationi digni­tatis vestrae celsitudinis, hii potius mandaverint eisdem oratoribus suis inquie­tare ac molestare ecclesias et ecclesiasticas personas sub specie pietatis. Mittunt igitur ad serenitatem vestram inter alia capitula quaedam contra et adversus ecclesiasticam libertatem, et pro quibus archiepiscopus et cetera. [3] Quas ob res rogo atque humillime supplico celsitudini vestrae ut iura ecclesiarum et personarum ecclesiasticarum ac etiam liber/124/tatem ecclesiasticam, pro qua serenitas vestra semper pugnavit, sic tueri sic defendere dignetur ut improbo­rum hominum temeritas retundatur et ecclesiae Christi ac personae ecclesiis deservientes tute ac secure laetari ac exultare possint, sub tutela iustissimi imperii vestri, cuius felicem statum omnipotens Deus conservare dignetur. Hyadrae XIII Februarii. 295.(142) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Roma, 28 febbraio 1458 Lorenzo Zane risponde alla precedente (cfr. ep. n° 286), di fretta, per la partenza notificatagli del nunzio (cioè del latore); capisce che la sua precedente, nonostante il rude stile, ha recato gioia a M. V., che ringrazia per aver provveduto a inviare una sua epistola a una qualche personalità (non nominata) di Scardona; alla presente allega una lettera e un breve sempre diretti alla stessa persona; per recapitare il tutto, M. V. potrà valersi dello stesso latore della presente; gli raccoman­da la causa per la quale viene da lui, come latore, Ludovico Contarini, già raccomandatogli da M. V.; entro otto giorni riceverà una lettera più dettagliata, recata da un canonico, il quale dovrà recarsi a Spalato, per i benefici di un fu arcidiacono, i quali sono stati tutti raccolti da diversi, in grazia del reverendissimo signore di Nicea, cioè forse il Bessarione (Jelic, 68-69). /116/ Responsivae ad superiores. [1] Mi pater et domine reverendissime observandissimeque. Habeo binas tuas litteras, alteras VIII, alteras vero XIIII Ianuarii die Hyadrae scrip­tas, quibus mihi est respondendum, paucis tamen. Sunt enim meis responsi­vae et nuntius iam molestus effectus est mihi, repentino suo discessu nunc nunc mihi notificato. Mente percipio, oculis video, manibus teneo quam fuerint tuae dominationi gratissimae iocundisimaeque litterae meae, atque ex iis recreatus sis. At non minus et gratae et iocundae fuerunt mihi tuae litterae, amoris, officii, eruditionis et elegantiae plenae, quam tibi, /117/ ut scribis, meae, quae ruditatem quandam atque barbariem sapiunt. Intellexi libentissi­me operam tuam in litteris meis ad Scardonens[em] perferendis et ago tuae dominationi innumeras gratias. Nunc autem, quo percipias in dies quantum de te mihi polliceor, mitto praesentibus alligatas litteras alias ad eundem, quibus inclusi unum breve importantiae quidem maximae. [2] Quare velim oroque ut, quam in ceteris rebus meis soles, curam adhibeas, quo litterae ipsae una cum breve cito fideliterque ipso Scardonensi reddantur, etiam si per primum nuntium istinc mittendas esse dominationi tuae visum fuerit, modo scias non esse perituras. Summatim hoc onus tuae reverendae dominationi libenter bonoque animo impono, qui iugum ferre, te iubente, non erubescerem. [3] Causam, qua istuc ad te venit nobilis harum lator dominus Ludovicus Contarenus, quem iam mihi commendasti, com­mendo tuae dominationi, quae felix valeat et ignoscat celeritati, longitudini non minus quam ornatui inimica, quaeve expectet ad octo dies post harum acceptionem longiores meas litteras, quarum erit lator canonicus quidam meus, quem hic retinui XX dies continuos, ut certum nuntium mitterem Spalatum de provisione facta beneficiorum olim archidiaconi Spalatensis. Quae omnia beneficia, etsi me inscio diversis medio reverendissimi domini Niceni collata fuere, intelliges tamen, ut spero, effectum de eisdem /118/ et utilem et honorificum mihi. Valeas, mi pater amantissime, cum omnibus tuis et praesertim fratre et Symone. Romae XXVIII Februarii MCCCCLVIII. Festinantissime. 296.(150) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 10 marzo 1458 Essendo tempo di Quaresima, M. V. ha pensato di far confezionare due barili di pesci in savor e inviarli a Pietro Barbo: dono modesto, ma non facile da confezionare, anche perché il mercato veneziano ne assorbe come una voragine; il cardinale si degnerà di accettarli come il grande Serse accolse dell’acqua dalle mani di un povero viandante (Jelic, 70). /124/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Consulte putavi complures dies fore intermittendos quibus ad cle­mentissimam dominationem vestram non scriberem, veritus eidem inter maiora versanti negotia ineptiis meis stomachum movere. Instante tamen quadragesimae tempore, cum statuissem gelatinasaa Gelatinis, bonum exemplum mg. condidi facere nomine reverendissimae dominationis vestrae, in quibus condiendis etsi parva sit impensa, maxima tamen difficultas urgentibus institoribus piscium, quos mittunt in profundam Venetiarum voraginem, ut facile testimonium perhi­bere poterit huic rei reverendus pater dominus episcopus Nonensis. [2] Haec pauca scribere ad humanissimam dominationem vestram duxi, supplicans eidem ut hanc exiguam gelatinae satis electorum ac tempestate piscium in duobus barilis stipatorum hilari fronte accipere dignetur more quondam Xerxes,1b1 more quondam Xerxes ~ vilis est] cfr. Aeliani Varia historia, XII 40: .pe. d. .. t... ...µ. t.p. .d...se., ..d.p. t.. .e.ape.a. ....s.., ........ t. st.at.p.d., e. t.. ..e. .d.. .. t.. ...sp.., ..a d. ßas..e. p.e... .a. e..... t.. ß.a.. .a. ses.p.. ..... .p.e. ... t..t. . ......, .a. e.e...t.. t.. d..ta ...µ.se., .t. .. .p..et. t. d..., e. µ. ..e.... e...... qui, ut fertur, haustam e proximo fonte utraque manu aquam ei oblatam a paupere viatore, labris attingere non renuit, oblectatus potius animo dantis quam re ipsa, quae per se vilis est, et cetera. Valeat reverenda dominatio vestra diu et feliciter. Datum Hyadrae die X Martii MCCCCLVII. 297.(151) Maffeo Vallaresso a Gaspare da Teramo Zara, 13 marzo [1458] M. V. avvisa Gaspare da Teramo, uditore di Rota, che Jacopo Bragadin ha assunto un atteggia­mento vessatorio nei confronti del capitolo della chiesa di Zara (Jelic, 70-71). /125/ Reverendo domino Gas[pari] de Teramo auditori Rotae.aa 151 Rothae ms1 : corr. ms2. Antiqua mutua benivolentia nostra vitae ac moribus bonis instituta non exigit ut iure meo longis utar exordiis, quasi plus verba possint quam antiquus amor. Haec igitur in causa occurrunt, quod magnis confitior mae­roribus, cum intueor homines eos infestare ecclesias et pauperes Christi, qui eos tueri ac sublevare debuissent. Hoc dicto de venerando viro domino Ia[cobo] Brag[adeno], qui operam dedit ut molestet ac perturbet tenuissi­mum et exile capitulum ecclesiae meae, et cetera. Datum Hyadrae die XIII Martii. 298.(154) Maffeo Vallaresso ad Angelo Fasolo Zara, 16 marzo [1458] M. V. è preoccupato per il reumatismo di cui Lorenzo Zane gli ha scritto nella precedente, ma è felice per le novità che gli giungono dalla Curia; la supplica di maestro Blasio non sembra in tutto convincente, tuttavia, per riguardo a Lorenzo che glielo ha raccomandato, M. V. provvedererà per quanto è in suo potere; sollecita Lorenzo a intervenire nella causa fra il capitolo zaratino, che a lui si è affidato, e Jacopo Bragadin: se le cose dovessero andare male, la chiesa di Zara ne subirebbe un grave danno (Jelic, 71-72). /127/ Responsivae ad superiores. [1] Etsi superioribus mensibus binis litteris meis, unis per Venetias alteris per Anconam plenissime de omni re occurrenti scripserim dominationi vestrae, dolebit mihi si nunc idem non effecero, praeoccupatus repentino nuntii reces­su. Cum autem ad omnes vestras rescripserim, restat ad eas solas breviter respondere, quas magister Bla[sius] nuper attulit, quas certo teneatis mihi iocundissimas fuisse, quod incolumem dominationem vestram significabant. Sed tamen, quia ut in calce earundem manu propria scribitis rebus quibusdam reumaticis videbamini impeditus, cura non levis subiit mihi, quippe qui vereor eas res renuntiatas male speciei fore, nec sine febre solere accidere, qualia mihi interdum contigerunt. [2] Deus bene vertat, restituatque vos pristinae siccitati. Meo tamen consilio retius egeritis si participaveritis eiusmodi reuma cum domino Thoma, qui habet validiores scapulas quam reverendissima dominatio vestra, quae natura sui delicatissima est. Nova curiae quae significataa significat Jelic : significant ms. eadem d[ominatio] v[estra], iocundissima scitu fuerunt, eo maxime quod vera omnia puto, quae relatione eiusdem intelligo. /128/ In causa praefati magistri Blasii nihil hactenus actum est, cuius supplicatio etsi aliqua ex parte inanis videatur, ego tamen ad contemplationem vestrae dominationis enitar pro mea virili ut consequatur effectum suum. Sin id fieri non poterit curabo ut pecuniae ad dominationem vestram mittantur et bulla seu rescriptum extrahatur. [3] Meminit reverendissima dominatio vestra cum esset Hyadrae, quanta fide ac devotione capitulum ecclesiae meae eidem sese ac bona sua commendaverit, supplicans ut causam litis quam eis movet dominus Ia[cobus] Brag[ade]nusbb Bragadenus] Bragno ms. contra ius et aequitatem, eadem dominatio vestra susciperet sub protectione sua, quae maxima est; memineritque (quanta est eius clemen­tia et humanitas) satis benigne ac gratiose eis promisisse favores suos navatu­ram dictae eorum causae liberandae ac expediendae. [4] Quare eandem reverendissimam dominationem vestram oro ut mediante auctoritate propria quae gravissima est, mediantibus etiam amicis eiusdem, quorum est maximus numerus, praedictam causam capituli mei ita commendatam habeat, ac si mea ipsius esset. Nec dubium quin mea sit, quia si male res verteret, quod advertat Deus, ecclesia mea defraudaretur tribus missis, quod esset iniquissimum. Habebitis informationem ex domino Ia[cobo] qui nomine capituli causam praedictam procurabit. Quantos favo­res igitur poteritis, potestis autem multos, adhibeatis huic rei /129/ cui ius ipsum et pietas favet, nec dominatio vestra rem magis gratam hoc tempore fecerit. Valete. Hyadrae XVI Martii. 299.(264) Maffeo Vallaresso a Giovanni Ranar (o Ravar) Zara, 16 marzo [1458] Giovanni Ranar (o Ravar, essendo ammissibili entrambe le letture), scutifero del pontefice, ha comunicato a M. V. da Ragusa di essere sano e salvo; lo ringrazia perché Giovanni gli ha offerto i suoi servigi presso la curia pontificia, dove è in procinto di dirigersi. /267/ Domino Iohanni Ranaraa Ranar vel Ravar (dubia lectura). domini nostri papae scutifero. Nuper accepi suaves litteras tuas datas Ragusis V die Februarii proxi­me elapsi cepique maximam voluptatem ex tua et domini Petri cancellarii tui optatissima incolumitate quam Omnipotens diutius conservet. Nova quae scribis grata scitu fuere. Famulus ille tuus convaluit ab infirmitate sua abiitque ex hac civitate, nescimus quo. Et quia scribis de proximo profec­turum in curiam ubi loci tua mirifica humanitate, mihi spondes opem atque operam /268/ tuam continue paratam. Habeo tibi mi Io[hannes] immortales gratias pro tuo tam officioso tamque liberali ingenuo animo, quo etiam maximus pontifex ita oblectari videtur, ut negotia ardua et pon­derosa quidem ei continue committat. Quod signum est tuae eximiae vir­tutis. Ego vero in praesentiarum nihil habeo quod magis ex corde tibi iniungam quam ut me diligas. Est et aliud pondus humeris tuis imponen­dum fortissimis per Dei gratiam. Quidam d[ominus] Ia[cobus] et cetera. Bene vale et me uti facis mutuo dilige. Hyadrae XVI Martii. 300.(155) Maffeo Vallaresso a Mauro Zeno Zara, 17 marzo [1458] Alcuni cittadini di Sebenico hanno un debito con il medico di Zara, Andrea (cfr. ep. n° 15); questi ha inviato a Sebenico come suo procuratore Pietro Cimelich, che è da M. V. raccomandato al rettore di Sebenico Mauro Zeno (Jelic, 72). /129/ Magnifico equiti domino Mauro Zeno comiti Sibenici.aa Commendatitiae litterae mg. Singularis amor quo afficior virtutibus magistri Andreae phisici Hyadrae salariati compellit me, ut omnibus commodis et utilitatibus eius mea sponte, ne dum ab eo requisitus libens invigilem. Ei nanque debetur certa quantitas pecuniarum a quibusdam civibus Sibenici, pro quibus quidem pecuniis exi­gendis, mittit praesentem nuntium Petrum Cimelich civem Hyadrae procu­ratorem suum ad hoc specialiter deputatum rogavitque me ut dictum eius nuntium litteris meis vobis commendarem, et cetera. Hyadrae XVII Martii. 301.(158) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 14 aprile 1458 Lorenzo Zane ha inviato una lettera per tramite di un Lorino, il quale, provenendo da Spalato, dove si è manifestata la peste, è stato cacciato fuori dalla città, e ha atteso tutta la notte che M. V. gli consegnasse la risposta; M. V. attende Lorenzo, che ha deciso di trascorrere il periodo estivo in Dalmazia; gli chiede novità dalla curia (Jelic, 75-76). /136/ Ad reverendum patrem dominum Laurentium archiepiscopum Spalatensem. [1] Ad Kalendarum XV Maiarum, Lorinus tuus homo concinus et iocundus litteras dominationis tuae datas Romae XVIII Martii mihi earun­dem cupientissimo attulit, per quem ad eas respondere desperaram, quippe quod is Lorinus paulo post redditas prodiit in forum civitatis, agnitusque ex Spalatobb Spalato] Spaleto ms. venisse, ubi loci pesti obitur, illico pulsus est extra moenia. Credebamque ipsum hac nocte sub dio frigidoque Iove durare non posse longe remotiores villas petiturum, sed habendae sunt ei magnae a me gratiae, quod expectaverit usque ad hoc mane, ut ne vacuus mearum ad eum quem non /137/ ignorat mihi carissimum reddiret, et cetera. [2] Quod autem in aestivis Dalmatiae commigrare statueris, laetor expectoque antiquum hospitem fraterno desiderio. Si tamen Spalati sedem orebis Hyadrae in archiepiscopatu partim ad scopulum meum residebis una mecum. Placet instare adventum domini cardinalis Avinionensis doletque in tam longa eius absentia, qui si adesset votis tuis conduceretur in multis. Tua interim domi­natio de novis curiae deque nostris praelatis, de quibus alias collocuti sumus certiorem me suis litteris reddat. Haec satis ne Lorinus diutius ad solem extra muros expectet, et cetera. Datum Hyadrae die XII Aprilis MCCCCLVIII. 302.(370) Maffeo Vallaresso a Girolamo Lando Zara, 14 aprile 1458 M. V. si congratula con Girolamo Lando per la sua elezione all’episcopato di Creta: ne è lieto non perché tale dignità potrà accrescere il prestigio della famiglia di Girolamo, quanto perché, come in passato, alla guida della chiesa cretese è stata preposta una saggia guida. /371/ Ad reverendum dominum Hier[onimum] Lando electum Cretensem. Festinantia praesentis tabellarii,aa Festinantia praesentis tabellarii] Congratulatoriae mg. qui est familiaris reverendi domini Spalatensis, brevius quam cuperem scribere ad reverendam dominationem vestram me compellit. Cum his diebus proxime elapsisbb elapsis corr. : elaptis ms. ex litteris tam domini Ia[cobi] germani mei quam aliorum amicorum intellexerim eandem domina­tionem vestram ad celeberrimam Cretensis metropolis dignitatem sublimatam esse, laetatus sum cum propheta in his quae dicta sunt mihi, non quod ex ea dignitate aut virtutem vestram sublimiorem aut familiam Landorum illustrio­rem fore sperem, sed quod eam ecclesiam vel a sapientibus viris vel a sapientiae studiosis fere semper gubernari contigisse intuear. Gratulor igitur tam illi eccle­siae, quia teneor antiquis devinctus beneficiorum priviliegiis, quam dominatio­ni vestrae, cui iure mutuae benivolentiae /372/ debeo. Deumque immortalem precor et obtestor ut haec dignitas cedat vobis vestrisque omnibus ad sempiter­num decus et ornamentum cum salute animarum vobis subiectarum. Valete. Datum Hyadre, die XIV Aprilis MCCCCLVIII. 303.(371) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Venezia, 18 maggio 1458 Da Venezia, dove è recentemente giunto, M. V. scrive a Marco Barbo in risposta a una di lui precedente lettera, con la quale lo invita a trascorrere un periodo di vacanza nella sua diocesi [1]; accoglie l’invito come proveniente da un animo generoso; se non ci fossero alcuni impedimenti gravi che lo trattengono a Venezia, tale è la sua fiducia nell’amico che sarebbe venuto a Treviso anche senza invito, non per riposarsi e apprezzare le pitture dell’episcopio, ma per adempiere un dovere e per soddisfare il proprio bisogno di rivedere Marco [2]; poiché Marco è sul punto di partire per una visita pastorale (il contenuto è di qui interrotto) [3]. /372/ Ad reverendum dominum M[arcum] Barbo episcopum Tarvisinum. [1] Hodierno mane accepi suaves ac perhumanas litteras vestrae reve­rendae dominationis plenas officii et antiqui amoris, quibus eadem domina­tio vestra non solum gratulatur mihi ob incolumem appulsum meum ad patriam, verum etiam paterno more tanquam lassum ex longa navigatione invitat me ad episcopium Tarvisinum tranquillam sedem dominationis vestrae et locum Baiarum amoenique secessus. [2] Ego vero accipio invitationem ex liberali animo procedentem, quanquam (medius fidius) quae nisi obstarent – gravia quaedam et privata negotia, quae me invictum hic tenent –, quanta est fides mea vel potius prae­sumptio de reverenda dominatione vestra, etiam non invitatus Tarvisium commigrarem, non quidem ut perfruar iocunditatem Tarvisinae civitatis, vel ut contempler parietes istius episcopii, sed ut fungar officio meo /373/ uti teneor et expleam desiderium animi mei, cuius est ardor videndi ac conve­niendi eandem dominationem vestram. [3] Verum, quia dominatio vestra est profectura ad visitationem suae diocesis fere illico post festum corporis Christi, deinde Vincentiam et cetera. Valete. Ex Venetiis, die XVIII Maii MCCCCLVIII. 304.(159) Marco Barbo a Maffeo Vallaresso Treviso, 22 maggio 1458 Marco Barbo ha un debito con M. V. per la lettera soave che gli ha inviato in risposta a una sua affatto insipida: da ciò ha inteso l’affetto che a distanza di tempo ancora M. V. nutre per Marco, il quale gli è sempre più obbligato; Marco si augura di poter vedere M. V. nella propria casa, che è anche casa sua, e gli duole di aver già programmato visite pastorali, che lo oberano di impegno; Barbo informa M. V. dei prossimi suoi spostamenti, nella speranza che M. V. possa avere il tempo di visitarlo. /137/ Marcus episcopus Tarvisinus Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Facile perspexi ex vestrae reverendae dominationis suavissimis litteris redolentiam, ut meo more scribam, dilectionis suae ac antiqui amoris in me, servitorem suum, per superiorem aetatem servati, in hos usque dies flagrare, quando quidem ex his quae scripsi et insipide et ieiune vestra reverenda domi­natio tantam voluptatem et animi laetitiam experit mecumque occupatione utens mihi praeripiat facultatem omnem rescribendi. Probe intelligo quem saepe numero plerisque officiis superiori tempore sibi totum fecit obnoxium v[estra] d[ominatio] et iam cupere magis ac magis in dies omni caritatis officio, si fieri possit, sibi obligatiorem /138/ reddere. [2] Superant haec vires meas adimuntque quicquid in me esse possit quo valeam immortales gratias vestrae reverendissi­mae dominationi agere. Nullas igitur agam, verum omnis peremni servo debe­bo. Optabamque maxime in hac sua domo et episcopio visere vestram domina­tionem. Doleo quod eiusdem vestrae dominationis negotia praefixaeque visitationes plurimarum ecclesiarum mihi eripiant vehemens huiusmodi deside­rium meum, etsi sperem tantum subducere ex diebus quibus Vincentiae mihi immorandum est ut ante Idus sextiles possit dominatio vestra reverenda explere votum meum ardentissimum ut ad hanc ecclesiam suam proficisci. [3] Die crastina hinc abscedam redditurus infra diem octavum pro solemnitate sacratissimi corporis Christi per biduum aut triduum moram faciam iterum ad visitationem diocesis per dies X inde Vincentiam post bimensem me conferam. Verum enitar, ut dixi, aliquot dies subducere ut copia detur dominationi vestrae visendiaa visendi] viscendi ms, ut vid. in hac et ecclesia et domu sua quam una mecum dedo eidem. Omnipotens Deus sospitem tueatur dominationem vestram reverendam. Ex Tarvisio die XXII mensis Maii MCCCCLVIII. 305.(372) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Venezia, 30 maggio [1458] M. V. risponde nuovamente a Marco Barbo, il quale gli ha inviato un’ennesima lettera, con la quale ribadisce a M. V. l’invito a recarsi a Treviso, richiamando il ricordo della antica loro amicizia [1]; Marco lo ha invitato (così pare di capire) a trascorrere alcuni giorni da solo nell’e­piscopio trevigiano, essendo nel frattempo impegnato nella visita pastorale e nel viaggio a Vicenza, dove si troverà con il cardinale Pietro Barbo [2]; M. V. accetta l’invito a recarsi a Treviso, ma lo farà quando Marco sarà rientrato dal suo viaggio [3]. /373/ Ad eundem reverendum dominum Tar[visinum]. [1] Etsi amplitudo virtutis ac dignitatis vestrae incognita nemini habeatur, tamen dominatio vestra reverenda, quo sublimior est, eo magis extenuat se, et in litteris suis tanta utitur summissione, ut non tantum mihi verecundiam iniiciat, verum etiam a rescribendo me deterreat, cum non putaverit sibi sufficere semel me invitasse ad amoenitatem Tarvisinam, quae maxima est, nisi eandem cantilenam iterato ita suaviter recinerit, ut redolentiam antiqui amoris, quae procul dubio periocunda est, rememo­rans immortales gratias se mihi habituram in eo dicat, puto quod officiosae invitationi eius censerim. Quae res, si cui nostrorum ascribenda est ad gra­tiam referenda, profecto ascribenda est potius mihi, /374/ in quem humani­tatis beneficium confertur. [2] Quod autem ex eadem reverenda dominatione vestra dicat se cura­turam subducere aliquot dies quos impertiatur mihi ad commoditatem visen­di domum suam Tarvisinam, quam mihi commune facit, sic putabam certo ac puto me facis iocundum hospitem futurum apud reverendissimam dominationem vestram, quanta est eius in me clementia et humanitis pla­cetque mihi in hac contentione superari, ut parvitatis meae obligationis adversus dominationem vestram maiorem in modum excrescant et cumulen­tur. Sed hanc dierum subductionem omnino spero quod ea non fieret absque incommodo reverendissimi domini mei domini cardinalis, cuius gratia et amor Vincentiam contendere decernitis. [3] Verum post expleta et expedita omnia negotia tam diocesis vestrae quam Vincentinae, ubi redieritis domum et ego id rescivero, dabo operam ut exsolvam debitum meum, cui teneor ut alias dixi, ea tamen lege, ut id non fiat cum incommodo alterius partis, quod esset indecorum. Valeat felix dominatio vestra et me ut consuevit diligat. Venetiis, pridie Kalendas Iunias. 306.(373) Maffeo Vallaresso a M. da Nona Venezia, 1 giugno 1458 M. V. si rivolge a un canonico della chiesa di Creta per raccomandargli di servire adeguatamente il neoeletto arcivescovo Lando [1]; gli ricorda la benevolenza con la quale ha servito un tempo suo zio, Fantino Vallaresso [2]; raccomanda di fornire un quadro preciso della situazione finanziaria dei beni della diocesi da lui amministrati, senza nulla occultare [3]. /375/ Ad venerabilem virum presbyterum M. de Nona canonicum Cretensem. [1] Puto te non ignorare quanta vis amicitiae atque necessitudinis antiquae inter familiam Landam et nostram Vallaressam existat, proinde­que gratissimus et optatisimmus tibi merito esse debet reverendus pater dominus Hyeronimus Lando, archiepiscopus Cretensis nuper consecratus, cui fideliter obsequaris ac deservias, ita ut facile consuetam diligentiam et veterem fidem tuam, qua probatissimus in domo nostra habitus es, cogno­scere possit. [2] Is ad paucos dies futurus est ad sedem suam Cretensem, cui te pro singulari benivolentia, quam tibi et omnibus servitoribus reverendissimi olim patrui mei debeo, commendatum obnixe feci. Nec dubito quin sis habiturus aequalem gratiam apud reverendam dominationem suam, que­madmodum virtute prudentiae ac probitatis tuae apud patruum olim meum habuisti. Sed nosti dominorum praelatorum mores, qui nil magis deside­rant in servitoribus suis quam fidelitatem et integritatem. [3] Cum itaque praedecessoris sui temporalia bona administraveris maxime Sanctum Mirum,aa Mirum : dubia lectura. quae praedia certo pretio audivi te conduxisse,bb conduxisse] condusisse ms. et idem reveren­dus dominus archiepiscopus certo sciat te dicto praedeces/376/sori suo inte­gre non satisfecisse, certusque scit iuxta testimonium meum quod perhibui fidelitati tuae nil te occultaturum debitorum ac rationum ad suam domina­tionem reverendam pertinentium; tamen hortor te ac moneo fraterno more, ut claras et integras rationes de omnibus quae administrasti hactenus ei reddas et ad quadrantem usque satisfacias, ut bonam extimationem quam de te facit secundum informationem meam, aliqua sinistra opinione non immutet. Quod mihi aliqua in parte ad dedecus, tibi vero ad dedecus simul et ad damnum omnino cederet (quod avertat Deus omnipotens). Haec scripsi in signum amoris, ut intelligas me non oblitum tui. Vale. Ex Venetiis, die primo Iunii MCCCCLVIII. 307.(160) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Venezia, 15 giugno 1458 Il cardinale Pietro Barbo ha intimato a M. V. di revocare qualsiasi azione abbia intrapreso contro il monastero di Santa Maria di Zara, e ciò a causa di una querela sporta contro di lui; ringrazia il cardinale per l’ammonimento, ma chiarisce di non aver mai voluto procedere contro il diritto, né di aver mai voluto importunare la badessa e le monache, se non per quanto attiene alla sua stessa giurisdizione; la badessa è stata istigata a procedere contro di lui da alcuni notabili zaratini e ha così indebitamente invocato l’autorità politica di Venezia e l’au­torità del patriarca, ma da entrambi è stata respinta, come sa bene Paolo, fratello di Pietro. Se il cardinale potesse ascoltare il suo resoconto, capirebbe che la ragione sta dalla parte di M. V., il quale tuttavia, ha già sospeso i provvedimenti che intendeva assumere (Jelic, 76-77). /138/ Reverendissimo domino domino P[etro] cardinali Sancti Marci. [1] Nuperrime accepi litteras reverendissimae dominationis vestrae cum omni qua decuit reverentia, quibus ipsa hortatur, id est praecipit, ut siquid contra abbatissam et moniales monasterii sanctae Mariae /139/ de Hyadra et contra earum consuetudinem egerim, id revocem propter quere­lam in curiam contra me delatam, et cetera. Habeo ingentes gratias clementissimae dominationi vestrae pro tanta benigna ac humanissima admonitione, quam certe in optimam partem quemadmodum scripta fuit, accipio, atque etiam maximi beneficii et gratiae munus existimo, quod mere­ar emoneri et quasi honeste corripi a tanto domino, cuius monitiones, horta­tiones et quaelibet iussa ac mandata mihi fidelissimo servitori suo capescere fas est, eisque parere convenientissimum. [2] Sed si veritas excusationis est admittenda, credat reverendissima dominatio vestra me nunquam quenquam contra ius vexare consuevisse, nec aliquam molestiam dictae abbatissae et monialibus hactenus intulisse nec in futurum velle inferre, nisi in quadam iurisdictione duntaxat archiepiscopali, quam tandem iampridem omisi, malens de iure meo cedere quam cum bar­baris hominibus contendere, prout latius de his omnibus tam magnificus dominus Paulus germanus vestrae reverendissimae dominationis quam etiam dominus Ia[cobus] frater meus possent eidem testimonium reddere. [3] Nam ipsa abbatissa instigata a quibusdam nobilibus Hyadrensibus malae mentis malique animi conquesta est de me indebite tam coram serenissimo dominio Veneto quam coram reverendo domino patriarcha, sed ubique habuit repulsam iniquitati suae congruentem, ut melius novit idem /140/ magnificus dominus P[aulus], qui propter officium suum advogatus dictam causam tractavit. Pluribus verbis uterer ad excusationem mei causamque ipsam altius repeterem ut reverendissima dominatio vestra intelligeret meam honestatem et partis adversae temeritatem, sed ne taedium ingeram auribus suis, finem orationis faciens, nequeo inficiari me hominem esse posseque errare ac decipi. [4] Tamen si clementissima dominatio vestra coram audiret me, pro­fecto diceret omnia me hactenus in hac causa rectissime egisse. Sed ne ipsa dominatio vestra suspensa mente remaneat, declaro eidem me iamdiu revo­casse quod facere volebam, et cetera. Aliud scribere in praesentiarum non occurit, nisi quod me fratremque meum humiliter reverendissimae domina­tioni vestrae commendo, quam Deus omnipotens in statu felicissimo conser­vare dignetur. Ex Venetiis die XV Iunii MCCCCLVIII. 308.(265) Maffeo Vallaresso a Natale, vescovo di Nona Venezia, 2 luglio 1458 Natale, vescovo di Nona, è rientrato incolume da Roma; M. V. gli raccomanda di provvedere alla diocesi di Zara, come se fosse la sua, consultandosi, se ritiene, con il suo vicario. Ad reverendum patrem dominum Nat[alem] episcopum Nonensem. Reverende in Christo pater et cetera. Intellexi nuper ex litteris Io[hannis] germani mei reverendam paternitatem vestram ex curia regressam Hyadramque applicuisse incolumiter. Cuius rei gratia gaudeo et gratulor tam quod iter ex animi sententia confeceritis, quam quod praesentiam vestram, quae mihi iocundissima est et clero meo conducibilis, Hyadrae diutius non neglexeritis. Quod autem attinet ad curam istarum ovicularum mearum eidem paternitati vestra commodatarum, non est meum praecipere, sed orare ac precario petere a vobis ut non minus cleri quam populi mei eandem curam et rationem habeatis quam de vestris omnibus vobis habendam /269/ esse cognoscatis tum omni auctoritate aeque in corrigendo et increpando ac in exercendo admo­nendoque. Si quid praeterea fuerit in quo vicarius meus paternitatem vestram consulat vel cum ea tractandum quippiam de animarum salute cupiat, ita secum agere velit ac si eius ipsius vicarius existeret. Paratus et ego ad multo maiora et cetera. Valeat paternitas vestra feliciter. Ex Venetiis die II Iulii 1458. 309.(374) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Venezia, 4 luglio 1458 Ancora da Venezia M. V. scrive a Lorenzo Zane, che si trova in Roma, come si evince da successivi indiretti riferimenti; Nicolò Sagundino è in procinto di partire, essendo stato confermato segreta­rio del Senato [1]; Lorenzo gli è in debito di molte lettere, non di una sola, M. V., che in tutto è vinto da Lorenzo, almeno avrà su di lui la meglio nel cumulo di lettere che gli invierà [2]; ma lo vincerà non come gli antichi romani, ai piedi dei quali i vinti si prostravano; invece accoglierà Lorenzo con un bacio di riconciliazione, a patto che Lorenzo si impegni a rispondergli; attende nuove sulla invasione dei Turchi nel territorio dell’Eubea, o sull’assalto degli epiroti, contro i quali è stato inviato Pietro Brunoro Sanvitale [3]; in Venezia si è diffusa la pesta, M. V. vorrebbe perciò tornare in Dalmazia, dove è atteso l’arrivo di Lorenzo, al quale spera di ricongiungersi; gli chiede di salutare a suo nome il dominus Avinionensis (forse il cardinale Alain de Coëtivy, vescovo di Avignone) [4]. /376/ Ad reverendum dominum Lau[rentium] Zane archiepiscopum Spalatensem. [1] Non putavi committendum mihi ut praetermitterem occasionemaa Non putavi committendum mihi ut praetermitterem occasionem] lege, elegans est mg. scribendi ad reverendam dominationem vestram, nacto eo nuntio N[icolai] Sagun[dini], qui, cum praestantia ingenii tum litterarum peritia et fide erga hunc Senatum, dignus iampridem habitus est ad munus secretariatus, /377/ in quo nunc obeundo patrum con[silii] istuc decreto mittitur. [2] Quanvis autem intelligam eandem dominationem vestram debitri­cem complurium responsivarum ad no[n] unas litteras meas, studiose tamen epistularum cumulos, vel potius aggeres, erga eandem dominationem vestram reverendam congerere et in dies augere enitor, ut cum in reliquis omnibus me superet, in hoc certamine et in hac frequenti cura scribendi contentione sese expugnatam superatamque copiis meis fateatur, ita ut etiam in deditionem se mihi dedat. [3] Ego vero non ut olim victos deditosque Romani duces ad pedes, sed reverendam dominationem vestram ad complexum et osculum pacis cum omni veneratione excipiam, eo tamen pacto, ut eadem dominatio vestra fre­quentiores litteras deinceps ad me dandas curaverit, <…>bb post curaverit verbum aliquid desideratur, e.g. . graviorem poenam sit subitura. Si quid est novi quod merito litteris commendetur, vel de irrup­tione Turchorum ad fines Euboe, vel de insultatione Epyrotarum, ad quorum temeritatem domandam P[etrus] Brunorus et alia equitum et multorum peditum manipulis nunc mittitur, id accuratius per vestros describendi vobis puto. [4] Reliqua se habent more solito. Civitas commaculata ex peste fugat me immo/378/destius ac vellem in Dalmatiam, quo terrarum audivi etiam dominationem vestram cito venturam, quam diu desideratam avidius expecto quam Apelles Messiam. Facite igitur ut curiali disciplinacc ut curiali disciplina ut curiali disciplina ms1, expunxit replicationem ms2. et istitut[ionum] ita completus revertamini, ut collatione mutua totos dies iungamus cum nocti­bus. Reliquum illud est ut reverenda dominatio vestra adhibita omni cura ac diligentia commendatam parvitatem meam reverendissimo domino Avinionensi sic facere dignetur, ut eius dominatio me inter fideles servitores suos adnumeret. Valete. Datum Venetiis, die IIII Iulii MCCCCLVIII. 310.(379) Maffeo Vallaresso ad Andrea Marcello Venezia, 8 luglio 1458 M. V. scrive ad Andrea Marcello conte di Zara; ha differito di raccontargli della controversia con oratori provenienti da Zara, e della conclusione risolta da Venezia a favore di lui stesso: ciò perché sapeva che una decisione sulla expeditio (nell’accezione probabile di ‘risoluzione del contenzioso’), la quale si sarebbe realizzata secondo le sue aspettative, veniva di giorno in giorno rinviata, perché i Savi di terraferma erano oberati di vertenze da dirimere [1]; pur sapendo che la expeditio si sarebbe risolta in tal senso, prima di dire alcunché, ha atteso che venisse pronunciata una conclu­siva risposta [2]; il giorno precedente M. V. si è recato dai Savi, gli oratori invece non si sono presentati, pur essendo stati a lungo attesi; i savi hanno finalmente deliberato a suo favore [3]; della loro risposta M. V. ha tratto una copia, la quale per tramite del fratello Giovanni invia ad Andrea Marcello e ai maggiorenti di Zara [4]. /392/ Ad magnificum dominum Andream Marcello comitem Hyadr[ensem]. [1] Non aliam ob causam scribere ad magnificentiam vestram, quid egerim cum oratoribus Hyadrensibus,aa Non aliam ob causam ~ cum oratoribus Hyadrensibus] Declaro votivam expeditionem meam coram dominio ab impetitione oratorum Hyadr[ae] mg. quove fine illustrissimum hoc domi­nium ab eorum impetitione ac molestatione me tandem expedierit, in hunc usque diem distuli quam quod eadem expeditio, quam tamen futuram firmi­ter sciebam ad vota mea, occupatione magnificorum dominorum sapientum terrae firmae dietim prorogabatur et impediebatur, non quidem sponte sua, sed causarum audiendarum cumulatione. [2] Ego, licet ab initio intellexerim dictam expeditionem, ut praemis­sum est, ex animi mei sententia fiendam, absurdum tamen putavi cuipiam amicorum – priusquam dictis oratoribus perbb per add. s.l. eosdem magnificos dominos sapientesaa sapientes] sapiendes ms. interveniente consensu et auctoritate illustrissimi dominii conclu­siva responsio de et super capitulis eorum porrectis fieret – quicunque scri­bere vel significare. [3] Nunc alienum a me non censui eandem magnificen­tiam vestram eius rei, quam ei gratissimam iocundissimamque confido pro meo erga vos singulari amore summaque observantia reddere admonitam, me videlicet hesterna die secunda duntaxat vice fuisse ad praesentiam eorun­dem dominorum sapientum, cum tamen dicti oratores ad eorum praesen­tiam venire dissimulaverint aut contempserint, ibique, me /393/ praesente et praefatis oratoribus absentibus et diu expectatis, per eosdem magnificos sapientes ex notatorio excellentissimi dominii prolata fuit responsio ad capi­tula praedictorum oratorum, specialiter tangentia dignitatem meam ac regi­men spirituale. [4] Quae quidem responsio, ut videre poterit magnificentia vestra ex copia litterarum mittendarum propediem Hyadram vobis dominis rectoribus et su*** vestris, cessit ad magnum decus et ornamentum meum. Quam copiam misi in manibus Iohannis germani mei cum ordine ut ea ostendat magnificentiae vestrae cui me commendo atque dedo. Ex Venetiis, die dominico VIII mensis Iulii MCCCCLVIII. 311.(161) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Venezia, 12 luglio 1458 Il patriarca, Maffeo Contarini, causa una sua indisposizione, ha chiesto a M. V. di rinviare il previsto sinodo all’anno prossimo; nonostante il rinvio implichi un viaggio onoeroso, M. V. non può che accettare, né c’era bisogno che a tal fine il patriarca interponesse l’autorità del doge. /140/ Ad reverendissimum patrem dominum Mapheum patriarcham Venetiarum. [1] Quanquam non putem reverendissimam dominationem vestram datum et inter nos constitutum ordinem celebrandae synodi oblivioni man­dasse, quia tandem eandem adhuc praepeditam se superiori corporis ­aegritudine, pro qua curanda caelum et aerem prudenti ducta consilio commu­taverat, litteris suis testatur, ita ut huiusmodi celebrandae synodi hoc anno imparatam omnino se dicat, petens a me ut eadem synodus ad annum /141/ proxime sequentem differri patiar, non possum non assentiri voluntati ac petitioni dominationis vestrae, cuius commoda et salutem antepono com­modis meis, [2] contentusque sum ut differatur ad proximum annum quan­quam ista reversio per tantum pelagus nequeat fieri sine multis impensis a quo multo magis praepondero maximis incommodis meis. Sed tantus est amor, tanta veneratio et observantia quam ad reverendam dominationem vestram habeo ut nulla res adeo difficilis sit quam non facilem gratia vestri putem. Nec opus erat ut illustrissimum principem huic rei differendae inter­poneretis, cum illud idem et vicarius dominationis vestrae et quilibet vester nuntius minimus apud me efficere potuisset. Valeat eadem dominatio vestra reverendissima, cuius orationibus me commendo. Ex Venetiis XII Iulii MCCCCLVIII. 312.(162) Maffeo Vallaresso a Nicolò, primicerio di Zara Venezia, 12 luglio 1458 M. V. conforta il primicerio del capitolo di Zara: a Venezia si è adoperato con ogni sua forza per fronteggiare gli oratori dei notabili zaratini (cfr. ep. n° 289 e 294): l’autorità veneziana nemme­no ha voluto rispondere al capitolo concernente le offerte dell’altare, dopo che ha ascoltato diritti e consuetudini allegate in favore del primicerio stesso: il quale può dunque stare tranquillo, senza più temere il latrato di quei cani (Jelic, 77). /141/ Venerabili domino Nicolao primicerio Hyadrensi ac vicario. [1] Videbis ex copia litterarum ducalium, quam nuper misi in manus domini Io[hannis] fratris, quanto cum honore meo in facto oratorum Hyadrensium nobilium ab illustrissimo dominio expeditus fuerim. Qui certo si non venissem huc Venetiis, poterant isti boni viri falsa eorum informatione corda dominorum auditorum ita venenare, ut facile forsanaa forsan] forssam ms. obtinerent pri­mos aditus ecclesiasticae libertatis et immunitatis oppugnandae. Quorum temeritati postquam huc attigi, ita me opposui cum omni modestia et honestate, ut maiorem laudem consecutus sim ex hac pugna quam utilitatem ex victoria. [2] Sed causam ecclesiae tuae ita acerrime privatim /142/ et publi­ce tutatus sum, ut illustrissima dominatio nec respondere quidem voluerit ad illud capitulum pertinens ad oblationes archae, postquam iura et consuetudi­nes audivit, quas in favorem tuum allegavi. [3] Amodo itaque esto animo optimo et benefaciens, non timens deinceps latratus canum, quorum os ita obtusum est, ut non solum non latrare sed ne hiscere quidem sine suo futuro malo audeant. De quibus alias diffusius ad os coramque ad paucos dies prae­stante Domino simul loquemur. Interim hortare totum clerum ad sectandos bonos mores et ad imitandum sanctorum vestigia et ad bene beateque viven­dum. Vale tu. Ex Venetiis XII Iulii MCCCCLVIII. 313.(163) Maffeo Vallaresso a Marco Barbo Venezia, 16 luglio 1458 Un certo Pietro de Blasi si è presentato a M. V. chiedendo licenza di venire promosso agli ordini sacri, sostenendo di aver ricevuto la tonsura a Zara dal vescovo Lorenzo Venier, e i quattro ordini minori a Vicenza da Nicolò, un tempo vescovo di Arbe, suffraganeo del fu Francesco Malipiero, vescovo di Vicenza; in assenza di documenti e testimoni, non gli ha prestato fede; lo stesso si è ripresentato recando una lettera composta su istanza di Marco Barbo, con sigillo usato dalla diocesi di Vicenza in consimili casi, nella quale si attesta che il de Blasi è stato promosso ai quattro ordini minori; pertanto M. V. acconsente che de Blasi sia promosso a suddiacono, diacono e presbitero, purché sia accertato prima che abbia ricevuto la tonsura; rimette in ogni caso la ordinazione del medesimo de Blasi alla coscienza di Marco Barbo. /142/ Reverendissimo domino Marco Barbo episcopo Tarvisino. [1] Mapheus Vallaressus archiepiscopus Hyadrensis reverendissimo in Christo patri et domino domino Marco Barbo, Dei gratia episcopo Tarvisino dignissimo se plurimum commendat. Fuit ad praesentiam meam superiori­bus diebus Petrus de Blasii, asserens se clericum Hyadrensis diocesis, petens­que ac reverenter supplicans per me, tanquam ordinarium suum, dari sibi litteras dimissorias et licentiam promovendi ad sacros ordines. Cum idem audacter asseveraret se clericalem tonsuram in civitate Hyadertina ab reverendissimo olim domino Lau[rentio] Ven[erio], penultimo praedecessore meo, et quattuor minores ordines Vincentiae ab reverendo patre domino fratre Nic[olao] olim episcopo Arbensi eodemque suffraganeo quondam reverendissimi patris et domini domini F[rancisci] Maripetro episcopi Vincentini legitime recepisse. [2] Cui quidem narrationi ac asseverationi, /143/ iuxta monitiones et sanctiones sanctorum patrum, credendum fore, ubi aut instrumenta autentica superinde confecta aut testes idoneos ac fidedignos ostenderet, minime censui. Nunc rursus veniens coram idemque modo quo super postulans, ostendit quasdam litteras testimoniales in publica forma scriptas iussione reverendissimae dominationis vestrae, sigillatas vero sigillo reverendissimi domini communis domini cardinalis. Quo sigillo eadem dominatio vestra tanquam locum tenens eiusdem in diocesi Vincentina uti­tur in similibus. [3] Quibus quidem litteris, licet vestra dominatio secundum attesta­tiones quorundam fidedignorum testium supradictum patrem de licentia ordinarii sui Hyadrensis ab eodem reverendo patre domino fratre N[icolao] episcopo Arbensi suffraganeo quo supra ad quattuor minorum ordinum iuxta ritum sacrosanctae Romanae ecclesiae promotum fidem faciant, non faciendo probationem primicaratheris clericalis tonsurae, ubi consistit fun­damentum ceterorum ordinum, tamen ob reverentiam vestrae reverendissi­mae dominationis considerato hunc in ea diocesi degere, ubi eadem domi­natio vestra iurisdictionem locumtenentis habet, praenominato patri sic ut promissum est constituto in quattuor minoribus plenam licentiam et facul­tatem tenore praesentium quas perinde ac si essent in publica forma sibi valere volo gratiose, do et concedo ut possit promoveri ad sacros ordines, videlicet subdiaconatum, diaconatum et postremo presbiteratum, per inter­valla dierum secundum regulam et consuetudinem ecclesiasticam, [4] dum­modo idem pater secundum imbecillitatem fragilitatis humanae idoneus ac sufficiens videatur ipsi dominationi vestrae, †constito†aa constito ms : constituto fortasse corrigendum. eidem prius de canonica susceptione clericalis tonsurae /144/ nec aliquo alio obstante impe­dimento. Superquibus omnibus tam reverendissimae dominationis vestrae quam etiam ordinantis conscientiam oneratam relinquo. In cuius rei et con­cessionis fidem ac testimonium praesentes litteras fieri feci easque anularis sigilli mei impressione roborari. Datum Venetiis apud Sanctum Martinum MCCCCLVIII die XVI mensis Iulii. 314.(164) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Spalato, 30 settembre 1458 Lorenzo Zane è rientrato a Spalato da Roma: siccome M. V. potrebbe non credergli (la data topica potrebbe essere fittizia), Lorenzo acclude una breve lettera del di lui fratello, e prega altresì M. V. di venire a Spalato a trascorrere alcuni giorni con lui (Jelic, 77-78). /144/ Lau[rentius] Spalatensis archiepiscopus Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Tandem Spalatum sum appulsus, praeses dignissime, addo etiam colendissime. Quod etsi non me fallit arduum esse persuasu ut Urbem reli­querimaa reliquerim corr. : relinquerim ms Jelic. hoc praesertim tempore, non tamen conabor persuadere multis ver­bis, si quidem posses et merito quidem, his quanvis scriptis propria manu fidem non praestare, dubitans de loco ubi scriptae sint, Spalati videlicet, an Romae datum, mentiente meque tecum iocante. Quare in praesentiarum decrevi tantummodo mittere ad te his alligatas litteras fratris tui, qui etiam in causa est, ut non discedam ab ipsa brevitate mihi amicissima, hoc loco prae­cipue. [2] Dixit enim mihi plura scitu digna commisisse litteris ipsis, quae clarissimo erunt argumento reditus mei. Verum aliud unum clarius longe in medium nunc adducam, promissum scilicet factum a te mihi, hoc est ut Spalatum naviges, consumpturus mecum aliquot dies, quod ut non praeter­mittas et rogo et, si fas est, mando, neque id arroganter dictum puta, nulla nanque ratione pati debeo, /145/ ut fidei violator videaris, in tuos praesertim amantissimos, quo nomine, Deum testor, nisi promissum serves, appellabo te. Vale, mi pater et amantissime domine, una cum germano et reliquis tuis ac Sy[mone] nostro. Spalati die ultima Septembris MCCCCLVIII. 315.(380) Maffeo Vallaresso a Francesco Dalla Sega Zara, 4 ottobre 1458 M. V. scrive al cancelliere veneziano Francesco Dalla Sega, il quale gli ha inviato un atto proces­suale per tramite di un Andreas Buxc. (cioè, probabilmente, Andrea Buzzacarino, lo stesso citato alla ep. n° 376 come An. Bux.); M. V. lo restituisce controfirmato e sigillato, affidandolo allo zaratino Luca Calcina. /393/ Ad dominum Fran[ciscum] de la Sega cancellarium Dominii. Nuper accepi et legi litteras vestras ea reverentia, eo mentis affectu ac si a patre missae fuissent votisque vestris circa factum signationis illius publici processus, quem Andreas Bux[a]c[arinus] mihi vestro nomine sigillandum tradidit, illico parere ac obsequi studui, cum etiam in maioribus reverentiae vestrae inservire cupiam. Hunc igitur ipsum processum sigilli mei pontificalis appensione munitum dedi preasentium latori Lu[cae] Calcinae Hyadertino vobis reddendum. Nec potuit citius /394/ remitti nuntiorum penuria. Valete in domino Iesu et habetote me paratissimum cumulando amplificandoque commodo ac honori vestro vestrorumque quorumcumque. Ex Hyadra, die IIII Octobris MCCCCLVIII. 316.(167) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 10 ottobre 1458 Il fratello Giacomo ha fatto notare a M. V. che Andrea Conti non ha ricevuto risposta da M. V. a una precedente lettera:se ciò è accaduto, è perché la risposta è stata smarrita, ché M. V. nutre per Andrea la più grande stima e amicizia, e perciò sempre ha provveduto e sempre provvederà a rispondere alle sue missive. /147/ Ad eximium doctorem dominum Andream de Comitibus. [1] Puto ex mente tua processisse quod dominus Iacobus frater com­munis nuper ad me scribens accusavit me negligentiae erga te in scribendo admissae asserens insuper me debitorem litterarum ad tuas responsivarum. Ego vero accusationem huiusmodi aequanimiter perfero, fateorque me tibi non modo litterarum sed etiam vitae ipsius meae debitorem. Audacter autem asseverare queo nullas tuas unquam ad me delatas hactenus fuisse quin illico ad eas quam libens non scripserim. Quod si forte vitio tabellariorum acciderit ut aliquae mearum interceptae fuerint quominus in manus tuas devenirent, tum facile ignoscendum erit. [2] Nihil est enim in quo magis ob/148/leter quam complecti et fovere amicitiam optimi ac integerrimi viri qualem te censeo, taedetque in ea regione et in his locis me constitutum, unde nemini amicorum re ipsa prodesse possim. Tuam igitur fraternitatem suavissime fra­ter et colo et observo ut teneor eidemque libentissime omnium scribo eiusque scripta ac si fratris mei periocunde lego nullaeque extant litterae tuae quae non habuerint a me responsionem. Cupio ex te pernoscere ut valeas et quid sentias ac opineris de novo pontifice deque statu et conditione curiae. Vale et me, ut facis, dilige. Ex Hyadra X Octobris MCCCCLVIII. 317.(165) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 11 ottobre [1458] Il cardinale perdonerà M. V. se gli scrive pur non avendo nulla d’importante da comunicare: le sue lettere appariranno vuote, ma preferisce inviare lettere vuote che non inviarne affatto. La grandezza del cardinale è tale, da compiacersi piuttosto della gratitudine dei suoi debitori, piut­tosto che attendere un mediocre risarcimento dei suoi crediti (Jelic, 78). /145/ Reverendissimo domino domino P[etro] cardinali Sancti Marci. [1] Nihil est quod libentius faciam, quam quod scribam ad reverendis­simam dominationem vestram, sed nihil magis optarem quam ut litterae meae plenae forent officio et actione virtutis, minusque haberent verborum. Quod cum secus accidat ac ipse vellem, vestra reverenda dominatio, quae prudentissima est, partim considerans imbecillitatem virium mearum, partim incommoditatem regionis in qua dego, facile veniam dabit inanitati littera­rum ipsarum, quas potius volui vel inanes appellari, quam ut extarent nullae, quae per hunc optimum idoneumque nuntium reverendum patrem dominum episcopum Nonensem mitterentur a me. [2] Tanta est insuper magnanimitas eiusdem reverendissimae dominationis vestrae, ut potius gau­deat granditudine animi generosi, expectetaa generosi, expectet corr. : generosi expectet ms Jelic. vel mediocrem debiti satisfactionem, cum nemo sit ex servitoribus clementissimae dominationis vestrae, cuius merita superata non fuerint magnitudine gratiae vestrae. Plura dicturus non sum, nisi quod meam parvitatem commendo. Hyadrae XI Octobris. 318.(166) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Spalato, 18 ottobre 1458 Lorenzo Zane manifesta tutta la sua felicità e il suo entusiasmo nell’apprendere che M. V. giun­gerà a Spalato entro la fine di ottobre, e che M. V. aveva preso tale decisione prima ancora di essere lì invitato da Lorenzo (Jelic, 78-79). /145/ Laur[entius] archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Cum vehementer quotidie tuas litteras expectarem /146/ admira­bar quidem tarditatem tuam in respondendo. Sed tandem mihi redditae sunt, amantissime domine, quarum ex omni parte cum maximam cepissem laetitiam (quae huiusmodi est, ut neque ore neque calamo explicari posset, ne dicam mente concipi), tum vero finis earum attulit cumulum gaudii. Scribis enim te, priusquam Kalendae Novembres expirent, futurum meum hospitem, huicque rei, etiam priusquam invitareris a me invigilare. O signum non commune! O argumentum non vulgare tui ad me animi aman­tissimi! Nam etsi non facile diiudicatur amor verus et fictus, tamen ut quasi aurum igni, sic benivolentia tua erga me hoc tempore perspici potest. [2] Moriar si uno hoc signo, ceteris praetermissis, quae plurima sunt, non ita me incensum esse in te sentio, ut nihil unquam mihi in amorem fuerit ardentius. Siquidem ipsis litteris tuis satisfecisti tarditati, satisfecisti brevi­tati, ita ut te non paeniteat intercapedinem scribendi fecisse. Satisfecisti mihi, satisfecisti reverendo patri domino Scardonensi nostro, cuius ego iam falso iudicio et persuasione nescio quod mecum animo volvebam, accipiens in malam partem tam longum silentium tuum, et ita satifecisti, ut domina­tionem tuam excusatione, nos paenitentia dignos et iudicemus et fateamur. Amo igitur te ex animo ac vere, quia scio me sic coli, sic observari a te ut merito amari putem. [3] Nostra enim fortuna nostraque /147/ natura eam se esse ostendit, ut nobis simulandi causa non sit. Quare ut finem blateran­di faciam, gratias immortales tibi nunc habeo, cum vero coram aderis, agam aliquando relaturus. Vale, mi amantissime domine, cum domino Sy[mone] nostro, quos expectamus. Novae sigilli impressionis causam atque infinita alia decrevi non litteris sed ore tuae dominationi nota facere, optima motus ratione. Da ergo veniam merenti, reverendo patri Scardonensi etiam sua­dente, qui se plurimum tuae dominationi commendat. Vale iterum mi amantissime domine. Spalati XVIII Octobris MCCCCLVIII. 319.(168) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Spalato, 26 novembre [1458] Dopo che M. V. è partito da Spalato, Lorenzo Zane non ha più avuto sue notizie, né Lorenzo gli ha scritto, non avendo cosa comunicargli, se non la tristezza per la di lui improvvisa par­tenza; con lui presente sembravano rivivere i banchetti dei filosofi antichi; con lui se ne è andato ogni piacere; non saprebbe esprimere adeguatamente la cortesia e l’umanità che M. V. ha dimostrato, e peraltro M. V. è affatto contrario all’adulazione; dunque M. V. gli scriva per sollecitarlo a sua volta a scrivere; i messi stanno per partire, ma proprio in quel momento è giunto Giovanni, recandogli una lettera di M. V. e alcuni libri di cui sarà scrupoloso custode (Jelic, 79-80). /148/ Lau[rentius] archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Nihil, pater reverendissime, post tuum illum praematurum intem­pestivumque discessum ad me dedisti litterarum, neque interim scripsi, quod quid scriberem non habebam, nisi me tristem et sollicitum esse tum repenti­no ipso discessu, tum mora tam longa scutiferi mei, quem quotidie ex Urbe desidero. Quare ne silentium tuum inertiam aut non dignum otium afferat mihi, obsecro interdum tuis occupationibus intermissis, lacessas me aliquo litterarum genere sive iocoso sive gravi. Ego equidem respondere facilius pos­sem quam provocare. Quid enim hoc tempore auribus tuis dignum scribere possum, privatus praesertim /149/ optimo illo fructu disputationum vestra­rum? Videbantur enim mihi interdum adesse honestissimi illi veterum philo­sophorum illustriumque hominum coetus. [2] Abiit igitur una tecum voluptas omnis et quam maxime de te spem ceperam, tu abiens abegisti. Navigasti huc, teste tota Dalmatia, quod quibus causis factum sit, explicare non est doctrinae meae seu copiae dicendi, siqui­dem expostularetaa expostularet Jelic : expostularer ms. caritas erga me tua et humanitas incredibilis in medium adduci et summis laudibus immortalitati mandari, quod forte etiam apud te mihi adulatoris nomen imponeret, a quo quantum abhorreat natura tua non ignoro. [3] Quid ergo scribam? Non de ipsa quidem voluptate quam cepi illo tuo adventu, nam, etsi maxima fuit, nescio tamen voluptatisne plus mihi adventus, an molestiae discessus attulerit. Quamobrem non video quo alio pacto, nisi aliquo scripto tuo lacessitus possim scribere, et non modo volens verum etiam coatus. Affirmaverant enim ii nuntii se non discessuros nisi ad occasum solis, nunc vero mutata sententia instant discessum, clamant, vociferant, minantur se nequaquam expectaturos. [4] At obaudiam ego quoad saltem scribam, quae nullo pacto silentio transiri possunt. Applicuit huc Iohannes scutifer meus reddiditque mihi inter /150/ multorum litteras et dominorum et amicorum meorum, tuas etiam. A quo audivi quoque plura quae et te in magna parte non fugiunt et a me recedere ad te nunc minus possunt angustia temporis. Verum gratulor tibi et mihi gaudeo quod Romana curia nostra futura sit. Libros promissos mihi ab eodem accepi, pro quibus vobis habentur innumerabiles gratiae. Polliceor me fidum eorum custodem fore et eos loquentes quam saepissime auditurum. Vult enim praeceptor Valla ut dum legimus audiamus, et dum scribimus loquamur. Non possum amplius tecum morari, nec tuis litteris diffusius respondere, reiterant enim voces. Vale una cum omnibus tuis et Symone nostro. Spalati die XXVI Novembris. 320.(169) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 7 dicembre 1458 Lorenzo Zane nella precedente lo ha invitato M. V. a scrivergli, per sfidarlo a usare la penna: cosa che per M. V. è più gravosa che il rastrello di Menedemo (se così va interpretato e corretto il testo); Lorenzo è in realtà assai più abile di lui nella scrittura, come testimonia la sua ultima lettera; gli comunica di aver saputo che il pontefice ha postposto (procellavisse) la sua partenza da Roma dopo il compimento delle festività natalizie; dà ulteriori ragguagli sugli oratori inviati a Roma da Venezia, e accolti con grande solennità (Jelic, 80). /150/ Responsivae ad superiores. [1] Et provocari te aliquo litterarum genere a me flagitas et ipse mirum in modum provocas atque excitas me, quasi inhertem oscitan­temque, ut certem tecum calamo, quem graviorem mihi puto quam rastros Menedemi.aa rastros Menedemi correxi : rastros menendi ms (cfr. Ter. Heaut. 88: «at istos rastros interea tamen adpone, ne labora. ME. Minime») : astra metiendi Jelic. Quis sum ego homuncio, vel quae vires meae, qui tibi viro facundissimo doctissimoque non dico congrediar contentione, sed nec respondere digne tuis elegantissimis litteris idoneus parque habear? Facillime superabis me superasque in dicendo, cui et in reliquis omnibus longe ante­cellis, placetque me obrutum glo/151/riae tuae magnitudine. [2] Ita me Deus adiuvet, nulla potest esse tibi tanta vel fortunae vel naturae accessio quae mihi tenuis non videatur, per quam quidem opto tibi tuo devictus amore mirifico. Sed haec hactenus. Gaudeo Io[hannem] scutiferum sospi­tem advenisse librosque apportasse. Siquid novi ex curia puto reverendissi­mae dominationi tuae clam non esse. Ceterum ex litteris meorum hoc nuperrime accepi, pontificem maximum procellavisse discessum suum ex Urbe ad exactionem festorum Natalis dominibb domini add. s.l. (scilicet d.). nostri Iesu Christi. [3] Oratores nostros ingressos Urbem XIIII Novembris, eosdemque solemni pompa honorum supra omnes alios acceptos, duos ex eis remansuros in curia, Matthaeum Viturium et Hieronymum Barbadicum, videlicet reli­quos duos reversuros, legatum maritime discessurum Creta, videlicet reve­rendum dominum camerarium VIII Novembris, archiepiscopum Cretensem advectum Venetias, illico migraturum in Curiam magno rumore spei futurae, et cetera. Haec tantummodo, tu, mi domine, vale, valeantque tui omnes. Fax sit Deus. Hyadrae VII Decembris MCCCCLVIII. Propter properantiam huius patris ministri non revisa, quem tuae dominationi commendo. 321.(375) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Spalato, 8 dicembre 1458 Lorenzo Zane risponde alla precedente di M. V., affermando che le proprie lettere sono tutt’altro che eleganti e dotte, come affermato dall’amico [1]; è invece M. V. ad avere un’indiscutibile superiorità nell’arte della scrittura [2]; tuttavia Lorenzo è sicuramente superiore nel certame d’amore: Lorenzo mai cederà lo scettro d’amore a M. V., il quale non avrà armi così potenti da intimidire l’amico; Lorenzo ha servito Amore prima come gregario, poi mercenario, è stato quindi prefetto, ora ha al suo comando molte legioni e perciò M. V. gli deve riconoscere tale supremazia [3]; infatti Lorenzo è un custode d’amore, quanti ha incarcerati non vengono liberati, quanti cercano di fuggire sono rinchiusi da porte così solide, che non temono i calci; l’animo suo custodisce gli amici in modo più fedele ancora di quanto Cerbero custodisce gli inferi; e M. V. è l’amico più amato: sempre ricorderà i giorni con lui trascorsi a Zara durante il suo viaggio verso Roma [4]; Lorenzo decanta l’accoglienza ricevuta a Zara, tuttavia M. V. sperimenterà l’amicizia di Lorenzo, e ammetterà che in confronto tutti i più celebri antichi romani sono vinti [5]; fa cenno alla lettera di M. V., cui non ha risposto [6]. /378/ Responsiva ad superiores. [1] Habeo tibi immortales gratias agoque commendatissime praesul quod novissimis litteris tuis te non persuasum, quanvis suasus a me, ut cala­mo mecum certes ostendas. Nam is ego non sum et quem faciunt litterae tuae, et qui compositam aliquam dicendi praestantiam ac orationis splendo­rem possim merito polliceri, quandoquidem omnia mea sunt abiecta, horri­da, ieiuna, inculta, dura, callide minus excogitata, inerudita et non modo sine dignitate, sed sine lepore, sine ingenio ela/379/borata et quacunque castigatio­ne perdigna. [2] Verum enim vero tu (ut videre videor), sicuti es, ille videri vis qui verborum copiam elegantem, qui ornatum dicendi, qui disertam †valeam†aa valeam ms : fortasse validam corrigendum. disciplinam, qui summam bonarum litterarum cognitionem, qui denique incredibilem quandam ingenii magnitudinem habes. In quibus omnibus vera fateri non erubesco, me facile superas. Itaque cum non sit causa mihi qua ut mecum certes optem, non possum nisi laetari responsione tua. [3] Sed hic aures erigas velim. Dixi me cedere tibi in certamine scribendi, non autem amoris. In cuius palaestrica contentione superiorem me esse semper assevera­bo. Et nunquam me ab hac veritate deiicies, quo tibi hoc amoris sceptrum cedam. Habeas quantunvis astas praegrandes, pendeat ab humero tuo quivis gladius acutus, studeas omni genere veneni illorum cuspides illinire, utere denique quavis arte: nunquam tamen me velim patienter hoc tolleres tam vel timidum vel liberalem esse cognosces, ut in quo ego quotidie pervigilo id tibi donare mihi ve/380/niat in mentem, quippe qui iampridem in hac Amoris militia miles gregarius fui, postea mercenarius, ad praefecturam deinde per­veni, modo autem sum multarum legionum imperator effectus, quem hoc in officio tanquam dignissimum honorare, si non sponte, at invitus cogeris, et sceptrum hoc mihi utpote meritissimo deferri tibi fatendum est. [4] Nam amoris sum ipse diligentissimus custos, adeo ut quos clusi in amoris conclavi meo, nunquam eorum aliquem ego recludo, quin immo custodiam effringere conantibus tantum hostio pessulum obdo, ut ne calcitronem timeat ingen­tem. Profecto Cerberum ianitorem ita fidum inferi non appellant, sicut ami­cos enutrit animus meus, eosque in pectoris nido summa fide ac mollissime fovet, inter quos tu inprimis es, quem amo, quem observo, cuius saepissime recordor, de quo libentissime cogito, atque illos dies semper felices mihi putabo, quos ego praeterito anno Romam tendens apud te Hyadrae consumpsi. [5] O summam humanitatem, o regiam munificentiam atque splen­dorem /381/, o incredibilem pietatem, o clarissima reconciliationis et cari­tatis signa, quae quidem testor Deum et eius matrem tanta fuere, ut et tu nihil amantius atque honirificentius in me conferre potuisses, et ego nun­quam in te amando, honorando, praedicando fessum me sentiam. Quapropter, ut eo reverter unde discessi, et nonnihil concludamus, pericu­lum facito in me et tunc vires meas, tunc fortitudinem, et quot in hoc amoris studio virtutes habeam, senties, et ita senties, ut non modo Corvinum Torquatum parvi facias, ut Coclitem negligas et Oratium, quorum victo­riae fuerunt quondam honorificentissimis decretis condonatae. Sed mihi sceptrum imperatorium sponte relinquas necesse sit, regiumque dyadema deferri facile patiaris. [6] Haec hactenus, nunc ad alia in tuorum responsionem. Accepi cun­cta quae scribis, tam pontificis maximi discessum futurum, quam reditum duorum oratorum nostrorum Venetias et reverendi patris Cretensis archiepi­scopi tangentia, quae omnia summe placent. Ad quae non respondendum putavi, quia nimius essem. Verum ad ultimum tantum sat sit dixisse. Lauda (ut vulgo dicitur) /382/ finem, qui ut plurimum principio hoc est spei et desiderio non correspondet et cetera. Quod tamen, ut vera fatear, non tan­tum ob dies sanctos, quantum ut una navigaremus suadeo et desidero. Vale domine et animae meae dimidium. Tandem calamo quietem demus. Datum Spalati,aa Spalati] Spaleti ms. die VIII Decembris MCCCCLVIII. 322.(170) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 26 dicembre 1458 M. V. riferisce al patriarca la situazione concernente la controversia con la badessa di Santa Maria di Zara (cfr. ep. n° 288, e le successive); il patriarca ricorda senz’altro i prodromi della vicenda [1-2]; se il patriarca vorrà avere in merito notizie dettagliate, potrà averle dal vescovo di Equilio, oppure dal padre di M. V. stesso [3]; nei confronti della badessa M. V. ha agito con pietà, ricordando la misericordia usata da Cristo nei confronti dell’adultera [4]; la badessa, nonostante l’atteggiamento conciliante del suo vescovo, solo a stento riconosce la propria colpa, ma non ha intenzione alcuna di sottoporsi a qualsivoglia penitenza [5]; sia dunque il patriarca a decidere quanto è necessario fare, tenendo conto che la badessa, nonostante la scomunica comminata, intrattiene continui scambi con gli zaratini, e ciò mette a repentaglio l’autorità ecclesiastica [6]; finanziati dal monastero, alcuni zaratini intraprendono viaggi a Venezia per detrarre a M. V. l’autorità anche in questioni di sua stretta pertinenza, come l’amministrazione della cattedrale [7-8]. /151/ Reverendissimo patri domino Mapheo patriarchae Venetiarum. [1] Etsi non dubitarem cum vestra dominatione quae est humanissima cuiusque rei opportunae sermonem longius quam par /152/ esset protrahere, habita tamen ratione ac consideratione magnitudinis causarum negotio­rumque vestris quotidie humeris incumbentium cantilena priscae temeritatis ineptissimae illius abbatissae, quam brevissime nunc erit a me recensenda, quod eam praesertim non incognitam eidem dominationi vestrae puto. [2] Novit dominatio vestra reverenda causam differentiae illius ob quam contra ius fasque profecta est Venetias. Novit etiam quid inde reportaverit. Novit quoque viditque sententiam reverendi patris domini episcopi Equilini subde­legati, et cetera. Novit puto etiam sententiam meam mitigatoriam potius latam contra ipsam abbatissam. Meministis praeterea oratores istorum nobi­lium quid obtinere conabantur a clarissimo nostro senatu. Fortasse meminis­se potestis qualem expedictionem habuerint ab eodem senatu super capitulis suis, dico de illis quae ab eis intentabantur contra ecclesiasticam libertatem seu iurisdictionem. [3] Quod, si forte promissorum cuiuspiam pleniorem notitiam cupere­tis, vel ab eodem reverendo patre domino episcopo Equilino, vel a genitore meo (quibus ea res est iam tritissima) habere facillime poteritis. Quid deinde secutum sit postquam ex Venetiis Augusto proxime transacto Hyadram reve­ni paucis absolvam. Licet scirem praefatam abbatissam nec per se nec per oratores illos tanquam interpositas personas ullam de malitia sua reportare potuisse victoriam, proinde tanto acriori longiorique plecti poenam quanto culpa eius et contumacia maior extiterat, [4] tamen, ut inhaererem vestigiis Domini et salvatoris /153/ nostri Iesu Christi, qui misericordia motus et deprehensam in adulterio mulierem absolvi potius quam lapidibus obrui ius­sit et vulnera peccatorum oleo ac vino ungenda voluit ex Sam[aritana], non attendens ad omnes iniurias tam per ipsam abbatissam quam nonnullos nobi­les mihi illatas, quemadmodum illustrissimo dominio pollicitus fui, promp­tum me aperte ac paratum viva voce ad ignoscendum eidem et absolvendum eandem ac interdicta campanarum levanda promisi ac praedicavi, dummodo ipsamet cum effectu errorem suum recognoscens veniam humiliter postulaverit. [5] Ipsa vero tanquam femina spiritu superbiae inflata, partim malitia sua, partim seductione ac instigatione quorundam nobilium, quos ut inopes ex facultatibus monasterii pane pascit, nullam hactenus veram humiliatio­nem in aliquo effectu, si tantum in verbis monstravit. Putat enim sibi suffi­cere dicere tantum suam culpam nec oportere subicere aliquam paenitentiam. Cumque sic in ea obstinatione perduraverit, cognito ego anno transacto ex quo in excommunicatione perdurat ne praetendere sibi possit ignorantiae velamen, feci eam admonere per vicarium meum quid iura velint agendum cum talibus, respondit se in excommunicatione non esse ne propterea senten­tiae meae penitus oboedire tanquam iniquae et iniustae. [6] Nunc quid agendum sit cum hoc monstro vix discernere queo. Quanvis eam punire possim, tamen /154/ super hac re peto consilium, quin potius oro reverendam dominationem vestram ut iubeat sententiando quid secum agendum sit, eo maxime quod excommunicata ac ecclesiasticas censuras ducens in contemptum totam hanc civitatem infecit ac commaculavit loquen­do cum omnibus ac etiam evocando ad te personas utriusque sexus, cum qui­bus in contemptum et vilipendium nervi ecclesiastici colloquitur, confabulatur, conversatur, qui cum sint una secum excommunicati non aude tamen eos pubblicare excommunicatos ne maior derisio fiat ecclesiastici mandati. [7] Et quia (ut aiunt) munera ligant homines deosque, dicti nobiles pro beneficiis acceptis cupientes gratificari dictae abbatissae procuraverunt se per eam constitui procuratores et syndicos ipsius, qui tamen expensis monasterii Venetias eant iterum atque iterum, temptaturi si quo modo sententiam meam exinanire queant, quam ego manutenebo usque ad mortem, malens patere cul­pam abbatissae quam me tanquam iniustum iudicem meam ipsius sententiam revocare. [8] Conantur propterea impurissimi quidam ex his nobilibus, ii maxi­me qui Venetias veniunt, tanquam syndici auctoritate cuiusdam constitutionis synodalis assumere sibi administrationem rerum spiritualium maximeque fabricae cathedralis ecclesiae meae, quam ad archiepiscopum spectare iustis de causis multisque iuribus et privilegiis. Aestate praeterita tam coram serenissimo dominio quam alias ipsismet nobilibus declaravi, cui declarationi iuris admini­culo contrahere non praevalentes mendicata suffragia ex dominio quaerunt. Ego autem quanquam /155/ illico post Pascha Venetias praestante Domino sum petiturus, ubi loci dictorum syndicorum impetitionem facillime confutare ac refellere potero, et cetera. Paratus interim ac deinceps semper ad mandata eiusdem reverendae dominationis vestrae, quam ad vota valere cupio. Ex Hyadra XXVI Decembris MCCCCLVIII. 323.(381) Maffeo Vallaresso a Pietro Morosini Zara, 26 dicembre 1458 A Pietro Morosini (del ramo veneziano appartenente alla parrocchia di Santa Giustina) M. V. esprime la propria gioia nel sapere che il di lui viaggio si è concluso positivamente; lo ringrazia per avergli fatto avere nuove della città nella quale è giunto (Roma?), e di avergli recapitato copia di una lettere del pontefice [1]; per quanto riguarda M. V., egli sempre è in aperta contesa con alcuni nobili di Zara, i quali hanno minato la sua autorità ecclesiastica; fa cenno a una delibe­razione (evidentemente quella dei Savi di terraferma, per la quale vd. ep. n° 310), di cui i nobili non sono contenti, tanto che affermano essere la lettera (che tale deliberazione trasmette) un falso [2]; chiede perciò al Morosini tutela e aiuto [3]. /394/ Ad spectabilem dominum Petrum Maurocenum Sanctae Iustinae. [1] Ingentis voluptatis loco duxi suaves ac periocundas litteras vestras nuper acceptas,aa Ingentis voluptatis loco duxi suaves ac periocundas litteras vestras nuper acceptas] bonum principium mg. lectas et relectas, ex quibus et incolumitatem vestram (quod erat mihi optatissimum) et amorem erga me mirificum (quod est gratissi­mum) didici et cognovi. Non quidem prius eadem res me lateret, sed quod scribam id rescire denuo visus mihi sum. Illud etiam non mediocris amoris indicium fuit quod curaveritis quid novi feratur in ea civitate me participem efficere. Quod cum mimus vobis sufficeret, ut esset officium vestrum in me cumulatius, adiecistis etiambb etiam] etiam iam ms. exemplar litterarum maximi pontificis ad lega­tum elegantissime ac luculentissime exaratarum, pro quibus omnibus habeo vobis gratias immortales. Haec ad vestras. [2] In facto autem meo id accidit significare vobis: nobiles istos ab institutione primae molestiae quievisse nunquam, quam spirituali ac eccle­siastice iurisdictioni anno supe/395/riori Venetiis coram Senatu inferre cona­bantur, prout iterum conari pergunt, expeditione illa non contenti quam reportarunt super capitulis suis, sicut apparet ex litteris ducalibus, quas audent etiam coram rectoribus huius civitatis Hyadrae falsas ac subrectitias praedicare. [3] Quare, licet superfluum sit commodum et honorem rei ecclesiasticae vobis commendare, tamen ad maiorem cautelae abundantiam (ut aiunt) peto a spectabilitate vestra non vulgari prece, ut, quemadmodum alias amice ac potius fraterne ecclesiae meae iura tum consiliis tum etiam patrocinio vestro aperte tueri ac defendere studuistis, ita nunc, si opus erit, ab improborum fucata impetitione tueamini defendatisque, expectaturi ex alto praemia digna laboribus vestri, quos partim aequitatis ac iustitiae in­tuitu, partim amore mei sustinueritis. Valete in Domino et me, quod facitis, diligite versa vice. Hyadrae, die XXVI Decembris 1458. 324.(382) Maffeo Vallaresso a Candiano Bollani Zara, 26 dicembre 1458 M. V. scrive a Candiano Bollani per riceverne aiuto [1]; l’amico ricorda la controversia con i nobili Zaratini, i quali sono con un pretesto giunti a Venezia, ma con l’intento effettivo di otte­nere una prerogativa sul potere spirituale spettante all’arcivescovo; essendo stati frustrati in tale loro aspirazione, rientrati a Zara, affermano che i documenti emessi dall’autorità veneziana (a vantaggio di M. V.) sono falsi [2]; intendono ora rivolgersi al Senato, per ottenere quello che vogliono con l’arroganza: perciò il Bollani venga in aiuto, essendo la persona che meglio può tutelare i diritti della chiesa cui M. V. è preposto [3]. /395/ Ad prestantissimum dominum Candianum Bollani. [1] Non scripsi hactenus quippiam tibi ne viderer /396/ vel de novo conciliare antiquam amicitiam vel iam conciliatam supervacaneis confirmare sermonibus. Nunc ad scribendum occasio haec fuit: admonere te bellum iam indictum mihi ab ingratis is filiis meis in domino nondum sopitum esse. [2] Meminisse potes oratores illos nobilium Hyadrae anno superiori, sub gratulationis praetextu novo principi praestandae, Venetias advenisse inten­tione potius obtinendorum illorum capitulorum, super quibus ab illustrissi­mo dominio meritam reportaverunt expeditionem. Loquor potissimum de illis tribus ad spiritualem iurisdictionem pertinentibus. Regressi Hyadram iidem oratores hoc blaterare ausi sunt: litteras illas ducales rectoribus directas super expeditione eorundem subrectitias esse nulliusque pensi, inscio princi­pe patribusque conscriptis editas. Nec abfuit quin etiam rectoribus istis hoc idem persuaderent. [3] Nunc iterato partim eosdem partim subrogatos oratores ad Senatum †obtundem†aa obtundem ms : fortasse obtundendum corr. super iure spirituali remittunt, ut quod iure nequiverunt, sal­tem importunitate obtineant. Ego vero, licet non dubitem Senatum non iturum in sententiam improborum, commoveri tamen nonnunquam animos iudicum calida oratoris insinua/397/tione, non video cui potius ac peculiarius quam tibi commendem ecclesiarum mearum commoda etbb et et ms. honorem, quippe quantum ea te ingenii praestantia novi praeditum ac ornatum esse, ut possis dicendo tenere hominum mentes, allicere voluntates, impellere ad honestum, ab iniuria deducere. Eapropter commendo si quid dixi quod nemini vehe­mentius ac fidelius commendarem. Paratus ad quaeque grata et cetera. Datum Hyadrae, die XXVI Decembris 1458. 325.(383) Maffeo Vallaresso ad Alvise Loredan Zara, 26 dicembre 1458 M. V. scrive ad Alvise Loredan, procuratore di San Marco, che gli è strettamente congiunto, essendo suo zio (per parte di madre), e che, dopo suo padre, è la persona cui M. V. con più sicu­rezza può affidare le sorti della propria chiesa e di se stesso [1]; i nobili di Zara, che già avevano ricevuto una risposta dall’autorità veneziana, non si danno per vinti, organizzano una nuova spedizione a Venezia con il fine di appropriarsi dei diritti ecclesiastici, soprattutto delle preroga­tive concernenti la fabbrica della cattedrale, e anche per intercedere a favore della badessa, la quale, contrariamente a quanto sostengo i nobili, non ha mai chiesto perdono al suo vescovo [2]; chiede pertanto a Loredan che, qualora i detti nobili attentino alla deliberazione già assunta dall’autorità veneziana, gli interessi della chiesa di Zara e di M. V. stesso siano tutelati [3]. /397/ Ad magnificum dominum Aloisium Lauredano Sancti Marci procuratorem. [1] Viderer mihi strictissimae propinquitatis qua vestrae amplitudini astringor ius violasse, si vel prosperas vel incommodas res quae in vita acci­dunt vobis minus communes fecerim. Cum enim ipso iure naturali in secun­do gradu filiorum me vobis attinere cognoscatis, facillime mihi diffidentiae culpam obiicere potuissetis, si post genitorem meum cuiquam potius ac confidentius quam v[estrae] m[agnificentiae] vel mearum vel ecclesiae meae causarum pro***** ac tutelam commisissem. [2] Cum itaque nonnulli ex his nobilibus Hyadrae, aut praetextu devo­tionis, aut potius ambitionis inflatione ducti, rerum spiritualium curam et administrationem ultra modum affec/398/tent, non contenti expeditione illa quam aestate proxima praeterita ab illustrissimo dominio super capitulis illis habuerunt, novo quodam modo excogitato, iterato Venetias veniunt, iterum atque iterum si fas erit ecclesiastica iura impugnaturi, maxime super rationi­bus fabricae cathedralis ecclesiae meae, quam ipsi tractare et dilapidare suo more cupiunt, et super absolutione illius abatissae, quae nunquam errorem suum cum effectu recognoscens, absolutionem (ut debuit) humiliter a me postulavit, quemadmodum dicti nobiles et oratores eorum coram praefato illustrissimo dominio eam esse facturam polliciti sunt. Vellent tamen ut ingratis eam absolvam, quae aperte negat se excommunicatam. [3] Quare, confisus vestra erga me singulari benivolentia ac humanita­te, haec breviter praestrinxi, rogans eandem magnificentiam vestram ut, si forte dicti nobiles aliquid contra finalem deliberationem serenissimi dominii innovare temptaverint, ius praedictae ecclesiae deinde honorem meum vobis ex corde commendatum habere dignemini. Si quam super praemissis amplio­rem desideraveritis informationem, perdiscere poteri/399/tis a patre meo, cui res est tam trita, quamcumque volueritis. Valete in Domino. Datum Hyadrae, die XXVI Decembris MCCCCLVIII. 326.(376) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 12 gennaio 1459 M. V. risponde con ritardo alla precedente di Lorenzo, e nel rispondere può sembrare esitante [1]; attendeva sia messi che potessero recapitare la lettera, sia novità che permettessero di affrontare argomenti degni, non contenitori vuoti e ignobili in cui mingere [2]; ha ora l’opportnuità di inviare a Lorenzo una lettera, e preferisce inviarne una vuota, piuttosto che doversi scusare per il ritardo, poiché l’amico non lascia trascorrere occasione di lodarlo – ciò che peraltro rende M. V. assai lieto [3]; una cosa tuttavia dispiace, cioè che Lorenzo lo abbia tanto ringraziato per ogni piccola cosa che M. V. ha per lui fatto [4]; non ammetterà mai di essere vinto nella contesa d’a­more: dovesse pure ricorrere allo scudo di Pallade, insieme con Perseo lo atterrerà come le Gorgoni, né servirà a Lorenzo l’aiuto del vescovo di Scardona: M. V. li vincerà entrambi con un solo colpo della sua spada [5]; per M. V. ospitare Lorenzo è stato un onore così come per Scipione Nasica fu un onore accogliere la dea madre Cibele [6]; accetta l’invito a posticipare il viaggio a Venezia dopo la Pasqua, così da poterlo fare insieme, trascorrendo alcuni giorni all’insegna di dotte con­versazioni [7]. /382/ Ad reverendum dominum Laurentium archiepiscopum Spalatensem responsiva epistula superiorum. [1] Minime mirum tibi videri debet, reverendissime pater, quod nunc paulo maiori dilatione in tuarum ornatissimarum litterarum responsione fue­rim usus, quasi subdubitem et palleam tanquam rhetor dicturus ad aram Lugdunensem,1aa Spalatum] Spaletum ms. ita rescripturus ad novissimas tuas – quarum armoniae sua­vitas sic lectoris animum penetrat et intendit, ut is lector, etiam mutus aut elinguis esset, in voces articulatas facile prorumpere posset –, haerere parumper ac titubare videar. [2] Nam dilationis huiusmodi causa est prima quod tabellarios qui recta Spalatumabb meiere corr. : megere ms. proficiscantur via perraros invenio. Ego enim, si semper haberem cui litteras darem ad dominationem tuam, vel singulas vel binas vel ternas in hora darem, non quidem alti/383/loquentia illa tua uberrima et gra­vissima exaratas, sed plebeio sermone et quasi quotidianis verbis contextis. Altera quod expectaverim nuntios, qui novi aliquid afferrent, quod alte rerum huiusmodi cupientissimum perscriberem et non tabellas ceu lagenas inanes in quas tu (liberius loquar more Zenonis) non solum meierebc1 tanquam rhetor dicturus ad Aram Lugdunensem] cfr. Iuv. I 44 «et sic / palleat ut nudis pressit qui calcibus anguem / aut Lugudunensem rhetor dicturus ad aram». fas est, ut parum verecunde obsignatas et nihil penitus importantes transmitterem. [3] Sed, cum praeter sortem cesserit quod verebar, ut nullis hactenus certis acceptis nuntiis quibus hae litterae tanquam dromedarii Madiam et Effa2d2 tanquam dromedarii Madiam et Effa] cfr. Biblia sacra iuxta Vulgatam, Isaias LX 6: «inundatio camelorum operiet te dromedariae Madian et Efa omnes de Saba venient aurum et tus deferentes et laudem Domino adnuntiantes»; proverbialiter, cfr. exempli gratia Godefridus Admontensis, Homiliae festivales, XVI: «Dromedarii Madian et Epha… Nos, fratres, nos dromedarii illi, scilicet veloces cursores esse debemus, quia non tarde, non segniter, sed omni velocitate et festinantia». essent mittendae, certe vel inanes dimittam, quibus hae tam diu defraudavi, mallens celeritate satasfactionis quam excusationis officium scribendi explere, cum tu in me maxime non solum laudando, sed et onerando, nullum locum, nullum tem­pus praetermittas, quanquam laetissimus sum me abs te, laudato ac ornato viro, et laudari et hornari. [4] «Ea est enim profecto iocundissima laus», ut ait Marcus Cicero, «quae ab iis proficiscitur qui ipsi in laudem et sunt et vixerunt».3e3 Ea est enim ~ vixerunt] cfr. Cic. fam. XV 6,1: «‘Laetus sum laudari me’ inquit Hector, opinor, apud Naevium ‘abs te, pater, a laudato viro’. Ea est enim profecto iucunda laus, quae ab iis proficiscitur qui ipsi in laude vixerunt». Sed id solum est mihi molestum, quod dominatio tua contineri minime queat quin in singulas res meritaque mea, quae /384/ vel parva erga te, vel potius medius fidius quod nulla extant gratias mihi agat – quod nimium verecundius faceret, si vel gravitatis vel dignitatis suae quae est amplissima nomini duceret. Neque enim tantae necessitudini quantae mihi tecum intercedit par videtur desiderare quotidianam gratiarum actionem. Nam, si in vita supersit omnis gratia tua quae tantopere offeruntur, continua mea erga te observantia, indulgentia, assidiutate, caritate impugnabo donec tete expugnatum victumque officis meis fateare, ita ut in deditionem compulsus libentius taceas quam gratiarum actiones tuo more fundas. [5] Nec patiar etiam minime in amoris palaestra, in qua tibi quasi victori trimphum decerni postulas, omnino superes, quem, si aliter vincere nequivero, clipeo Palladis utar, quo protectus una cum Perseo te ut Gorgones humi prostra­tum dabo, ut et in amore et in re militari doctum non inficieris. Nec proderit tibi etiamsi veteranus tuus Scardonensis te adiuvet: uno equidem ensis mei rotatu utrunque vi amoris confodiam. Sed iocandi iam finis. [6] Ego vero non video, pater optime, quod per me /385/ in tua causa sit antehac factum, effectum, confectum quod mihi ad gratiam apponi festi­nes. Si usus es hospitio meo tam libere, tam familiariter, fuit hoc potius specimen unicum singulareque documentum tuae in me fidei ac dilectionis. Quo fit ut credam magis honestatum ac felicitatum hospitium meum ex tanto hospite, quam hospitem decoratum hospitio meo, quemadmodum et Scipionem Nasicam gloriatum ferunt, qui fuit hospes numinis Idei Cybeles matris deorum,1a1 quemadmodum et Scipionem Nasicam ~ matris deorum] cfr. e.g. Val. Max. VIII 15,3: «Rarum specimen honoris in Scipione quoque Nasica oboritur: eius namque manibus et penatibus nondum quaestori senatus Pythii Apollinis monitu Pessinunte accersitam deam excipi voluit, quia eodem oraculo praeceptum erat ut haec ministeria Matri deum a sanctissimo uiro praestarentur»; cfr. etiam De viris illustribus liber (incerti auctoris, ed. Franciscus Pichlmayr, Lipsiae 1911, 25-74), 43,6: «Publius Scipio Nasica, a senatu vir optimus iudicatus, Matrem deum hospitio recepit». qua tu praestantior (addo et sanctior) in mea tecta declinare maluisti, quod non faceres nisi amor suaderet. [7] Quod autem hortaris me ante Pascha non iturum Venetias, parebo consilio tuo, posthabitis etiam negotiis meis, ut te comite vel potius duce illius navigationis cursu confi­ciam. Nihil erit hac societate iocundius, gratius, fructuosius. Stat itaque sententia post Pascha, qua die libuerit tuae dominationi, solventes Hyadra vela dabimus austris, hoc tamen pacto, ut ipsa dominatio tua prae­occupare dignetur aliquot dies quibus tanquam Saturnalibus non epycureae sed stoycae ac peripateticae /386/ voluptati operam demus. Longius si te quam constitueram epistula dilatavit, tu verbositati veniam dabis. Ita enim tecum loquor, quasi mihi adsis cum scribo, quo nihil libentius facio, dum id fiat gratiae tuae, cui me commendatum sinas, reverendo patri Scardonensi et cetera. Vale. Datum Hyadrae, die XII Ianuarii MCCCCLVIII. 327.(377) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 13 febbraio 1459 M. V. scrive di nuovo a Lorenzo Zane, il quale non ha ancora risposto alla precedente, contra­riamente alla sollecitudine che gli ha altre volte manifestato; ma ciò è forse dovuto alle inezie di cui era costellata la precedente lettera, nella quale, tuttavia, M. V. gli chiedeva di stabilire la data della partenza per Venezia [1]; non può pensare che la lettera sia andata persa a causa del por­talettere, nel qual caso non esiterebbe a esprimergli nuovamente la gioia dell’invito ad recarsi insieme a Venezia e quindi al concilio convocato a Mantova dal pontefice (Pio II): gli chiede perciò di definire una data per la partenza [2]; gli ricorda una promessa fatta a proposito di un’opera compiuta da Lorenzo e dedicata a M. V.; dà notizia della morte di un Pietro Bembo, suo parente, che aveva da poco respinto la nomina a duca di Creta (Candia), e in luogo del quale è stato ora nominato Ludovico Foscarini; Zaccaria Trevisan è podestà di Verona, il padre di M. V. è prefetto di Zara; sta trascrivendo l’Antidoto di Lorenzo (Valla), gli chiede di provvedere alle Elegantiae e di inviargliene una copia [3]. /386/ Ad eundem reverendum dominum Laurentium archiepiscopum Spalatensem. [1] Non temere hoc fit cum reverenda dominatio vestra, quae ad respon­sionem mearum non modo vigilantem curam sed maturam quandam celeritu­dinem olim semper adhibere consueverit, nunc ita se a scribendo retraxerit, ut se vel affectam taedio quodam, vel quasi obtusam ineptis meis (quod minime credo) fateatur. Licet enim superioribus diebus, cum responderem ad postre­mas tuas, multa congesserim in tabellis meis risu digna easque tabellas cuidam Scardonae Hyadertino ad dominationem tuam perferendas dederim, nihil tamen in eis fuit praeter constituendum tempus et diem profectionis Venetias utriusque nostrorum quod abs te responsionem desideraret. [2] Nec possum adduci ut credam tam fidum /387/ tabellarium prolapsum in vitium perfidiae, ut tanto domino non vulgares litteras perferendas neglexerit. Quod si factum evenisse, certo scirem, easdem nunc iterato recensere non erubescerem, ut eadem dominatio tua intelligat a me magnae voluptatis loco ductum hoc fuisse, quod me invitaveris ut una Venetias inde Mantuam ad constitutam a pontifice maximo dietam contendamus. Et quia hoc decretum tuo arbitrio reliqui neque scire ex te possum quid statueris quidve circa hanc profectionem nostram decreveris, iterum atque iterum te maiorem in modum quaeso ut et ad supe­riores et ad has novissimas semel respondeas tuamque sententiam dicas. [3] Memineris quae pollicitationes tuae ultro mihi cum essem Spalatiaa Spalati] Spaleti ms. factae, videlicet de opere illo per te condendo eodemque nomini meo tua humanitate destinando dedicandoque. De rebus novis curiae per tuos te satis admonitum credo nihilque audio accidisse quod sit ignotum tibi. Acta civi­tatis nostrae etiam non dubito patere dominationi tuae. Dominus Petrus Bembus propinquus meus ducatum Cretae suffragiis comitiorum consecutus, tandem /388/ abiecit ac respuit. Deinde paulopost hypoplesis (ut vulgo dicunt) morbo trium dierum spatio vi valetudinis lecto decubans exalavit animam. In cuius locum dominus Ludovicus Fuscarenus subrogatus fuit. Dominus Zacharias Tri[visanus] potestas Veronae designatus. Pater meus praefectus Hyadre. Reliqua comitia ab aliis scibis. De Ianuae novitatibus diversos ha­buimus nuntios, eosdemque incertos et vulgares, quorum nulli adhaereo. Antidotum Lau[rentii] lento gradu vel potius lento calamo transcribitur. Tu interim Elegantiarum habeto curam opusque promissum edere festinanter. Vale et mutuo me ama. Ex Hyadra, die XIII Februari MCCCCLVIII. 328.(171) Maffeo Vallaresso a Pasquale Malipiero Zara, 14 febbraio 1459 M. V. risponde a una lettera del Doge, il quale gli intima di togliere la scomunica e l’interdetto che ancora grava sulla badessa e le monache di Santa Maria; evidentemente gli oratori inviati dai suoi avversari a Venezia sono riusciti a mettere in dubbio le ragioni di quei provvedimenti; d’ora innanzi la disciplina ecclesiastica sarà compromessa, e i suoi avversari si vanteranno di aver ottenuto ragione grazie all’autorità del Doge (Jelic, 80-81). /155/ Serenissimo principi domino domino Pasquali Maripetro duci Venetorum.bb Responsio super facto absolutionis monialium mg. [1] Litteras vestrae sublimitatis a magnificis rectoribus vestris heri acce­pi easque legi cum et qua decuit reverentia, nec sine animi magno dolore, considerans id mihi accidisse, quod nec sperabam nec augurabar ut causa mea, quae per se iustissima est atque honestissima, calida ne dicam nefaria Hyadrensium oratorum narratione, dubia redderetur apud vestram celsitudi­nem ac iniusta, quemadmodum eiusdem celsitudinis vestrae litterae persona­bant. In quibus scribitur molestum fuisse vestrae serenitati quod ea equidem debitae non miserim executioni, quae eidem superiori tempore promiseram, tam circa absolutionem abbatissae et monialium Sanctae Mariae de Hyadra, ac remissionem excommunicationis atque interdictorum omnium amotio­nem, quam circa rem, et cetera. [2] Nunc autem, absoluta et ab omni inter­dicto levata pro tantis enormitatibus impunis effecta, peiora deinceps aggre­dietur, confisa nobilibus suis qui gloriantur in malitia sua, iactantes se a serenitate vestra contra me indigna quaeque obtinuisse, eoque fit ut nervus ecelesiasticae disciplinae quasi fractus amodo incedere cogatur, et cetera. Nec aliud in praesentiarum. Almam et inclitam /156/ personam vestram custodiat et protegat omnipotens Deus. Ex Hyadra die XIIII Februarii MCCCCLVIII ab incarnationis. 329.(172) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Spalato, 17 febbraio 1459 Dopo aver professato la sua inferiorià culturale con una serie di luoghi comuni assunti dalla più trita mitologia, Lorenzo Zane dà notizia della venuta del padre di M. V. a Zara con ufficio di capitano; spera di raggiungere M. V. a Zara trascorsa la Pasqua (ma il testo, viziato da alcune mende, e probabilmente anche dalla fretta con cui è stato composto, e che è in fine dichiarata, appare in più luoghi oscuro: bona epistola forse solo per la notizia della venuta del padre; Jelic, 81). /156/ Lau[rentius] archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi.aa Bona est epistola mg. [1] Tandem tuis litteris respondebo, sed expediam me paucis, et hoc non quod (etsi meis sint responsivae) non multa dicenda sint, sed ne ipse tiro vete­ranum videar velle superare, quod esset aerem pugnis percutere, quandoquidem (ut mihi videris) te Palladis clipeo protegis et Mercurii gladio defendis. Conabor tamen aliquando de fonte pedis percussione natoaa nato corr. : natum ms Jelic. bibere seu labra humidare, quominus, cum in campum discendero, videar somniasse in Cithaerone et Helicone montibus. De navigatione nostra nihil opus est dicere. Versa enim est in reversionem seu mansionem, ut puto duabus rationibus, quarum altera tua est, altera mea, immo utriusque. In illa patrem tuum intellige Hyadram profec­turum officii capitaneatus causa, quod ei mandatum esse gaudeo, laetor ac si sororium meum hic praetore viderem. [2] In hac electionebb electione Jelic : electionem ms. Mantuanae civitatis et Utinensis omissum ostendo, quo fit ut, nisi certo intellexero reverendissi­mum dominum Avinionensem aut alios quosdam Venetias venturos, hinc hoc anno discedere non decreverim, navigaturus tamen ad tuam dominationem Hyadram factis festis paschalibus solatii et te videndi gratia, modo intelligam tuam paternitatem vel non ituram Venetias, vel saltem mansuram ad illud usque tempus. Quae omnia te non pigeat mihi tuis litteris scribere, quod ut faciat rogo /157/ atque iterum rogo. Ardeo equidem cupiditate te videndi et alloquendi. Vale, mi amantissime domine, cum omnibus tuis et domino Symone nostro qui mihi carissimus est. Spalati die XVII Februarii MCCCCLVIII. Festinanti calamo et non revisa. 330.(384a) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 28 febbraio 1459 M. V. ringrazia Lorenzo Zane per la risposta, nella quale, secondo lo stile dell’amico, ogni parola ha la forza di una sentenza intera; per rispondere adeguatamente, M. V. dovrebbe comporre un commentario [1]; nella sua precedente missiva, Lorenzo ha scritto di volersi abbeverare alla fonte dell’Ippocrene (De fonte caballino), per poter scendere a contesa (evidentemente poetica, da disputare con M. V.), e sembrare di aver sognato con il poeta Ennio sul Parnaso; M. V. replica, citando il poeta satirico Persio, nato a Volterra, il quale (nel Prologo alle Satire) irride quanti ritengono di essere poeti per aver bevuto a quella sacra fonte, o per aver sognato sul Parnaso; peraltro accingersi a un combattimento avendo bevuto acqua è dannoso, come insegna Ippocrate: ci vuole altro, ché anche Orazio ricorda come la virtù di Catone si accendesse con il vino [2]; non consente con Lorenzo, il quale sostiene che il progettato viaggio alla volta del Concilio non potrà realizzarsi, causa l’indecisione del pontefice, che non ha ancora scelto fra Mantova e Udine; al contrario M. V. è sicuro della volontà del pontefice [3], il quale da Assisi si recherà a Mantova, dove M. V. intende recarsi dopo la Pasqua; perciò se Lorenzo vuole vedere M. V., è opportuno che venga a Zara durante la quaresima, non dopo, perché rischierebbe di sperimentare il tedio anzi­ché il divertimento [4]; da Venezia nulla di nuovo, se non la notizia del matrimonio della sorella di M. V. con Giovanni da Canal [5]. /399/ Ad reverendissimum dominum Lau[rentium] Zane, archiepiscopum Spalatensem.aa Ad reverendissimum dominum ~ Spalatensem] bona est epistula mg. [1] Responsum est litteris abs te, praesul dignissime, non modo bre­viter (ut res postulabat), sed graviter, graviterque ut moris est tui, qui lepi­dum servans rerum omnium decorem, quod est oratoris proprium accomo­date atque ornate dicere consuesti, ut de tuae dominationis scriptis ac dictis id merito dici queat quod de Iob libro divus inquit Hieronymus: «quot verba tot sententiae».1bb Citerone corr. : Cicerone ms. Equidem, ut de me fatear, si ad tuas condignam (ut par est) responsionem navare semper vellem, non una profecto pagella con­tentus essem, sed commentariis potius opus foret. Nunc Palladis clipeum missum facio. [2] De fonte caballino loquamur, de quo tua dominatio non modo gustaturam, verum potaturam se probe minatur, quominus, cum in cam­pum ad certamen descenderit, somniasse videatur cum Ennio in Parnaso. Ego vero non puto tuae amplitudini tantam frugalitatem amplectendam ut /400/ in campum descensurus de fonte illo bibas cum Ennio et Musis, quasi non eque obiiciatur eidem Ennio a Flacco Persio Volterrano poeta, quod et proluisse humidasseque labia fonte illo et somniasse in Citeronebcc appotum] a potum ms. ac Elicone montibus gloriatus sit, ut sic repente poeta prodiret,2d1 quot verba tot sententiae] locus non reperitur, sed cfr. Hier. Tractatuum in psalmos series altera, 92: «quot verba, tot sensus: quot versiculi, tot sacramenta»; vide etiam Hier. Tractatuum in psalmos series altera, 82: «singula nomina habent singula sacramenta: quot enim verba, tot mysteria»; et Hier. Epistulae, 53, vol. 54, § 9: «Apocalypsis Iohannis tot habet sacramenta, quot verba». quemadmodum te pugilem in campum discessurum appotumce2 quasi non eque obiiciatur ~ poeta prodiret] cfr. Pers. Prologus, 1-3: «Nec fonte labra prolui caballino / nec in bicipiti somniasse Parnaso / memini, ut repente sic poeta prodirem». aqua ipse gestire videaris. Quod esset contra et priscorum et recentium athletarum instituta, quibus ad cer­tamen prodituris non aqua potanda more tuo quae maxime sui gravitate stomachi potissimum ieiuni, teste Hyppocrathe, vim perimit ac prorsus enecat, sed potius veteris Bacchi potio leviter attingenda praeberi solet. Legitur enim «et prisci Catonis», ut inquit Horatius,aa Horatius] Oratius ms. «saepe mero incaluisse virtus».1 Haec per iocum, tabellario hoc archipresbitero Arbensi cui tales crederem litteris confisus. [3] Nunc ista serio dicta accipe: a modo tuae dominationis sententiae de navigatione nostra promulgata me omnino reclamare nec admisisse aut admittere aprobareque rationes illas quibus addu/401/cis profectionem nostram iam versam esse in reversionembb reversionem nostram ms1 : del. nostram ms2. seu mansionem, quod maximus pontifex dicas electionem Mantuanae civitatis ac Utini obmisisse, quod in verum nobis non constat, cum potius ab universis credatur quanta est eius constantia ac religionis Christianae tuendae ardentissima voluntas non deflexurus currum iam incitatum a cursu donec perficiat et expleat quod palam universo fere orbi est pollicitus. [4] Nam et pauloante audivimus sanctitatem suam Assisum venisse, ubi loci duos menses consumet (ut inquiunt), inde recta proficiscetur Mantuam. Certum est ergo mihi domi­no favente post Pascha illico navigare, qui prius non potuicc potavi ms1 : del. potavi et scripsit potui ms2. tui expectatione deceptus. Si qua nunc mei visendi et alloquendi cupido tibi, hortarer reve­rendam dominationem tuam hac potius quadragesima Hyadram versus iter arrepturam,dd arrepturam] arreptumam ut vid. ms. 1 Cfr. Hor. carm. III 21,10-11: «narratur et prisci Catonis / saepe mero caluisse virtus». ne forte postea in casus veniens solacium comitare taedio cogaris. Itaque non absque retibus venias, si venire cupis, quibus trahendis uter nostrum sit aptior iudicet dominus Scardonensis, qui si amore decep­tus falso iudicaverit ipse solus potatus /402/ aqua et azimo pane satur trahat. [5] Novi ex Venetiis merito significandi amplitudini tuae habeo nihil, praeter nuptias sororis meae quam nuperrime locatam accepi iuveni medius fidiusque non infimo loco nato, Iohanni de Canali olim magnifici equitis domini Hieronymi. Puto reverendae dominationi tuae, quanta est eius erga me ac meos benivolentia, hunc nuntium non ingratum fore. Faustam ac felicem hanc copulam faxit Deus. Tua reverenda dominatio valeat cum utroque germano cumque reliquis omnibus, non praetermisso domino Thoma. Datum Hyadrae, die XXVIII Februarii MCCCCLVIII. 331.(173) Maffeo Vallaresso a Giovanni Canal Zara, 1 marzo 1459 M. V. ha saputo che Giovanni da Canal è promesso sposo a sua sorella: ne è felicissimo, e si augura di poterlo presto incontrare. /157/ Ad nobilem iuvenem Iohannem de Canali sororium meum.aa Congratulatoria mg. Nudius tertius accepi pergratas ac iocundas litteras tuas, quibus lectis et confirmatum et auctum ampliori gaudio sensi animum meum cum intellige­rem quod et intellexeram ex litteris magnifici domini genitoris mei, sororem videlicet meam sacro matrimonii foedere tibi optimo iuveni locatam. Sane quam faustissimas fore has nuptias confido, quas Deus immortalis sua benedic­tione felicitet ac secundet ad vota. Plura in praesentiarum dicturus non sum, cum propediem (ut spero) tecum quae restant ad os coramque sim locuturus. Ut autem ad finem epistolae properans conclusive dicam quod animi habeo, talem mihi sororium optatissimum semper fuisse nunc divino munere datum, ita carissimum te mihi esse, ut nihil supra proindeque in quinti fratris locum te adnumeraturum in intimis amoris praecordiis complector, compexumque ad usque vitae huius finem tenebo. Vale et me fraterno more utere. Ex Hyadra primo Martii MCCCCLVIII ab incarnatione. 332.(174) Maffeo Vallaresso a Maffeo Contarini Zara, 6 marzo [1459] M. V. ha adempiuto quanto imposto dal Doge, ha cioè assolto la badessa di Santa Maria di Zara; non lo ha fatto per paura, ma per non causare inconveninienti peggiori; intende partecipare al prossimo sinodo; chiede in merito, se possibile, di differirlo a dopo la Pentecoste, in modo da ricevere prima il padre, che è in procinto di venire a Zara in qualità di capitano. /157/ Ad reverendum dominum Mapheum patriarcham Venetiarum. [1] Scripseram superioribus diebus ad reverendam dominationem vestram de protervia ac teme/158/ritate illius abbatissae quantum erat. Quid deinde actum quidve secutum sit per illustrissimum dominium ad instantiam quorun­dam syndicorum comparentium coram illo – ordine, vice ac nomine dictae abbatissae –, puto iam eidem dominationi vestrae innotuisse. Ego enim, intel­lecta voluntate eiusdem illustrissimi dominii, non potui facere quin eam absol­verem contra omnem iuris dispensationem. Non tamen timore aliquo id feci, sed ut obviarem gravioribus inconvenientibus volui potius cedere de iure meo ac contra meam ipsius venire sententiam. [2] Ad ultimas igitur litteras dominatio­nis vestrae datas XVI Februarii proxime praeteriti non est alia opus responsione, nisi me fecisse quod faciundum hortabamini. Habeo gratias eidem vestrae dominationi reverendae, quae in consulendis mihi rebus tutioribus ita diligens fuerit, quod video non aliunde quam ex caritate procedere. Spero autem eandem dominationem vestram et videre et alloqui post Pascha illico. [3] Nam eo tem­pore Venetias auxiliante Deo venturus sum gratia synodi cui interesse cupio. Placeat igitur dominationi vestrae nullo pacto praeterire quin eandem synodum tempore statuto celebret. Si tamen prolongari posset usque ad Pentechostes, gratissimum mihi foret, cum ob alias causas tum maxime propter patris mei adventum, qui istuc capitaneus paulo post Pascha venturus est, quem hic mal­lem expectare quam ipse Venetias eundo interrumpere aut aliquo modo profec­tionem eius impedire. Qua quidem in re, si quidem reverendissimae dominatio­ni vestrae decuerit, faciat etiam me certiorem per suas litteras. Hyadrae VI Martii. 333.(378) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Spalato, 5 aprile 1459 Lorenzo Zane risponde a M. V., scusandosi per il ritardo, di cui dà la spiegazione [1]: aveva abbandonato gli studi letterari, ora ad essi rivolge ogni sua forza fisica e mentale, avendo lasciato la città (Spalato) ed essendosi ritirato in un’abbazia (quella di Santo Stefano), dove è la vera pace, mentre in città dilagano i vizi [2]; nella sua attuale residenza, come Plinio il giovane, non inter­rompe mai l’attività di studio e di scrittura, la quale è unico ornamento nella nostra vita che non può esserci tolto [3]; ha ricevuto tre lettere di M. V., e a tutte risponde qui in breve [4]; alla diocesi di Padova è stato ben provveduto, tuttavia, come pare, la soluzione durerà poco tempo (riferimento a Pietro Barbo, neoeletto vescovo, il quale avrebbe tenuto la carica per un anno solo, essendo la sua consacrazione avversata da Venezia, che gli opponeva Jacopo Zeno); [5]; si complimenta per le nozze della sorella di M. V., e gioisce per la deliberazione assunta da M. V., quella cioè di attendere lì suo padre, e di non partire: ciò che assai preme a Lorenzo, il quale spera ardentemente di vedere M. V.; ciò non potrà capitare prima che sia compiuta la festività di San Doimo, patrono di Spalato, festeggiato il 7 maggio [6]; M. V. continui a scrivergli, e sappia che Lorenzo sta componendo un’o­pera che indirizzerà al solo M. V.; l’opera, tuttavia, non verrà pubblicata, se M. V. non gli garan­tirà che essa non sia nociva per lo stesso Lorenzo; M. V. non sia tuttavia impaziente: occorre tempo, e vi è grande differenza tra chi giudica e chi è giudicato, perché chi è giudicato rende conto del proprio lavoro, chi giudica non rende conto del proprio giudizio [7]. /388/ Responsiva ad proximas superiores per ipsum reverendum dominum Laurentium archiepiscopum Spalatensem. [1] Quid nunc tibi respondeam, praeses dignissime? Aut quibus verbis tarditatem hanc meam excusem? Occupatum fuisse me? Quae potuit esse occupatio tanta per quam facultas non fuerit respondendi? Te oblivioni tra­ditum a me? Quo pacto id vel a me committi vel tibi persuaderi posset? Alieniorem fuisse animum? Deum testor te mihi esse carissimum atque in di/389/es multo effici cariorem. Quid ergo fuit? Dicamne id ego? [2] Dicam equidem. Nempe nihil nisi vita quaedam dimissa, otiosa et litterarum studiis dedita. Ad quorum hactenus factam intermissionem restaurandam (verecun­de quidem dicam sed necessario, ne vel obliviosus vel negligens videar apud te) omnes et ingenii vires et corporis nervos intendo, siquidem urbe relicta abbatia inhabito tanquam ruri traditus, cui et utilitatem et iocunditatem et honestatem et laudem. Urbi autem damna, acerbitates, vitia, vituperia inesse fuisseque semper et multorum auctoritatibus ostendi potest et plenae sunt librorum tabellae. [3] Nunc profecto videor posse merito dicere cum Plinio illo, qui in venationem et ad rete sedens a litterario negotio non cessabat,1 quandoquidem mihi non ambulanti, non quiescienti, non viridaria paranti ulla est litterarum intermissio, quippe qui quotidie lego, scribo et forte com­mentor aliquid ac addo quaesitis, quanquam «nihil dictum quod non sit dictum prius».2b1 cum Plinio illo ~ non cessabat] cfr. Plin. Ep. I 6,1: «ego ille, quem nosti, apros tres et quidem pulcherrimos cepi. ‘Ipse?’ inquis. Ipse; non tamen ut omnino ab inertia mea et quiete discederem. Ad retia sedebam: erat in proximo non venabulum aut lancea, sed stilus et pugillares; meditabar aliquid enotabamque, ut, si manus vacuas, plenas tamen - ceras reportarem». Haec et enim sunt ornamenta quae neque igne neque gladio nec alio fortunae impetu auferri possunt. Ii sunt gradus per quos ad caelum ascendimus, /390/ idest ad immortalitatem. Hoc denique pacto vivus efficior, qui quasi cum mortuis elegisse videor. [4] Quapropter, clementissime praesul, feres tu aequo animo me idem fecisse in te, quod in ceteris feci etiam mihi sanguine convinctissimis. Tres ego quasi uno tempore accepi epistulas, quas tu diversis temporibus scripse­ras: primam III idus Februarii, alteram pridie Kalendas Martii, tertiam VIII Idus eiusdem. [5] Ad quas et paucis respondebo, et nunc non multa scribam rationibus antedictis, etsi non pauca dicenda sunt, ecclesia potissimum Paduana praebente longam loquendi materiam, cui laetabar plurimum de persona tanti domini provisum esse. At in praesentiarum non possum non dolere provisionem eandem tam paucis diebus (ut videre videor) duraturam. Causa tuae dominationi non obscura. Et satis de hoc. [6] Gratulor tibi nup­tiis sororis tuae. Gaudeo mihi tuo novo decreto de p[at]re istic praestolando. Nam spero eum futurum in c[aus]a, ut non hoc anno istinc discedas, quod, si non tua c[aus]a, saltem mea exopto, hominis certe tui videndi ardentissimi. Quod re ipsa non video posse perficere, nisi beatissimi Doymi /391/ sanctae Salonitane ecclesiae primi antistitis festo transacto, quod sumus habituri nonis Maii. [7] Quare, ut iam et calamo requiem et incepto a me operi (a †valleis†a2 nihil dictum quod non sit dictum prius] cfr. Ter. Eunuchus, 40: «nullumst iam dictum, quod non sit dictum prius»; Hier. Commentarius in Ecclesiasten, 1, 9: «quid simile sententiae et comicus ait: nihil est dictum, quod non sit dictum prius». praeceptis non discedenti) operam demus, velim et ignoscas mihi rarius quam solebam ad te scribenti, et immo non omittas quin me saepe ac saepius tuis epistolis visites. Quorum utrunque ut facilius exorem a te, scito me quaedam ordiri tuo soliba valleis ms, ut vid., fortasse validis corr. nomini dirigenda, non tamen ut opus exeat, nisi iudicaveris non nociturum mihi correctum a te. Verum, quia tuis in litteris de illo con­dendo mihi ad memoriam ducis, rogo ne festines. Non enim omnia brevi tempore vel studio vel aetate vel etiam metu possum. Quibus omnibus mihi ignoscendum erit, si non tam celeriter opus misero, siquidem multum inte­rest inter scribentem et accipientem: hic enim iudicat, ille iudicatur; hic sui facti, ille non sui iudicii rationem redditurus est. Vale et me tantum tuum esse ac fore tibi persuade, quanta et tu ipse vis et ego debeo, quorum primum ex altero, non autem ex primo alterum pendet. In abbatia Sancti Stephani Spalatensis diocesis, nonis Aprilis MCCCCLVIIII. 334.(384b) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Venezia, 5 maggio 1459 Da Venezia, dove è giunto con il proposito di raggiungere la curia pontificia, la quale, a sua volta, è al momento in viaggio verso Mantova, M. V. scrive al cardinale Pietro Barbo; sperava di incontrarlo, ma ciò non è accaduto per un malessere del cardinale, sofferente causa il fuoco di S. Antonio; M. V. si è impegnato in ogni modo a mantenere alta la buona fama del suo mentore presso i più influenti politici di Venezia, i quali sovente ascoltano le sue parole. /402/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. Noverit reverenda dominatio vestra me nuper ad hanc civitatem venisse spe etiam adeundi curiam quae Mantuae futura est, et rivesendi humanissimam dominationem vestram diuque desideratam. Huc autem loci adventus, rem vestram ita dispositam (ut optabam) nequaquam repperi. Doletque mihi cordetenus levi causa hunc foculum suscitatum, qui si com­burere nequeat etiam curandum est ne adurat. Ego interim optimi servitoris officio fungar /403/ procuroque honorem domini mei quantum vires sinunt. Ardens tamen voluntas magnusque animus loqui pro conservanda hac exi­stimatione dominationis vestrae apud primates nostrae civitatis, quorum permulti me pro eorum humanitate adeuntes libenter audiunt, non defuit mihi neque in futurum deerit. Quid aliud in praedicta causa dicam certe nescio, cum merito sciam eandem dominationem vestram reverendam in rebus omnibus prudentissimam semper fuisse, neque ignorare quibus unguentis haec scabiei prurito sit modificanda. Ad alia me offerre superva­caneum arbitror, qui ad omnia paratus sum propter vestram reverendam dominationem quam feliciter valere cupio. Ex Venetiis, V Kalendas Maii MCCCCLVIIII. 335.(385) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Venezia, 25 giugno 1459 M. V. scrive a Pietro Barbo per la morte del cognato (marito della di lui sorella: sororius): il cardinale saprà affrontare il dolore nel modo in cui Catone seppe sopportare la morte del figlio, che non pianse, perché riteneva di dover superare con la sua virtù l’invidia della sorte. /403/ Ad eundem reverendissimum dominum cardinalem Sancti Marci. Cum sciam reverendissimam dominationem vestramab soli] solius ms, ut vid. quanta est eius sapientia humanos casus moderatissime ferre non puto mea interesse ut eam consoler propter sororii mortem, quem licet eadem dominatio vestra reveren­da supra modum diligebat, sciebat tamen eundem aeque ac nos omnes mor­tem obnexum acba Cum sciam reverendissimam dominationem vestram] Consolatoria mg. moriturum quandoque. Sed putemne dominationem vestram dolorem /404/ inde accepisse? Nihil magis hunc ipsum dolorem put vulgarem non fuisse. Sed qualem Cato ex morte filii tulit, quem ideo lugere omisit quod eum fortunae invidia quam superare virtute contendebat interceptum crediderit.1cb ac add. s.l. Nunc eiusdem reverendae dominationis vestrae est constantiam servare eiusque imaginem prae se ferre, spemque relictis osten­dere, ut optimum patrem decet. Ego hic sum pro causa quadam decimarum ad ecclesiam meam spectantium, ubi loci quicquid possum pro honore vestro augendo cumulandoque enitor manibus ac pedibus. Valeat reverenda domi­natio vestra cui meam parvitatem et cetera. Datum Venetiis, die XXV Iunii MCCCCLVIIII. 336.(175) Maffeo Vallaresso al capitolo di Zara Padova, 2 ottobre 1459 Da Padova scrive ai chierici del suo capitolo, affermando che, come l’apostolo Paolo si dichiarava in debito con tutte le genti, così egli è in debito con loro per la benevolenza sempre a lui manife­stata; pur lontano materialmente, è sempre spiritualmente vicino, e sempre si sente impegnato a parlare con loro, cui raccomanda una vita coerente con la scelta religiosa compiuta; siano inoltre obbedienti al vescovo di Nona, suo luogotenente e vicario; gli scrivano per qualsiasi occorrenza egli possa riuscire d’aiuto (Jelic, 81-82). /158/ Capitulo Hyadrensi. [1] Mapheus Vallaresso, archiepiscopus Hyadrensis venerabilibus et /159/ dilectis filiis fratribusque in Christo, praelatis et canonicis nostrae Hyadrensis ecclesiae, salutem in eo qui est vera salus. Cum dicat eximius gentium doctora1 Cfr. Plutarchi Cato maior, 24,6: . d. p.esß.te... .... .te.e.t.se st.at...., .a. µ.µ..ta. µ.. a.t.. p....... .. t... ß.ß..... . ..t.. .. ..d... ..a... .e....t.., p.... d. .a. f...s.f.. ...eta. t.. s.µf.... ..e..e.. .a. µ.d.. .µß..te... d.. a.t.. e.. t. p...t... .e..s.a.. se debitorem esse cunctis gentibus, Iudaeis primum et Graecis, possum itidem ego dicere et asseverare me praesertim universitati vestrae in multis debitorem esse et obligatum, in generali et in particulari, primum ad exhibendam vobis sincero affectu paternam dilectionem, qua ita vobis afficior ob singulares virtutes vestras atque ob reverentiam et oboedien­tiam mihi a vobis semper habitam, ut animam meam pro commodo et hono­re vestro, si opus sit, exponere periculis non verear, tum ad commonefacien­dos et exhortandos vos in domino ad bene beateque vivendum. [2] Quid enim aliud significat baculus ille pastoralis, quo omnes pon­tifices in pontificalibus utuntur, nisi disciplinam spiritualem, qua grex ani­marum ducitur et dirigitur ad vitam salutis aeternae? Ego autem, licet absim a vobis corporali praesentia, spiritu tamen ita praesens adsum, ut mihi videar universos vos intueri et alloqui. Quae sint igitur alloquutiones? Nempe huiusmodi, ut recognoscatis statum et vocationem vestram, qua vocavit vos Deus ad gratiam suam, ut sitisba eximius gentium doctor] Paulus apostolus mg. clerici, hoc est de sorte Domini, ut serviatis Deo in toto corde vestro, abiicientes a vobis omnem immunditiam et cupi­ditatem huius seculi, inhaerentesque sanctorum patrum vestigiis secundum possibilitatem fragilitatis humanae, memores etiam dignitatis vestrae, quae est canonicorum, hoc est regulariter viven/160/tium. [3] Vos enim estis primi post pontificalem dignitatem, qui in primis tenemini canonice, hoc est secundum regulam evangeliorum Christi vivere ac alios ad ita vivendum inducere, quoad potestis. Rogo itaque vos omnes, ut tam honeste ac pure conversari et vivere studeatis, ut omnis materia de vobis detrahendi ac mur­murandi laicis, qui clericis oppido sunt infesti, prorsus adimatur. Insuper ecclesiam ac divina officia frequentetis, et reverendo patri domino episcopo Nonensi tanquam locumtenenti necnon domino vicario nostro reverentiam exhibere studeatis. Interim vero, siquid me videtis scire ac posse, quod cedat ad utilitatem ornamentumque vestrum, scribatis ea fide qua filii ad patrem. Ego enim quantuluscunque sim, vestrum me profiteor. Valete omnes. Ex Padua, die II Octobris MCCCCLVIIII. 337.(176) Maffeo Vallaresso a Matollo, arciprete di Zara Padova, 2 ottobre 1459 M. V. scrive all’arcipresbitero Matollo (o forse Matoldo?) per comunicargli che lo pensa, che sempre troverà occasione di scrivergli, anche solo per gioco, e spera che lui faccia altrettanto; si trova a Padova per rintemprare l’animo e il corpo; non c’è bisogno di raccomandargli la sua chiesa (Jelic, 82). /160/ Domino presbytero Mathollo archipresbytero Hyadrensi.ab ut sitis Jelic : ut scitis ms. Ne videar tui oblitus, quotienscumque nactus fuero scribendi ad te opportunitatem aliquam, eam non omitto.ba Mathollo ms : Matholdo Jelic, fortasse recte. Licet autem in his nihil habeam dignum quod ad te scribam, nam vel impertinentiam scribam, ut scias me velle id ipsum te facere, ut cum non habes quae scribas serio, saltem quod scribas ioco invenire studeas. Quaecumque enim ad me scripseris, ob singularem amo­rem quem erga te habeo, iocunda erunt. De nobis, ut scias quod agatur, noveris nos omnes gratia Dei sospitate frui, Paduaeque ad praesens esse nomini conso­latione spirituali ac corporali. Superfluum puto commendare tibi ecclesiam et fabricam eius, /161/ quas tibi esse non dubito, et cetera. Tu vale. Ex Padua die II mensis Octobris MCCCCLVIIII. 338.(177) Maffeo Vallaresso a Natale, vescovo di Nona Padova, 2 ottobre [1459] M. V. ha affidato a Natale un incarico difficile, quello cioè di sostituirlo nella cura dell’arcidio­cesi, e, stante la considerazione che ha di lui, lo ha fatto con la fiducia che avrebbe usato nell’af­fidare quell’incarico al proprio stesso padre; non è però contento del fatto che alcuni chierici siano promossi alla dignità sacerdotale: non ne sono degni, e se hanno ottenuto l’avanzamento, è stato per loro insistente richiesta, non per loro autentica vocazione; vorrebbe che per ottenere una tale promozione, essi se ne dimostrassero davvero degni; quanto alla questione relative alle monache, le quali chiedono di cambiare i loro cappellani, siano ricollocati nei loro ruoli i vecchi e precedenti cappellani (Jelic, 82-83). /161/ Reverendo patri domino Natali episcopo Nonensi locumtenenti Hyadrae. [1] Ex litteris vestrae paternitatis nuperrime acceptisab ad te ~ non omitto] Lege principium mg. ac iocundo animo perlectis, consideravi vestrum officiosum atque ardentissimum animum non minus erga me ipsum quam erga ecclesiam in clericosque meos quos eidem paternitati vestrae commendavi. De qua tantum mihi polliceor, immo tan­tum praesumo, ut ipsum onus, quod omnium difficillimum humerisque meis peculiariter deferendum, in eiusdem paternitatis vestrae dorsum magno subnixum virtutis robore, ea familiaritate, ea fide reiiecisse videar ad aliquid tempusculum, ut non familiarius id facere adversus patrem ipsum potuissem. Quare habeo vobis immortales gratias, quod et onus assumpseritis et sub eo aliquantulum mei amore insudare pergatis. Nihil enim fieri potest per huma­nissimam paternitatem vestram quod non sit prudentissime et ex maximo amore factum. [2] Verum enimvero moleste aliquantulum tuli quod vicarius meus, ut ita dicam, temere permiserit illos clericos promoveri ad apicem sacerdotalem, quo viri doctissimi indigni sunt, nedum imperiti et immodesti ab eodem repellendi, quales puto esse eosdem promotos. Considerata enim imperitia et immodestia clericorum meorum et, ut honeste loquar, ineptia et negligentia ad virtutes capessendas singulorum, fateor paternitati vestrae me restitisse eisdem pro virili mea ne promoverentur. Quod si qui promoti sunt, /162/ non mea sponte, sed importunitate potius petentium seu supplicantium. [3] Nam cuperem ut ad id munus suscipiendum se iuxta imbecillita­tem humanam dignos ac idoneos redderent. Tunc profecto per me non staret quin eorum votis honestis annuerem. Sed cum videam eos aspirare ad sacer­dotium non desiderio devotionis ac purioris et exemplarioris vitae, sed potius cupiditate lucri, nescio qua conscientia assentiri queam, ut huiusmodi homi­nes ad sacra pertractanda admittantur, et cetera. [4] Super facto monialium quae cupiunt mutare capellanos, contentus sum ut antiqui et consueti resti­tuantur. Deinde tenebimus modum ut ipsi sponte sua renuntient illi servitu­ti, postea eaedemaa acceptis] accepist ms (ut vid.). moniales facultatem habeant pro hac rite tantum eligendi sibi ex antiquioribus clericis honestae famae et reputationis capellanos quos velint, sicque electos nobis praesentent quos in nomine Domini confirmabi­mus, si nihil canonicum eis obsistat. Et hic modus optimus erit ut maxime antiqui capellani cum suo remaneant honore, ne videantur quasi pro facino­ribus indigni recusati, et cetera. Ex Padua die II Octobris. 339.(389) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Padova, 4 ottobre 1459 M. V. si rivolge al cardinale Pietro Barbo, il quale sarà meravigliato dal fatto che M. V. non ha raggiunto ancora la curia; egli infatti è rimasto bloccato a Venezia, nel tentativo di salvaguardare i propri diritti ecclesiastici messi a grave repentaglio; tutta l’estate ha combattutto, ma alla fine la perfidia ha prevalso: alcuni nobili hanno avuto il potere di giudicare M. V., con uno zelo che, se non andrà incontro a Dio, finirà per spezzare la forza della Chiesa [1]; M. V. ora si sta riposando a Padova; raggiungerà la curia solo per il grande desiderio di rivedere il cardinale [2]. /409/ Ad reverendissimum dominum, dominum Petrum cardinalem Sancti Marci. [1] Mirari forsan potuit reverenda dominatio vestra quod, cum a mul­tis mensibus Venetiis essem, non accesserim hactenus ad curiam tam vicinam. Ego vero quam commode id facere potuerim rationem declarabo. Steti enim Venetiis usque modo, non quidem alicuius voluptatis causa, sed potius invitus et ut /410/ iura ecclesiae meae, quae a nonnullis improbis hominibus infringi cepta sunt, defenderem ac tuerer. Fuique in hoc certamine totam fere hanc aestatem coram illustrissimo dominio, non quidem tanquam coram iudicibus competentibus. Tandemque, superante perfidia ecclesiastica, liber­tas praeter omnem iuris aequitatem non mediocriter sauciata succubuit, adnitentibus huic rei proceribus nostris,aa eaedem] eadem ms. quibus est nos iudicare ex conscien­tia et ex zelo Dei. Qui zelus, nisi obvietur ei, ita congelabit nervum ecclesia­sticum, ut rumpi potius quam paulum extendi queat. [2] Nunc lassus ac defatigatus animo re infecta, immo re male gesta, Paduam secessi et remittendarum curarum gratia et recreandi animi amore. Petendae autem curiae non ob aliam causam desiderio moveor, quam ut videam et complectar humanissimam ac dulcissimam dominationem vestram, cui vitam ipsam debeo nedum mea anima. Sed hoc desiderium ut possum lenio ac differo in tempus aptius commodiusque. Valeat reverenda dominatio vestra, et mihi si quid possum imperet. Paduae, IIII Octobris 1459. 340.(386) Maffeo Vallaresso a Natale, vescovo di Nona Padova, 10 ottobre 1459 M. V: attende da molto una lettera di Natale, vescovo di Nona, cui ha affidato la cura della propria diocesi, ma Natale forse vuole risparmiare inchiostro; perciò prende l’iniziativa di scrivere lui stesso a Natale [1], di cui tesse l’elogio per l’impegno profuso a favore della sua diocesi: in grazia di Natale, quel gregge non avrà mai nulla da temere [2]; M. V. si trova a Padova, in procinto di raggiungere la curia [3]. /404/ Ad reverendum patrem dominum N[atalem] episcopum Nonensem. [1] Expectavi hactenus litteras paternitatis vestrae ex quibus admoneriba proceribus nostris] proceres mg. cupiebam cum de aliis rebuscb admoneri] amoneri ms. tum praecipue de incolumitate vestra, quae est mihi gratissima tum etiam de regimine ecclesiae meae deque moribus et conversatione clericorum omnium, quorum curam eidem vestrae paternitati credidi ac commisi. Quibus quidem litteris sic ut praemissum est tam diu expectatis neque habitis ipse mihi calamum arripie/405/ndum et ad paterni­tatem vestram scribendum censui, rogans eandem ut tantam papyri et atra­menti parsimoniam vel potius penuriam facere deinceps omittat, quin potius ad me scribat quaecumque in mentem acciderint, cum nihil accidere possit quod non sit mihi futurum pergratum ut reliqua omnia vestra solent. [2] Ego, nisi in os laudare quenquam erubescerem, non praeterirem laudes paternitatis vestrae cum silentio, quae apud me plurimae sunt. Nam et ex litteris magnifici domini genitoris mei et ex relatione aliorum perdidici quantam curam, diligentiam et sollicitudinem quotidianam eadem paternitas vestra adhibeat, tam circa ecclesiam istam visitandam frequentamdamque, quam circa clericos commonefaciendos ad bene vivendum eosdemque bonis exemplis informandos et, cum opus est, vel arguendos vel obsecrandos vel increpandos, ita ut nulla cura animum remordeat meum, quasi iacentem ac requiescentem in sinu vestrae paternitatis, cuius gubernatione ac prudentia fretus, nullos nimbos nullasque tempestatesac ex quibus admoneri cupiebam cum de aliis rebus] Accuso eum honeste de litterarum tarditate mg. hoc tempore eidem sedi ac clero seu populo spiritualiter futuras pertimesco. De iis hactenus. [3] Hic novi nihil /406/ fertur. Ego Paduae nunc sum petiturus demum curiam cum tem­pus opportunum iudicavero, totus ubique locorum deditissimus vestrae paternitati quam bene valere cupio. Paduae, X Octobris 1459. 341.(387) Maffeo Vallaresso a Nicolò, primicerio di Zara Padova, 10 ottobre 1459 M. V. scrive Nicolò di Zara primicerio: si lamenta che non gli faccia avere sue nuove [1], al contempo sa, per tramite di suo padre, che Nicolò si comporta con grande benevolenza, anche eccessiva: perciò lo invita a usare maggiore severità, specie nei confronti di chi, fra i chierici, si mostri superbo e arrogante. /406/ Ad dominum N[icolaum] primicerium, Hyadrensem vicarium. [1] Etsi te notare nequeam neque alicuius negligentiae accusare quod ad omnes videlicet litteras meas hactenus habitas non rescripseris,aa tempestates] tempestas ms. possum te tamen audacter provocare et sollicitare, ut neminem nuntiorum quos noveris Venetias ituros sine litteris tuis ad me abire sinas, sciens easdem litteras tuas mihi fore, ut et tu ipse es, gratissimas. [2] Quod bene te geras in officio tam ex litteris magnifici domini geni­toris, quam aliorum admonitus sum, qui de te omnia bona ferunt, praeter­quam quod omnes pariter asseverant te nimis bonum, nimis humanum, nimis clementem; quod etsi videatur virtutis esse, non est tamen alienum a vitio. Nam, iuxta sapientis sententiam,ba litteras meas hactenus habitas non rescripseris] Accusatur tacite negligentia sua et nimia bonitas erga subditos mg. ut omnia mediocriter fiant et nequit nimis oportet.cb Nam iuxta sapientis sententiam] Salomon mg. Est enim modus ac moderatio et mediocritas quaedam in cunctis rebus divinis pariter et humanis. Sunt certi denique fines, quos ultra citraque ne/407/quit consistere rectum. Enitere igitur ut clementia et huma­nitas tua admixta sit gravitati ac severitati, ut superbi et arrogantes, si qui forte fuerint, clericorum nostrorum, te severum ac rigidum cognoscentes, timeant ac venerentur et humiles benignum et humanum diligant. Nostrae enim intentionis est ut tam diligaris ab omnibus, quam timearis ac noveris a singulis. Quod facile eveniet, si te talem praestiteris qualem ipse me cupio. Bene vale ac scribe. Ex Padua, X Octobris 1459. 342.(388) Maffeo Vallaresso a Nicolò, primicerio di Zara Padova, 13 ottobre 1459 M. V. ha concesso al primicerio la facoltà sia di castigare sia di promuovere i chierici [1]; ha saputo che nel corso dei quattro tempora alcuni, di cui M. V. non conosce i nomi, sono stati promossi al sacerdozio dal vescovo di Nona, e di essi non pochi per indicazione del primicerio; M. V. ordina che nessuno sia promosso se non alla tonsura e ai quattro ordini minori; nessuno dei nuovi consacrati potrà celebrare messa, se non dietro dispensa di M. V., il quale non vuole smi­nuire l’autorità del primicerio, ma fare in modo che questi non sia vessato dalle richieste di promozione [2]; le monache di Santa Maria chiedono di nominare nuovi cappellani: quelli in carica si dimettano, quindi le monache scelgano fra i chierici anziani, la cui nomina deve sotto­stare al placito di M. V. [3]; il cappellano Callisto, latore della lettera, si fermerà per 15 giorni a Zara, quindi dovrà fare ritorno [4]. /407/ Ad eundem primicerium. [1] Ex magna fide quam habemus in prudentia tuaac et nequit nimis oportet sententia (parum perspicua) non reperitur, quapropter fortasse corrupta iudicanda. singulari, memini­mus dedisse tibi quasi generalem licentiam cum in aliis rebus tum maxime erga clericos corrigendos, increpandos, castigandos puniendosque; ac etiamsi qui idonei fuerint promovendos et ad sacros ordines ordinari faciendos, exi­stimantes prudentiam tuam in huiusmodi licentiae concessione maxime in promovendis clericis salem discretionis habituram. [2] Cum autem intellexerimus quattuor tempora proxime praeterita, nonnullos de vo/408/luntate tua, promotos per dominum episcopum Nonensem ac ordinatos fuisse et ad sacerdotium et ad alios ordines sacros, quorum nomina ipse nescio, volumus a modo sine nostra licentia speciali neminem ordinari permittas ad sacros ordines praeter ad primam tonsuram et ad quattuor minores. Neque hos ipsos nuper ordinatos permittas cantare missas eorum novas sine licentia nostra quaesita et obtenta. Hanc facultatem non ideo tibi subtrahimus et honori dignitatis tuae derogare aliqua in parte volumus, sed ut apud importunos petitores libere excusari possis hanc facul­tatem nos nobis reservasse. In ceteris utaris auctoritate tibi alias commissa. [3] Super facto monialium Sanctae Mariae cupientium eligere sibi novos capellanos, contenti sumus quemadmodum et scribimus reverendo patri domi­no episcopo Nonensi, ut dictae moniales prius restituant in locum suum anti­quos et consuetus capellanos, postea tenebimus modum ut ipsi renuntient ei miserrimae servituti. Tum dictae moniales pro hac vice tantum possint eligere sibi capellanos ex antiquioribus clericis, qui sint bonae famae et reputationis, sicque electos nobis praesentent confirmandos in nomine domini, si nihil /409/ canonicum eis obstiterit. [4] Ecclesiam et clericos tibi quantum possumus com­mendamus. Dedimus licentiam presbytero Callixto, praesentium latori, capel­lano nostro, redeundi domum pro quibusdam negotiis suis componendis ibi­que manendi diebus quindecim ac deinde immediate ad nos iterum revertendi. In quibus honeste poteris, ei faveas. Sollicitant enim ut illico regrediatur, sine quo ad praesens commode non possumus esse. Qui si forte redire tardaverit transatis XV diebus, salvo iusto ac legitimo impedimento, non permittas eum missas celebrare, quod non ut ei pro benemeritis inhibemur, sed ut apud nos in gratiam nostram conservemus, maxime donec de alio providemus. Vale. Datum Paduae, XIII Octobris 1459. 343.(178) Maffeo Vallaresso a Matteo Vitturi Padova, 14 novembre [1459] Per tramite del fratello Marco, invia a Matteo Vitturi due casse (barilia) di fichi pervenuti dalla Dalmazia, piccolo dono in segno dell’amicizia che nutre per lui (Jelic, 83). /162/ Magnifico domino Matthaeo Victuri.aa Ex magna fide quam habemus in prudentia tua] Inhibeo sibi ne ad sacros ordines aliquem promoveri faciat mg. Cum per hos dies proxime praeteritos missum fuerit mihi ex provincia Dalmatiae non nihil fructuum ad hyemem accomodatorum, decrevi ob sin­gularem amicitiam et amorem quem ad magnitudinem vestram habeo, cum eadem aliquantulum participare. Itaque ordinavi germano meo, videlicet Marco, ut duo barilia /163/ ficuum meo nomine transmittat ad domum eiusdem. Quam obnixe rogo ut in signum amoris acceptare dignetur, nec ad exilitatem rei attendat, sed ad animum mittentis. Paratus et cetera. Ex Padua die XIIII Novembris. 344.(390) Maffeo Vallaresso a Girolamo Barbarigo Padova, 14 novembre 1459 M. V. informa Girolamo Barbarigo di avergli mandato in dono due barili di fichi provenienti dalla Dalmazia. /410/ Ad magnificum dominum Hieronymum Barbadico. Etsi sciam praestantiam tuam supremas me/411/reri largitiones,aa mitto munusculum mg. puto tamen eandem non fastidire quin immo gratum censere quicquid procedit ab amicis pergrato ac liberali animo mittentibus. Cum itaque per hos dies pro­xime praeteritos missum fuerit mihi ex provincia Dalmatiae nonnihil ficuum accomodatorum maxime ad tempus hyemis, non sum veritus amplitudinem tuam eorundem aliquantister participem reddere. Eapropter mandavi Marco fratri ut duo barilia ficuum eiusdem provinciae nomine meo transmittat ad domum tuam. Quam quidem rem acceptare digneris, habito respectu ad mittentis animum, potius quam ad ipsius rei exilitatem. Ex Padua, XIIII Novembris MCCCCLVIIII. 345.(391) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Padova, 7 dicembre 1459 M. V. informa il cardinale Pietro Barbo che il fratello Giacomo si trasferisce in curia; egli è un alter ego di M. V., fungerà quasi da lettera, nella quale saranno svelate al cardinale molte cose; M. V. trasmette al cardinale, sempre per tramite di Giacomo, diciotto medaglie, di cui alcune d’argento, insieme ad alcuni corniola (cioè una pietra pregiata, in italiano la corniola): si tratta di oggetti di poco valore e indegni del cardinale, ma donati con tutta la dovuta gratitudine; M. V. invierà anche, non appena gli sarà pervenuto, del pesce in savor. /411/ Ad reverendissimum dominum, dominum Petrum cardinalem Sancti Marci. Cum praesentium lator, dominus Iacobus frater meus ac reverendis­simae dominationis vestrae servitor,ba largitiones] Notita de ficubus ***** mg. personaliter in curiam se transferat ad continuandum institutum suum, breviter scribendum mihi fore puto, maxime quia est alter ego, qui litterarum vice fungetur, in quibus erit opus relaturis nonnulla reverendae dominationi vestrae nomine meo. Per eun­dem etiam mitto ipsi reverendissimae dominationi vestrae aliquid nummos antiquitatis superstites, videlicet medalias aureas numero XVIII nonnullas quoque argenteas, cum cer/412/tis corniolis, quae quidem, licet sint vilia et abiecta ac tanto domino penitus indigna, ea tamen, qualiacumque sint, solum procedentia ex animo puro et grato, et ad maiora obnoxio obligato­que, acceptare humanissima dominatio vestra quaeso non aspernetur. Doleo autem supra modum quod gelatinae quas fieri mandavi Hyadrae pro reverendissima dominatione vestra diutius ad me mitti differantur, quas tamen cum expectem dietim nec adsint. Nonnihil ficuum Dalmaticorum interim mitto per eundem, missurus quam primum ipsas gelatinas quam adductae fuerint. Paduae, VII Decembris 1459, hora noctis fere tertia. Raptim. 346.(392) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Padova, 12 dicembre 1459 M. V. scrive ad Andrea Conti in occasione dell’arrivo di Giacomo in Curia; vi sarebbe volentieri giunto lo stesso M. V., ma ciò lo avrebbe esposto alla critica di leggerezza o di ambizione. /412/ Ad venerabilem dominum Andream de Comitibus. Quandoquidem frater meus dominus Iacobus, qui est alter ego, perso­naliter in curiam se transfert, pauca mihi ad te scribenda putavi, solum ne sine litteris meis ad te veniat, quibus tamen nihil demandare possum, quod non valeas ab eodem melius perdiscere. Venissem in curiam, si quid profec­turum me sperarem. Licet enim incensus desiderio videndi in primis reveren­dum dominum communem, tum te ipsum partem /413/ animae meae, demum reliquos dominos meos et amicos antiquos, vix me retineam quin veniendi aliquot dies ibidem exacturus. Retineo tamen quoad possum ne aut levitatis aut ambitionis metam incurram. Nondum tamen quicquam consti­tui in quo animi sententiam obfirmarim. Haec ad te breviter ut nihil te lateat cogitationum mearum. Cetera (si voles) disces ab ipso fratre tuique amantis­simo. Vale et me ut facis mutuo ama. Datum, Paduae die XII Decembris MCCCCLVIIII. 347.(393) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Padova, 19 dicembre 1459 M. V. non ha potuto dare al vescovo di Nona alcuna lettera per il fratello Giacomo, perché il vescovo stesso si è solo brevemente fermato da lui; da una lettera ricevuta da Giacomo ha saputo che il fratello è stato bene accolto dal cardinale (Pietro Barbo); il cardinale si è lamentato di un “nostro amico” (pare allusione a persona ben nota a M. V. e a Giacomo); ha tuttavia inteso che i due fratelli con grande impegno sono riusciti ad ammansire il tale [1]; nulla cosa è per M. V. difficile da affrontare, se compiuta in favore del suo benefattore; si rattrista che questi abbia accettato il dono delle pietre (corniola) e delle medaglie sotto condizione; spera che accetterà, con la mediazione di Giacomo, anche i fichi e il resto [2]; purtroppo Callisto non è ancora ritornato con i pesci riservati al cardinale; ma l’inverno è stato negativo per la pesca; un vero peccato, perché quel pesce sarebbe stato adattissimo al digiuno dei quattro tempora [3]. /413/ Ad venerabilem dominum Iacobum Vallaresso subdiaconum apostolicum. [1] Mirari forsan poteris quod per reverendum patrem dominum epi­scopum Nonensem nullas meas litteras acceperis. Ratio autem non scribendi per eundem fuit quod recessus eius, vel potius transitus isthac fuit ac celera­tissimus. Postea haec est: heri sero redditae mihi fuerunt litterae tuae, licet perbreves optatissimae tamen, per quas intellexi quod cupiebam te videlicet benigne ac humaniter visum fuisse a reverendissimo domino cardinali. Quod licet in praesens conquestus fuerit de amico nostro, gaudeo tamen quod sua reverendissima dominatio intel/414/lexerit nihil a nobis praetermissum quod eius honorem concerneretur. Quanvis autem conatus noster movere amicum illum nequaquam potuerit, in eo tamen profuit quod non solum eius ani­mum, verum etiam aliorum quoscunque alloqui potuerimus mitiorem pro­pitioremque reddidimus, ut si prodesse noluerint, vel obesse saltem desiste­rent uti fecerunt. [2] Ego vero respectu obligationum ac benefactorum, nihil video adeo arduum, adeo difficile, quod non aggrediar amore domini et benefac­toris mei, cui vitam ipsam devovi. Corniolas vero et medalias quod accepit sub conditione certe supra modum tristor, reputans dominationem suam velut abalienatam a servitore suo, cui munera, immo potius munuscula, aspernatur. Spero tamen mediante singulari prudentia tua, quod etiam ficus et cetera acceptabit. [3] Doleo autem mirum in modum quod presbyter Callixtus nondum huc appulerit, qui affert modicum piscium, puto indignorum praesentationi tanto domino. Nam, ut accepi a domino episcopo Nonensi, non potuerunt haberi pisces boni propter hyemis aspe­ritatem piscatoribus contrariam. Sperabam pro his quattuor temporibus dictos pisces afferendos, qui propter ieiunia /415/ optime fecissent ad pro­positum. Sed fortuna non sinit ut hac via consequamur gratiam sed virtute potius. Placet mihi quod oblationes nostras ex puro corde procedentes idem reverendissimus dominus gratas habuerit, quanquam magis placeret, si eisdem uteretur. Nova quae scribis placuerunt et ut in futurum itidem facias percupio. Vale et cetera. Datum Paduae, die XVIIII Decembris MCCCCLVIIII. 348.(394) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Padova, 19 dicembre 1459 Andrea Conti ha già procurato di aiutare Giacomo, il quale ha appena raggiunto la curia; M. V. si augura perciò di avere un giorno qualcosa di bello, così da poterlo cedere ad Andrea. /415/ Ad dominum Andream de Comitibus doctorem eximium. Accepi nuper litteras tuas, licet perbreves, gratas tamen et amoris ple­nas, quibus significas quandam supplicationem nomine domini Iacobi ger­mani mei te fecisse signari et cetera. Ad quod dico te functum optimi amici officio, ut moris est tui. Et quia idem germanus profectus in curiam iam apud te est, ipsemet coram ad tuas respondebit. Mihi scribendum id superest quod alias saepenumero dixi, me nidum in optatis habere, grati et commodi quip­piam in lucem posse deducere quod cedat tibi, et forsan erit quandoque facultas huiuscemodi voluntatis aequandae. Vale. Ex Padua, die XVIIII Decembris MCCCCLVIIII. 349.(395) Maffeo Vallaresso a Nicolò, primicerio di Zara Padova, 27 dicembre 1459 M. V. si rivolge al primicerio Nicolò, per dirgli che il vescovo di Nona lo ha pregato di concedere a un Simone Lon. la facoltà di dire messa; M. V. ha acconsentito, nonostante il chierico in que­stione non abbia ancora la preparazione sufficiente a un tale ufficio. /416/ Ad dominum N[icolaum] primicerium Hyadrensem ac vicarium. Cum reverendus pater dominus episcopus Nonensis nuper proficisciens Mantuam transitum per Paduam faceret, officii gratia nos adiit inter ceteraque rogavit ut presbyter Sy[mon] Lon. praesentium latori gratiam et facultatem can­tandi suam missam novitiam praestare dignaremur, nos contemplatione et instantia precum suae paternitatis superati, non obstante quod cognoscamus eundem Sy[monem] debita litterarum peritia, qualis decet verum sacerdotem, carere, non potuimus eiusdem paternitatis petitionibus non annuere, cum in maioribus complacere comperimus eidem, contentique fuimus hoc onus in humeros eius reiicere, onerantes conscientiam eius in hac parte ut comperto suae paternitati permittat. Cuius rei certitudine etiam te admonere duximus ut intel­ligas hanc licentiam huic tantum ex arbitrio dicti domini episcopi pendere. Vale. Ex Padua, die XXVII Decembris MCCCCLVIIII. 350.(396) Maffeo Vallaresso a Paolo de Rippa Padova, 3 gennaio 1460 Paolo de Rippa, conte di Pola, gli ha inviato un cervo catturato in una battuta di caccia: M. V. lo consumerà, onorando la memoria del conte; M. V. si fermerà l’intero inverno a Padova, al rientro, se il vento lo concederà, si fermerà a Pola a salutare l’amico. /416/ Ad spectabilem dominum Paulum de Rippa, comitem Polensem. Nunc nunc accepi litteras vestras easque legi periocundo animo, ut soleo, ex quibus didici quod maxime cupiebam: vestram et vestrae familiae incolumitatem integram esse Dei munere. Excu/417/sationes autem vestras, quod tam diu nihil ad me scripseritis, admitto propterea quia et ipse in eodem versor errore. Accepi etiam cervum vestrum, munus sane regium, quanquam tedeat me non mediocriter laboris et curae animi vestri quam in faciendis hoc tempore venationibus mei amore subieritis. Eo tamen vesce­mur per has ferias in memoriam vestri. Ego in praesentiarum hic Paduae sum mansurus, ibidem loci per totam hyemem et forsan paulo amplius. De futura mansione nondum aliquid decrevi. Si Hyadram navigare destinabo, habebitis me hospitem, nisi vis ventorum prohibuerit. Me vero ac mea, quae in vestro arbitrio sunt, vobis offerre superfluum arbitror. Itaque valete diu ac prospere et cetera. Datum Paduae, die III Ianuarii MCCCCLVIIII. 351.(397) Maffeo Vallaresso a Paolo de Rippa Padova, 3 gennaio 1460 M. V. scrive ancora al conte Paolo de Rippa, perché Alvise Loredan ha chiesto a M. V. una rac­comandazione in favore di un medico, cioè Nicolò da Sacile: questi ha ottime credenziali, e vorrebbe essere chiamato dalla comunità di Pola, qualora lì servisse la sua professionalità. /417/ Ad eundem dominum comitem. Cum plerique intelligant quam strictum sit vinculum amicitiae nostrae,ab servitor] Mitto nonnullas medalias et scribo breviter per nuntii legaliter mg. tum in suis tum amicorum causis, efflagitant mea intercessione apud vos commendari. Hinc est quod nuperrime astrictus fui a magnifico domino Aloisio Lauredano, avuncolo meo, ut vobis commendarem praesentium lato­rem, magistrum /418/ videlicet Nicolaum de Sacillo phisicum, ut accepi egre­gium, cupientem conduci honesto salario ab egregia communitate illa Polensi. Cum igitur summa huius rei pendeat ex arbitrio spectabilitatis vestrae, dum­modo memorata communitas indigeat medico, cum hic idem magister Nicolaus sit idoneus ac sufficientissimus et, ut a pluribus eiusdem professio­nis viris et doctoribus accepi, theorica et pratica bona praeditus, oratam velim eandem spectabilitatem vestram ut eidem magistro Nicolao sic velit favere, ut et commendationes seu commendatores sui et ipse commendatus voti com­pos evadat, nisi alteri magis grato promissionem iam feceritis. Alioquin ad meam contemplationem hunc patrem conducendum curetis, paratus et ego et cetera. Paduae, III Ianuarii MCCCCLVIIII. 352.(398) Maffeo Vallaresso a Mosè Buffarelli Padova, 3 gennaio [1460] M. V. raccomanda al vescovo di Pola, Mosè Buffarelli, il medesimo Nicolò da Sacile, il quale ha saputo che la comunità di quella città è attualmente priva di un medico. /418/ Ad reverendum patrem dominum Moysem episcopum Polensem. Imputet paternitas vestra suae humanitati et meo erga eandem amoriaa vinculum amicitiae nostrae] Commendatitia ab eius instantia mg. quod hanc mihi libertatem apud se vindicem, ut et familiariter ac fraterne scribam et officium prius requiram quam ipse impendam. Exploratores enim antiquae amicitiae nostrae hoc effecerunt, ut quod semper difficilli­mum duxi cuipiam commendandi curam assumerem. Cum itaque /419/ praesentium lator dominus Nicolaus, phisicus (ut accepi ab eiusdem pro­fessionis doctoribus) egregius, compertum habeat communitatem vestram indigere medico, ipseque cupiat ex officio suo eidem communitati deservi­re, rogavit me atque ab aliis rogari fecit ut intercessione mea commendatum eum reddam paternitati vestrae, ex cuius arbitrio et voluntate magna pars huius rei dependet. Idcirco rogatus rogo, atque obtestor, ut favorem vestrum, qui non est vulgaris sed maximi ponderis, in suum commodum defluere ex litteris meis intelligat, salvo nihilominus honore dignitatis vestrae, quam in hac parte fatigari nolim, si alteri iam promiserit favores et suffragia huiusmodi. Valete. Ex Padua, die III mensis Ianuarii. 353.(179) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Padova, 10 gennaio [1460] M. V. ha inviato al cardinale Pietro Barbo alcune medaglie, sapendo che ne è appassionato; si trattava di un dono, ma il cardinale ha voluto invece acquistarle e, quel che è peggio, il fratello Giacomo ha accettato il denaro; Giacomo gli scrive che il cardinale vorrebbe avere un esemplare della stessa medaglia di miglior fattura, ma M. V. si rifiuta di inviare alcunché, poiché il cardi­nale non intende ricevere il pezzo se non dietro compenso (Jelic, 84). /163/ Reverendissimo domino domino P[etro] cardinali Sancti Marci. [1] Cum continue prae oculis habeam infinitas obligationes meas adversus reverendam dominationem vestram, recuperare studui aliquas medalias quibus eadem oblectatur easque per dominum Iacobum germanum meum misi. Licet autem maiora debeam, tamen cum illud munusculum tenuissimum et exile reverendissima dominatio vestra non duxit acceptan­dum, nisi pretio dato, quod certe mihi medullitus doluit. [2] Multo magis displicuit quod idem dominus Iacobus memoratum pretium receperit, quasi ego in huiusmodi mercimoniis emendis vendendisque animum appulerim, ut novo lucri genere utar cum reverendissima dominatione vestra et non potius pure id fecerim et redimendae obligationis meae gratia. [3] Cum autem idem germanus scribat mihi, ut originalem illius medaliae maioris refuxaeaa amori] Quare ita familiariter scribo ac servitium peto mg. recuperare enitar pro ipsa reverendissima dominatione vestra, cui placituram summopere dicit, peream ac inteream si id fecero vel aliquam aliam de cetero misero, quandoquidem a reverendissima dominatione vestra non aliter quam pretio dato recipiuntur. Supplico autem eidem ut ignoscat mihi, ita forsan temere loquenti cum causam ita dicendi praestetba refuxae ms : refusae Jelic, fortasse recte (scil. ‘medaglia di migliore fusione / fattura’). vestra reve­rendissima dominatio cui me commendo. Paduae X Ianuarii. 354.(399) Maffeo Vallaresso a Luca Leoni Padova, 12 gennaio 1460 M. V. risponde a Luca Leoni, dal quale ha ricevuto una lettera – per tramite del di lui nipote –, la cui lettura lo ha molto rallegrato; perdona l’amico per il suo lungo silenzio [1]; a lui M. V. è sempre profondamente affezionato, sia che gli scriva, sia che non gli scriva; riserva ulteriori argo­menti per l’incontro che Luca gli ha promesso: trascorreranno insieme alcuni giorni, discutendo non solo del passato, ma anche dei loro futuri progetti [2]. /419/ Ad egregium doctorem dominum Lucam Leono. [1] Toto sero hesterno in lectione iocundissimarum optatissimarumque litterarum tuarum quas attulit ad me praestans iuvenis dominus N[icolaus] Tri., nepos tuus et imago tua, me oblectavit, gavisusque sum eas legendo utriusque nostrorum negligentiam et intermissionem praeteriti temporis a scribendo invi­cem abs te subaccusari expostularique veniam, cum spon/420/sione satisfactionis et cetera. Ego vero et veniam do et satisfactionem stipulor. Illa quoque miratio mea quod nullas ad me dederis, fuit potius affectio ac si requisitio tuarum litte­rarum, quam admiratio insueti erroris, cui tamen non minus abste satisfactum puto praeterquam scripsisti quam antea quam intelligeres me optare ut scriberes. [2] Sive enim scribas, sive taceas, mecum aeque tamen mihi praecordiis adhae­res, ut nullam temporum oblivionem nullis locorum intervallis abstrahi possis ab animo meo. Reliquum orationis in tempus tui adventus reservo, qui si veneris (ut dicis) consumabis mecum aliquot dies mutuis colloquiis, non minus de vita iam exacta, quam de instituenda. Igitur vale et me ama. Datum Paduae, XII Ianuari MCCCCLVIIII. 355.(181) Maffeo Vallaresso a Benedetto Venier Padova, 1 marzo 1460 M. V. risponde a Benedetto Venier, conte di Zara, il quale gli ha scritto, chiedendogli di tornare quanto prima nella sua diocesi, dove è atteso anche dal padre (Jelic, 85). /165/ Ad magnificum dominum Benedictum Venerio comitem Hyadrae.ab praestet] praeste ms. [1] Litterae vestrae nuper ad me perlatae nihil aliud nisi summam erga me benivolentiam vestram indicant, cum in aliis multis tum in eo maxime quod in eisdem magnificentia vestra prae se ferre videtur quandam desiderii vehementiam reditus mei, ad quem etiam accelerandum suavissi­mis persuasionibus me adhortamini, admonentes praesentiam meam, quod mihi profecto non est dubium gratissimum fore eidem vestrae magnificen­tiae totique civitati, nedum ipsi domino ge/166/nitori meo. [2] Ego vero non video cur desideria et expectationes tantorum virorum frustrare diutius debeam, quo magis gesturus morem tot cupientissimis voluntatibus subeun­dae navigationis Hyadram versus non animum praeparem. Cui rei matu­randae, volente Deo, dabitur aliquando opera quoad commode per me fieri poterit. Interim autem si quid vestra magnificentia iubet in me quod cedere possit ad decus et ornamentum suum, perinde ac ob rem suamba ille adhortatur et rogat ut ad ecclesiam meam redeam mg. ipsius iure suo et arbitrio disponat, meque ut facere videtur diligat, ecclesiam et cle­rum commendatum habeat. Ex Padua Kalendis Martii MCCCCLVIIII ab Incarnatione. 356.(180) Maffeo Vallaresso a Nicolò, primicerio di Zara Padova, 3 marzo 1460 M. V. scrive che il comportamento del presbitero Francesco, a causa del quale l’autorità ecclesia­stica ha ricevuto una grave offesa, va sanzionato [1-2]: Nicolò gli interdica per un anno la rendita di Sant’Anastasia, per due anni quella di San Silvestro [3]; riguardo alle minacce indirizzate dal Conte a Nicolò, nulla è da aggiungere, essendo stato il contrasto sanato dall’autorità del padre di M. V. [4] (Jelic, 84-85). /163/ Venerabili domino Nicolao primicerio ac vicario Hyadrensi.cb ob rem suam corr. : ob re sua ms Jelic. [1] Lectis ultimis litteris tuis, moleste admodum tuli presbyteri Francisci /164/ temeritatem per quem non stetit ut, per vim laicalis potestatis saecularisque fori, iurisdictio spiritualis afficeretur contumelia ac iniuria in dedecus ecclesiastici regiminis. Quo fit ut hanc pestem aure surda et oculis coniventibus praetereun­dum non esse censeamus. Cum enim iuxta summi oratoris sententiam «duobus modis, id est aut vi aut fraude fiat iniuria, frausque quasi vulpeculae, vis leonis videatur utrunque ab homine vestro alienissimum, sed fraus est odio digna maio­re. Totius autem iniustitiae nulla capitalior fraus quam eorum qui tum cum maxime fallunt id tum agunt, ut viri boni esse videantur»1ac ** ad presbyteri Francisci temeritatem quae aure surda nullo pacto praetermittenda est mg. cum non sint. [2] Idcirco ne is ex malitia sua lucrum reportet, quia fraus et dolus alicui patrocinari non debet, in eo puniendus est in quo delinquit, ne tale quid in futurum praesumat et ceteri sint ad iniuriam tardiores, licet merere­tur maiorem animadversionem per c[apitulum], si diligenti de foro compe­tenti cui obviavit, trahendo personam spiritualem ad purgationem fori saecu­laris vel per se vel per interpositas personas per modum querelae aut denuntiationis seu aliquavis quaesita et affectata fraude. Consultationi tuae breviter respondendum videtur nobis et ita volumus ut contra eum procedas per sententiam correctionis propter eius temeritatem manifestam et noto­riam, ex qua praemonitus a te abstinere noluit. [3] Condemnes eum hoc modo, videlicet ut mansionaria sanctae Anastasiae sit per annum privatus, a capella sancti Silvestri per biennium plus minusve prout in futurum corrigibilis et emendatus apparebit. Quam qui­dem sententiam contra eum in scriptis feras, convocatis omnibus clericis absque laicis. Licet enim utilis fuerit ecclesiae /165/ quoad cantum suum, cum sit tam scandalosus, satius est ut abscidatur ne corrumpat ceteros. Melius est esse paucos bonos et rationi oboedientes, quam multos malos et superioribus rebelles. Nec proinde volumus ut presbyter Virgilius in locum eius succedat, sed aliquem alium capellanum illi frataliae des, de quo contentari valeant. [4] De minis domini Comitis tibi factis nihil est dicendum, postquam reconciliati estis, mediante magnifico domino genitore nostro, speramusque in futurum quod cavebit in talia cuntumeliae verba in te prorumpere. Neminem tamen timeas in administranda iustitia, uti facis. Nam dici non potest quam cordi mihi fuerit quamque placuerit responsio tua quam in eo congressu apud Sanctum Demetrium tu ei fecisse scribis. Itidem in posterum facere non dubites. Super facto decimarum, quas frataliae solvere detractant, feci fieri optimum consilium, cuius copiam penes me volo retinere quam exemplato ad te transmittam originale. Vale. Datum Paduae die III Martii MCCCCLVIIII. 357.(400) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Padova, 8 marzo 1460 Lorenzo Zane scrive a M. V. un breve biglietto, che affida a Tommaso, nunzio fedele, il quale a voce compiutamente riferirà a M. V.. /420/ Laurentius Zane archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. Fidelissimus nuntius dominus Thomas meus tuusque quem ipse Spalatuma1 duobus modis ~ esse videantur] cfr Cic. De officiis I 41. intra quattuor dies navigaturus ad te mitto, facit ut sim brevior in scribendo quam soleo quique opus esset, dummodo talem relationem non haberem. Referret ipse quaedam tuae dominationi meo nomine quo velit eidem aures fi/421/dem animumque praestare. Vale. Datum Venetiis, die VIII mensis Martii MCCCCLX. 358.(401) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Padova, 3 gennaio 1460 M. V. scrive a Lorenzo Zane; non sarebbe stato bene tralasciare il nunzio Tommaso, per scrivere una rude lettera, e dunque si affida alla di lui voce; avendo Lorenzo quale maestro di brevità, dirà solo che a Tommaso ha affidato il suo animo, e Tommaso riferirà a Lorenzo. /421/ Ad reverendum dominum Laurentium archiepiscopum Spalatensem. Putavi contra officium fore si, omisso fidelissimo nuntioba ipse Spalatum] Litterae breves et credentiales mg. ac relatore tuo domino Thoma,cb nuntio] Credentiales mg. cuius aliquam particulam et ipse mihi vendico, rudi potius calamo meo quam eius linguae organo tuae dominationi respondere instituissem. Itaque te brevitatis magistro elegantissimo usus, stili velocitate repressa, hoc solum dixisse putabo sufficere: me ob reverentiam tuae domi­nationi et aures et fidem et animum meum eidem tua vice ad me loquenti praestitisse respondisseque pro tempora opportuna. Plura scribere non licet. Plura ipse ad os referret et dicet. Tua interim reverenda dominatio valeat meque mutuo diligat. Paduae, X Martii. 359.(403) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Padova, 10 marzo [1460] M. V. si congratula con Paolo Barbo, che ha ottenuto l’assoluzione da una precedente accusa; il Senato, per tramite dei Dieci (cioè del Consiglio dei Dieci) è ritornato sulla via della giustizia e della clemenza; M. V. tanto ora si congratula, quanto in precedenza è stato angustiato dall’iniqua imputazione pendente sull’amico. /422/ Ad generosum equitem dominum Paulum Barbo. Vix dicere queo quanta sim affectus laetitiaac Thoma] Thomae ms. in eo maxime quod, senatu in viam pristinae iustitiae clementiaeque redeunte, per capita decemvirum absolutionis beneficium – quod merito vobis, cum ob innocentiam vestram toto orbi vulgatissimam, tum ob multa in rem publicam benemerita debeba­tur – nuper omnium fere consensu impertitum extiterit. Quo fit ut ex rein­tegratione dignitatis ac existimationis vestrae tantum nunc magnificentiae vestrae enim gratuler, quantum antea ex oppressione angebar, quanquam nunquam mihi persuadebam patres conscripti in ea sententia diutius per­mansuros. De his satis. Commendo me magnificentiae vestrae quam bene et feliciter valere cupio. Paduae, X Martii. 360.(402) Maffeo Vallaresso a Candiano Bollani Padova, 12 marzo 1460 Con un biglietto a Candiano Bollani, M. V. accredita il proprio cappellano Simone, che Candiano ascolterà prestandogli fiducia. /421/ Ad spectatissimum dominum Candianum Bollani. Praesentium lator dominus Symon capellanus meus relaturusaa Vix dicere queo quanta sim affectus laetitia] Congratulatoria pro absolutione sua mg. est tibi quaedam nomine meo, quem audire ac dictis eius pro hac vice fidem praesta­re digneris. Paratus et cetera. Datum Paduae, die XII Martii MCCCCLX. 361.(404) Maffeo Vallaresso a Filippo de Ferra Padova, 15 marzo 1460 M. V. invita lo zaratino Filippo de Ferra a raggiungerlo e a compiere il viaggio insieme a Vito Detrico. /422/ Ad nobilem Hyadrensem Philippum de Ferra. Virorum optime, si vales optime est, ego quoque valeo. Ad litteras tuas superiori mense respondi pro tempore, ut par fuit. Nunc, licet scribendum nihil supersit, tamen, ut intelligas quanquam recte intelligis et sapis me tam absentem quam praesentem tui memoriam fovere, scribere ad te duxi etiam sine ulla occasione, ut provocem te ad scribendum vel cum occasione. Alias invitavi te ut istuc te transferres, quod facturum te promisisti. Nunc /423/ iterum te invito et arcesso ut venias una cum Vito Detrico quo navigatio sit iocundior et interlevius. Facundus enim comes erit tibi quasi pro vehiculo. Itaque venias videbisque multa praeclara quae vidisse non penitebit. Vale. Ex Padua, die XV Martii MCCCCLX. 362.(405) Maffeo Vallaresso a Iacopo Zeno Padova, 20 marzo 1460 È giunta la notizia da tutti festeggiata che Iacopo Zeno è stato eletto vescovo di Padova, città dove M. V. si trova per curarsi [1]; non solo M. V., ma tutta la città è felice dell’annuncio, e nessuno è più degno dell’incarico di Jacopo; tuttavia M. V. non vuole esternare lodi spropositate [2]; solo aggiunge che gioie, onori, eventi felici e anche avversi sono condivisi dagli amici, così come dice il proverbio greco: «tutto è comune fra gli amici» [3]. /423/ Ad reverendum dominum Iacobum Zeno ecclesiam Paduanam translatum. [1] Iubet me vetus amicitia nostra ingens gaudium quod ex cumulatio­ne dignitatis et honoris dominationis vestraeaa relaturus] Credentiales mg. nuperrime animo concepi in lucem edere. Existenti siquidem mihi hic Paduae, quo loci curandae valitu­dinis gratia pridem concessi, nuntiatum est per litteras ex Venetiis quam fauste cum omnium consensu ac beneplacito per clementiam maximi ponti­ficis viduitati huius almae sedis provisum sit de persona eiusdem reverendae dominationis vestrae. [2] Quo certe nuntio non solum ego, qui propensiori amore accedo v[estrae] d[ominationi], verum tota haec civitas laetata est et adhuc laetatur, gratias referens omnipotenti Deo, qui tandem visitavit et fecit redemptionem plebis suae. Cuius quidem cura, cui praestantiori ex nostris? Cui doctiori? Cui digniori demandari poterat? Sed de his moderatius, /424/ ne in os laudare videamur. Vulgares laudationes et gratulationes praetereo, in quibus exhiben­dis nemini amicorum vestrorum concederem. [3] Hoc solum affirmare pos­sum: gaudia et honores ceterasque res prosperas et adversas mihi cum amicis­simis meis, ut est d[ominatio] v[estra], dividuas esse et quasi communes, ut vere in me ipso experiar, id quod est in Graecorum proverbio «amicorum omnia communia», quod refertur ad animum, non ad usum bonorum. Reliquum illud est quod me reverendissimae dominationis vestrae offero ac dedo et commendo. Datum Paduae, die XX Martii MCCCCLX. 363.(406) Maffeo Vallaresso a Nicolò, primicerio di Zara Padova, 25 marzo [1460] M. V. comunica al primicerio N(icolò) che ha trovato un cantore per la cattedrale di Zara: a lui saranno devoluti come primo stipendio 12 ducati – dalle finanze del capitolo – e altri 8 ducati – dalle finanze della fabbrica (della cattedrale) –; gli sarà inoltre assegnato un beneficio (man­sionaria) attualmente vacante. /425/ Venerabili domino N[icolao] primicerio Hyadrensi et vicario. Ad resposionem tuarum litterarum nihil restat quod non sit satisfac­tum diebus prope elapsis. Nunc scribendi haec materia sese offert. Non tu, cui nota sunt archana nostra, sed reliquos de capitulo his brevibus commo­nere nos non minus absentes quam praesentes invigilare commodis et orna­mentis ecclesiae nostrae et capituli. Quo factum est ut, considerata necessitate ecclesiae istius, nobis licet immeritis ex alto commissae curavimus pro viribus providere de cantore invenimusque tandem unum relatu /425/ multorum satis idoneum, cui promisimus pro salario primum ducatos XII nomine capi­tuli, ex fabrica ducatos VIII, item mansionariam ad praesens vacantem. Qui quidem cantor post festa Paschae istuc loci se confert, credimus cum uno socio quasi fratre individuo. Cui etiam socio promisimus dari facere unam ex missis altaris Sancti Petri in ecclesia nostra. Sic putamus ecclesiae satisfactum de uno cantore, et forsan, ut diximus, de duobus. Nuper habuimus litteras a domino Iacobo germano nostro et confratre vestro, qui inter cetera scribit dominum Ia[cobum] Brag[adenum] motu proprio sanctissimi domini nostri promotum ad episcopatum Scardonensem et cetera. Reliquum illud est quod iam saepe diximus, ut ecclesiae curam prae oculis habeas demumque valeas in domino. Ex Padua, die XXV Martii. 364.(407) Maffeo Vallaresso a Natale, vescovo di Nona Padova, 25 marzo [1460] Natale, vescovo di Nona, ha invitato M. V. a rientrare a Zara, dimostrandogli l’affetto che M. V. già aveva sperimentato [1]; lo informa circa il cantore che ha da tempo reperito (la sintassi nella parte iniziale del paragrafo appare confusa, e vi si può sospettare un guasto); dalla ep. n° 370 si ricava il nome del cantore, qui dato per abbreviazione: Sabinus Barrensis; egli sarà probabilmente seguito da un suo collega; dei due uno è un succentore, l’altro un tenorista; ha ingaggiato il succen­tore, ma il suo collega non intende lasciarlo; hanno perciò deciso entrambi di venire a Zara; il tenorista si accontenterà dei proventi di una messa dell’altare di San Pietro [2]; la sua chiesa è mal provvista, manca nell’eleganza sia degli uffici divini, sia della liturgia notturna, sicché M. V. ha dovuto provvedere; i suoi chierici non si curano di ciò: pazienza per il canto, cui non tutti sono predisposti, ma quei chierici nemmeno si curano di apprendere la grammatica: dunque ha dovuto ricorrere a persone competenti provenienti dall’esterno [3]; perciò prega Natale di comprendere i motivi per cui ha impegnato quel beneficio: lo ha fatto per il bene della chiesa [4]. /425/ Ad reverendum patrem dominum N[atalem] episcopum Nonensem. [1] Quod me litteris vestris superioribus diebus acceptis hortamini ut iustis de causis per paternitatem vestram elegantius in eisdem litteris explica­tis Hyadram revertar, procedit hoc ex vestri erga me singularis amoris abun­dantia, cuius experimentum iam pridem habui, ita ut nulla confirmatione sit opus. [2] Ego vero et vestrae paternitatis ardentissimo desiderio et parentum amore et /426/ †quod omnia illa quam reservabam pro cantore conducendo Hyadram, quo in eventum non conducto†,aa ex cumulatione dignitatis et honoris dominationis vestrae] Congratulatoria mg. ad requisitionem paternitatis vestrae contentus eram, ut in eam presbyter Bar[rensis] succederet. Sic se res habet. Iam diu est quod dictum cantorem conduxi, et forte erunt duo canto­res. Inveni enim duos sacerdotes individuos, quorum unus est succentor, alter tenorista. Et quia succentori conduxi, cui etiam promisi praescriptam man­sionariam, socius eius non vult eum deserere, ut videtur ostendere. Uterque statuerunt venire Hyadram, quam socio memorato promiseram unam ex missis altaris Sancti Petri, de qua promissione videtur etiam ipse contentari. Est enim uterque eorum virtuosus propter cantum, bene scribunt et apti sunt ad curam animarum exercendam. [3] Considerata siquidem maxima necessi­tate ecclesiae, quam patitur in divinis, hoc est in concinnitate officiorum divinorum, pariter ac nocturnorum, non potui, quasi conniventibus oculis, hoc praeterire, ut de aliquo cantore non providerem, quando quidem nostri clerici non curant illi arti operam dare. Non enim sufficit tonsuram et habi­tum clericalem deferre, nisi addantur ceterae virtu/427/tes institutionibus ecclesiasticis opportunae. Et quanvis omnes non sint aptiaa quod omnia illa quam reservabam pro cantore conducendo Hyadram, quo in eventum non conducto] parum perspicuum videtur et non bene connexum cum praecedente sententia; fortasse post amore et aliqua verba omissa sunt. ad bene canendum, saltem grammaticam perdiscerent et alias virtutes compararent. Cui rei nihil sat per eos. Idcirco opus fuit ex alieno grege homines conducere qui faciant debitum, cui sunt impares filii regni. [4] Ad complacentiam autem paternitatis vestrae ego procul dubio non solum hanc mansionariam, verum etiam archiepiscopatum meum expone­rem ad dispositionem et in arbitrium vestrae paternitatis, quam rogo ut, his rationibus intellectis, excusatum me habeat quod ecclesiae necessitatem, quod est bonum pubblicum, proposuerim bono privato unius sacerdotis, quem in Christi visceribus diligo, ut teneor tanquam filium. Nil aliud scribendum superest, nisi et cetera. Paduae, die XXV Martii. 365.(408) Maffeo Vallaresso a Giacomo Antonio Marcello Padova, 15 aprile 1460 M. V. ringrazia Giacomo Antonio Marcello, il quale è intervenuto in Senato a sostegno di una mozione avanzata dallo zio di M. V., Zaccaria, intesa a difendere la periclitante giurisdizione ecclesiastica di M. V.; Jacopo, secondo quanto Zaccaria gli ha scritto, ha tutelato M. V. come se questi fosse un suo figlio; M. V. gli è perciò più obbligato di quanto già prima non lo fosse. /427/ Magnifico equiti domino Iacobo Antonio Marcello. Non possum praeterire silentio, quin potius dignis laudibus et gratia­rum protestatione immortalium prosequi debeo,ba apti] apta ms, ut vid. id quod nuper amplitudo vestra pro conservando ecclesiae ac meo ipsius honore in causam mea egit. Non solum enim claro viro domino Zacharia patruo meo proponenti causam ipsam in senatu favorem praebuistis, verum etiam, ut ex litteris /428/ ipsius patrui didici, non minus tutati estis iura mea ac si vobis essem filius vel alio propinquitatis gradu coniunctissimus. Quare etsi hactenus me putarem vobis aliquantulum obligatum respectu amoris quem domui nostrae semper in rebus omnibus demonstrastis, certe a modo non dico amori, sed potius pie­tati vestrae, quam nedum in rebus divinis et ecclesiasticis sed in me ipso quoque experior maiorem in modum me obnoxium et obligatum profiteor, offerens et parvitatem meam et meos de quibus disponere fas est ad arbitrium magnificentiae vestrae, cui me iterato commendo atque dedo. Ex Padua, die XV Aprilis MCCCCLX. 366.(409) Maffeo Vallaresso a Matteo Vitturi Padova, 15 aprile 1460 Anche Matteo Vitturi, procuratore di San Marco, ha soccorso M. V. nella vertenza che riguarda la sua giurisdizione ecclesiastica: non basterebbe una giornata intera a narrare i motivi di grati­tudine che M. V. e la sua famiglia hanno contratto nei confronti di lui [1]; M. V. già conosce i meriti del Vitturi nei confronti della chiesa; perciò, essendo M. V. testimone di quale patrocina­tore e difensore egli sia, tutti coloro che godono della giusta immunità ecclesiastica si professano riconoscenti al Vitturi insieme allo stesso M. V. [2]; in una vertenza non basta infatti essere nel giusto: occorre che i giudici siano equi, come lo è stato il Vitturi [3]. /428/ Magnifico domino Matthaeo Victuri procuratori Sancti Marci. [1] Dies me profecto deficeret potius quam gratiarum actiones enarrareab sequi debeo] Ago gratias pro favoribus mihi impertitis apud sententiam in quadam causa mg. posse, quas vestrae amplitudini et domus nostra et ego, cum in aliis multis, tum in ea potissimum ecclesiae meae causa, cui nuper in senatu coram illustris­simo dominio per patruum meum propositae tam benivolum favorem praesti­tistis, persolvere debeo. Quo rectius mihi tacendum esse puto, quam meritas magnificentiae vestrae laudes et gratias inepta oratione mea extenuare. [2] Novi enim amorem vestrum, novi humanitatem vestram, novi ani­mum benivolum et ardentissimum ad omnem /429/ commodum et honorem ecclesiasticarum personarum. Quare,aa gratiarum actiones enarrare] Ago etiam gratias pro eadem re mg. nobis praestantibus tam amplum patrocinium ac defensorem, debita gaudentes immunitate una mecum peren­nes gratias v[estrae] m[agnificentiae] se debere protestantur. [3] Licet enim causam quis habeat iustam et onesta, hoc tamen non sufficit nisi habeat aequos iudices, qui eam iustam et honestam esse cognoscant, quemadmodum per clementissimum dominium mea ipsius cognita nuper fuit et approbata, adnitente magnificentia vestra et adiuvante iura mea et ecclesiae ac dignitatis meae. Plura in praesentiarum non sum dicturus nisi quod me eidem com­mendo superfluum arbitrans res vestras et cetera. Datum Paduae, die XV Apriliis MCCCCLX. 367.(410) Maffeo Vallaresso a Candiano Bollani Padova, 15 aprile 1460 Candiano Bollani, scrive M. V., è un uomo quant’altri mai giusto, dotto e religioso, dunque è per lui facile smascherare chi trama contro giustizia; ciò tuttavia implica preparazione e forza d’ani­mo, doti oggi rare; tanto più tutta la famiglia Vallaresso si sente in debito grande nei suoi con­fronti [1]; non fu abbastanza aver difeso la dignità di M. V. un anno prima, ancor di più ha fatto al presente, restaurando la sua dignità, la quale era ormai rovinata e compromessa [2]; M. V. conosce le parole pronunciate da Candiano a suo favore in Senato: poiché non potrà mai ricambiare tanto benevolenza, si professa obbligato a lui per sempre [3]. /429/ Ad doctissimum virum dominum Candianum Bollani. [1] Etsi tibi homini prudentissimo, doctissimo, iustissimo religiosis­simoba Quare conieci : que ms. facillimum sit sententias impugnantium aequitatem refellere ac pro iustitia concionari et dicere, quia tamen id non sit absque multa praepara­tione et studio animi, in quo labor non vacat, et qui animum ita disponere velit hoc tempore non facile inveniri potest, certe ultra quam dici possit etiam tota domus et familia nostra nedum ego ipse ac digni/430/tas mea et ecclesia, cui praesideo licet indignus, immortalium gratiarum se tibi debi­tricem sentit et fatetur. [2] Non enim parum id fuit quod anno superiore eandem dignitatem meam et iura ecclesiastica ab improborum impetitione defenderis ac inviolata reddideris. Sed hoc maximum puto tuae singulari sapientiae et amori ascri­bendum, quod eadem iura ecclesiae ac dignitatis meae non solum expugnata et oppressa verum etiam pessundata et quasi extincta levaveris et erexeris ac in pristinum locum et gradum immunitatis ac honoris restitueris. [3] Quare licet antea respectu propinquitatis quae nobis intercedit cum domo vestra te dilexeram, nunc amare, colere ac observare te cogor, qui fraterno more hono­ri meo conservando adniteris. Nam nihil me latet eorum quae in trina con­cionatione prudenter et eleganter coram illustrissimo dominio in causa mea dixeris, pro quibus cum tibi nunquam me satisfacturum posse confidam, certe perpetuo obligatum iterum atque iterum profiteor. Superfluum arbi­trans res nostras hoc est me ipsum qui sum ac debeo esse paratissimus ad quaecumque grata et iocun/431/da spectabilitati tuae offerre, cui me com­mendo ac dedo. Ex Padua, die XV Aprilis MCCCCLX. 368.(411) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bondumier Padova, 16 aprile 1460 M. V. scrive al neoeletto patriarca Andrea Bondumier, per esortarlo e per complimentarsi con lui, che ha accolto la nomina quale arduo compito, piuttosto che come onore [1]; perciò si congratula non per la dignità che ha acquisito, ma per le sue specchiate virtù e per la reputazione di cui gode in Senato; lo esorta quindi a non rifuggire la carica che gli è stata affidata: infatti non ci sono impedimenti derivanti dallo ius canonicum, e Andrea ha forza e qualità per sostenerla [2]; il bene comune va preposto a quello del singolo, e in questo momento la vita attiva deve prevalere su quella contemplativa; la giustezza di tale definizione è comprovata dal fatto che Gesù discende non da Rachele, ma da Lia, e dal fatto che sia stato accolto in casa non da Maria, ma da Marta; né occorre aggiungere altri esempi, perché il Bondumier accolga la carica, così da essere di aiuto agli altri; [3]; non c’è carità maggiore del sacrificio fatto a favore degli amici e del prossimo; la contemplazione e lo studio non devono distogliere nessuno dal dovere, poiché «la virtù consiste nell’azione» [4]. /431/ Reverendo patri domino Andreae Bond[imerio] ad patriarchatum Venetiarum electo. [1] Cum ex aliis causis honestis, tum maxime gratia propinquitatis nostraeab doctissimo, iustissimo religiosissimo] Bona est epistula in qua etiam aguntur gratiae pro eadem re nota mg. partim hortatorias partim gratulatorias ad reverendissimam paterni­tatem vestram litteras dare me coactum sentio. Sed, cum hanc dignitatem ad quam non sponte vestra paternitas, sed tanquam Aaron a Deo vocata venire videtur, oneris potius plenam quam honoris, nemo sanae mentis ignorat, quo pacto gratulari possum huic electioni de vobis factae per quam de requie ad laborem de portu in pelagus, de felicissima monasterii solitudine ad tumul­tum civitatis trahimini? [2] Non igitur more vulgari propter dignitatem vel adipiscendam vel iam adeptam gratulor (si gratulari debeo), sed propter singulares virtutes vestras, propter vitae sanctimoniam, propter morum venustatem, propter summam reputationem de reverendissima paternitate vestra in senatu habi­tam gaudeo et exulto, eidemque paternitati vestrae gratulor cum omni qua decet modestia. Insuper filiali amore pariter et amore hortor in domino Iesu ac obtestor, ut hoc iugum domini, quod est suave, non refugiatis neque reii­ciatis a vobis. Nihil enim per Dei omnipotentis /432/ gratiam canonici impe­dimenti vobis obsistit, quo dubitare aut reformidare debeatis, quominus officium vestrum recte exercere valeatis. Non desunt enim vobis vires. Adest integritas animi et corporis idest sacrarum litterarum peritia. Adest notitia et experientia multarum rerum, tam spiritualium quam temporalium, ita ut nihil ad sufficientiam et perfectionem, quae in huiusmodi praelatis desidera­tur, vobis deficit . [3] Hic est profecto casus iuris in quo sicut maius bonum minori bono praeponitur,ba proprinquitatis nostrae] Bona est epistula mg. ita publica et communis utilitas speciali ac privatae utilitati merito praefertur. Hoc etiam casu praeponitur doctrina silentio, sollicitatiocb maius bonum minori bono praeponitur] Maius bonum praeponitur minori et publica utilitas speciali mg. contemplationi, labor quieti. Ad quod utique designandum unigenitus Dei filius dominus Iesus Christus non de Rachele secundum carnem natus est, sed de Lia, nec legitur eum in domo sua Maria recepisse, sed Martha.1dc sollicitatio conieci : sollicitando ms. Unde quando potest praelatus praeesse pariter et prodesse, non debet vocationi Dei in damnationem animae suae resistere. Plura colligerem testimonia tam ex scripturis sanctis quam ex codicibus nostris, hoc est pontificii imperatoriique iuris, quibus reverendissimae paternitati vestrae in ius citarem eidem clare probaturus nullum ita privatis curis impedimentum propriisque oblectamen­tis occupatum, ut pro salute hominum ea non aspernetur ac deserat sube­atque omnia pericula dum aliis prosit. [4] Haec /433/ est enim vera caritasa1 Cfr. Thomae Aquinatis Summa Theologiae II-II, q. 179 a. 2 s.c.: «Sed contra est quod istae duae vitae significantur per duas uxores Iacob, activa quidem per Liam, contemplativa vero per Rachelem; et per duas mulieres quae dominum hospitio receperunt, contemplativa quidem per Mariam, activa vero per Martham; ut Gregorius dicit, in VI Moral. Non autem esset haec congrua significatio si essent plures quam duae vitae». qua nulla maior inveniri potest quando homo dat animam suam pro amicis et proximis. Nam contemplatio­nis amor et investigandae veritatis studium a rebus gerendis et ab officio neminem abducere debet, quia «virtutis laus omnis in actione consistit».1 Quae cum reverendissima paternitas vestra melius intelligat, quippe quae et domi et foris optime sapit, nec minus recte sibi ipsi quam aliis consulere novit, verba mea ad finem optimum quemadmodum dicta sunt aut scripta in partem bonam accipiet spero, meque diliget ut antea hoc fecit. Reliquum illud est ut me commendem eidem vestrae reverendae paternitati quam bene valere cupio. Datum Paduae, die XVI Apriliis MCCCCLX. 369.(412) Maffeo Vallaresso a Balsamino di Pirano (Piran) Padova, 16 aprile 1460 Lettera di raccomandazione indirizzata da M. V. a un Balsamino di Pirano, nella quale chiede che un medico N., con tutta probabilità il Nicolò da Sacile citato alla ep. n° 351 e 352, possa essere assunto dalla comunità di Pirano; della sua professionalità sono garanti Ludovico Loredan e molti altri dotti. /433/ Ad dominum Balsaminum Piranensem. Singularis vestra humanitas, mihi iampridem spectata et cognita, sua­detbca vera caritas] Caritas mg. ut vel in meis vel in amicorum meorum negotiis iustis quidem et opportunis ac si fratrem in domino vos non solum exerceam sed defatigem, si opus fuerit, certus omnem laborem quntumcumque gravem vobis levissi­mum amore mei visum iri. Cum igitur eximius phisicus magister N[icolaus] intellexerit vestram communitatem Piranensem indigere medico /434/ ipse­que cupiat istuc conduci eidemque egregiae communitati deservire ex officio suo, consulto sibi de antiqua amicitia nostra, rogavit me ut eum vobis qui gratia Dei omnipotentis et meritis virtutum vestrarum apud eandem civita­tem multum potestis opere ac sermone praecipue commendarem. Quod et facio, ut vehementius facere nequeam, rogans vos ut respectu mei adeo pro­curetis eius conductionem, ut et commendationes meas vulgares vobis visas nequaquam fuisse sentiat et mediante favore vestro sibi commodum aliquod provenisse intelligat. De sufficentia vero eius ex relatione aliorum praesertim magnifici domini Ludovici Lauredano avunculi mei multorumque doctorum virorum bonum profecto testimonium polliceor. Paratus et cetera. Datum Paduae, die XVI Apriliis MCCCCLX. 370.(413) Maffeo Vallaresso a Francesco Morosini Padova, 9 maggio [1460] M. V. aveva già richiesto all’arcidiacono di Vicenza, Francesco Morosini, notizie di un presbitero della sua diocesi, Sabinus Barrensis, il quale è altresì indicato quale parochianus plebis Gradegi (evidentemente la stessa persona cit. per compendio alla ep. n° 364: Bar.); Francesco lo aveva rassi­curato con una lettera, e perciò M. V. aveva assunto tale Sabino per condurlo come cantore a Zara, con regolare contratto e di fronte a testimoni; subito però il presbitero ha chiesto di dilazionare la partenza a dopo la Pasqua: M. V. ha acconsentito [1]; ma dopo la Pasqua ha chiesto una ulteriore dilazione di qualche giorno: la ha ottenuta – nonostante la sua presenza fosse necessaria a Zara per la festa di Pentecoste –, e anche ha ottenuto che M. V. gli sovvenzionasse il viaggio; ha chiesto dunque di tornare a casa per preparare quanto necessario, ma non si è più presentato [2]; ora è giunta una sua lettera, nella quale non manifesta alcuna intenzione di partire e soddisfare l’impegno preso, bensì, malvolentieri, ammette di aver eluso M. V.; pertanto questi si sente gravemente offeso: il Morosini intervenga, intimando al presbitero di rispettare gli accordi [3]. /434/ Ad dominum Franciscum Maurocenum archidiaconum Vincentinum. [1] Meminisse potest paternitas vestra me alias vobis scripsisse, quasi percontando de vita et moribus presbyteri Sabini Barrensis, parochiani plebis Gradegi, Vincentinae diocesis, cupientis tunc temporis per me Hyadram conduci pro cantore. Super qua consultatione non prae­terit me recepisse litteras vestras, quasi testimoniales condictionis eiusdem Sabini. Sic igitur actum illico fuit ut /435/ visis litteris vestris dictum presbyterum Sabinum praesentem, acceptantem et stipulantem coram testibus in camera mea, praesentibus et mediantibus, acceptaverim et conduxerim honesto salario prout ipsemet petebat dataque fide et a me versa vice habita postulavit eum dimitterem ad parochiam suam redire cui servire tenebatur per totum Pascha proxime praeteritum. Quo transato illico venturum se pollicitus est. De qua re contentus fui, sicque factum est: recessit. [2] Stetit per totum Pascha et ultra etiam nonnullos dies. Venit tandem postulavitque aliam dilationem per aliquot dies, quam etiam obtinuit a me licet cum difficultate. Urgebam enim eum ut se Hyadram quam primum transferret ad dies festos Pentecostes et alios sequentes. Cumque ille causaretur pecuniarum penuriam, obtulit etiam me conces­surum eidem pro navigatione necessarias. Remansit animo contentissimo egitque mihi gratias. Ita domum reversurum se dixit pro sarcinulis suis componendis, ut hactenus nunquam se presentare voluit conspectui meo, satisfacturus stipulationi de se factae. [3] Sed nuper misit ad me quasdam litteras excusatorias, quibus nullo modo animum habere veniendi aut promissis satisfaciendi ac sic eludere me ingratis <…>.ab cognita suadet] commendatitia mg. Quare, cum ab eo me laesum et affectum iniuria admodum sentiam, eo maxime /436/ quod de alio cantore provideri mihi noluerim, ipsius presbyteri fide fretus de cuius conductione etiam capitulo Hyadrensi scripsi ut eum venturum acceptarent beneque tractarent, idcirco paternitas vestra oro atque obse­cro ut eundem ad se evocatum et citatum cogat iuri parere et praemissis non contravenire et sic ludisationi locus submoveatur, quam tamen hone­stius quisque in caput auctoris causam dedit. Pluribus haec non sunt exageranda, cum optime intelligatis quid mereatur haec bellua temeraria pactum infringens. Valete. Paduae, 9 Maii. 371.(414) Maffeo Vallaresso a Candiano Bollani Padova, 10 maggio 1460 M. V. indirizza le proprie condoglianze a Candiano Bollani, il quale, pur dotato di prudenza e costanza, è tuttavia certamente addolarato per la scomparsa recente del fratello; è stato questi uomo di grande virtù, grandemente considerato dalla Repubblica; a lenire il dolore non c’è via la quale già non sia nota a Candiano; perciò M. V. si limita a comunicargli che i sentimenti di lui, nel bene come nel male, sono tutti condivisi. /436/ Ad praestantem dominum Candianum Bollani pro morte fratris. Etsi non dubitem te virum ita prudentem et constantem esse,a1 Cfr. Cic. De officiis I 19: «Virtutis enim laus omnis in actione consistit». ut nullis fortunae casibus succumbas, idemque tibi animus in rebus adversis existat qui et in prosperis, credo tamen vi quadam et imperio naturae quam mollissima corda et lacrimas humano generi dedit impulsum te ac iniectum in passio­nem summi doloris ex morte fratris: fratris, inquam, summae virtutis viri, qui et praeclaram in republica vestra existimationem obtinebat et ad mirificas praestantesque virtutes tuas proxime accedebat. Cui quidem dolori tuo leniendo nullum consolationis temperamentum per me adhiberi potest, quod tibi ipsi non sit in promptu, /437/ nihilque dici aut excogitari per me potest quod tu non intelligas multo melius. Tacebo igitur et consolationis, quae ex animo tuo virili pendet, omisso remedio, hoc tamen praetereundum non putavi, tuas animi passiones, gaudia scilicet doloresque mihi tecum commu­nes et quasi dividuos. Sed expedit ut et aequanimitate et patientia fortunae vincamus invidiam, quae quasi properante tibi ad praeclara reipublicae munera et dignitates eum surripuit, quo et patria et amici sublevandi erant. Tu interim vale et me dilige. Datum Paduae, die X mensis Maii MCCCCLX. 372.(415) Maffeo Vallaresso a Filippo de Ferra Padova, 17 maggio 1460 In una lettera precedente (n° 361) M. V. ha invitato Filippo de Ferra a raggiungerlo a Padova; dalla sua risposta, ha inteso che Filippo sia vorrebbe veleggiare verso Padova per incontrarlo, sia desidererebbe attendere a Zara il ritorno di M. V.; questi lo ha invitato per l’affetto che nutre nei confronti di Filippo, e per dargli l’opportunità di visitare una città che Filippo non conosce, e forse mai conoscerà, e avrebbe desiderato condividere tale gioia in comune con Vito (Vito Detrico, come esplicitato nella ep. n° 361) [1]; M. V. ha in ogni caso bene inteso i motivi per i quali Filippo rinuncia al viaggio, e dunque lo giustifica [2], anche perché sa che non conta molto visitare tanti e tanti diversi luoghi, ma conta vivere bene; perciò M. V. non lo rimprovera per la sua volontà di custodire la propria casa; e ciò, anche se Omero, in principio dell’Odissea, ha esaltato Ulisse per il suo desiderio di visitare il mondo [3]. /437/ Ad nobilem Hyadrensem Filippum de Ferra. [1] Quod vel navigandi Paduam usque mei revisendi gratia vel Hyadrae expectandi reditum meum tibi cupido incesserit plane litterae tuae datae Kalendis Maiis ad me testantur; quae si etiam tacuissent, ego secus nequaquam sentirem. Sed quod te invitaverim ad hanc navigationem ineundam fecit amor meus erga te non vulgaris. Cupiebam enim te volup­tate affici ex conspectu praeclarissimarum civitatum quas hactenus non vidisti nec forsan unquam visurus es, quam quidem voluptatem honestissi­mam mihi tecum una cum Vito nostro /438/ communem et quasi dividuam esse volebam. [2] Nunc, intellectis impedimentis tuis, accipio atque admitto excu­sationes tuas tuamque voluntatem ac sententiam desideriis meis antepono, quanquam huiusmodi desideria non quidem consequendae utilitatis aut commodi mei gratia, sed potius tui recreandi studio concipiens, modo quo­dam parturiebam. Sed, quia contra officium est ut quis voluptates instituat cum incommodo aliorum, idcirco ab invitatione huiusmodi absolutum te facio, reservans eandem in posterum cum expeditior ab occupationibus quotidianis fueris, [3] quanquam non intelligam satis clare quid illi profi­ciant, qui praeclaras ac nobilissimas orbis terrarum urbes adeunt, qui gym­nasia atque myropolia, aedes principum et templa deorum frequentant, pergrinationes ac visitationes sacrorum locorum subeunt, cum «non Hyerosolimis fuisse sed Hyerosolimis bene vixisse laudabile sit».1Quod ideo dico, ut propositum tuum quod est in domestico lare custodiendo situm, omnino improbare non videar, non obstante quod Homerus Ulixemaba verbum carere videtur, e.g. profitetur. laudare incohaverit eo maxime quod «mores hominum multorum vidit et urbes captae post moenia Troiae».2ca virum ita prudentem et constantem esse] Consolatoria et omnino legenda mg. Sed de his satis, et cetera. Tu interim vale et me dilige. Ex Padua, XVII Maii MCCCCLX. 373.(417) Maffeo Vallaresso a Nicolò, primicerio di Zara Padova, 22 giugno 1460 M. V. risponde a Nicolò, primicerio e suo vicario, il quale lo ha informato delle minacce alla giurisdizione ecclesiastica provenienti da alcuni nobili, in particolare dai Detrico; M. V. non ne è sorpreso, poiché tutto l’Oriente ha abbandonato il vero culto di Dio, e così anche la Dalmazia è infettata dallo stesso morbo; ma Dio, quando lo vorrà, prenderà la sua vendetta [1]; non è tuttavia il momento di perdersi d’animo, ma di di opporsi e resistere, così come ha fatto Nicolò, e come farà M. V., non appena sarà rientrato a Venezia [2]. /440/ Ad dominum N[icolaum] primicerium et vicarium Hyadrensem. [1] Ad binas litteras tuas hodie ad me allatas his brevibus respondere contentus ero:bda Homerus Ulixem] Homerus, Ulixes mg. mihi scilicet nullam admirationem generari ex eo maxime quod illi nobiles, et praesertim Tetrici, iura ecclesiastica et decimarum impu­gnare contendant. Ratio est in promptu, quia, cum totus fere Oriens a veri Dei cultu recesserit, a sanctae matris ecclesiae gremio longe aberraverit, necesse quidem est ut finitimi et vicini Orientis ipsius populi, quales sunt Dalmatae, eiusdem erroris participes fiant. Dedit hanc contagioab respondere contentus ero] Totus fere Oriens a cultu ecclesie recessit mg. labem et dabit in plures, sicut grex totus in agris unius scabie cadit et porrigine porci uvaqueb1 Cfr. Hier. Epistulae, 58 (vol. 54), § 2: «non Hierosolymis fuisse, sed Hierosolymis bene vixisse laudandum est». conspecta livorem ducit ab uva.1c2 Cfr. Auson. Periochae Homeri Iliadis et Odyssiae, periocha Odyssiae, I 1: «Dic mihi, Musa, virum, captae post moenia Troiae / qui mores hominum multorum vidit et urbes». Cfr. etiam Hor. Ars poetica 139-140: «dic mihi, Musa, virum, captae post tempora Troiae / qui mores hominum multorum vidit et urbis». Tandem purgabit Deus ecclesiam suam quando libuerit ei, et scopabit eam sum­etque vindictam de hostibus suis cum hostibus suis, scriptura /441/ id testante.2dc contagio] cogitatio ms (contagio Iuv. 2,78). [2] Properemus interim animum ad passiones graviores et ignominias donec illucescat dies magnus domini. Non tamen propterea deficiemus, quin adversariis pro virili nostra reluctemur. Non deerit animus, non ingenium, non consilium, modo sit fides eis quibus ea res est in manu. Tu etiam functus es officio tuo. Fecisti quae potuisti, aeque nos facturos non dubites. Ad paucos dies migrabo Venetias, ubi loci nihil omittam eorum quae fienda sunt et providenda. Vale. Datum Paduae, XXII Iunii MCCCCLX. 374.(182) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Venezia, 19 luglio 1460 M. V. spiega al cardinale Pietro Barbo il motivo del suo allontanamento momentaneo da Zara: cioè il tentativo operato da alcuni di detrarre giurisdizione spirituale e temporale alla chiesa; ma la questione, con l’aiuto di Dio e della giustizia, si è risolta a favore di M. V., che ora è sul punto di rientrare nella sua diocesi (Jelic, 85-86). /166/ Reverendissimo domino domino P[etro] cardinali sancti Marci. [1] Quemadmodum alias scripsi vestrae reverendae dominationi, causa mansionis meae Venetiis et Paduae fuit propter controversiam quandam quam habui cum Hyadrensibus de quadam iurisdictione mea spirituali ac temporali in fabrica ecclesiae meae, quam quidem iurisdictionem coram illustrissimo dominio opprimere conati sunt. Sed tandem, auxiliante Deo, iustitia mediante, victor evasi, stimulatusque precibus patris, qui nunc Hyadrae praefecturam gerit, hinc ad paucos dies ad sedem meam redire destinavi. [2] Quia vero servus quocunque verterit se domini sui est, sive stet, sive cadat,ab uvaque] uva quaeque ms (uvaque Iuv. 2,81). idcirco dignetur reverenda dominatio vestra suo iure uti in me perinde ac in servo suo fidelissi­mo, quem si ad commodum aliquod et ornamentum suum frugi videt ac uti­lem et idoneum, nullo respectu vel conditionis, loci aut temporis habito /167/ exerceat omnibus laboribus et huc atque illuc impellat ad arbitrium animi sui. [3] Quod si fecerit humanissima dominatio vestra dabit mihi argumentum evidentissimum gratiae suae atque immortali beneficio me obligatum reddet. Aliud in praesentiarum vestrae reverendissimae dominationi scribere non habeo, nisi quod eidem commendo dominum Ia[cobum] ac parvitatem meam. Venetiis XVIIII Iulii MCCCCLX. 375.(418) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 9 settembre [1460] M. V. scrive a Lorenzo Zane, per dirgli, anzitutto, che se avesse dovuto scrivergli quanto successo in un così lungo arco di tempo, avrebbe dovuto comporre dei commentari, e non una lettera; si era proposto di far così, ma ha abbandonato il progetto, non adattandosi una tale opera ad esprimere l’affetto che M. V. prova per Lorenzo, persona che lo conosce profondamente, e che lo ha assunto fra i suoi beni più cari e riservati [1]; chiede dunque scusa per non avergli scritto da tanto tempo; è stato lontano per quasi un anno, e ha dovuto combattere contro alcuni disonesti che, nel mentre agivano per il male, lo face­vano in modo da apparire onesti; in fine è prevalsa la vera giustizia: M. V. si è assicurato che la quarta parte delle decime attinenti la fabbrica (della cattedrale) siano di sua spettanza, non dei laici [2]; ora M. V. riabbraccia tutti nel corpo di Cristo, sia quanti gli sono stati amici sia quanti gli sono stati avversi (se ce ne sono stati); tutti lo hanno accolto con gioia, e di ciò rende gloria non a se stesso, ma a Dio [3]; gli avrebbe scritto anche prima, se avesse avuto un segretario, e la nave che lo ha condotto a Zara non avesse immediatamente ripreso il mare alla volta di Spalato [4]. /441/ Ad reverendissimum dominum Lau[rentium] archiepiscopum Spalatensem. [1] Commentariis potius quam epistulis nunc mihi tecum agendum esset ut praeteriti temporis, quo fere nihil ad amplitudinem tuam scripsi,a1 Iuv. 2,78-81. tantam resarcirem intermissionem. Quod cum facere instituissem, neque aliud ipsis commentariis mandare possem, neque enucleatam quandam mei erga te perpetui amoris et observantiae expressionem, supervacaneam putavi susceptionemb2 Tandem purgabit Deus ecclesiam ~ scriptura id testante] cfr. Biblia sacra iuxta Vulgatam, Isaias XIV 21: «perdam Babylonis nomen et reliquias et germen et progeniem ait Dominus et ponam eam in possessionem ericii et in paludes aquarum et scopabo eam in scopa terens dicit Dominus exercituum»; cfr. etiam Glossae ad Isaiam XIV 23: «Mundus quoque ab hericio et paludibus possidetur modo id est ab immundis spiritibus sed in fine mundi scopabit id est purgabit eum Dominus igne purgatorio»; Hrabani Mauri Expositio in librum Iudith, 14: «Dies autem Domini exercituum sumet vindictam de inimicis suis, devorabit gladius et saturabitur, et inebriabitur sanguine eorum»; Hervaei Burgidolensis Commentariorum in Isaiam libri octo, II XIV 23: «Et tales habitatores habet Babylon deserta virtutibus, ubi non est ager, qui fructus afferat, sed paludes infertiles limosae ac lutosae, id est immundae conscientiae, in quibus sordidi spiritus quasi animalia coeno gaudentia reptant. Quamobrem clementissimus Dominus scopabit eam vehementissime terens, et quasi quodam everticulo ad purum usque mundabit, ut Babylonis semina perdat». tanti laboris exprimendorum, tot sensuum ac sententiarum ad eum maxime virum qui me intus et in cute novit, qui mecum aequa lance pendet in statera benivolentiae, /442/ qui me sibi ascivit et in rem suam pecu­liarem vendicavit, astro quodam impellente, non invicta †inhieruque† neque repugnante natura. [2] Praetermissis igitur ambagibus, statu veniali utar petens precatoriae ut tam longi silentii culpam condones mihi. Quod ut facias, permulta sua­dent praesertim hoc,ca cadat Jelic : cadet ms. quod longe anno iam abfuerim a provincia, et quod animum, diversis curis non minus tangentibus commodum ecclesiae quam decus dignitatis meae (in qua laedenda conspiratum erat a quibusdam impro­bis qui, tum cum maxime fallunt, id tamen agunt ut viri boni videantur esse), tractum, retractum attractumque habebam, ut illud Plautinumda nihil ad amplitudinem tuam scripsi] Excuso me propter litterarum intermissionem et est elegans principium mg. recte tunc dicere possem:eb susceptionem] suscentionem ms. ubi sum ibi non sum, ubi non sum ibi animus.1fc hoc] hac ms. Praedominante tandem aequitate et iustitia quae prius pessundata erat, resti­tui me in ius meum pristinum et antiquum summorum pontificum robora­tum auctoritate. Marte meo et labore meo feci ut quarta pars decimarum attinentium ad fabricam meo, non laicorum, dispensetur arbitrio. [3] Nunc Hyadram regressus et amicos et inimicos (si qui forte fuerunt) paterno affectu complexus sum, veteresque iniurias oblitus, omnes diligo et faveo in visceribus Christi. Quam laeta facies civitatis extiterit in adventu nostro, dominatio tua /443/ scire poterit ex aliis, si volet. Nam quotidie omnes fatentur civitatem quasi viduatam fuisse absentia pastoris sui. Nos vero conscii nostrae imbecillitatis et insufficentiae non nobis ipsis,ad Plautinum] platinum ms. sed nomini Domini gloriam damus. Haec ad reverendissimam dominationem tuam mei restaurati honoris cupientissimam scribere duxi, quod eam non dubito et doluisse prius et nunc gavisuram esse rebus bene gestis. [4] Scripsissem autem antea, si scri­bendi facultas esset et copia tabellariorum. Nam praeter illam barcam qua vectus sum Hyadram, quae postero die eius diei quo huc attigi, quasi ex impro­viso recessit Spalatumbe recte tunc dicere possem] Plautus mg. versus navigatura, nullum habere potui qui ad domina­tionem tuam recta proficisceretur per quem scibere possem ad eandem. Plura habeo cum tua dominatione coram communicanda, quae in futurum reservo, quom vel tu ipse huc te conferres, vel ego Spalatum. Vale. Hyadrae, VIIII Septembris. 376.(419) Maffeo Vallaresso a Giulio Contarini e Antonio Venier Zara, 24 settembre 1460 M. V. ringrazia i sindaci Giulio Contarini e Antonio Venier per la lettera congratulatoria indiriz­zatagli in occasione del rientro presso la sua cattedra episcopale; fa cenno a una lettera da loro richiestagli per raccomandare a suo padre (allora capitano di Zara) un An. Bux., cioè, probabil­mente, Andrea Buzzacarini, lo stesso citato alla ep. n° 315 (dove è indicato come Andreas Buxc.); M. V. ha scritto tale lettera, quantunque non sia solito intromettersi nelle questioni che spettano solo ai laici, e quantunque il raccomandato lìabbias ottenuta solo per intercessione dei due sindaci, non per sua propria benemerenza; il testo appare compromesso da vari errori di trasmissione (persino la data è errata), sicché intellegibilità di alcune singole frasi ne è compromessa. /443/ Spectabili domino Iulio Cont[areno] et An[tonio] Venerio syndicis. Gratulationem vestram, quam ad me ob incolumem redditum ad cathedram residentiae meaec1 Plaut. Cist. 211-212. et corde prius generoso et litteris demum vestris luculentissimis nuper expressistis, scitote profecto mihi iocundissimam gra­tissimamque fuisse, eo maxime quod et hu/444/manitatis vestrae quam vobis insitam audiveram et singularis erga me benivolentiae quam optaveram prae­clara indicia et argumenta, omni exceptione maiora prae se ferre dignoscitur. Qua ex re habeo utrique vestrum gratias immortales. Doleo autem quod reditus meus non fuerit ex ea parte beatus, quo carebat praesentia vestri. Quo certe nil aliud nisi summam laetitiam mihi cumulasset captura ex me amici­tiae officia paria. Commendationem praeterea quam efflagistis per me fieri debere apud dominum genitorem meum <…>aa non nobis ipsis non nobis ms. †deserit†bb Spalatum] Spaletum ms. An[dreas] Bux[acharenus], feci quidem lubens contemplatione vestri, non obstante quod in rebus maxime quae pertinent ad regimen saecularecc ad cathedram residentiae meae] Responsio ad ipsorum congratulationem pro redditu mei ad ecclesiam mg. nunquam con­sueverim me intromittere, evasitque commendatus voti compos vestro potius adiutus suffragio quam meritis propriis. Paratus et ego et cetera. Valete. Datum Hyadrae, die XXIIII Semptembris MCCCCLX.da verba aliqua carere videntur, e.g. et quam (vel similiter). 377.(183) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 12 ottobre 1460 Rientrato a Zara, e cogliendo l’opportunità di un viaggio presso la curia intrapreso dal vescovo di Nona, M. V. scrive nuovamente al cardinale Pietro Barbo, supplicandolo in favore del fratello Giacomo, che, nonostante sia da tempo tra i servitori del cardinale, non ha ottenuto ancora alcun beneficio che gli permetta di sostenere le sue spese, a cui deve ancora badare M. V. (Jelic, 86). /167/ Ad eundem reverendissimum dominum meum. [1] Cum reverendus pater dominus episcopus Nonensis iturus esset in curiam, nolui eum absque litteris meis ad reverendissimam dominationem vestram proficisci. Et quanvis superfluum putem servos eiusdem sibi commen­dare, quorum cura non vilis est domino suo, considerata tamen domini Iacobi fratris mei fideli servitute, quam continue impendit eidem vestrae reverendae dominationi, non possum non dolere sortem eius prae ceteris omnibus conser­vitoribus suis duriorem videri, et esse in effectu, ut ipse solus a tanto tempore nihil consecutus sit, quo possit ecclesiastico beneficio per se sustentari. [2] Ego enim hactenus in eodem iuvando sustinendoque in curia mul­tas exposui pecunias, praeter alias impensas extraordinarias quibus certe ita ex omni parte premor ut vix respirare queam. Quare humillime supplico reve­rendissimae dominationi vestrae ut et ipsi domino Iacobo fidelissimo servitori suo succurrere, et me tanto onere levare dignetur. Ignoscatque humanissima dominatio vestra quod has ratiunculas minus verecunde recenseam, quasi videar credere eandem dominationem vestram vel ipsi domino Iacobo vel mihi aliqua in parte obligatam esse.ab fortasse desiderat. [3] Scio enim et libere fateor id non esse, quin potius ex parte nostra tot sunt obligationes /168/ adversus eandem domi­nationem vestram, ut nullis unquam temporibus satisfacere possimus quae attingat earum particulam aliquam. Nec tamen ideo cessare debemus cum ex clementissima dominatione vestra tanquam ex flumine pietatis aquam gratiae sublimioris petamus. Petentis nanque culpa redarguitur ubi de dantis beni­gnitate non dubitatur. Plura in praesentiarum dicturus non sum, ne fastidio afficiam reverendam dominationem vestram, cui me propensius commenda­tum esse cupio. Ex Hyadra die XII Octobris MCCCCLX. 378.(266) Maffeo Vallaresso a Hermolao de Hermolais Zara, 18 dicembre 1460 Il nobile Hermolao de Hermolais di Arbe ha richiesto a M. V. un parere circa il progettato matrimonio della figlia con un nobile che ha con lei un rapporto di parentela di terzo grado; M. V. allega in merito un parere fondato sul diritto canonico. /269/ Her[molao] de Hermolais nobili Arbensi.bc saeculare] secularem ms. Ex litteris vestris heri acceptis perdidici filiae vestrae desponsationem in Stephanum Galz[ignam], cui cum eadem in tertio et quarto gradu intercedit affinitas. Et quia dubitare videmini an huiusmodi affinitate extan­te, matrimonii contractus valeat, petitisque super inde consilium, ego vero quid sentiam circa dubium hoc, licet animum in variis distractum negotiis habeam, tamen, ut brevius licuit, in consilio his allegato expressam videbitis mentem meam, immo sacrarum canonum potius et iuris doctorum, a qui­bus discedere non debemus et cetera. Ego enim amore vestri omniumque nobilium Arbensium liberali ac libenti animo faciam atque /270/ efficiam omnia quae ad commodum et ornamentum vestrum vestrorumque omnium cedere intellexero. Valete. Ex Hyadra, die XVIII Decembris MCCCCLX. 379.(416) Maffeo Vallaresso a Natale, vescovo di Nona [Padova o Venezia, ante settembre 1460] M. V. scrive a Natale, vescovo di Nona, il quale ha avuto l’incarico di una legazione apostolica (dalla nota vergata a margine della frase incipitaria, e solo da tale nota, si ricava che la Bosnia è il territorio a cui è destinata la legazione di Natale); M. V. ne è felice, ma al contempo rattristato, perché al suo rientro non potrà godere della compagnia dell’amico; prevale tuttavia il sentimento di aspettativa per un tale onorevole compito [1]; M. V. vuole ripagare i benefici di cui Natale lo ha gratificato, e ciò sia rispetto alla chiesa e al clero di Natale, sia rispetto alla persona di Natale medesimo, il quale gli potrà richiedere qualsiasi cosa di cui M. V. è capace [2]; soprattutto M. V. avrà cura di tutelare i diritti ecclesiastici di Natale, i quali sono messi a rischio da alcuni espo­nenti della famiglia Detrico [3]. /439/ Ad reverendum patrem dominum Natalem episcopum Nonensem. [1] Plusne molestiae an gaudii ex litteris vestrae paternitatis nuperrime mihi redittis hauserim vix dignoscere possum.ad MCCCCLX] MCCCCLXI ms. Gavisus enim sum et gaudeo supra modum quod sedes apostolica legationis officio paternitatem vestram decoraverit, in quo exercendo et prosequendo non dubito et cultus Dei augmentum et eidem sedi commodum magnum et vobis maximum decus et ornamentum profuturum. Sed hoc tamen mihi molestum est, quod, cum cito me istuc redditurum sperem, dulcissima familiaritate et conversatione nostra diu carebo. Huic tamen molestiae spes consequendi honoris vestri praeponderat, ut facile absentiam vestram feram, quae tantam utilitatemaa obligatam esse Jelic : obligatum esse ms. est duce Christo allatura. [2] Quantum vero ad me attinet, qui et amore et beneficio vestro pro­vocatum ac praeventum me intelligo, in referenda gratia et in officio mutuo a vobis accepto maiore cumulatioreque mensura satisfacere curabo, si erit opus, tam erga ecclesiam et clerum paternitatis vestrae, quam in omnibus aliis quae ipsa paternitas vestra mihi praenominare demandavit. Itaque praepara­mini ad iter aequo animo, et si qua per me fieri possunt, quae respiciant commodum et honorem dignitatis ac ecclesiae vestrae, libeat humeris meis (licet debilibus, caritate tamen ferventibus audacter) iniungere. /440/ [3] Illud quoque ad gratiarum actionem habendam applicabo quod in defendendis iuribus ecclesiasticis, quae cives quidam de Tetricis illi opprimere conantur, diligentiam hactenus adhibueritis. Ego ad paucos dies Venetias migrabo, ubi loci super eadem causa virili mea aliquid providere temptabo. Aliud scriben­dum non restat nisi me beneplacitis vestris offerre. 380.(184) Maffeo Vallaresso a Ermolao Barbaro Zara, 7 febbraio [1461] M. V. esprime la sua gioia e i suoi complimenti a Ermolao Barbaro (il Vecchio) per l’elezione di lui all’episcopato di Verona; giustamente il fratello Giacomo ha provveduto a svolgere per Ermolao il suo dovere di buon nipote e sollecito cliente: dalla famiglia di Ermolao, infatti, più che da qualsiasi altra, spera di ricevere aiuto (Jelic, 86: excerptum). /168/ Reverendo domino Her[molao] Barbaro episcopo Veronensi. [1] Quod me litteris suis reverendissima dominatio vestra de redditu suo ex legatione ad Urbem cum salute et ut maxime optabamus cum bona gratia pontificis maximi certiorembb Bona est epistola mg. reddat ex non mediocri profecto sua erga me benivolentia id processit. Ego enim etsi longe absum praesenti tamen desiderio successus et felicitatis dominationis vestrae iure propinquitatis impulsus, ita teneor ut inde alio divelli nequeam. Quare gratulor tam integri­tati bonae valitudinis, quam incolumitati famae quam eadem dominatio vestra ex ea provincia reportavit. Imputari enim non debet ei per quem non stat si non faciat quod per eum faciundum erat, immo est perinde ac si fac­tum fuisset sed de his alias. [2] Quod autem Iacobus continue interim sit apud reverendissimam dominationem vestram, facit officium boni nepotis sollicitique clientis. Neque enim aliud quam melioris existima/169/tionis suae augmentum reportare potest. A domo enim eiusdem dominationis vestrae, a qua et honores et commoditates recte sperare debet potius quam a quoquo alio, cum neminem alium habeat in curia cui astrictioris propinquitatis et neces­situdinis vinculum accedat quam reverendissimam dominationem vestram, de cuius erga se humanitate mirifica tanquam iactat litteris suis et gloriatur supra modum. [3] Addit etiam sanctissimus dominus noster curare ut ceteri intelligant munus legationis vestrae sibi gratum fuisse perindeque provinciae Perusinae v[estram] r[everendam] d[ominationem] praefecisse. Quae res quantum mihi cordi sit quantunque placeat facilius cogitari quam dici a me potest. Quanvis enim sciam vestram reverendissimam dominationem de ecclesia Dei optime mereri proindeque maiori honore dignam esse, tamen et huius provinciae sortem non vulgarem obtigisse dominationi vestrae gaudeo quam cupio vobis ad culmen summae felicitatis cedere. In eadem vero et obeunda et gerenda si quid eidem dominus Iacobus prodesse potuerit, vestra reverenda dominatio meminerit, ne spes quam concepit eum fallat. Praeterea ad Donatum Belloria contemplatione mei solito magis ac magis commenda­tum habere dignetur, et cetera. Hyadrae VII Februarii. 381.(185) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 7 febbraio [1461] M. V. comunica al cardinale Pietro Barbo di avergli inviato sei barili di gelatina (cioè di pesce in savor: cfr. la successiva n° 382; è un dono, come si sa, consueto: cfr. ep. n° 7); spiega di averli inviati ad Ancona, e raccomandati al vescovo di quella città, perché li faccia pervenire rapida­mente al cardinale (Jelic, 86-87). /169/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci.aa vix dignoscere possum] Gaudeo quod se[des] apostolica [par]tes Bosnae ips[um] legationis officio decoraverit mg. [1] His brevibus noscat reverendissima dominatio vestra mihi fuisse curaeba utilitatem] utilitas ms. partem aliquam maximarum obligationum mearum erga eandem per­solvere, si gravi aere nequeo, saltem gelatinis mediocribus quarum sex /170/ barilia a salma mitto vestrae reverendae dominationi Anconam usque, in manus vicarii domini episcopi eiusdem civitatis, hoc ordine, ut quamprimum per mulaterios illius loci ad reverendam dominationem vestram deportentur. [2] Quas quidem gelatinas sublimitas vestra dignetur accipere tanquam a vassallo suo in tributum et in signum subiectionis alacriter missas. Aliud scri­bendum non occurrit, nisi quod parvitatem meam eidem vestrae reverendae dominationi commendo, quam et feliciter valere desidero. Hyadrae VII Februarii. 382.(186) Maffeo Vallaresso al vicario del vescovo di Ancona Zara, 8 febbraio [1461] M. V. spiega al vicario del vescovo di Ancona (di cui sembrerebbe non conoscere il nome, per il quale è lasciato spazio bianco sul foglio) che i barili pervenuti sono indirizzati al cardinale Barbo; che il vicario dovrà provvedere a inviarli a Roma; il trasporto via terra sarà pagato dal cardinale stesso, mentre quello per mare è stato già saldato da M. V. (Jelic, 87). /170/ Venerabili domino ... episcopi Anconitani vicario. Has breves ad te scribendi causam dedit reverendissumus dominus meus cardinalis Sancti Marci ex cuius commissione fieri feci certas piscium gelatinas, barilia scilicet octo, sex maiora et duo minuscula cum armis dicti reverendissimi domini. Quas quidem gelatinas et mandato et commissione praefati reverendissimi domini cardinalis mitto in manus tuae fraternitatis, certus te habuisse destinatum ordinem ex earundem gelatinarum transmit­tendarum in curiam ad ipsum dominum cardinalem illico per mulaterios eius sumptibus ad id conducendos. Verum etiam si huiusmodi ordinem ab eodem domino cardinali non habuisses, non propterea stes quin mox repertos pisces ad eum mittas, nihil dubitando de facto satisfactionis fiendae victuralibus sarcinarum. Latori praesentium nomine N. de Hyadra patrono navigii cui dedi ipsas gelatinas ad te deportandas, pro naulo nihil solvas, cum a me inte­gre solutum fuerit eidem. Aliud scribendum non restat, nisi ut me et mea omnia tuis offeram /171/ beneplacitis, quod et facio libenter. Ex Hyadra VIII Februarii. 383.(420) Maffeo Vallaresso a Pietro Ferici Zara, 8 febbraio 1461 M. V. illustra a Pietro Ferici, uditore di Rota, come l’abate di San Crisogono, di nome Bogdan (cf. ep. n° 396) agisca come se godesse di una immunità di cui invece non gode – così come Ferici potrà constatare dalla copia di un indulto apostolico –, e commette una quantità di sopraffazioni, rifiutandosi di comparire in giudizio [1]; M. V. avrebbe potuto agire contro di lui, ma non lo ha fatto per rispetto nei confronti del comune patrono (il cardinale Pietro Barbo); M. V. chiede al Ferici di dare un parere sulle carte che M. V. ha consegnato al fratello Giacomo: questi per iscritto farà pervenire il parere di Ferici a M. V. stesso [2]. /444/ Reverendo patri domni P[etrum] Ferici, Rotae auditori. [1] Licet a multo tempore citra litterarum nihil ad vos dederim,ab certiorem] cetiorem ms. quia nihil necessarium occurrebat, tamen animus meus nunquam oblivioni vos dedit, ac semper vestri memoriam medullitus affixam gerit. Nunc haec maxime scribendi opportunitas se obtulit. /445/ Est hic Hyadrae quidam abbas Sancti Grisogoni qui, ut taceam ceteros eius excessus et mores malos, sub praetextu immunitatis exceptionis – in qua se credit esse et non est, ut videre poteritis ex copia cuiusdam indulti apostolici, per quod recipitur sub protectione summi pontificis – multa quotidie committit contra omnem honestatem et iuris aequi­tatem, proindeque conventus ac in iudicio citatus comparere omnino negligit. [2] Ego vero etsi de iure processisse contra eum potuerim, ob reve­rentiam tamen reverendissimi domini communis supportare aliquandiu duxi, donec exploratam habeam mentem et intentionem suae reverendissi­mae dominationis. Nunc audivi hanc causam per suam dominationem vobis intelligendam et examinandam commissa extitisse. Quanvis credam et sciam vos rectissime sentire quod in hac parte iura et doctores velint, rogatum tamen vos velim ut propositionibus et allegationibus meis inspec­tis, quas misi in manus domini Iacobi germani mei, sententiam vestram libere et expedite dicatis, facientes per reverendissimum dominum comitem superinde scribi ad me debere ut sciam quo pacto me regere debeam. Aliud in praesentiarum scribendum non occurrit, nisi rogare vos ut honorem meum commendatum habeatis. Paratus /446/ et ego ad mandata vestra si quid possum. Valete. Datum Hyadrae, die VIII Februari MCCCCLX.aa Dat notitia de gelatinis mg. 384.(187) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 8 marzo 1461] Dietro raccomandazione del Barbo M. V. ha accolto a Zara un Cristoforo, e, nonostante le ristrettezze economiche della camera, ha fatto sì che le richieste del cardinale venissero esaudite (Jelic, 87). /171/ Reverendissimo domino domino P[etro] cardinali Sancti Marci. Litteras commendatitias et in favorem Christofori de Roma comestabi­lis Hyadrae scriptas pro parte reverendae dominationis vestrae accepi reveren­ter ac officiose. Et licet camera Hyadrensis absque pecuniis in praesentiarum inveniatur, ego tamen apud eos quibus ea res est in manu, non modo insteti,bb curae add. s.l. verum etiam ut exequerer voluntatem reverendissimae dominationis vestrae praeter morem meum importunus fui, ita ut idem Christoforus intelligere facile possit litteras eiusdem sibi adiumento fuisse. Quicquid aliud potest et valet parvitas mea, praesto est omnibus exequendis gratia reverendae domi­nationis vestrae quam bene valere cupio. Datum Hyadrae die VIII mensis Martii MCCCCLX. 385.(421) Maffeo Vallaresso a Pietro Morosini Zara, 12 marzo 1461 Anche se Pietro Morosini, grazie all’agiatezza sua familiare, gode di ampie provvigioni, M. V. spera di fare cosa gradita inviandogli un vaso d’olio, ottimo per condire i cibi quaresimali. /446/ Spectabili domino P[etro] Mauroceno Sanctae Iustinae. Etsi penori vestro nihil admodum desit pro amplitudine rei familiaris ac fortunarum vestrarum,aa Licet a multo tempore citra litterarum nihil ad vos dederim] Abbas Sancti Grisogoni sub praetextu exemptionis committit excessus mg. ego tamen cognita obligatione mea adversus vos, cui multum debeo, vectigalis loco vasculum olei (ut puto) optimi pro condendis huius Quadragesimae cibis familiariter potius quam liberaliter mitto. Vestra autem spectabilitas non ad rei tenuitatem, sed ad mittentis affectum aspiciens in corde id excipiet animo ut spero. Illud vero supervaca­neum arbitror, ut me, qui totus vester sum, vobis offeram cuius erit culpa, si me ad arbitrium suum uti noluerit. Valete. Ex Hyadra, XII Martii 1461. 386.(195) Girolamo Forte a Maffeo Vallaresso Tolentino, 18 marzo [1461?] Girolamo Forte scrive a M. V. raccontando le traversie sue e della sua famiglia; ha lasciato la sua città (Teramo), per sfuggirne la tirannide (allude forse a Giuliantonio Acquaviva); con alcuni esuli ha due volte tentato l’assedio per liberare la patria, ma invano; è riuscito invece a portare in salvo la sua famiglia (la madre, la sorella e i nipoti) che erano tenuti in ostaggio; ha trascorso l’inverno presso il questore dell’agro piceno, Callimaco; ora vive di nulla, come il filosofo Diogene (sul Forte, o Forti, cfr. Hausmann 1968, 15-16; a 589 cita il ms. Barb. lat. 1809, datandolo al s. XVI; Tramontana 2007-2008, in particolare 107-108, con rinvii non sempre precisi al ms. Barb. lat. 1809). /185/ Mapheo archiepiscopo Hyadrensi Hieronymus Fortis e Teramo.ba MCCCCLX] scil. more veneto. [1] Si quando mihi occurrit aliquis e vestra regione cui litteras com­mittam, nulla mora est in me quin statim ad reverendam dominationem vestram, cui maiorem in modum devincor, aliquid scribam. Nunc etiam institutum hoc servare studeo, et quanvis nihil novi sit, tamen redire in memoriam vestram videor, si saepius istuc litteras exararim. [2] Ego, mi domine, post amissam patriam, infinitis calamitatibus oppressus, omnia genera laborum pertuli nec sequi militares turmas una cum reliquis civibus qui tyranni saevitiam fugerunt ullo tempore destiti. Civitatem obsidione bis invasimus, non ea mente ut contra patriam arma ferremus, sed ut ab immanissima tyrannide liberaremus. Votis nostris for­tuna non annuit. Itaque in aliam cogitationem conversi castra /186/ reliqui­mus et providere fortunis relictis, si quae sunt, quisque studemus. [3] Ego matrem sexagenariam et sororem et parvulos nepotes, quos obsides in oppi­dulo quodam natura munitissimo tyrannus adhibita custodia servari dili­genter mandarat, ope caelitum adiutus, e faucibus truculentae belluae non modo evulsi, verum etiam Asculum civitatem propinquam perduxi, ubi fere tota familia nostra sedem fixit. [4] Ego tota hyeme apud praestantissimum virum Kallimacum Senensem hospitatus, quietem aerumnis ex aliqua parte praebui. Is est quaestor agri Piceni et pontifici maximo tanta benivolentia coniunctus quanta dici maxima possit. Bis ad pontificem oratum me direxit, qui lega­tionem statuerat mihi mandare, quae Turcaicis motibus impeditur. [5] Nunc expeditis totis fortunae laqueis quibus miserabiliter irretitus eram, decrevi peragrare orbem et longa peregrinatione tanquam alter Ulixes omnes mundi angulos perquirere. In terra nudus tanquam alter Diogenes aut Democritus,ab insteti ms Jelic, scil. pro institi. quorum non sapientiam dico, sed risum et humanarum rerum contemptum imitari possum, decrevi «medium unguem», ut poeta satyricus ait, «fortunae ostendere».1ba pro amplitudine rei familiaris ac fortunarum vestrarum] Mitto sibi oleum mg. Pro liberalitate et praesidio, quod mihi semper vestra reverenda dominatio dedit, Deus immortalis digna praemia retribuat. Tolentini XVIII Martii. 387.(267) Maffeo Vallaresso a Girolamo Lando Zara, 19 marzo 1461 Girolamo Lando, arcivescovo di Creta, ha inviato a M. V. una lettera che ha accresciuto la stima che M. V. prova nei suoi confronti; Girolamo dimostra grande umiltà, né desidera una più alta dignità, la quale invece M. V. gli augura, non certo per riceverne compiacimento, ma per provare nella fatica la sua virtù. /270/ Ad reverendum dominum Hieronymum archiepiscopum Cretensem. [1] Reverendissime in Christo pater et cetera. Accepi nuperrime vestrae revererndae dominationis litteras meis responsivas, quibus lectis nihilomagis adductus sum ad maiorem de vobis existimationem faciendam quam pridem feci ac nunc facio, quanquam in eo vehementer oblectatus sim quod domi­natio vestra, quo maior est, eo humanius se gerit ac de se submissius et loqui­tur et sentit, ita ut non patiatur me optare sibi sublimioris dignitatis gradum addi. In quo nihil aliud est quam afflictio et servitus curae et cetera quae prosequimini. [2] Ego vero hac ipsa de causa eum gradum vestrae reverendae dominationi opto non ut ex eo otii voluptatem capiat sed potius curas et labores, quippe quia virtutis laus omnisab Non praetermittenda est mg. in actione consistit. Nil enim sine magno vita labore dedit mortalibus. Propterea felices illos ac divinos homines putavit antiquitas qui pro iuvandis mortalibus omnes subire labores omnia­que adire pericula non metuerunt. /271/ Sed de his alias diffusius. [3] Reliquum illud est ut reverenda paternitas vestra me uti velit ad eum usum ad quem magis voluerit. Magnifico autem domino gentori meo cariorem vos facere nequivi ultra id quod estis cui eminentissima dominatio vestra non minus est cara quam unus ex natis. Valeat dominatio vestra reverenda et me ut facit diligere pergat. Ex Hyadra, XVIIII Martii MCCCCLXI. 388.(422) Maffeo Vallaresso a Pietro Foscari Zara, 29 marzo 1461 M. V. informa Pietro Foscari che l’arcidiacono di Zara Francesco ha una condotta inadeguata e si comporta piuttosto come un laico che come un religioso; per la qual cosa gli ha tolto l’ammini­strazioni di beni altrui, che non può tenere di diritto (anche perché Francesco vive grazie a benefici suoi propri), e gli ha intimato di dedicarsi al culto divino e al servizio della chiesa, nei confronti della quale si è reso colpevole [1];il Foscari non se ne preoccupi: M. V. avrà ogni cura nel tutelare e incrementare gli interessi del Foscari; l’intervento di M. V. non può danneggiare gli introiti di Rogovo (l’abbazia benedettina altrimenti nota come dei Santi Cosma e Damiano): Jacopo Bozo è stato infatti preposto alla cura di questa come di altri maggiori incombenze, e a Zara alcuni sono disposti a tributare al Foscari quote maggiori di enfiteusi e affitto della medesi­ma abbazia [2]; ha scritto tutto ciò per chiarire quali motivi lo abbiano indotto ad agire nei confronti dell’arcidiacono Francesco [3]. /446/ Ad reverendissum dominum P[etrum] Foscari protonotarium apostolicum. [1] Etsi vera caritas neque perperam agit quicquam, neque malum cogitet,aa Ulixes, Dyogenes et Democritus mg. posset tamen accidere ut mens interdum, sinistra informatione suasa, in deteriorem partem acciperet quod sincere et ad finem recti atque honesti factum est. Cum igitur saepenumero diversis reclamationibus pulsatus sim de moribus non bon/447/is presbyteri Francisci, archidiaconi mei, qui se in rebus omnibus laicum potius quam religiosum exhibet, conscientia repugnante, ulterius differre non potui quin ei mandatum darem secundum iuris formam ut, relicta cum effectu conductione praediorum ac possesionum alienarum – quas, ut optime novit dominatio vestra, tenere non potest de iure (praeser­tim cum habeat unde competenter vivat ex beneficiis suis) –, cultui divino et ecclesiae servitio (cui obnoxius est) sese applicet. [2] Haec res quaeso non sit molesta eidem dominationi vestrae, cuius gratia testis est mihi Deus eundem archidiaconum in his et in aliis complu­ribus toleravi ac tolero, quae ob reverentiam vestri in lucem proferre non curo. Hoc unum asseverare queo, mihi commoda et ornamenta vestra con­servanda et augenda curae non mediocri hactenus fuisse foreque. Nec video aliquod incommodum ex mandato meo huiusmodi abbatiae vestrae de Rogova evenire posse, cum Iacobus Bozo curae huiusmodi rebusque maiori­bus par videatur iudicio meo, et multi et alii sunt hic Hyadrae qui multo pluries emphiteosim et affictum eiusdem abbatiae se soluturos dominationi vestrae sponderent, id complecturi cum effectu. Hoc tamen per viam curiae emendari dispensarique posset, mihi sufficit conscientiam meam exonerasse. Contra quicunque facit, ae/448/dificat ad Gehennam. [3] Haec ideo breviter scripsi ad dominationem vestram, ut intelligat ex me quare motus sim ad mandatum huiusmodi edendum, et ne praestet fidem magis eiusdem pre­sbyteri Francisci, qui quam impudenter me lacessiverit superioribus diebus, vel ab ipso vel ab aliis scire poterit dominatio vestra. Valete. Datum Hyadrae, die XXVIIII Martii MCCCCLXI. 389.(188) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 3 maggio 1461 Paolo Barbo, preoccupato, ha scritto a M. V. per quanto gli è stato riferito dall’abate Bogdan del monastero di San Crisogono (cfr. ep. n° 52 e 110); M. V. risponde dettagliatamente, spiegando quanto è successo; premette di dovere tutta la sua fortuna al fratello di Paolo, il cardinale Pietro Barbo [1], e afferma che mai vorrebbe mostrarsi ingrato nei confronti dei suoi benefattori [2]; rientrato da Venezia, ha sentito voci insistenti sull’arroganza dell’abate [3]; lo ha chiamato a collo­quio, consigliandolo ed esertandolo con umanità, ma quello gli si è voltato contro inferocito [4]; i rumori e le lamentele contro l’abate sono cresciuti, ha predisposto due sanzioni, che tuttavia non ha mandato ancora ad effetto, volendosi confrontare con il cardinale Pietro [5]; mai è intervenuto contro i privilegi dell’abate, che sono già straordinari, e se l’abate ha avuto notizia delle lettere di lamentela scritte da M. V., si consideri lui stesso responsabile [6]; un ultimo grave evento è occorso recentemente: un presbitero, sodale un tempo dell’abate, aiutato da un miles del padre di M. V., è caduto in un tranello ordito dall’abate medesimo: adescato dal desiderio, si è recato a notte fonda in casa della madre dell’abate, dove c’erano alcune donne di bassa condizione, ma lì è stato preso da alcuni monaci, ed è stato sottoposto a fustigazione; M. V. è dovuto intervenire per liberarlo [7]; conclude con alcune sconsolate considerazioni sullo stato del clero in Dalmazia [8] (Jelic, 87-90). /171/ Ad clarissimum equitem dominum Paulum Barbo.a1 medium unguem ~ fortunae ostendere] cfr. Iuv. X 53. [1] Cum ex litteris Marci fratris mei nuper acceptis didicerim animum vestrum non mediocriter adversum me turbatum ex iniqua abbatis suggestione vel potius criminatione, in qua diluenda purgandaque paucis utar, confisus summa humanitate, aequitate, moderatione vestra. Res enim veritate fulta per se ipsa loquitur ut nullo alio patrocinio indigere videatur. Ego inficiari negareque nec possum nec debeo, quicquid honoris, com­modi ac dignitatis in me refulget, id totum procesisse ex benignitate reveren­dissimi domini mei germani vestri cuius servito/172/rem et clientem antiquio­rem melioremque puto me semper fuisse quam est hic abbas, qui se servitio eiusdem reverendissimi domini mei noviter ingessit, nullo quidem amore ductus, sed spe proprii commodi et lucri, tamquam mercenarius. [2] Ea propter cum nullam habeam causam ut quicquam committam quod non cedat ad summum et reverendissimi domini mei et vestrae magnificentiae vestrorumque omnium commodum et ornamentum, si sum homo rationis compos, qualem me reddere studeo et esse non dubito, formam et habitum ingrati animi erga Barborum celeberrimam familiam de me optime meritam assumere ne unquam viderer. Emori potius vellem supremaque omnia pati! Non sum enim adeo ignavus, adeo ebes, adeo perversus, adeo insolens ut contra veram rationem niti velim, ut summa in me beneficia maleficio ac ingratitudine recompensare studeam. Hoc summo Deo displiceret, hoc molestum esset hominibus, hoc natura rerum improbaret, hoc ratio detesta­retur, hoc magnificentia et prudentia vestra singularis damnaret, hoc ego prorsus non defenderem, quippe qui me putarem in vitio iniuriae ita versari, si iniuriam defenderem, sicut ille qui eam infert. [3] Quid autem iniuriae intulerim abbati sancti Grisogoni vel cui­quam mortalium,aa virtutis laus omnis] laus virtutis mg. profecto non video, nisi quia volui defendere iurisdictio­nem dignitatis et ecclesiae meae, idque cum voluntate reverendissimi domi­ni mei, idem abbas fortasse moleste tulit. Sic et Iudei scanda/173/lizabantur verbis Christi, opera eius principi demoniorum attribuentes. Sed ipse prop­terea non desistebat ab optimo instituto suo, quod et mihi etiam faciendum puto, quanquam cum isto abbate nullum habeam neque familiaritatis com­mercium neque ex parte mea odii fomitem. Principio enim quando nuper ex Venetiis Hyadram redii, audivi a multis moleste ferentibus quod idem abbas praeter privilegii sui metam, praeter iuris et consuetudinis terminos pontificalibus uteretur, primo, iterato tertioque †pedato† tacui. Tandem semper ego auditor nunquamne reponam vexatus totiens referentium voci­bus? Qui voce domini custos in vinea, in grege pastor, operarius in messe, in verbo Domini praeco ac evangelizator appellor, cum tamen huiusmodi prevaricationes abbatis multaque alia delicta indigna quotidie ad me defferentur. [4] Quid egi equidem? Nunquid increpavi? Nunquam repente aut sero tandem in eum processi. Vocavi eum qui vix precibus exoratus accessit, tan­dem allocutus sum eum dulcibus et humanissimis verbis, memorans ei qualis rumor et vox in ore vulgi et quorundam nobilium de moribus eius sonaret. Dixi etiam eidem saepius ac saepius omnia eius delicta me laturum aequani­miter ob reverentiam reverendissimi domini mei, cuius pensionarium eum esse cognoscebam. Hortatusque sum eum ut vel mores emendaret, ne laicis detur occasio detrahendi, vel privilegia sua in lucem proferat, quibus se adver­sus obloquentes defendat. Quid his /174/ verbis meis melius, humaniusne potuit dici? Ipse tamen (quanta est eius barbara impudentia et protervitas!) nunquid in partem accepit bonam? Immo protinus in furorem et iracundiam excandescere cepit, quasi crederet me livore invidiae ductum, moleste ferre quod sit abbas, respondendo mihi ampullose insolenterque ac minatorie, sae­pius ac saepius replicans: «providebo, providebo ne subsim tibi!». [5] Interim autem plerique creditores eius multique alii provocantes contra eundem comparebant, contra eum petentes a me sibi ius et iustitiam ministrari. Haec erant aperta et manifesta. Hic gloriabatur se neminem supe­riorem habere sub praetextu cuiusdam privilegii in forma communi concessi cuidam ex praedecessoribus suis, deridendoque miseros homines nunc ad comitem nunc ad me dimittebat eos cum quadam subsinuatione dicendo eis: «videritis quid proficietis». Quis hominum insensibilis haec ferre posset? Ferre si posset, nunquid ferre debeat? Ego tamen qui pro more meo omnia prius experiri consilio quam armis soleo, quid egi, quid feci aut confeci adver­sus abbatem? Iterum rogavi ut satisfaceret quibus debebat in termino. Quod cum negligeret cum assertione quadam, quod nihil mecum habebat agere, non obstante contumacia et negligentia eius, duas sententias contra eum feci, quas in hunc usque diem executioni mandare distuli, cupiens prius sci/175/scitari mentem reverendissimi domini germani vestri. [6] Nunquid tamen dictas sententias contra honorem reverendissimi domini mei fecerim, aut in derogationem privilegiorum abbatis (quanquam in hac parte nihil ei suffragentur)? Nequaquam. Novit enim magnificentia vestra et, si de hoc dubitat, scire poterit a iurisconsultis, quod quilibet privi­legiatus quantacumque gaudeat exemptione, nihilominus ratione contractus et delicti, aut rei de qua agitur, subest ordinario. Licet autem is abbas et iure communi et rationibus praemissis et longaeva consuetudine subsit ordinario, per me tamen cum effectu rei nullum incommodum in rei veritate nullam accepit iniuriam aut molestiam. Si conquestus sum reverendissimo domino meo de vitiis eiusdem abbatis, illaeque litterae in manus suas pervenerint, sibi ipsi imputet qui dedit causam querelae, non mihi qui, si paterer occupari et opprimi iura ecclesiae meae, credat mihi magnificentia vestra pacem haberem cum omnibus et concordiam, dicererque pacificus pastor et praelatus, quod quidem facere in detrimentum ecclesiae meae et in perpetuam damnationem animae meae neque possum neque debeo. Super omnibus his diceriis idem abbas questus est interim tam reverendissimo domino meo quam eidem magnificentiae vestrae. Sed quid ipse reverendissimus dominus una cum reverendissimo domino Bononiensi priusquam audiverint et intellexerint iura mea quae paulo ante in curiam ad eos misi responderint et rescripserint, ex copia litterarum suarum his alligata poterit intelligere, eorum reverendis­simas dominationes /176/ pro me potius sensisse ac iudicasse, multo fortius id facturos, quando viderint allegationes iurium meorum. [7] His praemissis ita se habitis,aa Etsi vera caritas neque perperam agit quicquam neque malum cogitet] bona est epistula mg. accidit quoddam scandalum quod quidam presbyter olim sodalis, socius et coniunctissimus abbatis, similis sui, pellectus illecebris quarundam ancillarum in domo matris ipsius abbatis habitantium, abbate auctore, fraudis et illecebrae huiusmodi, hora secunda noctis, ordine dato, cum feminis eiusdem conditionis ingressus est domum dicti abbatis, aditus praesidio cuiusdam iuvenis incauti qui erat miles patris mei. Hi, abbate ut dixi auctore, primo domus ingressu capti sunt per mona­cos et familiares ipsius abbatis, quos ad eam decipulam paratam ex industria miserat ad fovendas excubias in eadem domo. Sicque capti, iuncti verberibu­sque affecti, per noctem totam, nonne eis vel saltem clerico a me succursum mitti debuit? Nihil magis. Sed nunquid ego haec somniare videor, et quasi falsa pro veris praetendere? Absit. Extat enim processus superinde agitatus, cuius copiam si tempus suppeditabitur, magnificentiae vestrae transmittam ut ex attestationibus testium familiarium ipsius abbatis, fraudem et iniquita­tem considerare possitis. Mirari fortasse poterit eadem vestra magnificentia quod tanta fraus et iniquitas homini religioso ascribi possit. Sed si veritati fides astipulari potest, audacter asseverabo nullum re/177/periri malum quod non superetur iniquitate istorum barbarorum. [8] Nam et laici et clerici eodem morbo laborant, omnes involuti sunt eadem iniquitate. Nullus est praelatus in civitatibus Dalmatiae cui pacifice vivere datur. Omnium sive corpus sive anima et honos nomenque decus carpitur, laceratur et molestatur. Haec certe initia sunt dolorum, ut nihil dubi­tare debemus supremum iudicii Dei diem instare. Haec pro veritate, declara­tione, pluribus quam opus erat fortasse, expressi ac exaravi calamo currenti. Super quibus quod amplitudo vestra sive pro arbitrio suo sive pro bono pacis statuerit et mandaverit mihi profecto ratum et gratum omnino erit. De quibus quidem rebus hactenus ideo ad magnificentiam vestram non scripseram, cre­dens abbatem procul dubio facturum boni viri officium, neque de me questu­rum fore cum querendi causam non haberet honestam. Quod autem dominus Nicolaus de Canali obtractet et obloquatur, facit officium suum consuetum. Vestra interim amplitudo valeat et me, ut semper fecit, diligat. Datum Hyadrae V Nonas Maii MCCCCLXI. 390.(189) Maffeo Vallaresso a Pietro Morosini Zara, 3 maggio 1461 M. V. ha saputo che Pietro Morosini, già attivo nella magistratura della repubblica dei Savi di Terraferma, è stato promosso alla pretura di Spalato: ciò rende felice M. V., il quale si augura che in tale dignità egli possa ottenere la meritata soddisfazione (Jelic, 90). /177/ Spectatissimo domino Petro Mauroceno Sanctae Iustinae co[miti] Sp[alati] designato.aa Excuso me ab iniqua suggestione abbatis mg. [1] Quantae mihi voluptati fuerit nuper intellexisse ex litteris /178/ Marci germani mei vestram spectabilitatem versari in eo magistratu reipubli­cae qui dicitur sapientum t[er]r[rae] f[ermae], quod antehac neque litteris neque nuntiis quisque mihi rettullerat. Quod maxime iterum eadem voluptas mea cumulata sit accessione et augmento vestrae dignitatis hoc praeturae Spalatensis facilius potest a vobis intelligi cui spectatus et cognitus est animus et amor meus, quam a me calamo exprimi, cum exprimendis affectibus animi calamus omnis deficiat. [2] Haec tit[ula] s[pectabilitatis] vestrae quasi nova et inexpectata ex me iussum iri non puto quin etiam si me a scribendo con­tinuissem, etiam pro certo teneretis, quemadmodum tenere debetis, secundis rebus vestris affici laetitia non minus quam cuiusquam strictissimi propinqui vel affinis mei. Gratulor itaque honori, dignitati et ornamento vestro precor­que Deum immortalem ut in primis lucrum et salutem animae, tum eam in republica existimationem quam quaeritis, et quam nos omnes cupimus et exoptamus, exinde reportetis. Valete. Ex Hyadra quinto Nonas Maii MCCCCLXI. 391.(190) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bondumier Zara, 6 maggio 1461 M. V. ha ricevuto solo il 4 maggio la convocazione del patriarca Andrea Bondumier al concilio provinciale, con lettera datata 13 aprile; non può pertanto partecipare, né intende inviare un procuratore, non conoscendo nemmeno gli argomenti affrontati nell’assemblea; lo perdoni il patriarca, ma la responsabilità non è di M. V., bensì del ritardo con cui è stata recapitata la lettera (Jelic, 90-91). /178/ Reverendissimo patri domino Andreae Bondimiero patriarchae Venetiarum. [1] Cum paulo ante, hoc est ad quartum diem Nonarum Maii, vestrae reverendae paternitatis litteras datas XIII Aprilis proxime praeteriti acceperim, quibus ab eadem ad suum comprovinciale concilium videor invitari et evocari, non possumaa Narro quae de abbate mihi referebantur mg. de repente et quasi ex improviso invasus tam cito me properare /179/ ad iter, neque propterea nuntios aut procuratorem in rebus maxime mihi ignotis in eodem concilio agitandis huic ablegare in praesentiarum duxi. [2] Quin potius statui vocem et auctoritatem meam praesentium tenore eidem vestrae reverendae paternitati committere, cum hoc tamen ne decernatur ali­quid novi in provincia mea. Cum mea intersit una cum suffraganeis meis rebus opportunis eiusdem provinciae meae providere. [3] Ignoscat autem reverenda paternitas vestra quod, causis antedictis impeditus, non veniam, cuius rei culpa non meae negligentiae sed tabellariorum ignaviae, qui litteras tardius quam opus erat reddiderunt. Aliud scribendum non occurit, nisi quod me eidem vestrae reverendae paternitati commendo, quam bene valere cupio. Ex Hyadra die VI Maii MCCCCLXI. Raptim. 392.(191) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 16 maggio 1461 A completamento e rettifica della ep. n° 389, M. V. ribadisce a Paolo Barbo di avergli scritto avendo saputo delle calunnie a suo carico ordite dall’abate Bogdan di San Crisogono [1]; si era detto propenso a qualsiasi aggiustamento fosse proposto dal Barbo [2]; ma ora sa che l’abate ha assunto la parte di colui che ha ricevuto l’offesa, perciò dissuade Barbo dal comporre la vicenda in maniera tale da riceverne egli stesso e la sua chiesa un danno [3]; si augura invece che la verità emerga da un’attenta indagine, respinge pertanto il tentativo di composizione proposto dal cardi­nale Pietro Barbo (domino meo), che non conosceva i termini della vicenda, e dal dominus Bononiensis, cioè, probabilmente, da Filippo Calandrini [4]. /179/ Magnifico equiti domino Paulo Barbo. [1] Superioribus diebus vobis scripsi expurgans conscientiam meam quam immunem et alienam dixi a criminationibus abbatis Sancti Grisogoni, cum quo mihi neque simultas, neque stricta familiaritas nunquam intercessit, quanvis eundem, ut reliquos subditos ecclesiae meae soleo, in Christi visceri­bus fovi et dilexi ut teneor. Et quoniam ex litteris Marci fratris mei didiceram quod magnificentia vestra praebebat aures dicacitati et maledicentiae abbatis isti, libere tunc scripsi ad vos, allegando rationes meas et refellendo adversarii criminationem. [2] Insuper, ut vos placitum redderem, in calce litterarum mearum adieci me omnia /180/ habiturum fore firma et rata quaecumque in hac parte pro bono pacis et quietis amplitudo vestra decrevisset, quippe quia nesciebam tunc quod abbas criminaretur praecipue quod in me retorqueret quodve conquereretur et peteret. [3] Nunc audio ipsum facere grandes petias et casumaa Nota scandulum occursum ipso abbate auctore mg. ingentem et cum sit reus actorem se constituere. Nollem propterea quod magnificentia vestra super litteras meas sese fundans ut videatur pro bono pacis componere velle hanc tempestatem aliquid decerneret quod esset in damnum et dedecus dignitatis existimationisque meae. Idcirco quod alias scripsi nunc modifico per praesentes, ut nullam compositionem procuretis ne ipse abbas ex hoc magis ac magis intumescat credatque me quasi conscientia delicti succumbere velle, sed potius permittatis ut quaerat ius sibi ministrari. [4] Ego enim nihil magis opto quam quod huius rei veritas investigetur. Tunc videbitur dicti abbatis iniquitas et ex parte nostra innocentia. Et ut sciat magnificentia vestra questus est etiam reverendissimo domino meo ac reverendissimo domino Bononiensi, qui tamen antequam audierint et intellexerint iura mea nuper ad me satis superque humaniter scripserunt miseruntque quandam compositio­nem circa praedictas differentias in scriptis redditam, cui ego minime consen­tire possum ea maxime parte quae est contra dignitatem ecclesiae meae. Quarum litterarum et compositionum copias his allegatas mitto cui me com­mendo, rogoque ut antequam veritas elucescat mandatis /181/ istius boni viri non praestet fidem magnificentia vestra quam bene valere cupio. Ex Hyadra XVI Maii MCCCCLXI. 393.(192) Maffeo Vallaresso a Zaccaria Barbaro Zara, 23 maggio 1461 M. V. ha saputo dal fratello che Zaccaria Barbaro è intervenuto a favore suo e del padre nella vicenda che lo oppone all’abate di San Crisogono; grazie al suo aiuto, avrà più facile vittoria su colui che gli ha mosso una guerra ingiusta [1]; gli è grato, sia che egli abbia assunto le sue difese spontaneamente, sia che lo abbia fatto per insistenza dei suoi familiari; Zaccaria prosegua a opporsi alla prepotenza e a sostenere la giustizia [2]. /181/ Ad patricium virum dominum Zachariam Barbarum.aa Congratulatoria mg. [1] Cum ex litteris fratrum meorum paulo ante didicerim te praeci­puam et quandam singularem curam et diligentiam his superioribus diebus adhibuisse ut integritas honoris et paterni et mei intemerata redderetur ab impetitione et criminatione nefaria nequissimi illius adumbratique abbatis, sane gavisus sum et recreatus, non tam quod decus nostrum maledicentia improborum pessundari vererer si propinqui nostri tacerent, quam quod tali patrono patrocinante causae nostrae eo faciliorem victoriam nos repor­taturos sperem quo bellum nobis iniustius nequiusque indictum esse vide­tur. [2] Sive igitur sponte tua, sive precibus meorum hunc laborem vel conveniendi et vocandi in ius adversarii vel eidem occurrendi et refellendi susceperis, gratias tibi immortales ago atque habeo, persoluturus eas si quando facultas aderit. Plura in praesentiarum non sum dicturus nisi et cum iure propinquitatis nostrae et benivolentiae antiquae etiam apud maiores nostros inchoatae, tum hoc singulari caritatis et amoris iudicio me tibi obligatissimum deditissimumque reputo, rogans ut, quemadmodum instituisti, graviter et prudenter ita continues in propulsanda iniuria et in defendenda aequitate. Etiam vale. Hyadrae XXIII Maii 1461. 394.(423) Maffeo Vallaresso a Filippo Calandrini Zara, 8 luglio [1461] Il cardinale Filippo Calandrini ha scritto due diverse lettere a M. V., le quali sono entrambe amabili, nonostante affrontino una controversia odiosa; l’abate Bogdan di San Crisogono si è lamentato perché M. V. gli avrebbe causato una serie di molestie [1]; da quando quello è abate, sostiene M. V., egli nulla ha detto o fatto contro di lui; lo ha anzi riverito all’eccesso; tornato a Zara da Venezia, molti gli si sono rivolti per chiedere giustizia contro l’abate: e M. V. avrebbe forse dovuto ignorarli e agire come un epicureo? O non piuttosto assumere la propria responsabi­lità in difesa della giustizia? [2]; nella prima causa che gli ha dovuto intentare, M. V. ha cercato di persuaderlo con dolcezza, affinché soddisfacesse i mercanti che aveva raggirato; l’abate si è adirato, ha preteso un privilegio di esenzione, che M. V. non può concedere; quindi M. V. ha decretato (ma controvoglia) che l’abate restituisse il denaro, oppure che dimostrasse che l’estrazione (?) del sale promesso proveniva (?) dai medesimi mercanti stranieri (la frase salis ~ praestaret mi resta oscura): non potendo fare altro, l’abate di sua volontà, con vergogna, ha dato a compimento la sentenza: da allora non si è più fatto vedere, andando dicendo qui e là che avrebbe ottenuto l’esenzione a qualsiasi costo [3]; un’altra sentenza è stata emessa a carico dell’abate dal vicario di M. V., e ciò perché l’abate non si è curato di presentarsi in tribunale, né di persona, né per tramite di un procuratore; ma tale sentenza non è stata mandata mai a effetto da M. V., per rispetto del suo signore, il cardinale Pietro Barbo; nelle cerimonie l’abate fa indebito uso di paramenti che non gli convengono; è stato ammonito perciò da M. V., ma l’abate gli ha risposto che M. V. cerca qualsiasi espediente per redarguirlo; in realtà M. V. non ottiene nulla da ciò, se non una grave molestia; e se non fosse per salvaguardare la sua propria dignità, M. V. lascerebbe che l’abate viva nel suo errore [4]; i cardinali Calandrini e Barbo si sono impegnati entrambi affinché la contro­versia sia appianata; se così desiderano, M. V. ubbidirà, ma non sa proprio come l’abate, che è stato chiamato in giudizio, si possa presentare innanzi a M. V. non come di fronte a un giudice, ma come di fronte a un amichevole mediatore; in ogni caso M. V. ubbidirà alle decisioni da loro assunte [5]; l’abate in ogni caso non fa alcun conto delle decisioni assunte dal cardinale, perché, ritornato da Venezia, pur avendo ricevuta la sua lettera, ha celebrato messa secondo il suo stile, cioè con apparato pontificale, e il giorno appresso, durante una messa officiata da altri, non ha esitato a dare la sua benedizione al popolo; M. V. spiegherà in altra lettera quali tranelli abbia usato l’abate per screditarlo e ottenere un buon motivo per lamentarsene [6]; è venuto a sapere dalla più recente lettera del cardinale, che alcuni chierici della sua diocesi si sono presentati in curia per protestare contro le nuove costituzioni varate da M. V., e che il cardinale Calandrini insieme al cardinale Barbo hanno fatto in modo di far recedere i chierici dal loro intento, per evitare uno scandalo; M. V. ringrazia, ma precisa di non tenere in alcun conto quei chierici: se il cardinale ne avesse conosciuto i costumi, e se avesse conosciuto le costituzioni, non avrebbe scritto la lettera [7]; le costituzioni pertengono anche questioni pecuniarie, ma ciò è necessario a causa dei corrotti costumi, affinché, quelli che il timore di Dio non distoglie dal male, li costringa almeno una sanzione concreta: si astengono dal peccato infatti solo a causa del timore della pena; hanno pessimi costumi, sono mal visti dai laici, perché ricolmi di difetti e dediti a ogni libidine; tanto che, per tutelarli, M. V. è spesso entrato in collisione con i magnifici rettori e i nobili della città [8]; si augura che prevarrà la voce di quanti lodano le nuove costituzioni; ha scritto in maniera così prolissa, non perché mosso dalla lettera scritta al cardinale da quanti falsamente elevano preghiere importune; fiducioso nell’umanità di lui, ha inteso aprirgli il suo animo: il cardinale intenderà così che M. V. non è inumano e non vuole opprimere nessuno, ma piuttosto, vuole perdonare sull’esempio del Salvatore e dei Santi, rimettendosi tuttavia al giudizio dei supe­riori [9]; c’è stata una lamentela anche a riguardo della proibizione di portare copricapi intessuti di lino: la proibizione era già nella legislazione approvata dal predecessore di M. V., il quale, invece, l’aveva cancellata; ma, poiché nessuno fra i chierici, dal maggiore al più piccolo (anche quello che non ha un soldo di piombo) rinunciava per emulazione al copricapo di lino, e poiché c’era il sospetto che i chierici per permettersi il lusso si dessero anche al ladrocinio, non doveva forse M. V. intervenire? Dovrebbe forse essere incolpato per aver rinnovato l’antica disposizione con il consenso del capitolo? [10]; Filippo Calandrini potrà anche dire che poco importa come vestono i chierici; M. V. replica che i buoni costumi importano assai al vivere bene e felicemente (così come attestano un versetto del Vangelo di Matteo e tre versi di Giovenale); M. V., in ogni caso, si sot­tometterà al volere del cardinale, ma lo prega di tutelare l’onore della chiesa, e di non prendere decisioni contrarie, prima di aver ascoltato e bene inteso [11]. /448/ Ad reverendissimum dominum, dominum Filippum cardinalem Bononiensem. [1] Sicut est mitis ac suavis et humanissima vestra reverenda dominatio,aa possum corr. : possem ms (et evocari non possem de repente om. Jelic). ita et litterae eius ad me binae, sed diverso tempore datae, licet scriptae sint super materia controversiarum odiosa, tamen mirificam quandam in se con­tinent comitatem et dulcedinem, quarum responsionem (ut paucibus potero) me expediam. Doleo primum nos in eiusmodi pessima tempora incidisse, ut omnes fere ecclesiae praelatos ex recte factis subditi criminentur et lacerent, quemadmodum aegroti †fronctiori†ba casum] cassum ms. in medicos fremere ac saevire. Scribit enim reverenda dominatio vestra abbatem Sancti Grisogoni de me questum fuisse quod multas ei molestias intulerim, quae tamen molestiae sint non exprimit. Sed, ut intelligat eadem reverenda dominatio vestra in quo eum molestaverim, paucis dabo. [2] Ex quo est abbas nihil in eum /449/ dixi, nunquam aut feci. Immo ob reverentiam dominationis vestrae ac reverendissimi domini mei Sancti Marci, pluribus quam meretur honoris ac humanitatis officiis eum praeoccu­pavi ut, si recte saperet, gratias mihi potius deberet quam detractiones. Sed homo similis sui consuetum exequitur, officium detractoris. Ego tamen, postquam ex Venetiis Hyadram redii, perhumane eum suscepi et tractavi fraterne. Cum multi ad me venissent petentes contra eum sibi ius ministrari – quidam pro iniuriis acceptis, quidam pro pecuniis et rebus sibi creditis, in quibus repetendis et vendicandis implorabant a me officium iudicis –, dissi­mularene ego debui? Et quasi surdis auribus praeterire ut efflagitantibus ius non dicerem? An solum praelati sumus ut, voluptatibus diffluentes, bonis ecclesiasticis gaudeamus, reliquas huius vitae molestias epycureorum more fugiamus, et non potius pro conservanda aequitate damna et pericula et exilia subire eripiamus? [3] Ego tamen, in prima causa contra eum officio meo delata, volens de plano sine strepitu et figura iudicii secum procedere, egi primum dulcibus verbis ut mercatoribus quos circunvenerat satisfaceret. Illico homo excande­scere in iram cepit et privilegium exemptionis in forma communi praeten­de/450/re. Quod privilegium ei suffragari non posse compluribus iuris et consetudinis rationibus ostendi ac declaravi. Tandem, instantibus magnificis rectoribus, murmurante contra ipsum abbatem tota civitate, quasi invitus ius dixi, decrevique ut pecunias restitueret, aut salis promisi extractionemaa bona est epistola mg. exportare eisdem mercatoribus peregrinis praestaret. Ipsemet sententiam exe­cutioni sponte sua quasi erubescens demandavit, cum aliter facere non posset. Ex eo tempore destitit me vel alloqui vel videre, passim iactans sese exemp­tum esse vel exemptum iri, si mundus crepare debuisset. [4] Alteram sententiam contra eundemba vestra reverenda dominatio] Bona est epistula nec praetermittenda mg. vicarius meus ob ipsius abbatis contumaciam promulgavit, quod nunquam, neque per se neque per procura­torem idoneum, in ius legitime vocatus comparendum duxit. Quam tamen sententiam ob reverentiam eiusdem reverendissimi domini mei nunquam executioni demandari passus sum, non sine dedecore meo, nec sine offensio­ne omnipotentis Dei. Nihil aliud in veritate astruere potest abbas actum esse contra se. De pontificalibus cerimoniisab fronctiori ms : fortasse fractiores corrigendum. ac ornamentis quibus abutitur in dedecus ordinariae dignitatis et cum maximo totius cleri et populi huius scandalo, semel ad me /451/ quidem admonitus fuit hoc cedere in dedecus ecclesiasticum. Respondit me invidia et quasi livore quodam ductum causam iurgandi secum captare, cum tamen de praedictis nihil ei prohibuerim. Haecine iniuriae appellari debeat an potius aequitas et aequitatis defensio? Quid mea interest si utatur eiusmodi ornamentis vel non utatur? Quid dein­de emolumenti capio, si coram officio meo conveniatur vel non conveniatur? Ex quibus omnibus nihil aliud mihi se resultat praeter cordis angorem et animi molestiam. Et certe promitto reverendissimae dominationi vestrae, nisi conscientiae stimulis urgerer qui conservationis indemnitatum iurium eccle­siae ac dignitatis meae invigilari debeo, vinculo astrictus iuramenti, omitte­rem ista, et scelerum auctorem in suo errore versari sinerem, quod ita facere animus mihi est. [5] Quod vero reverendissima dominatio vestra cum reverendissimo domino meo Sancti Marci pro bono pacisba exrctioem ms, id est extractionem vel extructionem. et pro sedandis altercationibus ad compositionem quandam inter nos faciendam et observandam utrique parti ad tempus devenerit, vestrae reverendissimae dominationes fecerunt quod eis placuit. Quod ego quatenus ad me privatim spectat non improbo, immo, si iubetis et cogitis, observabo, quoad placuerit reverendissimis dominationibus utriusque vestrorum, si id fieri potest, absque diminutione iurisdictionis ecclesiae meae, cuius iura et amplitudo /452/ vestra ex officio suo tutari debet. Quo enim pacto abbas comparere coram me debet vocatus in ius, non audi­turus me tanquam iudicem, sed tanquam amicabilem compositorem, certe non video id posse fieri sine derisione ordinariae iurisdictionis. Nihilominus, si reverendissimis dominationibus vestris ita fiendum placet, rescribite animi vestri sententiam. Ego parendum potius cedendumque censeo, quam proce­ribus repugnantibus frustra contendendum. [6] Sed quanti faciat iussa vestra idem abbas hinc, maxime placet, quod nuper ex Venetiis regressus, habitis litteris vestrarum reverendissimarum dominationum, more suo missarum solemnia omnibus pontificalibus ornamentis celebravit in vesperis, alio exi­stente apparato, et postero die in missis alio celebrante benedictionem populo impendere non erubuit. Non tamen mirum si peiora facere praesumeret, cum sit homo barbarus et bonarum litterarum ac iuris ignarus. Cuius mores et vitam quae non est bona, ne dicam impudica, si examinandam ducerem procul dubio maiorem in modum criminari me institueret, qui nemini dicere bene consuevit. Qualem autem technam et machinationem doli excogitave­rit, ut decus meum carpere posset, eoque iustam querendi causam praeten­dens exemptionem apud reverendissimas dominationes vestras perperam obtine/453/ret, alteris litteris explicabo. [7] Nunc venioab Alteram sententiam contra eundem] Secunda sententia contra eum mg. ad recentiores litteras eiusdem reverendae domina­tionis vestrae, quae me earum tenore admonet nonnullos clericos meae diocesis venisse ad curiam, ut querelam porrigerent sanctissimo domino nostro super quibusdam constitutionibus per me in clero et ecclesia mea factis. Quod cum audivit reverendissima dominatio vestra, una cum reve­rendissimo domino meo Sancti Marci, procurastis ipsos abba De pontificalibus cerimoniis] Utitur pontificalibus cerimoniis mg. eorum propo­sito retrahere, ne dominus noster mihi subirasci posset, quod hoc tempore huiusmodi innovationes fierent, scientes pro certo quod si sanctitas sua omnium constitutionum praedictarum et poenam pecuniariam in eis con­tentam intellexisset, paululum admirata fuisset et ipsi clero supplicanti de opportuno remedio providisset. Ad haec ego reverenterque respondeo. In primis enim cumulatissimas habeo gratias reverendissimis dominationibus vestris, quae sic erga parvitatem meam affici videntur, ut futuris scandalis respectu mei obviare curent, quanquam ego huiusmodi clericos de consti­tutionibus meis se gravari querentes unius assis non facio, certoque scio reverendissimam dominationem vestram nunquam pro talibus clericis flagi­tiosis et ambitiosis eiusmodi litteras scripturam fuisse, si vel ipsorum cleri­corum mores novisset, vel constitutiones meas omnes vidisset ac legisset. [8] Quae, /454/ cum sint ex ipso iuris fonte expressae, in nullo reprehendi pos­sunt. Inter quas, licet aliquae sint pecuniariae, nihil mirum, quippe quia clericorum istorum corrupti mores sic exigunt, ut quos timor Dei de malo non retrahit, temporalium bonorum multa coherceat. Oderunt enim pec­care mali formidine poenae. Eodem modo necesse mihi fuit ambitionem ac luxuriam et superfluitatem eorum in cultu et vestitu corporis restringere, ut in omnibus exhibeant se tanquam Dei ministros, et ut murmur populi detrahentis vitae clericorum sopiatur. Licet enim laici instinctu quodam naturali sint infesti clericis, certe Dalmatae isti capitali odio insectantur eos, ut, si fieri posset, viros absorberent. Et hoc ideo quia et ipsi barbari sunt clerici malis moribus assueti,cb pro bono pacis] *** ad faciendam composi*** ad tempus quo non u[titu]r mg. alieni ab omni virtute, pleni omnibus vitiis, libidinibus, crapulis, ebrietatibus, scurrilitatibus, sonnolentiae ac impudici­tiae vacantes. In quibus tuendis et cooperiendis magnas saepenumero ini­micitias cum magnificis rectoribus et nobilibus huius civitatis contraxi, ut ipsimet hos inficiari nequeant. [9] Nunc, si ego de bono opere lapidari debeo, viderit Deus. Sciebam equidem prius quam dictas constitutiones ederem plerosque /455/ futuros qui eas laudarent, nonnullos etiam qui eas improbarent. Spero tandem bonorum partem praevalituram, contraque improbantium linguas cessuras prae confu­sione. Haec paulo acrius ac prolixius quam opus erat rescripsi, non quidem litteris ipsis reverendissimae d[ominationi] v[estrae] scriptis importunas falso querelantium preces motus, sed singulari humanitate vestra fretus animum aperire non dubitavi, ut intelligat reverendissima dominatio vestra me non esse ita inhumanum, ut contra veram rationem velim niti et aliorum iura opprimere, seu quencunque vexare, sed potius etiam lacessitus iniuriis veniam dareaa Nunc venio] ** ad alteras posterius litteras suas mg. et in bono vincere malum, exemplo Salvatoris nostri et sanctorum patrum, quorum perfectioni nos conformari debemus et respondere inter­dum obiectis ac honorem dignitatis defendere, submittens tamen me in rebus omnibus meliori iudicio et correctioni reverendissimae dominationis vestrae ac omnium maiorum meorum. [10] Ad id vero quod conquestus est clericus ille prohibitum sibi essebb ab] ad ms. vigore dictarum constitutionum mearum deferre caputeum sindone suffultum, respondetur cum veritate constitutionem illam per praedecessorem meum editam fuisse, non sine ratione meoque tempore me volente et annuente interruptam, cumque ni/456/mis abuterentur conces­sione mea (nam deteriores omnes licentia sumus), cum et nulli clericuli essent,cc clerici malis moribus assueti] Narrat vitam istorum mg. a maiore usque ad minimum (etiam illi quibus non est domi num­mus plumbeus), qui non emulatione quadam maioribus equiparari vellent et serico sive de suo sive de alieno caputeum fulcire – ita ut et magistratus et cives primarii ac plebi supra modum scandalizarentur, murmurantes contra luxuriam clericorum et pompas –, insuper quaecumque furta fierent in civitate,da lacessitus iniuriis veniam dare] ** illud Salvator[is] mg. clericis imputabantur (quiaeb conquestus est clericus ille prohibitum sibi esse] Prohibitum clericis ne utantur caputeis sindone suffultis, respondetur mg. bene sciunt tam profusas impensas de suo vel beneficio ecclesiastico vel patrimonio facere non posse, nisi de alieno suscipiant), hisne murmurationibus opprobriosis obviam iri a me non licuit neque debuit? Culparine debeoac nulli clericuli essent] nullis clericulis esset ms. quod antiquam constitutionem cum consesu capituli mei renovaverim? [11] Et licet dicat reverendissima dominatio vestra nihil ad bene beate­que vivendum attinere an clerici deferant caputea sindone suffulta vel non, ego sententiae vestrae reverendae dominationis non adversor, sed, cum maxi­ma observantia et veneratione amplitudinis vestrae, dico bonos mores (qui extrinsecus considerari solent in verbis et in /457/ factis, in aspectu oculorum, in cultu corporis et incessu) multum referre ad bene beateque vivendum. An est ridiculum et vulgare illud dictum «ecce qui mollibus vestiuntur in domi­bus regum sunt»?1 Quaero an deceant multicia testem. Acer et indomitus libertatisque magister, Cretice, perluces.2cd fierent in civitate] Nota bonum argumentum mg. Quanto magis clericos ista non decent, qui sunt veri testes et annuntiatores verbi Dei et iudices animarum a Deo dati. Ego igitur, ut epistolae faciam finem, feci ut opinor quod debui. Quicquid sanctissimus dominus noster et vestrae reverendissimae dominationi in contrarium faciet, profecto mihi parendum erit et cum omni humilitate oboediendum. Interim tamen exora­tam velim eandem reverendissimam dominationem vestram ut honorem ecclesiasticae praelationis tutari velit et in contrarium nihil decernere prope­ret, prius quam rerum causis optime audiat et intelligat. Datum Hyadrae, dieVIII Iulii. 395.(424) Maffeo Vallaresso a Filippo Calandrini Zara, 8 luglio 1461 A completare la precedente lettera, M. V. in questa descrive al medesimo cardinale Calandrini le macchinazioni dell’abate Bogdan; questi ha cercato di corrompere i familiari di M. V., finalmen­te ci è riuscito con un chierico, che a lui molto assomiglia [1]; la madre dell’abate abita con alcune giovani di dubbia fama, istruite per adescare i chierici; qui l’abate per un mese intero ha fatto risiedere anche alcuni monaci e villici armati; infine un presbitero è caduto nel tranello: è stato preso e fustigato a sangue; la mattina, M. V., come era suo dovere, si è preoccupato di liberare il presbitero [2]; M. V. ha richiesto a suo padre, capitano della città, di intervenire, anche perché insieme al presbitero era trattenuto anche un soldato; ma i messi dell’autorità veneziana sono stati presi a sassate; perciò con la forza, ma senza fare danno a cose o persone, il presbitero (e il soldato) sono stati liberati; M. V. ha subito fatto arrestare il presbitero, e ha chiesto all’abate di sporgere denuncia contro di quello per il danno che gli aveva causato [3]; l’abate allora, invece di sporgere querela, è partito alla volta di Venezia, dove di fronte all’autorità ha denigrato il padre di M. V., e M. V. stesso, con un cumulo di menzogne: tale è la cattiveria di codesti barbari; nemmeno l’acqua del Tevere potrebbe dilavare lo scandalo suscitato; e nonostante ciò, poco appresso lo stesso abate ha celebrato un pontificale, ancorché, per quanto successo, fosse scomunicato [4]; l’abate pare quasi mandato da Dio a provare M. V.; il quale ha quindi agito contro il sacerdote che era stato catturato; data la situazione, ha emesso contro di lui una sentenza molto grave, contro la quale il sacerdote si è subito appellato; con l’abate, di cui è noto lo stile di vita, più proprio di un epicureo che di un benedettino, M. V. è pronto a riconciliarsi, se così comandereranno i cardinali Calandrini e Pietro Barbo [5]. /457/ Ad eundem reverendissimum dominum cardinalem Bononiensem. [1] Quod alteris litteris promiseram explicaturum me fore machinatio­nes, fraudis et nomen, quodam vindictae genus ab isto abbate Sancti Grisogoni excogitatum, id persolvere mea interest.ae quia] quos ms. Novit reverenda domina­tio vestra vulgare proverbium quo solitum est imbecillo vi/458/lique hosti exprobari, «sellam scilicet caedit,ba Culpari ne debeo ] Aliud argumentum mg. qui caballum attingere nequit». Ita noster abbas cum non potuerit hamo quodam iniquitatis familiares capere meos, quos saepenumero ad eam decipulam (quam mox patefaciam) tentavit, tan­dem unum ex clericis meis antiquum sodalem suum similem sibi miro modo instinctu daemonis cepit. [2] Is idem abbas domi suae, ubi habitat mater eius, habet quasdam famulas sinistrae (ut fertur) famae, quas instruxerat ut lenociniis et illecebris impudicis (venia sit dicto) familiares et domesticos meos, tum laicos, tum etiam clericos bonae existimationis inescarent, in quibus malitia sua non habuit locum. Cumque perduraret in hoc nequissimo proposito, fere per unum mensem continuum (ut fertur) singulis noctibus monachos et villicos quosdam suos armatos domi praedictae excubare faciebat ad fovendas insidias quas paraverat. Sicque factum est ut tandem quendam presbyterum cepit, qui tota illa nocte ligatus iussu abbatis verberibus cessus fuit usque ad effusionem sanguinis. Fabula esset nimis longa, immo vera historia, quam fortasse reverenda dominatio vestra ab aliis forte didicit seriosius. Mane facto, quod ego tunc facere debui, audito maxime dictum sacerdotem in vinculis destineri, nonne requisitus relaxandum eum fore procurare de/459/bui? [3] Illico misi ad dominum genitorem meum, nunc praefectum seu capitaneum huius civitatis, implorans bracchium militum suorum, praesertim quia cum dicto presbytero alter miles eiusdem domini capitanei captus erat. Habita igitur manu brachii secularis, misi primo pacifice dimitti mihi vinctum iuris­dictioni meae, cumque nefarii illi ministri abbatis lapidibus obruere incoha­rent nuntios meos, fateor me iussisse meos vim vi repellere servata modestia. Effractis igitur foribus dictae domus, vincti qui erant extracti sunt, servata indemnitate rerum et personarum domus predictae. Ego presbyterum illum illico carceri mancipavi. Requisivi abbatem ut porrigeret querelam contra eum quia intentionis meae erat ut ius sibi ministraretur in eo, quod dictus sacerdos contra eum deliquerat. [4] Quid tum egit ab[bas] omissa querela? Statim Venetias profectus est ad illustrissimum dominium, ubi questus est et tam de patre meo quam de me. De patre quod miserit ultra ducentos pedites, cum non fuerint plus quam XV, ad violandam et saccomanandam domum suam, affirmans pro certo direptum matri suae tantum auri et argenti ut excederet summam tricentorum circiter ducatorum, cum in eadem domo decem ora re/460/periri non possent, cum multis aliis mendaciis more barba­rorum, quorum proprium est semper mentiri. De me itidem complura falso exposuit, potissimum asserens dictum presbyterum, iussu meo, ingressum fuisse domum praedictam ad verecundandas ancillas, sive famulas suas, cum multis aliis turpissimis verbis, quae et ipse referre erubesco et reverenda dominatio vestra vix credere posset. Sed credat mihi eadem dominatio vestra nullam iniquitatem excogitari posse adeo insignem quam non superet iniqui­tas et malitia barbarorum istorum, quorum mens mala, ingenium pravum, animus pessimus, semper ad malum tendit. Tantum igitur scandalum dictus abbas suscitavit et hic et Venetiis lingua sua dolosa, ut Tiberis fluenta ad extinguendam vix sufficerent. Quibus non obstantibus, paulo post celebravit missarum sollemnia quem non dubito irregularitatem incurrisse, quem occa­sione praedictorum excommunicatum fuisse certum est. [5] Quid igitur agam cum homine, immo bellua huiusmodi, profecto nescio. Credo fortasse missum enim a Deo ad tentandum et exercendum me. Fiat voluntas domini.a1 Evang. sec. Matthaeum, 11, 8. Considerans interim dictum sacerdotem, qui et ipse est pessimae famae, in hac civitate scandalorum huiusmodi causam dedisse, licet enim fuerit vocatus ab illis ancillis, et ianua sibi /461/ patefacta ut ingre­deretur, id tamen facere non debuit propter honestatem clericalem. Idcirco, ut iustitia suum sortiatur effectum ex officio meo, maxime quia res erat noto­ria, processi contra eundem presbyterum et sententiavi eum rigidius quam delicti sui meritum exigeret. Appelavitque a sententia mea et iam credo eum venisse in curiam. Haec ut gesta sunt breviter intimanda vestrae reverendae dominationi duxi, ut ipse iudicet qualis sit iste abbas, et ab hoc uno eius crimine. Cetera quae vitam eius tangunt perdiscat. Patet enim eum epycure­am professionem moresque Sardanapali potius quam instituta beati Benedicti imitari. Pudet me ista dicere, cum neque ad dignitatem meam, neque ad consuetudinem spectet aliis maledicere, quanquam qui verum dicit is non maledit. Non desistam propterea quin ob reverentiam vestrae reverendae dominationis ac reverendissimi domini mei eundem abbatem, si quando sapere ac respicere et ad animum redire studuerit, fraterne complectar et offi­ciis humanitatis eum provocem, offerens parvitatem meam ad mandata vestrae amplitudinis, cui me commendatum opto. Ex Hyadra, VIII Iulii MCCCCLXI. 396.(425) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 8 luglio 1461 M. V. ha ricevuto la lettera del cardinale Pietro Barbo e del cardinale Calandrini, cui è allegata una disposizione sulla vertenza con l’abate Bogdan di San Crisogono; dopo aver scritto una lunga lettera al Calandrini, risponde ora anche al cardinale Barbo, nonostante questi gli abbia indicato di rivolgersi per la vertenza al solo cardinale Calandrini e di ubbidire ai di lui comandi; vuole infatti descrivergli i costumi dei popoli di Dalmazia [1]; essi sono aspri e lontani dal diritto e dagli studi letterari, contro di loro hanno già tuonato Cicerone e Giovenale; l’abate Bogdan, come un novello Crispino (con riferimento alla oraziana Satira IV del primo libro) sfida M. V. con ingiurie; tuttavia M. V. spera che la sua propria mitezza e integrità lo tutelino agli occhi del cardinale Barbo e del cardinale Calandrini [2]; il Signore ci raccomanda di pregare anche per i nostri nemici, ragione per cui M. V. ha pudore a raccontare tali cose; tuttavia egli non ha mai mancato nei confronti dell’abate, anzi: questi aveva falsificato il testamento di Lorenzo Venier, dilapidandone le sostanze, al che Polidoro, predecessore di M. V., ha ottenuto una lettera aposto­lica che lo autorizzava ad arrestare e incarcerare il colpevole; il quale, dopo l’improvvisa morte di Polidoro, si è recato da M. V. supplicando perdono; lo ha ottenuto, né M. V. ha assunto contro di lui alcun provvedimento per farsi restituire il denaro dovuto, al contrario, lo ha sempre trattato come si tratta un fratello [3]; dopo che Bogdan è stato eletto abate, M. V. lo ha onorato come si onora un amico, e lo ha anche invitato a pranzo; quello ha accettato, ma la di lui madre lo ha poi dissuaso dal partecipare al banchetto, dicendogli che M. V. si proponeva di avvelenarlo: la cosa è ridicola e incredibile, ma vera; M. V. nulla ha replicato, ed è partito per Venezia; al rientro molti ecclesiastici e religiosi gli si sono rivolti per chiedere giustizia contro l’abate; M. V. ha convocato l’abate, il quale sostiene di godere di una esenzione dalla sua autorità; M. V. gli ha dimostrato che ciò non è in alcun modo vero; e benché avrebbe potuto procedere in moltissimi modi contro di quello, ha malvolentieri assunto solo due provvedimenti: al primo lo stesso abate si è spontanemante sottomesso; il secondo è ancora pendente; la composizione della vicenda defi­nita dai cardinali – che cioè l’abate si presenti a M. V. come di fronte a un amico – è gravemente lesiva dell’autorità ecclesiastica, e tuttavia a essa, se tale è la loro volontà, M. V. è pronto a sotto­mettersi [4]; i diritti che si vogliono soffocare non sono quelli di M. V., ma quelli di Cristo e della chiesa; peraltro M. V. non è intervenuto mai contro il suo clero con sanzioni pecuniarie, benché avrebbe potuto e forse dovuto; solo recentemente ha approvato una legislazione fondata sulla precedente e su quella patriarcale veneziana, per contenere alcuni eccessi: e senz’altro presto ci sarà qualche suo chierico che solleverà lamentele presso la curia; ma il cardinale Barbo saprà apprez­zare l’equità di quelle disposizioni [5]. /461/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Accepi nuper et reverendissimae dominationis vestrae et reverendis­simi domini Bononiensis litteras et quaedam capitula compositionis factae per utrunque /462/ super certa controversia inter abbatem Sancti Grisogoni et me exorta occasione nugatoriae exemptionis quam ille praetendit. Licet autem praefato reverendissimo domino Bononiensi super causa controversiae eiusmodi et super dicta diffusissime scribam, quippe quantum sua reveren­dissima dominatio prolixius de eadem materia scribit, ad cuius litteras ipsa dominatio vestra se remittit, exortans me ad observationem suae voluntatis et cetera, non praetermittam quin etiam ad vestram reverendissimam domina­tionem iura et rationes meas referam, in primisque scire volo d[ominationem] v[estram]a2 Iuv., 2, 76-78. ingenium et naturam Dalmaticorum istorum. [2] Sunt enim genus hominum asperumba machinationes, fraudis et nomen, quodam vindictae genus ab isto abbate Sancti Grisogoni excogitatum sententiae sensus clarus apparet (‘le macchinazioni, e il nome della frode, il genere di vendetta ideato da codesto abate di San Crisogono’), sed dispositio verborum suspecta videtur. quia natum est et educatum in locis asperis et petrosis, mendax et vafer,cb caedit] cedit ms. quia servilis conditionis, ferum et inconstans, quia a conscientia iuris et a studiis humanitatis ac prorsus ab omni virtute remotum et alienum, ut non mirum si summus oratoraa fiat voluntas domini] fiat voluntas domini mg. impre­cetur eisdem Dalmaticis malum, quia bellicosi et seditiosi semper habiti sunt.1ba iura et rationes meas ~ scire volo d[ominationem] v[estram] omisit ms1, add. mg ms2. Et Iuvenalisbcb Sunt enim genus hominum asperum] Nota vitiosum genus Dalmaticorum mg. eiusmodi gentem vitandam dicat: «horrida», inquit, «vitanda est Gallia, Gallicus apis, Illiricumque latus»,2dc vafer] vafix ms, ut videtur. cum ceteras gentes imbelles dicat. Itaque si abbas iste, Bugdanus nomine, pars infima Dalmatiae plebis, ceu aliter gradu Crispinus,3ea summus orator] Cicero mg. verna canapi, provocat me continuis iniu­ris et controversiis, imitatus vitium gentis suae, facit certe officium suum. Et licet conetur me querelis et criminationibus suis in odium inducere apud reverendissimam dominationem vestram et apud reverendissimum dominum Bononiesem, spero tan/463/dem nihil proficiet, postquam et animi mei leni­tudo ac vitae integritatis et moderatio quaedam in rebus omnibus, contraque illius et intemperantia ac protervitas constiterit. [3] Piget mihi his verbis mordacibus, ut contra naturam et consuetudinem meam. Non enim debe­mus reddere malum pro malo,cfb Et Iuvenalis] Iuvenalis mg. quin potius in bono vincere malum, non obstante quod alibi scriptum sit: «iustitiae primum munus esse ne sui quis noceat, nisi lacessitus iniuria».4gc Non enim debemus reddere malum pro malo] Illud evangelii mg. Hoc salvator noster improbat, qui etiam pro inimicis orandum praecipit. Sed quid ego unquam amisi, unde criminari me debeat ille venerandus pater? Nonne humanitatis et beneficientiae officiisd multifariam,eid Nonne humanitatis et beneficientiae officiis] Beneficia quibus ipsum *** in minoribus esse *** mg. ex quo ad hanc ecclesiam promotus sum, eundem abbatem praeoccupavi? Et cum post mortem olim domini Lau[rentii] Venerio, domi­nus Polidorus, praedecessor meus, eundem abbatem, tunc im minoribus existentem, graviter persequeretur, ex eo quia hereditatem dicti domini Lau[rentii] falsis tabulis testamentariis sibi vendicaverit illaque bona depilaverat, distraxerat ac diripuerat, ita ut contra eum obtinuerat litteras apostolicas capiendi eum et incarcerandi ubicunque locorum esset (quae lit­terae adhuc apud me supersunt), venit ad me post obitum repentinum ipsius domini Polidori supplex, ut ei ignoscerem /464/ et ad bona restituerem. Erat enim excommunicatus et privatus tunc omnibus beneficiis suis per senten­tiam reverendi domini episcopi Nonensis, tunc vicarii generalis dicti olim domini Pol[idori], quid ego tunc feci? Nunquid sequi volui sententiam prae­decessoris mei latam contra eum de ingenti ducatorum summa? Immo remisi sibi omnia, et ad bona sua eum restitui. Et quanvis obligaret se reddere mihi rationes dictorum bonorum distractorum, et restituere ac reficere omnia, nunquam processi contra eum, nec coegi eum ad dictam solutionem et bono­rum ad me spectantium restitutionem. Deinde in rebus omnibus ita favora­biliter, ita humaniter eum semper tractavi, ut, si natus esset ex utero matris meae, magis facere non possem. [4] Postquam ad hanc dignitatemae multifariam] multifaciam ms. reverenda dominatione vestra mediante promotus est, redeunti sibi Hyadram tum primum gratia honoris sibi exibendi misi ei obviam capellanos et omnes familiares meos cum una barca optime instructa, gratulabundus honori ac dignitati suae, ut amicus amico facere solet. Invitavi eum paulopost ad prandium. Promisit, venit, mater sua, quae est femina procacissima, illico revocavit eum, admonens eum palam insidiarum veneni quod dixit ei paratum in prandio meo. Credidit ille stultus stultissimae matri,b1 summus orator ~ semper habiti sunt] cfr. Cic. fam. V 11,3: «Dalmatis di male faciant qui tibi molesti sunt! sed, ut scribis, brevi capientur et illustrabunt res tuas gestas; semper enim habiti sunt bellicosi». recessit, /465/ prandium renuit. Ridiculosa sunt ista et tamen historia est vera, ita vivam. Aegre tuli, nihil dixi. Protinus ego Venetias petii ad defendenda iura ecclesiae meae, quae tunc per quosdam laicos Hyadrenses opprimebantur. Tandem per Dei gratiam victor redii, fere annus est. Comparuerunt paulopost coram me plerique hominum, tam ecclesiasticarum quam saecularium, gravantium se de dicto abbate diversimo­de. Quid ego tunc facere debui? Nonne petentibus ius ministrare debui? Vocavi igitur eum, admonui primum, deinde praecepi ut creditoribus quos deceperat satisfaceret. Ille noluit praetextu cuiusdam privilegii in forma com­muni concessi, exemptum se esse a iurisdictione mea praetendens. Ostendi sibi privilegium illud nihil in ea parte suffragari posse iuribus communibus et rationibus rationabilibus infinitis. Et quanvis plures sententias contra eum ferre potuissem, nunquam tamen misi. Duas tantunmodo tuli invitus, neces­sitate ac honestate urgente, quarum unam tantummodo ipsemet sponte subiit, confusus propter murmurationem populi, altera adhuc stat suspensa, quia sic vult reverenda dominatio vestra, cui pro nunc sic visum est facere. Illam compositionem una cum reverendissimo domino Bononien[si], ut dic­tus abbas sit plusquam exemptus, cui compositioni ego tam diu parebo quam diu placue/466/rit reverendissimis dominationibus vestris, quanquam cedat hoc in dedecus ordinariae dignitatis – ut is veniat et compareat coram me, auditurus me non tanquam iudicem, sed tanquam stipitem ligneum et ami­cabilem compositorem –, ego neminem amicum meum hoc audire vellem a subditis suis. Nihilominus ego (ut dixi) sequar voluntatem revendissimarum dominationum vestrarum, in quarum conscientias hoc oneris reiicio. In cete­ris omnibus idem abbas, ut in abusione pontificalium ornamentorum et in dandis benedictionibus populo alio celebrante, facit sicut antea perverse face­re solebat. Nec ulterius de iis verbum faciam. Sufficit mihi semel et viriliter latrasse et annuntiasse iniquitatem praevaricantem legem Dei. [5] Haec iura quae mihi suffocantur non sunt mea, nec patrimonii mei, sed Christi potius et ecclesiae. Aliud quidem sciam, nihil unquam feci quod non placeret dicto abbati, qui certe me admodum diligeret et optimum prae­latum me praedicaret, si tacuissem, et eum in suo errore fovissem, quod facere nec de iure nec de honestate debui. Nam, licet naturaliter a bellis, litium et controversiarum abhorream, eaque totis viribus devitem, nihilominus con­scientia urgente non possum facere quin pro tuenda aequitate interdum arma capessam, ita tamen ut neminem unquam offendam. Novit Deus omnipo­tens, ex quo in /467/ hac dignitate constitutus sum, licet indignus, neminem subditorum meorum privavi aliquo beneficio, neminem condemnavi in poena pecuniaria, ex qua obolum unum perciperem, cum plures et privare potuerim et condemnare propter eorum demerita et vitam turpem et scanda­losam. Immo, si quid inimicitiae aut dissensionis habui cum istis laicis, id fuit aut pro defendendis iuribus ecclesiasticis, aut pro defendendis et cooperiendis clericis meis, timeoque ne dicatur mihi: «quia pepercisti virgae, ideo filios imprudentiores fecisti». Sed, cum invalesceret murmuratio populi contra vitam clericorum meorum, feci quasdam constitutiones ex fonte iuris elicitas pristini, adhaerendo constitutionibus antiquis, partim constitutionibus patriarchalis ecclesiae Venetae, quas quidem constitutiones nonnulli clerici mei, sine aliquo freno iuris et rationis vivere volentes, improbant et de eisdem fortasse questuri venient in curiam. Spero tamen quod, cum reverenda domi­natio vestra eas viderit, laudabit potius, nec tales et cetera. Hyadrae, VIII Iulii 1461. 397.(427) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 8 luglio [1461] L’ultima lettera del cardinale Pietro Barbo ha profondamente amareggiato M. V., il quale si sente nel mezzo di una tempesta, nella quale sole e cielo sono stati coperti dalle nuvole; il cardinale accusa M. V. di ingratitudine; è vero che M. V. non può in alcun modo ripagare i benefici ottenuti, e tuttavia ciò non significa affatto che egli abbia dimenticato quanto deve al suo cardi­nale [1]; il cardinale fece prova della fedeltà di M. V. quando questi lavorava nella curia, né è vero che ora egli abbia mutato la sua indole e si lasci trasportare dalle momentanee convenienze; egli è invece sempre fedelissimo, poiché il cardinale lo ha in ogni modo favorito, e sempre M. V. proclama a tutti la gratitudine che gli deve; nulla di peggio teme che apparire un ingrato [2]; se ha sbagliato – e può essere, essendo egli un uomo – se ne scusa profondamente, e si sottopone alla correzione che il cardinale deciderà di imporgli; ma non creda il cardinale alle voci malevole che insinuano falsità [3]; è falso che il padre di M. V., per istigazione di M. V. stesso, abbia imposto l’onere dell’accoglienza di stranieri e di pellegrini al monastero di San Crisogono; la notizia è stata evidentemente confezionata ad arte o dall’abate Bogdan, oppure dal sacrilego Nicolò Canale; vero è che, per conseuetudine, nel monastero di San Crisogono e in altri monasteri zaratini, come avviene a Venezia, sono accolti visitatori e pellegrini di speciale autorevolezza; mentre M. V. si trovava a Padova, sono giunti a Zara Giulio Contarini e Antonio Venier, sindaci della Dalmazia; questi sono stati indirizzati al monastero di San Crisogono dai rettori; l’abate ha brigato con detti sindaci affinché i rettori non introducessero più nel monastero altri forestieri; i sindaci hanno così disposto secondo l’autorità di quelli; i rettori non hanno opposto nulla, ma la deliberazione dei sindaci è stata poi revocata dal senato di Venezia; né il padre, né M. V. hanno attinenza alcuna con questa vicenda [4]; se M. V. avesse voluto vendicarsi contro l’abate, certo non avrebbe agito per mezzo di un tale espediente: perché nessun vantaggio viene a M. V. dal fatto che gli stranieri siano o non siano accolti nel monastero; dunque egli neppure può chiedere ai rettori di stabilire che nessuno straniero sia più accolto nel monastero: non spetta a loro deciderlo, ma al senato veneziano; peraltro, è necessario che a Zara gli stranieri siano accolti nel monastero, poiché non ci sono altri luoghi a ciò deputati [5]; M. V. allega anche una lettera del vescovo di Nona, che attesta la verità di quanto M. V. ha scritto; inoltre M. V. chiederà anche al conte di scrivere a sua volta in merito alla medesima questione [6]. /468/ Ad reverendissimum dominum meum dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Unde exordiar, aut quid primum respondeam ad vestrae reverendae dominationis litteras, datas ex Urbe pridie Kalendas Iulii, profecto nescio.a2 Cfr. Iuv. 8, 116-117: «horrida vitanda est Hispania, Gallicus axis, / Illyricumque latus». Ita sum confectus, ita obrutus amaritudine, ut vix respirare queam, et quasi constitutus in tempestate, ipsum Phoebi iubar una caelique nubibus obduc­tum videar videre. Sed nec Iuno Scaeasa3 ceu aliter gradu Crispinus] cfr. Hor. Serm. I 4,14: «Ecce Crispinus nummo me provocat: ‘accipe, si vis, / accipiam tabulas. / detur nobis locus, hora, / custodes’». nec superum quisquam horum causa est,1b4 Cfr. Cic. De officiis I 7,20: «iustitiae primum munus est ut ne cui quis noceat nisi lacessitus iniuria». ut vestra humanissima dominatio sinistris improborum homi­num informationibus sua/469/sa mihique subirata, prima parte litterarum dulcedinem quandam, reliqua vero fel mixtum aceto mihi bibendum pro­mat. Dumque aperte dicat reverenda dominatio vestra sese de me male meritum, quod aliud facit quam pro ingratitudinis vitio mebca Postquam ad hanc dignitatem] Aliud signum benivolentiae mg. occupatum accuset? Ego vero, etsi nullo modo ita gratus esse possem erga eandem reverendissimam dominationem vestram, ut aequali mensura bonorum retributione secum contendam, non tamen congnosco me adeo ingratum, ut vel non intellegam, vel oblivioni dederim immensa eiusdem vestrae humanissimae dominationis beneficia, quam post optimum Deum a sola vestra reverenda dominatione me accepisse ubique glorior, cui plus debeo quam parentibus ipsis, qui me in lucem protulerunt. [2] Nihil enim magis est remotum et a natura mea alienum quam ingratitudo, quae ab universis sapientibus improbatur et culpatur,cdb Credidit ille stultus stultissimae matri] Narro levitatem et stultitiam abbatis mg. ut secun­dum maiorum instituta libertos ingratos fas esset in pristinam servitutem redigere.2ea litteras datas ex Urbe pridie Kalendas Iulii profecto nescio] Fit excusatio de falsa criminatione abbatis, et est mordax mg. Non credat igitur reverenda dominatio vestra – quae, dum ei totis in curia famulabar affectibus, intus et in cute novit me, scitamque et explo­ratam erga se fidelitatem meam, constantissimam habuit – ex eo tempore citra me immutatum et quasi deterioratum a pristina degenerasse probitate, ut nunc alios mores et animum servilem ac rusticanum et prorsus ingratum gerens, inso/470/lentius incedens, ventorum fretus obsequio in modum Aeoli regis mea me iactem in aula. Qui potius idem sum Maffeus, compos vere rationis, vestrae reverendae dominationis cultor et observator, servitorque fidelissimus et gratissimus, ad mortem usque duraturus, ad despectum et confusionem aemulorum, qui detrahunt mihi apud clementissimam dominationem vestram, cuius gratiam a me alienare conantur – quod nun­quam futurum spero –. Tanta est enim magnitudo beneficiorum vestrorum, quaaa Scaeas] scyra ms, ut vid. me v[estra] r[everenda] d[ominiatio] irretivit, obligavit et obruit, ut nunquam me excutere queam quo prosiliam in errorem impietatis et ingrati­tudinis. Haec fortasse in angulis et sub modio et in aurem susurrare soleo? Et non potius publice et aperte passim praedico, nemini hominum gratias agens, nisi reverendae dominationi vestrae? Cuius ope atque opera quicquid in me dignitatis immerite, quicquid honoris, quicquid existimationis, quicquid divitiarum videtur inesse profecto inest. Eoque fit ut praeter singularem reve­rentiam et venerationem †in† mirificumque amorem quem debeo vestrae reverendae dominationi (ita me Deus adiuvet), nihil magis unquam timui ac timeo caveoque, quam ne quo pacto ingratus et impius apud eandem inve­niar, cui animam ipsam, quam nihil gratius et antiquius habeo, devovi ac iterum devoveo. [3] Si quid itaque feci aut facio quod cederet contra honorem omni­potentis Dei /471/ contraque decus et ornamentum amplitudinis vestrae, obsecro reverendissimam dominationem vestram ut litteris suis id explicare dignetur quod dicit sibi per alios relatum fuisse. Homo enim sum et pos­sem errare sicut et ceteri. Non sum tamen ita mente captus, ut cognito errore meo pedem non illico retraherem ut me emendarem. Quicquid deli­qui aut peccavi omnem poenam luere non reformido et correctioni vestrae reverendissimae dominationis a modo me submitto. Spero tandem clare constituturum fore eandem dominationem vestram informationes relatio­nesve sinistras de me sibi factas falsas et inanes esse, easque procesisse aut a malivolis meis aut per malivolorum verba seductos. Haec dicta sufficiant quo ad primam partem praedictarum litterarum vestrae reverendissimae dominationis. Venio nunc ad secundam earundem. [4] Quod dicat reverendissima dominatio vestra impositum esse gra­vamen forensium sive peregrinorum introducendorum abbatiae vestrae Sancti Grisogoni per patrem meum, id me procurante, hoc certe falsum est falsoque suasum reverendae dominationi vestrae aut per litteras boni abba­tis istius aut N[icolai] de Canali, hominis procacissimi ac petulantissimi, qui nunquam verum dicere nec bonum operari didicit, qui Deum omnipo­tentem si posset de sede Olympi deiceret. Homo impurus et spurcus vita, detractor summi pontificis sacrique patrum collegii ac omnium praelato­rum et bonorum virorum inimicus et crimi/472/nator, compater ipsius abbatis eiusque similis. Sed cur ego in eum invehor? Si verum dicitur, imo mentitur quicunque id rettulerit. Vestrae reverendae dominationi notum enim est omnibus his civibus Hyadrensibus antiquam esse hanc consuetu­dinem (exercitatam antequam dicta abbatia deveniret in manus dominatio­nis vestrae reverendae) quod, si quando aliquis princeps seu magnus domi­nus divertitur Hyadram, interdum ad dictum monasterium Sancti Grisogoni, interdum ad alia monasteria religiosorum ex commissione rec­torum semper deduci solet pro honore illustrissimi dominii Venetiarum et pro commodo ipsorum forensium, non quoruncunque, sed magnorum (ut dixi) dominorum, prout fit etiam Venetiis, ubi divertunt vel ad Sanctum Georgium maiorem, vel ad monasterium Cruciferorum, quod est vestrae reverendae dominationis, vel ad alia monasteria, secundum beneplacitum eorum qui habent imperare. Verum, existente me Paduae anno superiore, accidit ut spectabiles viri dominus Iulius Cont[arenus] et An[tonius] Venerio, syndici Dalmatiae, ad dictum monasterium Sancti Grisogoni de voluntate dominorum rectorum et de more diverterunt, renitente prius abbate, demum consentiente. Cum quibus syndicis, ut audio, egit ut recto­res de cetero ad praefatum monasterium neminem forensium introduce­rent, falso pro se consuetudinem in contrarium allegans. Et ita factum est ut syndici ex potestate sibi tradita, decreto et tabulis assignatis, id firma­runt. Rectores, decreto syndicorum neque appellantes neque omnino adversantes, illustrissimo dominio id restitum iri curaverunt. /473/ Senatus igitur consulto decretum syndicorum revocatum est, resque in pri­stinum statum restituta. Nec dominus pater meus, vestrae reverendae dominationis observantissimus, hoc gravamen imposuit, nec ego ut impo­neretur procuravi, qui tunc absens eram, neque unquam de causis alieni fori me impedire consuevi. [5] Miror tamen reverendam dominationem vestram aut per litteras abbatis, aut N[icolai] de Canali persuaderi potuisse, ut credat me id vel procurasse, vel procurare voluisse. Quod non facerem teste Deo tum prop­ter reverendam dominationem vestram, cuius commoda et honorem tutari potius debeo quam incommodare, tum propter ipsum abbatem, etiamsi esset mihi inimicus capitalissimus. Ex quo, si vindictam sumere cuperem, gravissimam et notabilem sumere instituerem (quod avertat Deus), non puerilem et vilissimam. Quid enim commodi, quid spei aut emolumenti provenire mihi exinde potest, si eo loci forenses introducantur? Quidve incommodi si nonab me me ms1 : expunxit me1 ms2. introducantur? An aliquid concurrentiae ac emolutio­nisbc ingratitudo quae ab universis sapientibus improbatur et culpatur] Ingratitudo magnum ***um est et a me *** alienum mg. habeo cum isto abbate, ut ex eius incommodis voluptatem quandam et commoda mihi comparem? Certe cogitare talia verecundarer, nedum perpetrare. Quare non video qua fronte ingredi debeo ut procurem illud gra/474/vamen per magnificos illos rectores removeri, qui responsionem in promptu habebunt, remotionem videlicet dictae consuetudinis ad eos non spectare, sed ad praefatum serenissimum dominium. Et si spectaret, remo­veri non posset propter urgentem necessitatem publicae honestatis, quae iubet forensibus honorem impendere. Nam, si hic Hyadrae essent hospitia meritoria, sive domus privatae ad id comodae, reverenda dominatio vestra posset conqueri tam de illustrissimo dominio, quam de his rectoribus, quod ad monasteria potius reducant forenses quam ad alium locum, cum aeque commode alibi hospitari possent. Sed non est ita rationibus praedic­tis, quas non ideo allegavi, ut videar patrem meum defendere, qui nihil deliquit. Immo, si obstitisset pro viribus dominus comes, non destitisset facere quod fecit, qui, etiamsi desisteret, alii profecto de novo superve­nientes illud idem facere cogerentur, quod per omnes praedecessores fac­titatum esse noscitur. [6] Habet igitur reverenda dominatio vestra excusationem meam et quod neque pater meus imposuit illud gravamen, cum sit antiqua potius consuetudo de necessitate observata, prout et alibi locorum illustrium observatur, neque ego id procuravi, quod multis de causis facere non debui, etsi praesens tunc fuis/475/sem, cum longe absens fuerim, ut praedixi. In reliquis remitto me ad litteras reverendissimi patris episcopi Nonensis circa praedictam materiam diffusius scribentis et fidem dictis meis asserentis, nec non ad litteras magnifici domini comitis, quem ad scribendum huius rei veritatem, nisi occupationes eum plurimae impedierint, pro virili mea inducam et impendam. Hyadrae, VIII Iulii. 398.(426) Maffeo Vallaresso a Girolamo Lando Zara, 9 luglio [1461] M. V. ringrazia Girolamo Lando, arcivescovo di Creta, per quanto ha fatto in favore del vescovo di Duvno la diocesi della Bosnia Erzegovina, guidata allora dal francescano Nicolò da Zara (Nikola Zadranin); il re di Bosnia (Stefano) ha fatto irruzione nella provincia di Corbavia (Krbava), devastandola; il cugino di M. V., Gabriele Vallaresso, alla guida di una piccola flotta, e giunto a Segna (Senj) e lì attende il cardinale di Sant’Angelo (Juan Carvajal), per scortarlo ad Ancona o sulle spiagge del Piceno (l’epistola è edita in Škegro 2002, 224). /467/ Ad reverendissimum dominum Hier[onymum] Lando archiepiscopum Cretensem. Nuper accepi humanissimas litteras vestrae dominationis, plenas officii et amoris. Officii quidem in eo quod dominatio vestra episcopo Dumnensi optatum favorem praestitit. Amoris vero quod intuitu /468/ mei id accurate et diligenter fecit, propterea quod gratias eidem habeo infinitas. Nova etiam quae ibi accidunt, quae scribit eadem dominatio vestra, habui gratissima et pro verissimis teneo, quippe quia eius viri calamo exarata sunt, qui nihil vulgare, nihil triviale scribere solet. Hic rerum novarum nihil agitur, praeter id quod dicitur copias regis Bosnae irruisse in provinciam Corbaviae, nobis vicinam, eamque devastasse et praeda ac incendio villarum et agrorum affe­cisse. Gabriel Vallaressus consobrinus meus, capitaneus parcarum armatarum Ripariae, venit nuper Segnam ibique expectat reverendissimum dominum cardinalem Sancti Angeli, legatum Ungariae, ad traiiciendum eum Anconae vel in litus Picenum. Aliud novi nihil est et cetera. Ego, siquid hic possum pro commodo ac beneplacito vestrae reverendissima dominationis, offero me et cetera. Ex Hyadra, die VIIII Iulii. 399.(193) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 17 luglio 1461 Dalle ultime lettere M. V. ha inteso la premura di Paolo Barbo, che ha cercato in ogni modo di conciliarlo con l’abate; forse non sarà gradita, ma nemmeno troppo dispiacerà, a Paolo come al cardinale Pietro, un’azione legale contro l’abate (sprezzantemente definito vectigalarius, cioè portatore di rendite); se non gli è più concepibile un’amicizia, tuttavia non mancherà di riab­bracciarlo in carità, allorché voglia finalmente redimersi; resta in ogni caso nell’attesa di conoscere quale sia la volontà di lui e del cardinale Pietro. /182/ Ad magnificum dominum Paulum Barbum equitem.a1 nec Iuno Scaeas nec superum quisquam horum causa est] cfr. Verg. Aen. II 612: «hic Iuno Scaeas saevissima portas / prima tenet sociumque furens a navibus agmen / ferro accincta vocat». [1] Etsi multis argumentis vestrae magnificentiae amorem erga me meosque omnes ita comprobarim ut novis ad hanc rem experimentis minime indigeam, his tamen superioribus diebus et litteris meorum et novissime vestris litteris confirmatum satis abundeque didici quantae curae vobis fuerit ut controversiae exortae inter abbatem Sancti Grisogoni et me vestra opera sedarentur et pax pristina reformaretur, quam cum omni hominum genere possidere vellem, nedum cum vectigalario reverendissimi domini mei eiusdemque germani vestrae magnificentiae. [2] Verum si is abbas quanquam homo utilis et vectigalis reverendissi­mo domino meo me iniuriis incessit ac lacessit neque eidem domino meo neque vobis placiturum fore credo, nec contra displiciturum si bello mihi iniuste indicto armis iuris occurram. Habeo autem ingentes gratias eidem magnificentiae vestrae quod se mediam dissentientibus interponere studuerit fungens officio boni ac sancti viri, quanvis nesciam quid proficerem si recon­ciliaretur mihi homo alienus ab omni religione ac devotione, cum quo pacem habere et amicitiam inire est perinde ac serpentem in gremio fovere. [3] Nec idcirco aberit a me quin eum pristina complectar caritate, quotiens resipiscere voluerit. Si quid aliud aliter faciundum interim in hac parte me velletis, vobis in rebus omnibus gerere morem gratius haberem, quam animo meo in quavis re singularem voluptatem comparare. Multa enim inducunt mentem meam tamquam suspensam /183/ esse et quasi pendere ex arbitrio reverendissimi domini mei, et ex nutu vestro cui me plurimum commendo. Valete. Ex Hyadra die XVII mensis Iulii MCCCCLXI. 400.(355) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Zara, 4 agosto 1461 M. V. riferisce al fratello Giacomo quanto sta succedendo a Zara riguardo alla vicenda dell’abate Bogdan di San Crisogono: questi ha domandato al comes di Zara (cioè Benedetto Venier, cfr. n° 355), se egli possa o no partecipare alla prossima processione; ignaro, il comes ha risposto affermati­vamente, informando però subito M. V., il quale ha richiesto invece al comes di interdire la presenza dell’abate, perché scomunicato [1-2]; l’abate allora, dietro consiglio di un Antonio dello stesso mona­stero di San Crisogono, si è presentato dal comes con un grande codice di Decretali, in base al quale ha sostenuto che la scomunica non è valida, in quanto priva della previa triplice ammonizione: al che il vicario di M. V., presente all’incontro, ha prontamente risposto che ciò vale solo per la scomunica ab homine, non per la excommunicatio canonis [3]; l’abate ha allora affermato di poter decidere dell’assoluzione dei propri monaci, esattamente come il vescovo del suo clero; ma il comes ha risposto che in base al diritto canonico l’abate non può assolvere un monaco che abbia fustigato a sangue un chierico: l’assoluzione può nel caso essere impartita solo attraverso la sede apostolica [4-5]; nonostante ciò, il giorno della processione si sono presentati i monaci, bensì senza l’abate, ma insieme ai due scomunicati, i quali allora sono stati allontanati da ufficiali inviati da M. V. [6]. /183/ Venerando viro domino Iacobo Vallaresso subdiacono apostolico. [1] Etsi supervacaneum putem puerilis abbatis ineptias tibi scribere, tamen ut nihil te lateat earum rerum quae hic geruntur, non praetermitten­dum duxi concertationem habitam nuper inter vicarium meum et ipsum abbatem praesente magnifico domino comite. Nam cum abbas aut ex malitia aut ex ignorantia ostenderet se non credere ipsum et monachos illos qui ver­beraverunt presbyterum M. iussu ipsius abbatis excommunicatos, consuluit dominum comitem an venire deberet in processionem. Cui dominus comes utpote iuris ignarus simpliciter consuluit ut veniret ac faceret debitum suum. [2] Interim tamen idem comes admonuit me quid abbas interrogasset eum et quid ipse respondisset abbati. Hoc intellecto illico misia2 secundum maiorum instituta libertos ingratos fas esset in pristinam servitutem redigere] cfr. Val. Max. II 6,6: «Age, quid illud institutum Athenarum, quam memorabile, quod convictus a patrono libertus ingratus iure libertatis exuitur!». ad eum dicens ei ut dissuaderet abbati ne veniret in processionem, quia, cum sit absque dubio excommunicatus et, quod peius est, irregularis, alterum e duobus mihi facien­dum esset si veniret et misisset se divinis, scilicet vel repellere eum de ecclesia, vel cessari facere divina, quod utrunque cederet ad maximum dedecus ipsius. Sicque factum est ut idem dominus comes mitteret cancellarium suum ad retrahendum abbatem a proposito veniendi ad processionem, et cetera. [3] Postera die abbas, informatus consilio Ant[onii] de Grisog[oni] venit /184/ ad comitem cum grandi codice decretalium super dubia excom­municationis causa, procuravitque ut vicarius meus ad ipsum comitem accer­seretur, cum volebat constare se posse venire ad processionem cum nondum habeatur pro excommunicato, quia, antequam excommunicetur, debet iudex trina monitione eum admonere cum ordine iudiciario ab excommunicatione contra eum procedere, quod nondum factum fuerat ideo, et cetera. Et in favorem iurium suorum allegavit c[apite] I «De exces[sibus]» plura, ubi de his diffusius. Sed vicarius optime respondit ei illud c[aput] intelligi debere de excommunicatione quae sit ab homine, non de excommunicat[ione] canonis, in qua non est opus aliqua monitione, sed tantum pronuntiatione ut talis evitetur, prout erat in casu nostro. Ad quod ipse abbas obmutuit tanquam bestia (nec mirum, cum prima elementa litterarum ignoret). [4] In prima propositione confusus, mox aliam arripuit, dicens se esse iudicem monachorum suorum sicut episcopus clericorum suae diocesis eosque posse absolvere ab omnibus excessibus et cum eis dispensare, sed non allegavit textum. Ad quod vicarius respondit per c[aput] «Cum illorum de sententia ex[comm].» et c[aput] «Religioso» eo[dem] ti[tulo] li[bri] VI ipsum non posse id facere, sed hanc facultatem ordinario esse concessam, ut mona­chum verberantem clericum secularem absolvere possit eo casu quo posset absolvere clericum sive laicum, videlicet quando verberatio et pulsatio est levis. [5] Sed si sit cum effusione sanguinis, ut in casu nostro, tunc nec ipse ordinarius absolvere talem potest, sed est absolvendus per sedem apostolicam cum multis aliis iuribus et allegatio/185/nibus ad diversa proposita factis con­tra ipsum abbatem, quem facillime declaravit excommunicatum esse, ita ut dominus comes sibi peroptime satisfactum fuisse diceret, reputans abbatem bestialis formae. [6] His non obstantibus, die sequenti, cum esset fienda processio pro introitu illustrissimi dominii hora qua ceteri religiosi solent congregari ad processionem in ecclesia cathedrali, venerunt monachi sine abbate, in quo­rum ceteri erant illi duo excommunicati tamen extra ecclesiam cum aliis. Hoc cum esset renuntiatum mihi, misi officiales ut expellerent eos ex processione, et cetera. Vale. Ex Hyadra die IIII Augusti MCCCCLXI. 401.(196) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 14 agosto [1461] M. V. deve, con grande dispiacere, declinare la richiesta di aiuto finanziario venutagli dal vescovo di Sebenico Urbano Vignati; la situazione di M. V. è tale per cui non riesce a soddisfare le esi­genze della sua stessa famiglia, tra cui la dote della sorella e il mantenimento a Roma del fratello Giacomo; la carica di arcivescovo gli ha inoltre prosciugato molte sostanze. /186/ Reverendo patri domino Urbano episcopo Sibenicensi. [1] Tam ex litteris reverendae paternitatis vestrae quam ex oratoribus eiusdem accepi peti/187/tionem sane liberalem et ex magna fide atque amore singulari procedentem qualem dirigere solemus ad coniunctissimos nobis, quos fas est amicorum necessitate non deesse. Sed quantopere haec res mihi doleat, quod animo vestro morem gerere nequeam, novit Deus qui nihil ignorat. [2] Novit profecto paternitas vestra annum superiorem me Venetiis consumpsisse gratia defendendae iurisdictionis ecclesiasticae, ubi loci quantas fecerim impensas notum est omnibus amicis meis. Taceo alios sumptus necessarios et particulares, ut est dos sororis meae quam praeterire honeste non potui, quin eam solverem licet nondum persolverim. Non nihil imper­tiendum fuit et domino Ia[cobo] qui hactenus expensis meis in curiam mili­tavit. [3] Baculus quoque pastoralis deglutivit mihi non mediocrem pecunia­rum summam, quam de meo exbursavi. Inter has et multas alias impensas totis loculis exhaustis reddendum mihi fuit Hyadram, ubi loci unam tantum pagam huius anni elapsi a Io[hanne] percepi. Reliqua, ut spero, ibit in fumum. Interim persolvi bullas domino Ia[cobo] neque in minima parte iuvi patrem meum cui iure naturae plus debeo quasi quam mihi ipsi. Ita fit ut excepto victu frugalii et salario familiarium meorum aut parum aut nihil supersit. Cuius rei me maxime taedet pigetque quod neque mihi ipsi inter­dum satisfacere nequeam neque amicos levare quos debeo. Haec pluribus quam par /188/ fuit expressi privatorumque vulnere et dolore molestias ape­rui, ut paternitas vestra reverenda intelligat me promptissimum animum ei inserviendi habere sed per dominum vires deficere. [4] Nam, ut verum fatear, et virtus vestra mirifica, cuius gratia semper vos dilexi, colui et observavi et nostra antiqua familiaritas exigit et requirit ut in rebus quae ad ornamentum et commodum vestrae paternitatis cedunt re ipsa potius diligentem me ostendam quam verbis. Quod cum fieri nunc nequeat, nolit quaeso paternitas vestra reverenda propterea imputare, quemadmodum quidam facere solent qui amicos tanti faciunt quanti commoda quae ab eis percipiunt. Sed potius infirmitate mea propriam soletur imbecillitatem meque diligat, ut consuevit. Valeat eadem paternitas vestra diu et feliciter ac reveren­dissimo domino legato me commendatum reddere studeat. Ex Hyadra XIIII Augusti. 402.(197) Maffeo Vallaresso a Giacomo Bragadin Zara, 19 settembre 1461 M. V. ha ricevuto incarico da parte di Giacomo Bragadin e del patriarca di intervenire in una causa discussa a Spalato; attende le carte processuali per procedere secondo il mandato, anche se non gli è facile provvedere alla cura dei beni altrui, e tuttavia lo farà per compiacere all’amico e per tutelare gli interessi della Repubblica; ha fatto sequestrare della biada, ma i rettori hanno quindi richiesto di sospendere il provvedimento. /188/ Ad reverendum patrem dominum Ia[cobum] Brag[adenum] electum Scardonensem. [1] Litterasaa qua] que (scil. quae) ms. tuae reverendae paternitatis et breve sanctissimi domini nostri reverenter quantum decuit accepi et legi, habitoque processu reverendi domini Spalatensis superinde agitato, procedam iuxta iuris ac mandati formam ad ulteriora (in quantum requisitus fuero per paternitatem tuam vel eius proc[uratorem]) quae specialiter ad hoc constituere opus est. [2] Quanquam autem rerum alienarum cura difficilis permolestaque mihi videatur, huiusmodi tamen labores solo amicorum iuvandorum sublevandorumque intuitu alacriter amplectimur, aggressuri pro tua paternitate etiam graviora negotia, dummodo rempublicam nostram non laedamus, quae quanta est eius auctoritas /189/ et potestas terra marique amplificata, quanquam sese laedi a nemine patitur, tamen interest nostra interdum prospicere, quid in rem eius conducat quidve officiat. Ego interim processum praedictum expectabo. [3] Superioribus autem diebus ad instantiam archipresbyteri nostri iussi sequestrari quaedam blada quae ferebantur fratris Alexandri esse. Nudius tertius magnifici rectores miserunt ad me Iohannem de Calzina, requirentes ut huiusmodi sequestrum tollerem ne maior novitas suscitaretur. Cum inte­rim illi distinuerant e converso tantundem bonorum sive fructuum subdito­rum illustrissimi dominii scitorum extra terminos nostros, ideoque necesse mihi fuit dictum sequestrum relaxare et in totum levare, licet aegre et minime libenter id fecerim. [4] Magistratui nihilominus deferre volui, cui cum hono­re reluctari non potui, etiamsi res mea opus esset. Neque per me neque per archipraesbyterum defuit quin paternitas tua consequeretur id commodum. Sed cum non semper feriat quodcunque minabitur archus, idcirco aequo animo esto et vale. Ex Hyadra die XVIIII Septembris MCCCCLXI. 403.(428) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 19 settembre 1461 M. V. ha ricevuto da Lorenzo Zane, per tramite di un breve apostolico, il mandato di giudicare una causa; M. V. non lo farà con piacere, poiché ne avrà più guai che vantaggi; sospetta che Lorenzo gli abbia affibbiato l’incarico per sbarazzarsene e per compiacere un principe ‘barbaro’, la cui ira, però, potrebbe indirizzarsi sul nuovo commissario, oppure sul di lui patrimonio; non dice tali cose per paura, ma perché prevede quanto potrà accadere; un giudice deve agire oltre il timore e il sentimento a esso contrario; farà quanto comandatogli dal breve apostolico; rinuncian­do alla forza del potere ecclesiastico (ecclesiastico mucrone destructu) si rivolgerà contro colui che si è ribellato alla sede apostolica, per quanto glielo concederà il diritto; [1]; è da molto che non si scrivono, ma conta l’affetto che reciprocamente nutrono; M. V. è felice di sapere che Lorenzo si è riconciliato con i suoi concittadini [2]; anche M. V. ha agito con tutta l’umanità possibile; gli resta solo il problema dell’abate Bogdan, che ha fatto di tutto contro il padre di M. V., ma ne ha riportato solo una sentenza a lui stesso avversa, per cui l’abate ha dovuto pagare a M. V. otto ducati; M. V. è tuttavia sempre pronto a riabbracciarlo [3]; incerte sono le notizie circa la sorte del principe Sforza [4]. /475/ Ad reverendum dominum Lau[rentium] archiepiscopum Spalatensem. [1] Litteris tuae reverendae dominationis et breve apostolicum pauloan­te accepi et legi admoneboque partes de commissione et mandato mihi delegato. Deinde habito et viso processu per dominationem tuam superinde agitato, iuxta formam mandati eiusdem et iuris modum procedam. Q[uantu]m autem libenter facturus sim, consideratu facile est cum ex onere huiusmodi honor vel minimus vel nullus, molestia multa, commoditas nulla commissari­us consequi soleat.aa non om. ms1 : add. s.l. ms2. Ego vero quantum coniectura consequi possum, non irrationabiliter fortassis adducor in suspicionem ut credam tuam dominatio­nem curavisse levari ab eo onere et honore, et quasi quandam sarcinam ingra­tam in alienos humeros etiam exiliores absque ulla pietate reiectum iri. Hac enim via et /476/ ad abigendam a se molestiam, qua etiam epycurei vitant, et ad gratificandum principi banno, gratia restitutorum molendinorum, sane compendiosior visa est. Quid si furor tyranni eiusdemque barbari in novum commisarium vel eius praedia convertetur? Quis damna et iniurias reficiet? Gladius inquam spiritualis? At opus est virili, quoniam, «ubi opus est facto, non sufficiunt verba». Haec ratiocinatio ne videatur ex metu potius quam ex futurorum praemeditatione procedere, cum nullus iudex iustus esse possit, qui mortem, qui exilium, qui dolorem, qui egestatem, qui damna – aut ea quae sunt his contraria – aequitati anteponit. Sane magnanimiter quantum fas est apostolica iussa capessam (ut debeo) praemissaque diligenti commoni­tione, tandem, ecclesiastico mucrone destructo, in contumacem et rebellem apostolicae sedis animadvertam quantum de iure potero. [2] Quod autem vicissim scribendi tarditate usi fuerimus et multo tem­pore citra venia danda est utrique nostrorum, quorum neuter in otio scribendi fuit. Satis est animos summa benivolentia invicem affectos esse. Illud quoque auditu iocundissimum scituque gratissimum fuit, tuam dominationem rediisse in gratiam civium suorum pristinumque amorem eorum sibi conciliavisse. Hoc et prudentis viri et sancti pastoris officium /477/ est errantium ovium culpam condonare, pro eisdem et reducendis in saepta salutis, omnia pericula omne­sque labores adire. Ad quod faciendum et Christi salvatoris nostri et omnium sanctorum patrum informamur exemplis, quae recensere supervacaneum esset. [3] Ego itidem cum meis egi ut eos omni humanitate superarem. Restat mihi solus frater Bog[danus], adumbratus abbas, omnium hominum flagitiosissi­mus, qui, etsi contra dignitatem et honorem patris mei nefarios conatus inten­taverit, neque quicquam hactenus profecerit nullamque victoriam reportaverit, prateter sententiam contra se latam per reverendissimum dominum patriar­cham in favorem meum pro expensis per me factis occasione cuiusdam citatio­nis mihi factae, quae expensae fuerunt in summa ducatorum VIII, quos nuper mihi solvit cum suo ingenti dedecore. Si tamen ad viam rectam redire vellet, profecto complecterer eum fraterno amore seposita omni simulatione, quae aliena est ab hominibus nostris, barbaris autem vitio naturae ingenita. [4] Litteras reverendi domini Cretensis reclusas esse non imputo, nihil enim scribi potest tam archanum vel a reverenda dominatione sua vel ab aliis quod ego eidem dominationi tuae traditumab emolutionis ms, sed verbum emolutio non aliter testimoniatum, et fortasse corruptum. esse nollem. Aliud ad scriben­dum ad litteras tuae dominationis non restat. De morte principis Sfortiae rumores varii feruntur. /478/ Novissimus ex Venetiis M. Mam. comist.ba super controversiis abbatis *** rogavi et cetera mg. Hyadrae heri rediit. Is ad os rettulit eum ex vita decessisse. Litterae autem quas attulit dicunt eundem principem convaluisse. Quod tandem erit tua reverenda dominatio scibit ab aliis. Vale. Ex Hyadra, die XVIIII Septembris MCCCCLXI. 404.(429) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Zara, 21 settembre [1461] M. V. ha saputo che il fratello Giacomo è guarito da una malattia; egli è l’unico che possa provve­dere in Venezia alle urgenze della famiglia, M. V. perciò gli chiede di soccorrere le difficoltà sue proprie e del padre [1]; Giacomo dovrà intervenire al processo che riguarda l’accusa scandalosa sporta dall’abate Bogdan a suo carico di aver interedetto qualcosa (di non specificato) ad alcuni monaci usciti dal convento; è necessario che l’abate sia condannato [2]; il patriarca vuole sapere se si può provare che l’abate sia scomunicato; ci sono sono molte prove al riguardo: il processo inten­tatogli da M. V., quello intentatogli dal padre di M. V., la testimonianza dei familiari dell’abate, la confessione dell’abate stesso, che ha riconosciuto di aver predisposto il tranello e di aver coman­dato che il presbitero fosse fustigato; la stessa città di Zara ne è testimone, poiché di fronte alla sua assemblea il vicario di M. V. ha dimostrato all’abate di essere incorso in scomunica [3]. /478/ Ad venerabilem dominum Ia[cobum] Vallaresso subdiacunum apostolicum. [1] Quo magis angebar ex valitudine tua adversa, nunc eo magis laetor,ca misi] missi ms. quandoquidem certior redditus sum te convaluisse per Dei gratiam. Licet enim didiceram ex litteris M[arci] fratris eam infirmitatem non fuisse gra­vem, verebar tamen, sollicitus, quem exitum aegritudo esset habitura. Iam igitur viribus restauratis hostiae gratiarum optimo Deo immolandae sunt oppido, danda etiam opera ne in id ipsum recidas. Et quanquam labores curaeque nunc tibi molestae videri debent et ad corroborandam pristinam sospitatem contrariae, eo tamen considerato quod ex nostris nemo est hic Venetiis, qui prudentius et diligentius agat et curet causas nostras quam tu, ea propter privata onera tam mea ipsius quam domini genitoris humeris tuis libentius et securius iniungimus. [2] Superioribus nanque diebus saepius ac saepius ad te scripsimus, nullas tamen a te recepimus cuius rei nulla me habet admiratio, pensata infir/479/mitate tua. Nec puto superiores litteras meas replicandas fore, cum certus sim te iam optime intellexisse causam iniquissimam perversissimi fratris Bog[dani], asserti abbatis. Sed quia nunc tempus instat comparendi coram reverendissimo domino patriarcha ad refellendam eius scandalosam calumniam, quae fuit de monachis eggressis monasterium et a me impeditis et cetera, cuperem te processurum ad ulteriora iudicii sive litis huius, et simili modo procurare ut condemnetur in expensis, quod fieri potest et debet, quia contrarium probari poterit quanquam probatio incumbat potius ei. [3] Et quia M[arcus] scribit reverendissimum dominum patriarcham scire velle si poterimus probare dictum Bog[danum] abbatem excommuni­catum esse et cetera, dico id minime dubium esse. Probatur enim tam per processum meum, quam per processum domini genitoris, item per testifi­cationem familiarium ipsius abbatis et etiam per confessionem suam ipsam ex industria procurasse eiusmodi decipula, mandasseque ut presbyter M. verberetur et cetera. Deinde, postquam rediit ex Venetiis, missarum solemnia pubblice celebravit. Testis est tota haec civitas, super qua causa congressum habuit cum vicario meo, coram magnifico comite et multis aliis, negando ipse se excommunicatum, et vicarius praedictus asserendo et probando per iura ipsum excommunicatum esse una cum illis duobus monachis exequutoribus sceleris,aa litteras] litteris ms. ita ut nihil respondere sciret. /480/ Habetur igitur pro excommunicato et evitatur tanquam excommunicatus, tam a rectoribus quam a reliquis civibus. Idcirco reverendus dominus patriarcha nihil dubitet eum pronunciare excommunicatum et irregularem, et cetera. Valete. Hyadrae, XXI Septembris. 405.(430) Maffeo Vallaresso a Donato Barbaro Zara, 24 settembre 1461 M. V. si complimenta con Donato Barbaro, il quale è stato nominato prefetto di Zara: benché egli meriti maggiore dignità, tuttavia questo incarico gli risulterà comodo e soddisfacente; spera da avere da lui aiuto, e si dichiara da subito pronto a darne, per quanto gli è possibile. /480/ Ad magnificum dominum Donatum Barbaro, capitaneum Hyadrae designatum. Nihil iocundius gratiusque hoc tempore nuntiari mihi potuitaa expectes honorem vel minimum vel nullum, molestiam multam, commoditatem nullam. quam quod singulari vestra virtute et comitiorum suffragiis Hyadrensis praefectura vobis demandata sit. Qua quidem dignitate, etsi praestantia generis et existi­mationis vestrae multo sublimior sit, et ad commoditates plurimas et ad animi voluptatem eandem multum conducet. Gratulor igitur secundis rebus vestris, mihi ipse gaudeo, quippe quod sperem ob singularem benivolentiam et propinquitatem suavissimam quae intercedit nobis cum familia Barbarorum, vos mihi futurum ad omne praesidium et solamen non aliter quam pater solet filio. E contra, si quid interim per me fieri potest quod respiciat commodum et ornamentum vestrum, me atque fortunis meis utimini ad arbitrium animi vestri habituri me profecto proinde ac filium in omne tempus officiosum et obsequiosum. Valete in Domino feliciter. Datum Hyadrae, die XXIIII Septembris MCCCCLXI. 406.(431) Maffeo Vallaresso a Francesco Porcellini Zara, 15 ottobre [1461] Francesco Porcellini ha deciso di trasferirsi a Venezia; Maffeo ne è felice: la Repubblica ne avrà grande giovamento; Maffeo potrà a lui appoggiarsi come a un padre, o come a uno zio, o come a un parente strettissimo; non v’è bisogno di aggiungere che è pronto a dargli tutto il suo aiuto, poiché dalla fanciullezza Maffeo è restato proprio com’era, sempre il medesimo (et fuerim et sim qualis qualis sim: iterazione probabilmente affettiva, non una dittografia). /481/ Ad clarissimum doctorem dominum Fran[ciscum] de Porcellinis. Quod constitueris tibi eligere ac denique tenere stabile domiciliumaa traditum] praditum ms. apud almam civitatem Venetiarum pro tua singulari prudentia, non puto te erravisse in deliberatione huiusmodi, proinde gaudeo ac vehementer lae­tor, tibique et reipubblicae nostrae summopere gratulor. Tibi quidem quod ad eam civitatem tete penatesque tuos contuleris, ubi columen iuris et aequitatis, ubi receptaculum virtutum, ubi bonorum confugium reipubli­cae vero nostrae quod ex te tali tantoque viro non mediocria commoda et ornamenta sit consequutura. Sive enim pacis, sive tempus belli fuerit, tu in omne tempus et rei Venetae et propinquis et amicis denique tuis praesidio et adiumento esse poteris, si voles, nec dubium quin velis. Itaque oblationes tuas ex prompto ac liberali animo procedentes equidem utraque amplecto manu, tuaque ope atque opera non minori utar fide, quam si pater aut patruus, seu quis alius coniunctissimus mihi esses. Me ipsum autem ex opposito tibi offerre supervacaneum puto, quippe qui a teneris (ut aiunt Graeci) unguiculis et fuerim et sim qualis qualis sim. Vale virorum optime et me ut semper fecisti dilige. Hyadrae, XV Octobris. 407.(432) Maffeo Vallaresso a Pietro Morosini Zara, 30 ottobre 1461 Pietro Morosini è tornato dalla Liguria, e ha inviato a M. V. un formaggio, accompagnando il dono con una lettera; M. V. ringrazia, ed è orgoglioso del fatto che Morosini lo abbia sempre nel suo animo. /481/ Ad spectabilem dominum P[etrum] Maurocenum, Sanctae Iustinae. Ad diem XXII Octobris accepi litteras vestrasbb comist. ms : fortasse comest[abilis]. quas quidem /482/ vidi ac legi libenter et iocunde, ut soleo vestra omnia, cessitque mihi ad maximam voluptatem quod vos incolumis reddieritis ex Liguria, cui provinciae administrandae seu procurandae provvidendaeve senatus consulto vos dimis­sus fueritis. Ex qua ne vacuus immemorve nostri rediisse videamini, optimi casei peciam sane molarem transmisistis, et ne videatur dignum donum, etiam verbis illud extenuare studuistis. Ego tamen gratissimum duco quod quocumque pedem divertatis mei memoriam foveatis. Quod autem tale onus munificentiae suscipiatis adversus me, sane non suffero. Sufficit enim mihi quod vestrae spectabilitatis caritati affixus sim clavo quodam perpetuo. Ex qua re gloriari queo et spem consolationis capere in eventum utriusqe fortu­nae, non minus quam ex quocumque alio propinquo meo. Estque superflu­um pro ipso munere gratias agere, cum et pro maioribus condignas non ret­tulerimus hactenus et tamen obnoxii sumus. Valete. Datum Hyadrae, die XXX Octobris MCCCCLXI. 408.(198) Maffeo Vallaresso a Pietro Ferici Zara, 16 novembre [1461] M. V. risponde a Pietro Ferici in merito alla controversia con l’abate Bogdan di San Crisogono; ha ritardato a rispondere, perché il Ferici gli ha comunicato l’intenzione del cardinale Pietro Barbo di intervenire per indurre l’abate a correggersi; ma o il cardinale non ha scritto, oppure nonostante abbia scritto, nulla è mutato; dalla lettera del Ferici sembra ricavarsi che il cardinale imputa la colpa a M. V., il quale ribadisce di non aver mai avuto nulla a che vedere con l’abate, il quale è stato sempre da lui trattato con ogni rispetto. /189/ Reverendo patri domino P[etro] Ferici auditori Rotae.ac eo magis laetor] Lege: bona est mg. [1] Ad litteras vestras scriptas ad me iussu reverendissimi domini com­munis super controversiis ortis inter me et abbatem Sancti Grisogoni respon­dere in hunc usque diem idcirco distuli, quia dietim expectavi ut dictus reverendissimus dominus scriberet aliquid ad praelibatum abbatem, /190/ quemadmodum vos in dictis litteris scribitis facturum esse, scripturum vide­licet abbati ita et taliter ut acquiescat illis compositionum capitulis et in aliis etiam se corrigat, quod nequaquam factum est. Aut enim reverendissimus dominus nihil scripsit, aut si scripsit hic non paret. [2] Nunc respondeo litteris vestrae paternitatis, ex quibus quantum coniectura consequi possum vester mihi ipse reverendissimus dominus co[mmun]is huiusmodi controversiae culpam imputare mihi, ad quam opi­nionem, quid eum potissimum impellat in eisdem litteris vestris non dicitur, nisi quod altero ex nobis plus advertente, haec omnia malo animo utrinque procedunt, ideo et cetera. Ego vero quid advertam quod non sit legitime advertendum profecto non video. [3] Scripsi nanque alias clarissime et nunc idem replico mihi nullum esse commercium, nullum concursum, nullam strictam familiaritatem, nullam simultatem cum isto abbate, quem respectu reverendissimi domini co[mmun]is tam personam ipsius quam monasterium honore ac beneficio potius quam aliqua molestia provocavi, cum autem non­nulli creditores et cetera. Valete et reverendissimo domino meo commenda­tum me facere non pigeat. Hyadrae XVI Novembris. 409.(199) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Roma (?), 16 novembre 1461 Andrea Conti ha sostenuto M. V. nella vertenza contro l’abate di San Crisogono, e ciò conferma l’amore fraterno che gli ha sempre dimostrato; il nunzio che M. V. ha inviato a Roma per soste­nere la sua ragione non ha conseguito alcun progresso; con una lettera Pietro Ferici lo informa che il cardinale Barbo imputa la colpa della vertenza a entrambi i contendenti; il cardinale ha pro­messo di scrivere all’abate, ma finora ciò non è avvenuto; è inammissibile che il cardinale consi­deri l’abate in diritto di esenzione: nessuno prima di quello ha mai goduto di tale privilegio (la datazione topica Romae risulta incongrua: le epistole che precedono e che seguono, infatti, indi­cano che M. V. si trovava a Zara, e non a Roma, nel novembre 1461). /190/ Ad venerabilem virum dominum Andream de Comitibus. [1] Ex superioribus litteris tuis et ex ore ipsius nuntii qui eas attulit, facile colligere potui quantae tibi curae fuerit iura mea defendere voluisse contra inso­lentiam abbatis illius, si locus defensioni fuisset. Quae res, etsi testetur amorem tuum erga me fraternum, non tamen facit /191/ ut ego exinde mirer, quasi novitate h[abe]ntis amoris tui commotus, qui mihi iampridem scitus ac spec­tatus et probatus satis est. [2] Super controversiis tamen quas habeo cum dicto abbate nuntius meus, quem ea de causa ablegaveram in curiam ad reverendis­simos dominos cardinales, dominum videlicet nostrum et dominum Bononiensem, nihil penitus profecit. Nam reverendissimus dominus co[mmun]is scribi mihi fecit per dominum Petrum Ferici per verba generalia imputans culpam dictae controversiae utrique nostrum, promittens etiam scripturum abbati ita et taliter quod faciet debitum suum et cetera, quod hactenus minime factum est. [3] Videturque haec mihi elusio quaedam sive iocus. Quare nescio quid magis eligam patiorne defraudari iura dignitatis et iurisdictionis meae, an iuribus utar. Utrobique enim est discrimen. Non possum tamen non dolere quod idem reverendus dominus hunc abbatem quasi exemptum velit, cum ipse nullum exemptionis privilegium habeat et de iure et de longa consuetudine abbates illius monasterii semper ordinariis subiecti esse consueverint, ut optime novit dominus episcopus Nonensis, qui abbatiam illam diu rexit et gubernavit. Placeat itaque tibi una cum domino Petro Ferici et cetera. Datum Romae die XVI Novembris MCCCCLXI.aa sceleris] scereris ms. 410.(433) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 16 novembre 1461 M. V. si rivolge al cardinale Pietro Barbo, per chiedergli di avere in commenda l’abbazia di San Michele in Monte, il cui abate è in quel momento in fin di vita; tale abbazia ha una rendita assai modesta, di 60 ducati annui, né ha annesso un monastero [1]; M. V. in grazia del suo arcivescovado ha un un tenore di vita soddisfacente, ma le spese sono ingenti, poiché spesso deve accogliere ospiti, familiari, servitori, senza il quale servizio la sua immagine ne verrebbe sminu­ita; con il piccolo aiuto di quella commenda, potrà almeno in parte sovvenire alle spese; è sicuro che il cardinale interverrà a suo favore, come sempre ha fatto [2]; se tuttavia il Barbo per qualche ignota ragione non volesse conferire a M. V. il beneficio, lo conceda al di lui fratello Giacomo; M. V. si impegna da subito a saldare qualsiasi spesa relativa; tace della vertenza con l’abate, scriverà tuttavia nel merito a Pietro Ferico; nel frattempo gli è giunta notizia della morte dell’a­bate di San Michele, tanto di più prega il Barbo di intercedere per lui, poiché sicuramente altri prelati si rivolgeranno alla curia per ottenere quel beneficio [3]. /482/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Cum neminem alium habeam nec habere velim ad quem recurram et confugiam in opportunis commodisaa Nihil iocundius gratiusque hoc tempore nuntiari mihi potuit] Congratulatoriae mg. /483/ et necessitatibus meis nisi ad reverendam dominationem vestram – sub cuius auspicio felici in hunc usque diem opima spe militavi –, non sine maxima fiducia hunc specialem nuntium ablegandum ad vestram dominationem reverendam destinavi, significans eidem dominationi vestrae quendam abbatem Sancti Michaelis de Monte extra muros Hyadrae, nomine fratrem L., cuius abbatiae fructus et proventus non excedunt, ut asseritur, valorem annuum ducatorum LX (vel circa), ex morbo †hypoplesis†ba Quod constitueris tibi eligere ac denique tenere stabile domicilium] Bona est epistula mg. nuper cecidisse et nunc in extremis laborare, ita ut vix ad noctem insequentem ducere possit. Quapropter exoratam velim reveren­dissimam dominationem vestram, ut hanc abbatiam, quae parvi valoris est et ruralis, in loco quasi deserto et absque monachis et sine monasterio con­gruenti, mihi in commendam perpetuam per gratiam sedis apostolicae con­cedi facere dignetur, aut eam archiepiscopatui meo applicandam esse velit. Quod peto et flagito ab eadem, loco non parvi beneficii. [2] Nec putet humanissima dominatio vestra petitionem iniustam fore, cum sint plerique alii nostrorum praelatorum qui huiusmodi et multo pin­guiores commendas obtineant. Et licet ex archiepiscopatu meo vitam meam satis competenter transigere queam, tantas nihilominus patior expensas tum ex parte hospitum, qui me quotidie visitant, quippe quoniam haec civitas quasi diversorium et quaedam meritoria taberna est omnibus navigantibus sursum /484/ et deorsum, tum ex parte propinquorum, tum ex parte servito­rum, sine quibus esse non possum constitutus in celebri et frequenti loco. Quo fit ut, in cauda, singuli anni nihil supersit, nihil desit. Hoc vero admi­niculum, licet sit parvum, aliqua tamen in parte levabit onus expensarum, ut aliquando liber et expeditus in curiam, ad reverendam dominationem vestram, intelligam ut plura petere erubescentia sit.cb Ad diem XXII Octobris accepi litteras vestras] ago gratias etc. mg. Considerata nihilominus magnitudine et abundantia liberalitatis vestrae, quae clientum ac servitorum suorum excedit merita et vota, etiam hoc tantillum a dominatione vestra reverenda flagitandum non dubitavi, certus proculdubio quod clementia dominationis vestrae, quae hactenus irroravit et irrigavit membro gratiae suae, ad incrementum usque <…>.da Rotae] Rothae ms1 (cfr. ep. n° 297). [3] Verum, si secus acciderit et contra fortunam meam, quod non puto, ut reverendissima dominatio vestra aliquo respectu (mihi tamen igno­to) hanc eandem abbatiam conditione praedicta mihi conferri facere nolit, saltem dignetur eam procurare concedi domino Iacobo germano meo in commendae modum, ut liberius et facilius vacare queat honesto instituto servitii sui. Quaecunque autem expensa ingruerit occasione praedictae impe­trationis, statim ut iusserit vestra reverenda dominatio supplebo,aa Romae] lapsus per Hyadrae (cfr. ep. n° 408, 410 et quae sequuntur). tam pro annata, quam pro bullis solvendis. Vehementius hoc postulare nequeo nec debeo, confisus humanitate reverendae dominationis vestrae. De controversia quam cum abbate habeo, ni/485/hil scribo ad reverendam dominationem vestram, ne aures eius obtundam. Litteris tamen reverendi domini P[etri] Ferici,ba ad quem recurram et confugiam in opportunis commodis] Datur notitia de morte abbatis Sancti Michaelis mg. respondeo, quantum expedit pro tempore. His hactenus scriptis nun­tiatum est mihi dictum abbatem ex humanis decessisse, et quia audivi non­nullos alios clericos petituros curiam occasione huiusmodi, quibus non deest animus dictam abbatiam impetrare posse in commendam, sive ad tempus cum aliqua pensione, sive libere per viam cubiculariorum sanctissimi domini nostri aut alio modo, eoque magis rogo ut huic rei accuratius instet, quo per gratiam vestram singularem voti compos evadam, ne quis indignior mihi anteferatur, quod praeter damnum cederet etiam ad dedecus. Valete. Ex Hyadra, XVI Novembris 1461, hora prima noctis. 411.(434) Maffeo Vallaresso a Vittorino da Mantova Zara, 17 novembre [1461] M. V. ringrazia Vittorino da Mantova per avergli comunicato informazioni relative a quanto alcuni chierici di M. V. hanno tentato di fare e hanno ottenuto in curia. /485/ Ad egregium doctorem dominum Victurinum de Mantua. Etsi te non norim hactenus neque viderim, virtutes tamen tuae singu­lares et amor erga me mirificus facit ut te diligam et observem tuamque ami­citiam gratam et iocundam tutem. Quantum enim diligentiam adhi­bueris honori meo observando plane patet ex litteris tuis, quibus accurate admoni­tum edoctumqueab hypoplesis ms : fortasse apoplexis. earum rerum quae per clericos meos in curia temptaban­tur et obtinebantur me reddidisti. Quapropter habeo tibi gratias immortales /486/ tuisque votis me paratissimum spondeo, qui licet possim parum id parum tibi in promptu esse non negligas. Vale et me dilige et, ut instituisti, etiam in futurum fave. Hyadrae, XVII Novembris. 412.(435) Maffeo Vallaresso a Pietro Ferici Zara, 17 novembre 1461 M. V. si rivolge a Pietro Ferici, per ottenerne aiuto: un suo arcidiacono ha ottenuto da Pietro Foscari, in affitto, la commenda dell’abbazia di San Cosma e Damiano presso Rogova; sicché l’arcidiacono è tutto dedito a questa nuova lucrosa cura, dimentico degli uffici diurni e notturni della cattedrale; per tale ragione M. V. gli ha comandato di lasciare quell’affitto [1]; l’arcidiacono ha fatto appello presso la sede apostolica, nominando tre giudici, cioè il vescovo di Nona, l’abate di San Crisogono, l’arcidiacono di Nona: si tratta di una scelta astuta, perché il primo giudice è lontano per la sua legazione in Bosnia, il secondo è al momento scomunicato e ha una lite pen­dente con M. V., il terzo si trova in Ungheria [2]; dunque M. V. chiede al Ferici che la scelta dei giudici sia revocata, e ne siano nominati altri, a loro trasferendo la potestà dei precedenti; i nuovi giudici auspicati da M. V. sono: l’arcivescovo di Spalato e il vescovo di Sebenico, l’arcidiacono di Sebenico e l’arcidiacono di Spalato; il latore della lettera provvederà alle spese [3]; chiede infine al Ferici di interessarsi a pro di un presbitero Antonio, nipote del proprio arcipresbitero (nella ep. n° 337, questi è indicato con il nome di Matollo, o Matoldo), perché il giovane possa ottenere un canonicato e una prebenda [4]. /486/ Ad reverendum patrem dominum P[etrum] Ferici, Rotae auditorem. [1] Singularis humanitas vestra animos mihi parat ut causarum mea­rum onera sine aliquo timoris respectu vobis ea spe ac fide iniungam ut fas est fratri. Cum igitur alias archidiaconus meus acceperit ad affictum abbatiae Sanctorum Cosmae et Damiani de Rogova Hyadrensi do[minium]bc ut aliquando liber et expeditus in curiam, ad reverendam dominationem vestram, intelligam ut plura petere erubescentia sit sententia parum perspicua, fortasse propter omissionem alicuius verbi. a reve­rendo patre domino Petro Foscari, commendatario dictae abbatiae perpetuo, et in cura rerum temporalium ac lucri proprii ita se exerceat, ut ecclesiam cathedralem cui obligatur relictam et omissam penitus habeat, non curans venire ad officia diurna aut nocturna, eaque occasione, ut reducerem eum ad curam ecclesiae cathedralis, feci sibi mandatum de relaxanda et relinquenda dicta conductione. [2] A quo mandato idem archidiaconus appellavit ad sedem apostoli­cam et tandem impetravit iudices reverendum dominum episcopum Nonensem, abbatem Sancti Grisogoni de Hyadra et archidiaconum Nonensem, callide quidem et astute ut res /487/ in longum ducatur et ipse interim a iudicio meo sit absolutus et commode dictae conductionis gaudere possit. Nam isti iudices contra rerum naturam hanc causam terminare pote­runt eoque dictus dominus episcopus Nonensis continue occupatus est in legatione sua et in factis regis Bosnae, ita ut nunquam per unam ebdomadam integram firmiter hic stare possit, excusans se et cetera. Alter, videlicet abbas Sancti Grisogoni, multis rationibus non potest esse iudex in causa huiusmo­di, et maxime quod in praesentiarum excommunicatus est, item quia tan­quam inimicus propter differentia quas mecum habet suspectus. Tertius, videlicet archidiaconus Nonensis, hinc abest a multo tempore et est in Ungaria ad servitium cuiusdam domini saecularis, nec est venturus Hyadram hoc anno nec ad multos annos (ut fertur). [3] Ideo, ne dictus archidiaconus de malitia sua gloriari possit et per has dilationes correctiones ecclesiasticas subterfugere, quantum scio et possum paternitatem vestram rogatam esse velim ut hanc delegationem imperatam per dictum archidiaconum nomine presbyteri F. quondam Da. et ipsius iudices delegatos revocari faciatis per breve apostolicum et impetrare nomine meo alios iudices, transferendo in eos omnem potestatem prioribus iudicibus delega/488/tam. Cuperemque hanc eandem causam committi debere reverendissimo domino archiepiscopo Spalatensi ac reverendo domino episcopo Sibenicensi, archidiacono Sibenicensi et archidiacono Spalatensi, cum clausula «quod si non omnes et cetera»,1pro quo brevi imperando praesentium lator satisfaciet expensas, ipsumque breve per eundem si fieri potest transmittantur. [4] Archipresbyter meus, vir in divinis rebus eruditus et idoneusad verbum carere videtur, e.g. irrorabit. mihi­que gratissimus, rogavit me ut apud paternitatem vestram instare debeam, quod et facio, rogans ut, quoniam multi clerici hic in civitate Hyadrae habent multas expectativas praeter presbyterum Antonium nepotem suum, iuvenem satis modestum et quietum, pro quo cupio mediante auxilio vestro impetrari facere unam expectativam pro uno canonicatu et praebenda prima vacante, cuius data ceteris omnibus anteferatur. Et pro signat[ura] huiusmodi dictus nuntius pecunias habet, vos tamen modo laborem vestrum impartiri digne­mini, quae res erit mihi gratissima. Quod si videor multum de vobis praesu­mere et praetermodum vos et in meis et in amicorum causis defatigare, imputetis hoc nimio amori meo et vestrae maximae humanitati, quae adhor­tatur me ad has vobis sarcinas imponendas. Valete in Domino. Datum Hyadrae, die XVII Novembris MCCCCLXI. 413.(436) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 19 novembre [1461] Il 18 novembre M. V. ha ricevuto una lettera da Lorenzo Zane, con il resoconto della vertenza a carico dell’abate di Sant’Andrea in Pelago (sull’Isola (Scoglio) di San Andrea (Svetac)); ne ha invia­to copia al suo vicario, perché, sentita l’opinione di alcuni dotti, produca un suo parere scritto, il quale è allegato ora alla presente lettera [1]; M. V., dal canto suo, sconsiglia di procedere diretta­mente contro l’abate: meglio affidare il processo alla curia e, una volta che l’abate sia privato del monastero, farne richiesta esplicita; diversamente, una azione diretta potrebbe comportare un appel­lo da parte dell’abate, per il sospetto che Lorenzo abbia proceduto a vantaggio di suoi familiari [2]. /489/ Ad reverendissimum dominum Lau[rentium] Zane archiepiscopum Spalatensem. [1] Etsi ad quartundecimum diem Kalendas Decembris accepi litteras reverendae dominationis vestrae et capitula contra illum abbatem Sancti Andreae de Pelago vestrae diocesis, et quia ipse occupatus eram in scribendis litteris et in expediendo in curiam quodam nuntio meo, copiam dictorum capitulorum statim dedi domino Ph[ilippo], vicario meo, commisique ut visis doctorum opinionibus super eisdem in modum conclusionis aliquid calamo exprimeret, ac ita fecit. Licet autem vestra reverenda dominatio pro sua singulari prudentia et multarum rerum cognitione ac experientia satis superque sapiat, ita ut suppetiis consiliorum nostrorum non egeat, ut nihilo­minus eidem vestrae reverendae dominationi mos geratur, super eisdem capitulis expressa inscriptis quam brevissime fieri potuit, opinio doctorum, una cum his litteris, mittitur per praesentem nuntium. [2] Mea tamen sententia esset ad privationem eiusdem abbatis non procedere, ne exinde odium conflare contingat et maledicorum linguae acuantur ad carpendum et pungendum, ut levibus ex causis fieri solet. Sed mitterem processum in curiam secutaque ibi loci privatione, cui magis vellem favere, adhaererem ut abbatiam depositi impetrarem. Quod si vestra reveren­da dominatio eum privaret et cuicunque procuret eam conferri facere, erit in promptu ad contradicendum id processisse ex malo animo et ut aliquem familiarem vestrum, quanvis familiaris is non /490/ fuerit eodem afficiatis beneficio. Pro quibus evitandis praestaret fortasse sic facerem (ut ego censeo), salvo meliori ac salubriori consilio, cui me submitto. In processu autem litis clarius patebit excessus istius meliusque deliberare poteritis. Super facto cura­tionis illius fiendae per cancellarium meum respondebitur diffusius. Ex Hyadra, XIII Kalendas Decembris. 414.(437) Maffeo Vallaresso ad Antonio, pievano di S. Martino Zara, 24 novembre 1461 M. V. scrive ad Antonio, parroco di San Martino, dal quale ha ricevuto una lettera di raccoman­dazione a favore del presbitero Stefano di Pago; nonostante Maffeo abbia richiamato gia il clero di Pago all’obbligo di residenza, tuttavia, per compiacere ad Antonio, concede a Stefano una proroga di due mesi. /490/ Ad venerabilem presbyterum Antonium Sancti Martini plebanum. Litteras tuas commendatitias presbyter Stephanus Pagensis in sui favo­re superioribus diebus attulit mihi, in quibus potissimum gratam habui anti­quae benivolentiae commemorationem qua et tu fretus eundem amicum tuum audacter commendare videris, ut gratiam pro eo magis exigere quam rogare videaris. Ego vero, etsi pro singulari incommodo ecclesiae meae Pagensi reparando generale iam ediderim edictum, citando omnes absentes ad residentiam – ut facere de iure tenebantur –, ne tamen litterae tuae praeter vulgarem morem scriptae nullius momenti apud me fuisse videantur, cum dicto presbytero Stephano duntaxat tui intuitu benignius agens dictum terminum alias sibi ad duos mensis proximos prorogandum duxi ad princi­pium Quadragesimae, usque proxime futurae. Bene valete. /491/ Ex Hyadra, VIII Kalendas Decembris MCCCCLXI. 415.(438) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Zara, 29 novembre 1461 Alla lettera del fratello Giacomo, datata 13 novembre, scrive M. V., non è necessario rispondere in dettaglio [1]; occorre discutere invece di quanto riferito da Bartolo, in merito a un colloquio avvenuto nella chiesa di San Giovanni e Paolo, nel quale l’abate Bogdan si è mostrato disponibile alla pacificazione; M. V. ritiene che per una pacificazione non ci siano i presupposti, poiché il nemico è inaffidabile; preferisce continuare a combatterlo, perché non abbia più a vantarsi della sua malizia [2]; è ridicolo che l’abate si vanti del fatto di aver accompagnato M. V., proveniente da Venezia, fino ad Ossero: l’abate ha fatto solo il suo dovere; M. V., invece, ha agito nei confronti di lui con grande umanità, e senza esserne in obbligo; e per i tanti illeciti da quello commessi, avrebbe potuto procedere giudiziariamente; quando l’abate neo-eletto è venuto da Venezia, M. V. gli ha mandato incontro il fratello, che lo ha scortato per tutta la città; tali benevolenze sono ben superiori a quelle vantate dall’abate; ma di esse è bene non gloriarsi [3]. /491/ Ad venerabilem dominum Ia[cobum] Vallaresso subdiaconum apostolicum. [1] Ad superiores litteras vestras quae datae fuerunt ad XIII diem men­sis Novembris responsione multum necessaria opus fore non puto. Quae enim scribitis tam de domino Mansueto quam de appulsu perditissimi abba­tis et ineptissimae eius querelae de domo combusta, levia sunt indignaque opportuna responsione. Certa etiam in dictis litteris vestris contenta generis eiusdem sunt, ut ea silentio in praesentiarum pertranseunda putem. [2] Venio ad alteras necessariores, quas Bartholus attulit, quibus edoc­tus sum, qualem habueritis cum dicto abbate nefario collocutionem in eccle­sia Sanctorum Iohannis et Pauli, cuius quidem loquutionis summa fuit quod abbas post maximas illatas iniurias pacem tandem, quasi lassus bello, inire cupit, mediantibus nobilibus. Verum, quantum ad me spectat, licet mihi pax optatissima cum omni genere hominum semper fuerit, hanc tamen pacem, quae plena est insidiarum cum eodem ipso fraudolentissimo pacis auctore, aspernor. Quo enim pacto capitali inimico reconciliandum sit non video. Tunc demum pacem Lucifer quaeritaa supplebo] suppebo ms. cum /492/ eum poenitet nocere non posse. Mea quidem opinio est potius optare iniuste succumbere quam timore servili terga vertere fugaeque consulere, tunc maxime cum tropheis de hoste reportandis propinquiores sumus. Immo tunc est resistendum huic latruncu­lo. Nunc manibus et pedibus et (ut dicitur) equis et armis luctandum, donec deturbetur inimicus, ut et ipse de malitia sua nequeat gloriari et ceteri ad inferendam iniuriam sint tardiores. Si tamen dominus ge[nitor] in hac pace fienda aliter sentiat, sequamini eius sententiam et voluntatem. [3] Quod autem idem scelestus exprobrare pergat officium obviationis Auserum usque mihi tunc ex Venetiis naviganti impensum, puto absurdum hoc esse. Ipse enim fecit quod debuit et tenebatur obviam ire ordinario suo, ut praedecessores sui facere consueverunt praedecessoribus meis. Sed ego sponte mea, quod non debebam neque tenebar, feci secum humaniter.bb Ferici] feriti ms. Principio nanque (ut meministis) restitui eum beneficiis suis cum refectione damnorum et fructuum perceptorum. Sententiam tot milium ducatorum contra eum latam nunquam executioni demandavi. Rationem administratio­nis bonorum commissariae olim domini Lau[rentii] ei remisi. Deinde furta et dilapidationes bonorum /493/ praedictorum condonavi sibi. De quibus omnibus iure ac legitime contra eum agere ac procedere poteram. Consequenter in rebus omnibus non ut subditum, sed ut fratrem in cunctis tractavi. In prandiis et in cenis frequentem habui, profecturum in curiam commendavi, quibus cuperet acerrime per litteras meas. Ipse vero quam pri­mum ingressus est domum reverendissimi domini olim vicecancellarii mediante commendatione mea, statim (ut recordamini) bella mihi movit fecissetque animo suo satis, si vires non deessent. Eidem tandem ad hanc abbatiam indigne promoto et venienti Hyadram gratulaturus nomine meo misi omnes familiares meos cum una barcha et fratrem qui comes et quasi cliens sequeretur eum illa die per totam civitatem. Nunquid haec minora sunt humanitatis officia quae a me percepit indigne? Et tamen nunquam commemorare cuiquam ea volui. «Est enim odiosum genus hominum officia exprobrantium», ut ait Cicero, «quae meminisse debet is in quem collata sunt, non commemorare, ille qui contulit»,1ca admonitum edoctumque] admonitum et edoctumque ms. et cetera. Datum Hyadrae, XXVIIII Novembris MCCCCLXI. 416.(439) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 9 dicembre 1461 M. V. comunica al cardinale Pietro Barbo la morte del canonico P(ietro) Cerenzenin, il quale era, secondo quanto si dice, accolito e capellano pontificio, e godeva delle prebende di alcuni benefici (che vengono puntualmente elencati), la cui somma complessiva ammonta a 64 ducati; molti aspirano a ottenerne la successione, ma le persone istruite, quanto più ne sarebbero degne, tanto più per la loro umiltà si sottraggono alla richiesta [1]; presso M. V. abita Filippo Maria, persona di dottrina singolare, dottore delle decretali, giudicato idoneo alla docenza del diritto canonico presso l’Università di Padova; egli è chierico ed è sprovvisto di benefici; M. V. lo raccomanda al cardinale, perché questi possa attribuirgli canonicato e relative prebende che furono già del defunto [2]; è incerto se il defunto avesse ricevuto documento relativo al suo accolitato (bullas dicti accolitatus extraxerit); il capitolo zaratino, nel frattempo, ha provve­duto all’elezione del nuovo canonico, e ha eletto unanimamente detto Filippo Maria; l’elezione è stata confermata da M. V.; e, secondo il diritto ordinario, M. V. gli ha attribuito il possesso delle prebende citate; nonostante ciò, M. V. chiede che ciò sia confermato per grazia della sede apostolica, motu proprio [3]; a seguito del rituale congedo, avverte il cardinale che Filippo Maria ha testè ricevuto un canonicato presso la collegiata di Giovinazzo [4]. /493/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Rara et singularis fiducia quam habeo adversus /494/ humanissi­mam dominationem vestram, quae clementissimam et beneficentissimam in memet ipso et in omnibus meis sese exhibuit, facit me audaciorem in expetendis officiis. Cum igitur fors accideritab abbreviatio manuscripti dubia, fortasse do[na]c[ionem] interpretanda. ut quidam ex canonicis eccle­siae, hoc est presbyter P[etrus], Cerenzenin cognomento, ex auris vitalibus et humanis decesserit officiis, qui (ut asseritur) erat accolitus et capellanus sancti domini nostri – incertum tamen si bullas extraxerit necne – habe­batque idem plura beneficiola et primo canonicatum in Sibenicensi eccle­sia, valoris ducatorum XXX; alterum in Hyadrensi ecclesia mea, valoris ducatorum 20; item quasdam capellas in hac civitate Hyadrensi, et primo capellam Sancti Michaelis, valoris ducatorum X; capellam Sanctorum Cosmae et Damiani, valoris ducatorum duorum; item aliam capellam extra muros Hyadrenses Sancti Ippoliti, valoris ducatorum duorum; quae qui­dem beneficia vix ascendunt ad summam ducatorum quattuor ac sexaginta, nec desunt plerique indigni qui ad haec obtinenda, quacunque possint via, anhelantaa et idoneus] et idoneus et idoneus ms. 1 cum clausula «quod si non omnes et cetera»] cfr. Gregorii IX Decretalium compilatio, Liber I, Titulus III. De rescriptis, Cap. XIII: Rescriptum, quo scribitur pluribus cum clausula: “Quod si non omnes etc.” intelligitur tam de impotentia facti, quam iuris (…). et aspirant, non sine maxima temeritate, et in praeiudicium ordi­nariae iurisdictionis, quae potius est favoribus prosequenda, quam iniustis modis impugnanda. Viri autem litterati et docti quanto /495/ magis dignio­res sunt ad haec obtinenda, tanto magis pro eorum laudabili humilitate ac verecundia se subtrahunt. [2] Est igitur apud me et in domo mea vir singularis peritiae ac iuris divini pariter et humani, bonorum morum vitae exemplaris, in cuius collo­quiis et consiliis curae meae tuto requiescunt, dominus scilicet Philippus Maria, decretorum doctor, non quidem vulgaris, sed eximius, et qui dignus et idoneus habitus est in studio Paduae generali his superioribus annis lege­re ac interpretari canonicas et pontificales leges, prout faciebat summa cum laude et cum maximo auditorum favore. Qui, cum sit clericus absque ali­quo ecclesiastico beneficio, licet militet sumptibus meis, dignus mihi vide­tur cui commendatio mea et favor summorum virorum, qualis est vestra reverenda dominatio, impendatur. Ea propter, licet etiam superioribus diebus alterum nuntium in causa mea propria expediverim ad ipsam cle­mentissimam dominationem vestram, hunc etiam in causa huius praestan­tis viri vicarii mei, quam causam meam propriam et cordialem puto ad reverendam dominationem vestram tanquam ad singularem praesidium et refugium meum demisi, rogans ac supplicans eidem quatenus hanc in se curam acrius suscipiat, dictosque cano/496/nicatus Sibenicensis ac Hyadrensis nec non capellas praedictas, sicut praemissum est vacantes per mortem dicti presbyteri P[etri], conferri facere procuret. Quae quidem res primum ad omnipotentis Dei, tum ad maximum commodum cedet eccle­siae meae. [3] Quanquam autem intellexerim dictum presbyterum P[etrum] accolitum fuisse sancti domini nostri, insuper et capellanum, tamen incer­tum nobis est an bullas dicti accolitatus extraxerit vel ne, ut paulo dixi. Et ut de omnibus eadem reverenda dominatio vestra plenius informetur, capitulum meum volens procedere ad electionem novi canonici, cum esset in iurisdictione eligendi, quia mensis est capituli, omnes unanimiter et concorditer elegerunt dictum dominum Phi[lippum] in canonicum, et per me ordinarium de more antiquo confirmatus fuit et in possessionem posi­tus dicti canonicati, et praebendas praedictas etiam capellas iure ordinario contuli sibi fecique eum poni in possessione. Quibus non obstantibus, cuperem ut reverenda dominatio vestra faciat dictos canonicatum et capel­las eidem conferri per gratiam sedis apostolicae motu proprio. Vellem etiam huic rei expeditionem citissimam dari, maxime cum et alii plerique urgent et instent. [4] Quaecumque impensa fienda, sive facta fuerint in praemissis, et cetera. Sum nimis importunus erga reverendam dominationem vestram, cui scribo et impo/497/no causas meas, ea spe, ea fide, ut facere consuevit quilibet optimus cliens ac servus erga patronum et dominum suum, peto­que eandem humanissimam dominationem vestram huic desiderio meo complacituram in tantum quod et vicarius meus et ego voti nostri ope atque opera sua compotes evadamus. Pluribus haec agenda non sunt, cum vehementius a me agi et peti nequeant. Post has veloci calamo scriptas, accepi ab eodem domino Phi[lippo] quod ipse obtinet in civitate Iuvenacensi quendam canonicatum ecclesiae collegiatae et cetera. Datum, Hyadrae, die VIIII Decembris MCCCCLXI. 417.(274) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 13 dicembre 1461 Il pontefice ha deciso di devolvere a Pietro Barbo l’abbazia di San Michele in Monte; il cardi­nale, a sua volta, potrà concederla in affitto a un suo familiare, a M. V. o a suo fratello, piuttosto che a un estraneo (ma cfr. l’ep. n° 436, da cui il commendatario risulta poi essere Giovanni, fratello di Nicolò di Pietro Barbo). /278/ Ad eundem reverendissimum dominum cardinalem Sancti Marci.aa pacem Lucifer quaerit] Lucifer pacem quaerit mg. [1] Ex litteris reverendissimae dominationis vestrae datis ex Urbe XXV mensis Novembris proxime praeteriti, aperte intellexi quod egerit dominatio vestra reverendissima in causa abbatiae illius vel mihi vel fratri meo conferenda et quod sanctissimus dominus noster tandem decreverit eidembb feci secum humaniter] nota beneficia sibi impensa videlicet abbati mg. r[everendissimae] d[ominationi] v[estrae] devolvatur iustis et ratio­nabilibus causis in eisdem litteris expressis. Quod factum etsi praeter spem meam acciderit, mihi tamen gratissimum habetur ut potius aut d[ominationis] r[everendissimae] v[estrae] aut eius propinqui commoditate huiusmodi affictantur quam extranei, quorum nostra nihil interest. [2] Immo est tanta mea erga reverendissimam dominationem vestram devotio et observantia ut non dubitem hunc tenuem archiepiscopatum nutui ac beneplacito vestro exponere, insuper et animam meam pro honore eiusdem ponere. Aliud scribendum non occurrit nisi praesentem nuntium capella­num meum et si in quantum opus habuerit reverendissima dominatio vestra favore suo prosequi dignetur. Quod erit in partem beneficii. Valeat domination vestra. Hyadrae 13 Decembris 1461. 418.(441) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 14 dicembre 1461 M. V. ha ricevuto da Andrea Conti una lettera attesa, non ha tempo di replicare in modo adeguato; il latore giunge in curia per alcune faccende relative alla chiesa di M. V.; conta sull’aiuto di Andrea e degli amici; teme di essere derubato lungo la via, perciò, qualora non bastassero i denari necessari alla causa, Andrea trovi una soluzione per tramite di prestito bancario: Andrea scriva al fratello Pietro, questi si rivolga perciò al fratello di M. V., Marco, il quale è già avvertito di dover assolvere quanto necessario; il latore, a voce, chiarirà più in dettaglio. /499/ Ad egregium decretorum doctorem dominum Andream de Comitibus. Ad reversionem nuntii et capellani mei litteras tuas non minori desi­derio et expectatione accepi quam si missae fuissent a quovis propinquorum meorum carissimo mihi, quae cum sint constitutae futurorum /500/ reme­diorum ob temporis angustiam responsione in praesentiarum sortiri nequeunt. Hic autem praesens nuntius presbyter M. venit in curiam pro­curaturus quaedam ecclesiae meae commoda, interveniente amicorum et tuo auxilio, quod absque magnis precibus te ei praestaturum confido ac sic ne secus facias magis ac magis oro. Et quia iter dicitur non esse securum propter latronum incursus, non fuit ausus ferre secum pecunias sufficientes, si et in quantum pro eadem causa pro qua istuc proficiscitur expedienda, pecuniario indiguerit subsidio ad summam ducatorum X, vel circa, eidem nuntio non deesse cures, recepturus solutionem quamprimum per viam bancheriorum, si modo scripseris domino Pe[tro] germano tuo, ut eos petat a M[arco] fratre meo, cui in mandatis dedi ut id requisitus per aliquem ex tuis statim afficiat et solvat. Nuntius autem ipse causam serio­sius explicabit, quem tibi commendo et me simul. Vale et me, ut facis, dilige ac de statu curiae interdum admone. Ex Hyadra, die XIIII Decembris MCCCCLXI. 419.(276) Maffeo Vallaresso a Giacomo Ammanati Piccolomini Zara, 15 dicembre 1461 M. V. scrive a Giacomo Ammanati Piccolomini, vescovo di Pavia, per raccomandargli il cappellano Martino, che a voce spiegherà al prelato le ragioni del suo viaggio in curia (cit. in Piccolomini 1997, 112). /280/ Ad reverendum dominum Ia[cobum] episcopum Papiensem.a1 Est enim odiosum genus ~ ille qui contulit] Cic. De amicitia, 71. Excellens humanitatis vestrae fama et mea sincera fides ac opinio de reverendissima dominatione vestra, non modo inducunt, verum etiam impellunt me ad has breves scribendas, quibus praesentem nuntium pre­sbyterum Martinum capellanum meum, procuraturum commoda quaedam ecclesiae meae, commendatum fieri cupio eidem vestrae reverendissimae dominationi, cuius praesidium, quanto magis tutum ac firmum esse non dubito, tanto maius adiumentum ecclesiae meae allaturum spero. Causam profectionis suae in curiam, ipse vivo sermone reverendae dominationi vestrae enarrabit. Cui et fidem et favorem impartiri dignetur. Paratus et ego mandatis et beneplacitis eiusdem dominationis vestrae cui me commendo atque totum dedo. Ex Hyadra, die XV mensis Decembris MCCCCLXI. 420.(440) Maffeo Vallaresso a Filippo Calandrini Zara, 15 dicembre [1461] M. V. ha ricevuto da Filippo Calandrini una lettera gentilissima in risposta a tre altre inviate da M. V.; questi mai farà la parte di un giudice che vuole compiacere al contempo l’accusato e l’attore della causa [1]; ha trattato l’abate con tutta l’umanità possibile, come sanno chierici e laici zaratini, ma l’abate, come un cavallo indomito, non intende ragione; M. V., tuttavia, vuole agire solo secondo giustizia, e nulla vuol fare contro le attese del cardinale [2]; il suo arcidiacono ha perso gli astori che erano stati dati al cardinale dal vescovo di Duvno; M. V. non ne è sorpreso, perché conosce il carattere labile di quell’uomo; questi è partito alla volta di Roma forse per domandare perdono al cardinale, il quale lo tratterà come meglio crederà [3]. /497/ Ad reverendissimum dominum, dominum Philippum cardinalem Bononiensem. [1] Regressus nuper e curia ad me nuntius et capellanus meus melliflu­as reverendae dominationis vestrae litteras attulit, ternis meis responsivas, quibus eadem dominatio vestra reverenda rationes meas, tam in facto abbatis quam circa constitutiones meas clero editas, optime satisfecisse pro sua sin­gulari humanitate testatur. Ego autem, licet pro virili mea studeam et enitaraa Cum igitur fors acciderit] Datur notitia de morte unius canonici mei mg. nullum cuiquam de me etiam iniuste querelandi locum relinquere, vix tamen, immo nequaquam, id efficere spero, cum in iure dicendo et in iustitia mini­stranda reo simul et actori nullus unquam /498/ iustus iudex complacuisse inventus sit, sicque contra fortunam est quin alteram partium laesam se dicat, unde querelandi sit, causas addiscat.ba anhelant] anhelent ms. [2] Ceterum, quantam dederim operam ut ipsum abbatem beneficio ac humanitate superarem, novit Deus, norunt et ceteri boni viri utriusque ordi­nis, tam clerici quam laici, huius civitatis. Qui, q[uantu]m frenum intra maxillares perinde ac indomitus equus arripiens vehementius constrixit, neque regi rationis auriga, neque humanitate flecti, neque iure coherceri potest, ut non dentibus et calcibus invadat obvium sibi. De quo plura loqui indecorum puto. Unum velim persuadeat sibi reverenda dominatio vestra, me nihil cum quoquam hominum acturum aut facturum quod credam iuri non convenire, aut r[everendae] d[ominationi] v[estrae] ceteris dominis meis non pla­cere. Aeque enim carum habeo et apud immortalem Deum recte factorum ac dictorum digna praemia et apud homines laudem non immeritam consequi. [3] Quod vero archidiaconus meus in distribuendis, immo disperden­disaa Notitia super facto abbatiae Sancti Michaelis; bonum responsum mg. asturibus optimis, quos dominus episcopus Dumnensis eidem reverendae dominationi vestrae miserat, quanti ipsam dominationem vestram fecerit satis declaraverit, moleste nimis fero, sed nihil miror, quippe qui noverim eius ingenium pravum ac vafrum, solitumque ludibriis huiusmodi et /499/ alios circonvenire. Ea est enim barbarorum natura, ut quod virtute nequeunt, id fraude assequi tentent.bb eidem corr. : eiusdem ms. Nam et hic nuntius capellanus meus alium astu­rem (ut audio) optimum et singularem magnoque labore comparatum eidem archidiacono ad reverendam dominationem vestram non ingratus deferen­dum tradiderat, de quo itidem male disposuit, largitus eundem amicis suis, quibus non debuit. Eoque factum est ut pro eo repetendo et damnis reficien­dis ab hoc ipso nuntio idem archidiaconus coram vicario meo conventus, conscius culpae suae insalutate hospite Romam profectus est, fortasse a reve­renda dominatione vestra petiturus veniam post iniuriam illatam et plagam inflictam, cum quo vel mitius vel acrius aget dominatio vestra reverenda prout eidem libuerit. Aliud scribendum non occurit, nisi praesentem nun­tium commendare, quod et facio quam vehementissime possum. Ex Hyadra, XV Decembris. 421.(200) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 16 dicembre 1461 M. V. invia a Urbano Vignati, che è a Roma, il presbitero Martino, perché un canonico di entrambe le chiese (cioè di Sebenico e di Zara) è deceduto senza testamento (cfr. ep. n° 464, dove è indicato con il nome di ‘Zerenzanino’); lo ius vuole che sia la chiesa ad ottenere la successione, ma essa è invece contesa da parenti del defunto molto aggressivi; Urbano dunque interceda a favore della chiesa di Zara e di quella di Sebenico. /191/ Ad reverendum patrem dominum Urbanum episcopum Sibenicensem. [1] Nec tempus patitur diffusius scribere nec mutuus amor noster plura exposcit. Hunc nuntium meum presbyterum Martinum in curiam ad vestram paternitatem expedivi occasione mor/192/tis intestatae presbyteri p[atris] olim canonici utriusque ecclesiae nostrae, cui sic defuncto ab inte­stato licet de iure ecclesia succedat, tanta est tamen importunitas propinquo­rum suorum quorum sicut affinitas longinqua et obscura ita numerus ac multitudo et temeritas infinita qui instigati a nonnullis nobilibus huius civitatis, quorum improbitas vobis notissima est, ad bona ipsius defuncti diripienda totis viribus aspirant. [2] Qua propter curetis apud pontificem maximum tam nomine ecclesiae meae quam ecclesiae vestrae paternitatis pro rata, ut bona huiusmodi non obstantibus contoversiis quibuscunque ad fabricam ecclesiarum praedictarum pro rata applicentur. Super qua materia fiat unum breve apostolicum, cuius vigore talis exequutio mihi strictius demandetur. In reliquis remitto me ad sermonem ipsius nuntii, cui et favo­rem et pecuniarum subsidium pro dicta causa expedienda conferre non dubitetis, remittendo solutionem vestrae paternitati fiendam per viam ban­cheriorum ex Venetiis quam primum. Bene valete. Commendatum me habetote. De statu curiae me docetote. Ex Hyadra die XVI mensis Decembris MCCCCLXI. 422.(442) Maffeo Vallaresso a Ludovico Diedo Zara, 7 febbraio 1462 M. V. si complimenta con Ludovico Diedo per la sua recente nomina a comes di Zara; lo invita a comunicargli quanto gli possa essere necessario o di aiuto, scrivendogli con non minore prontezza di quanto farebbe se dovesse scrivere al suo stesso figlio Francesco. /500/ Ad magnificum dominum Ludo[vicum] Diedo comitem Hyadrae designatum. Quod antea incertis ferebatur rumoribus, certissimis tandem nuntiis et meorum litteris significatum estaa Commendatitiae mg. /501/ mihi comitiis superioribus diebus habitis vobis cessisse praeturam Hyadrensem, sane non infimam dignitatem. Qua ex re, ut sim obrutus ingenti gaudio ratio est in promptu, quippe quia ex parte vestri singularis virtus et humanitas ac summa benivolentia et obser­vantia quam habeo vobiscum mea ex parte una concurrunt ut, ex accessu et augmento vestrae dignitatis et cuiuslibet honoris vestri, non minori afficiar laetitia quam si prima filiali vobis haererem linea. Non itaque potui retineri quin his brevibus hanc meam vobis gratulationem exprimerem, habitis prius ad immortalem Deum precibus ut haec praetura sit perpetuo ornamento et immortali gloriae vobis vestraeque posteritati. Plura a me non sunt nunc scribenda, nisi hoc tantum, ut si videtis me quicquam aut scire aut posse quod sit opus, quodve conducat vobis, non segnius scribat et mandet mihi quam faceret, si ad filium suum dominum Franc[iscum] scriberet. Datum Hyadrae VII Idus Februarii 1461. 423.(443) Maffeo Vallaresso a Simone Sosco Zara, 7 febbraio [1462] M. V. dà notizia a Simone Sosco di averlo nominato mansionario (ovvero capellano perpetuo) presso la cattedrale zaratina, essendosi reso vacante quell’incarico, che era prima del sacerdote Francesco, ora preposto da M. V. alla chiesa di Aurana; Simone, tuttavia, dovrà lasciare Venezia e spostare la sua residenza a Zara; dovrà inoltre rapidamente comunicare l’accettazione o il declino dell’incarico. /501/ Presbytero Sy[moni] Sosco mansionario ecclesiae Hyadrensis electo. Integritas vitae atque aliae tuae virtutes nos inducunt respicere commo­da tua. Cum igitur, precibus tuis pulsati, grato promiserimus animo primam in ecclesia cathedrali Hyadrensi mansionariam vacaturam et quae vacaret tibi conferre, quo posses in patriam /502/ tuam te cum aliquo recipere titulo, nosse te volumus his diebus proxime elapsis unam ex mansionariis dictae cathedralis ecclesiae vacavisse per cessionem presbyteri Francisci, quem plebi Auranae praefecimus. Nosque praefixum in te habentes animum eiusdem mansionariae titulum statim contulimus, vel potius, si volueris, conferendum tibi reservavimus ea conditione, ut per totum mensem Aprilis proxime futuri ex Venetiis te omnino expedias et Hyadrae venias ad residentiam. Atque inte­rim quamprimum facultas dabitur de acceptatione responsioneve dicti tituli nos certiores efficias, ut in eventum quo tibi conditio ista non placeret, talem provisionem facere possimus, ut ecclesia detrimentum aliquod non patiatur. Hyadrae,VII Idus Februarii. 424.(445) Maffeo Vallaresso a Pio II papa Zara, 9 febbraio 1462 M. V. informa il pontefice Pio II, Enea Silvio Piccolomini, della morte di Natale, vescovo di Nona, causata da una caduta della cavalcatura nel corso della legazione svolta dal prelato in Bosnia, regione confinante con l’impero turco; il pontefice della situazione bosniaca sarà edotto da una lettera di Mariano da Siena, il quale era compagno di Natale nella legazione; raccoman­da il latore della presente, che ha servito Natale fino alla di lui morte. /503/ Ad beatissimum papam Pium II. Sanctissime in Christo pater, post oscula pedum beatorum. Cum reve­rendus pater olim dominus N[atalis] episcopus Nonensis (ut dicitur) ex iniun­cto sibi mandato a vestra beatitudine pro commodo ac utilitate rei Christianae profectus esset ad illustrem regem Bosnae, in ipso itinere, equi (ut ferunt) cespitatione laesus in locis vitalibus, migravit ex hac valle. Cuius fato insperato vestrae sanctitatis mandata et commissiones ei impositae debitae exequutioni apud illum regem demandari non potuerunt. Idcirco ne res Christiana et nego­tia cruciatae pro quibus fortasse instruendis componendisque illuc terrarum vir iste missus erat, discrimen aliquod incurrat aut detrimentum patiantur, eandem sanctitatem vestram de hoc casu praemisso certiorem reddere curavi, ut sciat quid a modo sit providendum. De rebus autem novis emergentibus in Bosnae provincia, Turchis finitima, sanctitas vestra diffusius admonebitur lit­teris fratris Mariani Senensis, /504/ qui fuit comes et collega legationis ipsius domini episcopi. Ego quantum ad me spectat, praesentem familiarem praedicti olim domini episcopi, venientem nunc ad pedes vestrae beatitudinis et suo et ceterorum confamiliarium suorum nomine, qui domino suo praedicto usque ad extremum vitae servierunt, clementiae sanctitatis vestrae humiliter commen­do, ut sudores ac labores eorundem apostolica commiseratione respicere digne­tur. Animum et corpus vestrum intemeratum protegat Christus. Datum Hyadrae, die VIIII Februarii MCCCCLXI. 425.(446) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 9 febbraio 1462 M. V. comunica al cardinale Pietro Barbo la morte del vescovo di Nona, per tramite di un familiare di quello, P(ietro); il vescovo, deceduto il 28 gennaio, è sepolto presso un castello di Bistrica (toponimo latamente diffuso in tutta la zona balcanica); Mariano da Siena, che accom­pagnava il defunto nella legazione, è rientrato a Zara due giorni prima [1]; M. V. ha provve­duto a inventariare i beni del defunto; i suoi familiari sono subito giunti da M. V., chiedendo quanto dovuto per il lungo loro servizio, e inoltre un abito per il lutto e un cavallo, così com’è d’uso; M. V. ha sospeso e rinviato la richiesta, essendo il vescovo deceduto senza lasciare testa­mento, di cui pure aveva facoltà, concessagli dal pontefice [2]; Pietro giunge dal cardinale nella speranza di ottenere una concessione dalla sede apostolica: i familiari del vescovo defunto nulla hanno mai ricevuto, e attendono perciò che siano soddisfatte le loro attese, avendo sempre servito con fedeltà il defunto; se così non fosse, quanti sono fedeli al vescovo (ammesso così si debba interpretare il termine manos, dall’aggettivo manus, a, um, cioè ‘buono’), potrebbero essere vituperati, ciò che sarebbe disdicevole per la chiesa [3]; dà breve elenco dei beni del defunto reperiti in Zara; chiede al cardinale che, essendosi resa vacante la sede di Nona, ne possa bene­ficiare il fratello Giacomo [4]. /504/ Ad reverendissimum dominum, dominum Petrum cardinalem Sancti Marci Venetiarum. [1] Emerso casu et causa infrascriptis hunc praesentem nuntium P[etrum], familiarem reverendi olim domini nostri episcopi Nonensis, vestrae reverendissimae dominationis servitoris, ad eandem propere mittendum censui,aa enitar] eniter ms. qui diffusius ad os coramque supplebit ea quae calamo a me praeter­missa fuerint. Profectus igitur dictus dominus episcopus in legationem suam, quam dicebat se habere a sanctissimo domino nostro ad illustrem Bosnae regem, in ipso itinere priusquam pertingeret ad provinciam regis, equi cespi­tatione lesus (ut ferunt) in locis vitalibus, paulopost vitalem effudit spiritum, sepultusque est apud castrum Bistricae,bb sicque contra fortunam est quin alteram partium laesam se dicat, unde querelandi sit, causas addiscat parum perspicuum. provincia Bosnae, quinto Kalendas Februarii. Familiares eius una cum fratre Mariano de Senis, qui fertur comes et collega legationis eiusdem fuisse, nudius tertius maximo luctu ac maestitia Hyadram reversi sunt. [2] /505/ Ego statim diligentiam adhibui gratia sedis apostolicae bonorum mobilium in hac civitate positorum et relictorum ab ipso episco­po, adhibitis testibus auctoritat[e] inventarium facere, inventaque in loco tuto reponere repositaque conservare novo pastori, vel cui de iure compe­tierint. Praefati vero familares dicti episcopi statim recursum ad me habue­runt, petentes mercedem longi servitii et habitum lugubrem pro singulo eorum et unum equum pro quolibet, ut moris est. Ego vero – cognosens dictum olim episcopum iurisdictionis meae non esse et per consequens ad me non spectare eius bona distribuere, maxime quia mortuus est ab inte­stato (licet ad os de dictis bonis suis iuxta facultatem testandi, videlicet CC ducatorum, sibi data a sancto domino nostro antequam moreretur, disposuerit) – petitionem eorum suspendi, donec sua sanctitas aliud man­det superinde. Interimque persuasi eis ut, vel omnes simul, vel aliquis eorum vice et nomine ceterorum, in curiam ad pedes domini nostri et ad reverendissimam dominationem vestram contendat et ita factum est. [3] Petrus vero, non ignotus vestrae reverendae dominationi, venit hac de causa meoque hortatu facit caput ad eandem dominationem vestram, ut mediante suffragio vestro satisfactionem aliquam de bonis huiusmodi relictis de gratia sedis apostolicae consequatur. Et in rei veritate, si pietati ac aequitati fave/506/ndum est, quorum fidelitati testimonium optimum perhibeo – nam omnes eorum fidum ac longum famulatum usque ad extre­mum vitae ipsi episcopo persolverunt sub spe promissionis futurorum bonorum peramplius et perfectius et cetera, et (ut asserunt) nihil mercedis ab eo vivente perceperunt praeter victum et vestitum – quapropter oratam facio reverendam dominationem vestram ut eorum miseriae ac paupertati compatiens, clementiae sanctissimi domini nostri commendatos redat, ita ut cognoscant pontificali ordini se non ingratis tam diu servivisse, nec ut habeant causam ipsius episcopi manos infelicibus verbis provocandi impe­tendique, quod fieri non posset absque dedecore ordinis ecclesiastici et laicorum murmuratione. Haec ad reverendissimam dominationem vestram latius scripsi, ad sanctissimum autem dominum nostrum de morte huius brevius cum commendatione familiarium. [4] Praeterea eandem dominationem vestram scire volo quantum patet ex inventario bonorum praedictorum. Pecuniarum nihil est inven­tum hic Hyadrae, sed solum aliquae argentariae mediocres, item aulea et libri modici valoris, grani parum, vini parum, olei minus, equi parvi pre­tii. Cetera nuntius ipse dicet. Sed, quia per mortem huius viri ecclesia Nonensis vacat, nisi timerem importunitate mea reverendissimam domi­nationem vestram obtundere cum satis super/507/que diebus praeteritis eam pulsaverim pro fratre meo domino Ia[cobo], iterum atque iterum pulsarem, ideoque ne importunus ac molestus viderer, vestrae reverendae dominationis arbitrio aut deprimendum aut promovendum ipsum fra­trem meum relinquo, licet in rei veritate maius gaudium sentire non possem quam promotionem aliquam de ipso factam. Et ita supplico humanissime dominationem vestram, ut, si fieri potest, hanc ipsam eccle­siam habeat. Sin aliquo respectu id factu difficile est, ex promotione huiusmodi fienda praesegmina per promotum relinquenda vel in totum vel in parte applicentur eidem de gratia speciali reverendae dominationis vestrae, cui me semper commendo. Hyadrae, VIIII Februarii 1461.aa immo disperdendis add. mg. 426.(201) Maffeo Vallaresso a Franjo Speravic Zara, 10 febbraio [1462] Franjo Speravic, vescovo della diocesi croata di Tenin (Knin), ha inviato presso M. V. un cantore con lettere credenziali per riscuotere i crediti che la sua diocesi ha con il vescovo di Nona (Natale), deceduto poco prima; M. V. non può soddisfare tali crediti, occorre attendere la nomina di un nuovo vescovo; la stessa lettera è copiata come n° (444) nel ms., alle pagine 502-503 del medesi­mo; le varianti sono riportate in apparato. /192/ Reverendo patri domino episcopo F[ranio] Tiniensi.bb id fraude assequi tentent] natura barbarorum mg. Litteras paternitatis vestrae credentiales pauloante attulit ad me cantor ecclesiae vestrae et praesentium lator, quem in causa crediti eiusdem paternita­tis vestraeca certissimis tandem nuntiis et meorum litteris significatum est] congratulatoria mg. aequo animo audivi et, quemadmodum /193/ ei ad os respondi, ita calamo idem replicare curavi:da propere mittendum censui] Do notitiam de morte episcopi Nonensis, commendo familiam mg. me videlicet bonorum omnium piae memoriae olim reverendi patris domini N[atalis] episcopi Nonensis in civitate Hyadrensi repertorum conservatorem esse, non distributorem, ideoque necessarium fore ut eadem paternitas vestra expectet novi episcopi creationem, qui, statim ut venerit huc, cognitoque huiusmodi debito, curabit satisfactum iri, non modo paternitati vestrae, verum etiam reliquis creditoribus. Ego quoque gratia vestriab Bistricae] Bistrieae ms. quantum ad me spectabit adnitar huic aequitati ut superveniente novo pastore vestrae paternitatiba 1461 scil. more veneto. fiat satis. Paratum et cetera.cb Ad r[everendum] presbyterum d[ominum] F[ranium] episcopum Tiniensem n° (444). Hyadrae X Februarii. 427.(447) Maffeo Vallaresso a Pietro Ferici Zara, 10 febbraio [1462] M. V. ha già scritto a Pietro Ferici, affinché questi provveda alla terna di giudici che dovranno decidere relativamente alla causa pendente con il suo arcidiacono, il quale gode indebitamente del beneficio dell’abbazia di San Cosma e Damiano (cfr. ep. n° 412) [1]; il suo cappellano ha provveduto a finanziare la procedura; sollecita la scrittura di un breve, che potrà essere consegnato direttamente al latore dell’epistola [2]. /507/ Reverendissimo patri domino P[etro] Fericidc vestrae paternitatis n° (444). auditori Rotae. [1] Meminisse potest paternitas vestra scriptum alias sibi a me fuisse cum precibus ut dignaremini per unum breve apostolicum revocari facere iudices illos per archidiaconum meum impetratos super quadam appellatio­ne sua ab uno mandato meo, quod ei dedi de relaxanda conductione et affictu possessionum abbatiae sanctorum Cosmae et Damiani, quam tenet contra iuris dispositionem, cum habeat cumpetentia beneficia ecclesiastica ex /508/ quibus honeste vivere potest. Qui, ut mandatum praedictum ludi­ficaret, eiusmodi iudices impetravit, qui causam istam nunquam terminare de natura rerum possent. Quorum primus erat olim reverendus dominus N[atalis] episcopus Nonensis, qui nuper diem clausit extremum et dum viveret in continuis occupationibus versabatur et nunquam hic stabat fir­mus. Alter est archidiaconus Nonensis, qui a multo tempore absentavit se a patria et degit in media Panonia. Nec abbas Sancti Grisogoni, qui nec de iure nec de honestate potest esse iudex in huiusmodi causis, qui tertius est cum sit suspectus tamquam inimicus. [2] Ea proter iterum atque iterum oratam facio paternitas vestra ut mei amore hunc sibi laborem assumat praedictorum iudicum revocandorum per aliquid breve apostolicum, pro quo obtinendo ac solvendo presbyter N. capellanus meus dedit pecuniam Doymo, camerario reverendissimi domini communis poteritque paternitas vestra alios iudices impetrare, videlicet reve­rendum dominum archiepiscopum Spalatensem ac dominum episcopum Sibenicensem et eius archidiaconum cum illa clausula, «quod si non omnes et cetera».1ad curabo n° (444). Quod quidem breve, si me diligitis, quam primum commode fieri potest ad me Hyadram transmittatis, quod, si facere possetis per praesentem nuntium, id mihi gratissimum foret. Ex Hyadra, X Februarii. 428.(448) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 10 febbraio [1462] M. V. comunica ad Andrea Conti che il vescovado di Nona si è reso vacante; Maffeo auspica che vi sia promosso il fratello Giacomo [1]; se ciò non accadesse, desidera che sia Andrea stesso a ottenere la carica, la quale, se non è molto ambita, non è nemmeno disprezzabile: infatti il terri­torio sotto il dominio di Venezia ha una rendita di 700 ducati; e di trecento e più fiorini quello che soggiace alla contea di Corbavia; essendo la cattedrale di Nona semiditrutta, i suoi vescovi sono soliti risiedere a Zara, che dista circa dieci miglia [2]. /509/ Ad eximium doctorem dominum Andream de Comitibus. [1] Harum scribendarum causa haec est, videlicet benivolentia singu­laris quam erga vos iustis de causis habeo. Qua intercedente, coactus mihi videor honori et commodo vestro aeque invigilare ac fratris mei. Noveritis itaque Nonensem ecclesiam per mortem olim reverendi patris domini N[atalis] pastoris et episcopi sui, qui nuper in legatione Bosnae, equi cespi­tatione fracturam intestinorum passus, in medio itinere vitalem emisit spiritum, vacare in praesentiarum nullosque esse in curia competitores prae­sentes quos putem vobis praeferendos. Ego, ut verum fatear, scribo reverendissimo domino communi pro domino Ia[cobo] fratre meo, quod non puto vobis molestum esse, quia prima caritas incipit a se ipsa. [2] In casu quo idem dominus Ia[cobus] propter absentiam suam et quod nescitur voluntas eius dictam ecclesiam sortiri non deberet, vos prae omnibus aliis cuperem huic sedi praeficiendum et mihi vicinum fore. Ideoque fraternitatem vestram hortari possum, ut huic dignitati obtinen­dae nervos intendat, quae certe si non est de principalioribus quam vestra virtus meretur, neque tamen de infirmis est. Habet enim in agro subiecto illustrissimi dominii fortasse plusquam septingentos ducatorum, sub comitibus Corbaviae procul dubio florenos trecentos et eo amplius. /510/ Civitas cathedralis est dirupta vetusque et aeris intemperie laborans. Sed pro remedio praemissorum, omnes episcopi Nonsenses maiori ex parte soliti sunt facere residentiam suam Hyadrae, quae non distat a civitate Nonensi decem milibus passuum. Praesentem nuntium qui fuit dicti domini episcopi familiaris longaevus ac fidelis vobis commendo. Aliud scribendum non occurit. Valete. Datum Hyadrae, X Februarii MCCCCLXI. 429.(449) Maffeo Vallaresso ad Alvise Rosa Zara, 14 febbraio [1462] M. V. scrive ad Alvise Rosa, nipote del defunto vescovo di Nona, per comunicargli le proprie condoglianze e il senso di profondo dolore che la scomparsa di Natale gli ha procurato [1]; M. V. ha provveduto a inventariare i beni che il defunto possedeva in Zara; ha comandato che il nipote Giovanni, Pietro e due stretti familiari vestano a lutto; l’unico testamento è quello fatto in con­fessione, così come riferito da Mariano da Siena; esso è stato trascritto da un pubblico notaio, ed è allegato alla presente; Pietro è stato inviato dal pontefice e dal cardinale Pietro Barbo, con lettera di raccomandazione [2]; spera che Alvise abbia fatto quanto necessario presso l’autorità venezia­na, onde assicurarsi quanto spetta a lui, piuttosto che ad altri, detratte le somme dovute ai familiari che hanno servito Natale; i cavalli sono stati venduti, così da risparmiare le spese di approvvigionamento [3]. /510/ Ad praestantem virum Alovisium Rosa. [1] Scribere ad te in hunc usque diem distulimus, ne primi essemus qui nuntium tibi molestissimum ac luctuosum attulisse videremur.aa v[estrae] p[aternitatis] n° (444). Non dubita­mus igitur de fato crudeli et insperato piae memoriae olim reverendi patris domini N[atalis] episcopi Nonensis, avunculi tui, litteris aliorum iam signi­ficatum tibi esse, ita ut neque genus mortis, neque diem locumve funeris ignorare te putemus. Nos vero asseverare hoc facile possumus, quod quemad­modum eius vita integra et laudabilis multisque mortalibus utilis ac frugifera extitit, ita mors gloriosa ingentem calamitatem et iacturam pluribus est alla­tura, adeo ut unicuique non minus damnum privatum sit lugendum, quam mors illius, ex qua et nos, qui eum fiali dilectione co/511/lebamus, tanto maerore obruti sumus, ut propinquis ipsius in hac parte non cedamus. [2] Quod attinebat ad officium nostrum, tum pro honore et debito sedis apostolicae, cui ille legatus extiterat, tum et pro commodo propinquo­rum eiusdem, necnon pro utilitate etiam familiarium suorum, de omnibus et singulis eius bonis mobilibus Hyadrae positis, summa cum diligentia inven­tarium fieri curavimus. Io[hannem] nepotem, Pe[trum] item et alios duos principales ac primarios famulos habitum lugubrebb p[aternitati] v[estrae] n° (444). iuxta morem solitum vestiri iussimus. Et quoniam aliud testimonium fecit nullum praeter istud ad os tantum et in confessione, sicut retulit frater Marianus de Senis, eius lega­tionis comes individuus, confessionem huiusmodi ad cautelam et ad emolu­mentum vestrum statim per notarium publicum relevari fecimus, cuius copiam tibi cum iis colligatam trasmittimus, interimque Pe[trum] praedic­tum ablegamus in curiam ad sanctum dominum nostrum et ad reverendissi­mum dominum cardinalem Sancti Marci, cum litteris commendatitiis, casum mortis describentes breviter, vosque propinquos illius omnes necnon et famulos, qui diu et fideliter usque ad extremum vitae eiusdem servierunt, aeque sanctissimo domino nostro ac reverendissimo domino cardinali Sancti Marci quantum fas fuit commendantes. [3] Te exinde speramus per viam illustrissimi dominii debitas provisio­nes fecisse, ut bona huiusmodi (quae certe minoris extant pretii quam homi­nes ab extra credebant) ad te potius devolvanturcc Paratum etc.] om. n° (444). – dempta summa quae miseris fa/512/mulis pro eorum debetur mercede – quam ad alienos, quorum dicta bona minus fortasse intersunt. Equos reductos affectos macie modici valoris de consilio et opinione magnificorum rectorum huius civitatis venales ideo fecimus et ad subhastationem ponendos, ne mortuo hero frustra fiat impensa, pro quibus interim alendis fenum pretio emitur, cum domi non habeatur praeter bladium in minori quantitate quam tu putares. Quibus omnibus curandis et regendis tres nobiles viros huius civitatis ac simul tres clericos ad id aptos praefecimus. Obsequium insuper et funeralem honorem nos personaliter in ecclesia nostra cathedrali eidem persolvimus. Si quid est praetermissum per nos fiendum, quod cedat ad decus defuncti et ad emolu­mentum et honorem omnium nostrorum eius propinquorum, litteris tuis fiendum ac supplendum annue, paratos nos offerentes et cetera. Hyadrae, XIIII Februarii. 430.(450) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Zara, 22 febbraio 1462 M. V. risponde al fratello Giacomo, che gli ha inviato copia di una lettera da lui scritta al car­dinale (con ogni probabilità Pietro Barbo); M. V. ne critica la parte finale, troppo veritiera e aggressiva; occorre infatti usare pazienza, non mordacità, specie con chi è capace di procurare danno; anche M. V. era sul punto di scrivere una lettera aspra, ma ha poi preferito scrivere in tono mite e ironico; ne invia copia a Giacomo; è bene che i due fratelli si siano rivolti al cardinale in tono così diverso; ricorda a Giacomo la vertenza con l’abate, auspica che sia conclusa dinnanzi al patriarca prima della venuta del padre; è lieto per la notizia del matrimonio del fratello Marco, il quale tuttavia avrebbe fatto bene ad attendere il ritorno del padre. /512/ Ad venerabilem dominum Ia[cobum] Vallaresso subdiaconum apostolicum. Exempla litterarum quas dedisti ad reverendissimum dominum cardi­nalem vidi ac legi existimoque nihil a te perperam scriptum, sed omnia vera. Probene feceris profecto aut dubium, hoc tantum improbo, quod prolixius ac verbosius quam par erat expressisti animi molestiam debebasque in fine epistulae statu veniali exuberationem tuam modificare, quia, cum veritas odium pariat,ad Ferici] Ferrici ms. stomaceb1 «quod si non omnes et cetera»] cfr. Gregorii IX Decretalium compilatio, Liber I, Titulus III. De rescriptis, Cap. XIII: Rescriptum, quo scribitur pluribus cum clausula: “Quod si non omnes etc.” intelligitur tam de impotentia facti, quam iuris (…). potius quam nuda mordaci/513/tate utendum est, quia grave est contra illos scribere qui possunt proscribere. Ego quoque tum primum elusus decreveram acrius scribere, veritus deinde ne crabrones irrita­rem et ex insano insaniorem redderem, mitissime scripsi, hyronice, factum eius approbans, quod suos potius amet quam alienos. Eiusmodi igitur littera­rum quas tum scripseram, his alligatum exemplar tibi mitto placetque mihi quod diverso stilo scripserimus, ne videamur ex industria convenisse in unam animi sententiam. Nam tibi magis congruebat bilem ostendere in calamo, mihi modestius loquendum fuit, de his satis. Memento negotium nostrum quod habemus cum perditissimo abbate coram reverendo patre domino patriarcha expedire, si fieri potest, ante reditum domini geni[toris], ut vulne­ratum ex uno latere hostem, in alterum latus facilius impellere ad ruinam possimus. De nuptiis germani nostri M[arci] gaudeo Deumque oro ut sint faustae et felices quanquam iudicio meo rectius egisset si redditum patris expectasset. Vale. Ex Hyadra, die XXII Februarii MCCCCLXI. 431.(202) Maffeo Vallaresso a Matteo Vitturi Zara, 3 marzo [1462] M. V. invia a Matteo Vitturi, procuratore di San Marco, una porzione di olio, dono adatto alla Quaresima. /193/ Magnifico domino Matthaeo Victuri procuratorem Sancti Marci.aa ne primi essemus qui nuntium tibi molestissimum ac luctuosum attulisse videremur] De obitu episcopi Nonensis eius avunculi, pro qua condoleo mg. Antehac nihil fuit necessario scribendum ad magnificentiam vestram. Nunc vero ut eadem particeps fiat fructuum qui penes me inveniuntur, non aspernetur accipere tenuem portiunculam olei provincialis et accommodati hoc tempore quadragesimali ad mensam vestram. Quae quidem res, etiamsi parvula est, tamen in figuram amoris et reverentiae vobis mittitur a me hilari animo. Hyadrae die III mensis Martii. 432.(451) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bon Zara, 3 marzo 1462 Il vescovo di Equilio, Andrea Bon, è stato scelto quale giudice per la vertenza che oppone M. V. a Filippo Foscari riguardo ai proventi derivanti dal canonicato di Creta; M. V. ha ricevuto insistenti pressioni dal Foscari perché tale vertenza sia conclusa in via definitiva; pertanto M. V. prega il Bon di decidere in merito una volta per tutte; M. V. sarà tutelato nei suoi diritti dalla presenza del padre e del fratello. /513/ Ad reverendum patrem dominum Andream episcopum Equilinum. Meminisse potest paternitas vestra quod antequam ultima vice ex Venetiis recessi in arbitrium eiusdem vestrae paternitatis super causa fructuum a me per­ceptorum ex canonicatu Cretensi, una cum spectabili domino Philippo Fos[cari], consensi et compromisi. Nunc ego molestor ac /514/ vexor litteris ipsius domini Phi[lippi] urgentis ac instantis ut causa eiusmodi debito fine terminetur. Et quanvis hic bonus vir contra omnem aequitatem et honestatem me molestat et petit, tamen, ut sopiatur haec controversia, rogo reverendam paternitatem vestram quod, auditis utriusque partis rationibus et eius tenore statuti Cretensis ecclesiae in forma autentica redacti, ferat sententiam arbitrio suo, tam de iure quam de facto. Quicquid enim statuerit mihi ratum et firmum erit, quippe quia nunquam induci possem ad credendum quicquam fieri per vestram paternita­tem secus quam probe et sancte. Sed quid aliud circa praemissa fuerit dicendum, in favorem iurium meorum et dominus genitor meus et frater aderunt presentes coramque supplebunt, ad quos me remitto, paratum me offerens. Hyadrae, III Martii 1462. 433.(452) Maffeo Vallaresso a Filippo Foscari Zara, 3 marzo 1462 M. V. comunica a Filippo Foscari di aver ricevuto recentemente solo una lettera da lui, nella quale Foscari dichiara di avergli inviato in precedenza un’altra lettera, in doppia copia (duplicatas), con allegata copia degli statuti della chiesa di Creta; M. V. non ha mai ricevuto tale precedente missiva; non era tuttavia necessario che Filippo insistesse sulla somma che ancora M. V. deve versare, poiché M. V. si è impegnato a fare ciò che il vescovo di Equilio deciderà in merito. /514/ Ad spectabilem dominum Philippum Foscari. Unicas a vestra spectabilitate litteras superioribus diebus accepi, quibus asseritis alias ad me duplicatas scripsisse et simul copiam statutorum ecclesiae Cretensis circa perceptionem fructuum et cetera misisse. Quas quidem litte­ras duplicatas et copiam praedictam sciatis ad manus meas nunquam perve­nisse putoque superfluum fuisse quod vestra spectabilitas urgeat et instet quod differentia illa debito terminetur fine, quandoquidem ego semel id me facturum pro conservando amore nostro mutuo promiserim. In cuius rei evidentiam, quanquam nihil me debere puto, de voluntate /515/ tamen vestrae spectabilitatis in arbitrium reverendi domini episcopi Equilini consensi, in quem simul ambo compromisimus tam de iure quam de facto. Faciat itaque paternitas sua et exequatur officium boni viri et arbitretur in casu isto prout ei placitum fuerit. Ego enim a vera ratione et ab aequitate semita nusquam discedam. Paratum ad quaecumque grata et cetera. Hyadrae, III Martii. 434.(453) Maffeo Vallaresso a Candiano Bollani Zara, 3 marzo 1462 Per mezzo del padre, che rientra in Venezia, invia a Candiano Bollani una lettera brevissima, accompagnata da una confezione di olio e di fichi. /515/ Ad clarissimum dominum Candianum Bollani. Ut ex praefectura Hyadrensi dominus genitor meus non reddeat in civitatem absque litteris meis ad vos, has perbreves dedi ex quibus coniicere poteritis me per immortalis Dei gratiam ex voto incolumem vobisque dedi­tissimum. Cui, pro levandis ieiuniorum praesentium angustiis, Illirici olei et bonorum ficuum portiunculam tenuem mitto. Quae in signum amoris reci­piatis. Deinde valete ac me diligite. Ex Hyadra, III Martii MCCCCLXII. 435.(454) Maffeo Vallaresso a Pietro Morosini Zara, 3 marzo 1462 Per mezzo del padre, che rientra in Venezia, invia a Pietro Morosini un biglietto di saluto e un bariletto di olio. /515/ Ad generosum dominum Petrum Maurocenum Sanctae Iustinae. Iam diu est quod ad vos non scripsi. Nunc discedentem dominum genitorem meum dimittere nolui sine litteris meis ad vos per quem vobis significatum facio me per Dei omnipotentis gratiam optime valere et esse cupidum itidem audire de incolumitate deque augmento /516/ honoris vestri. Et quia supervenerunt dies ieiuniorum quadragesimalium pro iuvanda eorum duritia barile unum olei proculdubio boni mitto in signum amoris vobis cui me offero atque dedo. Valete diu. Datum Hyadrae, die III Martii MCCCCLXII. 436.(270) Maffeo Vallaresso a Nicolò Barbo Zara, 5 marzo [1462] M. V. comunica a Nicolò Barbo, il cui fratello Giovanni ha ottenuto in commenda l’abbazia di San Michele in Monte, fuori le mura, che, dopo la morte dell’abate, ha incaricato alcuni suoi chierici di provvedere, insieme al suo cancelliere, all’inventario dei beni [1]; ci sono state spese, pagate con la vendita di alcuni beni; raccomanda che o Nicolò o il fratello o un loro incaricato venga di persona a curare il patrimonio (cfr. l’ep. 446) [2]; presto invierà a Nicolò l’inventario dei beni dell’abbazia [3]; non è intenzionato a ricevere l’abbazia in affitto, come a Nicolò è stato suggerito dal cardinale Pietro Barbo [4]. /272/ Ad spectabilem dominum N[icolaum] Barbo cond[omino] domini Petri. [1] Superioribus diebus litteras tuas accepi et legi iocunde /273/ per quas petis litteris meis admoneri ac certior reddi de rebus inventis post obitum abbatis Sancti Michaelis extra muros Hyadrae. Quae abbatia nunc devoluta est domino Io[hanni] fratri tuo in commenda. Quae res bene vertat ei. Ego enim rerum earundem conservandarum curam diligentem post dicti abbatis mortem adhibui. Cui rei praefeci aliquos ex clericis eccle­siae meae antiquioribus viros quidem probos et timentes Deum, qui una cum cancellario meo de omnibus rebus in domo defuncti repertis inventa­rium accurate fecerunt. [2] Subsecutae fuerunt certae impensae pro funeralibus fiendae et aliis ita ut cum pecuniarum nihil inventum fuerit, necessarium tandem fuerit de bonis praedictis vendi facere ad impensae summam. Quod reliqu­um est vini et grani ac suppellectilium conservatur ad commendatarii dispositionem. Videretur tamen mihi ad rem tuam et fratris conducibilem fore ut, quamprimum fieri commode potest, alter vestrum aliusve nomine vestro huc se transferat ut rem et commodum vestrum oculata facie consi­deret et procuret. [3] Est etiam in insula dictae abbatiae /274/ multus grex pecudum de quibus etiam cura est habenda. Multa bona dicti abbatis tunc in extremis laborantis vitae, ut revelatum mihi est, distracta fuere et compilata. Inventarii copiam statim misissem, nisi cancellarius meus aliis scripturis in praesentiarum conficiendis occupatissimus haberetur. Paulopost sollicitabo eum ut eam conficiat; quam habitam illico tibi mittam, ut contempleris quanti pretii bona inventa sint. [4] Quod autem dicis ex commissione et mandato reverendissimi domini cardinalis, te paratum ad consentiendum mihi, dictam abbatiam ad affictum, in quantum eam conducere velim, habeo tibi magnas gratias, quanquam nesciam quis hoc insufflaverit auribus reverendissimi domini cardinalis me cupidum esse huiusmodi abbatiae ad affictum tenendae, quasi nunc me demum quaestuarium hoc lucrum sic misere inire velim, quod a me absit! Verum quicquid mea ope atque opera in possessionibus locandis, huius abbatiae prodesse potero, fratri tuo ob reverentiam reverendissimi domini mei et amore tui promptum ac paratum me spondeo. Vale. Hyadrae, V Martii. 437.(455) Maffeo Vallaresso a Giacomo Bragadin Zara, 22 marzo 1462 M. V. si congratula con Giacomo Bragadin, neoeletto vescovo di Nona, con un biglietto breve, poiché l’arcipresbitero latore esprimerà a voce la gioia di M. V., il quale resta a sua disposizione. /516/ Ad reverendum dominum Ia[cobum] Bragad[enum] ad ecclesiam Nonensem translatum. In exprimenda gratulatione huic novae dignitati vestrae paternitatis ero brevior duabus de causis:ab lugubre] lugubri ms. prima est quod veniente istuc venerabili viro archipresbytero meo non putavi necessarium fore pleniores litteras dare, quippe quum nuntius ipse, conscius animi mei et gaudii ex dignitate vestra concepti, meliusbc devolvantur] devolliantur ms. et expressius loquetur quam litterae ipsae. Altera causa est brevitatis meae quod sperem eandem dominationem vestram huc pro­pediem affuturam, cum qua de ipsa agemus diffusius. Intellecto igitur ex litteris domini genitoris vestri ad ipsum archipresbyterum meum scriptis quod vestra paternitas per gratiam summi pontificis ad ecclesiam Nonensem sit translata et provecta, tanta laetitia affectus sum, quanta liceret affici fraterno commodo, eoque contineri non potui quin vobis gratulabundus hanc voluptatem meam fatear, obsecrans Deum immortalem ut haec dignitas ad perpetuum decus et ornamentum nec non ad salutem animae corporisque cedat vobis. Interim vero, si quid reverenda paternitas vestra credit me posse pro commodo et honore suo, tum respectu mutuae beni­volentiae /517/ tum gratiam propinquitatis nostrae, spondeo me promp­tum ac paratum. Hyadrae, XXII Martii 1462. 438.(268) Maffeo Vallaresso a Leonardo Loredan Zara, 28 marzo 1462 M. V. si congratula con Leonardo Loredan, che ha dato in sposa Laura, cugina di M. V., a Giovanni Venier, figlio di Andrea, attualmente pretore a Spalato; M. V. ne è felice perché si sente unito a quanti gli sono coingiunti sia dalla parte del padre, sia dalla parte di Leonardo. /271/ Magnifico domino Lunardo Lauredano procuratori ecclesiae Sancti Marci.aa quia cum veritas odium pariat] Veritas odium parit mg. Litteris nostrorum proxime significatum est mihi de nuptiis Laurae consobrinae meae quam felicibus auspiciis vestra magnificentia locavit cum praeclara dote medius fidiusque genere et divitiis ac optimis moribus ornatis­simo iuveni Io[hanni] scilicet Venerio spectabilis domini Andreae, Spalatensis nunc praetoris. Qua ex re non minorem laetitiam hausi quam ex nuptiis sororis meae. Nam ex caritate ac iure agnationis quam habemus cum v[estra] mag[nificentia] pari benivolentia sit[os] ex genitori meo, ita ex vobis proge­nitos complector. Gratulor itaque his iocundissimis nuptiis earumque aucto­ribus Deumque immortalem oro atque obsecro ut felices /272/ sint et fecun­dae. Ex quibus utrique parti contingant optimi successus votorumque effectus. Aliud dicendum non occurrit nisi et cetera. Valete. Datum Hyadrae, die XXVIII Martii 1462. 439.(272) Maffeo Vallaresso a Cristoforo Moro Zara, 28 marzo 1462 Il procuratore di San Marco Cristoforo Moro ha inviato a M. V. trascrizione (transumptum) di un testo (non altrimenti specificato), che il medesimo M. V., nel corso della messa solenne della quarta domenica di quaresima, ha fatto leggere e quindi commentare da un frate di francescano. /276/ Magnifico domino Cristophoro Mauro procuratori Sancti Marci. Hesterna die litteras vestrae magnificentiae et transumptum indulti apostolici accepi, et hodie quae est dies dominica quadragesimae quarta desi­derium eiusdem diligentissime adimplere curavi. Feci enim eiusdem tran­sumpti tenorem in ecclesia mea cathedrali infra missarum solemnia legi ac nuntiari. Deinde post meridiem per quendam fratrem ordinis Sancti Francisci ibidem praedicantem latius populo declarari et interpretari. Quod quidem eo libentius feci, quo magis et eiusdem sanctissimi patris devotione teneor et vestrae magnificentiae ad gratum iri video, paratus eidem placere ac morem in maioribus gerere. Illud idem transumptum quamprimum commode fieri poterit transcribi faciam et alibi, ubi magis opus fuerit ulterius publicari. Valeat magnificentia vestra. Ex Hyadra XXVIII Martii 1462. 440.(271) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Zara, 29 marzo [1462] M. V. scrive al fratello Giacomo, raccomandandogli di non partire alla volta della curia prima che venga positivamente risolta la causa intentatagli dall’abate (probabilmente l’abate Bogdan di San Crisogono; per l’annosa vertenza cfr. ad es. l’epistola n° 400); gli raccomanda di assumere a tale fine i migliori avvocati: provvederà M. V. al pagamento; assicura di inviare rapidamente 50 ducati che già ha promesso. /275/ Venerabili domino Ia[cobo] Vallaresso subdiacono apostolico. Breves litteras vestras per Nic[olaum] accepi per quas tantummodo de exeniorum distributione significatis et praeparatatione vestra in curiam. Quod placet, quanquam opinio mea esset, ut in quantum domino genitori nostro vestra placeret praesentia, non discedatis priusquam sceleratissimi abbatis impetitio finem sortiatur. In qua quidem impetitione refellenda ac diluenda, si opus esset advocatis in iure doctioribus et in causis forensibus et iudiciariis magis expertis amodo suadeo ut sumptibus assumantur meis neque parceatur hac vice pecuniis nostris dummodo caput nostrum de gradu existi­mationis suae non deturbetur. Licet enim habeamus iustam et honestam causam, necesse tamen est ut sint ex parte nostri qui iura nostra honestare sciant et adversarii causam criminari. Verum si secus visum fuerit nostris scilicet genitori et patruo accingimini ad iter. Ego enim summam illam quin­quaginta duc[atorum] vobis promissam proximo fideli nuntio mox mittam, praestante Domino. Illud barile olei quod d[ominus] M. V. acceptandum non duxit, vellem daretur compatri meo domino P. de Rippa, ad quem vos manu vestra breves litteras exaretis admonentes eum de missione /276/ dicti exenii et cetera. Aliud respondendum nihil occurrit. Valete. Hyadrae III Kalendas Aprilis. 441.(269) Maffeo Vallaresso ad Angelo Pesaro Zara, 31 marzo 1462 M. V. si congratula con Angelo Pesaro per la sua promozione a capitano delle galee di Fiandra. /272/ Ad spectabilem dominum Angelum de Cadepesaro.ab sthomace ms : expectes stomacho. Spectabilis et generose, intellecto nuper quod vestra spectabilitas capi­taneatum triremium in Flandriam felicibus auspiciis sortita sit, sane affectus sum vehementi gaudio, non tam quod haec non mediocris dignitas vobis decesserit, qui amplioribus honoribus dignus estis, quam quod videam rem­publicam viros de se benemeritos tandem recognoscere, ad seque allicere in quos non consuevit esse ingrata. Proindeque gratulor eiusdem vestrae specta­bilitatis commodis et honoribus, spem retinens firmam in Domino Iesu quod suffragantibus virtutum vestrarum meritis in sublimiori dignitatum gradu vos versari paulo post vel audiam vel videbo altissimo praestante. Paratus. Datum Hyadrae die ultimo Marti MCCCCLXII. 442.(456) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bon Zara, 18 aprile 1462 M. V. partecipa al lutto di Andrea Bon, vescovo di Equilio, che ha perduto il padre. /517/ Ad reverendum dominum An[dream] Bono episcopum Equilinum. Etsi sciamus naturam humanam caducam et mortalem impellentibus tamen nos affectibus,aa Mitto porziunculam olei mg. quae passiones a sapientibus appellantur, sic movemur in mortibus sive propinquorum sive amicorum, ut quasi ea res nova et insolita nobis accidisse videatur. Non dubito igitur paternitatem vestram optimi patris sui obi­tum moleste tulisse. Sed ad hanc molestiam animi non mediocris consolatio adhiberi potest, quod idem ita prudenter ac modeste vitae suae cursum tenuerit, ut et summorum reipubblicae nostrae virorum amicitae coniungeretur et gratum tantae virtutis columen post se reliquerit, quo mediante immortalis procul dub­bio sit futurus. Quid aliud vel ad levandum dolorem, vel ad recreandum paterni­tatis vestrae animum per me nunc asseri debeat, non video. Fateor tantum ob singularem amorem tam gaudia quam etiam merores paternitatis vestrae mihi dividuos et communes, ut tacere minime valeam, quotiens ea interveniunt. Sed interim puto iam dolorem amovendum et potius ferendum esse aequo animo quicquid corrigere est nefas. Valeat paternitas vestra et me diligat. Datum Hyadrae, die XVIII Aprilis MCCCCLXII. 443.(457) Maffeo Vallaresso a Cristoforo Moro Zara, 25 maggio 1462 Cristoforo Moro è stato eletto doge e con lui M. V. si congratula, esprimendo la propria gioia, poiché sotto la sua guida tornerà per Venezia l’età dell’oro. /518/ Illustrissimo domino, domino Christoforo Mauro duci Venetiarum electo. Quod respublica nostra et sibi ipsi et communi hominum utilitati con­sulere volens te sibi in ducem optimumba ero brevior duabus de causis] congratulatoria mg. aspirantibus vatum oracoli, faventi­bus optimatum suffragiis, superis etiam annuentibus elegerit, laetatus sum in his quae dicta sunt mihi,1 princeps illustrissime, ac ita laetatus, ut prae gaudio gestiens contineri nequi­verim quin et tuae gloriae et nostrae utilitatis ratione habita huic sublima­tioni tuae gratulabundus occurrerem. Optarem autem huiusce gratulationis munus ad os coramque persolvere posse celsitudini tuae, potius quam calami ministerio, quo exprimi nequeunt animi affectus tam decore quam fieri solet vivae vocis oraculo. Sed haec omittenda non sunt, quae dici etiam in absen­tia omnino debent, optimam ex hac tui electione coniecturam duci posse, quod summo Deo res publica nostra sit ingenti praecipuaeque curae ad cuius regimen eum principem vocaverit, qui et sacrosantae ecclesiae defen­sor, et religionis conservator, et pacis amator, et bonorum fauctor, et impro­borum expugnator maximus sit futurus. Commune igitur gaudium est sublimatio tua et ecclesiae Christi et praelatorum et religiosorum denique omnium una exultatio felicia deinceps tempora. Atque, si fas est dicere, Saturnia regna et aurea instabunt saecula te duce devotissimo praesidente diu. Quod /519/ ut faciat Deus omnipotens mihi quotidie exorandus erit, hostiisque placandus. Vale, iubar illustrissimum almae civitatis nostrae meque tibi deditissimum habe. Ex Hyadra, VIII Kalendas Iunii MCCCCLXII. 444.(458) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 26 maggio 1462 Lorenzo Zane non doveva scrivere una lettera di raccomandazione così concitata a favore di alcuni suoi familiari i quali desideravano adorare le reliquie di San Simeone: sarebbe bastato che essi si dichiarassero suoi familiari [1]; non potendo essi partecipare alla festa del santo, hanno tuttavia avuto la possibilità di mirare, adorare e pregare; M. V. augura a Lorenzo di rientrare sano e salvo dalla sua legazione [2]. /519/ Ad reverendum dominum Lau[rentium] Zane archiepiscopum Spalatensem. [1] In explendo familiarium tuae reverendae dominationis honestissi­mo voto, ut eis additus esset facilis ad revisendas adorandasque beatissimi Symeonis prophetae reliquias venerandas, non erat opus litteris commenda­titiis iussu tuo tam acriter scriptis, quin immo magni tui nominis unica suffecisset nota. Suffecisset etiam ad astruendam fidem, si se tuos appellassent quibus per me mosab melius] medius ms. gerendus est semper tui contemplatione. Sed, ut iidem facilius intelligerent quanti te faciam et quanti ponderis apud me sint litterae tuae, eisdem tuae dominationis servitoribus paratum memeba ibo congratulans de nuptiis filiae mg. obtuli tui gratia in omne tempus, etiam in rebus maioribus, nedum in hac mediocri. [2] Sed, cum dixerunt non expedire quippe qui huc in his applicuerant indulgentiarum feriis, in quibus eiusdem beatissimi prophetae corpus pere­grinis omnibus publice monstratur absque alia intercessione, iuxta votis sui desiderium, quod quaerebant et cupiebant invenerunt, viderunt, adorave­runt, /520/ oblationibus meis liberalissimas gratias habuerunt et extemploca Congratulor mg. se habituros denuntiaverunt, quos vix morari potui donec has breves exararem. Quibus prae nimia celeritate nil aliud addo praeterquam quod ab immortali Deo precor tuae reverendissimae dominationis ex hac prima honestissima legatione reditum incolumem, iocundum felicissimumque et ut ex ea gradum ad maiora munera dignitatesque facias quod fax sit Deus. Vale. Ex Hyadra, die XXVI Maii MCCCCLXII. Raptim. 445.(459) Maffeo Vallaresso a Paolo Barbo Zara, 29 maggio 1462 Paolo Barbo è rientrato dalla sua ambasciata in Francia; ha assunto quindi la carica di avoga­dore, e M. V. con lui si complimenta. /520/ Ad clarissimum equitem dominum Paulum Barbo. Quantuscunque honoris et publicorum munerum accessus tibi fiat, vir magnifice ac ornatissime, est profecto res minimada impellentibus tamen nos affectibus] Consolatoria pro morte patris mg. per quam quod vel tuae mirificae merentur virtutes vel quod ego tibi opto et spero. Sed cum nihil grave in senatu fiat absque te nulla praeclara obeantur administrentur­que officia quibus res publica participem te nolit esse, gaudeo sane haec ita se habere, ut ii potissimum ad summos civitatis nostrae magistratus et hono­res provehantur quibus cum strictioris amicitiae causas iustas habemus. Quod igitur sospes gratia Dei ex legatione Gallica reddieris in qua etiam praeclarissime te gessisti, ut ex tua oratione ad regem Galliarum decore habi­ta latius patet. Et quod /521/ statim patriam es regressus munus advocato­rium obieris, quod est in civitate nostra ornatissimum et honorificum, etiam atque etiam gaudeo tibique gratulor et ut honores huiusmodi cum laude omnipotentis Dei et salute animae sempiterna tibique tuisque posteris acce­dant Deum oro atque obtestor. Vale. Datum Hyadrae, die IIII Kalendas Iunii MCCCCLXII. 446.(203) Maffeo Vallaresso a Nicolò Barbo Zara, 31 maggio [1462] Giovanni, fratello di Nicolò di Pietro Barbo (cui M. V. scrive), ha ottenuto la prebenda dell’ab­bazia di San Michele in Monte ma non si preoccupa di curarne gli interessi; M. V. ha in merito già scritto (cfr. ep. n° 436), senza ricevere risposta alcuna; ora la situazione sta precipitando, perché i prodotti dell’abbazia, il vino, la biada, l’orzo, devono essere curati; Giovanni o Pietro provvedano perciò a prendersene cura. /193/ Spectabili viro domino N[icolao] Barbo olim domini Petri. [1] Ut primum accepi abbatiam Sancti Michaelis collatam germano tuo statim scripsi ad te admonens et quid ex officio meo de rebus post mor­tem abbatis repertis factum fuerit et /194/ quid per te faciendum erat. Deinde ut de omnibus instructior fieres copiam inventarum rerum praedictarum fieri ac mitti tibi curavi, quemadmodum cancellario meo scripseras. Tua autem intererat rescribere quandoque (si et litteras meas et copiam predictam rece­peris), vel iterum replicare ut tibi mitteretur. Ego nisi esset amor quem ad fratrem tuum dominum Io[hannem] habeo de abbatia et de rebus praedictis profecto nihil me impedirem nec verbum ulterius facerem ullum quippe quia et dominum Io[hannem] praedictum et te scio prudentissimos recteque intel­ligere quid is rebus facto sit opus. [2] Ceterum ne propter taciturnitatem meam aut frater tuus aut tu damnum cuiuspiam rei patiamini ob reverentiam reverendissimi domini mei cardinalis Sancti Marci harum replicandarum laborem mihi libenter sumpsi, quibus iterum atque iterum te certiorem reddam res praedictas hoc modo pessime se habere. Nam praeter alias iacturas quas fortasse per negli­gentiam subire possit do[minus] Io[hannes], vinum quod nondum est tra­vasatum nec a fece levatum subiacens corruptioni facile amittere poterit, quod tamen non esset bonum. Blada etiam similiter vendenda esset. Animalium quoque ratio videnda. [3] Nunc messis nova instat et maxime ordei, pro quo metiendoab te sibi in ducem optimum] Congratulatoria mg. veniunt ad me villici, molestantes ut provisio fiat et ceterorum eodem modo. Quapropter hortor te, etsi fas est dicere urgeo, ne in re tua seu vestra desides ac negligentes sitis, quin potius alter vestrum huc se transferat vel cui magis vultis honos iniungatis praedictarum rerum gubernandarum et curandarum. [4] Ego enim satis superque curis propriis /195/ occupatus sum et ut liberior essem a temporalibus archiepiscopatum meum locavi aliis, ex quo coniici potest me omnino alienum esse ab alienarum rerum cura, non tamen ita alienum, ut si qua in parte prodesse possim amicis et praesertim tibi ac domino Io[hanni] propter eius virtutes mirificas ex medio cubili nocte si opus esset ad prodessendum, ut ita loquar, non me corriperem extemplo. Paratum interim offerrens me ad omne commodum et ornamen­tum tuum augendum et quantum est in me cumulandum. Hyadrae pridie Kalendas Iunias. 447.(204) Maffeo Vallaresso a Cristoforo Moro Zara, 15 giugno [1462] M. V. scrive al doge Cristoforo Moro, perché un arcidiacono della sua diocesi è giunto a Zara recando lettere pontificali, di cui alcune gli concedono benefici nella stessa città di Zara; tuttavia, poiché sovente alcuni ottengono tali vantaggi raggirando e ingannando l’autorità che promulga i documenti stessi, M. V. chiede al doge di sospendere l’esecutività di dette pontificali, le quali andrebbero a discapito di chierici che già si trovano in condizione economica precaria. /195/ Ad serenissimum dominum, dominum Christoforum Mauro ducem Venetiarum. [1] Ex magna fit clementia vestra ut petentibus et supplicantibus se praebeat gratiosam. Sed accidit hominum improbitate ut quidam abutantur gratia vestra. Hinc est quod nuper Hyadram accedens archidiaconus ecclesiae meae apportavit secum nonnullas litteras sanctissimi domini nostri papae, videlicet unas officii sui collectoriatus et quasdam alias ad lites privatas et ad beneficia in hac civitate obtinenda. Simul etiam litteras ducales excellentiae vestrae directas ad istos magnificos rectores Hyadrae, quibus earum vigore praecipitur ac mandatur ut easdem litteras apostolicas per ipsum archidiaco­num obtentas debitae faciant executioni demandari. [2] Verum quia saepe numero evenit ut nonnulli per falsi suggestionem (sicut optime novit celsitudo vestra) sedem apostolicam circumvenientes easdem litteras iuxta suae voluntatis /196/ studium reportant, quorum tamen executio fieri non debet, nisi prius de earum validitate secundum formam iuris per ordinarium cognoscatur. [3] Quo facto tum demum ipsae litterae apostolicae vel approbantur et executioni mandantur vel suspenduntur, tan­quam tacita veritate et expressa falsitate obtentae aequanimiter pontifex maximus tollerare consuevit, cum ei rationabilis causa pretenditur cur man­datis aut litteris suis oboeditum non fuerit. His itaque se habentibus neque ego de praedictarum litterarum apostolicarum nullitate seu validitate cogno­scere possem litteris ipsis excellentiae vestrae obstantibus neque isti rectores aliter facere possunt quin easdem simul omnes apostolicas litteras aut recte aut perperam per praefatum archidiaconum impetratas vigore litterarum excellentiae vestrae ita precipient[e] debitae faciant executioni mitti. [4] Quae quidem res quantum cederet in magnum dedecus pontificalis dignitatis meae et in damnum multorum pauperum clericorum, quos idem archidiaconus virtute praedictarum litterarum apostolicarum tacita veritate obtentatarum et litterarum serenitatis vestrae beneficiis suis spoliare eorumque possessionem occupare affectat, non sine Dei omnipotentis et hominum offensione nec sine populi et cleri huius murmuratione maxima. [5] Proinde clementiae vestrae humiliter supplico ut praefatas suas lit­teras super executione ceterarum litterarum apostolicarum praeterquam offi­cii collectoriatus quibus nihil opponitur ad praefatos dominos rectores istos directas /197/ revocare ac prorsus annullare dignetur, ac potius eisdem scribere ut me officium meum debita iuris aequitate servata exercere permittant, neque de exequenda voluntate pontificis curam suscipiant, priusquam de iure clarius constet quae sit voluntas eius in praemissis. Nam non puto id esse de mente serenitatis vestrae per suas praenominatas litteras ut alterius iura tollantur aut cuiquam indebite praeiudicium fiat. Valeat celsitudo vestra gra­tiae, cuius me commendo. Hyadrae XV Iunii. 448.(205) Maffeo Vallaresso a Nicolò da Cattaro Zara, 10 luglio 1462 Nicolò da Cattaro, vescovo di Corbavia-Modruš, è stato imprigionato dal suo stesso popolo (cfr. la successiva ep. n° 449, dove è esplicitato che la cattura è stata compiuta da Carlo, fratello di Giovanni conte di Corbavia): il vescovo è parte offesa, ma si ritrova nella condizione di colui che ha offeso, e come se fosse stato lui a commettere la colpa, deve domandarne al pontefice assoluzione; M. V. gli esprime la propria vicinanza, si augura che possa essere presto liberato, restituito alla sua dignità, e che possa avere un altro titolo episcopale, anche creato ex novo; è pronto a proporsi da garante, se ciò potrà essere utile; l’evento può provocare un inasprimento delle relazioni fra il Senato di Venezia e i comites confinanti con le terre veneziane. /197/ Ad reverendum patrem dominum Nicolaum episcopum Modrusiensem.a1 Liber Psalmorum iuxta LXX, 121,1. [1] Litterae paternitatis tuae exulceraverunt mihi dolorem quem iam pri­dem tui captura inflixerat. Quid enim acerbius accipere possem quam vinculis detineri eum virum cuius pontificatum nec Corbaviensis neque Modrusensis meretur provincia? Quid molestius accidere mihi potest quam pontificem de ecclesia Dei benemeritum compedibus barbarorum coherceri, petulantia ovium pastorem invadi, nequitia filiorum patrem optimum opprimi? [2] Duram profecto conditionem proposuerunt ut laesus, a quo lae­sionis culpa expostulari deberet, is potius laedentium in se culpam pecca­tumque recipiat et quasi ipse deliquerit laborare cogatur apud maximum pontificem ut tam indigni facinoris absolutio tribuatur facinoris auctori. Praetereo ceteras conditiones non minus turpes et absurdas ut videlicet absque fideiussione dimittere nolunt et iure iurando. Haec etsi a ra/198/tione longe aliena videantur, hortari tamen possum paternitatem tuam ut aequo animo conditionibus propositis quantum sua interest perficiendis faciat, praestetque fidem primum scilicet conari et laborare ut sanctissimus dominus noster culpam ignoscat, absolutionis beneficium tribuat, titulum episcopatus commutet aut alium de novo creet. [3] Quod ego quoque pro­curaturum me offero ac spondeo, dum interim tua paternitas relaxetur et pristinae libertati restituatur, quemadmodum latius ad magnificum domi­num Io[hannem] scripsi. Illud vero neque dignitati meae convenit neque illustrissimo Venetiarum dominio approbatum iri certe scio, ut me vadem pro tua salute sistam, quod facere, si facere expediret, non dubitarem. Haec enim causa quasi seminarium quoddam maximae dissensionisaa mos] mox ms. pacisque vio­landae inter senatum nostrum et comites istos nostro imperio finitimos esset et sapienti pauca. Ego enim quod ad meum attinet officium nihil praeter­mittam quod tuae saluti tuaeque relaxationi conducibile fore intelligam, nunquam conquiescam donec reverenda paternitas tua pristinae libertatis dignitatisque gradum sibi vendicet. [4] Res ipsa potius quam verbis tuam oppressionem sublevandam esse curae mihi est. Plura in praesentiarum scribere quae dolorem tuum leniant quaeve officium meum insinuent neque tempus postulat neque abitus nuntii properantis patitur. Velim tantum ut illud Plautinum animo tuo succurrat, ut videlicet «in re mala, bono utare animo».1bb me ms1 : add. me s.l. ms2. Dabit nam Deus his quoque finem. Vale in Domino. Ex Hyadra die X Iulii MCCCCLXII. 449.(206) Maffeo Vallaresso a Giovanni di Corbavia Zara, 10 luglio [1462] M. V. scrive a Giovanni di Corbavia, il cui fratello Carlo ha imprigionato Nicolò da Cattaro, ricordando le buone relazioni che sono sempre fra loro intercorse; per il suo rilascio, sono state chieste a Nicolò condizioni pressoché impossibili: di restituire il titolo episcopale di Corbavia; di assicurare ai suoi rapitori l’assoluzione pontificia; di giurare che, una volta liberato, manterrà gli impegni; Giovanni di Corbavia chiede inoltre che M. V. si faccia di ciò mallevadore; ciò tuttavia è impossibile, poiché vietato dal diritto pontificio; M. V., tuttavia, può promettere che il vescovo Nicolò si impegnerà a onorare gli impegni, con animo puro e leale. /199/ Magnifico et potenti domino Iohanni comiti Corbaviensi. [1] Cum et patris mei studium et mea cura semper in promptu sita fuerit non modo ad conservandam verum etiam ad ampliandam mutuam benivolentiam et amicitiam quae nobis cum vestra et genitoris vestri magni­fici iustis de causis intercedit, non puto mihi subdubitandum fore rem iustam et honestam ab homine iusto expetere. Cum igitur de consensu magnificen­tiae vestrae reverendus in Christo pater dominus episcopus Modrusiensis manu potentis domini domini Caroli germani vestri captus et in vincula coniectus detineatur absque aliqua sua culpa, idemque dominus episcopus cupiens se in pristinam vendicare libertatem missionem a vobis flagitaverit, vestrae magnificentiae graves conditiones missionis et pacta quasi impossibi­lia eidem proposuerunt. [2] Primum videlicet ut idem episcopus apud sanctissimum dominum nostrum laboret ut titulus illius episcopatus Corbaviensis restituatur vel pro ea portione introituum quae in vestro dominio est separatum indulgeat epi­scopatui. Deinde ut pro tanto laesionis vestrae peccato vobis absolutionem impertiri procuret, postremo ut idem in libertate constitutus iure iurando praedicta omnia approbet et confirmet. Quae quidem omnia adhuc vellent magnificentiae vestrae mea fide iuramentoque affirmari dictum dominum episcopum inviolabiliter observaturum esse, et in quantum idem pactis prae­dictis adimplendis deficeret, vel ego ipse carcerem subeam in modum vadis, vel ipsum episcopum iudicio et potestati vestrae sistendum obliger. [3] Atque pacta breviter sic respondeo quod, quanvis non dubitem praefatum dominum episcopum virum inviola/200/bilis esse fidei satisfactu­rumque promissis et pactis inter vos intervenientibus, tamen, quia neque ius pontificum permittit huiusmodi conditionibus acquiescere iureiurandoque fidem astipulari, neque dignitati meae id conveniens est neque illustrissimum Venetiarum dominium id approbaret, non video quo pacto aut fide iubere aut vadem me constituere aut iuramento praedicta omnia affirmare queam. Firmiter tamen affirmare ac vestraeac extemplo] ex templo ms. magnificentiae in coscientia promittere valeo quemadmodum per praesentes promitto quod idem dominus episcopus quantum in eius erit possibilitate promissa omnia vobis facta puro animo et sine ulla fraude adimplere curabit. [4] Ego quoque pro virili mea manibus pedibusque enitar ut magnifi­centia vestra apud pontificem maximum praedicta omnia vel saltem maiorem eorum partem consequatur. Quare hortor eandem ac suadeo ut pro suo honore quem ego carum habeo hunc praelatum iam relaxare ac libertati suae reddere studeat, si et sanctissimo domino nostro et illustrissimo Venetorum dominio rem gratissimam et mihi beneficium sempiternum facere cupit. [5] Non enim cedit ad honorem vestrum ut pontificali dignitate viri praediti violentia dominii nostri oppressa teneantur in vinculis et carcere. Quod in Turchis perfidis ceterisque inimicis Christi reprobare concedimus, nedum in Christianis principibus vituperare et abominari. Pluribus verbis hanc rem iustam et rationi conso/201/nam a vestra magnificentia petendum esse non censeo, fretus vestra religione ac humanitate cuius officium semper fuit cum bonis bene agere. Valeat vestra magnificentia cuius beneplacitis me offero atque dedo. Ex Hyadra X Iulii. 450.(207) Maffeo Vallaresso a Giovanni di Sebenico Zara 10 luglio [1462] M. V. ringrazia il presbitero Giovanni di Sebenico per aver salvaguardato la sua autorità messa in grave pericolo e per aver annullato un sequestro disposto incautamente da alcuni giudici; Giovanni ha modi che sono propri non della nazione slava, ma di quella veneta. /201/ Ad presbyterum Iohannem Sibenicensem. Quantae curae tibi fuerit ut honor dignitatis meae sublevaretur, quem hominum improbitas de gradu suo deturbare conabatur, et sequestrum illud iudicum assertorum incauta et intemperanti persuasione emanatum aboleretur et vicarii mei et cancellarii, quos hanc ob causam istuc loci mise­ram, vivae vocis oraculo admonitus sum, neque te aliter facturum sperabam in causa honoris mei, quam me ipsum in causis concernentibus commo­dum et ornamentum tuum sperare certo potes ac debes. Tua nam genitura ingentia, tua educatio tuique optimi mores Latinitatem sapiunt Venetam, non barbariem Sclavonicam proindeque merito debes adduci ad tuendas partes meas, quae nisi honestatem ac iustitiam comitem haberent quanti­scumque amicorum auxiliis iuvarentur Deo volente tandem eruerent. Quod igitur fecisti, et quod facturus es, summa laude non vacat. Haec mihi nunc intelligere satis est. Si quando tempus inferendae gratiae advenerit memi­nisse officii tui satius erit. Plura scribere non est opus, vale in Domino et me ut facis dilige. Hyadrae X Iulii. 451.(460) Maffeo Vallaresso a Stefano, arciprete di Sebenico Zara, 10 luglio 1462 Stefano, arcipresbitero di Sebenico, è stato eletto giudice nella causa sollevata contro M. V. dal suo arcipresbitero Francesco (cfr. ep. n° 412 e n° 427); M. V. si augura che giustizia sia fatta; per quanto riguarda l’ordine di sequestro ai danni della chiesa di M. V., esso è stato comandato da Stefano evidentemente per ignoranza dei fatti, e dovrà essere rapidamente corretto secondo giustizia ed equità; M. V. raccomanda a Stefano di vigilare sulla causa in oggetto. /521/ Ad presbyterum Stephanum archipresbyterum Sibenicensem. Quamprimum didici causam litis iniustae quam intemptare mihi conatur presbyter F[ranciscus] archidiaconus meus vobis a sede apostoli­cam delegatam fuisse sane gavisus sum sperans, mediante iusto iudicio vestro, et illius hominis improbitatem et meam integritatem cunctis mor­talibus palam futurum iri. Quanquam autem sequestrum illud per vos intempestive factum et indebite neque officio vestro congruebat neque mihi et ecclesiae meae condecebat, quia tamen ad credendum induci nequeo illud ex mente vestra dolo aliquo processisse non ingratum mihi fuit vos habita meliori informatione errorem incaute admissum cito ac prudentissime emendare corrigereque studuisse. Quod etsi ex debito iuris et aequitatis feceritis, ego tamen beneficii loco id reputans habeo vobis non immeritas /522/ gratias. Non enim puto cuiquam sufficere in iure ac iustitia vallatum esse, nisi propugnatorem habeat iudicem qui ab iniuria defendat et ipsius iustitiae fines tueatur. Bene valete et causam praedictam, postquam iudices eritis rite legitimati quo ad expeditionem iustitiae, com­mendatam habetote. Datum Hyadrae, die X mensis Iulii MCCCCLXII. 452.(461) Maffeo Vallaresso a Pietro Giovanni, canonico di Sebenico Zara, 10 luglio 1462 M. V. chiede a Pietro Giovanni, canonico di Sebenico, di riservare una camera nell’episcopio a favore del suo vicario e procuratore Filippo Maria e del suo segretario; essi giungono a Sebenico per difendere M. V. in una causa che al destinatario è ben nota. /522/ Ad presbyterum Petrum Iohannis canonicum Sibenicensem. Singulares tuae virtutes et meus erga te amor faciunt ut, quod vel mihi vel meis commodo futurum video, audacter abs te petendum non dubito. Quia enim eximium decretorum doctorem dominum Philippum Mariam, vicarium et procuratorem meum, missurus sum Sibenicum pro defendenda quadam causa mea coram assertis iudicibus delegatis, si fieri potest, ut idem vicarius et cancellarius meus habeant aliquam cameram in episcopatu Sibenicensi, id erit mihi gratissimum, nemini incommodum, ipsi autem vica­rio meo aptissimum atque utile. Et quod palatium dicti episcopatus in pote­state tua est, velis concedere unam ex dictis cameris eiusque clavem consignari cures presbytero Iohanni, in quantum ex civitate alio loci concederes. Causam vero pro qua dictum vicarium et cancellarium meos istuc /523/ mittam, puto tibi notissimam, quam neque tibi neque cuiquam amicorum commendare curavi, praeterquam ad expeditionem iuris et iustitiae, sic et in quantum dicti iudices asserti erunt legitimati, quod minime pluribus de causis fore spero. Tu interim vale. Ex Hyadra, die X mensis Iulii MCCCCLXII. 453.(273) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 31 luglio 1462 M. V. chiede a Pietro Barbo di intervenire presso il vescovo di Torcello, il quale ha il compito di definire e risolvere la sua vertenza con l’arcidiacono di Zara, concernente la giurisdizione della fabbrica della cattedrale (cfr. epistole n° 322, § 7-8 e n° 374) [1-2]; M. V. dà inoltre notizia dell’eredità di Natale vescovo di Nona (cfr. ep. n° 464): argenteria e suppellettile, che erano di poco valore, sono state divise in tre parti, come comandato dal papa; due parti hanno ricevuto i parenti, che erano creditori nei confronti del defunto, una terza parte, convertita in denaro liquido, sarà inviata al pontefice in settembre per tramite di agenti di banca [3]. /276/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Reverendissime pater et domine et cetera. Nisi putassem reveren­dissimae dominationi vestrae molestus esse causam litis quae vertitur inter archidiaconum meum et me super officio procurationis /277/ fabricae archiepiscopatus Hyadrensis cognoscendam eidem reverendissimae domi­nationi vestrae committi curavissem. [2] Sed cum non me lateant diversae curae et occupationes quibus premitur ipsa dominatio vestra, id onus in alium reieci, videlicet in reverendum patrem episcopum Torcellanum, humiliter tamen supplicans clementissimae dominationi vestrae ut et prae­senti nuntio meo, quem in curiam gratia dictae causae commitendae misi, favores necessarios et opportunos impertiri et praefatum dominum Torcellanum adhortari ac praeparare ad id onus subeundum debitoque fine terminandum dignetur iustitia mediante. Statum litis describere superflu­um duxi, cum idem nuntius eius explicandi satis edoctus sit. Intelliget enim reverendissima dominatio vestra me iurisdictionem pontificalem non immerito iustis defendere modis, ipsum verum archidiaconum causam intentasse iniustissimam. [3] Super facto bonorum olim domini episcopi Nonensis, nondum res ad finem deducta est optatum. Nam praeter argentalias eius mediocres, cete­ra supellex parvi erat pretii. Quae quidem argentariae trifariam divisae sunt iuxta brevis tenorem sanctissimi domini nostri, quas receperunt in se pro­pinqui et consanguinei, eius creditores multarum pecuniarum, deducta primum tertia parte pro eodem sanctissimo domino nostro, quae adhuc in manibus meis est, quam in pecunias redactam, exacta port/278/ione debito­rum (quibus datus est terminus ad solvendum) mense Septembri Domino concedente per vias bancheriorum Romam transmittam. Aliud scribendum non occurrit nisi meam parvitatem reverendissimae dominationi vestrae humiliter commendare. Datum Hyadrae die ultimo Iulii MCCCCLXII. 454.(462) Maffeo Vallaresso a Domenico Dominici Zara, 31 luglio 1462 Per indurre Domenico Dominici, vescovo di Torcello, ad ascoltare quali siano i termini della controvesia intercorrente tra l’arcidiacono di Zara da una parte e M. V. dall’altra, non sarà inutile ricordare al Dominici gli antichi legami di amicizia; tuttavia, poiché l’animo del saggio è mosso piuttosto dalla giustizia che non dalla retorica delle parole, sarà bene venire subito al centro della questione [1]; nella gestione della quarta parte delle risorse spettanti alla cura degli edifici dell’archiepiscopato, si è sempre usata la regola che gli amministratori fossero eletti dall’ar­civescovo, né mai gli arcidiaconi hanno deciso di tale ufficio [2]; l’attuale arcidiacono, che ha ottenuto la carica non per merito suo, ma per rinuncia (resignatio) del vecchio e senescente pre­decessore, è talmente insolente da voler esercitare tale ufficio nonostante l’opposizione di M. V., dicendo che esso gli spetta di diritto; egli ha persino chiamato in causa M. V., e i giudici, senza conoscere nulla della vicenda e senza neppure essere stati confermati nel loro ufficio, hanno sen­tenziato contro M. V., togliendoli la parte quarta della decima [3]; il procuratore di M. V. ha pertanto chiesto di presentare le eccezioni, e, avendole presentate nei termini stabiliti, ha ricusato i giudici con motivate ragioni; i giudici hanno respinto la ricusa, affermando di essere competenti; pertanto, al fine di poter procedere in tale appello, M. V. ha inviato in curia il suo cappellano M[artino] (lo scioglimento del nome, indicato con la sola iniziale M., è plausibile in considera­zione della ep. n° 419 e n° 421), il quale presenterà la vertenza al Dominici; [4]; questi potrà ben comprendere che l’arcidiacono ha intentato a M. V. una causa ingiusta, e che M. V., invece, è dalla parte del diritto, così come definito dalle costituzioni ecclesiastice, dal privilegio pontificio, dalle lettere ducali, e che da tale buon diritto non dev’essere in nessun modo scalzato; la causa è delegata ora all’autorità del Dominici, ed è necessario siano citati in giudizio sia quei giudici iniqui, sia la parte principale in causa; e se la disciplina è stata alterata da detti giudici, è necessario annullare il provvedimento, ripristinando il buon diritto [5]. /523/ Ad reverendum dominum Dominicum episcopum Torcellanum. [1] Ad exorandam dominationem vestram ut onus cognoscendae cuiusdam causae vertentis inter archidiaconum meumad est profecto res minima] Gratulor sibi quod munus advocatorum obierit mg. ex una et me ac eccle­siasticam iurisdictionem spectantem ad dignitatem meam parte ex altera dignetur assumere, antiquam commemorare benivolentiam (quae non solum mihi a teneris unguiculis cum dominatione vestra verum etiam maioribus nostris iustis de causis intercedit) fortassis non esset inutile. Nam veteris recordatio consuetudinis multum valet ad movendum affectum. Verum, quia sapientis animus (qui tanquam ex trutina iusti ac honesti dependet) rei potius aequitate inducitur ad praestandum officium quam lenocinio et blandimentis verborum – in quibus ingerendis qui diligentiores inveniuntur eloquentiores hoc tempore prudentioresque in vulgo existimantur –, praetermissis ambagi­bus ad causam ipsam ve/524/niam in qua haec insunt.aa metiendo corr. : mettendo ms. [2] Quia ego et praedecessores mei a quinquaginta fere annis sumus in iurisdictione administrandae quartae partis denariorum ad fabricam archiepi­scopatus mei spectantium semperque observatum enim constat ut procurato­res dictae fabricae per archiepiscopos, qui per tempora fuerunt, eligerentur, licet autem fuerint plures archidiaconi per praedecessores meos ad munus dictae procurationis administratum tamque magis idonei per tempora electi, non tamen ipsi archidiaconi per electiones huismodi praedictum officium videntur praescripsisse, quod in arbitrio praedecessorum meorum dicta electio fuit, quia non tantum archidiaconi, verum etiam et archipresbiteri et alii cano­nici magis aptiores electi fuissent et dictum exercuisse officium noscuntur. [3] Nunc archidiaconus meus hodiernus, qui neque disciplina ecclesisatica,ba Hic legens noli hanc epistolam praeterire quia digna et elegans est mg. neque litterarum competenti peritia, neque ulla virtute huma­na, sed potius per resignationem sibi factam per veterem archidiaconum (hominem sicut multo confectum aevo, ita sensu captum) archidiaconi dignitatem adeptus est, instigatus a quibusdam laicis barbaris eisdem ponti­ficalium virorum adversariis, ad tantam pervenit insolentiam, ut me invito procuratorium dictae fabricae exercere conetur, asserens id officio suo ex /525/ consuetudine competere. Ob quam rem etiam nuper in ius me vocavit coram assertis iudicibus a sede apostolica delegatis, qui quidem iudices antequam me audirent, antequam eorum personae legitimarentur, ante litis exordium et ante causae cognitionem, principium sumpserunt ab iniuria, facientes me primo citari simulque de manibus meis tolli dictam quartam decimarum et sequestrari contra iuris formam, dantes mandata laicis et auctoritatem excom­municandi, cum inferior a papa id minime nequeat. [4] Comparenti igitur vicario et procuratori meo coram ipsis et petenti sibi dari terminum ad producendas exceptiones contra formam rescripti et contra personas in iudicio intervenientes terminum statuerunt. Et cum idem procurator meus in termino sibi dato produxisset legitimas exceptiones recu­sando eorum iudicium, quod multis de causis suspecti et infames, prout ipse procurator meus probaturum coram arbitris erigendi offerebat, ipsi tamen asserti iudices in facto et in causa propria iudicantes interloquendo pronun­tiaverunt exceptiones praedictas esse nugatorias et se iudices esse competen­tes. A qua interloquutoria per procuratorem meum legitime extitit appella­tum cum /526/ protestatione et cetera. Pro qua nimirum appellatione prosequenda praesentem nuntium presbyterum M[artinum] capellanum meum, in curiam ad vestram reverendam dominationem misi cum mandato ut causam praedictam committi curet iudicio et examini eiusdem dominatio­nis vestrae. Cuius integritate et sapientia singulari confisus, spero me iustitiae praesidium consequuturum. [5] Videbit enim dominatio vestra dictum archidiaconum in rescripto suo falsa pro veris subiecisse iniustamque causam intemptare, me vero quan­tum patet ex antiqua consuetudine et constitutionibus ecclesiasticis ex privi­legio summi pontificis, ex litteris ducalibus in optimo iure et in solida iuri­sdictione pontificali ita consistere, ut nullo impetu de gradu deturbari debeam. Iura vero mea in praesentiarum non sunt dicenda, sed tunc potius declaranda coram vestra reverenda dominatione citata altera parte. In termi­no enim competenti aderit dominus Ia[cobus] frater meus et fortasse etiam vicarium meum istuc mittam, si erit opus. Nunc, praefata causa dominationi vestrae delegata, tam ipsos iudices ob eorum iniustitiam quam principalem partem in ius coram officio vestro personaliter citari opus est, fiantque litterae citatoriae in debita forma cum clausula quod interim circa dictam quartam decimarum nihil innovetur. Et si quid per dictos iudices innovatum esset annihiletur et in pristinum statum revocetur et cum aliis /527/ clausulis neces­sariis et opportunis. Haec pro informanda dominatione vestra breviter scripta sufficiant. Cetera nuntius ipse coram diffusius explicabit. Valete. Datum Hydrae, die ultimo Iulii MCCCCLXII. 455.(463) Maffeo Vallaresso a Urbano Vignati Zara, 31 luglio 1462 M. V. scrive a Urbano Vignati, vescovo di Sebenico, dove si trova il vicario di M. V., onde difendere la causa mossa dall’arcidiacono di Zara contro M. V. stesso; questi ha sospeso la causa fino all’arrivo a Sebenico di Urbano stesso [1]; Urbano chiede a M. V. notizie di come si sia svolta la controversia: M. V. spiega che i giudici, senza nemmeno ascoltarlo, hanno stabilito di sequestrare la quarta parte delle decime spettanti alla fabbrica dell’arivescovado; essendo oltremodo allarmato, M. V. ha inviato il suo vicario, perché provvedesse a far revocare il sequestro, a presentare le ecce­zioni nei tempi concessi contro gli stessi giudici; i quali però non hanno ammesso tali eccezioni, temendo che fosse per loro dannoso [2]; sapendo che da giudici oriundi della Dalmazia non avrebbe mai potuto attendersi una equa sentenza, ha sperato di poter commettere la causa alla curia, e in particolare a Urbano; ma ha saputo che Urbano è in procinto di tornare a Sebenico, per la qual cos ha affidato la causa al vescovo di Torcello [3]; da quanto ha saputo dal vicario, nessuno dei chierici di Sebenico ha favorito M. V., se non un presbitero P. e Giovanni da Venezia, che si è battuto strenuamente a suo favore; gli altri lo hanno invece avversato, persuasi dall’arcidiacono e da Paolo de Georgi, antico nemico di M. V., con il quale sono alleati tutti i nobili di Sebenico [4]; l’abate si è ritratto dalla controversia e si è riconciliato con il padre di M. V., il quale a sua volta è dispostissimo a riconciliarsi con l’abate, purché questi gli si riconosca sottomesso [5]. /527/ Ad reverendum dominum Urbanum episcopum Sibenicensem. [1] Gaudeo si quid feci aut facio quod cedat ad ecclesiae ac subditorum reverendae paternitatis vestrae commodum, idque gratum esse eidem vestrae paternitati magis ac magis gaudeo, quanquam in causa presbyteri M[artini] neque per me neque per vicarium meum abfuit quin fieret voluntas vestra. Existenti quidem vicario meo Sibenici pro defendenda causa per archidiaco­num meum coram improbissimis iudicibus illis assertis, acceptas litteras eiusdem paternitatis vestrae misi per ipsum presbyterum M[artinum] Sibenicensem subdelegando eidem vicario auctoritatem mihi a vestra parte traditam. Qui quidem vicarius, auditis iuribus utriusque partis et maxime alterius partis dicti presbyteri M[artini] adversariae, dicentis et allegantis quod, cum dicta causa per ipsum presbyterum ad sedem apostolicam fuerit appellata, vestra paternitas eam suspendere in praeiudicium alterius contro­partis non debuit neque potuit, nihilhominus ob reverentiam paternitatis vestrae contentus erat ut usque ad eventum vestrum suspenderetur, idemque vicarius ita fiendum statuerat et quod interim testes dicti presbyteri examina­rentur et quod /528/ etiam utraque pars obligaret se stare iudicio vestro, quod tamen presbyter recusaret, vicarius aliter facere non potuit quam utranque partem in pristinum statum reducere, prout fecit, relinquens etiam in arbitrio cancellarii vestri sententiam in publicam formam exhibere, cum per antea id sibi prohibuerat, ne exhiberet adusque reditum, ut praedixi, vestrum. [2] Et quia iubet eadem reverenda paternitas vestra ut de rebus quae Hyadrae geruntur eandem certiorem reddam, coram iudicibus assertis causa nostra sic acta est. Nam statim praesentato eis rescriptoaa dissensionis corr. : discensionis ms. antequam me audirent, antequam lis esset incohata, ante causae cognitionem de facto sequestrari fecerunt quartam partem decimarum ad fabricam archiepiscopa­tus mei spectantium in manibus civium ad decimas obligatorum, dantes auctoritatem laicis excommunicandi, quod inferior a papa committere non potest de iure. Cognito igitur per me quod isti nequissimi iudices pessimum hoc iudicium ab iniuria inceperunt, faciendo ut praedixi tolli e manibus meis administrationem dictae quartae partis, tanto tempore possessam per praede­cessores meos, quid aliud sperare debui quam exitum dictae litis pessimum ac iniustissimum futurum? Eamque ob causam misi praefatum vicarium meum, ut dictum sequestrum indebite factum revocari curaret, denique in /529/ ter­mino sibi dato produceret exceptiones contra formam rescripti et contra personas ipsorum iudicum, recusando eorum examen, pluribus de causis in dictis exceptionibus meis contentis, prout fecit allegando ipsos esse suspectos et archidiaconum infamem et c[etera], idem vicarius praedicta omnia se pro­baturum offerens. Qui iudices neque exceptiones huiusmodi non admiserunt ne coram arbitris eligendis super eorum fama agitaretur cum dedecore eorum. Ac sic interloquendo pronunciaverunt se iudices competentes et qua interlo­quutoria per dictum vicarium legitime extitit appellatum. [3] Cupiensque ego huiusmodi causam in curia cuipiam ex nostris prae­latis committi facere, cum Dalmaticis hominibus hostibus infensis tuto com­mitti nequeat, optabam reverendae paternitati vestrae id onus imponi curare, quod facere non licuit, quia diversis ferebatur rumoribus eandem paternitatem vestram prope diem curia recessuram Sibenicumque reversuram. Ideoque prae­senti nuntio presbytero Martino in mandatis dedi ut hanc eandem cau­sam reverendo domino Dominico episcopo Torcellano committi per sanctum dominum nostrum curet, obsecrans eandem ut quamdiu ibi in curia fuerit, et praesenti nuntio favorem opportunum elargiri, et ipsum iudicem aedifcare ac instruere dignetur in statu litis praedictae, honoremque digni/530/tatis meae ita tueatur, quemadmodum ego pro eadem facere non dubitarem. [4] Quantum autem didici ex ore docti vicarii, nullus clericorum vestrorum fuit qui causae nostrae faveret, excepto domino presbytero P. et presbytero Iohanne de Venetiis, qui supra omnes strenue se et amice gessit, ceteri autem palam aut occulte adversabantur, persuasi ab archidiacono et Paulo de Georgiis nobili Hyadrensi, nostro antiquo hosti, et in dicta causa archidiaconi advocato, cui omnes nobiles Sibenicenses adhaerebant, praeter paucos bonos, ut ex praesenti nuntio intelligere poteritis, qui rei aequitate movebantur et a statu rationis non discedebant. De his satis. [5] In facto abbatis hoc secutum est. Nam ipse abbas,a1 illud Plautinum ~ utare animo] cfr. Plaut. Capt., 202: «in re mala, animo si bono utere, adiuvat». videns nihil se proficere, tandem liti cessit, inclinavit se et submisit cervicem magnifico domino genitori meo, cuius pristinam gratiam et amicitiam sibi conciliavit.ba ac vestrae] ac ac vestrae ms. Ego quoque paratissimus sum eundem abbatem recto animo complecti et inter caros habere, si modo ipse recta ingressus via adversus me subditi offi­cio fungi constituerit. De rebus olim domini p. nihil aliud de novo secutum est. Ego enim ut institui nomine ecclesiae dicta bona apprehendi teneoque, ex quibus primo /531/ institui in ecclesia mea unam mansionariam perpe­tuam pro anima dicti defuncti. Dedita multa persolvere pergo. Super por­tione vero quae debetur ecclesiae vestrae et super debito quod debet reveren­da paternitas vestra, prout apparet ex scriptis, quando ad nos redibitis fiet tantum quantum eadem vestra paternitas voluerit, quam et videre cupio et valere feliciter desidero. Datum Hyadrae, die ultimo mensis Iulii MCCCCLXII. 456.(464) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 31 luglio [1462] M. V. nulla può presso la curia se non grazie all’aiuto fornitogli da Andrea Conti, cui anche adesso si rivolgere in occasione della controversia con il suo arcidiacono; questi pretende di essere amministratore della fabbrica dell’arcivescovado, pur essendo M. V. contrario; la controversia è stata affidata ad alcuni giudici iniqui, perciò M. V. ha ritenuto di doverla terminare presso la curia, ponendola nelle mani del vescovo di Torcello; Andrea Conti assista il presbitero Martino, cappellano di M. V., il quale dovrà provvedere alla controversia, affinché siano citati i giudici e la parte principale in causa. /531/ Ad egregium doctorem dominum Andream de Comitibus. Excrucior miris modis quod amicitia tibi mea plus cedere videtur ad onus quam ad iocunditatem. Nihil enim mihi est in curia confitiendum, ubi tu pro me non afficiaris negotio et labore, cuius rei si me culpandum putas parte tantae facilitati tuae, cohibe tuam humanitatem ne tantopere defluat. Unde paratur mihi tui defatigandi quam par est animus maior. Cum igitur vertatur controversia quaedam inter archidiaconum meum et me super offi­cio procurationis, qui me invito procuratorem fabricae archiepiscopatus mei se vellet constitui, eiusdem controversiae cognitio commissa fuit quorundam improborum iudicum examini, qui statim ab iniuria incohaverunt, a quibus legitime /532/ (ut videbis) appellatum extitit. Causam praedictam duxi com­mittendam ac terminandam in curia per reverendum dominum Torcellanum. Quare praesentem nuntium presbyterum M[artinum], capellanum meum, ad tuam dignationem misi ut, tuo adiutus consilio praesidioque, commissio­nem huiusmodi ibidem committi curet iuxta modum et formam sibi datam et ut citentur personaliter tam ipsi iudices, qui perperam processisse noscun­tur, quam principalis pars cum clausulis debitis et cetera. Interim vero domi­nus Ia[cobus] aderit ibi, et fortasse etiam vicarium meum pro defendenda iurisdictione pontificali, si erit opus, mittam. Statum litis explicabit nuntius quem iuvare et expedire in agendis praedictis mei amore non negligas. Vale in Domino, et me ut facis ama vel saltem dilige. Hyadrae, die ultimo Iuli. 457.(465) Maffeo Vallaresso a N. de Luca, segretario del cardinal Calandrini Zara, 1 agosto 1462 M. V. scrive al segretario di Filippo Calandrini, N. de Luca (potrebbe trattarsi forse di Nicola Sandonnini da Lucca, che fu decretorum doctor, e che poco dopo sarebbe diventato segretario di Paolo II, cioè Pietro Barbo); M. V. non lo ha personalmente conosciuto, e tuttavia gli è grato perché sa di avere ricevuto in altre occasioni il suo favore; gli si rivolge ora perché assista il suo cappellano e segretario, che è giunto in curia per curare la procedura di appello contro l’arcidiacono. /532/ Venerabili domino N. de Luca reverendissimi domini cardinalis Bononiensis secretario. Etsi neque te si recte memini coram viderim unquamaa vertentis inter archidiaconum meum] Bonum principium et *** propositum mg. neque quicquam ad te litterarum dederim, ob eadem tamen studia humanitatis pontificiique iuris quibus et ipse capior teneorque obque mirificam comitatem ac probitatem tuam, de qua non vulgares ad nos usque rumores proferuntur, dilexi te tantum. Nunc pro tuae opis /533/ atque opereaa in qua haec insunt] Narratio differentiae mg. oblatione proque officii tui liberali pol­licitatione, quae ultro ex te mihi profecta est ad meque delata per praesentem nuntium non sine iussu tuo maiore in modum te amari a me sentio tuamque amicitiam complector et magnifacio et, ut me totum tuo arbitrio patere cupio, et in promptu esse volo, ita te in causis meis utar familiarissime. Nam cum per ingenium et disciplinam tuam verbo atque opere plurimum in curia apud omnes proceres et apud reverendissimum dominum Bononiensem omnia vale­as in causis quae tangunt honorem dignitatis meae, si verbum impenderis tem­pestive proderit eritque mihi beneficii loco plurisque mihi habebitur quam tibi constiterit. Nunc nuntium capellanum meum, tuae dignationi non ignotum, in curiam misi ad prosequendam quandam appellationem per me factam in causa mihi per archidiaconum meum tam improbe quam inepte intentata. Eidem nuntio expetenti officium et adminiculum tuum mei contemplatione adesto tibique propterea me habeto obnoxium. Vale et reverendissimo domino meo quantum potes, potes autem plurimum, me commenda. Ex Hyadra, Kalendis Augusti MCCCCLXII. 458.(466) Maffeo Vallaresso ad Alvise Rosa Zara, 8 agosto [1462] M. V. scrive ad Alvise Rosa (cui già aveva scritto per la morte di Natale, vescovo di Nona: cfr. ep. n° 429), il quale gli ha a sua volta scritto; Alvise ha raccomandato M. V. al doge, gli ha inviato alcune penne (calamos), che sono per M. V. preziose, e una lettera ducale, che il medesimo M. V. presenterà al conte di Nona; M. V. esorta Alvise a venire personalmente a Nona, per provvedere direttamente ai suoi interessi. /533/ Circumspecto viro Alovisio Rosa. Sospitem te patrias attigisse pedes ut indicabant /534/ litterae tuae scitu mihi gratissimum fuit habeoque tibi non mediocres gratias tam pro commen­dationibus illustrissimo principi nomine meo factis quam pro salutationibus fiendis ceteris amicis. Calamos tuos accepi, quibus nihil mihi per hoc tempus acceptius esse potuit. Litteras ducales per te obtentas in optima forma curabo praesentari facere domino comiti Nonensi, quanquam iudicio meo nihil propterea proficiemus nisi tua praesentia huc adsit. Itaque, si cupis rem tuam debito modo succedere, surripe officio tuo unius mensis tempus et adesto negotio tuo, nec ponas spem in familiaribus aut in presbytero Ia. experto crede. Ego interim non cessabo procurare et serenissimi domini nostri et vestra commoda quoad potero. Bene vale et me tibi deditissimum habeto. Comitiorum etiam per superiores dies habitorum officia per te accuratissime descripta vidi, quae summopere placuerunt. Ex Hyadra, die VIIII Augusti. 459.(208) Maffeo Vallaresso a Pietro Giustiniani Zara, 9 agosto [1462] Pietro Giustiniani, arcivescovo di Corfù, è riuscito a mediare una conciliazione fra il padre di M. V. e l’abate di San Crisogono; perciò lo stesso M. V. intende non solo ripristinare le sue relazioni con l’abate, ma anche conservarle e consolidarle; Pietro gli chiede un copricapo in prestito, M. V. gli invia in dono quello fra i suoi copricapi i cui colori ritiene meglio si adattino al vescovo. /202/ Ad reverendissimum patrem dominum Petrum archiepiscopum Corphiensem. [1] Quanta diligentia vestra reverendissima paternitas usa fuerit in reconciliando patri meo domino abbate Sancti Grisogoni et ex aliis audive­ram et nuper litteris eiusdem paternitatis vestrae diffusius admonitus sum. Ego vero, quamquam nihil prorsus dubitaram causam iustissimae defensionis magnifici patris mei recte processuram, quod tamen per mediatricem domi­nationem vestram obmisso iudiciorum discrimine ad reconciliationem mutuamque benivolentiam ventum sit ab eis, laudo summopere viri boni officium quo functa est paternitas vestra, cuius contemplatione ego quoque pro virili mea curabo enitarque renovatam gratiam cum eodem domino abbate conservare et augere. [2] Et quod paternitas vestra petit unum ex capuzinis meis pro forma mutuo restituendum, moleste tuli hanc restitutionem, quasi neque vobis confidenter sine mutuo petere liceat neque mihi fas sit sine spe restitutionis multo maiora tribuere. Sed haec in aliud tempus dicutienda relinquo. Capuzinos equidem habeo complures, nullum tamen quo ad colorem domi­nationi vestrae gratiorem iudicavi quam hunc ipsum quem dono eidem mitto, qui, licet sit parvi pretii, est tamen coloris subnigri, quali paternitas vestra utitur extra. Misissem certe potius alium paonatium clarum, nisi dubi­tassem vobis aspernandum. Siquid aliud penes me quod cedat ad voluptatem dominationis vestrae, id arbitrio vestro libere patere cupio. Hyadrae VIIII Augusti. 460.(467) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bondumier Zara, 16 agosto 1462 Il patriarca di Venezia, Andrea Bondumier, ha scritto a M. V. per complimentarsi dell’accordo intercorso con l’abate di San Crisogono; M. V. risponde al patriarca, specificando che l’abate ha deciso di riconciliarsi con il padre di M. V., dopo avergli ingiustamente intentato causa; lo stesso M. V., per il rispetto dovuto a suo padre, ha umanamente riabbracciato l’abate, e gli resterà amico finché quello lo vorrà [1]; il patriarca avverte M. V. di aver assolto dalla scomunica la madre (dell’abate) e gli altri monaci; ma l’abate, sua madre e gli altri monaci sono scomunicati a iure e non possono essere assolti se non dal pontefice, e anche ammesso che così non fosse, essi sono tuttavia sudditi di M. V., dunque il patriarca non poteva assolverli senza consenso di M. V., il quale invia, allegata alla presente, la documentazione a difesa della sua propria ragione: chiede al patriarca di prenderne visione e di rispondere in merito [2]. /534/ Ad reverendissimum dominum Andream Bondimerio patriarcham Venetiarum. [1] Ex magna humanitate reverendae dominationis vestrae procedere videtur quod ea congratulandum duxerat mihi, ex eo maxime quod dominus abbas Sancti Grisogoniab Nunc archidiaconus meus hodiernus qui neque disciplina ecclesisatica] Nota archidiaconi insufficentiam mg. significaverit sibi nescio quid concordium ex parte ipsius abbatis mecum esse secutum. De quo quidem concordio inter nos habito nihil profecto /535/ scio cum bellum nulli praecesserit. Sed, cum ipse malorum hominum ductus consilio iniustam quandam contra dominum genitorem meum causam et litem intentavisset (in qua eumaa Nam statim praesentato eis rescripto] Narro paucis processum iniquorum iudicum mg. proficere se nihil posse intellexisset), cedens tandem iuribus suis tanquam paenitentia ductus, errati sui veniam petere studuit ab eodem domino genitore meo, cum quo etiam reconciliationis gratiam iniit. Aliud concordium secutum est nullum. Ego quoque eundem abbatem ob reverentiam domini genitoris supradictiba Nam ipse abbas] Abbas tandem inclinavit cervicem mg. complexus sum humaniter, erga quem officio sum et amicissimum me exhi­bebo tandiu quamdiu ipsemet voluerit et ultra. [2] Quod autem reverenda dominatio vestra testimonium faciat de absolutione genitricis suaecb conciliavit] consiliavit ms. ac illorum monachorum, quos omnes ad caute­lam dicitis absolvisse vel iussisse absolvi, in toto corpore iuris invenire non potui rationem quare dominatio vestra praedictos duxerit absolvendos, cum tam ipse abbas quam eius mater necnon dicti monachi ministri et execuuto­res illius facinoris sint excommunicati a iure et nequeunt absolvi ab alio quam a maximo pontifice, cum sit casus papalis. Et posito quod non esset casus papalis, adhuc per reverendam dominationem vestram absolvi non potuerunt nec debuerunt sine voluntate et licentia mea, cum sint subditi mei. Allegationes pro argume/536/nto meo factas his inclusas videbit eadem domination vestra, ad quas ut respondeatur mihi oro et obsecro. Valeat reverendissima domina­tio vestra cui me commendo. Ex Hyadra, die XVI mensis Augusti MCCCCLXII. 461.(468) Maffeo Vallaresso a Egidio da Carpi Zara, 25 agosto [1462] M. V. scrive a Egidio da Carpi, vescovo di Rimini, al quale non ha mai risposto per motivi diversi da quelli che lo stesso Egidio può immaginare; M. V. è rimasto a Zara, ha ricevuto la sua lettera, e ben ricorda la amicizia di lui; ma da un anno è gravato da preoccupazioni, tanto da non poter respirare, e in più da non poter nemmeno applicarsi alla scrittura di una lettera con cui rinsaldare l’amicizia; perciò ha ritenuto meglio fare, compiere e portare a termine ciò che era utile e che avrebbe conseguito o un alleviamento, ovvero una soluzione di dette preoc­cupazioni; ha inoltre ritenuto che lo stesso Egidio avrebbe preferito che M. V. assolvesse il debito d’amicizia nei confronti del nipote M. [1]; a questi, nonostante il periodo difficile, è stata data in uso la casa di M. V. nel modo più familiare, come lo stesso nipote potrà riferire ad Egidio; M. V. ha infatti saldo nell’animo il debito che lo lega ad Egidio, e che non sa quando mai potrà estinguere [2]. /536/ Ad reverendum patrem dominum Egidium episcopum Ariminensem. [1] Diuturni silentii quo videor usus adversum reverendam paternita­tem tuam,aa Etsi neque te si recte memini coram viderim unquam] Bona est epistola mg. non respondendoba opere ms : fortasse operis corrigendum. hactenus litteris eius, aliam quam credit pater­nitas tua causam adducam. Nam neque abfui Hyadra hoc biennio, neque non redditae mihi fuerunt eius litterae, neque recordatio veteris amicitiae a me neglecta fuit unquam. Sed, cum gravibus causarum curis ab anno citra pressus fuerim, adeo quod respirare vix potui nedum non applicare animum cum labore ad scribendas litteras (per quas vel novam inire cum eadem reve­renda paternitate tua gratiam, vel antiquam confirmare viderer benivolen­tiam), et mihi conducibilius fore putavi si ea potius facere, efficere, confice­reque contenderem quae fierent ex usu, quaeve ederent aut levationi causarum earundem aut expeditioni; et reverendae paternitati tuae gratius iucundiusque futurum duxi, si M. nepoti eiusdem debitum amicitiae munus persolverem eiusque iuvandi curam susciperem, quam ceteri propinquiores sui aut omise­runt /537/ aut nescierunt. [2] Cui quantum affuerim in utraque fortuna ipse potius fateatur, qui me fortunisque meis aeque familiariter ac liceret tua splendenti domo usus est. Licet autem nullum memorabile praesidium a me acceperit, accepisse tamen licuit quatenus id esset opus. Ego enim ob memoriam paterni amoris tui, cuius imago clavis fixa adamantinis haeret continue animo meo, non modo tuae paternitatis propinquos, verum etiam servos et canes catulosque eiusdem signo quodam amoris prosequi debeo. Cui enim plus me obnoxium credam quam tuae reverendae paternitati, cuius diligentia effectum est ut non modo litteris, sed etiam bonis moribus institutus sum? Haec pluris facio quam si parens meus Cresi divitias mihi legaret tabulis plenis. Propterea et tibi et tuis gratia tui ipsius quantum debeo scio, quando vero facturus sim satis nescio. Tuae reverendae paternitati interim me dedo, perpetuoque obse­quio dedico. Vale. Datum Hyadrae, octavo die Kalendas Septembris. 462.(209) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 30 agosto 1462 M. V. sa che Andrea Conti ha già saputo dal presbitero Martino della causa intentatagli dall’ar­cidiacono [1]; a ciò si aggiunge che è deceduto un canonico senza lasciare testamento (proba­bilmente lo Zerenzanino della ep. n° 464), per la qual cosa M. V. ne ha incamerato i beni a favore della sua chiesa, stabilendo la celebrazione di una messa quotidiana per il canonico, e devolvendo perciò un compenso al celebrante incaricato [2]; ma una bolla pontificia ha annullato la decisione di M. V., alienando l’eredità del defunto, devolvendola a finanziare la crociata contro i Turchi, conferendone l’amministrazione all’abate di San Crisogono [3]; dubita che la bolla sia stata emanata direttamente dal pontefice, la situazione è analoga a quella narrata nella favola di Esopo, nella quale una rana e un topo che litigano vengono alla fine sopraffatti da uno sparviero; l’autorità politica veneziana, dietro avvertimento dell’abate, è intervenuta vietando che alcunché dell’eredità sia trasferito fuori di Zara [4]; Andrea venga in aiuto di M. V. e anche del presbitero Marco, latore della lettera, ingiustamente scomunicato dall’abate [5]. /202/ Eximio doctori domino Andreae de Comitibus. [1] Memini tibi alias scripsisse, nec dubito te etiam nunc vocis ora/203/culo didicisse a presbytero Martino, capellano meo misso ad te diebus supe­rioribus, qualiter res processerat super impetitione et motione litis iniustae quam ineptissimus archidiaconus mihi movere intentavit, accedente ad hoc nonnullorum improbissimorum laicorum conspiratione. Et, quod dicto nun­tio commisi ut causam eandem in curia committi curet, spero iam ita effec­tum esse mediante auxilio tuo, ut ego fieri mandaveram. [2] Praeterea non dubito tibi innotuisse quod, cum quidam pre­sbyter, pater canonicus ecclesiae meae et sedis apostolicae accolitus hono­ris, extremum diem Hyadrae clauseritaa dominus abbas Sancti Grisogoni] Respondeo ad concordium quod di* secutum inter abbatem et me mg. intestatus et absque certis heredi­bus, ego secundum iuris formam canonici et secundum consuetudinem hic alias observatam nomine cathedralis ecclesiae, in qua ille personatum dignitatem et praebendam obtinebat, eius facultates et bona apprehendi et ad fabricam dictae ecclesiae applicavi, deducto prius aere alieno aliqua ex parte. Et, ut dictae ecclesiae videretur quasi grata, ordinavi unam mansio­nariam perpetuam, ut quotidie pro anima eiusdem defuncti celebraretur una missa in die, applicando et consignando mansionario sacerdoti huiusmodi domum et certas possessiuncolas, unde vivere celebrando vale­ret. Quae res Deo et hominibus approbata fuit. [3] Post hoc emanavit quaedam bulla pont[ificis] max[imi] per falsi suggestionem, per quam sua sanctitas dicta bona et facultates applicat crucia/204/tae contra Turchos, committendo causam abbati Sancti Grisogoni, qui, ut se gratiorem reddat dominis camerae apostolicae, dictam mansionariam revocavit demumque ipsam etiam possessionem mansionario applicatas distraxit et alienavit. Postea, quasi ego oboedire mandatis apostolicis neglexerim, quod est omnino falsissimum, supervenerunt duo brevia eiusdem sanctissimi domi­ni nostri, quorum alter ad me directusaa eum ms : fortasse enim corrigendum. erat, mordacissimum quale non scriberetur ab eodem pontifice cuipiam Turcho aut rebelli suae sanctitatis, mandando ut dicta bona consignam abbati Sancti Grisogoni, quod facere in prima iussione paratissimus eram. [4] Sed pro certo teneo quod huiusmodi brevia per illos de camera potius procurati fuerint per sinistram informationem, quam quod sua sancti­tas tam repentino motu in iram excandesceret. Doleo autem quod nec sua sanctitas, ut sperabat, nec ecclesia mea, ut merebatur, de bonis praedictis quicquam percipiet. Quippe quantum sic res se habebit ut depinctum est in veteri Esopi fabula, quod contendentes invicem rana et mus directi tandem fuere a milvo, hoc est a fortiore,1bb supradicti] sepe dicti ms. illustrissimum nostrum dominium de prae­dictis habita informatione ab abbate praenominato, iussit ut de praedictis bonis nihil exportetur extra Hyadram, sed omnia conserventur et conserva­buntur, opinor per potentiam et brachium seculare et sic res capiet finem, ut ego auguratus sum. [5] Si quod huic rei remedium praestare nosti, erit mihi ad /205/ singularem complacentiam si id feceris, praesertimque ut me apud dominos praesidentes dictae camerae excuses. Praesentium lator presbyter Marcus iniuste ac indebite, ut ipse asserit, excommunicatus fuit per abbatem, de qua excommunicatione conquesturus in curiam venit, quem ut iuves et adiuves rogo requisitus ab eodem. Aliud scribendum non occurrit, nisi ut reverendissimo domino comiti me commendatum efficias. Vale. Ex Hyadra III Kalendas Septembris MCCCCLXII. 463.(469) Maffeo Vallaresso a Giovanni Barbo Zara, 31 agosto 1462 M. V. scriva a Giovanni Barbo, per la morte del fratello di lui; un lutto grave, che non può essere lenito; è tuttavia un obbligo che gli amici esprimano almeno la loro impotenza a offrire un salubre rimedio [1]; Giovanni è crtamente abbattuto dalla scomparsa del suo unico e giovane fratello, che anche le Camene piangono per la di lui predisposizione allo studio; Giovanni non deponga perciò il lutto, ma ricordi dei versi di Orazio, che invita a rassegnarsi con pazienza a ciò che non è possibile correggere [2]. /537/ Ad venerabilem virum dominum Iohannem Barbo. [1] Etsi grandem doloremac testimonium faciat de absolutione genitricis suae] Absolvit ab excommunicatione quos tunc poterat mg. nulla adeo suavis epistola tollere queat dolenti tantum amico, abesse non debemus officio quin eius vulneri leniendo sal/538/tem impotentiam nostram allegemus, si remedium salubre praestare nescimus. Quantum vero dolorem acceperis ex morte optimi fratis tui N. ex animo meo capio coniecturam, ne sit mihi opus extra testimonium quaerere. Nam cum eum in vita dilexerim et loco fratris habuerim, non potui non commoveri vehementer audito de obitu ipsius lugubri nuntio. Accessit etiam ad maiorem maeroris exagerationem quod vir praeclarus moxque futurus primarius almae urbis nostrae civis fato insperato morte intempesta praeven­tus, e medio vitae curriculo elapsus, e manibus et oculis nostris, ita repente sublatus extitit, ut maerorem simul cum stupore quodam nobis reliquerit. [2] Si igitur animus meus sic videtur quemadmodum est affectus, quod putandum est accidisse tibi casu isto Iohannes mi suavissime? Certe nullam partem animi tui constare sanam credo quae non sit medullitus exulcerata morte unici fratris, quem si foret fas dicere flerent etiam divae Camenae, quarum ille dum vita viveret cultor studiosissimus habitus est. Hortari equi­dem te nec scio nec possum ut luctum deponas, cum ipse mihimet eatenus officio imperare non /539/ possem ut a luctu conquiescerem. Suadere tamen possum ut memineris illud Flacci in simili casu ad amicum scribentis: levius fit patientia quicquid corrigere est nefas.1ba reverendam paternitatem tuam] Bona est mg. Plura tibi viro doctissimo simulque prudentissimo circa hunc temperantiae locum cuius est virtus tristia et adversa ferre moderate non sunt a me dicenda, cum haec sint et alia diffusiusque a philosophis sint eleganter tractata tibique notiora. Tu, mi carissime Iohannes, vale et me dilige meque utere ad arbi­trium tuum. Praestantissimo viro domino Paulo Barbo me commenda. Iterum vale. Ex Hyadra, pridie Kalendas Septembris MCCCCLXII. 464.(210) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 8 settembre [1462] M. V. ha ricevuto l’incarico di provvedere alla tripartizione dei beni del defunto vescovo di Nona [1]; la parte dovuta alla riparazione della basilica di San Pietro non era stata ancora saldata, causa le difficoltà economiche dei debitori [2]; l’abate di San Crisogono, mediante un breve apostolico, gli ha intimato la consegna della somma, che M. V. ha consegnato; Zerenzanino, un canonico di Zara, è morto senza lasciare testamento [3]; ha provveduto a inventariarne i beni e li ha devoluti alla sua chiesa, secondo il diritto e la consuetuine [4] ma ha ricevuto un altro breve apostolico, con il quale viene redarguito dal pontefice, che gli intima di devolvere l’eredità del canonico alla Camera apostolica come contributo alla crociata [5]; non era necessario usare tanta acredine, essendo M. V. dispostissimo a rendere al pontefice non solo una modesta somma, ma l’intero suo patrimonio; in ogni caso ha devoluto quanto richiesto all’abate [6], benché in realtà di quella somma nulla purtroppo andrà a favore della crociata, ma sarà incamerato dal fisco [7]; ha scritto egli stesso al pontefice una lettera che acclude alla presente: prega Pietro Barbo di con­segnarla lui stesso, e di chiarire al pontefice la sua posizione. /205/ Reverendissimo domino meo domino P[etro] cardinali Sancti Marci. [1] Meminit reverendissima dominatio vestra sibi a me alias scriptum esse quam libenter onus susceperam commissionis de bonis quondam reve­rendissimi patris domini N[atalis] episcopi Nonensis trifariam dividendis ab apostolica sede mihi iniunctum. In qua commissione exequenda difficilli­mum esse noveram servare modum, ut partes omnes contentae remanerent. [2] Scripsi deinde quota portio et quanta cesserat sanctissimo domino nostro pro reparatione basilicae Sancti Petri de Urbe. Et quod minor erat quam sperabatur propter multa debita persoluta, quae omnino persolvenda erant, causam quoque tunc expressi et per praesentes iterum exprimo, quare usque modo tardaverim dictam tertiam partem in curiam ad manus reveren­dissimi domini episcopi Ferrariensis iuxta tenorem apostolici brevis transmit­tere, quod scilicet eadem mihi pars nondum plene integreque deduci ac exigi potuit, propter debitorum inopiam, quibus cum solvendo non essent oppor­tuno terminus comp/206/etens dandus fuit prout est datus. [3] Idcirco nihil interim mittendum duxi, nisi prius negotium ipsum conficerem et dictam portionem quadrarem et cumularem. Deinde proximis diebus venerabilis pater dominus abbas Sancti Grisogoni Hyadrensis praesentavit mihi unum breve apostolicum, per quod sanctissimus dominus noster mandat mihi ut praedictam tertiam partem quae penes me invenitur eidem abbati consignem, quod illico non invitus feci. Accidit etiam superioribus mensibus, quod etiam vestrae reverendissimae dominationi innotuisse puto, ut quidam presbyter pater Zerenzaninus, canonicus ecclesiae meae et, ut fertur, sedis apostolicae accolitus, ex hac luce in civitate Hyadrensi decederet intestatus et absque ullo certo herede. [4] Factaque mihi fidedigna relatione quod bona eiusdem distraheren­tur et dissiparentur, misi procuratores fabricae ecclesiae meae, ut dictis bonis custodiam adhiberent, obsignando capsas et cameras. Deinde post traditum corpus sepulturae mandavi per eosdem procuratores de praedictis bonis summa cum diligentia inventarium fieri, quemadmodum etiam factum fuit absque cuiusquam conditione. Demum nomine ecclesiae meae, in qua idem presbyter p[ater] dignitatem personatum et praeben[dam] canonicalem quoad utr[umque] obtinebat, bona et facultates praedicti (secundum dispo­sitionem iuris communis et approbatam consuetudinem circa facultates cle­ricorum ab intestato decedentium ubique servatam) adivi et apprehendi, studensque dicta bona in usus optimos ecclesiae convertere eorumque orna­mentis et fabricae eiusdem, /207/ quae de ipso vivente benemerita erat depu­tavi, partem pro anima eiusdem missas quotidianas sacerdoti celebraturo perpetuis temporibus applicavi, partem ad solvenda debita ipsius reservavi. Quae omnia et apud Deum et apud homine commendatione maxima digna videbantur. [5] Sanctissimus tamen dominus noster habita notitia de bonis huiusmodi ab intestato redactis per unum rescriptum applicavit ea ad usum cruciatae. Post, acrius instans, urgens et pungens, sanctitas sua per aliud breve dignum me scribit reprehensione, quod in dictis bonis me immiscue­rim, quae dic[it] ad cameram apostolicam pleno iure spectare, et quod ea si penes me extant, sin minus, pretium eorum eidem abbati Sancti Grisogoni restituere et consignare studeam. [6] Superfluum autem fuit (cum debita reverentia) suae sanctitati ut me propter ea pungendum suo brevi duceret, cum ego primis litteris obse­cundare et oboedire summa cum devotione paratus essem, et non tantum istas modicas, verum etiam meas ipsius facultates arbitrio suae sanctitatis exponere nil penitus cunctarer. Nec omnino me puto dignum reprehensione, cum non cupiditate aliqua aut vitio avaritiae bona huiusmodi audiveram, sed iure communi suffragante et consuetudine adiuvante commodo ecclesiae meae consulere curavi. His non obstantibus, eadem bona omnia et singula quae penes me erant et pretium eorum quae vendita erant et in opera pia conversa eidem abbati ob reverentiam sedis apostolicae restitui et rationem omnium consegnavi /208/. [7] Sed vereor ac vehementer dubito quod neque ad sanctitatem suam neque ad ecclesiam meam neque ad cruciatam de bonis praedictis quicquam proveniet. Ibunt potius, ut auguror, in baratrum fisci, quemadmodum etiam ceterae pecuniae hic apud nos alias pro cruciata exac­tae. Audio enim illustrissimum dominium rectoribus Hyadrensibus mandavit ut de dictis bonis vel pecuniis inde exactis nihil exportari sinant. Volui de praedictis omnibus vestram reverendissimam dominationem admonere, ut ipsa dignetur apud ipsum pontificem me in praemissis excusatum reddere. [8] Nam ipse ad suam sanctitatem scribo, sed brevissime remittens me ad litteras praesentes ad eandem dominationem vestram scriptas, quarum exemplar his alligatum cum copia brevis mitto, supplicans ut suae sanctitati litteras meas praesentare dignetur, ceteraque dicere et facere pro honore meo, sicut reverendissima dominatio vestra consuevit facere pro honore et commo­do cuiuslibet servitoris suis. Aliud scribendum in praesentiarum non accidit, nisi quod parvitatem meam commendatam esse cupio humanissimae domi­nationi vestrae, quam diu ac feliciter valere peropto. Ex Hyadra VIII Septembris. 465.(211) Maffeo Vallaresso a Pio II papa Zara, 8 settembre 1462 Pio II non deve stupirsi, così come ha fatto in una sua breve scritta da Pienza (ex abbatia Clusiensis diocesis), del fatto che M. V. sia intervenuto nella gesione dell’eredità del defunto Zerenzanino, poiché i beni del canonico erano di pertinenza della diocesi, e M. V. ha agito secondo diritto e consuetudine [1]; quei beni sono stati devoluti a favore della chiesa e dell’anima del defunto [2]; ma il pontefice ha incaricato l’abate di San Crisogono di revocare a sé l’eredità: M. V. ha obbedito, consegnando tutto con la completa pertinente documentazione: non v’era pertanto bisogno di una ulteriore e caustica breve [3]; la terza parte dell’eredità di Natale è stata consegnata a favore del restauro di San Pietro con qualche ritardo: esso è stato causato dalla situazione dei debitori, che non potevano né erano tenuti ad assolvere anticipatamente quanto dovuto. /208/ Ad beatissimum patrem dominum, dominum Pium papam II. [1] Sanctissime in Christo pater et domine post oscula pedum beato­rum. Non debet admirari sanctitas vestra, quemadmodum nuper ad me scripsit per unum suum breve ex abbatia Clusiensis diocesis sub die XVIII Iulii proxime praeteriti, quod me immiscuerim in bonis et rebus quondam praesbyteri patris Zerenzani canonici ecclesiae /209/ meae ab eo intestato relictis. Quae quidem res et bona, fultus iure communi et antiqua consuetu­dine ubique approbata nomine ecclesiae meae, in qua idem pater dignitatem personatum et praebendam canonicalem quoad vixit obitinebat, vendicavi et apprehendi, cum aliter mihi non constaret quod eadem bona et res pleno iure, ut ipsa sanctitas vestra scribit, ad apostolicam cameram pertineant. [2] Eademque bona et res, sicut premissum est, usucapta, volens in optimos et pios ecclesiae usus convertere et pro anima eiusdem intestati memoriam ali­quam missae quotidianae suffragio constituere, partem dictorum bonorum per procuratores ecclesiae meae probos et idoneos viros non quidem iniusto (ut est intimatum sanctitati vestrae) pretio vendi feci, partem sacerdoti quo­tidianas missas celebranti deputavi, partem in ecclesiae praefatae ornamento fienda reservavi, quae et Deo et hominibus laudata satis et approbata erant. [3] Vestra deinde sanctitas, quantum patet ex litteris suis, causam huiusmodi venerando patri domino abbati Sancti Grisogoni de Hyadra commi­sit dictasque facultates et bona per easdem litteras sibi attribuit et ad usus cru­ciatae applicat. Cui sententiae et mandato vestrae beatitudinis per me statim absque ulla conditione et cum maxima humilitate obsecundatum fuit et oboe­ditum. Nam et facultates quae penes me extabant et pretium venditarum /210/ et rationem omnium et singulorum eidem domino abbati ob reverentiam vestrae sanctitatis ad unguem usque consignavi, adeo ut sequens breve acrius debito pungens superfluum esset. [4] Tertiam quoque partem spoliorum ac bonorum bonae memoriae quondam domini N[atalis] episcopi Nonensis ad fabricam basilicae Sancti Petri de Urbe per sanctitatem vestram dudum destinatam, quota erat et quanta penes me, eidem consignavi de mandato vestro. [5] Licet autem lentior visus sum in dicta tertia parte deducenda et quae per me mittenda erat per viam bancheriorum ad manus reverendissimi domini episcopi Ferrariensis, iuxta tenorem prioris vestri brevis apostolici, causa fuit ex defectu debitorum, qui neque debuerunt neque potuerunt ad satisfactionem faciendam eos ante tempus. Quod autem eadem portio minor fortassis visa erit quam sperabatur aeris alieni dissolvendi ac deducendi causa fuit. Cetera reverendissimus dominus meus Sancti Marci coram supplevit, ne sanctitatem vestram pluribus teneam. Quam Deus omnipotens pro commodo ecclesiae suae et nostra omnium pace et consolatione ad tempora provehat longiora ac feliciora. Datum Hyadrae die VIII mensis Septembris MCCCCLXII. 466.(213) Maffeo Vallaresso ad Andrea Bondumier Zara, 23 ottobre 1462 M. V. si rivolge al patriarca di Venezia, Andrea Bondumier, il quale ha assolto l’abate Bogdan di San Crisogono, allegando a favore di quello alcuni capitula del codice; e se il caso si fosse svolto come lo racconta l’abate, l’assoluzione sarebbe stata corretta [1]; i testimoni tuttavia affermano che l’abate ha fatto catturare e fustigare il chierico, perciò il patriarca non avrebbe potuto né dovuto assolverlo [2]; di fatto i capita allegati dal patriarca non sono confacenti al caso in que­stione: l’abate è scomunicato ipso facto, non per sentenza pronunciata da M. V., il quale non ha mai additato l’abate in quanto scomunicato: ragione per cui l’abate non ha nemmeno il diritto di rivolgersi a un superiore sporgendo querela; ha fatto peraltro bene il patriarca a dare l’assolu­zione in via cautelativa, considerato il pericolo del viaggio per mare [3]; ma non è cauto conside­rare l’abate come ormai assolto [4]; la lettera è replicata come n° (470) del manoscritto, alle pagine 539-540 del medesimo; le varianti fra le due redazioni sono riportate in apparato. /211/ Ad reverendum patrem dominumab respondendo conieci : respondebo ms. Andream Bondimerio patriarcham Venetiarum. [1] Etsi superfluum putamusba clauserit corr. : clauseris ms. rescribere ad postremas litteras /212/ reve­rendissimae paternitatis vestrae in quibus eadem reverenda paternitas vestrasca alter ad me directus ms : exspectes alterum ad me directum. excusans sed1 contendentes ~ a fortiore: cfr Iacobus de Vitriaco, Sermones vulgares vel ad status, 1 (ad praelatos et sacerdotes), § 15: «Hii igitur qui curam animarum recipiunt et aliis ducatum promittunt, ipsi autem nec sibi, nec universo gregi attendunt, merito assimilantur rane que per medium stagnum muri promisit ducatum, ligans quodam filo pedem muris pedi suo; sed milvo rapiente murem simul traxit et ranam». quod iure absolvit dominum abbatem Sancti Grisogoni, nonnulla capitula in suum allegat favorem, tantum ut et nos videamur ratione ducti non inmerito conquesti fuisse. Cum omni debita humilitate ac reverentia vestrae reverendae paternitati reservata breviter duximus respondendum. Reverendissima enim paternitas vestra in quantum casus esset quemadmodum abbas ei asseruit, quod scilicet ipse nullam violentiam clerico capto intulerit nec mandavit infer­ri, potuit ac debuit ei absolutionis beneficium praestare. [2] Sed per processum superinde agitatum et per confessionem testium clarissime constat quod idem abbas praemeditata machinatione operam dedit ut clericus ille caperetur nuntiisque mandavit expresse ut eum ligarent ac ver­berarent. Dicimus et asserimus quod eademaa Etsi grandem dolorem] Consolatoria de morte fratris mg. reverendab1 Hor. Carm., I 24, 19-20. paternitas vestra eum absolvere non potuit nec debuit, prout etiam non potest nec debet per iura alias allegata. Praeterea ipsa paternitas vestra reverendaca reverendum patrem dominum] reverendissimum dominum n° (470). fundat se super textum c[apitis] Sacro. De sententia exc[ommunicationis]1et dicitdeb putamus] putemus n° (470). quod gravatus possi­tefc reverenda paternitas vestra] omisit n° 466. deponere querelam apud superiorem de iniusta excommunicatione. [3] Ad quod respondetur, salva pace vestrae reverendae paternitatis, quod ille textus non loquitur in casu nostro. Nam ibi loquitur de excommu­nicato ab homine, quo casu, procedit illud quod dicit reverenda dominatio vestra.fgd excusans se] *** respondeo super facto *** excommunicationis per eum *** quia non potuit *** rationes mg n° (470). Sed iste abbas et ceteri erant excommunicati ipso facto a iure ut est casus in c[ausa] Si quis suadente XVII, q[uaestione] iiii,2ha eadem] eandem n° (470). et quia laesio erat enormis, s[cilicet] cum magna sangui/213/nis effusione, casus est papalis, ut in c[apite] Pervenit et c[apite] Cum illorum de sententia excommunicationis.3 Immo iste abbas vel aliquis ex eis nunquam fuit denuntiatus per me pro excommunicato, unde non potuit nec debuit apud superiorem querelam deponere. Fateor tamen reverendam paternitatem vestramab reverenda] omisit n° 466. optime fecisse absolvere eos ad cautelam, donec Hyadram venirent propter loci distantiam et maris periculum. [4] Sed quod sint et habeantur simpliciter pro absolutis, nullibi reperi­tur cautum in iure, si recte memini. Caritatem itaque adhortatione vestra sic enitimur atque enitemur aemularier, ut aemulatio huiusmodi et proximis prosit et honori dignitatis nostrae pontificalis non obsit, quemadmodum et reverendissimam paternitatem vestram id adprobare non dubitamus. Parati ad mandata et beneplacita eiusdem. Datum Hyadrae, die XXIII mensis Octobris MCCCCLXII.bc ipsa paternitas vestra reverenda] vestra paternitas n° (470). 467.(472) Maffeo Vallaresso ad Andrea Conti Zara, 20 novembre [1462] M. V. ringrazia Andrea Conti per quello che ha fatto in suo favore relativamente alla controver­sia con l’arcidiacono; la scelta dei giudici non è stata quella che M. V. auspicava, ma egli è ugualmente sereno, perché il vescovo di Tricarico (Onofrio Santa Croce) è persona la cui virtù infonde speranza; M. V. prega tuttavia di raccomandare al giudice prescelto la propria causa, non perché tema per la propria posizione, ma perché avere un giudice ben disposto è oltremodo oppor­tuno; i giudici che sono stati chiamati in appello non cessano nel frattempo di agire contro M. V., e ciò perché non sono stati inibiti sotto pena di scomunica; M. V. ha in progetto di raggiungere la curia, ma è stato impedito causa le avverse condizioni metereologiche. /542/ Venerabili decretorum doctori domino Andreae de Comitibus. Nullum nactus sum usque modo tabellarium commodiorem /543/ cui ad te responsivas darem recta in curiam proficiscienti. Igitur et ex litteris tuis et ex nuntii mei presbyteri, scilicet M[artini], relatione satis edoctus sum quantae curae tibi extiterit causam meam committi facere, cui commitendum optabam. Verum, etsi fieri non potuit quod volebam, id me velle quod sorte cadit est necesse. Nec certe me paenitet eandem causam reverendo domino episcopo Tricaricensi commissam fuisse. Nam quanta est eius apud me et apud omnes bonos viros existimatio, quam virtus ipsius de ipso et peperit nobis et favet continue, nihil est quod mihi spem non auxeat maximam eius reverendam paternitatem ita partibus nostris fauturam, ut et iustitiae detractum sit nihil et honestati quam maxime factum sit. Tuae fraternitatis interest interim nos iura­que nostra quae satis superque pinguia et opima noscuntur eidem reverendae paternitatis iudici, edere commendata, non quod causae nostrae diffidamus, sed quod benivolum habere iudicem apprime commodissimum putemus. Pars adversa citata fuit, sed iudices a quibus est appellatum non restant contra inhi­bitionem eis factam alias novitates et molestias attentare, hoc solo quod inhibi­tio sub excommunicationis poena facta non fuit. Ego iam animum firmavi in curiam dante Deo /544/ proficisci iamque stabulum equis vectoribus instruxi statimque principio Quadragesimae instantis a littore Illyrico Eolo atque Neptuno faventibus et nisi hyemis et brumae tempestas navigationem prohibe­ret, profecto iam cursum Italiam versus tenerem. Vale tu et me dilige mutuo. Datum Hyadrae, die XX Novembris. 468.(471) Maffeo Vallaresso a Onofrio Santa Croce Zara, 21 novembre [1462] M. V. si rivolge al vescovo di Tricarico, Onofrio Santa Croce, che ha conosciuto a Padova quale studente e poi nella curia pontificia; di lui gli è nota la giustizia; non c’è dunque bisogno di preoccuparsi a che la controversia di M. V. sia raccomandata all’esame di Onofrio; M. V. può dormire sonni tranquilli, fidando nell’equità del giudice [1]; infatti M. V. sa che Onofrio comprenderà bene i termini della vicenda ed esprimerà una sentenza a favore della parte che si trova nel giusto; M. V. non intende incrementare l’odio né nei confronti di giudici rispetto al cui giudizio ha fatto appello, né nei confronti dell’arcidiacono [2]; M. V. null’altro desidera se non che Onofrio prontamente indaghi il motivo dell’appello, e, quando lo avrà conosciuto, proceda nel giudizio [3]. /541/ Ad reverendum dominum Anofriumad dicit] dicat n° 466. episcopum Tricaricensem. [1] Nisi probitas, fides, integritas et summa denique vestri animi aequitas iam pridem non minus in gymnasio litterarum Patavino, ubi reverendissimae paternitatis vestrae praestantia satis eminebat,ae possit] potest n° (470). quam in curia quoque pontificali, multis mihi argumentis haberetur explorata, curandum profecto non putarem ut causae meae cognitio summi pontificis mandato et auctoritate eiusdem vestrae reverendae dominationis examini traderetur. Quo fit ut et tranquillitati meae secure indormiam et nihil sol­licitus sim iusti iudicis animum vel ad benivolentiam inflectere vel ad cau­sam huiusmodi quasi ansa dexteriore capiendam praeparare. [2] Scio enim et certus sum dominationem vestram – quanta est /542/ eius peritia sacrarum legum et in ceteris rebus prudentia singularis – statum huiusce litis et fundamentum faciliter cognituram ac tandem pro parte hone­stiori et quae magis iuris et aequitatis radicibus haeret sententiam commen­datione dignam pro more suo promulgaturam. Illud vero alienum a me censeo temeritatem ac intemperantiam iudicum illorum a quibus per me extitit appellatum, petulantiam itidem archidiaconi mei, qui me coram ipsis in ius traxit, membratim recensere, quae satis clare per se patent, ut non sit opus eosdem aliter in odium trahi. [3] Ceterum a reverenda dominatione vestra in praesentiarum nil aliud magis exoratum velim quam ut eidem vestrae dominationi causae appellationis meae cognoscendae moras amputare ac sic partem utranque iustitia comite ad expeditionem trahere. Absoluta enim appellationis cognitione, poterit domina­tio vestra in principali causa quietius ingredi donec ipse, duce Deo, praesens adsim quod futurum prope diem spero. Cetera coram explicabit dominus Iacobus germanus meus, lator praesentium. Interim et deinceps bene velete. Hyadrae, XI Kalendas Decembris. 469.(473) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Zara, 1 dicembre 1462 M. V. si confida con Lorenzo Zane, il quale, con la sua saggezza, saprà fornirgli un consiglio; ha deciso infatti di partire alla volta della curia pontificia, tornandovi dopo molto tempo, non appena le condizioni metereologiche lo permetteranno, cioè il primo di marzo; nel frattempo, Lorenzo pensi se M. V., presso la curia, possa svolgere a favore di lui qualche ufficio; M. V. potrà così affrancarsi almeno in parte dalla somma dei debiti che ha con lui contratto [1]; chiede inoltre a Lorenzo se per caso abbia lasciato a Roma suppellettili per trascorrere la notte: materassi e cuscini; abbisogna di almeno sei cuscini, porterà invece con sé lenzuola e quanto occorre a prepa­rare una coperta; nella sua risposta Lorenzo faccia sapere a chi, eventulmanete, abbia affidato tali suppellettili, così che M. V. possa in tempo scrivergli [2]. /544/ Ad reverendissimum dominum Lau[rentium] Zane archiepiscopum Spalatensem. [1] Pro mea in te pater excolendissime summa fide ac veneratione nihil pensi adeundum mihi puto,af reverenda dominatio vestra] paternitas vestra n° (470). in quo adeundo deliberationis et sententiae meae rationem tibi viro divinarum ac humanarum rerum prudentissimo eidemque mei amantissimo non explicem. Sive enim rectum quod statuero id abs te approbatum iri gaudebo, sive incautius agressurus fuero te quasi moderatore non invitus utar. Longo itaque quasi postliminio exacto, urbis optatae iucun­dissimam faciem revisurus, currus et iumenta reliquumque commeatum huic expeditioni necessarium paravi, ut nihil aliud ad iter ineundum desit, quam post resolutam brumam caelique marisque mitior aspectus. Quo eventu, Martiis Kalendis, duce Christo, Adriaticus fluctus traiicere est animus /545/ mihi. Tua vero reverendissima dominatio interim poterit meditari siquid sui gratia ibidem loci per me fiendum sit, quod mihi iniungi cupio, non quod industriam meam Romae credam illustrem, qua te sperem demereri posse, sed ut pro tuis in me humanitatis officiis ingentem obligationis meae sumam, tua obeundo curandoque utrunque negotia, aliqua dissolvam ex parte. [2] Et quia Romae paucos admodum menses consumpturus sum, nulla mihi pulvinaria eo loci comportanda puto, quorum mihi usus amicorum prae­sidio facilius potest parari, eoque non inverecunde petitione huiuscemodi pul­sandum te duxi, ut si qua tibi stramariorum ac culcitrarum Romae supellex extat, cuius commodandae arbitrium habes, hoc ius commodati in me exten­das. Si roges quid egeam materiatiis, sex inquam ad minus totidemque culcitris. Linteamina enim portabo mecum et reliqua itidem pro lodice paranda. Haec si a tua reverendissima dominatione haberi possunt, proximo nuntio me admo­nitum reddas, ut eventu quo haberi non possent, alia provideam via, simulque litteras conficias ad eos quibus eaedem tuae res in potestate sunt creditae. Vale diu et quidem felix meque ames amore illo tuo singulari. Datum Hyadrae pridie, Kalendas Decembris MCCCCLXII. 470.(474) Maffeo Vallaresso a Pietro Barbo Zara, 4 dicembre 1462 Lettera di condoglianze al cardinale Pietro Barbo per la morte del fratello di lui, Paolo; M. V. vorrebbe essere vicino al cardinale, non perché sia capace di alleviare il suo lutto, ma per dimostrargli quanto sia grande anche il suo stesso dolore, essendo Paolo mancato nel fiore degli anni, allorché avrebbe potuto recare massimo giovamento alla repubblica, alla famiglia Barbo, a tutti i suoi amici [1]; le Parche sono state ostili con quanti hanno tratto beneficio dalla vita di Paolo, non con Paolo stesso, il quale non ha conosciuto la vecchiaia (con tutti i suoi danni), né ha sperimentato alcuna avversità, ma, compiuto il corso più felice della vita, ha lasciato un’imperitura memoria di sé; il cardinale Pietro darà prova di grande costanza e moderazione se, come ha sperimentato eventi for­tunati senza mai divenire arrogante, così saprà sostenere questo lutto con altrettanta misura [2]. /546/ Ad reverendissimum dominum, dominum P[etrum] cardinalem Sancti Marci. [1] Quam cuperem in hoc vestro gravissimo casu adesse,a1 Sacro. De sententia exc[ommunicationis] cfr Gregorii IX Decretales, liber V, titulus XXXIX, cap. 48: «Sacro approbante concilo prohibemus, ne quis in aliquem excommunicationis sententiam, nisi competenti admonitione praemissa, et personis praesentibus idoneis, per quas, si necesse fuerit, possit probari monitio, promulgare praesumat (…)». non quod me tanti putem ut praesens vel ad ferendam hanc aerumnam reverendissimam dominationem vestram iuvare vel acerbissimum eius luctum levare possim, sed ut potius in exibendis officiis quae huiusce calamitatis tempori tribui solent ab amicissimis quanto ipse maerore affectus sim ex tanto vestro dolore coram declararem. Quam enim graviter quamque moleste tulerim obitum unici fratris vestri certe pro eo ac deberem dicere minus queo quam nutu innuere. Accedunt siquidem rationes permultae impelluntque ad lugendum tanti viri fatum intempestum, qui, cum summo natus loco, aetatis floridae, rerum prudenter ac magnifice gestarum laude non minus foris ac domi cla­rissimus haberetur, eo interim tempore sublatus est, quo studiosorum ac multorum laborum uberrimos a republica fructus et praemia excipiebat. Eo tempore mortuus est, quo rempublicam optimis ac prudentissimis consiliis suis iuvare, amplificare ornareque pergebat. Eo demum tempore diem supre­mum obiit, quo et reverendissimae dominationi vestrae et universae Barborum familiae, amicis denique omnibus maximo usui, commodo atque adiumento adhuc superesse vivereque deberet. [2] Crudeles parcae nobis potius inviderunt, qui viri vitam ad nostram omnium utilitatem /547/ convertebamus, quam (heu) qui aliquando mortalis corpusculi sarcinulam omnino depositurus, malam senectutis aetatem (quae quam continuis et quantis plena malis, deformis pro cute pellis, pendentes­que genae et morbi innumeri in aliud omittamus tempus) non vidit, neque expertus est quicquam adversi, sed, confecto felicioris vitae cursu, memoriam sui sempiternam reliquit. Vestrae nunc reverendissimae dominationi ad maximam animi constantiam et modestiam ascribetur, si quemadmodum aliquotiens eandem dominationem vestram secundam fortunam pulcherrime tulisse meminimus neque unquam caput insolentiis extulisse, ex qua re non mediocrem laudem apud mortales adepta est, ita tristem adversamque sortem aeque modeste perferre videamus, vel qui longe absumus audiamus. Plura in hac parte dicturus non sum, ne prudentiae vestrae diffidere videar. Ad breve tempus, Deo adiuvante, praesens adero reverendissimae dominationi vestrae, quam bene valere et a lacrimis temperare cupio. Ex Hyadra, die IIII Decembris MCCCCLXII 471.(212) Maffeo Vallaresso a Girolamo Forte Zara, 13 dicembre [1462] Girolamo Forte (per cui cfr. n° 386) ringrazia M. V. per i benefici che grazie alla sua interces­sione ha ricevuto da tutti, e in particolare dal fratello di M. V., Giacomo, il quale gli ha trovato un impiego presso il cardinale Pietro Barbo; le condizioni, tuttavia, hanno dissuaso Girolamo dall’accettare; Girolamo non ha più ricevuto nuove da Simone: forse costui teme che le sue disgra­zie possano contaminarlo come la peste. /210/ Maffeo Valleresso archiepiscopo Hyadrensi Hieronimus Fortis a Teramo.a2 in causa «Si quis suadente» XVII, quaestione iiii] cfr. Decretum Gratiani, Causa XVII, quaestio iv, Canon 29: «Item placuit ut, si quis suadente diabolo hujus sacrilegi reatum incurrit, quod in clericum vel monachum violentas manus injecerit, anthematis (sic) vinculo subjaceat et nullus episcoporum illum praesumat absolvere, nisi mortis urgente periculo, donec apostolico conspectui praesentetur, et ejus mandatum suscipiat». [1] Saltem licet mihi non silere apud omne genus hominum beneficia quae tua singularis benignitas in me plurima contulit. Attulit, ut reor, ingra­titudinis aliquam /211/ suspicionem longa ac diuturna taciturnitas mea, qua non animi voluntate sed necessitate quadam compulsus sum uti. Versatus enim sum inter omnium rerum difficultates, quae miserabiliter his infelicis­simis temporibus me et concives vexarunt. Verum non ea mente scribere me putet reverendissima dominatio vestra ut aliquid impetrare cupiam, sed ut decet memorem esse beneficiorum quae accepi. [2] Reverendus pater domi­nus Iacobus Vallaressus non destitit in me mirifica beneficentiam ostendere, qui apud dominum cardinalem Sancti Marci mihi locum adinvenit, quem ideo non accepi quod quae offerebatur conditio mihi non placuit. Verum dominus Iacobus officium suum praestitit cui me devinctum reddo.Vereor ne Symon presbyter putet se contagione calamitatum mearum velut peste quadam contaminari, si quippiam ad me rescribat cum totiens invitatus a me per litteras prius ipse sit. Illum tamen amabo obsecraboque ut constantia sanctae amicitiae semper utar. Valeat reverendissima dominatio tua, quam immortalis Deus ad optata quaeque perducat. Romae Idibus Decembris. Discedens scripsi. 472.(475) Maffeo Vallaresso a Giacomo Vallaresso Zara, 23 dicembre [1462] M. V. dà notizia al fratello Giacomo di alcuni servitori: tra essi un addetto alla stalla, appena giunto a Zara, il quale non è stato confermato nell’incarico, già essendoci uno preposto a tale ufficio; nomina altri tre servitori: Marco Antonio, Bulzias e Tommaso [1]; i giudici proseguono nel loro agire persecutorio: hanno intimato a M. V. di comparire in giudizio per comunicargli l’imposta relativa alle spese processuali; M. V. non ha voluto comparire, e ha inviato un procura­tore che a suo nome facesse appello, ciò che il procuratore ha fatto; ma i notai hanno invece dichiarato agli atti che il procuratore si è spontaneamente presentato alla sentenza, quasi per obbedire alla decisione assunta dai giudici, ciò che è falsissimo, come apparirà da uno strumento che M. V. sta facendo predisporre sulla base di testimoni presenti [2]; i giudici hanno inoltre stabilito che la quarta parte delle decime relative alla fabbrica non spettino più a M. V., ma all’arcidiacono: hanno perciò dismesso dalla sua carica di procuratore Filippo de Ferra, e in suo luogo hanno nominato un Sy. de Fanfogna (probabilmente Simone, nome attestato nella fami­glia: un Simone de Fanfogna nel 1409 fu tra i dodici zaratini inviati a Venezia per giurare fedeltà alla Repubblica); tale decisione pregiudica gravemente la giurisdizione ecclesiastica, poiché in precedenza i procuratori erano nominati e dismessi dagli arcivescovi [3]; M. V. vuole che sia fatta a stretto giro di tempo un’ingiunzione affinché i giudici non apportino più alcuna innova­zione al vigente diritto, le innovazioni apportate siano cancellate, sia esplicitato di conferire le decime a M. V. e/o ai suoi procuratori; l’abate e l’arcidiacono vanno dicendo che la causa è stata tolta dalle mani del vescovo di Tricarico e che è stata conferita al vescovo di Nona; dietro istanza dell’arcidiacono: ciò appare inverisimile, Giacomo deve procurare dal detto giudice (il vescovo di Tricarico) l’istanza richiesta [4]. /547/ Ad venerabilem dominum Ia[cobum] Vallaresso subdiaconum apostolicum. [1] Nostrorum litteris admoniti sumus te iam in curiam concessisse gra­tia comparendi in termino et cetera. Nondum tamen intelligere potuimus an receperis scrip/548/turas illas tibi per Hieronymum notarium dominorum advocatorum missas, sine quibus et credimus nobisque persuademus te reces­surum nequaquam fuisse. Famulum stabularium simul cum pizo noveris Hyadrae applicuisse. Quem quidem famulum nondum affirmavimus, cum habeamus alium satis bonum et omnibus de domo acceptissimum gratissi­mumque. Marcus Antonius est maximus nebulo, nullius pretii, verbis petulan­tissimus, factis nulla commendatione dignis, quem non speramus fore comitem itineris parati. Bulzias etiam recepimus. De Thomasio, quem tantopere com­mendabas, nihil significavisti, sed nec significatum fuisset minime angimur. [2] Post ultimas tibi scriptas haec innovata fuerunt per nequissimos iudi­ces illos et partem adversam.a3 c[apite] Cum illorum de sententia excommunicationis] cfr. Decretales Gregorii IX, liber V, titulus XXXIX, cap. 32: «Quum illorum absolutio, qui pro violenta manuum iniectione in clericos labem excommunicationis incurrunt, praeterquam in quibusdam casibus, a praedecessore nostro exceptis, sedi duntaxat apostolicae reservetur (…)». Licet enim post discessum tuum miserim pre­sbyterum Sy[monem] cancellarium ad civitatem Sibenici ad citandum illos iudices, qui legitime citati fuerunt, eisque inhibitum fuit ne quid interim lite huiusmodi indiscussa pendente innovaretur et cetera, ipsi nihilominus hoc non obstante, superioribus diebus me citari fecerunt ad audiendam taxationem expensarum dictae litis, ad quam taxationem nolui comparere. Institui tamen unum procuratorem qui vice et nomine mei contra dictos iudices protestaretur et ab eorum sententia taxationis praedictae appellaret, prout fecit. Sed ipsi improbissimi notari fecerunt in sua sententia quod nuntius /549/ et procurator meus sponte comparuit ad audiendam sententiam, quod est falsissimum, prout apparebit per instrumentum quod ordinavi confici debere superinde. Constabit enim per testes qui ibi aderant, quod dictus procurator meus non comparuit sponte coram eis ad audiendam huiusmodi sententiam, quasi ad oboediendum et standum dictae sententiae, sed ut apellaret ab ea et cetera. [3] Post haec isti domini rectores mandaverunt omnibus decimariis sub penis pecuniariis,ba reverendam paternitatem vestram] vestram reverendam paternitatem n° (470). quod dictam quartam partem decimarum spectantem ad fabricam non debeant mihi nec procuratoribus meis respondere, sed potius ipsi archidiacono. Deinde deposuerunt Phillipum de Ferra, antiquum procuratorem, et fecerunt alium de novo, videlicet s[er] Sy[monem] de Fanfogna, in grave prae­iudicium iurisdictionis ecclesiasticae, cum per antea procuratores huiusmodi per archiepiscopos, qui per tempora fuerunt, institui ac destitui consueverunt. Qua propter vivere cum his improbis hominibus pacifice non possumusab MCCCCLXII] om. n° (470). habemusque in animo prius Venetias proficisci et conqueri apud illustrissimum dominium de huiusmodi novitatibus priusquam in curiam eamus. [4] Cupimus tamen interim fieri debere mandatum strictissimum tam iudicibus istis quam parti adversae ac etiam rectoribus, ne post appellationem nostram quicquam innovare aut post citationes quicquam pertubare debeant, et siquid innovarunt praesuntuose, quod omnia /550/ debeant retractari et in pristinum statum deduci usque ad ius cognitum, et quod etiam expresse mandetur omnibus decimariis sub penis et censuris quod respondeant et per­solvant dictam quartam decimarum mihi aut procuratoribus meis prout hactenus observatum noscitur. Abbas et archidiaconus hic divulgaverunt causam praedictam sublatam de manibus Tricaricensium et de novo commis­sam fuisse episcopo Nonensi, ad instantiam ipsius archidiaconi, quod mini­me videtur mihi verisimile. Haec mandata necessaria a dicto domino iudice cures quam primum obtinere, eaque in forma autentica ad nos quam totius mittere pro evitandis scandali quae exinde oriri possint. Vale, Hyadrae, XXIII Decembris. 473.(476) Maffeo Vallaresso a Ludovico Loredan Zara, 9 gennaio 1463 Quanto più Ludovico Loredan rifugge gli onori, scrive M. V. tanto più la Repubblica, conoscendone la virtù, lo stringe a sé, chiedendogli protezione; perciò con tutti i suffragi gli è stata assegnata la prefettura generale della flotta veneziana, onore che Loredan mai ha richiesto; tuttavia, considerato il dolce volere della patria, considerati i pericoli incombenti, che tutti i valorosi sono pronti a fron­teggiare, Loredan non dubiterà ad accettare un incarico così gravoso; tale dignità con l’aiuto di Dio sarà per Loredan, come per M. V. e per i suoi, un onore e un perpetuo ornamento [1]; possa Loredan riportare le spoglie opime dei barbari in patria! Quanta gioia l’annuncio abbia sortito in M. V., lo dimostra il fatto che egli non si è trattenuto dal manifestare subito al Loredan la sua felicità [2]; è superfluo comunicargli che ogni cosa di M. V. è a sua disposizione; M. V. si augura di incontrare personalmente Loredan nel suo programmato prossimo viaggio a Venezia [3]. /550/ Clarissimo domino Ludovico Lauredano, capitaneo generali classis designato. [1] Quanto magis honores et magistratus ultro sibi oblatos ante hac refu­gisse noscitur vestra magnificentia, tanto magis respublica nostra, cuius oculis vestrae virtus,aa Anofrium ms : fortasse Onofrium corrigendum. industriae ac sapientiae singularis tam in toga quam in armis clara constitit, strictioribus amplexibus vos complectitur, nutu quodam innuens ut se a barbarorum incussione tueri ac indemnem conservare atque amplificare studeatis, quemadmodum hactenus studuistis. Eoque factum est ut totius civi­tatis nostrae animi in vos /551/ vestramque conversi praestantiam plenis votum suffragiis classis maritimae navalium copiarum summam generalem praefectu­ram vobis nuper demandarint. Quod munus amplissimum addo et laboriosis­simum licet non quaesieritis neque affectaveritis. Considerata tamen publico­rum hostium insolentia, considerata dulcissimae reipublicae voluntate sanctissima, consideratis etiam temporum angustiis et periculis quibus non temere obeundis bonus quisque ac sapiens fortem praestare animum consuevit, tantum pondus quantum non nisi humeri vestri sustinere possent aequo subire animo nihil penitus dubitabitis. Eritque ut auguror haec dignitas vobis ac nobis et qui vestri sumus auxiliante optimo Deo ad decus et ornamentum perpetu­um. Quod ut ita sit quemadmodum spero et opto, ipse Deus propulsator iniu­riarum, iusti belli protector et defensor faciat et efficiat. [2] Utinamque videamus magnificentiam vestram opima spolia atque trophea signaque barbarica de subactis hostibus in patriam reportare, cum gloria et exaltatione crucis Christi, pro cuius honore alma civitas nostra, sae­penumero feliciter pugnans, titulos perpetuae peperit sibi laudis! Quanti autem gaudii nuntius mihi praefecturae vestrae hoc praesertim tempore exti­terit vobis id considerandum relinquo, qui praesertim animum continere nequiverim, ut non illico /552/ darem has indices laetitiae meae. Gratulor igitur vehementer non minus religioni Christianae, quod tanto auspice et praefecto sublevamen maximum sit sortitura, quam etiam vobis, qui ex labo­ribus vestris e republica impensis persolutis dulces aliquando fluctus supremi honoris, merendoque ab immortali Deo tandem recepturi estis. [3] Reliquum illud est quod me atque mea quae sunt sita in arbitrio vestro puto superfluum offerre. Immo velim atque rogo ut magnificentia vestra iubeat et mandet perinde ac filium iuniorem ea omnia parare et instruere quae credit sibi ex me necessaria pro hac felici expeditione sua. Haec pro temporis angustia in praesentiarum sunto satis. Cetera ipsemet coram et ad os favente Deo diffusius prosequar, quippe qui propediem Venetias iturus sum, ubi et videre libentius et complecti suavius et alloqui magnificentiam vestram dulcius licebit. Bene valete in Domino. Datum Hyadrae, die VIIII Ianuarii MCCCCLXII. 474.(477) Maffeo Vallaresso ad Antonio da Forlì Venezia, 13 febbraio [1463] M. V. scrive ad Antonio da Forlì, tesoriere di Pio II; dal fratello Giacomo ha saputo che il motivo per cui il pontefice ha tolto al vescovo di Tricarico, dietro istanza dell’arcidiacono di Zara, la causa di appello, è che il medesimo pontefice è adirato con M. V. per l’eredità del vescovo di Nona; la camera apostolica sarebbe stata maltrattata da M. V., poiché dei 1500 ducati dell’eredità, la quale doveva essere tripartita (cfr. la epistola n° 464, nella quale è chiarito questo punto), alla camera sono pervenuti solo 150 fiorini [1]; per prima cosa, M. V. desidera chiarire che è sano di mente, e che sarebbe stolto da parte sua avere malversato sull’amministra­zione dell’eredità del vescovo di Nona, provocando così l’ira di Antonio e del pontefice; capita tuttavia che la maldicenza degli improbi oltrepassi le benemerenze dei buoni [2]; provenga dall’abate di San Crisogono, oppure da Mariano da Siena, l’informazione data è falsa, perché l’eredità a stento ascendeva a 800 fiorini, come si evince dal suo inventario; prima di conferirne la terza parte al pontefice, era inoltre necessario pagare i creditori: il fratello del vescovo e il nipote, così come definito da una lettera ducale [3]; per contribuire all’erario apostolico, M. V. ha subito diviso l’argenteria, così che al pontefice spettasse la parte dovuta; il resto della suppel­lettile era di poco valore ed è stata consegnata ai creditori; la somma dovuta da parte dei debitori non era piccola, ma ci è voluto tempo per esigerla [4]; tutto ciò M. V. ha già scritto dettagliata­mente in una lettera indirizzata al cardinale Pietro Barbo; ha inviato a frate Mariano un inventario da esibire al pontefice; se avesse dato retta in tutto a frate Mariano, alla camera apostolica non sarebbe pervenuto proprio niente, perché nessuno più di detto frate insisteva con lui affinché assolvesse ogni obbligo nei confronti dei creditori; non ha immediatamente inviato l’argenteria a Roma, perché il pontefice aveva stabilito che essa fosse venduta, e che i ricavati fossero inviati in curia [5]; M. V. ha adempiuto in tutto al mandato del pontefice, consegnando la terza parte dell’eredità all’abate; del resto, M. V. riferirà a voce ad Antonio, poiché è sul punto di giungere a Roma; lo prega quindi di riferire al pontefice, e di scusarlo e di difenderlo dai detrattori; lo prega inoltre di far sì che la causa d’appello sia conferita a un prelato della curia o della rota, affinché la sua giurisdizione sia salva [6]. /552/ Ad venerabilem dominum Antonium de Furlivio sanctissimi domini nostri thesaurarium. [1] Ad non mediocrem animi aegritudinem cessit mihi quod nuper ex litteris domini Ia[cobi] germani percepi.aa satis eminebat] Bonum principium ad captandam iudicis benivolentiam *** meam tibi commissam mg. Quod, cum verum idem adierit paternitatem vestram sciscitaturus ab eo rationem ob quam sanctissimus dominus noster causam appellationis meae domino episcopo Tricaricensi commissam advocaverit, eamque in partibus cognoscendam ad instantiam adversarii mei commis/553/erit, vestra paternitas eidem domino Ia[cobo] respondisse fertur (inter cetera) quod sanctitas domini nostri de me pessime scandalizata est,ba nihil pensi adeundum mihi puto] Dico statuisse Romam proficisci cunctaque paravisse. Lege, bona est mg. ex eo scilicet quod cum olim dominus episcopus Nonensis ab intestato defunctus magnam hereditatem deliquerit, valoris ducatorum 1500 et ultra, eaque hereditas trifariam dividenda mihi commissa fuerit, camera apostolica (ad quam per tertia pars dictae hereditatis spectabat) per me pessime tractata fuit, quippe cui non contigit maiorem portionem ultra 150 florinorum valorem capere et quod de praedicta adminstratione mea ad dictam cameram computum mitterem et cetera. [2] Verum, antequam obiecta diluam et expurgem,ca in hoc vestro gravissimo casu adesse] Bona est et consolatoria pro morte unici fratris mg. praemittenda duxi optimi Dei benignitatemda Bona est epistola mg. rationis me puto compotem esse, neque me adeo ignavum ac vecordem sentio, ut gratiam sanctissimi domini nostri promereri negligam eiusque sanctitatis iussa diligenter capessere non curem. Quidnam absurdius esset quam ut ego creditam mihi bonorum huiusmodi administra­tionem malo modo distraherem? Neque magnifacerem si exinde vel ipsius sanctissimi domini nostri vel paternitatis vestrae indignationem mihi confla­rem? Quorum animis obsequi omnis optaret sapiens, quorumque gratiam consequi bonus quilibet enititur. Sed accidit saepenumero ut nequissimorum hominum /554/ maledicentia multorum bonorum virorum recte factis prae­ponderet quantum et virtus plus odiis quoniam gloriae secum trahit. [3] Sive enim abbas Sancti Grisogoni,ea per nequissimos iudices illos et partem adversam] Processerunt iniqui iudices ad ulteriora in facto fabricae, non obstante inibitione et cetera mg. impurus homo aemulus integri­tatis meae, sive frater Marianus de Senis,fb Post haec isti domini rectores mandaverunt omnibus decimariis sub penis pecuniariis] Mandatum rectorum decimariis factum et cetera mg. monstrum nulla virtute redemptum, hanc informationem vestrae paternitanis dederint, pessimi viri officio usus est. Nam hereditas illa, ut patet per inventarium spoliorum, vix ascendebat 800 florenos.aa pacifice non possumus] *** provisionem per me *** prius quam Romam mg. Demptis enim illis argentariis modicis, reliqua supellex parvi erat. Licet autem sanctissimo domino nostro tertia deberetur, prius tamen et ante omnia dissolvendum erat aes alienum et satisfaciendum creditoribus. Non san­ctitas domini nostri, non paternitas vestra secus fecisset, quibus non est mens aliena dictari iactura. Qui erant ii creditores? Erat frater dicti quondam episco­pi, erat nepos eiusdem, quibus ut satisfaceret non modo publica instrumenta et chirographa et rationum libri, verum etiam litterae ducales urgebant. Id ius dictabat, id honestas exposcebat. [4] Et tamen, praemissis non obstantibus, ut aerario apostolico quotidianis impensis exhausto magis propitius essem, volui in primis argentariorum divisionem facere, ut sanctissimo domino nostro pars integra contingeret. Et ita feci. Reliquam supellectilem /555/ (aulea, tapetes, culcitrae, vestes tristes, linteamina, mappae, quae omnia parvi venirent pretii) in partem solutoibus creditoribus consignavi. Debitorum erat summa non mediocris,ba cuius oculis vestrae virtus] Congratulatoria et bona mg. sed propter eorum inopiam exactio subita fieri non potuit, dandus fuit eis terminus ad solvendum. [5] Sed quare interim de praemissis non admonui dominos de camera? Immo scripsi diligentissime et ut litterae fideliter redderentur ad manus reveren­dissimi domini Sancti Marci eas direxi, fratri Mariano insuper inventarium dedi, sanctissimo domino nostro et dominis de camera ostendendum. Et profecto, si fratri Marianoca quod nuper ex litteris domini Ia[cobi] germani percepi] Expurgo me contra obiecta per falsa suggestionem auctore abbate et fratre Mariano, pluribus rationibus in medium adductis de rebus olim episcopi Nonensis mg. consilium secutus fuissem, camera apostolica vel nullam vel minimam partem dictorum bonorum sortita fuisset. Nullus enim magis me stimulabat ut facerem creditoribus et famulis et multis ignotis satisfactionem quam f[rate]r M[arianus]. Quare etiam statim non misi dictam partem argenta­riae ad cameram?db de me pessime scandalizata est] *** falsae informationes mg. Quia sanctissimus dominus noster per suum breve iusserat ut omnia venderentur et pecuniae inde extractae mitterentur in curiam per viam bancheriorum. Et quia dictae argentariae erant aestimatae singula marcha duca­torum 5 ½, non poteram eis tanti vendere, viliori pretio eas abiicere pigebat. [6] His ita se habentibus interim /556/ sanctissimus dominus noster per unum suum breveec Verum antequam obiecta diluam et expurgem] Innocentiae meae *** adduco et cetera mg. iussit ut dictam tertiam partem et omnia alia quae penes me erant dictae hereditatis abbati praedicto traderem et omnium rationem consignarem. Quod etiam statim obedientissime feci. Ex quibus omnibus paternitas vestra clare intelligere poterit me apostolica mandata diligentissime executum fuisse, aerario apostolico cumulando favisse, detractores falsam insinuationem fecisse. Ceteras rationes viva voce coram reddam. Nam prope­diem spero me vobis affuturum et declaraturum integritatem ac innocentiam meam, tam sanctissimo domino nostro quam dominationi vestrae, cui quan­tum scio et possum supplico, eamque obtestor per amicitiam nostram anti­quam ut me interim sanctitati domini nostri aliqua in parte excusatum et ab hominum improborum detractione expurgatum ac defensum reddat. Id si fecerit paternitas vestra immortali afficiet me beneficio. Ulterius etiam rogo vestram dominationem ut dignetur dictam causam appellationis meae iuxta informationem domini Ia[cobi] germani mei cuipiam ex dominis praelatis aut ex illis de rota committi facere, ne iura ecclesiae meae per adversarios meos opprimantur. Aliud in praesentiarum scribendum non occurit. Commendo me eidem dominationi vestrae quam feliciter valere cupio. Venetiis, XIII Februarii. 475.(478) Maffeo Vallaresso ad Alvise Rosa Roma, 11 giugno 1463 Da Roma M. V. scrive ad Alvise (Ludovico) Rosa, spiegandogli di essere in difficoltà causa le calunnie su di lui riversate a proposito dell’eredità del vescovo di Nona [1]; M. V. non ritrova più la cedola con il computo di quanto versato a frate Antonio (da Siena); perciò chiede a Ludovico di rivolgersi a detto Antonio per ottenere da lui un altro documento con il computo esatto di quanto versato, che sia identico al documento già stilato; chiede inoltre a Ludovico di approntargli a sua volta una cedola nella quale sia dichiarato quanto M. V. gli ha versato, cioè 140 ducati [2]. /557/ Ad Ludovicum Rosa illustrissimi dominii secretarium. [1] Qua integritate, sinceritate, diligentia usus fuerim in bonis olim reverendissimum domini episcopi Nonensis avunculi tui administrandis, novit Deus et tu una cum fratre Antonio idem scitis. Nec te etiam praeterit quod omnes honestos ac iustos favores quos impartiri vobis potui, libenter id fecerim, nec in aliquo gravari conscientiam meam sentio. Verum, quoniam ex nefaria insinuatione quam improbissimi homines (archidiaconus meus una cum abbate Sancti Grisogoni de Hyadra) domino thesaurario camerae apostolicae de me iam pridem fecerunt, non mediocre honoris detrimentum passus sum, praesertim occasione pecuniarum tibi et dicto fratri Antonio persolutarum. Reprehensus enim sum quod id fecerim, sed de debito tibi persoluto expurgavi me ut melius licuit. Super illo fratris Antonii liquidando ac declarando stamus et incumbimus. [2] Ceterum, quia computum illum fratris Antonii repertum in capsa dicti olim domini episcopi in scripturis istuc allatis non invenio, neque meminisse possum ubi sit relictum quidve secutum fuerit de eo, pro iure amicitiae nostrae ac pro honore meo instaurando obnixe rogo te ut teneas modum quod dictus frater Antonius faciat mihi alium computum preci/558/se ad formam et tenorem prioris, et quod nihil ab illius tenore discrepet, et ita factum quam primum mihi transmittas fecerisque rem gratissimam. Praeterea ne aliquem errorem dictus fra­ter Antonius in novo computo extrahendo commitat, advises eum quod per librum rationum manu tua scriptum hic apparet quod restum eiusdem est in ducatis quos restat habere. Ut igitur computum congruat cautio est adhibenda. Postremo quia nullam quotationem fecisti mihi de rebus a me habitis ratione fideiussionis tuae, rogo te ut per instrumentum publicum doceas te habuisse omnes illas res quas habuisti ad summam ducatorum centum quadraginta, insi­mul cum aliis pecuniis quas habuisti occasione crediti. Idem ut faciat frater Antonius nobis aliam de debito sibi persoluto supra modum affecto. Ex Urbe, XI Iunii MCCCCLXIII. 476.(479) Maffeo Vallaresso a Giacomo Bragadin Roma, 20 giugno 1463 M. V. scrive a Giacomo Bragadin, neoeletto vescovo di Nona, in merito a un episodio disdicevole: il vicario di M. V. (Filippo Maria: cfr. epistola seguente) in occasione del funerale di un nobile si è arrogato un ufficio che doveva spettare invece al Bragadin; il vicario ha già scritto a M. V. per scusarsi e addurre alcune oggettive motivazioni; M. V. tuttavia, a tutela dell’onore di Bragadin, respingerà queste pur giuste spiegazioni [1]; causa dell’accaduto sono due laici, di nome Soppe e Bartolazich, i quali volentieri confliggono con i presbiteri; pertanto il Bragadin tolleri quanto successo, né riversi su M. V. la responsabilità [2]. /558/ Ad reverendum patrem dominum Ia[cobum] Brag[adenum] episcopum Nonensem. [1] Superioribus diebus accepi litteras reverendae paternitati vestrae datas ex Hyadra, ex quibus intellecto scandalo quod erat secutum in funere cuiusdam nobilis, et cetera, molestissimum dixi erratum vicarii mei qui, sicut in aliis omnibus facere debet, ita in ea oratione absolutoria /559/ cessisse debuerat eidem reverendae vestrae paternitati. Et, quanvis idem vicarius pro excusatione facti sui statim ad me scripserit, probans multis rationibus id se iuste ac honeste fecisse, ego tamen, magis carum habens honorem vestrum, excusationes suas et rationes quas allegat aversor et respuo. Scripsique ad eum ita et taliter quod bene intellexisse potuit id mihi disdicuisse. Est bonum verum quod idem dicit nonnullos ex clericis nostris ei persuasisse quod ad eum spectabat ius illius orationis et quod alias ita usitatum fuit et cetera. Ad quod me rescriptum sibi fuit quod non debebat adhaerere talibus persuasionibus clericorum, quorum opera ad id maxime tendit ut scandala suscitentur prout factum fuit. [2] Verum, scandalum si quid fuit, factum et auctum constat temerita­te improbissimorum hominum Soppe et Bartholazich, quorum ingenium pessimum ecclesiasticis viris libenter obluctatur. Quod cum ita sit, dominatio vestra debet facilius tolerare. Nam strenui ducis est non costernari uno ictu modici erroris et potius ex imprudentia et instigatione aliorum processi quam ex contemptu honoris vestri, quem ego perinde ac meum carissimum habeo. Alioquin, si dominatio vestra dictum officium respueret, videretur indignari ac totum illum errorem mihi ipsi imputare, quod non debet. Eundem itaque rogo ut postquam inco/560/lumis Hyadram revertetur, dignetur officium suum exercere et supplere defectum absentiae meae, eritque mihi gratissi­mum ut nil supra. Valete in Domino Iesu. Ex Urbe Roma, die XX Iunii MCCCCLXIII. 477.(480) Maffeo Vallaresso a Filippo Maria Roma, 20 giugno 1463 M. V. ha ricevuto dal suo vicario, Filippo Maria, la lettera di scuse per l’errore compiuto (cfr. epistola precedente); lo ammonisce a non fidarsi di chi pratica la chiesa solo nelle festività; se il comandante è assente, capita spesso succedano cose che non sono nell’uso [1]; le giustificazioni addotte da Filippo Maria sono frivole: il vicario deve onorare chi sostituisce (locumtenens) M. V. (cioè il vescovo di Nona, Giacomo Bragadin) [2]; al vicario M. V. ha conferito la iurisdictio, invece al vescovo (Bragadin) ha conferito l’ordo; in base alla iurisdictio Filippo Maria non ha potere di assoluzione [3]; è vero, come dice il vicario, che un regno non può tollerare due re; ma M. V. non ha ceduto né a lui né al Bragadin il suo regno, il quale, peraltro, appartiene non a M. V., ma a Gesù Cristo [4]. /560/ Eximio doctori domino Filippo Mariae vicario nostro. [1] Litteris tuis prolixius scriptis ad excusationem erroris tui breviter respondemus nobis placere ut, quam citius sine evidenti periculo fieri possit, revertaris Hyadram. Nec fides cura et regimine eorum quos loco tui subroga­visti. Scis enim eos homines ut plurimum solitos domi et in umbra se conti­nere, raro autem ad ecclesiam convenire, nisi sit dies celebris aut natalitius. Ubi autem imperator non adest in exercitu, citius ea sunt quae non sunt ex usu, hoc est utilia quam ea quae sunt opus, hoc est quae sunt opportuna et necessaria. [2] Tot rationes per te allegatas pro excusatione scandali sequuti in illo funere bene intelleximus easque frivolas putamus. Et licet dicas te non debere habere minorem iurisdictionem in absentia nostra quam habes in praesentia, respondemus quod ita debes locumtenentem nostrum honorare sicut et personam nostram. Si in praesentia nostra eandem orationem tibi dicere non licet (et tamen praesentibus nobis et ius das et /561/ causas audis), idem facere debes in praesentia domini episcopi et ita sit ubique. [3] Quanvis autem totalem iurisdictionem tibi crediderimus, hoc est ea commiserimus quae sunt iurisdictionis conferendo beneficia et privandi non dedimus, ita domino episcopo dedimus ea quae sunt ordinis, sed in ea oratione dicenda requiritur tam iurisdictio quam ordo vel ordinis potestas. Tu enim absque ordine in foro conscientiae non potes absolvere, etiam in qualibet abso­lutione uteris medio quodam ministerio eius qui habet ordinem. Honestius est ergo et ad maiorem populi devotionem conducibilius ut praesenti episcopo cedas et ut ita facias omnino volumus et mandamus. [4] Quod dicis «regnum non capit duos», verum dicis. Sed quilibet rex bene potest habere plures duces et satrapas. Ego enim non cessi ei, neque tibi regnum – quanquam regnum meum non est meum sed potius patrimonium domini Iesu Christi – de his satis. De Turcis, qui non longe absunt a finibus vestris, ac de peste, quae ali­quantulum serpit intra moenia Hyadrae, angimur supramodum ac proinde Deum inmortalem quaesumus et oramus ut non respiciat peccata hominum et nostra, sed secundum magnam misericordiam suam propitius sit nobis, et aver/562/tat furorem irae suae a populo suo. Praecipias clero et monasteriis quod omnes faciant orationes et quod dicantur letaniae qualibet die. Vale. Ex Urbe Roma, die XX Iunii MCCCCLXIII. 478.(481) Maffeo Vallaresso a Tommaso Piccolomini Roma, 30 luglio [1463] M. V. scrive a Tommaso della Testa Piccolomini, per comunicargli che ha inviato secondo le di lui indicazioni una lettera al cardinale Bessarione (cardinal Nicenus), al vescovo di Verona (cioè Ermolao Barbaro), e al vescovo di Siponto (cioè Nicolò Perotti). /562/ Venerabili domino Thomae de Picolominibus domini nostri cubiculario. Quae paternitas vestra iussit diligentissime curavi ut litterae ipsius ad reverendissimum dominum cardinalem Nicenum et dominos Veronensem et Sipontinum per tabellarium fidelem transmitterentur cum meis. Quod autem vestra paternitas pro sua singulari humanitate dicit honorem meum se com­mendatum habituram, gratias ei ago atque habeo neque aliter facturam pater­nitatem vestram quam quemadmodum scribit spero. Aliud scribendum non occurit nisi ut dominatio vestra me inter suos habeat et tamquam de re sua de me disponat. Ex Urbe, die paenultimo Iulii. 479.(482) Maffeo Vallaresso a Ermolao Barbaro Roma, 30 luglio 1463 M. V. scrive a Ermolao Barbaro, vescovo di Verona, per comunicargli che ha adempiuto l’incarico di trasmettere una sua lettera a Tivoli; ha curato che il signor Tomeo rispondesse, e allega alla presente la risposta; M. V. offre a Ermolao i propri servigi. /562/ Ad reverendum dominum Hermolaum episcopum Veronensem. Raras vestras easdemque brevissimas legi. Quod iniuxit mihi reverenda dominatio vestra, transmisi litteras ipsius Tibur per magistrum cursorum. Aliamque curam ultro mihi assumpsi ut ad ipsas litteras responderetur a domino Thomeo et ita factum est. Cuius litteras his alligatas invenietis. Si quid aliud reverenda dominatio vestra /563/ hic per me fieri iubet, licet alii non desint eidem qui eius negotia prudenter curent, puto neminem habeat hic qui ea diligentia uteretur, qua ego uterer si opus esset pro honore ipsius dominationis vestra, cui me commendo atque trado. Ex Urbe Roma, die paenultimo Iulii MCCCCLXIII. 480.(503) Simone da Ragusa a Maffeo Vallaresso Roma, 12 agosto 1463 Il cappellano Simone (da Ragusa: cfr. ep. n° 488) trovandosi a Roma, scrive a M. V., appellandosi ancora alla sua nota benevolenza; gli invia in allegato una supplica per ottenere una dispensatio (il «provvedimento dell’autorità ecclesiastica mediante il quale il beneficiato viene esonerato dall’osser­vanza di una norma generale in un caso particolare, a causa di determinate circostanze che sugge­riscono (…) di consentire un’eccezione alla legge», secondo Edoardo Baura); M. V. ne valuti il costo: se non eccederà i 12 ducati, Simone prega M. V. di sottoscrivere la supplica e inviarla a spese di Simone [1]; non ha voluto in questa circostanza disturbare il cardinale (Pietro Barbo); dà notizia dei familiari; è deceduto oggi il cardinale di Santa Susanna (Alessandro Oliva Sassoferrato) [2]. /599/ Mapheo archiepiscopo Hyadrensi, presbyter Sy[mon] capellanus. [1] Reverende in Christo pater et domine mi primarie post com[munem]. Vestra erga me singularis humanitas facit ut, licet a reverendissima dominatio­ne vestra multa acceperim magnae liberalitatis pignora monumentaque, /600/ tamen in futurum nihilo minora sperem. Ne autem multis utar verbis – apud eum precipue cui verbositas odiosa haberi consuevit – quod cupio a reverendis­sima dominatione vestra, hoc quidem est: his alligatam mitto vobis copiam supplicationis dispensationis meae, ut dominatio vestra, una cum domino Ia[cobo], videat quantum constare possit eius expeditio. Si non excedet XII ducatos, vellem quod dominatio vestra faciat eam signari et expediri meis sumptibus. Habeo enim illud ratium,ad praemittenda duxi optimi Dei benignitatem haec verba suspensa esse videntur nec congrue conligata cum sequentibus. quod facile vendere possum ducatis VIIII in X. Puto mihi conducibilius fore has pecunias in eam dispensationem convertere propter mille respectus qui possent accidere. Si poterit ampliari illa gratia erit optimum. Qua in re dominatio vestra reverenda sumet non nihil laboris, sed mihi faciet rem ita gratam, ut hoc tempore gratiorem facere nequeat. [2] Reverendissimi domini cardinalis nolui uti opera aut ope hac in re que aeque bene ac prudenter fieri potest per vos. Ipsum autem reverendissi­mum dominum /601/ cardinalem puto utilius reservare ad beneficiolum ali­quid obtinendum, si fors tulerit. Aliud quod scribam non succurrt mihi. Vestros reviso quotidie, bene se habent. Presbyter Sy[mon] domo nusquam digreditur nisi ex magna necessitate. Monui autem eum ut, quotiens foras ei eundum sit, fenestram camerae et studii obtrudat et ita facit. Hodie hic rela­tum est reverendissimum dominum Sancte Susanae vita functum ex febribus. Igitur custodiat se dominatio vestra et caveat a fructibus. Domino Iacobo nihil scribo, cum praesentes utrique poterunt esse convenientes, cui etiam me commendatum esse cupio. Valeat reverenda dominatio vestra et me inter suos habeat sicut consuevit. Ex Urbe, die XII Augusti MCCCCLXIII, raptim. 481.(483) Maffeo Vallaresso a Girolamo Vallaresso, benedettino Roma, 8 settembre [1463] A Girolamo, monaco Benedettino (che gli è diretto cugino da parte paterna, e che è dunque un Vallaresso), M. V. scrive una consolatoria per la morte del padre di lui, zio di M. V. (si tratta di Zaccaria, cui si addice bene la descrizione di politico eminente); il dolore è comune, e la luttuosa notizia ha quasi travolto M. V. [1]; il padre di M. V. (Giorgio) è ormai anziano e indebolito, dunque era Zaccaria a costituire un baluardo per la famiglia [2]; Girolamo consoli i suoi fratelli, il padre di M. V., i familiari; M. V. non abbandonerà mai la zia (intendendo una sorella di Zaccaria e di Giorgio: amita) e i cugini, agirà come se lo zio Zaccaria fosse ancora in vita [3]. /563/ Religioso domino Hieronimo ordinis Sancti Benedicti. [1] Etsi sciam adversam fortunam te pro tua singulari prudentia mode­stissime ferreae Sive enim abbas Sancti Grisogoni] Abbas Sancti Grisogoni mg. neque hortationibus meis in hoc acerbissimo bonae memoriae optimi parentis tui, patrui mei, casu indigere, mea tamen interesse putavi tantum vulnus communemque dolorem tecum non praeterire silentio. Nam, cum altiorem et perfectiorem gradum in domo Dei obtineam, fortioris animi maiorisque virtutis exempla ceteris praestare debeo. Non possum non fateri, mi Hieronyme, ubi luctuosissimum de morte patrui mei, communis patris, nuntium accepi, mox me incredibili dolore confectum esse ac paene exani­matum, ut vix respirare sine gemitu et singultibus queam. Sive enim respicio bonum publicum sive privatum, mors eius deflenda est singularis, quantum erat vita /564/ ipsa optanda. Quid dicam de familia nostra, quam eius persona ornabat ac illustrabat? [2] Pater meus restat, sed est iam senio confectus, cui labores corporis minuendi sunt. Patruus erat nobis pro muro stabili, pro clipeo morti, pro portu securissimo. Patruo utebamur auctore, fautore consilio. Nunc eius morte tot simul ornamentis, tot bonis, tot commodis privati sumus. Haec ego tecum, suavissime Hieronyme, pro communi nostra sive consolatione sive potius mutua doloris communicationi. Est autem unica duntaxat conso­latio quae potest huc adduci et accomodari pro remedio nostri maeroris memoria, scilicet recte factorum eius et vitae bene actae. Summa in eo pru­dentia fuit, maxima reputatio in republica, auctoritas in senatu, aequitas in iudiciis, gravitas in moribus, in omni denique vita suavitas et humanitas. [3] Haec si consideremus et a lacrimis temperabimus et nimios gemitus deponemus, quippe quia flagrantior aequo non debet esse viri dolor nec vul­nere maior. Subest nunc, frater carissime, ut tu, qui et per aetatem et per illuminationem spem tuae sanctae religionis plus sapis, non modo fratres tuos, iuvenes optimos, verum etiam parentem ipsum reliquosque /565/ dome­sticos tuis consolatoriis sermonibus a maerore abducas et revoces ad rationem et consolationem. Ego, quantum est in me, libere polliceor me in omni for­tuna neque amitam meam, neque fratrueles meos de futurum fore. Quibus omnibus consanguinitatis affectum non minus a modo praestabo quam si patruus adhuc nobis superviveret. Meo igitur nomine bonum eis animum ingere meamque voluntatem refer. Vale et ora pro me Deum immortalem. Ex Urbe Roma, die VIII Septembris. 482.(484) Maffeo Vallaresso a Filippo Maria, vicario di Zara Roma, 22 settembre [1463] M. V. informa il suo vicario Filippo Maria che è giunto presso di lui, a Roma, un presbitero, Collano, per invocare grazia presso di lui; Collano infatti, per timore della peste, ha disobbedito a un editto del vicario: teme perciò di essere bandito e di perdere i suoi benefici; M. V. lo ha rimproverato per la sua disobbedienza all’autorità del vicario [1]; considerandone tuttavia le ragioni, e cioè il timore della morte, e considerando il lungo viaggio che si è sobbarcato fino a Roma, M. V. reinvia Collano da Filippo Maria, con l’invito a confessare il suo torto e a fare quanto gli sarà prescritto da Filippo Maria stesso; questi ha agito in maniera più severa del solito, ed è perciò invitato a usare ora misericordia [2]; dunque il vicario perdoni Collano, e lo riam­metta nei suoi uffici; similmente tutti gli altri che abbiano disobbedito e si siano esplicitamente pentiti; M. V. ignora se ci sia qualcuno che non si sia presentato nei tempi stabiliti, ma gli risulta il solo caso di Giovanni Cordiçich: questi riceva un’ammenda pecuniaria, pari a quanto avrebbe speso se si fosse recato a Roma, cioè tre ducati; tale somma sia data ai procuratori della fabbrica per la riparazione del carcere arivescovile; i chierici poveri, che non sono sacerdoti, siano perdo­nati; di tutto ciò il latore della presente non sa nulla [3]; il vicario abbia cura di apparire piut­tosto indulgente anziché temibile, è necessario infatti avere speciale attenzione per i molti uomini dabbene, anziché per i pochi malvagi; ma anche questi, se dimostrino la volontà di redimersi, siano nuovamente accolti [4]; all’atto della sua partenza, M. V. non ha dato facoltà a Filippo Maria di conferire benefici vacanti, o che si siano resi tali; allegata alla presente è una lettere che contiene tale facoltà; sul come amministrarla, Giovanni, fratello di M. V., informerà nel dettaglio Filippo Maria [5]. /565/ Egregio doctori domino Filippo Mariae vicario meo. [1] Nuper huc ad nos venit presbyter Collanus lator praesentium implorandae misericordiae gratia super eo. Qui, cum formidine pestis, quae nondum omnino sedata istic Hyadrae videtur, cuidam edicto tuo, cuius teno­rem ipse asserit se ignorare, non paraverit, dubitavit se incurrisse poenas in eodem contentas, quas quidem coniectat esse bannum ad aliquod tempus et privationem beneficii sui et cetera, quales aliis inflictae fuerunt non parenti­bus alteri tuo edicto. Et propterea idem exponens reputando se incidisse tuam indignationem ex /566/ contumacia praedicta, consulere volens rebus suis ut supradictum est, duxit ad praesentiam nostram recursum habendum. Nos enim profecto increpavimus ac tantam eius contumaciam culpavimus, ostendentes nobis vehementer displicere, prout in rei veritate displicet qui­cumque mandatis tuis, maxime iis quae fiunt pro honore Dei et commodo ecclesiae, non oboedierit. [2] Verum, attendentes ad eius humilitatem considerantesque quod sicut ipsemet firmiter asseverat non ideo non paruit edicto tuo ut illud vide­retur contemnere, sed quia mortem tanquam mortalis timebat, compatientes imbecillitati eius, habito etiam respectu ad laboriosum iter quod assumpsit Romam usque, quod computamus ei in poenae sibi inflictae et paenitentiae locum, duximus eum ad te remittendum, nihil ulterius animum nostrum ei declarando, sed tamen praecipiendo ut confiteatur suum errorem coram te et culpam adversum te perpetratam cum debita humilitate, et quod tandem faciat id quod sibi a te iniunctum fuerit. Et quia credimus ac persuademus nobis te tam contra ipsum presbyterum Collanum quam contra reliquos gra­vius processisse quam consuevisti, non quod mens tua fit ut eadem poena locum irrevocabiliter obtineat, sed ut /567/ ipsi inoboedientes terreantur et ad aliquod tempus affligantur, videtur nobis honestum ut iudex spiritualis post acerbitatem correctionis etiam misericordiae oleum adiungat. [3] Volumus proinde ut praedicto presbytero Collano omnem poe­nam, sive carceris sive exilii sive pecuniarum et aliam quamcumque per te inflictam, tua sponte remittas et ad misericordiam recipias, ad missarum quoque celebrationem et divina officia venire permittas. Similiter etiam cete­ris presbyteris eidem edicto tuo tunc non parentibus, formidine mortis ex ea peste imminenti et incursis poenas in eo contentas, si et in quantum se tibi humiliaverint et in spiritu humilitatis imploraverint misericordiam tuam, libere ignoscas eis, alia leviora paenitentia iniuncta eis (ut puta orationum vel ieiunii). Hoc autem, qui non comparuerint in tempore prout erant per edic­tum evocati nescimus, sed intelleximus solummodo quod fuit presbyter Iohannes Cordiçich, hunc ipsum condemnes in poena pecuniaria, videlicet ad solvendum tantum quantum expenderet, si Romam petiturus esset. Quae summa erit ducatorum trium, quam quidem pecuniam des procuratoribus fabricae, archipresbytero scilicet ac /568/ domino Philippo, cum ordine ut reficiant valvas et serram carceris archiepiscopalis, eidem poenae subiaceat quibus alius sacerdos, qui edicto tuo non paruit, excepto dicto presbytero Collano causis et rationibus supra allegatis. Aliis pauperibus clericis non sacerdotibus remissionem plenaria facias. De his omnibus nihl est advisatus lator praesentium. [4] Facies igitur haec praemissa, ut videantur ab humanitate tua potius quam ex mente nostra procedere ad hoc ut et honor tuus conservetur et cum dictis pauperibus mitius agatur. Hortamur praeterea teaf sive frater Marianus de Senis] Frater Marianus de Senis mg. ut te quantum fas est erga omnes clericos exhibeas benignum ac humanum potiusque ab eis amari quam timeri contendas. Debemus enim respectum habere ad plures bonos, potius quam ad paucos pessimos, ut est archidiaconus et presbyter Lucas. Quibus etiam, non obstante ipsorum nequitia, si et in quantum se retrahere a sua nequitia, perfidia et improbitate, et velint vivere in pace et in caritate non ficta, parati sumus eos in gratiam recipere et portare dilectionis affectum, qualem initio ante dissidium portabamus. De his satis. [5] Ad haec meminimus in nostro recessu nullam tibi mandasse /569/ facultatem conferendi beneficia vacantia, vel quae vacare contigerit. His alli­gatas litteras nostris patentes facultatem huiusmodi continentes mittimus tibi. Collationes tamen ipsas facias illis personis prout dicet tibi dominus Iohannes germanus noster, cui super hac materia animum nostrum clarius aperuimus et declaravimus a cuius consilio et opinione nequaquam discrepes. Vale. Iterum dicimus tibi ut presbytero Collano nullam aliam inferas mole­stiam. Sufficit enim eum huius itineris fatigatione affectum. Nam nemo debet conteri duplici conductione et cetera. Statim igitur eum admittas ad gratiam. Ex Urbe Roma, die XXII Septembris. 483.(485) Maffeo Vallaresso a Luca Moro Roma, 22 settembre 1463 Nelle recenti elezioni Luca Moro ha ottenuto la pretura di Zara; M. V. si complimenta con lui, dispiaciuto dall’essere lontano dalla diocesi e non poterlo perciò di persona accogliere; Luca usi i beni di M. V. come un padre usa i beni di un figlio, e abbia cura della sua chiesa. /569/ Magnifico domino Lucae Mauro comiti Hyadrae designato. Intellexi nuper ex litteris meorum magnificentiae vestraeaa Nam hereditas ~ vix ascendebat 800 florenos] Informatio vera incipit de spoliis quae fuerunt comperta mg. in comitiis proxime habitis praeturam obtigisse Hyadrensem. Quanquam autem opinio mea de vobis sit multo maior eandemque magnificentiam vestram ampliori dignam honore putem, gaudeo tamen quod accidat vos magistratum obtinere in ea civitate, in qua ipse spiritualis et ecclesiastici regiminis gubernaculum teneo. Nam et spiritualia temporalibus adiuvantur et temporalia sine spiritua­libus recte consistere /570/ nullo modo possunt, proindeque in spem optimam venio me pro vestra singulari probitate proque antiqua amicitia et vicinitate, quae propinquitatis loco solet haberi, non mediocrem voluptatem ex vestra bona societate habiturum. Illud mihi molestum est, quod in adventu vestro Hyadrae non adero, ut ingressum vestrum quantum cuperem et possem hono­rare prosequerer. Ceterum, si quid vel nunc absens vel paulo post praesens valeo, utimini me et archiepiscopatu meo ea fide, ea securitate, qua rebus et persona filii utitur pater. Ecclesiam interim meam, simul cum personis eidem deservientibus, commendo magnificentiae vestrae quam et feliciter valere cupio. Datum Romae, die XXII mensis Septembriis MCCCCLXIII. 484.(486) Maffeo Vallaresso a Giovanni Scaffa Roma, 16 novembre 1463 M. V. rassicura Giovanni Scaffa, vescovo suffraganeo di Arbe, il quale teme, per qualche motivo, che M. V. non gli sia più favorevole [1]; ha ascoltato il primicerio di Giovanni Scaffa, il quale ha parlato a nome di Giovanni stesso; la questione, in sostanza, riguarda le decime: si chiede a M. V. di non esigere altro in più di un debito (ma la sintetica espressione è ambigua); M. V., pur comprendendo l’esiguità delle risorse della chiesa di Giovanni, non può tuttavia soprassedere ai diritti della propria stessa chiesa; provveda perciò un equo giudice a fare da moderatore e a decidere in merito [2]; M. V. avrebbe volentieri assistito nelle sue necessità il primicerio; chiede infine che sia recata una lettera all’arcipresbitero di Pag, suo vicario in quell’isola, e che quindi sia recata a suo fratello a Zara [3]. /570/ Ad reverendum patrem dominum Iohannem episcopum Arbensem suffraganeum. [1] Libens perlegi litteras vestras quas nuper mihi attulit vir bonus et frugi primicerius vester, gratumque fuit in primis intellexisse etiam paterni­tatem vestram recte valere et eandem optare de me aliquid sentire novi. Sic enim scribitis. In quo vestrum erga meab Debitorum erat summa non mediocris] ratio mg. antiquum ostenditis amorem. In eo autem quod dicitis me aliter de /571/ vobis sentire, subdubitare plane videmi­ni de animo meo, quasi velitis inferre me abalienatum esse a vobis amorique vestro non respondere. Ad quod sentiendum non video quid causae vos impellat. Nulla enim unquam nobis contentio fuit, lis nulla vel de minimo regno. Merita vero mea in paternitatem vestram non obscura, sed multis nota, quae a me non sunt commemoranda, praesertim cum tot et tanta non sint ut ego multo plura et maiora esse non velim. Quemadmodum igitur eidem paternitati vestrae vera afficior caritate, ita de sua in me optima volun­tate nihil dubito. [2] Eundem primicerium vestrum attentissime audivi quaecumque vestro nomine dicere voluit, cui etiam accommodate puto me ad omnia respondisse, ut non sit opus id aliter litteris explicare. Summa omnium est ex illis decimis praeter iuris debitum me cupere nihil contentumque esse ut causa committatur de iure cognoscenda. Quanvis enim tenuitatem introituum ecclesiae vestrae pie respicio, non possum tamen absque offensione animae iura quaecumque sint ecclesiae quoque meae, quasi conniventibus oculis, praetermittere. Moderator tamen omnium ac mediator /572/ poterit esse iudex iuris interpres aequitatisque minister. Aliud in praesentia scribendum non succurrit mihi. [3] Primicerio vestro, quemadmodum ab initio me libentissime gratia vestri obtuleram, favere non segniter astitissem in causa sua, si opus ei fuisset, paratum me pollicens paternitati vestrae et in reliquum tempus quamdiu hic sum. Litteras his alligatas cupio atque rogo ut per aliquem ex vestris clericis Pagum domino archipresbytero, eiusdem loci vicario nostro, mox mittatis, cum instantia ut inde Hyadram germano meo statim mittantur. Valete. Ex Urbe, die XVI Novembris MCCCCLXIII. 485.(487) Maffeo Vallaresso a Zoilo de Ferra Roma, 24 febbraio [1464] Lettera di condoglianze a Zoilo de Ferra. M. V. avrebbe voluto usare un genere di scrittura diverso, ma è Dio a decidere della morte, come è successo al padre di lui, amicissimo di M. V.; giova dunque scrivere per esprimere il proprio dolore, e perché Zoilo comprenda quanto abbia amato il di lui padre, Filippo [1]; M. V. è addolorato come se avesse perso un fratello; quando tornerà a Zara non troverà più l’amico, unico amico con il quale poteva pienamente confidarsi [2]; ma, per non eccedere nel lamento, occorre ricordare che siamo nati mortali; nessuna morte è migliore di quella di chi, dopo avere trascorso la sua vita presso i domestici lari, spira nelle braccia dei suoi cari, avendo avuto il conforto dei sacramenti secondo l’uso della cristiana religione: ciò è toccato a Filippo, e ciò tempera il dolore [3]. /572/ Ad nobilem Hyadrensem Zoylum de Ferra. [1] Optarem longe fieri a me hoc scribendi genus ut aliud vel magis laetum vel minus triste complecterer.ac fratri Mariano ms : expectes fratris Mariani. Sed postquam mors ita tulit quando Deo sic placitum est, ut tibi pater, mihi unicus amicus fraterna coniunctus necessitudine, acerbo fato ac intempesta morte e medio vitae curriculo sublatus sit, non putavi mihi praetermittendum ut tanti dolorem vulneris tecum silentio pertransirem, et medius fidius (quanquam non sentio mihi tantum animi /573/ robur inesse ut et ipse a gemitu mihi temperem et tibi consolationis remedium afferam) iuvat tamen hunc maerorem tecum com­municare, ut intelligas, quod satis superque intellegis, quantum dilexerim patrem tuum virum optimum et omni laude dignum. [2] Accepto lugubri nuntio de ipsius morte, ita sum consternatus animo, ita deiectus, ita luctu et angore confectus, ut quotiens mihi cara eius subit imago (subit autem saepius ne dicam continue), totiens doloris gladio confodior, ut, si fratrem aut aliquem strictissimae propinquitatis iure mihi coniunctum amisissem, non exulcerarer maiori dolore. Et cum aliquando mihi in mentem veniat Hyadram redire et admodum non habere Philippum qui mihi occurrat, qui me solitis complexibus excipiat, alloquatur, applau­dat, cui ego omnes meas aperiam cogitationes latius ac ulli hominum in cuius ego colloquiis et sermonibus conquiescam, cum me tanto amico sen­tiam orbatum, ne sperem similem eius unquam posse invenire, discrucior et dilanior eo dolore, cui remedium ipse nec parare nec excogitare queo. Crudeles parcae inviderunt amori nostro ut, altero extincto, alterum in languore propellerent. [3] Verum, ne pluribus utar ad exagge/574/randum utriusque nostrum dolorem, qui maximus est, utar ea consolatione vel potius maeroris tempe­ramento necessario, ut nos meminerimus esse homines ea lege natos, ut aliquando nobis moriendum sit. Sed in eligenda morte nulla est facilior, nulla suavior quam cum quis, peracta integre vita apud penates domesticos, inter brachia et amplexus carissimorum pignorum spiritum exalat, percep­tis Christiano more expiamentis animae lustralibus sacramentis. Quod cum ita sit actum cum patre tuo, meo autem singulari amico et fratre, non debemus adeo lugere vulgare in modum, ut videamur hunc casum novum et quasi insolitum deplorare cum graviores expectemus, cum de aliis caris­simis nostris tum de nobis ipsis qui legibus eiusdem subiecti sumus. Igitur vale et animum recipe teque eius persimilem reddere cures hereditatem, cuius fortunarum et virtutum simul assequi tibi licet. Romae, XXIIII Februari. 486.(488) Maffeo Vallaresso a Domenico Diedo Roma, 8 maggio 1464 M. V. intende non solo proseguire, ma anche consolidare il legame che Domenico Diedo ha intrattenuto sia con suo padre sia con il suo defunto zio; perciò, alla notizia che Domenico è stato eletto alla dignità di procuratore di San Marco, M. V. ha grandemente gioito. /574/ Ad magnificum dominum Dominicum Diedo procuratorem Sancti Marci designatum. Veterem aut benivolentiam, quae domino genitori meo, aut necessitudinem,ad dictam partem argentariae ad cameram?] ratio mg. quae cum bonae memoriae patruo meo vestrae intercedit magnificentiae, non modo /575/ sedulo prosequi, verum etiam diligentius augere studium est mihi non mediocre. Cum itaque nuper ex litteris meorum didicerim vos ad munus dignitatemque procuratoriam, quae est in alma civi­tate nostra amplissimus honor proximusque ad summum principatum, sane ita gavisus sum, ut in rebus secundissimis meorum propinquorum gaudere liceret. Gratulorque ornamentis et honoribus vestris, confidens in Domino quod pro virtutibus et singulari prudentia vestra, de qua fit maxima in ea republica existimatio, ad maiorem etiam atque etiam provehemini honorem et gloriam. Valete feliciter cuius beneplacitis me offero et commendo. Romae, VIII Maii MCCCCLXIIII. 487.(489) Maffeo Vallaresso a Pietro Ballastro Roma, 8 maggio 1464 M. V. si complimenta con Pietro Ballastro, neoeletto alla prefettura di Zara, e spera di incontrarlo non appena rientrerà nella sua diocesi. /575/ Magnifico domino Petro Ballastro, capitaneo Hyadrae designato. Constituto mihi paulo ante quod senatus consulto magnificentia vestra sit disignata ad Hyadrensem praefecturam,ae per unum suum breve] Quom papa revocat commissionem per breve dictoque abbati committit cui mox oboedivi mg. certe affectus sum gaudio non vulgari gratulorque his brevibus et spero propter famam optimam virtutum ac humanitatis vestrae habiturum me vobiscum suavissimam societatem et consuetudinem. Meum tamen studium erit vos aetatis gratia venerari et ob/576/servare ut patrem. Cum Hyadram rediero, propitio Deo, melius invi­cem revisitabimus mutuisque benivolentiae contendemus officiis. Me interim et mea omnia libenter offero atque dedo vobis, quem et bene valere peropto. Paratus et cetera. Ex Urbe Roma, die VIII Maii MCCCCLXIIII. 488.(490) Simone da Ragusa a Maffeo Vallaresso Ancona, 28 luglio [1464] Simone da Ragusa scrive a M. V. da Ancona, dove è giunto a seguito del cardinale Pietro Barbo il 18 luglio; il giorno dopo il pontefice (Paolo II) ha celebrato una messa solenne. Per quanto attiene alla crociata, non è stato ancora dichiarato verso quale destinazione siano in procinto di partire; attendono il doge di Venezia, alla sua presenza sarà presa una decisione; l’impressione è che il pontefice preferirebbe che il doge non giungesse affatto, per potersi ritrarre dalla spedizione, sia perché non sta bene, sia perché sta per giungere il tempo autunnale; il cardinale Barbo è feb­bricitante, ma ha assunto un medicinale che ha giovato; il cardinale è assai contento di M. V. (l’epistola è edita in Zippel 1904, 179). Mapheo archiepiscopo Hyadrensi presbyter Sy[mon] de Ragusio capellanus. Ad XVIII mensis huius, reverendissimus dominus meus intravit Anconam sospes Dei munere cum familia. Pontifex maximus postridie sol­lemni ritu ac celebri totius civitatis eidem obviantis pompa cum hymnis et canticis spiritualibus fecit introitum. Nondum est aliquid consistorium cele­bratum super facto cruciatae ut fieret aliqua declaratio quo navigaturi simus. Expectatur nam illustrissimus Venetiarum dux, quo praesente eiusmodi capietur deliberatio. Interim stabimus hic expectantes ipsum ducem, cuius adventum pontifex cum domino oratore Venetiarum nihil hactenus sollicitat. Sed videtur id eorum relinquere arbitrio. Credo pontifici magis placiturum si dux non veniret, ut et ipse honeste se retrahere posset ab inceptis, tum quod et beatitudo sua in verum non omnino bene se habet, tum quod bruma instat, ut paulo post ad hibernandum potius /577/ quam ad belligerandum migrare sit necesse, et ita creditur fore ut res hoc anno in fumum evadat. Reverendissimus tamen dominus meus a tribus diebus patitur febres quoti­dianas. Speramus nullum sibi imminere periculum benignitate Dei. Heri accepit medicinam quae operata est ei optime. De reverendissima dominatio vestra optime contentatur. Nam et Romae et hic publice hoc est coram tota familia habuit dicere huiusmodi verba et cetera. Novi aliud ad scribendum nihil occurrit. Reverendae dominationi vestrae me humiliter commendo. Ex Ancona, die XXVIII Iulii. 489.(491) Simone da Ragusa a Maffeo Vallaresso Ancona, 6 agosto 1464 Simone da Ragusa avrebbe voluto scrivere subito, non appena giunto ad Ancona, sperando che un presbitero (An.) presto partisse per recapitare la lettera (s’intende a Zara, dove evidentemente M. V. è al momento rientrato: così già deduceva Zippel, in Le vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, cit., 180, n. 4); ma il presbitero si è attardato contro la volontà di Simone; e poiché unita alla lettera per M. V. ce n’erano alcune indirizzate a un presbitero Si(mone) Pa., nelle quali si faceva cenno a questioni relative all’abate, e in particolare a una diffamazione compiuta da questi a danno di un N. Paxino, Simone da Ragusa ha giudicato pericoloso affidare quel fascicolo al priore di San Crisogono; pertanto la lettera viene recapitata a M. V. dal genero di un Radovan [1]; il cardinale Pietro Barbo è stato male; così anche Dionisio; Giovanni da Parma è morto a causa della peste; il cardinale ha assunto una medicina che gli ha giovato; Giovanni da Crema è stato inviato a Osimo [2]; il 4 agosto è giunto il nunzio di M. V., cioè il presbitero Simone, recando dieci ducati; il cardinale, in via di guarigione, è stato subito informato, e ha grandemente lodato M. V. (le sue parole sono riportate in forma diretta, in un discorso caratterizzato da alcune lacune in corrispondenza di attesi numerali, e da un evidente anacoluto: Qui, promitto tibi, fecerunt mihi bonum servitium resta sospeso): l’arcivescovo M. V. ha spontaneamente contribuito a finanziare la galea del cardinale, nono­stante debba fronteggiare una lite con quel ribaldo del suo avversario, e proprio perciò il cardi­nale nulla gli aveva chiesto; il cardinale non avrebbe voluto accettare il dono, che M. V. ha fatto concretamente consegnare al momento della sua partenza (evidentemente alla volta di Zara); il cardinale è costretto ad accettare, vista la situazione nella quale si trova, ma verrà il momento in cui potrà ripagarlo [3]; alle parole del Barbo, Simone da Ragusa ha risposto che M. V. si considera una creatura del cardinale, e avrebbe offerto di più, se solo avesse potuto; il Barbo ha quindi ricevuto il messo di M. V., ha letto la sua lettera, ha ripetuto al messo le stesse parole precedentemente dette; Simone, il messo, ha risposto che M. V. nulla sapeva della malattia del cardinale, altrimenti sarebbe venuto di persona a visitarlo; il cardinale ha replicato di non voler mettere a repentaglio la salute dell’arcivescovo, e ha aggiunto di avere un grande desiderio di una confezione di gelatina (cioè di pesce in savor); il cardinale, insomma, farebbe ogni cosa per poter remunerare adeguatamente M. V. [4]; Gli dà notizie da Roma, avvertendolo che Niccolò Piccolomini (dominus Beneventanus) è morto, e che nessun cardinale si trova più in città, tranne Giovanni Carvajal (dominus Zamorensis);Girolamo Lando (dominus Cretensis) ha assunto l’ufficio di vicecamerlengo; è giunto sia Angelo Fasolo sia Giovanni Condulmer [5]; il pontefice è ancora febbricitante; non si è celebrato alcun concistoro, se non uno brevissimo in merito ad alcuni benefici in Spagna; è atteso il doge di Venezia, quando questi arriverà, il pontefice prenderà una decisione sulla crociata – Simone da Ragusa si augura che il progetto per il momento sia rinviato [6] (edita in Zippel 1904, 179-181). /577/ Idem ad eundem. [1] Ut primum huc loci advenimus et pro debito servitutis meae quam debeo et pro singulari affectione quam gero erga dominationem vestram reve­rendam, statim parare studui litteras ad eandem, quibus edocerem eam de appulsu nostro et de rebus occurrentibus, sperans presbyterum An. propedi­em hinc recessurum. Qui, cum praeter opinionem meam pro bullis contra sententiam meam expediendis remansisset, litteras ipsas, quanquam nihil importarent, quia tamen erant nonnullae aliae ad presbyterum Sy[monem] Pa. eis circunligatae facta abbatis tangentes ob diffamationem N. Paxini per ipsum abbatem factam indebite, /578/ non putavi tutum fore huiusmodi lit­terarum fasciculum prioris Sancti Grisogoni fidei credere atque committere. Alium neminem habui per quem ad reverendam dominationem vestram scribere possem praeter hunc qui est gener Radovani. Si quis ex clericis cum hoc ipso navigio revertetur, is erit praesentium lator. [2] Itaque post alteras litteras ad dominationem vestram reverendam breviter et ex tempore scriptas, haec scribenda succurrunt. Reverendissimus dominus meus gravissimam febrium passus est aegritudinem, ita ut et ipse et nos omnes de ipsius salute spem non optimam immo dubiam admodum haberemus. Dionysius statim et ipse aegrotavit deinde convaluit. Subsecutus est eum Hugo credentiarius, qui et mortuus est ex febribus et lassitudine itineris. Paulopost dilectus socius meus Iohannes Parmensis peste correptus, domo statim exportatus, heri mane spiritum exalavit. Reverendissimus domi­nus a febribus liber evasit, nudius tertius medicinam sumpsit, quae prospere salubriterque operata est ei, adeo quod extra omne periculum invenitur. Consideret reverenda dominatio vestra in quantis versatis sumus anxietatibus, convalescente nunc domino respirare iam incipimus. Iohannes Cremensis, qui simul in una camera dormiebat cum ipso Iohanne, mutandi caeli gratia missus est ad oppidum Osimi. Reliqui omnes /579/ recte valemus in hanc usque horam. [3] Ad quartum mensis huius nuntius reverendae dominationis vestrae presbyter Sy[mon] cum pecuniis, scilicet ducatos X, et litteris eiusdem domi­nationis vestrae praesto fuit in tempore opportuno, cum reverendissimus dominus iam convalescere incipiebat. Statim significavi ipsiaa ratium ms : fortasse ratum corrigendum. r[everendae] d[ominationi] de adventu dicti nuntii deque pecuniis missis. Tum reveren­dissimus dominus respondit mihi haec verba: «Vere equidem magis teneor huic arc[hiepiscopo] quam cuiquam meorum. Licet enim potuissem facere fieri ad eum unum brevem ad contribuendum galeae meae, considerans tamen quod bonus homo, indebite vexatus per illum ribaldum, habebat litem in curia et verisimiliter multas occasione huiusmodi exposuerat pecunias, duxi excipiendum ipsum. Nihilominus idem arc[hiepiscopus] pro sua erga me affectione, quod nullus alius fecit, sponte obtulit mihi ducatos . . . .ba Etsi sciam ~ modestissime ferre] Consolatoria pro morte patris, lege principium mg. quos ego neque acceptare neque respuere volui. Ille tamen, volens oblationem suam non esse verbalem, violenter intulit mihi ducatos . . . . in suo recessu. Qui, promitto tibi, fecerunt mihi bonum servitium, quia (ut novit Dominus), non habebam tunc ultra ducatos . . . . quos pro viatico reservaram itineris huius, nec fuit intentio mea quicquam ulterius recipere, nunc talia superve­nerunt et aegritudo mea ac familiarium meorum /580/ et multae aliae expen­sarum occasiones, quare necesse est mihi et hoc alios . . . . recipere. Veniet quandoque tempus, quemadmodum spero, ut possimus cumulata mensura debitas rependere vices». [4] Ad haec ego brevibus respondi dicens quod reverendus dominus arc[hiepiscopus] libera voce continue profitetur creaturam esse reverendissi­mae dominationis vestrae eique in maioribus teneri. Summam autem prae­dictam libenti animo et obtulit et persolvit maioremque obtulisset ac persol­visset, si pecuniosior inveniretur. Tum iussit ad se venire nuntium dominationis vestrae a quo acceptas litteras vestras legit. Quibus perlectis, quasi eadem verba ipsi nuntio replicavit, quae pauloante dixerat mihi. Presbyter Sy[mon] satis modeste quemadmodum dominatio vestra sibi iniunxerat respondit, adiciens quod dominatio vestra de aegritudine ipsius nihil penitius noverat, quod si novisset proculdubio ad visitandam eam venisset. Reverendissimus dominus respondit ei quod non esset opus ut se arc[hiepiscopus] periculo exponeret ac labori huc veniendi. Deinde dixit: «O si haberem unum coclear gelatinae, quanta est aviditas mea eius comeden­dae, credo me subito resanatum». Ad extremum dixit mihi ut pecunias cape­rem, et nuntium retinerem continuo hospitio, prout feci. Haec omnia reve­rendae dominationi vestrae narrare volui sub brevitate, resecans multa alia verba hinc inde dic/581/ta. Ex quibus omnibus libere concludo reverendissi­mum dominum valde ac vehementer affici d[ominatione] v[estra], pro qua remuneranda et ornanda, si fors accideret, non dubium quin viriliter stre­nueque elaboraret. [5] Habemus nova ex Urbe. Dominus Beneventanus vicecamerarius vita functus diem obiit extremum. Item dominus Sy[mon] magister domus reverendissimi domini Niceni, pestis Romae invalescebat praedicti tamen ex febribus decesserunt. Nullus revendissimorum dominorum cardinalium est in Urbe, praeter dominum Zamorensem, qui et ipse propediem erat fugam capturus. Hic locus non est sanus a febribus et peste multi quotidie moriun­tur, sed nullus magnae vel mediocris auctoritatis, praeter unum scriptorem apostolicum de Poris. Dominus Cretensis vicecamerariatus officium resum­psit. Mothonensis nuper advenit, post eum dominus Io[hannes] Condul[marius], qui est in domo nostra. [6] Pontifex maximus non est sine febribus lentis, ut audivi ex eius medico. Nullum hactenus consistorium est celebratum praeter unum et illud breve super quibusdam beneficiorum provisionibus in Hispania factis. Illustrissimus Venetorum dux dietim expectatur. Quo praesente capiet pon­tifex saniorem deliberationem in facto cruciatae et expeditionis contra Turchos inchoatae, /582/ quae tandem (ut auguror) evanescet pro hoc anno. Aliud novi nihil accidit memoratu dignum. Ex Ancona, die VI Augusti MCCCLXIIII. Festinantissime. 490.(492) Simone da Ragusa a Maffeo Vallaresso Ancona, 12 agosto [1464] Simone da Ragusa informa M. V. che, dopo la precedente sua lettera, è venuto a mancare il patriarca di Venezia (Andrea Bondumier); a quella carica aspira ora Girolamo Lando; il vescovo di Torcello (Domenico Dominici) aspira ad un arcivescovado; da Venezia si chiede di rimandare la decisione (relativa alla crociata); il vicecancelliere (Rodrigo Borgia) è ammalato; il cardinale con titolo di San Pietro in Vincoli (Nicolò Cusano) si trova a Todi, anch’egli ammalato [1]; il vescovo di Nona (Giacomo Bragadin) è giunto ad Ancona per omaggiare il cardinale (Pietro Barbo), ha recato pingui doni, e ha portato buone nuove di M. V.; Simone da Ragusa ha prestato denari al presbitero An. e ad altri, e si trova ora in ristrettezze [2] (edita in Zippel 1904, 181). /582/ Idem ad eundem. [1] Post superiores litteras ad reverendam dominationem vestram scriptas, haec acciderunt. Patriarcha Venetiarum maturam obiit mortem. Ambit Landus id munus consequi, Torcellanus archiepiscopatum pro episco­patu Torcellano, mihi penitus ignotum est quis magis contendit. Reverendissimus dominus ob debilitatem suam, quae maxima est, nihil nego­tii curat nec potest. Hoc mane fieri debebat consistorium super provisionibus huiusmodi fiendis. Verum heri allatae fuerunt litterae illustrissimi Venetiarum dominii, quibus supplicatur pontifici ut supersedeant negotio et ita fiet. Reverendissimo domino vicecancellario nudius tertius pestis exorta est secun­dum aurem sinistrum. Dubitatur de salute ipsius, quanvis afferatur a suis non esse pestem. Si superabitur a morbo, pinguis vindemia erit pontifici maximo et nepotibus. Dii meliora velint. Cardinalis Sancti Petri ad Vincula /583/ Tudertiaa hortamur praeterea te] Suadeo ut cum clericis benignum se exhibeat mg. laborat ex febribus, de cuius vita a suis iam desperatum est, ut heri scriptas ab eis litteras vidi, ad quas etiam respondi. [2] Reverendus pater dominus episcopus Nonensis fuit hic gratia visi­tandi reverendissimum dominum. Attulit certe honorabilem popinam: vitu­los, agnos, pullos, ostreorum saccos et alia nonnulla. Fuit bene usus. De reverenda dominatione vestra fecit ubique relationem bonam. Revertitur ad propria et cum eo simul presbyter Sy[mon] Paxi[nus] et presbyter An., cui mutuavi ducatos VI ad expediendas bullas suas, quas omnino voluit expedire contra consilium meum. Credo eum fecisse impensam frustra. Mutuavi etiam cuidam ex nostris maiorem summulam, ita quod sum absque pecuniis et cetera. Aliud scribendum non occurrit. Domino Io[hanni] me commendari cupio. Scriberem omnibus si mihi vacaret, sed si reverendae dominationi vestrae scripsero, sufficienter puto me omnibus satisfecisse. Calamus tamen nunquam mihi ex manibus excidit, et cetera. Ex Ancona, XII Augusti. 491.(493) Pietro Barbo a Maffeo Vallaresso Roma, 12 agosto 1464 Il cardinale Pietro Barbo affida al cappellano di M. V. una risposta a voce non solo per la bella lettera di M. V., ma anche per ciò che questi ha provveduto a inviargli, fuori di ogni speranza del cardinale medesimo. /583/ P[etrus] tituli Sancti Marci presbyter cardinalis Venetiarum Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. Non solum ad litteras vestrae paternitatis perhumaniter scriptas, verum etiam ad id quod eadem paternitas vestra pro sua ingenti bonitate et affectio­ne singulari, quam /584/ nobis continue gessit et in praesentiarum gerit nobis, contra votum nostrum, mittere curavit, commisimus praesentium latori nun­tio et capellano vestrae paternitatis responsionem, quam ad os coramque diffusius ipsi paternitati vestrae nostro nomine faciat. Cuius dictis pro hac vice fidem adhibere velitis indubiam. Paratus ad grata quaeque et iucunda. Valete in Domino. Ex Ancona, die XII Augusti MCCCCLXIIII. 492.(494) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Roma, 12 settembre [1464] Lorenzo Zane avrebbe scritto a M. V. con maggiore dettaglio dell’elezione al pontificato di Pietro Barbo, se non fosse che tale elezione è senz’altro già nota a M. V.; il neoeletto pontefice, per sua grande benevolenza, ha chiesto a Lorenzo di risiedere nel palazzo apostolico, e lo ha scelto quale tesoriere; è questa una carica la cui importanza è a M. V. nota; Lorenzo ha inteso comunicarlo a lui, sapendo che a nessun altro tale notizia sarà più gradita [1]; invita dunque M. V. a recarsi quanto prima ad omaggiare il pontefice, e gli manda indietro il cappellano Matteo, il quale testimonierà quanto Lorenzo ha fatto in favore della di lui supplica; lo stesso pontefice la ha fir­mata, ma ha anche lasciato intendere che sperava di attribuire quel canonicato (evidentemente oggetto della supplica) a un suo stesso familiare; Lorenzo, in ogni caso, compirà ogni sforzo affin­ché la supplica abbia l’esito sperato da M. V. e dal suo cappellano [2]. /584/ Laurentius Zane archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. [1] Scriberem ego latius ad reverendam dominationem vestram hoc tempore circa creationem summi pontificis quae scribenda hactenus merito fuissent, nisi superfluum mihi sane videretur cum maxime eandem de huiusmodi creatione suae sanctitatis certiorem iam pridem fuisse certo sciam. Quantum vero nobis de tam felicissimo pontifice et gloriari et laetari liceat, corda nostra in suam beatitudinem affecta mirifice declarabunt. Itaque lon­gior in scribendo non ero. Verum pro debito benivolentiae nostrae hoc dum­taxat vestrae reverendae dominationi significare volui, videlicet quemadmo­dum sanctissimo domino nostro pro sua ingenti mansuetudine et clementia placuit vocare /585/ et habere me in palatio suae beatitudinis et ad thesauriatus officium deputare, quod quidem officium quanti ponderis sit reverenda dominatio vestra, quae huiusmodi iam diu novit, facillime poterit iudicare. Putavi enim ego id nemini notum facere potuisse cui magis et honor et uti­litas mea grata sit quam vestrae dominationi, de cuius singulari affectione et fide erga me mihi olim innotuisse certum est. [2] Hortor demum reverendam dominationem vestram ut quam citius potest ad iter se accingere velit et ad Urbem proficisci ad osculandum pedes sanctissimi domini nostri, qui quidem vos gratiosissime videbit, quemadmo­dum et videre et recipere ceteros solita semper fuit. Remitto praeterea ad eandem vestram reverendam dominationem presbyterum Matthaeum, capellanum vestrum, qui quantum intuitu vestri pro negotio suo elaborave­rim, idem capellanus praesentium lator declarabit. Usus enim sum maxima diligentia et sollicitudine ut supplicatio sua signaretur, quam tandem a pon­tifice signatam optinuimus, licet ex quibusdam verbis suae sanctitatis certe cognoscerem suam beatitudinem hunc canonicatum pro uno ex familiaribus suis appere. Verum adeo hucusque insteti et in futurum instabo quo­usque dicta supplicatio iam signata, iuxta voluntatem vestrae reverendae dominationis et capellani vestri, finem quem desideramus /586/ sortiatur et habeat. Reliquum est ut si quid amplius pro dominatione vestra reverenda hic facturus sum, rogo interim ad me scribat, faciam nanque debitum meum diligenter et erit mihi quam gratissimum si pro honore et utilitate vestrae reverendae dominationis aliquid efficere potero, cui me semper commendo. Datum Romae, in palatio apostolico, die XII Septembris. 493.(496) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Roma, 15 aprile 1466 Per descrivere la speciale benevolenza che Lorenzo Zane ha sempre usato nei suoi confronti, non basterebbe una lettera sola, ma ce ne vorrebbero molte; perciò M. V. può contare su di lui [1]; al momento delle ‘aspettative di grazia’ (quelle cioè relative alla successione di prebende godute da persone che sono ancora in vita: cfr. Du Cange, s.n. «Expectativae gratiae: canonistis sunt quibus designantur successores praebendatorum ante horum obitum; quod ne fieret concilia non semel providerunt…»), Lorenzo, a tutela di M. V., aveva negato al suo cappellano Giacomo di preten­dere alcunché nella diocesi zaratina, se non dietro assenso dell’arcivescovo stesso (M. V., appunto); il cappellano, intendendo la volontà di Lorenzo, aveva rassicurato M. V., promettendogli che avrebbe toccato altri benefici, ma non si sarebbe intromesso nelle prebende canonicali della chiesa di Zara; M. V. aveva acconsentito, soprattutto per riguardo a Lorenzo [2]; l’uomo aveva promes­so; disse che avrebbe esteso la sua richiesta al canonicato di Sebenico; M. V. aveva acconsentito, sicuro del fatto che un sacerdote deve dire la verità; ma pochi mesi appresso era già immemore della promessa; M. V. non può tollerare la cosa, ed è sicuro che il cappellano abbia agito all’oscuro di Lorenzo; a lui M. V. chiede che il suo onore sia fatto salvo [3]; in breve: per la morte di un certo Ostoia, si è resa vacante una prebenda canonicale che M. V. intendeva attribuire a un suo familiare; ma il suo procuratore (del cappellano Giacomo) la accettata a nome di lui, insieme a una cappella che sta fuori dalle mura; Lorenzo intervanga a sanare tale vergogna [4]; M. V. attende dunque una risposta da Lorenzo; se il cappellano, pur a seguito dell’ammonimento di Lorenzo, non cesserà tuttavia da tale comportamento, M. V. metterà in atto tutte le difese neces­sarie; si augura comunque che la vertenza abbia un esito pacifico [5]. /586/ Ad reverendissimum dominum Laurentium Zane archiepiscopum Spalatensem. [1] Si vellem, reverendissime pater et domine, his meis promere lit/587/teris quam mutua veraque inter nos amicitia singularisque benivolentia et dilectio, immo, amor mirificus fuerit sitque ac fore, censeam non unis, sed pluribus opus esset. Sed, cum huius rei certitudinem dominationem tuam iam diu habuisse mihi ipsi persuadeam, haec omittendo ad rem veniam. In qua, quantum de humanitate, prudentia, fide, amor et benivolentia dominationi tuae confidam, his meis facile percipere poterit et, ne spes me fallat, eandem etiam atque etiam rogo. [2] Scit dominatio tua reverenda tempore quo expectativae gratiae expediebantur, pro singulari tua in me benivolentia presbytero Ia[cobo] capellano assentire noluisse, ut in diocesi mea Hyadrensi gratiam suam expediret, nisi annuente archiepiscopo, capiens ex stomaco tuo tanquam pru­dens coniecturam. Ipse vero animum tuum intelligens, dulcibus et humanis verbis me praevenit, pollicens mihi se de praebendis canonicatibus ecclesiae Hyadrensis non impediturum, sed tantum de aliis beneficiis. Cui hilari fronte animoque laeto, intuitu et amore d[ominationis] t[uae] r[everendae], assensi, pro qua nihil tam magnum est quod ad honorem tuum tuorumque accederet minimum non putarem, hac tamen lege, quod de praebendis cathedralis ecclesiae se /588/ non intromittere, de aliis vero beneficiis ad libitum faceret. [3] Promisit bonus vir dominationi tuae mihique et, ut maior fides sibi adhiberetur, dixit iam in canonicum Sibenicensem creari se statuisse, quia in his duobus loci expectativa extendebatur sua, sicut et fecit. Aquievi cum amore reverendae dominationis tuae, tum quia in sacerdote veritatem inesse putabam, iuxta illud Hieronymi,aa Intellexi nuper ex litteris meorum magnificentiae vestrae] Congratulatoria mg. «nihil turpius in sacerdote quam in ipsius ore mendacium».1ba me add. s.l. Et paucis post mensibus minime servavit, immemor pro­missionis et fidei praestitae. Fateor hoc, praesul dignissime, moleste tulisse ac in praesentiarum ferre. Non enim! Alter nemo fallere me potuisset, cum potius tuae dominationi quam sibi credidi, de tua liberalitate confidens, sciensque hoc crimen a tua virtute et fide abesse, sed idem capellanusbca aliud vel magis laetum vel minus triste complecterer] Pro morte patris consolatoria mg. sine consilio et scitu hoc fecisse tuo minime dubito. Et, ut amice loquar, fac quaeso (si me diligis), ut honor meus illesus servetur carumque habeas, ne ipse de sua malitia inter socios glorietur, quia, ut paulo dixi, non sibi sed amori tuo mirifico annui. [4] Sed, ne longior sim quam statueram, potissime /589/ cum sciam dominationem tuam reverendissimam multis praepeditam negotiis, rem pau­cis persolvam. Vacavit superioribus proximis mensibus per mortem cuiusdam Ostoiae certa in ecclesia mea praebenda canonicalis, quam pro quodam fami­liari benemerito meo impetravi et signata supplicatione litteras expedire nolui, nisi prius tuae dominationi significarem. Nam, ut habui ex Hyadra saepedictam praebendam canonicalem, eius nomine procurator suus accepta­vit, una cum quadam capella extra muros, quod est contra cancellariae regulam iurisque dispositionem, quia (ut nosti) canonicatum et capellam simul assequi nequivit, sed de capella taceo neque insto. Nam et ad illam et ad alia quaeque beneficia, canonicatibus dumtaxat exceptis, intuitu reveren­dae dominationis tuae favores quoscumque praestabo. De praebenda vero fretus, in tua singulari humanitate et prudentia magnoque amore multis argumentis et officiis confirmato, non dubito quod asservitore tuo praesertim pro fide mentita hoc dedecus mihi fieri non patietur. Omitto quod etiam ordinariae conferi iussi. [5] Expectabo igitur responsionem tuae reverendae dominationis, quam spero gratam et amoris plenam fore. Quod si idem ca/590/pellanus tuo consilio acquiescere noluerit et ad id quod spopondit retrocedere, utar iuri­bus opportunis propugnaculaque interim parabo, nec tibi ad iniuriam fiet. Alia etiam remedia erunt adhibenda, quae pro nunc in medium non adduco. Sed tua reverenda dominatio quae sapientissima est interdum fuit experta. Spero tamen omnia cum pace et quiete futura. De his satis. Nam et rem et animum meum dominatio tua reverenda habet, nec dubito quin peroptime providebit. Cui interim me dedo perpetuoque obsequio dedico. Vale tu degnissime antistes, meque dilige mutuo ac me tibi commenda. Datum Romae, die XV Aprilis 1466. 494.(497) Lorenzo Zane a Maffeo Vallaresso Cesena, 10 giugno 1467 Lorenzo Zane scrive a Maffeo, cogliendo l’occasione di un viaggio in curia del suo cappellano e canonico di Spalato, Giacomo; Lorenzo non ha tuttavia molto da dire: esorta Maffeo ad amarlo sempre e tenerlo caro, a curare la propria salute, nella maniera in cui Lorenzo è sano per grazia di Dio (il tono appare ironico, se non sarcastico, considerando la precedente lettera n° 493 di Maffeo a Lorenzo). /590/ Laurentius archiepiscopus Spalatensis Mapheo archiepiscopo Hyadrensi. Adveniente isthuc in curiam hoc tempore presbitero Iacobo capellano meo, canonico Spalatensi et harum portitore, visum mihi fuisset graviter errare nisi has licet perbreves per ipsum darem ad dominationem vestram, cui tamen non habeo multa quae scribam aut significem praeter hoc unum, quod est potissimum, ut scilicet eandem orem quod mei qui suus sum sit memor interdum et quo potest crebrius me/591/que amet et commendatum semper in omnibus habeat, sicuti ipsa apud me semper in animo praesens est. Praeterea etiam efficiat ut rectam ipsius valitudinem saepius intelligam, sicuti in praesentiarum me recte valere significo ex divina dispensatione. Quae hic apud nos fiant multipliciter isthuc intelligere et ad plenum potest eadem vestra dominatio, propterea plura non replico. Commendo me iterum atque iterum ipsi dominationi vestrae quae felicissime valeat. Cesenae, die X Iunii MCCCCLXVII. 495.(498) Maffeo Vallaresso a Lorenzo Zane Roma, 21 giugno 1467 M. V. risponde alla precedente di Lorenzo Zane, la quale è piena del sentimento d’amore che Lorenzo prova per lui; vi è usata tanta mansuetudine, che M. V. è trattenuto quasi dal risponde­re; quella lettera lo ha reso felice, perché Lorenzo lo rassicura della sua buona salute, gli dimostra il suo animo quanto mai servizievole [1]; anche M. V. sta bene, come Lorenzo potrà comprendere dalle parole del presbitero Giacomo, e potrà comprendere anche quanto M. V. lo abbia caro; ma non vuole apparire un adulatore, e dunque preferisce agire piuttosto che consumare il proprio tempo in chiacchiere (la replica appare dunque composta con altrettanta ironia, o meglio con altrettanto sarcasmo) [2]. /591/ Responsivae ad superiores. [1] Regressurus isthuc capellanus vestrae reverendissimae dominatio­nis, presbyter Iacobus praesentium lator,aa Veterem aut benivolentiam, quae domino genitori meo, aut necessitudinem] Congratulatoria mg. paucis agam, praesertim cum per eundem vestras nuperrime brevissimas acceperim litteras, amoris tamen et benivolentiae plenas, ne dicam humanitatis et eo quidem sale conditas quo cetera soletis. Nam, etsi amplitudo dignitatis vestrae incognita nemini habe­atur, tamen dominatio vestra reverenda quo sublimior est, eo magis extenuat se et in litteris suis tanta utitur summissione ut a /592/ rescribendo me deter­reat. Quas hilari fronte sitibundoque animo perlegi. Fuerunt etiam iocundae quod et incolumitatem eiusdem vestrae dominationis memorabant ac animum erga me suum redolebant officiosissimum, neque hoc mihi quidem inauditum fuit. [2] Ego autem divino munere ut de me aliquid etiam sentiat reverenda dominatio vestra, valeo et bene, uti per ipsum presbyterum Iacobum vivo sermone intelligere poterit ac quantum eandem dominationem vestram dili­gam, amem, colam et summa observantia propter ingentes suas virtutes com­plectar, velit ipsa diiudicet, quae longo experimento et optimo rerum iudicio potest polletque. Quod, ut clarius appareat, nihil aliud in dies cogito nisi ut et alii cognoscerent me non esse in vulgarium amicorum numero collocan­dum. Sed, ne videar coram uti adulatione, quod vitium alienum a me fuit estque immo semper abhorrui, sicut me plane novit dominatio vestra reve­renda, ideo non ulterius me extendam, sed in amore potius opere prosequar quam verbo aut scriptis. De occurrentibus nihil habemus relatione dignum. Reliquum illud est /593/ ut me ac mea quae in vestro arbitrio iam diu sunt vobis offerre superfluum arbitror. Itaque me libenter iterato eidem vestrae reverendae dominationi commendo. Valete, magnanime praesulum, quem salvum et felicem semper cupio. Ex Urbe Roma, die XXI Iunii MCCCCLXVII. 496.(495) Maffeo Vallaresso a Ludovico Foscarini Zara, 27 luglio [1470] M. V. raccomanda a Lodovico Foscarini, ambasciatore presso il pontefice, il proprio cappellano Francesco da Aviano (il 25 aprile 1470 il Foscarini fu inviato a Roma come ambasciatore, dove rimase per oltre un anno: l’epistola risale perciò verisimilmente a quell’anno). /586/ Clarissimo doctori domino Ludovico Fuscareno ad maximum pontificem oratori. Fretus benivolentia et humanitate vestra mirifica, non multis verbis utar in eo maxime commendando quem virtus ipsa ubique commendat.aa ad Hyadrensem praefecturam] Congratulatoria mg. Cum itaque se transferat illuc egregius doctor dominus Franciscus de Aviano, capellanus meus praesentium lator pro nonnullis suis negotiis peragendis habeatque cum vestra magnificentia aliqua conferre, rogatum vos velim ut gratissimos favores vestros ad precum mearum instantiam ei praestetis, quod facturum vos pro vestra consueta humanitate non dubito. Paratus et cetera. Hyadrae, XXVII Iulii. 497.(499) Maffeo Vallaresso a Ludovico Foscarini Roma, 12 maggio 1471 M. V. si congratula con Ludovico Foscarini per l’elezione a procuratore di San Marco; il senato della repubblica dimostra di sapere scegliere gli uomini a cui affidare il proprio governo; poiché fra tutti i più eccellenti proprio Foscarini è stato additato ed eletto, nessuno può dubitare che nel futuro a lui sarà aperta anche la via alla carica in assoluto più alta, cioè il dogado; tale sia anche la volontà di Dio [1]; peraltro la notizia della nomina non sorprende M. V., il quale sempre ha ritenuto che nessuno potesse essere anteposto a Foscarini; M. V. è ovviamente a sua piena disposi­zione; così come richiesto da Foscarini, il cappellano dell’arcivescovo di Antivari (in albanese Bar; in quel momento era Šimun Vosic), ha recato a M. V. le indulgenze firmate dal pontefice; attende in merito indicazioni; lo prega di salutare Bernardo Giustiniani [2]. /593/ Ad clarissimum dominum Ludovicum Fuscarenum procuratorem Sancti Marci designatum. [1] Praestantissime ac doctissime vir, senatorii ordinis primarie, uti pater honorabilis.aa ipsi] ipsius ms. Vehementer laetor et exulto senatum istum recte intellige­re per quos viros respublica nostra munera, dignitates summosque magistra­tus administrari oportere cupiat. Cumque inter alios – quorum virtutis ac sapientiae saluberrimorumque consiliorum splendor et gloria maiorem in modum ad astra se tollit – ipsa respublica te in primis indicio quodam pro­dat, manuque ostendat, voce clara te nomenque servet, quid est quod defu­turum viribus tuis putes, quominus brevi ad summum apicem imperii duca­tusque evoceris? Cui rei Deum annuere cupio. Quod autem in praesentia istud procuratorii amplissimum munus tu /594/ virtute centuriatisque suffra­giis cum laude maxima (ut asseritur) consecutus sis, gaudeo et gratulor iure amicitiae obligationumque mearum tibi familiaeque Fuscarenae, quo fit ut in amicorum tibi gratulantium numero aut perpauci aut nemo me gratulatione superet, cum aliis multis de causis tum potissimum ob integritatem et probi­tatem incredibilem quae in te, vir sapientissime, sita praedicatur, in qua lau­danda et extollenda vox mihi nunquam faucibus haesit. [2] Nec res mihi nova inexpectatave est visa, quod virtutum tuarum tantus est cumulus, ut nemo paene in hac civitate sit cui te praeferendum non censeam. Domi enim et foris, et pace et in bello qualis sis quantumque sapias palam est. Sed ne videar coram uti adulatione, quod vitium alienum a me semper fuit estque immo abhorrendum, censui sicut me plane nosti, ideo non ulterius me extendam. Nam in benivolentia et amore potius opere pro­sequar quam verbis aut scriptis haec alias diffusius. Supervacaneum autem puto me atque mea tibi offerre cum ea te habere in tua potestate iam non /595/ dubites, itaque me libenter et semper tuae excellentiae mirum in modum commendo. Vale virorum optime, diu longaeva dignissime vita, quem salvum et felicem cupio. Indulgentias illas in papiro pontificis manu tuo medio signatas attulit mihi capellanus archiepiscopi Antivarensis, prout iussisti. Ideo, quid facto opus sit, tuas litteras expectabo quae me erudient. Clarissimo equiti domino Bernardo Iustiniano me commendari peropto, de quo quid sentiam quidve de ipso ubique praedicaverim tu facile nosti, qui saepius interfuisti. Datum Romae, die XII mensis Maii MCCCCLXXI. 498.(500) Ludovico Foscarini a Maffeo Vallaresso Venezia, 1 giugno 1471 Ludovico Foscarini risponde alla precedente congratulatoria di M. V., con l’auspicio che, attra­verso le preghiere di M. V. e di altri uomini santi, Dio gli conceda la virtù di saper rettamente amministrare. /595/ Responsivae ad superiores. Auget cumulum plurimorum in me meritorum, reverenda dominatio tua, tam laeta diligens et gratissimis sententiis ornata congratulatio magistra­tus mihi nuperrime designati. Pro qua clementiae tuae immortales gratias habeo, semperque me, et quicquid mihi accedit commodis et honoribus reverendissimae dominationi tuae offero. Optimam equidem mentem piissi­mae dominationis tuae lubens agnosco et accipio ac Deum immortalem obtestor et oro /596/ quod ipse, qui solus dignitatem contulit, piis tuis et aliorum sanctorum virorum precibus administrandi muneris virtutem conce­dat, ne tu, qui mihi plus tribuisti quam in me esse sentiam, tua benevola spe potius quam vera decipiaris. Cuius gratiae me semper commendo. Valeat reverendissima dominatio tua. Venetiis, Kalendis Iuniis MCCCCLXXI. 499.(501) Girolamo Forte a Maffeo Vallaresso Teramo, 10 giugno 1471 Girolamo Forte, il quale aveva già comunicato con Maffeo alcuni anni prima (cfr. ep. n° 386 ed ep. n° 471), gli scrive per raccontargli che, trovandosi a Napoli l’estate precedente, un gio­vane veneziano gli ha portato molte novità da parte di M. V.; ed ora il suo concittadino Francesco Fazio gli ha descritto la benevolenza che Maffeo gli riserva, esortandolo a lasciare i suoi impegni e a raggiungere Maffeo, così da metterne alla prova la liberalità; Girolamo non può che esprimere tutta la sua gratitudine, non potendo in altra maniera sdebitarsi [1]; Girolamo si era appena congedato dal re di Napoli (Ferdinando I d’Aragona) quando, giunto a L’Aquila, è caduto ammalato, ripresosi per grazia di Dio, ha raggiunto Teramo, dove è sempre in pericolo a causa di continue sedizioni; tornerebbe a Napoli, dov’è stato richiamato dal segretario del re, Antonelli Petrucci, ma teme a causa del clima sfavorevole; nemmeno può recarsi a Roma, specie nella stagione estiva, causa la sua precaria salute [2]; Girolamo è consa­pevole della fragilità della vita umana; in tono oraziano esorta sé e l’interlocutore ad acconten­tarsi del poco, rinunciando alle sirene di una più alta condizione sociale, per salvaguardare la propria salute [3]. /596/ Maphaeo archiepiscopo Hyadrensi, Hieronymus Fortis e Teramo. [1] Cum essem Neapoli superiore aestate in aula regis, allocutus est me quidam iuvenis Venetus, qui cum legato veneratab hic et alibi spatium relictum est in ms circiter quatuor litterarum. multasque obtulit mihi nomine tuae reverendae dominationis, cui volo semper plurimum debere, ut ingratitudinis macula caream. Nunc rediit in patriam Franciscus Fatius, concivis meus, et ante omnia sermonem habuit de tua in me sin­gulari benivolentia, suasitque ut aliquando, istuc absolutus a curiae negotiis, accederem, ubi tuae dominationis aeque ut antea liberalitatem summam essem experturus. Ego, mi pater et domine, pro his habeo gra­tias immortales tuae reverendae dominationi, quandoquidem aliud repen­dere non valeo. Nam imbecillitas mea facit /597/ ut videar parum gratus in eos quibus multum debeo. Idque non est ascribendum animo, qui beneficii recordatur, sed fortunae, quae suam in me ac meos immanita­tem et odium exercere non desinit. [2] Impetraveram a rege dimissionem et iter ingressus festinabam in Sabinos, ut patriam reviserem. Sed cum primum Aquilam venissem, in gravissimam febrem incidi, correptusque acerbitate morbi per totam hye­mem et maiorem anni partem aegrotavi. Verum tamen potius Dei quam medicorum ope recuperavi pristinum robur, et iam confirmatus iterum proficisci peregre decrevi, ne scelera seditiosorum hominum in aliquam voraginem sentinamque malorum animam et corpus meum praecipitent. Difficillimum est enim hic servare innocentiam et non contaminari ali­quando labe civilium dissensionum, quae videntur nullum habiturae finem. Sed vereor ne supremum exitium ex huiusmodi controversiis in miseram civitatem redundet, et calamitatem afferat familiae meae, quae de illa bene­merita est. Redirem Neapolim quo sum revocatus nuper litteris clarissimi equitis Antonelli secretarii, et ubi certa merces est proposita labori ac indu­striae meae, /598/ nisi crassitudine caeli Campani deterrerer. Non possum illic servare diutius bonam valetudinem adversante natura meridianae regionis. Nec possum istic Romae sine incommodo ac iactura sanitatis pra­esertim aestivo tempore versari. [3] Habenda est ratio valitudinis atque ubi salus periclitatur, nec lucrum nec ambitiosa dignitas appetenda est. Admonemur humana fragili­tate mediocritatem amplecti, resecareque spem longam, quae nobis ple­rumque falsa pollicetur. Brevi enim cursu vitae non opus est multo viatico, nam ad ipsius metae conspectum celeriter pervenimus, nec licet ulterius progredi. Quamobrem nec paupertas, nec repulsa, nec pernitiosiorum horum nefariorum hominum machinationes mihi mentem ab honestis cogitationibus cultuque magni Dei avertunt. Vino laetus et quicquid offer­tur boni grata manu sumo, ne statim effluat. Memoriam autem tuae dul­cissimae consuetudinis ac beneficiorum quibus me laetantem reddidisti sanctam inviolatamque servare non desino. Vale pater et domine. Therami, X° Iunii MCCCCLXXI. EPISTOLARIO DI MAFFEO VALLARESSO PARTE SECONDA LETTERE E DOCUMENTI ARCHIVISTICI CONCERNENTI MAFFEO VALLARESSO (1450-1492) a cura di Matteo Melchiorre 1. Venezia, 1 ottobre 1450 M. V. scrive una lettera di raccomandazione a favore di Domenico figlio di Nicolò di Lotaringia; essa è indirizzata a tutti coloro ai quali lo stesso Domenico si rivolgerà nel corso del suo viaggio alla volta di Roma. /605/ Litterae fidei de bona servitute. Mapheus Vallaressus, Dei et apostolicae sedis gratia archiepiscopus Hyadrensis, Universis et singulis ad quos hae litterae pertinuerint, salutem et prosperorum successuum incrementum. Quoniam dignum esse videtur ipsos qui fideliter atque virtuose con­versantur pro eorum meritis apud ignotos etiam commendari, idcirco hunc praesentium latorem Dominicum Nicolai de Lotoringia, servitorem nostrum, qui nobis fideliter atque virtuose servivit, quibusdam ex iustis causis versus Romanam curiam et alibi profecturum, omnibus apud quos declinaverit pro eius meritis atque fidelitate quantum possumus in domino Iesu commenda­mus, dominos et amicos nostros rogantes ut ipsi Dominico servitori nostro humanitatis favores contribuant, ut pro his nostris commendationibus ipse subsidium sui favoris intelligat accepisse. In cuius rei testimonium has nostras litteras fieri fecimus nostrique minoris sigilli iussimus impressione muniri. Datum Venetiis, in domo nostrae habitationis, anno Domini MCCC­CL, die prima mensis Octobris, pontificatus sanctissimi domini nostri domi­ni Nicolai divina providentia Papae quinti, anno quarto. 2. Venezia, 20 agosto 1450 M. V. attesta di aver ricevuto da Antonio di Pago, canonico della chiesa di Zara, 150 ducati, parte in oro e parte in moneta, di cui cento a nome del presbitero Luca, arcidiacono di detta chiesa, provengono dalla fabbrica della chiesa stessa, e 50 ducati a nome di ser Masoli de Galelli, conduttore dell’arcivescovado, per una parte dell’affitto annuale cui quest’ultimo è tenuto. Copia cyrographi. Nos Mapheus Vallaresso, Dei gratia archiepiscopus /606/ Hydrensis, con­fitemur habuisse et manualiter recepisse a venerando viro domino Antonio de Pago, nostrae Hyadrensis ecclesiae canonico, ducatos centum et quinquaginta, partim in auro et partim in monetis, de quibus nomine presbyteri Lucae, archi­diaconi supradictae ecclesiae, de denariis fabricae eiusdem ecclesiae, recepimus ducatos centum. Item, nomine ser Masolis de Galellis, conductoris archiepi­scopatus nostri, pro parte fictus istius anni huiusmodi ducatos quinquaginta. In cuius rei fidem ac testimonium hanc praesentem cedulam conscripsimus vel scribi iussimus et sigilli nostri secreti vel anularis impressione munivimus. Datum Venetiis, die XX Augusti MCCCCL. 3. Zara, 17 luglio 1454 Lettera credenziale per Giovanni de Cena. Litterae fidei de bona servitute. Mapheus Vallaressus, miseratione divina archiepiscopus Hyadrensis, univer­sis et singulis ad quos hae nostrae litterae pervenerint, salutem et prosperorum successuum incrementum. Quoniam dignum esse videtur illos qui laudabiliter ac virtuose conver­santur etiam apud ignotos eorum meritis commendari, idcirco hunc praesen­tem /607/ gerulum Iohannem de Cena et cetera. Datum Hyadrae, die XVII Iulii MCCCCLIIII. 4. Zara, 4 maggio 1453 Lettera con la quale M. V. garantisce la buona fede di un notaio di cui non è tràdito il nome. Pro legalitate notarii. Mapheus Vallaressus archiepiscopus Hyadrensis, universis et singulis praesentes litteras inspecturis salutem in Domino et praesentibus fidem indubiam adhibere. Quoniam pium est rationique consonum veritati testimonium perhibere, idcirco universitati vestrae fidem facimus qualiter venerabilis vir presbyter … qui suprascriptum instrumentum composuit et in publicam formam redegit, est publicus imperiali auctoritate notarius bonus, fidelis ac legalis. Cum instru­mentis et scripturis in iudicio et extra, hic et ubique semper plenaria adhibetur fides in quorum omnium et singulorum praemissorum fidem et testimonium praesentes fieri fecimus et nostri mediocris sigilli iussimus impressione muniri. Datum Hyadrae in nostro archiepiscopali palatio, anno Domini MCCCCLIII, indictione IIa, die IIII mensis Maii, pontificatus sanctissimi domini Nicolai divina providentia Papae V, anno VIII. 5. Venezia, 7 marzo 1455 Il patriarca Lorenzo Giustiniani avrebbe voluto già convocare un concilio provinciale a Venezia, ma è stato impedito a causa di una lunga malattia; ora è guarito, e ha stabilito di celebrare il concilio la quarta settimana dopo la festa di Pasqua; invita dunque M. V. a prendervi parte. Il patriarca ha convocato anche i vescovi suffraganei di M. V:, tramite lettere allegate alla presente; ha allegato anche le lettere di convocazione per i vescovi di Segna e di Nona, pur non essendo certo se essi siano suffraganei della diocesi di Zara (a questa lettera di convocazione Maffeo risponde con la ep. n° 165 della prima parte dell’epistolario). /608/ Copia litterarum acceptarum a reverendissimo domino patriarcha Venetiarum. Reverendissimo in Christo patri et cetera. Decrevimus alias a die promo­tionis nostrae infra annum, prout etiam statuunt iura et disponunt, compro­vinciale concilium in civitate Venetiarum, ubi Domino disponente praesumus convocare, quod longa ac gravi infirmitate impediti facere hucusque nequivi­mus. Nunc vero, ab ea (gratias Deo) liberati, debitum nostri officii exequi vo­lentes, deliberavimus illud quarta ebdomada immediate sequenti post festum Paschae proximae venturae in Spiritus Sancti nomine celebrare. Quare reveren­dam paternitatem vestram invitamus ac per praesentes requirimus ut velitis ad constitutum terminum adventum vestrum non differre. Nam id ipsum singulis suffraganeis vestris per nostras litteras intimavimus, ut vobis constare poterit litteris praesentibus alligatis. Et licet non plene certificati sumus an Segnensis et Nonensis episcopi sint iurisdictioni vestrae subditi, tum singulo eorum scribere decrevimus, rogando reverendam paternitatem vestram ut, si vestri sint subditi, velitis et placeat dictas litteras unicuique ipsorum directivas transmittere, alio­quin eas penes vos retinere. Valete in Domino. Ex /609/ patriarchali palatio Venetiarum, die VII mensis Martii MCCCCLV. Laurentius Iustinianus patriarcha Venetiarum Dalmatiaeque primas. 6. Venezia, 7 marzo 1455 Copia della lettera di convocazione al sinodo provinciale inviata dal patriarca Lorenzo Giusti­niani ai vescovi suffraganei di M. V., perché anch’essi vi partecipino. Copia litterarum transmissarum suffraganeis. Reverendis et cetera. Decrevimus alias a die promotionis nostrae infra annum, prout etiam statuunt iura et disponunt, comprovinciale concilium in civitate Venetiarum (ubi Domino disponente praesumus) convocare, quod longa a gravi infirmitate impediti facere hucusque nequivimus. Nunc vero, ab ea gratias Deo liberati, debitum nostri officii volentes exequi, deliberavimus illud quarta ebdomada immediate sequenti post Pascha proxime venturum in Spiritus Sancti nomine celebrare. Quare paternitatem vestram intimamus, monemus ac per praesentes requirimus hactenus postpositis omnibus ad constitutum terminum adesse non differatis. Quod si defueritis (quod absit) sciatis vos sicut sacri canones sta/610/tuunt et praecipiunt a caritate fratrum usque ad aliam proximam synodum et ecclesie communione privandum. Ex patriarchali palatio Venetiarum, die VII mensis Martii, MCCCCLV. Laurentius Iustinianus patriarcha Venetiarum Dalmatiaeque primas. 7. [s.l.] [s.d.] Lettera credenziale per un cappellano M. (potrebbe trattarsi del Martino di cui alle lettere n° 419, 421 e 454, oppure, anche, del Matteo di cui alla lettera n° 492 della prima parte). Litterae credentiales. Reverendissimo in Christo pater et domine amantissime. Venit ad praesentiam vestrae reverendissimae paternitatis venetus vir presbyter M., capellanus meus, pro nonnullis suis agendis, nec non pro conferendo cum ea­dem paternitate vestra aliqua per me sibi commissa, cui super his, quae parte mea idem vobis duxerit explicandum. Precor vestram paternitatem quatenus velitis tanquam mihi fidem plenariam adhibere, pro hac vice. Paratus et ego et cetera. 8. Venezia, 5 dicembre [1450] M. V. scrive a Giorgio Zorzi e a Francesco Minotto, rispettivamente conte e capitano di Zara, per raccomandare loro il canonico F. (un canonico Francesco è raccomandato a Pietro Foscari nella ep. n° 216 della prima parte). Dominis G[eorgio] Georgio comiti et F[rancisco] Minoto capitaneo Hyadrae. Magnifici et generosi viri, cum presbyter F. canonicus noster praesen­tium lator Hyadrae se necessario transferat, opus est ei coram vestris magni­ficentiis comparere pro quodam suo beneficio, quem /611/ iuris patronatus causa impetrasse se dicit ab illustrissimo dominio nostro Venetiarum. Quare rogamus magnificentias vestras ut ei opportunum favorem iuris impartiri dignemini, quod nobis erit gratissimum. Valete diu felicissime. Datum Venetiis, die V Decembris. 9. [Ancona], [1464, seconda metà di agosto] Subito dopo la morte di papa Pio II (14 agosto) e prima, sembrerebbe, dell’elezione a pontefice di Pietro Barbo, avvenuta il 30 agosto, M. V. si rivolge a ufficiali dei dazi e delle gabelle, per chiedere che, con rispetto dovuto alla sua stessa persona, permettano il transito delle sue masserizie (casse e forzieri) senza applicarvi alcun pedaggio. [1] Mapheus Vallaressus Dei et apostolice sedis gratia archiepiscopus Hyadrensis, universis et singulis praesentes litteras inspecturis sinceram in Domino fidem et caritatem afferentes, significamus quatenus tempore proxime praeterito, quo felicis recordationis Pius papa II in civitate An­conae vita functus est, nos in eadem civitate existentes, et Romam petere volentes, ibidem aliquas capsamaa Tuderti Zippel in Le vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, cit., 181 : Tuberti ms. seu forcerios cum certis rebus nostris ac nonnulla alia bona pro usu nostro dimisimus, quos forcerios, res et bona omnia nunc praesentium exhibitores nobis usque Romam asportari et conduci ordinavimus. [2] Quapropter omnes et singulos dominos ac quascumque commu­nitates et quoslibet officiales, datiarios, gabellarios, portuarios, custodes ac /612/ bulletarios et cuiusvis generis seu conditionis homines omnes affec­tuose rogamus ut nostri intuitu eosdem exhibitores cum ipsis capsis seu forceriis, rebus et bonis omnibus sine alicuius datii, pedagii, transversusque et gabellae solutione per omnes passus, pontes et per omnia loca, tam de die quam de nocte, ire, stare, transire et pernoctare permittant. Quod qui­dem ad singularem complacentiam sumus accepturi, offerrentes nos pro eis omnibus et pro singulo quoque eorum ad maiora paratissimos. Valituris praesentibus pro una vice tantum. In quorum fidem et testimonium litteras has nostras per infrascriptum secretarium nostrum fieri et subscribi fecimus atque nostri consueti sigilli parvi munimine roborari. Datum et cetera. 10. Roma, [1465?] Nella sua consueta dimora romana (il palazzo di Venezia) M. V. certifica la validazione con sigillo pontificale della lettera recatagli da Nicolò Meremo, rettore di scuola (scholaris) presso la diocesi di Ginevra; in essa Ludovico Trevisan, patriarca di Aquileia e cardinale con titolo di San Lorenzo in Damaso, camerlengo del pontefice, attesta di aver consacrato (per mezzo della tonsura: militiae clericali ascripsimus) il detto Nicolò, presentatoglisi umilmente in ginocchio, secondo la consuetudine della chiesa di Roma. Mapheus Vallaressus archiepiscopus Hyadrensis universis et singulis praesen­tes litteras inspecturis salutem in Domino sempit[erno]. Tenore praesentium notum facimus quod, cum dilectus nobis in Chri/613/sto Nicolaus Meremi, scholaris Gebennensis diocesis, litteras reverendissimi in Christo patris et domini, domini Lud[ovici], tituli San­cti Laurentii in Damaso sanctae Romanae ecclesiae presbyteri cardinalis Aquilegiensis, sancti domini nostri papae camerarii, praesentasset – te­noris huiusmodi: «Ludovicus, et cetera. Nos commissionem huiusmodi auctoritate praefatum Nicolaum coram nobis constitutum genibus flexisaa iuxta illud Hieronymi] Hieronymus mg. humiliter petentem secundum consuetudinem sanctae Romanae ecclesiae militiae clericali adscripsimus» – in quorum fidem et futuram memoriam has litteras nostro minori pontificali sigillo muniri mandavimus. Datum Romae in domo solitae nostrae residentiae, die et cetera. 11. Roma, 9 aprile 1466 M. V. scrive la seguente lettera credenziale a favore di Andrea Marich; questi, avendo già svolto per lui fedelmente l’ufficio di cappellano, deve ora rientrare in patria; rivolgendosi a tutti coloro che il cappellano incontrerà nel suo viaggio, M. V. attesta di avergli dato licenza di partire, e chiede che gli sia concesso tutto l’aiuto di cui avrà bisogno. Nos Mapheus Vallaressus miseratione divina archiepiscopus Hyadrensis uni­versis et singulis ad quos hae litterae nostrae pervenerint salutem et prospero­rum successuum incrementum. Quoniam /614/ dignum esse videtur ipsos qui virtuose conversantur pro eorum meritis apud ignotos etiam commendari, idcirco notum facimus dilectum nobis in Christo filium presbyterum Andream Marich, superiori tempore nobis in cappellanatus officio honeste et fideliter magnaque cum oboedientia astitisse, et cum ipsum patriam redire suisque superesse iustis causis ac negotiis oporteat, nos eius commodis prospicere cupientes, eidem proficiscendi licentiam benigne concessisse tenore praesentium declaramus. Omnibus ergo apud quos declinaverit, pro eius meritis atque fidelitate, quantum possumus et valemus, in Domino commendamus, rogantes ut ipsi Andreae sacerdoti, capellano nostro, humanitatis favores contribuant, ut probis nostris commendationibus ipse favoris sui intelligat subsidium accepisse. In cuius rei testimonium has nostras litteras confecimus nostri­que maioris rotundi sigilli iussimus impressione muniri. Datum Romae in domo /615/ nostrae consuetae habitationis apud San­ctum Marcum, die IX mensis Aprilis MCCCCLXVI, pontificatus sanctissimi domini nostri, domini Pauli papae secundi, anno secundo. 12. Venezia, [s.d., ma compresa tra 1468 e 1492, anni del patriarca Girardi] Nella propria dimora veneziana, a San Giovanni in Bragora, M. V. fa copiare da un notaio appositamente convocato, ed egli stesso autentica per tramite del suo sigillo, la lettera recatagli da Andrea di Giovanni da Prato, abitante nella parrocchia di san Procolo (Provolo), con la quale il patriarca Maffeo Girardi certifica di aver consacrato tramite tonsura detto Andrea. Mapheus Vallaressus, miseratione divina archiepiscopus Hyadrensis, univer­sis et singulis praesentes litteras inspecturis, sinceram in Domino fidem et charitatem afferentes. Tenore praesentium notum facimus quod, cum dilectus nobis in Chri­sto Andreas, quondam Iohannis de Prato de confinio Sancti Proculi Vene­tiarum diocesis, litteras reverendissimi in Christo patris et domini, domini Maphei Girardo, eadem miseratione patriarchae Venetiarum Dalmatiaeque primatis praesentasset – tenoris huiusmodi: «Mapheus Girardo et cetera. Nos commissionem huiusmodi auctoritate praefatum Andream coram nobis constitutum flexis genibus humiliter petentem, licet litteris indigentem,ab idem capellanus ms : expectes eundem capellanum. se­cundum consuetudinem sacrosanctae Romanae ecclesiae militiae clericali et ad titulum sui patrimonii in talibus consuetum adscripsimus» –, in quorum fidem et testimonium has litteras per infrascriptum notarium ad hoc speciali­ter vocatum fieri et subscribi fecimus atque nostro sigillo pontificali consueto /616/ muniri mandavimus. Actum Venetiis, in contrata Sancti Iohannis Bragorae, in domo no­strae residentiae, anno domini et cetera, indictione et cetera, pontificatus sanctissimi domini nostri anno et cetera, praesentibus et cetera. 13. Roma, 6 luglio 1472 Giovanni Michiel, noto come cardinale di Verona, scrive a favore di Lorenzo da Urbino, il quale viaggerà da Roma a Venezia e quindi a Zara, trasportando masserizie dell’arcivescovo M. V.: un amulio (cioè, probabilmente, un’anfora: cfr. hama, o hamula, «majus dolium vinarium», Du Cange) e quattro o cinque some (salmae, le cavalcature che trasportano il carico di beni appartenenti a Vallaresso); Michiel si rivolge a tutti coloro che, nell’ufficio di pubblico ufficiale – esattore, gabelliere, daziario, ecc. – incontreranno Lorenzo, latore della presente, affinché ne agevolino il viaggio. Copia litterarum passus. Iohannes Michael, miseratione divina sacrosantae Romanae ecclesiae Sancti Angeli diaconus cardinalis Veronensis, universis et singulis principi­bus ecclesiasticis et s[ae]c[u]laribus, ducibus, marchionibus, comitibus, baro­nibus, nobilibus, officialibus, quibuscumque potestatibus, capitaneis, vicariis generalibus, antianis, iudicibus, telonariis, tributariis, bollectariis, passuum custodibus, civitatum, oppidorum, villarum, locorum communitatibus ac rectoribus eorundem, ceterisque ministris dilectis cuiuscumque dignitatis, status seu condictionis fuerint, ubilibet constitutis, ad quos praesentes no­strae pervenerint, salutem in Domino sempiternam. Cum dilectus nobis in Christo Laurentius de Urbino, familiaris reve­rendi domini archiepiscopi Hyadrensis, domestici ac carissimi nostri, cum amulione et quattuor aut quinque salmis dicti domini archiepiscopi iter per nonnulla loca Venetias versus et Hyadram sit facturus, nos cupientes pro nostra singulari in omnes domesticos, amicos et carissimos nostros dilectione huiusmodi eorum itinere favorabiliter tractare, vos omnes et singulos praenominatos /617/ tam ecclesiasticos quam temporales dominos ac vestros quoscumque officiales hortamur et amicabiliter requirimus qua­tenus dictum Laurentium cum amulione et quattuor vel quinque salmis bonorum et rerum dicti domini archiepiscopi per civitates, oppida, castel­la, terras, villas, portus, pontes, passus et loca vestra seu vobis commissa, quaecumque tam per terram, quam per aquam, die ac noctu, absque ulla datii, telonei, gabellae, pedagii, traversus et alterius cuiuscumque oneris exactione, impedimento et molestia quibusvis semotis ac tute libere nostrae contemplationis intuitu, eundo, stando, redeundo, transire permittatis ei­sque de bona et tuta comitiva scorta et salvoconductu (si opus fuerit) vel duxerint requirendum liberaliter provideatis. In ceterisque eosdem benigne ac humane intuitu nostro pertractetis et bene tractari faciatis, offerentes nos ad vestra beneplacita. In quorum fidem et testimonium prasentes per annum ut ultra ad beneplacitum valituras fieri fecimus nostrique sigilli quo in talibus utimur appensione muniri. Datum Romae, apud Sanctum Marcellum, in domibus nostrae resi­dentiae, anno Domini millesimo quadringentesimo septuagesimo secundo, die vero sexta Iulii pontificatus sanctissimi in Christo patri et domini, domini Sixti divina clementia papae quarti anno primo. 14. Zara, [1470?] M. V. certifica che N(icolò), figlio di Stefano di Sebenico, dopo essere stato adeguatamente esa­minato, ed essendo stato giudicato idoneo, nel corso della solennità del sabato in albis, insieme ad altri chierici è stato promosso al suddiaconato. /618/ Nos Mapheus Vallaressus miseratione divina archiepiscopus Hya­drensis universis et singulis ad quos praesentes pervenerint significamus et notum facimus quod, dum die sabbati in Albis sub anno Domini millesimo quadringentesimo septuagesimo et cetera, indictione et cetera, die…, men­sis et cetera, sacras clericorum ordinatione in ecclesia nostra metropolitana Sanctae Anastasiae Hyadrensis celebraremus, et ex parte reverendissimi do­mini episcopi et cetera fuisse nobis praesentatus dilectus in Domino filius N[icolaus], filius Stephani de Sibenico, in quattuor minoribus constitutus, habens licentiales litteras (ut assertum fuit) ex parte sui superioris et ordinarii posse promeveri ad sacros ordines eundem N[icolaum], canonice prius exa­minatum et pro idoneo ac sufficienti reputatum, infra missarum sollemnia eadem die, simul cum aliis clericis, ad ordinem subdiaconatus iuxta ritum et formam sacrosantae Romanae ecclesiae in talibus observari solitam promo­vimus et ordinavimus. In cuius rei fidem et testimonium has praesentes fieri iussimus et nostri pontificalis sigilli appensione roborari. Datum Hyadrae, anno, mense et die quibus supra. 15. Zara, 29 giugno 1479 Alla presenza di tre testimoni – il padovano Galeazzo de Cabaldi, vicario generale, il canonico Matteo da Nona e il nobile zaratino Ermolao de Zadulini – M. V. certifica che il 29 giugno del 1479, cioè lo stesso giorno della stesura dell’atto, secondo il rito di santa romana chiesa ha conferito la tonsura al nipote Alessandro, figlio del fratello Luca Vallaresso. Nos Mapheus Vallaressus, divina miseratione archiepiscopus Hyadrensis, universis et singulis praesentes litteras nostras inspecturis /619/ debitam ma­ioribus reverentiam amicis ceterisque salutem et prosperos ad vota successus. Significamus vobis et harum serie fidem facimus quod, cum die martis XXIX mensis Iunii currentibus annis Christianae salutis MCCCCLXXIX, indictione XII, coram nobis in sala maiori archiepiscopatus nostri flexis ge­nibus constitutus esset dilectus nepos noster Alexander, spectabilis et nobilis viri Lucae Vallaressi germani nostri, humiliter petens se clericali militia in­signiri seu sibi primam tonsuram conferri, ipsum Alexandrum nepotem no­strum carissimum ad dictum primum ordinem iuxta ritum sanctae Romanae ecclesiae promovimus et militiae clericali aggregavimus. In quorum fidem et testimonium praemissorum has praesentes litteras fieri mandavimus, pontifi­calisque sigilli nostri iussimus appensione communiri. Datum et actum Hyadrae, anno, indictione, mense, die, et loco quibus supra, prasentibus eximio iuris pontificii doctore domino Galeatio de Cha­baldis de Padua reverendissimi domini archiepiscopi /620/ praefati vicario generali, venerabili domino Matthaeo de Nona canonico Hyadrensi ac nobili Hyadrensi Ermolao de Cedolinis testibus ad haec habitis specialiter et rogatis etiam aliis. Pontificatus vero sanctissimi domini nostri domini Sixti divina providentia papae quintia1 nihil turpius in sacerdote quam in ipsius ore mendacium] locus non reperitur, sed cfr. simile aliquid e.g. in Aelredus Rievallensis, Sermones I – CLXXXII, coll. Claraevallensis prima, sermo 28 (ad clerum in synodo Trecensi), par. 11, CM 2A, 231: «Regite linguam ne loquatur mendacium, quia verba sacerdotis aut vera aut sacrilega sunt»; Petrus Blesensis (dubium), Carmina, sectio 2, carmen 2, stropha 6, linea 51: «verba confirmes opere, / quia non decet temere / os sacerdotis pollui /mendacio». anno octavo. EPISTOLARIO DI MAFFEO VALLARESSO PARTE TERZA MISCELLANEA DI LETTERE DI FANTINO VALLARESSO ARCIVESCOVO DI CRETA E DI ALTRI AUTORI (1431-1466) a cura di Matteo Melchiorre 1. Fantino Vallaresso a Eugenio IV papa [1439-1443] Fantino Vallaresso si rivolge a papa Eugenio IV, da cui è stato inviato a Creta come arcivescovo e legato per contribuire all’unione della Chiesa; aveva a tal fine cominciato a seminare, quando al­cuni hanno cosparso zizzania, ribellandosi al suo mandato; e poiché ciò era causato da ignoranza, dietro invito del padovano Paolo Dotti e del veneziano Marino Falier (veneziano omonimo del doge, nato in Creta alla fine del s. XIV) ha composto il libello che ora presenta al pontefice [1]; vi ha raccolto le definizioni dei più antichi Concili, ha attinto alla cronaca di Liberato di Cartagine; ha utilizzato soprattutto le definizioni del più recente Concilio di Firenze, per comprovarne la giustizia e convincere anche quanti sono ostili [2]; sottopone l’opera al pontefice, il quale è l’unico che possa fornirle autorevolezza [3] (cfr. Prephatio sive epistola ad beatissimum Eugenium in Vallaresso 1944, 3-5, sul fondamento del ms. Vat. lat. 4163). /621/ Incipit praefatio sive epistola ad beatissimum Eugenium papam IIII super materia unius operis. Beatissimo patri et domino sancto domino Eugenio, divina providen­tia sanctae universalis ecclesiae papae quarto, Fantinus Vallaresso, Cretensis archiepiscopus, licet indignus de eiusdem sanctitatis mandato legatus missus ad hanc insulam Cretae, cum omni humilitate atque devotione ad pedum oscula beatorum. [1] Quoniam quidem, beatissime pater, omnia ad sanctitatem tuam re­ferenda sunt quae circa fidei difficultatem et Christianorum salutem versantur, ut, si Deo inspirante digna fuerint, tua sancta auctoritate probentur, sine qua nihil huiusmodi potest esse validum, nihil dignum, cum tibi in beato Petro data sit plena potestas ligandi cuncta atque solvendi – nam fides tua fundata est supra firmam petram, quae nec errare nec unquam deficere potest, dicente Christo beato Petro, cuius tu, pater beatissime, verus successor existis: «Petre, ego rogavi pro te ut /622/ non deficiat fides tua» –;1aa presbyter Iacobus praesentium lator] Bona est epistula mg. ex ea re, cum de tuae sanctitatis mandato ad hanc Cretensem insulam eiusque provinciam etiam cum legationis officio missus fuerim pro exequutione fienda in sancto opere unionis Christi, ibique, seminato iam bono semine, quosdam viros iniquos legis praevaricatoresaa commendando quem virtus ipsa ubique commendat] Commendatitiae mg. et veritatis prospexerim inter granum bonum zizania se­minare, ipsam unionem et Christianorum pacem turbare atque pervertere mo­lientes, polluto ore false dicere non verentes, praeter sanctorum antiquorum conciliorum ordinem ac instituta contraque sanctorum doctorum, maxime Graecorum auctoritates et dicta, ipsam sanctam unionem inordinate et per­peram fuisse conclusam; et ex frequenti disputatione et quotidianis colloquiis tum publicis tum privatis facile cognoverim huiusmodi rebellionem ex solo ignoriantiae fundamento fuisse exortam, pro eo quod nec ordinem nec anti­quorum gesta conciliorumba pater honorabilis] Congratulatoriae mg. recte intelligunt, nec sanctorum doctorum proba­tas sententias propria caecati malitia concipere possunt; multorum devictus instantia tam Graecorum quam Latinorum, ipsorum maxime clarissimorum /623/ virorum Pauli videlicet de Doctisca iuvenis Venetus, qui cum legato venerat] Bona est epistula, non praetermittenda mg. de Padua, famosissimi utriusque iuris doctoris, et Marini Faletro, viri siquidem nobilissimi Venetiarum patricii, qui sunt catholicae fidei et huius sanctae unionis maximi zelatores, hoc praesens opusculum Domino inspirante conscripsi, ut ipsorum perversorum hominum fallaciam refellerem pariter et confutarem et hii qui de sancta unione recte sentiunt magis etiam possint in eorum optima mente firmari. [2] Nam conciliorum antiquorum ordinem et tempora, eorumque diffinitiones et causas quibus compilata fuerunt, summatim et compendiose collegi, prout ex eorum gestis in Graeco et Latino sermone conscriptis et ex annalibus antiquis, tam Graecis quam Latinis, comprobatum inveni. Ex ipsa maxime chronica viri ipsius clarissimi Liberati Carthaginensis qui om­nia gesta huiusmodi magno studio magnaque fide conscripsit. Sed et totam seriem et ordinem nostri huius moderni hycumenici Florentini concilii – tuae magnae sanctitatis studio et opere omni memoria /624/ digno nostro hoc tempore congregati – sicuti praesens vidi et manibus propriis ex parte contractavi, studiose subiunxi, eius quoque diffinitiones (quibus ipsa sancta unio facta est pro fidei catholicae veritate), quantum mihi ex Deo concessum est, nisus sum probare,da capsam ms : expectes capsas. tum rationibus et exemplis, tum antiquorum con­ciliorum gestis et sanctorum doctorum, maxime Graecorum auctoritatibus atque sententiis, ut etiam ipsi pacis aemuli armis propriis in eorum falsis suggestionibus convincantur. [3] Verum, quia res ista tam grandis atque difficilis ex debilissimo meo ingenioaa flexis] frexis ms. conscripta vim ullam habere non potest, nisi tua sancta auctoritate pro­betur, ex ea re opusculum ipsum ad pedes tuae sanctitatis corrigendum transmit­to. Si quid ergo maximo tuo iudicio dignum in eo beatitudo tua invenerit, non quidem mihi, qui meam parvitatem cognoscens dico cum propheta: «a, a, a, Domine nescio loqui, quia puer ego sum».1 Sed ipsi Deo maximo atque sum­mo a quo omne datum optimum et /625/ omne donum perfectum desursum provenit danda est gloria, qui dixit: «aperi os tuum et ego adimplebo illud».2 Ea vero quae tua Sanctitas apud ipsum opusculum aut inconcinne vel minus recte dicta esse iudicabit, quoniam ad te solum, pater beatissime, pertinet prava, in directa et aspera dirigereba licet litteris indigentem om. ms1 : add. mg. ms2. in vias planas, digneris pro tua sanctitatis clementia cum tua sancta emendatione corrigere, ut ipsa plantula ex se infructuosa, ex hac tuae sanctitatis correctioneca recte quarti. in bonam olivam inserta possit fructum utilitatis afferre. Valeat in Christo sanctitas tua, pater beatissime, et ipse Deus cuius regni non erit finis beatitudinem tuam feliciter conservare dignetur per tem­pora longiora. 2. Cris[toforo] Guar. a N. N. Padova, 12 aprile [s.a.] Da Padova un anonimo mittente scrive a un Cris(toforo) Guar. per compiangere la morte della di lui suocera [1]; valga a consolazione che la defunta ha lasciato una figlia altrettanto virtuosa [2]; comunica che Valerio è sofferente per una malattia che proviene dal cuore, ma si sta riprendendo; e inoltre che, per quanto sta in lei, Maddalena è vicina a Taddea (figlia della defunta, moglie del destinatario) e vorrebbe consolarla [3]. Chris. Guar. salutem plurimam dicit. [1] Non potest dici quantum nos commoverint litterae tuae quibus nuntiasti nobis socrum tuam mulierem primariam et prudentissimam mor­tem obiisse. Cum enim in mentem venit quantum tibi et familiolae tuae conducebat eius mulieris /626/ amor, fidelitas et solertia atque consilium, non possum non una tecum hanc iacturam molestissime ferre. Atque sicut amisso temone navis huc et illuc incerta defertur, ita et omnem familiam tuam, op­timo gubernaculo privatam, prope confusam et consternatam, incertam quid agat videor videre. Quare et ipsius mulieris causa quae nobis erepta est, cui ob quandam animi magnitudinem et summam prudentiam mirum in mo­dum affectus eram, tum etiam propter incommoditates vestras, continere me non possum quin immodice doleam. Sed quid ago? Dum consolari te debeo, et cupio, prope magis videor dolorem renovare. Sed ita me dii ament, hic inexpectatus casus nos labefecit. Verum tamen Guar. sicut inhumanum esset in tam acerbo casu non dolere, ita stultum esset non se in tempore colligere, quandoquidem neque lacrimis neque lamentationibus hae mininime leges emendari possunt. [2] Nam qui nobis ipsis auxilio esse non possumus, quid sperabimus alios iuvare posse? Aut serius aut citius migrandum est. Quid tanti facimus hunc vitae curriculum? Quam varia, quam mutabilis, quam fallax huius vitae ratio, quae neque vi, neque ope, neque con/627/silio, neque disciplinis, neque potentia nec denique rebus ullis quantumcumque evolueris, non dico horam certam, sed neque momentum polliceri potest. Harum tamen rerum om­nium ratio exquisita et quidem incredibilis doctrina penes te unum iudicio meo videtur esse, quam et a doctissimis viris accepisti. Et tu temet usu et experientia in ante acta vita probe didicisti. Quatenus, si te revocaris, multo melius quam tute ipsum consolabere, praesertim cum filiam reliquerit pru­dentia, integritate et modestia non inferiorem. [3] Sed, ne putes nos et sine summa animi molestia fuisse, Valerius noster quem ego ad te destinaveram mittere, per idem ferme tempus cum scripseram missurum, nescio qua aegritudine quam .*t*. t.. .a.d.a. physi­ci provenire affirmant, usque in hunc diem correptus languet. Nunc autem tenuiter convalescere videtur. Speramus tamen fortassis exacto calore bonam valetudinem consecuturum. Vale, valeat Thadea quam Magdalena consola­tur, quantum in ipsa est. Credo non plus lacrimarum allato nuntio mortis materiae funderet, quam fundit cum ei socrus tuae obitum renuntiassem. Mirifice /628/ mulierem illam optimum summis semper laudibus extollebat. Vale, pridie Idus Aprilis, Patavio. 3. Andrea Crisoberga, arcivescovo di Rodi, a Fantino Vallaresso [s.d.] Andrea Crisoberga informa Fantino Vallaresso che il re di Francia è fautore del pontefice, che tutti sono perciò sollevati e che tutti ritengono debba essere contenuta e limitata la tracotanza dei padri conciliari di Basilea [1]; il mittente aspetta che il pontefice dia risposta a quanto Fantino aveva inviato; gliene darà conto o per lettera, o a voce; gli raccomanda il latore della presente, un greco convertitosi sinceramente al cattolicesimo [2]. A[ndreas] Ar[chiepiscopus] Col[ossensis] Fan[tino] ar[chiepiscopo] Cre[thensi]. [1] Instantissimus tabellarii huius recessus non sinit ut has litteras ampliores faciam, quanquam nesciam quid significandum a me in praesen­tiarum sit quod te lateat. Nam omnia eodem more et cura aguntur, que­madmodum superioribus diebus dici fierique solebant. Praeterea hoc quod Tho. Nat., ex illustrissimo Francorum rege nuper festinantissime veniens, optima nova rettulerit eundemque scilicet regem devotissimae mentis esse ad beatissimum dominum nostrum, adeo ut nihil quod adversarii obtrectaverint aut ingressuri audire aut aditum ire patiatur. Idem studium dicit esse et ce­teris illis principibus et quibus regia cura commissa est, praeter paucissimos quorum auctoritas, ut ait, minimi est. His nuntiis paene omnes recreati sunt nec dubitant temeritatem illam Basiliensium et incredibilem audaciam ultore Deo in nihilum redigi debere. [2] Ego in dies contendo ut ea quae sanctissimo domino nostro de­claranda dimiseras diffinita accipiam, quae, cum suscepero, vel monumentis litterarum ad te dimittam, vel forte et vivo /629/ sermone exponam. Alia in praesenti non occurrunt, nisi ut digneris partitorem hunc litterarum com­mendatum habere. Hic certe multiplici experimento docuit quanto favore et caritate complectendus sit, qui veneratione et mentis constantia ad catholi­cam fidem omnes sui generis viros longissime antecessit. Quod si de eo mea fallet opinio, nunquam de Graeco aliquo rectum sumam iudicium. Vale vir optime, cui me devotissime offero ubique et semper. Raptis­sime, et cetera. 4. Dan. Her. al proprio padre [s.d.] Lettera indirizzata da ignoto al proprio padre; gli si dichiara sempre fedele, gli chiede di dargli cenno del proprio amore. Dan. Her. Val. Quanquam, mi honorande pater, haut sitibundus paterno amori detu­lisse videar, partim cum nec praeceptis institutisque acquieverim tuis, partim etiam cum tuum, qui me plane movet, dolorem nec filiali praesentia debita­que litterarum conventione abstulerim, et si tibi professione mea meum in te filialem amorem in nonnullis tibi debitis additamentis et officiis claudicare statueris, verum – tibi polliceor – nihil est quod de mea erga te subiectio­ne comminutum putes, sed eum me tibi statuas quem colere perpetuoque observare debeam. Mihique persuadeo minime haec tuae erga me pietatis vinculum lacerasse, sed /630/ id fore firmius atque constantius ut parentum nonnumquam ipsa natura, cum ab iis filios levitas quaedam detruserit facil­limos, amplissimos amores prorumpunt. Ut enim sunt quidam (quemadmo­dum praeclare in Officiorum primo describitur), qui sive felicitate quadam sive bonitate naturae sive parentum disciplina sunt rectam vitae secuti viam. Tibi ergo potius cum honestati virtutibusque adherescam meo ad religionem vestibulo gaudere convenit quam versari. Et si tuum dolorem magnitudo amoris addiciat, tua tamen quaeso sapientiam et constantiam moderare cum nihil apud praeceptorem nostrum laudabilius, nihil magno et praeclaro viro dignius quam placabilitate atque clementia. Ego mi pater cum neminem te tui amantiorem me habeas, nunc omnia mea in te studia atque officia quae ad tuum commodum, quae ad honorem, quae ad dignitatem tuam pertineant hactenus tibi polliceor. Quamobrem velim ita etiam ipse fortasse si poteris tuis mihi gratis litteris offeras scintillam quandam amoris tui. Vale. 5. Bla. Hyer. a Fantino Vallaresso [s.d.] Lettera consolatoria a Fantino Vallaresso, cui è stata ingiustamente limitata una prerogativa; è esortato a sostenere con pazienza la prova, sul modello di esempi biblici. Bla. Hyer. Fan[tino] Cr[ethensi] ar[chiepiscopo]. Supervenit externo vespere Ia., qui mihi rettulit taediosum /631/ no­vum ac displicabile. Nam, ut ex ipsius relatione didici, facto pravorum fa­cultatem qua fueras educandus diminutam esse, quam sic deploro ac si hoc mihi contigisset. Sed his saepe probat nos Deus. Tu ergo, qui modestiam servasti hactenus atque constantiam sic in praesentiarum utaris eis ut non solum prosperitas te sapientem doceat, audisti in canticis pacificum regem: «Leva, inquit, eius sub capite meo (quasi pulminalea1 Petre, ego rogavi pro te ut non deficiat fides tua] cfr. Evang. sec. Lucam (ab Hieronymo iuxta Graecum emend.), XXII 31: «ait autem Dominus: “Simon Simon ecce Satanas expetivit vos ut cribraret sicut triticum ego autem rogavi pro te ut non deficiat fides tua”»; et cfr. e. g. Augustini Enarrationes in Psalmos, psalmus 26, enarratio 2, 5: «et in illo libro habes quem commemoraui, et in Evangelio Dominus dicit: “hac nocte postulavit Satanas, ut vos cribraret sicut triticum, et ego rogavi pro te, Petre, ne deficiat fides tua»; ecc. mihi faciens de adversis) et dextera illius amplexabitur me».1 Intuere Iob, Thobiam et Eustachium, quod fuere molestiis afflicti, nec suffecit substantia hosti nisi in pellem ageret. Virtus magna patientia, quam qui tenuerit beatus sit precor facias. Et de hoc satis. Intellexisti praeterea ut puto litteras quas tibi per eundem Ia. scripsi et quoniam facillimae mentis clarissimi oratoris nostri quam ex frequenti conversatione habes, potes, arbitror, praescivisse alias enim te quae ad me scribit. Namba legis praevaricatores] praevaricatores legis Schultze. etsi durus calix iste sit, nil minus bibam meque ad iter quam cito disponam. Quod fieri per prius non posse spero quam mensis integer ef­fluat ut sim vobiscum. Verum, si interim translatum sanctissimum dominum nostrum ad Ferrariam scirem, tempus praeoccuparem ut in societate /632/ sua ad urbem illam accederem. Vale et me excusatum habe, si ut affectas, complectius ad te non scribo. Iterum vale. 6. Giovanni Berardi, arcivescovo di Taranto, a Fantino Vallaresso Roma, [1432-1434] Lo scrivente, da Roma, comunica a Fantino Vallaresso di aver saputo del pericoloso accidente occorsogli; era preoccupato per la sua salute, ha tuttavia saputo anche della sua buona convale­scenza [1]; non lo ha più informato sul Concilio: la situazione è oltremodo incerta; il pontefice ha stabilito di inviarlo nuovamente a Basilea, ciò che lo scrivente vorrebbe evitare; sa bene, tuttavia, di dover obbedire [2]; gli dà notizia della morte del suo unico fratello, evento che lo ha profonda­mente addolorato [3] (edita in Degli archiatri pontificj, II, Roma, Stamperia Pagliarini, 1784, pp. 128-130). Io[hannes] Ar[chiepiscopus] Ta[rentinus] Fan[tino] ar[chiepiscopo] Cr[ethensi]. [1] Fui his diebus magna affectus molestia et quidem cum ingenti anxietate mentis, cum intellexissem casum tuum inopinatissimum, ac non parum ut ab initio sum veritus periculosum. Timui enim saluti tuae nimium. Tandem factus sum certior laesionem non magnam admodum extitisse et nunc per Dei gratiam te ad indubitatam convalescentiam pervenisse. Quae res et me consolata est et ingentem attulit meo animo laetitiam. [2] De rebus concilii ne mirum sit si nihil est a me scriptum. Sunt enim res illae in ea perturbatione et obscuritate ut nihil certum hactenus ha­beri potuerit, tanta est animorum varietas et dissensio. Novissime autem fore deliberatum extitit per sanctissimum dominum nostrum et reverendissimos dominos cardinales ut ego iterum Basileam repetam. Ago sedulo ne id eve­niat et quidem rationibus optimis. Nam nec video id rebus gerendis expedire. Tandem, quod vereor, necesse erit oboedire. Ad executionem reliquorum tuorum laborum et conclusionum factarum, cum /633/ ambasciatoribus Christianissimi regis Franciae et regis Renati, deputatus est magister Andreas sanctissimi domini nostri medicus. Haec habui, pater mi suavissime, quae modo ad te scriberem. [3] Et inter novas et acerbissimas animi mei molestias, quae mihi hoc tempore contigerunt, nuntiatum est enim mihi germanum meum e vita excessisse. Ea res mihi nimias angustias dedit, ut enim cetera omittam, obque illum mihi unicum carissimum habebam. Una res erat eximia scilicet viri probitas, quae ut illum maxime apud me facerem illique mirum in modum afficerer semper effecit. Haec ipsa igitur fratris amissio incredibilem quen­dam mihi dolorem attulit. Nam et multa se offerunt animo quae maximam faciunt huic acerbitati accessionem. Et quanvis me ipsum ratione consolari studeam, nondum tamen invenire potui dolori meo finem. Caritatem tuam rogo me plurimum commendes reverendo patri domino * et item domino Fed. Cont., quibus tu dices non mirari me quicquam si facti sunt uterque mei immemores, quippe qui in oblivionem mature venisse arbitror. Vale pa­ter, cui me plurimum commendo atque trado. Ex Roma. 7. An. Iu. a Benedetto, dottore di decreti [s.d.] Lo scrivente (An. Iu.) scrive a un Benedetto, dottore di decreti, dicendogli di trovarsi presso il suo signore (cioè Fantino), da cui mai vorrebbe staccarsi, tanto dolce è la sua compagnia; Fantino ha letto al cretese Lorenzo Boncio e allo scrivente stesso una lettera di Benedetto; Fantino ha elogiato Benedetto, ne ha tessuto lodi tanto alte, che lo scrivente volentieri, se potesse, partirebbe alla volta dell’Italia per conoscere di persona Benedetto [1]; Fantino ha incaricato lo scrivente di inviare a Benedetto il testamento in forma autenticata di un N(icolò) Cava, di cui è commissario; lo scrivente si giustifica con Benedetto: egli, non appena il testatore è morto, ha inviato il testamento a un medico, P. de Tho., affinché questi ne desse lettura ai legatari, la madre e il fratello, affinché provvedessero a dare effetto alla volontà del testatore; ma non ha ricevuto alcuna indicazione dai due legatarii; si apprestava perciò a scrivere nuovamente al medico (P. de Tho.), affinché la volontà del testatore abbia effetto [2]; nel frattempo ha scoperto che Benedetto è implicato nella volontà testamentaria, per la qual cosa gli chiede di intervenire presso la madre e il fratello del defunto, affinché questi ufficialmente esplicitino la loro volontà; se hanno già agito in tal senso, l’arcivescovo (Fantino) gli scriverà ciò che deve fare; gli si professa devoto e pronto a compiere ogni sua volontà [3]. An. Iu. B[enedicto] de[cretorum] doc[tori]. [1] Nescio an unquam iocun/634/dius tempus exigam quam quando apud dominum meum dominum ar[chiepiscopum] Cretensem assisto, adeo quidem ut, si fas esset, et possem, nunquam ab eo discedere vellem. Si enim adsunt amici, honesti et utiles sermones fiunt; si non liber legitur, numquam otio vacat, semperque in exercitatione est. O quam pulchra, quam dulcis ipsa societas, quam mira dulcedo eius in verbis atque suavitas, quam mira hilaritate omnes excipit et affatur! Sed quid peramplius meam nuper exage­ravit iucunditatem? De te, doctorum eximie, mentionem agens, quandam epistulam, quam ad eum scripsisti, legit gravissimo viro Lau[rentio] Boncio Creten[si] cancellario et mihi. Deinde tuas cumulatissimas virtutes enume­rans, te de gravitate morum, vitae integritate, ingenii perspicuitate, scientia quoque maxima et profunda, potissimum in utroque iure mirifice laudavit. Ego homuncio, tantum praelatum audiens de te praedicare, tot tantasque virtutes obstupui ac mecum ipse considerans, intra me dixi: «o summe Deus, quam inscrutabilia sunt iudicia tua!».1ab antiquorum gesta conciliorum] gesta antiquorum conciliorum Schultze. Tu omnes in hoc mundo creasti mi­rabiliter. Unde unus tot et tantis pollet virtutibus? Alius est, si non vitiis imbutus, nulla saltem eum virtus, immo, ut congruentius dicam, nullam is virtutem amplectitur! Et ad tuas amplissimas virtutes me circumferens, ad te /635/ tanta dilectione ex dictis huius praeclarissimi antistitis sum affectus, ut, nisi communitas haec me vinctum haberet, nisi res familiaris angeret, meique iuris essem, maria transirem et ad te videndum in Italiam pervenirem, ut gaudium impleretur meum. Haec tibi non adulatione subdola, sed in timore Dei et in veritate dico. Nec mirum, dicit noster gloriosissimus Hieronymus, legisse in historiis veteribus quosdam lucrasse provincias, novos adiisse popu­los, ut quos ex libris noverant, coram quoque viderent.2bc Doctis] Dotis Schultze. [2] Demum idem praesul, tua perlecta epistula tuisque finitis laudibus, mihi mandavit ut testamentum illius clarissimi viri domini N. Cava, cuius sum commissarius, sibi in formam autenticam redactum darem tuae praehe­minentiae transmittendum (nam illud tua epistula requirebat), et quia con­sultor commissariae eiusdem est, consuluit ut tibi procurationis instrumen­tum mitterem ad voluntatis testatoris executionem illius. Verum, quia mihi exinde posset negligentia imputari, tibi ad meam duxi excusationem breviter reserandum, me quamprimum de hac luce idem dominus noster migravit, eius testamentum viro optimo P. de Tho., physico egregio, transmisisse. Ipse enim eundem dominus noster mihi domesticum fecit ut legatariis eius ostenderet, matri scilicet atque fratri, ut et ipsi ordinem darent, /636/ prout vellent. Deum testor, nullum habui responsum nec ordinem ab eisdem. Ex­pectans expectabam. Tandem, his iam prope peratis diebus, iterum ipsi P. scribere destinaveram, ut, sicut in aliis quae per nos ipsos commissarios facere potuimus, voluntas habuit testatoris effectum, ita in reliquis totaliter impleretur, et hic labor et pondus quae conscientiam gravant humeris demis­sa, me et allevaret a pondere et liberum faceret a labore. [3] Interim autem, Deo ex alto providente, tu irrequisitus, te offero quod inquirere volebam. Te igitur, quem ipsius defuncti attinentem ex tuis litteris esse concerno, obnixius rogo ut, si mater et eius frater in humanis agunt, eos inducas ut factis ordinem dent suis, et per instrumenta sollemnia cui velint committant quid circa id fieri volunt. Si vero humanitatis debitum iam solvissent, quid agere habeas, reverendus dominus ar[chiepiscopus] tibi scribet. Ipsi enim soli hoc in casu testamenti executio commissa extitit. Sed finem epistolae imponens, me, doctorum clarissime, licet absentem tibi of­fero, si tuae permaximae virtutes parvitatem meam non dedignentur habere domesticum, id enim quod sum et possum tibi iterum offero et mihi inter alios sive familiares, sive amici, sive noti sint tibi, mandare potes quicquid me cognoveris pro te posse. Vale diu vere Benedicte, etiam tot virtutibus inclite ac quod familiari­tate tua factus sim dignus tua mihi digneris epistula respondere. 8. Marco Giustiniani a Lauro Querini [s.d.] Marco Giustiniani risponde a una lettera di Lauro Quirini, lettera scritta con straordinaria eleganza, nella quale gli viene contestata una pretesa contraddizione; di fatto Marco è in questo periodo prossimo alla filosofia degli accademici, pur senza dimenticare gli aristotelici; ma ciò non è incongruente, poiché le due cose possono stare congiunte [1]; è vero che Marco ha scritto di seguire sia gli accademici sia i peripatetici; vi sono moltissimi uomini che hanno congiunto filosofie diverse [2]; Lauro pretende infatti che solo i peripatetici vadano seguiti e apprezzati, e che solo Aristotele detenga la verità, ciò che non è; gli trasmette un commento in greco ad Aristotele per tramite di un Covallisio [3]. /637/ M[arcus] Iu[stinianus] L[auro] Q[uirino], luce magis caro salutem. [1] Vide quantum in te suavitatis et gratiae sit, mi L[aure] iocun­dissime, adeo formosas tuas litteras depingis, ut non minus illarum forma capiamur, quam tuarum sententiarum amplissima gravitate, qua fit, etiamsi saepissime in tuis litteris tibi non constes, tacendo tamen id quod dicendo libentius prosequar, ut gratius tibi aliquando sit tuum te errorem cognovisse quam a me didicisse, pro dii immortales, quos ego risus excitassem, si tecum essem. Nunquam, mi L[aure], in tot tantisque tuis ad me litteris, quanvis semper doctissime diseris, adeo inexpugnabiles syllogismos construxeras. Ariete mihi opus aut vinea aut testudine. Miraris quod tibi visus essem in epistula mea pugnantia dixisse. Quod et nos turpe et malum arbitramur, quia cum potissimum hoc tempore achademicos sequar, aristotelicos non abiciam, cum ab aliis et a nobis saepe audieris has philosophorum sectas inter se et a se varias esse. Audi quidnam velit tua dyalectica et vera dicendi ratio et disce non discidentia nobis videri quae simul stare possunt. Qui enim non devicit quenpiam, non idcirco causam sequitur. Vides ut me non intellexeras, qui tuo divino ingenio summorum virorum singulares sententias proseque­ris, quod tamen non miror. [2] Scimus enim magnos plerunque viros in primis elementis /638/ primae et iam artis prolabi turpiter,ad probare] comprobare Schultze. sed, ne omnino tantum laborem frustra sumpsisse videare, dabo tibi ut aqua magis haereat quod me dixisse putaras virosque me sequi achademicos simul atque peripateticos. Habes nunc quod est accusatori maxime expetendum, confitentem reum, sed tamen ita con­fitentem ut acriori te vulnere feriat. Legi multos stoycos gravissimos viros achademiam laudasse, peripateticos vi et ratione rerum multarum cum a suis non discessissent finibus sequutos fuisse; plurimos achademicos disciplinam stoycam non improbasse. Viros quoque sanctissimos cum Aristotilem ad astra ponant et eum saepissime sequantur, ipsi tamen Platonem proposuisse et eius vestigia sequi. [3] Vides, mi L[aure], quam pulcherrime sedato nunc pectore maneas, cum temporis vim et rationem prospicias, sed nolo tibi nunc dicere quinam vir hoc maxime prosequatur ne tanti viri nomine fractus a tuis syllogismis desinas quos mihi scito iocundissimos esse. Vis et alterum tuum syllogismum pulcherrimum nec minus gravem? Videamus quo magnopere niteris, ut cum iam satis firmaveris non posse quempiam duas sectas sequi me penitus ab achademia deterreas. Ais enim solos peripateticos esse sectandos, quoniam solus Aristotiles invenerit veritatem. /639/ Primum tibi dico nec solum Ari­stotilem invenisse verum nec omnes peripateticos nobis videri. Sed pluribus usus sum verbis fortasse quam debui. Te vero nonnunquam video dum me magis tuum facere studes nonnunquam a finibus nostrae dyalecticae discede­re, sed quid opus est tantopere nitaris. Ecce absum terraque marique semper ubique tuus. Quod ad me scribas ut diligenter quosvis super Aristotilem commentarios Graecos ad te transmittam, equidem hanc curam Covallisio nostro dedi, isque pollicitus est omnia se tua ac mea causa esse facturum. Vale. 9. B. Ab. a Fantino Vallaresso 1 maggio [1436] Lo scrivente dà notizia a Fantino Vallaresso che il 6 aprile un metropolita greco è giunto da Co­stantinopoli a Budapest, presso l’imperatore (Sigismondo); da una lettera apostolica indirizzata all’imperatore, si è appreso che il metropolita ha abiurato l’eresia ed è stato unto con il sacro crisma presso la curia di Roma; il Signore ha commiserato l’umanità e ha esaltato papa Eugenio; a lui tutti vogliono inchinarsi; greci, boemi, tutti gli eretici desiderano tornare all’unità [1]; l’im­peratore ha letto la lettera con grande soddisfazione; ha inviato il metropolita verso la Valacchia, dove gli sarà conferita una prebenda; i principi della Boemia con i loro sacerdoti e il vescovo di Costanza (dominus Constanciensis) attendono l’imperatore presso Jihlava; i Boemi sono pronti a condurre l’imperatore in trionfo a Praga [2]; lo scrivente ha rinunciato ad assumere gli ordini sacri: la sua situazione è infatti difficile; se l’imperatore Sigismondo si recherà in Italia, la sua situazione sarà risolta; altrimenti cercherà l’opportunità di tornare presso Fantino [3] (edita da Peri 1983, 63-64). B. Ab. Fan[tino] ar[chiepiscopo] Cre[thensi]. [1] Graecus quidam metropolitanus de Constantinopoli VIII idus Apri­les Budam ad Caesarem quibusdam cum famulis et uno monacho religioso (ut videtur) probo applicuit, qui litteras apostolicas videlicet commendatitias ad imperatorem portavit. Quibus lectis intelleximus eum magno ac constanti animo, primo, Graecorum haereses corde suo abiecisse et penitus abnegasse; deinde, sacro chrismate in Romana curia perunctum fuisse. O felicia tempo­ra nostra, pater optime, quod Graecorum, vel rectius dicam Christianorum decus, gloriosus misertus generis – quod inter se divisum et longis iam ex in­fidelibus exagitatum temporibus – in eum /640/ gradum et culmen Eugenium sanctissimum dominum nostrum erexit. Venerabili sanctitate atque animi celsitudine eius etiam singuli eorum ad osculandum sanctitatis suae pedes tanquam orthodoxi sponte festinant et universum Graecorum, Boemorum atque ceterorum haereticorum genus in primam unionem libertatemque et statum reduci non dubitamus. [2] Cum itaque imperator intellexerit quid ipse metropolitanus per lit­teras domini nostri a maiestate Caesaris peteret, maiestas sacra sereno vultu iu­cundoque animo versus Vlachiam miserat eum, ubi eidem debeat ecclesia una cum aliqua possessione conferri. Praeterea Boemorum principes cum eorum sacerdotibus nec non dominus Constanciensis sacri concilii ambassiator cum eius sociis in civitate Giglaviae, quae prope Boemiae metas scita est, magno cum desiderio maiestatem sanctam expectant, ut ibi et spiritualium et tempo­ralium conclusionem conficiant. Imperator cras sine dubio Buda Giglaviam versus equitabit, celeriter ut solet. Quare rumor est inter Boemos et ceteros Christianos in spiritualibus et temporalibus fore optimam pacem. Intendunt denique Boemi parata conclusione maximo cum triumpho Pragam ducere Caesarem, tanquam Boemiae regem, quicquid autem vel conclusum vel secu­tum fuerit de his te meis litteris faciam certiorem, sed de his /641/ hactenus. [3] Ego enim, pater honorande, inter has immanes et barbaras natio­nes, ubi domum propriam non cognosco, nullos sacros ordines recipere volui neque quousque hoc modo fuero vagus unquam recipiam. Mordet me con­scientia, pater colendissime, quod in hac corporis et animi agitatione divinos indigne ordines assumam. Quare statui mutare propositum post Boemorum conclusionem. Nam dominus meus Seg[ismundus] si post eorum conclusio­nem in Italiam equitaverit, bene mecum erit actum. Si non, vigilabo quonam modo istuc ad te possim reduci. Istic enim non in Hungaria res agitur mea et ecclesiae tuae, pater, praecipue non alii servare desidero vehementer. Idcir­co ut res mea tibi curae sit, obsecro caritatem et benignitatem tuam cum praesertim scias litteras apostolicas me iam diu impetrasse et acceptas esse a sacro capitulo ecclesiae tuae Cre[thensis]. Sed confisus equidem incredibili celsitudine tuae benignitatis etiam sine litteris apostolicis etiam quaerebas dum fuerimus Cretae et quaeres me in tua ecclesia honorare. Clarissimis viris domino Dominico et M. benemeritis tuis cappellanis me velim commendes. Quid autem tu super mea re sentias, quidve consilii praestes velim quam pri­mum per litteras tuas me facias certiorem diligenterque tanquam servitorum minimum admoneas tuum. B. hoc firmiter scias quod si idem dominus meus /642/ Seg[ismundus] in Italiam non venerit, in hac aestate sine mora eum sum relicturus et istuc venire operam dabo. Vale dignissime praesulum. Kalendis Maii. 10. Par. Domi. a N. N. [s.d.] La lettera è parte di uno scambio epistolare tra due amici, probabilmente chierici, i quali af­feriscono alla familia di un medesimo dominus, cioè un arcivescovo (Fantino Vallaresso?); il mittente attende l’amico a Venezia, il destinatario è un cantore, che ha eseguito di recente le antifone Pinguis est panis Christi e Beati pacifici (ma troppi i sottesi e le abbreviazioni per ricostruire senso e contesto con sufficiente chiarezza). Par. Domi. Salutem. [1] Ad tertium Kalendas Octobris abs te litteras accepisse congratu­lor quibus tum sospitatem tuam, tum felicitatem, tum etiam illam since­rissimam cordialemque benivolentiam qua coniuncti sumus et prudenter et humane ostendis. Te valere ut sentiam tibique felicia cuncta procedere gaudeo et exulto, gaudeoque magis, si te Venetiis (ut faris) videro, quod, ut praesto sit, caelestem exoro, optatum te expecto, veni sospes. Ex his autem innocentiam tuam quam et diebus quampluribus cognovi ostendisti et si mihi speciales litteras non dabas tamen per tuas easdem litteras ad virum illum familiarissimum M. nostrum hortationes varias et salutes ex te mihi fiendas iungebas fateor habuisse. Ex quo, si mutuas a me non exceperis ais me inculpabilem reddere hominem me variis occupatum tui intensius la­borantis non meminisse decernis. O D[omine] mi, nunquid antiquissimi illius secutionis oblivisci potes? Te ut magnum amplumque facias minimum vocas. Facis profecto quod soles. Quid in hoc me ut cautum redderes te am­plitudine illa frui qua boni quique praelati tempus /643/ amittis? Iam ex alio sciveram, scis a quo? D. Br. ille Calamita mutuo amicissimus mihi ex certo sine iuramento firmavit, quod, si cantor fuisti, bene cantasti et praesertim illas anthiphonas Pinguis est panis Christi et Beati pacifici.aa ingenio] ingeniolo Schultze. Acquisivisti sub­stantiam, procura nunc personam ampliare. Dimittam †truphas† veniam ad eam quae attinent. [2] Memini alias scripsisse quid agere decreveram de eo quod vir bonus ille dederat Ia. Por. Quod in praesentiarum haud abditum ducam. Non ha­bitis secundis litteris meis, respondes et probe ut consilio tuo desistam. Iam ex eisdem litteris memini tibi aperuisse mentem meam, quod ob reverentiam reverendissimi domini P. Gra. quem res tangebat aliquali via me minime im­pedire decreveram et sic desistebam. Comperi curriculo parvo dierum abeunte eundem Ia. sacerdotem precise ut dicis tam candide quam alibi egisse contra caritatis debitum. Dolui quantum dolendum erat. Quoniam re vera dum eum in domo reverendissimi domini cardinalis de Columna degentem agnoveram, credidi bonum virum. Cupio eum viam iniquitatis deserere et ad semitam ve­ram redire. Si hoc mihi alienum non fuisset, nullo pretio egissem, quae domino meo domino P. rem gravem tulissent. Doleo nanque et permaxime doleo, si reverendus dominus communis, dominus arch[iepiscopus], hoc aegre tulerit. Velis ergo mi /644/ cordialissime, ut pater eidem domino communi me in hoc, quemadmodum sum, reddere innocentem te quibus valeo precibus oro destiti. Desisto nec in posterum similia amplectar nisi rem lucidam propriis conspexero oculis. Habui novissimis diebus certa beneficia Tar. quae residentiam requirunt personalem. Decernam forte Deo duce ibidem habitare, quid sequetur scies. Vale, vir optime, et me reverendissimo domino communi singulariter commendes. G. denique si penes nos est meis verbis salvum facias meque postremo tibi commendo tuum. 11. Ia. R. a I. D. Ci. [s.d.] Il mittente si complimenta con il destinatario che è tornato, con molta rapidità, da un lungo viaggio; è felice di saperlo sano e salvo; sarà ancora più felice se il pontefice lo premierà per il suo lavoro e la sua fedeltà; avrebbe voluto andarlo a trovare a Venezia, ma è impedito dagli impegni; spera tuttavia di poterlo riabbracciare. Ia. R. I. D. Ci. [1] Antonius noster, qui tibi has meas consignabit litteras, ex Verona forte accedens felicem redditum tuum mihi enunciavi, dixitque te bene vale­re, de quorum uno non parum miratus sum, quod videlicet tam cito reddieris satis superque esset si equus tuus, vel noster potius, non modo rapide ut facit ivisset, verum etiam si volasset. Longum enim erat iter tuum et legatio tua, hoc est profectionis causa debebat esse non ignobilis. De altero quod scilicet sospes reddieris non possum pro mutua inter nos consuetudine et amore non multum laetari. Triumphabo ac beatum me sentiam profecto si cura, studio et diligentia tua intellexero, vel nuntio vel litteris tuis, maximi pontificis de­siderio saltem aliqua in parte satisfactum esse. [2] Spero enim quod illius /645/ beatitudo quae solet esse non ingrata de aliqua praestanti praebenda aut dignitate in laborum et fidei tuae retributionem tibi providebit. Quod si erit factum, fac ut sciam quanto praestius poteris ut tibi, sicut nostram decet amicitia, congratulari queam. Nisi occupatissimus essem, navigassem mihi crede ad te videndum Venetiis. Sed spero quod non aberit diu quod magnificus dominus R. ab istis laboribus expeditus erit et te complecti potero ad satietatem usque. Vale interim et iube ac aliquid si per occupationes licet rescribe de statu ac omnibus rebus tuis. Iterum vale milies et me commen­da clarissimo viro domino patri Lau[rentio], cuius negotium votivum omnimo finem consequetur et praesto. Scio enim quid loquor, carum etiam me facies domino F. nostro, cuius totus tua causa et humanitate sua esse volo. 12. Fr. de P. a Fr. Por. 22 ottobre [1432] Lo scrivente (un familiare di papa Eugenio IV, come si ricava dal § 2), si rivolge a un amico, il quale lamenta di non aver ricevuto risposta a una sua precedente missiva; questa, di fatto, non è mai stata recapitata [1]; il concilio di Basilea è stato già sciolto dal pontefice (dominus noster), il quale ne ha convocato un altro a Bologna (il che avvenne con la bolla del 18 dicembre 1431: perciò la lettera dev’essere del 1432) [2]. Fr. de P. Fr. Por. salutem. [1] Redditae mihi sunt litterae tuae per V. concivem nostrum opti­mum, quibus videbare alias pridem mihi commisisse litteras ex me autem quicquam accepisse unquam. Quamobrem suadebas tibi nolle respondere. Ego, F. optime, quanquam multis negotiis praepeditus sim, tibi aut unquam respondere omisissem cum tuae mihi redditae essent. Te enim cum familia tum virtutibus tuis tum etiam /646/ antiquissimae consuetudinis nostrae iure permaxime diligo, ut tuis quandoque litteris me plurimum oblectari putes. Quod scribis de gen[itore] tuo, ego (quod idem dominus patriarcha sentit), sibi parum aut nihil in praesentiarum ad curiam accessum prodesse putem. Ea crede, amice loquor. Non sibi conditio forte parata esset quam idem cupit. [2] Praeter haec, aliud occurrit maximum, quod, cum omnia ista loca magnis disceptationibus et gueris destituta fuerint, magna hic admodum annonae caritas viget, quod amplius facit futurorum suspicio. Est etiam sanctis­simi domini nostri aegritudo, etsi perexigua, quae inter gravissima incommodo numerari potest, ut putem vere isto ad balnea nos esse profecturos. Demum concilium Basiliense iam pridem a domino nostro dissolutum et aliud ad annum cum dimidio futurum Bononiae publicatum est, quod tamen si sit, infra tempus breve nos Bononiae adesse putem, quo longe commodius tibi parens optimus ceterique alii itineris brevitate poterunt adventare. Quod tandem mihi te ipsum offerres, non opus erat sic enim de te mihi persuasi semper. Optarem insuper, frater carissime, germano tuo P., qui clericus est et virtuosus existit, de re aliqua esse provisum, quod persaepe memini non immemor benivolentiae nostrae /647/ optimae. Reliquum est ut me quid optes certiorem facias, cui mihi operae pre­tium erit satisfacere posse. Vale, et me paribus tuis commendatum facias. X Kalendas Novembris. 13. Nicolò Cava a Fr. P. [s.d.] Lo scrivente si rivolge al destinatario in tono spiritoso, canzonando la propria stessa pigrizia che gli ha impedito di scrivergli (ma il testo, privo di chiari riferimenti, resta oscuro). Nicol[aus] C[ava] Fr. P. salutem. [1] Quantum de litteris a me suscipiendis in posterum speres video. Nam si quas per immortales occupationes tibi scribo, quorundam hominum illarum latorum intercipit improbitas. Iam me intelligis iocantem puto. Po­stquam meos proprios lares visitavi hac in urbe repositos suavissimus et ma­ximus nobis interceptus sermonis fructus est nostri, adeo quod gratissimum ducam, si tuis me accusabis litteris cum eam accusationem ex singulari in me amore tuo abs te factam esse intelligam, propterea quod tanto silentio usus sim, ut me vel ingratum vel rusticum fatear opus sit et omni sensu quasi carere. Nam ista postponam cum tu cognoscas me natura comparatum esse, ut in amando quidem strenuus sim et in scribendo ignavus ita factus quod omnes tarditate vincam. Tamen ne diutius hac inficia tenear neve tuum in me affectum caligine tegi patiar, has meas tibi breves dare constitui. [2] Novi enim, carissime frater, quod miram tuam in me pietatem tan­topere accumulasti ut, si om/648/nes mihi necessitudine coniunctos enume­rarem qui saluti gloriae ac dignitati meae faverent, te in eorum numero ascri­bendum censerem, non equidem indignum mei admiratione futuri triumphi pro qua tua in me singulari humanitate ingentes tibi gratias et refero et ha­beo. Finem quoque istis imponam. Si hoc tibi praemisero ac recommissum fecero quod tua non tam voluntas honorum cupida quam ingens adhibita ad disciplinas, ad studia cura atque solertia id spondeat. Quod meae dignitati spectator et fautor esse digneris, ut animus tuus ex felicibus meis successibus gloriari possit, et incredibili laetitia affici. Si tua mihi occurreret modesta, ornata et maiestate referta facies una cum tuis edocendis in iure discipulis, quando temporum condicio me legentem extollet. Vale altera felicitatis meae pars. 14. Ma. V. a Fantino Vallaresso 3 gennaio [s.a.] Lo scrivente, forse Maffeo Vallaresso, zio dell’omonimo arcivescovo di Zara, si rivolge al fratello Fantino per consolarlo in un momento avverso, causato dell’invidia dei suoi avversari. Ma. V. F[antino] V[alaresso]. Si grata tibi mea esse officia erga te cognoscam, non tuae solum volun­tati satis diligenter faciam, verum etiam maximis ego te honoribus afficiam, quibus ipsa livorem et propter tuorum inimicorum invidiam privatur, qui huic nostrae reipublicae res nec factas nec abs te cogitatas denuntiant. Fac igi­tur his tuis rebus ad/649/versis, bono sis animo. Tua enim dignitas ex tuorum familiarium praesidio singulari studio summaque cura defendetur, quibus ego semper nostram ob mutuam benivolentiam ab ineunte aetae inceptam usus fui, cum ipsis quidem vehementer crevit annis. Vale mi frater suavissime meque maiorem in modum ama, quod facis. III Nonis Ianuarii. 15. L. C. a S. C. [s.d.] Lo scrivente invia tre anelli e alcuni capi di vestiario – cioè vesti semplici, diploidi (cioè mantelli, composti di due parti), una berretta – a chi gliene aveva fatto richiesta. L. C. S. C. salutem. Tu nunc mecum egisti tanquam casei venditor essem, ita materno elo­quio ad me litteras dedisti. Mitto ad te tres anulos quos (ut iussisti) commisi famulo tuo, sive illi qui tuas mihi reddidit. V. ex Ferraria rediit, qui vestes tuas et binas diploides ac birretum tuum daturus est famulo. Miror quod nullum non miseris super quo imponerentur capsae cum vestibus, quoniam totius et aptius ad te delatae essent. Curabimus tamen ut melius fieri pote­rit ad te deferantur easque reliquis cum rebus nuntio tuo committemus ut scribis. Doleo de morte C., quanvis filius laetetur ut mihi dixit M. noster. Salvus sis ab omnibus nostris. Mihi significato quo te directurus sis. Banda te certiorem facet quicquid pro veste tua exposuerit. Vale et quidem bene. 16. Ludovico Foscarini ad Antonio Baratella [s.d., ma ante 1448, anno di morte del Baratella] Ludovico Foscarini si complimenta con il poeta Antonio Baratella per i suoi carmi: senza di essi l’epoca loro godrebbe di minor fama, perché quei carmi vincono con la loro celebrità le opere degli antichi scrittori. /650/ Ludo[vicus] Fus[carenus] Antonio Baratelle Patavo dignissimo poetae laureo salutem dicit. Vidi, suavissime poeta, carmina quae, si abs te data non essent, no­strorum temporum minime iudicarentur, quia veterum etiam scriptorum laudem (nec fallor) permaxime antecellunt. Itaque, mi clarissime Baratella pater, tibi et tuis laetare quoniam nullis praeceptis, nulla arte, nullo studio potuisses solus nostrorum hominum tantam tamque praeclaram doctrinam consequi, nisi Deus et natura caelesti quodam munere te ad talia studia or­nanda excelsum magnificum et integerrimum virum edidisset, ut sanctum poetae nomen, quemadmodum Ennius appellabat,1ab dirigere] corrigere Schultze. quo longius aberrat eo in te dignius illustriusque repeteretur. Nullas igitur adversas fortunae partes extimescas. Nam virtus ubique magni est. Sed memineris saepiusque mente repetas et tibi dictum puta Virgillianum illud: durate et vosmet rebus servate secundis.2bc correctione] correptione Schultze. 1 dico cum propheta ~ ego sum] Hieremias (ab Hieronymo transl.), I 6: «et dixi: “a a a Domine Deus ecce nescio loqui quia puer ego sum”». 2 aperi os tuum et ego adimplebo illud] cfr. Psalmorum iuxta Hebraicum (ab Hieronymo transl.), LXXX 11 (et LXXX 12): «ego sum Dominus Deus tuus qui eduxi te de terra Aegypti dilata os tuum et implebo illud». Vale. 17. N. N. (giurisperito) a N. N. [s.d.] Lettera con la quale un giurisperito certifica il proprio impegno nel seguire le vicende di una causa. Quanti apud me fuerint commendationes tuae causae cupiebam ex ipso fine potius quam ex litterarum crebritate cognosceres. Sperabam enim propediem peroratam causam tibi nuntiare, sed, cum /651/ videam praeter desiderium meum aliquandiu rem hanc differendam, velim scias quid hacte­nus a me diligenter actum fuerit, ut intelligas quanto studio rebus tuis con­suluerim. Coniunctus fuit a nobis adversarius tuus sententiis duabus inter­loquutoriis et ad expensarum refectionem condemnatus extitit. Nunc causae principali intendimus spe optima, finem ut spero et opto brevi accipies. Quo intellecto me magis ad agendum quam ad scribendum in rebus tuis promp­tum cognosces, et quantum in me iuris habeas facile percipies. Vale. 18. Ludovico Saccano ad Al. Tr. [s.d.] Il messinese Ludovico Saccano (se con lui va identificato lo scrivente) si trova a Roma, da dove scri­ve a un amico, il quale ha ricevuto la cura di una diocesi il cui presule è recentemente scomparso. Lu[dovicus] Sa[ccanus] Al. Tr. salutem. [1] Si recte cum tuis vales, ego quoque valeo. Cum nudiustertius ad urbem Romam per varios casus et per tot rerum discrimina accesserim, visum est ante omnia ad te aliquid litterarum dare. Lex enim amicitiae nostrae iubet ne silentio involvatur, sed crebris repetita litteris, quasi quoddam seminarium colatur. Nunc autem civitas haec, cuius fama inclita universum terrarum or­bem illustrat, me iocundo gremio suscepit. Tranquillo hic animo demoror, sive id mihi fato sive cursu naturae contigerit. Videre videor sedem nunc locasse meam. Multa maiorum dicta quae antiquis in codicibus per annales descripta olim /652/ legisse memini, in praesentiarum recolo. Ceterum dictu quasi incredibile est quanta priscorum Quiritum monumenta conspiciantur. Ex quo non ficte Sallustius in Catilinario scribit Romanos montes solo coae­quasseaa pulminale ms : fortasse pulvinare corrigendum. et maria construxisse.1bb Nam ms2 mg (alibi Nam) : Quem ms1. 1 Leva, inquit, eius sub capite meo quasi pulminale mihi faciens de adversis et dextera illius amplexabitur me] cfr. Canticum Canticorum (ab Hieron. transl.) VIII 3: «leva eius sub capite meo et dextera illius amplexabitur me» Haec sunt quae animum nostrum ita alliciunt et demulcent ut Virgilianum saepe carmen reminiscar: atque animum pictura pascit inani.2c1 o summe Deus, quam inscrutabilia sunt iudicia tua!] cfr. Epistula Pauli ad Romanos, XI 33: «o altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei quam inconprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius». Quid praestantius? Quid ad videndum delectabilius quam et ponti­ficem maximum divum apud nos mortales in solio augusto consedere? Et cardinalium praesulumque coros in ordine contemplari? De his hactenus. Tu quid agas quidque agatur a nostris cum scribendi facultas dabitur significes quaeso. Quibus me gratum nosti de more commendabis. [2] Cum rumor quidam ad aures meas delatus esset qui reverendi patri epi­scopi Br. mortem mihi significavit, magna illico molestia affectus fui nec minus etiam illius casum tuli ac si mihi frater fuisset, tum ob universorum hominum infortunia aegre ac communiter quod ferre debemus, tum vero quia magna inter nos benivolentia semper viguit, quae a teneris ad nos accessit quadam naturae ac aetatis nostrae convenientia, quae nos (ut arbitro) in cunabulis /653/ invasit. Eoque magis ipsius mortem aegre ac meste tuli, quo ipse infelix vitam cum mor­te miserrime commutavit. Quae res humanae fragilitatis summum et indicium nosque similibus multisque aliis subiacere periculis constat. Tamen cum tuae dominationi eandem ecclesiam meritis exigentibus collatam fuisse accepi, dolo­rem a me profecto expellere conatus sum, quandoquidem Tor. ecclesia ad Br. insignem civitatem tuae dominationis pervenisse intellexi et eo maior consolatio ad me accessit, quo ab illius discessione graviter angi solitus eram. Nam mutuus inter nos amor ita coegit. Quare tuae dominationi congratulor et de excellenti dignitate longe laetor Deumque immortalem deprecor ut tibi in posterum ad vota favere non dedignetur. Nam si quid boni acciderit mihi accidisse profecto iudicabo meque tibi totum plurimum dedo ac commendo. 19. Giovanni Ta. a Nicolò Cava [s.d.] Giovanni Ta. scrive a Nicolò Cava, assicurandogli che gli recherà un astore. Io[hannis] Ta. Nic[olao] Ca[va] salutem. Maximam laetitiam ex tuis litteris cepi, quas superiori die ad me miri­fice scripsisti. Quae et quadam egregia pompa dicendi et verborum maiestate refertissimae mihi visae sunt, ita ut etsi omnes singulari tua vi dicendi viceris nunc vero te ipsum /654/ vincere mihi visus es. Qua ex re hoc tuo excellenti bono gaudeo ac triumpho. Quod autem scribis ut astorem unum ad te darem, hoc tibi certissime persuasum habeas me una cum egregia ave ad te propedi­em venturum. Cum vero venero certam causam mei silentii exponam, ita ut clare comperies me non oblivione tui ad te superiori die quicquam scripsisse. Reliquum est ut clarissimo iuris consulto domino Zachariae utrique nostrum me commendes litteratissimo etiam viro domino An. V. quibus et cetera. 20. Leo. B. a Ga. A. [s.d.] La prima parte della lettera (Miraris ~ recrudescerent) è adattamento di Guarino da Verona 1915, ep. n° 277, 426-428; chi scrive fa sapere al destinatario di varie sue traversie; ha trovato rifugio in Ferrara presso Guarino; quindi si è recato a Rovigo per sfuggire la peste. Leo. B. Ga. A. salutem. [1] Miraris et fortasse tacitus accusas ut quandoa2 dicit noster gloriosissimus Hieronymus, legisse in historiis veteribus ~ viderent] Hieron. Epistulae LIII 1: «legimus in veteribus historiis quosdam lustrasse provincias, novos populos adisse, maria transisse, ut eos, quos ex libris noverant, coram quoque viderent». pro amicitiae iure omnia in me possis, quod tam diu nihil ad te litterarum dederim, quae mu­tuam absentiam in proximam quandam consuetudinem revocarent. Ego, G. carissime,ba turpiter] turbiter ms. vera fatebor. Cum hactenus ferme longis et assiduis agitarer errori­bus, ut meae salutica pacifici] pancifici ms. quantum humanitatis provideri licet, caverem non aliter quam qui procelloso iactantur pelago feci, qui intestino percusi dolore ac metu dum intentius sentinam exhauriunt, funes ac retinacula parant, ancoras instruunt, portum prospectant naufragis ac periclitantibus, /655/ etsi cupiant, opem solamenve praestare non vacant.d1 sanctum poetae nomen, quemadmodum Ennius appellabat] cfr. Cic. Pro Archia 18: «suo iure noster ille Ennius sanctos appellat poetas, quod quasi deorum aliquo dono atque munere commendati nobis esse videantur». Adde quod eiusmodi parabatur ma­teriae2 Verg. Aen., I 207. quam et calamus et manus ipsa conscia refugeret. Nam querimoniae ge­mitus lacrimae ac maemores offerebantur, quibus quasi refricantibus vulnera ipsa recrudescerent. Nam quotienscumque calamum sumebam ut te mea de valetudine certiorem facerem et quid agerem quove in statu essem significare tibi vellem, afflictio patriae nostrae communisque calamitas veniebat in men­tem, quam, etsi commemorare nolebam, invitus tamen ad scribendum urge­bar. Facere etiam non poteram quin nostrae familiaritatis atque quotidianae consuetudinis disiunctionem deplorarem. Quid enim mihi iocundum, quid suave esse mihi potest quod non sit tuis facetiis, tuis salibus et tua senili gravitate conditum? Haec enim fuerunt, mi suavissime G., quae me ab officio scribendi usque in diem hodiernum retardarunt. [2] Nunc autem satius duxi velle aliquid litterarum ad te dare quam incohatum silentium producere, quanvis etiam nostris litteris communes calamitates inscribi necesse sit. Volo enim potius refricatione quadam nostro­rum publi/656/corum vulnerum dolere quam silentium apud te habere. Ut autem certior ex me fias quid agam quove in statu vitam meam in praesen­tiarum ducam, haec pauca accipe. Quam primum abs te discessi, Ferrariam (ut tibi dixi) applicui et me in domum clarissimi viri Guar[ini] tanquam in portum contuli. Dum autem pauculis commoratus fuissem diebus, peste urgente, ex Ferraria discessimus Rhodigiumque nos contulimus, ut pestem acerbam vitaremus. Sed de his satis. Ceterum Galeam mihi hanc provinciam dedit ut te certiorem facerem quemadmodum febre laboraveram. Is tamen nunc bene valet et admodum desiderat ut ipsum certiorem facias quid agas quidve acturus sis. Deinde uterque nostrum te vehementer rogat ut si qui­squam e nostra patria habes nos certiores facies. Vale et me tuis litteris vise, quod mihi periocundum gratissimumque erit. Iterum vale et diu sis felix. 21. Lauro Querini al cardinal Bessarione [s.d.] Lauro Quirini scrive al cardinale Bessarione, il quale gli ha domandato del suo stato di salute; vorrebbe raggiungerlo a Roma, e si informa della situazione igienica della città, poiché nulla è tanto pericoloso quanto la peste; la lettera è citata da Segarizzi 1904, 12, n. 7 (qualificata come «d’argomento insignificante») e edita in Monfasani 2011, 237-238. Lau[rus] Qui[rinus] Bes[sarioni]aa coaequasse] quoequasse ms. car[dinali] Ni[ceno]. Etsi nihil habeo in praesentiarum ad te scribere dignum tuis auribus tuaque veneranda auctoritate, nactus tamen fidum tabellarium has ad te bre­viter exarare duxi, studens quoad mihi /657/ fieri poterit tuis obtemperare praeceptis. Iussisti enim iam dudum brevibus quidem tuis, sed humanissimis litteris ut saepius scriberem quo certior de valitudine mea fieres, praesertim in hoc tempore tam periculoso. Qua de re ad te antea quoque scripsi, ut, si iudicabis istinc salubritatem aeris fore, me certiorem facias, quoniam no­stri isti phisici timent magnopere ne aestate futura recrudescat pestis, quam omnibus modis fugere debemus. Quid enim magis fugiendum est quam pe­stis? Ubi vero vel commodius vel iocundius proficisci potero quam Romae prope te? Quod etsi huiusmodi causa etiam non erit, veniendum tamen mihi aliquando est, idest aestate nova. Expecto litteras tuas, quae me de omnibus erudient. Interim tamen summo illi me commenda, nunc praesertim in tanta opportunitate, qui me vel iuste felicitare possent et tibi gratissimum omnium facere. Vacat enim (ut scis) et tractas is locus qui non advenam sed civem, sed .µ....s.., sed utranque linguam callentem suo et recto iure po­stulat. Plura tibi scriberem, si alienum negotium tibi commendarem. Nunc vero «veteri proverbio utamur:a1 non ficte Sallustius in Catilinario scribit Romanos montes solo quoequasse et maria construxisse] cfr. Sall. Cat. XX 11: «etenim quis mortalium, quoi virile ingenium est, tolerare potest illis divitias superare, quas profundant in extruendo mari et montibus coaequandis, nobis rem familiarem etiam ad necessaria deesse?». acta ago».1 Scio enim si humanitatem tuam Daphiusb2 Cfr. Verg. Aen. I 464. in oculis habere eique studere omnia iusta et possibilia tuaeque digni/658/tati convenientia. Dii itque omnes te mihi servent. Vale felicissime et quidem diu. 22. E. D. a L. V. [s.d.] Lo scrivente si rivolge a un amico di cui da tempo non aveva notizie; ha ricevuto una sua lettera, da cui apprende che quello si trova presso la curia di Roma; lo ringrazia per aver compiuto un ufficio in suo favore; da Venezia si rende disponibile a ricambiarlo; lo esorta a scrivergli ancora. E. D. ad. L. V. Etsi multa mihi grata contingere possent, nihil tamen gratius tuis litte­ris proxime susceptis, tua innata et expolita eloquentia refertis, quae maiori me gaudio et hilari corde affecerunt, quam si magnum quicquam munus regium excepissem. Quibus multum et maxime comprehendi potest te offi­ciis amicitiae sedule semperque inservire atque continuo de amicorum statu quanquam longinqui sint perquirere. Amice facis quod etiam secus feci. Nam profecto Venetiis Paduaeque consortibus nostris de mutua amicitia nostra sermonem habui, exposcens si quicquam tui mihi intimare scirent. Nam neutiquam te conveniebam et ubinam gentium esses ignorabam, tamen nun­quam ullum de te novum habui. Nam, etiam existens in hac dignitate quia mihi (si bene memoriae commendo) multotiens enarrasti fratrem tuum epi­scopatus dignitate **** ******aa quando] qui Sabbadini. fungi et pleraque saepe ac saepissime maxima cum instantia requisivi an illic habitares tandem omnia frustra fori. Quoniam ex tuis epistulis te denotas fuisse Romana in curia et porro dico tibi: mihi videris renatus. Nam te quem /659/ unum ex omnium amicorum numero delegi quemque amissum putavi, iterum nactus sum. Officium autem tuum quod mihi adeo pollicitus es, hic Venetiis benigne suscipio et maximas tibi ago gratias. Versa vice siquid hic possum quod tibi conducat, iube atque im­pera. Epistulas autem tuas ad memoriam nostri in conspectu meo in studio meo fixi. Unum hoc unum, mi lepidissime frater, rogo ut in ad me scribendo calamo ne indulgeas, ut quando quidem una esse non possumus attamen loqui crebissimis litteris possumus. Vale, mi frater, et te valere semper cupio nostrumque serva sub pectore amorem. 23. Maffeo Vallaresso a Giovanni Sobota [1438] Maffeo Vallaresso scrive a Giovanni Sobota (Giovanni da Traù), il quale dopo molto gli ha finalmente indirizzato una lettera; lo invita a scrivergli di nuovo; Giovanni attende che Maffeo gli indirizzi uno scritto, ciò che Maffeo rifiuta di realizzare, sapendo che ne verrebbe fuori cosa da poco (cfr. epistole successive, III 24, 27, dalle quali si evincono elementi atti alla datazione del nucleo di lettere di Giovanni Sobota). M[apheus Vallaressus] ad Io[hannem] Trag[uriensem]. Pristini tum amoris recordatio, tum tui experiendi voluntas, te summope­re coegerunt ut id scribendi studium, quod relictum fore videbatur, peroptime reficeres redintegraresque penitus quod a te fuerat exorsum in me vero deficiens. Id enim adauctum fuisse concerno litterarum tuarum experimento, a me vero su­periori tempore non scribendi negligentia aut tui oblivione, sed casu reipubblicae fluctuantis plurimum diminutum, quod bono animo et singulari mea in te vo­luntate resarciam, dummodo tuae mihi litterae minime desint, quas ita iocundas accipio, ut tu ipsemet diiudicare potes. Quapropter da operam ut huic epistulae satis brevi ex utriusque nostrorum amori condecenti ac idonee respondeas. Quod si libeat /660/ ut arbitror egeris et mihi gratum persolves et amori nostro tuas litteras videndi maxime cupido satisfacies. Reliquum est ut non expectes a me quod ego non sum praestaturus et maxime cum res non sit digna scriptis: parturient montes, nascetur ridiculus mus.1ab G.] Madi carissime Sabbadini. Vale, dii te ament. 24. Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso [1438] Giovanni Sobota comunica a Maffeo di averlo esortato a scrivere perché lui ottenga una giusta fama; Giovanni difatti non ha nulla di più caro dell’onore di Maffeo [1]; Barbone Morosini ha descritto a Giovanni l’evento di cui Maffeo, secondo Giovanni, dovrebbe scrivere: la spedizione della flotta veneziana, comandata da Pietro Loredan, lungo il Po, per attaccare il nemico [2]. Il riferimento è qui è all’armata navale inviata da Venezia nel 1438, al comando appunto di Pietro Loredan, lungo il Po, nel contesto delle guerre di Lombardia. Io[hannes] Trag[uriensis] M[apheo] d[ilecto] salutem plurimam dicit. [1] Heri vesperi, M[aphee] consultissime, litteras tuas luculentas sane summa cum voluptate lectitavi, quibus cognovi quod etiam te tacente mihi persuaseram me tibi esse carissimum. Hoc quidem nunquam destiti praedi­care. Tua enim egregia ac prope divina in me humanitas in multis ac magnis rebus mihi cognita ac spectata est. In extrema ferme parte tuarum litterarum dicis rem illam militarem a tuis militibus superiori tempore gestam minime esse dignam ut litterarum monumentis abs te illustretur. Quare rogas me ne abs te petam id quod prestiturus non es. M[aphee] prestantissime, testor me nunquam te hortaturum fuisse ad illam palaestram in qua (ut aiunt) et oleum et operam perdidisses,2bc ut meae saluti] ut meorum et meae saluti Sabbadini. sed ad illam ipsam quae etiam egregiae virtuti tuae esset dignissima et mihi voluptatem attulisset. Compertum habes, vir hone­stissime, tua dignitate atque splendore mihi nihil carius, /661/ nihil antiquius esse. Scis enim et fortunae et salutis et meae siquid honoris fuit te unicum et singulare praesidium mihi constituisse. [2] Ornatissimus Bar[bonus] Maur[ocenus] ad me diligentissime scripsit decreto tui amplissimi patricii ordinis pulcherrimam et cunctis littoribus terri­bilem classem Kalendis Septembris in Padum navigasse ut hosti tuae reipubli­cae atrox et animosum bellum inferatur, ductu atque auspiciis providentissimi ducis Petri Laure[dani], cuius et invita virtus et rei militaris excellens peritia mihi spondet te propediem habiturum ut eius praeclara facinora digne monu­mentis tuis commendare poteris. Qua ex re, cum aliquid strenue aut magnifice gestum fuerit, illo tuo novo genere dicendi illaque tua pompa ac maiestate verborum illustrare velis, ut ego et cupiditate legendi res novas et auctoritate testimonii tui vivus perfruar. Quod si efficies, et dignitati et famae tuae (crede mihi) non parum gloriae addicies, mihique pergratum erit. Reliquum est ut patriicis viris domino A[ndreae] Venerio et Cos[mae] Cont[areno] eloquen­tissimo et Zachariae Trivisano me commendes. Litteratissimo T. meis verbis salutem dic ipsumque hortare ut aliquid ipso dignum ad me scribat, praesertim si quid ille princeps Cal. egregie in suo amplissimo magistratu egerit. Vale Io. et Mart. virum optimum meo, nomine plurimum salvere iube. 25. Leonino Brembato a G. A. 13 febbraio [s.a.] Il mittente, da identificare plausibilmente in uno scolaro di Guarino da Verona, Leonino Brem­bato, di origine bergamasca (cfr. Guarino da Verona 1919, 360), assicura un amico di avere interceduto per lui presso Guarino, il quale, non appena sarà ritornato a Ferrara, interverrà in suo favore presso Lionello d’Este. /662/ Leo[ninus] Brem[batus] G. A. salutem dicit. [1] Quantopere te diligam, amem, colam et summa observantia com­plectar, velim tu ipse diiudices, qui et legibus et optimo rerum iudicio potes pollesque. Quod, ut clarius appareat, nihil aliud in dies cogito. Ea etenim ar­gumenta meae in te benivolentiae summique amoris praestare vellem ut etiam alii cognoscerent me non esse in vulgarium amicorum numero collocandum, modum siquidem excogitavi quo magnopere desiderem facta meis dictis exae­quari. Conveni nanque Guar[inum] consiliumque meum sibi aperui et omnem rem demum sibi explicavi cepique postea ipsum orare, obsecrare, obtestari ut huic rei de qua sibi mentionem feceram auxilium praestaret operamque dare vellet ne meae preces parum in se ponderis habuisse viderentur. [2] Is autem inquit: «meam diligentiam, operam, studium adhibebo et totis enitar viribus quo voti tui compos evadat. Et maturo», inquit, «opus est consilio ut hanc rem, quam tantopere desideras, in portum deducamus. Satius est enim ut expectes donec nos Ferrariam contulerimus. Nam, si cupias me ad illustrissimum principem dominum Leonellum scribere, non hoc pacto res se bene habebit quam si expectes ut Ferrariam vadamus. Tunc enim de hoc verba apud dominum Leonellum habebo. Nec dubito», inquit, «quin oratio quam coram habebo plus ponderis in se habebit quam si epistula factum narret. Habet enim nescio quid energiae /663/ viva vox, ut inquit Hieronymus,1ad vacant] vacat Sabbadini. “urget siquidem praesentia Turni”».2be materia] scribendi materia Sabbadini. [3] Quae cum audissem cepi ego inde mecum cogitare et rem rumina­re. Et tandem mihi placuit digna viro sententia. Nunc autem, mi suavissime G., deus ipse nos bene sperare facit. Effecit enim ut pestis, quae Ferrariam depascebat, sedata sit et pristinus benignus aer hominibus redditus sit. Quod cum ita sit, cives qui in agrum Ferrariensem secesserant in praesentiarum revertuntur. Illustris marchio cum illustri eius coniuge et filiis totaque curia ad reginam suam revertitur. Hoc videns, dictus Guar[inus] statuit velle ad propriam domum reverti. Crastina etenim die bonis auspiciis ibimus. Navis viatico onerata est. Quamprimum fuerimus in propriis sedibus stimulabo Guar[inum] ut velit hanc rem diligenter narrare. Instabo, urgebo hominem omnesque vias temptabo ut, si fieri possit, et tibi et mihi satisfaciam. Quid in dies agam litteris meis te certiorem faciam, sed de his hactenus. Postremo velim ad me saepius scribas, etsi quicquam de regionibus nostris audis me certiorem oro facere. Quod itidem faciam si novum quicquam habebo. Cura valitudinem tuam et me ut soles ama. Commenda me domino Angelo ad quem litteras scribo, Francisco nostro meo nomine plurimam salutem dicito. Iterum vale. Idibus Februarii. 26. Leonino Brembao ad Angelo Mi. [s.d.] Leonino Brembato scrive a un Angelo Mi., domandandosi se convenga indirizzargli una lettera in tono faceto oppure in tono severo; i ricordi dei momenti insieme trascorsi lo persuadono a essere brioso [1]; i tempi tristi, segnati dalla guerra, imporrebbero in realtà di esprimersi con gravità, per non apparire quasi dei folli; ma con l’amico Leonino può tuttavia esprimersi senza pudori; segue un riferimento a un episodio faceto (l’espressione è tuttavia oscura, per la precarietà in cui il testo è tràdito); ricordando tale episodio Leonino non può che ridere a crepapelle [2]. /664/ Leo[ninus] Brem[batus] Ang[elo] Mi. [1] Quod epistolae genus ad te scribam nescio. Nam cum duplex epistularum genus mihi offeratur, quorum unum iocundum quidem, alte­rum vero severum, quod capiam nescio. Scribamne severe? Sed quid severi nostrae iocunda consuetudo expetitur? In mentem etenim mihi veniunt illi dulcissimi convictus quibus adeo laeti vivebamus, ut caelestem nos in terris vitam degere arbitrarer. Aderant sales lepidi et sermones variis, conditi face­tiis, quibus adeo demulcebar ut omnes insulas Macharias et campos Elisios prae eorum suavitate nihil existimarem. Quid commemorem ficos Titulia­nos? Quid †pinelam†, quae omnes odores Sabeos, et quicquid dives Assyria mittit, vincebar?aa Bes.] Bis. ms. Quidni? Immo ambrosiam et nectar deorum poculum (ut poetae ferunt) facile superabar.ba uetamur ms1 : corr. ms2. Iovem equidem nimis demiror, qui ab his poculisque utitur divinis hoc uno cibo poculoque non uti omnibus qui pra­estat. Haec sunt in causa, mi Angele suavissime, quare severam epistulam ad te scribere in praesentiarum omittam. [2] Sed nec huiusce tempestatis clades me facetum et iocosum esse sinunt. Quid enim aliud mihi offertur nisi bellum, rapinae, incendia et pa­triae vastitas, ut, cum naturam meam facetam sequi cupiam, calamus ipse bella praesentiens reformidet, ne decorum non sequi dicatur. Tempus enim triste verba tempori accommodata desiderat. Nam, si quis in miseria con­stitutus laetas res scriberet, nonne /665/ vel temeritatis vel non sanae mentis nomine insimularetur? Sed tamen omnem vincet amicitia nostra pudorem. Nihil etenim grave vel severum in praesentiarum ad te scribam. Quicquid in buccam venerit, id demum scribam. Si quid somniavero de ipso te cer­tiorem faciam, ut tu coniectorum princeps mihi somnia exponas. Si nihil habebo quo scribendi argumentum accipere possim, aliquid effingam, ut vigilans somniare videar. Summam etenim argumentum dicendi a ******ab Daphius ms ut. vid.: Daphium Monfasani. 1 Cfr. Cic. De amicitia 85: «acta agimus, quod vetamur vetere proverbio». Zovaninae quibus vel quorum ipse fatigaretur. O quam duram provinciam G. assumeret si in illa ******ba Graeca verba, propter inscitiam scribentis deturpata, non leguntur. versaretur. Nauseam enim bibere malim quam illam. Quid plura? Nunquam diem illam mente revolvo quin cachinno diffundar splenc1 Hor. Ars poetica 139. prae nimio risu tumescit, oculi stillant, adeo ut si quispiam rei ignarus me videret vel fumosum vel insanum iudicaret. Sed diu lusimus. Nunc paucula seria restringamus. Hoc autem tibi persuadeas velim, mi Angele, me tuum esse quovis iure. Quicquid enim potero tuae dictioni subiectum erit quam ob rem te vehementer oro ut contentus sis tuorum amicorum catalogo connumerare. Quod si feceris dabo operam ut in te amando nemini cedam. Vale et me tibi commenda. 27. Barbone Morosini a Giovanni Sobota [1438] Barbone Morosini scrive a Giovanni Sobota; da tempo questi non gli fa avere sue nuove; il Morosini lo invita a rompere il lungo silenzio [1]; il comandante Leonardo Loredan è partito con un flotta potentissima contro il nemico [2]; è fuggito da Padova causa la peste, la quale imperversa in molte città; chiede a Giovanni di inviargli una fantesca (pedisequa), oppure un giovane servitore [3]. Anche la presenza della peste (oltre agli elementi indicati sopra, cfr. epistola III, 24) induce a datare le lettere di Giovanni Sobota al 1438, anno in cui la peste è segnalata in alcune delle città menzionate nella presente epistola. Bar[bonus] Maur[ocenus] Io[hanni] Trag[uriensi]. [1] Etsi ex quo habes nullam a te epistulam ceperim cui nunc /666/ re­sponsione mea opus sit, has tamen ad te scribo, ut intelligas nullam absen­tiam, nullam locorum distantiam, nullum temporum intervallum, nullam denique rem tui memoriam mihi delere atque offuscare posse. Tanta enim benivolentia ac potius pietate tibi afficior, ut non modo tui recordatio e me excedere possit, sed cum te ac tabellis tuis diu iam privatus extiterim, vitam ferme acerbam ducam. Nec possem non mirari tarditatem tuam in scribendo, nisi tuus in me amor ita mihi quidem prospectus esset, ut id nulla oblivione nullaque segnitie paratum arbitrari possim, sed tuis potius curis familiaribusque negotiis accipisse diiudicem. Satis tamen ac satis tuas molitus es, rumpe nunc diuturnum silentium tuum, etsi tuis forte rebus praepeditus litteras scribere nequeas, litteram saltem quae minimum otii exquirit ad me quaeso mittas. Nam si tuum aliquid videro tuam absentiam qua opprimor interdum minus acerbe minusque moleste feram. [2] Ego quid ad te de republica nostra ac de me ipso scribam nescio. Cum enim res prima nostra in nonnullas calamitates non dicam venerit, sed casu quodam inciderit, lugendum potius quam scribendum aliquid exi­stimo. Verum id speramus atque magna ope molimur, ut nos et socii nostri antiquum otium cum dignitate potiamur. Fortunatissimus ac peritissimus dux ille Petrus Laur[edanus] /667/ cum summa ac potentissima classe Ka­lendis Septembris e civitate ista ad hostes debellandos accessit. Ipsum, Deo favente, eum fore speramus, qui sua virtute suaque felicitate et patriam pristina dignitate et nos omnes summa pace condonabit. [3] De me vero nihil scribendum est, nisi ut scias me ex Patavina ad Venetam hanc urbem, pestifero morbo perterritum, adventassem. Affici­tur enim peste Padua in hunc usque diem, Verona ingentius, Vincentia et Tarvisium, Ferraria, Bononia et oppida alia quam plura. Quia muneribus tuis maxime oblector, te magnopere rogo ut pedisequam aliquam, de qua saepius coram verba habuimus, ad me mittas. Puerum etiam aliquem li­bentissime acciperem. Nam, cum alios inductos continuo amiserim, nunc iterum experiendum est an sit alter qui dono a me pannos accipere velit. Quod, si utrosque a me transmiseris, rem mihi non parum gratissimam efficies. Libenter quidem utor opera tua, quod me non praeterit omnia mei causa te libentissime paratum. Si quid vero tui gratia hic me facere posse cognoscis, id, si tamen monueris, omni industria tibi perfectum reddam. Vale. 28. Giovanni Sobota a Barbone Morosini [1438] Giovanni Sobota risponde alla precedente di Barbone Morosini; egli ha inviato sì a Barbone una lettera, che evidentemente è andata perduta; si rallegra per la notizia relativa alla flotta guidata dal Loredan; provvederà a procurare una fantesca, oppure un giovane servitore. Io[hannes] Trag[uriensis] Bar[bono] Maur[oceno]. [1] Heri vesperi litteras tuas amoris plenas accepi, quibus /668/ diu­turnum meum silentium magis humane quam acriter accusare videris, quod, postquam ex Italia Dalmatiam navigaverim, nihil litterarum ad te dederim. Ego sane in hoc de quo me accusas culpa careo. Litteras enim cum litteris M[aphei] V[alaressi] superiori die bis, si recte memoria teneo, ad te scripsi. Quare tibi non fuisse oblatas non parum commoveor. Dii itaque ipsos malis exemplis perdant. Quod autem scribis providentissimum du­cem Petrum Lauredanum cum inclita classe Kalendis Septembris in Padum navigasse ut hosti tuae rei publicae bellum animosum inferatur, iuncta sane virtus illius magnifici ducis, qui tuae classi praeest, mihi persuadet hosti tuae reipublicae magis opus fore scuto quam ense. Ut opinio mea fert, haec ingens classis toti Italiae libertatem perpetuam allatura est. [2] Quod autem scribis ut pedisequam vel puerum unum tibi com­periam, crede mihi, quantum in me studii diligentiae laborisve erit dabo operam, ut voluntati tuae morem geram. Tu interim, vir humanissime, ad me de omnibus quae apud vos aguntur diligentissime scribas. Ea enim certissima iudicabo quae abs te audiero. De his rebus loquor, quae sal­vo honore salvaque dignitate tua dici possunt. Quidve illi Graeculi cum maximo pontifice fecerint perlubens audirem. Insigni viro fratri tuo me commenda. Vale. 29. Ermolao De. a Fantino Vallaresso 5 maggio [1432?] Lo scrivente comunica a Fantino Vallaresso di aver saputo dell’incidente occorso a Fantino stesso: la nave su cui questi viaggiava, ormai raggiunta Venezia, ha urtato il ponte di Rialto; Fantino è rimasto ferito; lo scrivente lo invita a sopportare l’evento con pazienza [1]; cognato e fratello dello scrivente hanno visitato Fantino; questi ha sostenuto lo scrivente presso il patri­ziato (di Venezia), in modo che un difficile incarico gli sia rinnovato; fa cenno alla liberazione di re Renato (Renato d’Angiò? Questi fu prigioniero di Filippo il Buono nel 1431 e ottenne libertà l’anno successivo) [2]; accenna a una controversia nella quale è implicato Fantino; si augura di rivederlo presto di persona [3]. /669/ Her[molaus] De. Fan[tino] Val[aresso] ar[chiepiscopo] Cre[thensi]. [1] Priusquam litteras tuas ad me novissime delatas acciperem, nescio quo rumore mihi nuntiatum est te cum principe nostro redeuntem ad Austriae duce, cui obviam cum ducali nave processeras, fere in tranquillo portu naufragium fecisse. Quam inopinatam rem, dum apertius intelligendo statu­issem, percepi memoratam navem, rapido nimium aquarum cursu reductam, Rivaltinum pontem percussisse, exinde aurea vexilla concidisse. Tegmina navis confracta sunt, quorum velamento, dum securus astares, in capite ab irruente ligno vulneratus es. Quantum igitur mihi doloris casus iste repentinus attulerit silentio praeteream, cum pro necessitudine nostra et reverentia quam tibi in­fixam habeo tu ipse cogitare poteris. Ego enim, tanquam carissimi patris filius, non secus cordi †memores†a2 et oleum et operam perdidisses] cfr. Plaut. Poen. 332: «Tum pol ego et oleum et operam perdidi». tuos quam mea detrimenta sustineo. Verum, cum nuper te solum nil tale cogitantem inter medias nobilium catervas sedentem sortem miserit dominus ipsam, tua invictissima illa constantia patienter tolera­bis, sicque destinatum tibi desuper calicem suscipies in retributionem probatae virtutis tuae, longe maiora aliis merita possidebis. [2] Veniam autem ad ea quae in litterarum tuarum responsionem di­cenda habeo. Congratulatus non mediocriter sum te visitationes cognati et germani mei gratas habuisse. Ipsos etenim viros qui de /670/ integritate et disci­plina tua recte sentiunt adeo consolatus es, ut mihi de sollicitudine nuntiandi accessum tuum etiam gratias uberrimas rettulerint. Plenus igitur sum gratia­rum ex utroque latere, cum illi de te oblectamen maximum perceperint, tu ab illis humanitatis officium. Quid vero de laboribus meis quotidianis apud viros illos patricios explicaveris certum habeo, et quanquam ex publicis litteris omnia quae in dies operantur facile satis concipere possim, tu tamen in assiduitatis meae laudes aperto et accumulato sermone, quae forte obscura erant, tua in me caritate lucidius declarasti. Quam ob rem accensos prius multorum ani­mos ad confirmandam mihi provinciam duram vehementius excitare potuisti. Sed quid de his rebus hactenus censendum sit in futurum iudicabis. Ego enim soluta peregrinatione mare turbidum quasi modo caecus ingredior. Persistit ille quem noscis et in media luce tenebras appetit cumque ad veritatem aequa ratione compellitur sperare magis quam timere videtur. Nescio igitur quid ad perficendum tanti ponderis operam facturus sim, nisi de sursum nobis optata praeparentur auxilia, quae tamen expectanda sunt, si continuas et laudes et orationes pro impetranda pace dicemus. Regem Renatum prout etiam credis confluentibus /671/ undique litteris ex certo liberatum sentimus. [3] Postremo de privata re tua in dies melius sentio, et mea quidem sententia a principe nostro sane iudicabam habuisti, nec minus de futuro sperandum est. Laudo si cum adversario tuo foedus honestum inire poteris, id non deseras. Dominum Tarvisinum super hac re quidem allocutus sum, qui, ut asseruit licentiam a domino nostro impetrasse tibi, scripsit ut et dif­ficultatem istam tuo nutu componas et usque ad valitudinem tuam recte curandam patriam non relinques. Ego tuum caput solidum videre desidero, quo superstite cetera salva membra servantur. Zachariam communem fra­trem nostrum salvere iubebis. Vale et me ames mutuo amore. Nonas Maias. 30. N. N. a N. N. [s.d.] Per confermare un vincolo di amicizia, lo scrivente è disposto a conciliarsi con il fratello del destinatario. Ego te mihi semper amicum esse volui, me ut tibi amicissimum esse in­telligeres laboravi. Maneo in voluntate, quo advoles tu permanebo, citiusque amore tui fratrem tuum odisse desinam quam illius odio quicquam de nostra benivolentia detraham et cetera. 31. N. N. a N. N. [s.d.] Chi scrive dice di aver difeso con grande autorevolezza presso il senato un Antonio. Ego autem meis rebus gestis hoc sum assecutus, ut bonum nomen existi­mer, demum tuam atque aedificationem omnem perspexi et vehementer probavi Antonium, etsi eius in me officia omnes desiderant, tamen in senatu gravissime ac di/672/ligentissime defendi senatumque vehementer oratione mea atque auc­toritate commovi. Tu ad me velim scribas litteras crebrius mittas et cetera. 32. N. N. a N. N. [s.d.] Lo scrivente chiede che il destinatario gli comunichi se ha intenzione di assumere una causa, ovvero di procrastinarla. His de rebus quid acturus sis, si tibi non est molestum, rescribas mihi velim. Si enim suscipis causam, conficiam commendatarios rerum omnium, sin autem differs me in tempus aliud coram te loquar. Tu interea non cessabis et ea quae habes instituta perpolies nosque diliges. 33. Marco Giusto a Fantino Vallaresso [maggio 1440] Marco Giusto da Creta scrive a Fantino, di cui è atteso l’arrivo nella diocesi; Fantino ha scritto al vescovo di Cisamo (in Creta); questi ha riferito a sua volta a Marco Giusto che Fantino si è adoperato affinché a Marco sia conferito l’incarico di tesoriere (thesauraria Cretensis); Fantino aveva già apertamente scritto al proprio vicario, il vescovo di Milopotamo, di avere ottenuto dal pontefice la concessione di tale riconoscimento (edita da Peri 1983, 66). M[arcus] Ius[tus] Fan[tino] Val[aresso] ar[chiepiscopo] Cre[tensi]. Presbiter Hemmanuel canonicus tuus et frater meus hac hora fecit ut non nihil ad te litterarum darem cum protinus nihil ad te scribere decrevissem. Communi enim omnium opinione te prope diem expectabimus atque hoc quod facio magis ut eius morem gererem voluntati praestiti, quam quod sen­tirem tam tardum tuum ad nos adventum expectatissimum fore. Superioribus diebus, reverende pater, ad te nonnullas litteras scripseram, quibus pro tempore gratias egeram tuae reverendae paternitati, non eas quidem quas debui, verum quas potui. Neque enim ulla dicendi aut ratione aut copia fieri posse existimo, ut non dico omnibus tuis amplissimis gratia me meritis,a1 Cfr. Hier. Commentarii in epistulas Paulinas Ad Galatas, II 4,20: «Magnam siquidem vim habet vox viva: vox de auctoris sui ore resonans, quae illa pronuntiatione profertur atque distinguitur qua in hominis sui corde generata est». sed eorum vel minime parti satisfacere possim. Scripsisti enim reverendo patri electo Chisamensi ut tuis verbis patri meo et mihi diceret tuam reverendam paternitatem data opera quaesisse ut mihi filio tuo et minimo servitori, quem semper unice dilexeras, thesauraria Cre/673/tensis conferreretur. Illam vero iam tandem mihi tuo munere ac studio a summo omnium patre concessam ad reverendum patrem Milopotamensem, tuum vicarium dignissimum, tuis litteris nedum significaras sed aperte declararas. Ego vero tanto munere gratias hoc tempore agere praeter­mittere statui, quas ingentes habeo et maiores ad tuum felicissimum adventum distuli. Vereor enim, ne si hac hora gratias agere vellem, cum multa dicere gestirem, multo plura praetermitterem. Nunc vale felix et vive diu cum mihi tum tuae quam multum diligis ecclesiae Cretensi. 34. Marco Giusto a Fantino Vallaresso 8 marzo [1440] Marco Giusto descrive a Fantino Vallaresso la straordinaria disponibilità che i greco-ortodossi manifestano nei confronti del decreto conciliare; essi attendono la legazone di Fantino, così come i Cartaginesi hanno atteso l’arrivo di Annibale, gli Spartani quello di Epaminonda, gli Ateniesi quello di Temistocle; Fantino avrà gran lode dalla legazione, eppure ciò non avverrà senza offesa, perché altri ne avranno vanto, mentre solo ai padri conciliari spetta il trionfo; ma se Fantino con la sua legazione non provvederà ad assicurare la situazione, c’è il pericolo che i greci ritornino all’antico errore [1]; lo ringrazia per quanto ha fatto in suo favore e soprattutto per essersi adope­rato a conferirgli la dignità di tesoriere [2] (edita da Peri 1983, 64-65). Fantino Vallaresso summo archiepiscopo Cretensi, Marcus Iustus cum felicitate salutem. [1] Putaresne unquam pater amplissime Graecos nostros tanta pietate sacratissimi concilii sanctissimum decretum persecuturos fuisse? Quanta vero benivolentia rem hanc prosequantur vel ex hac re cognoscere poteris. In tanta enim expectatione tuae legationis adventus est, ut non eos existimes qui annos fere quingentos Graeca levitate a nostra ecclesia et veritate abscissi fuerant. Neque enim unquam suum Hannibalem nobilis illa Carthago victorem tan­to studio expectavit, aut Epaminundam magnum illum virum Lacedemonio­rum respublica, vel suum Themistoclem Athenarum clarissima civitas. Deus tamen id faciat aut Graeci nescio. Ego vero te ex hac legatione amplissima laudis atque gloriae insignia consecuturum, et tamen id, si contigerit, iniuria fore arbi/674/tror. Nam illi ab his hostibus quos videmus domum victoriam reportabant. Vos vero huius Concilii sanctissimi patres de antiquo hoste vic­toriam ducitis atque triumphum, qui tot annos sub iugo et tenebris caecam Graeciam tenuit. Nisi tamen tua ista insigni legatione tantam rem firmes, vereor ne Graeci, sive levitate, sive hostis insidiis, ad errorem pristinum dila­bantur, quod tu, pastor bone, si ecclesiam, si pacem, si fidem, si pietatem, si te ipsum amas fugere debes. Verum dicam licet quod sentio, aut id sero magis quam putabamus aut cum honoris accessione praestabis. Sed tui Cretenses te maxime rogant ut quantaecumque tibi dignitatum accessiones futurae sint, ne tuae quam semper amasti ecclesiae Cretensis obliviscare, cui maximo de­cori et ornamento fuisti. [2] Quod domino electo scripsisti ut ille tuis verbis patri meo et mihi diceret tuam dominationem curare ut nobis thesauraria Cretensis tribuatur, equidem laetor magis quam miror. Nam qui me puerum amasti adolescentem, honestissimis litterarum studiis decorasti, cum tu facile quovis honore illustra­re potes. Verum negare non possumus singulari nos laetitia affici, ut ceteri quoque vel ex hoc ipso quanta sit tanti patris et viri gratia me benivolentia cognoscant. Ego vero etsi multarum rerum beatarum tantum munus aequo animo accepero, tamen vel hoc maxime quod a tanto viro cuiquam tribuitur id mihi sua sententia tributum arbitrabor. Nam is mihi /675/ tandem verus honos videri solet qui a maximo viro cuiquam tribuitur. Et quanvis nihil aut sero aut exigue ipsi conferre quispiam possit de quo se benemeritum constet, tamen adeo grande tuum hoc munus censemus, pater amplissime, ut nec ipsa fere cogitatione rem tam maturam persecuti simus. Et quanvis tuus magis quam meus sim, ingentes tamen ago gratias habeoque multo maiores. Nam referre non possem nisi ut multis me donasti, sic quoque mecum in hac re conveniasa2 Cfr. Verg. Aen. IX 73: «urget praesentia Turni». id esse tibi referre gratias, si continuo rem istam memoria tenebo. Hoc tamen interim adeo velimus ut tibi aliquando Petri illius beatissimi successorem esse contingeret. Quae res quanto emolumento foret ecclesiae domini nostri Iesu Christi ipsi scire possunt qui te cognoscunt. Tu interim spes nostra simul et lux vale tuaeque Cretensis ecclesiae ut facis esto memor, etsi vis et iam nostri. VIII Idus Martias. 35. Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso 15 luglio [1435] Giovanni Sobota comunica a Maffeo Vallaresso di sapere che questi a Padova si è prudentemente tenuto a distanza da eventi assai turbolenti, salvaguardandosi a favore della patria, dei parenti e degli amici; Maffeo gli ha scritto che l’entourage dei letterati, un tempo così florido, è ora abbattuto; gli chiede notizie di Marco Donà e lo prega di salutare il giureconsulto Andrea Venier. Io[hannes] Trag[uriensis] suo suavissimo M[apheo] V[allaresso] salutem. [1] Heri vesperi humanissimae tuae litterae mihi oblatae fuerunt, quas sane tanta cum voluptate lectitavi, ut, etsi ea tempestate febris dolore aliquantisper commoverer, lectis tamen tuis suavissimis litteris non parum ex illo maerore me vendicavi. Quod autem scribis te magna /676/ laetitia affectum quod Tragurium diis continue secundis venerim, id crede mihi ob singularem tuam in me humanitatem etiam te tacente mihi persuasum erat. Ego vero et tibi absenti congratulor et mihi ipsi gaudeo ac serio triumpho. Cum intellexi te ab illis turbulentissimis Patavinis rebus abesse nec salutem tuam illis gravissimis periculis obiectare (scis enim me saepenumero crebro sermone usurpare), te non solum tibi natum esse, verum et patriae, parenti­bus et amicis, pluribus verbis te hortarer ut in hac sententia persisteres, nisi pro tua innata prudentia confiderem te ita facturum, ut fortem virum decet. [2] Scribis etiam rem nostram totumque litterarum ordinem dirup­tum ac prostratum esse, qui superiori tempore adeo florentissimus erat, ut ad eius maiestatem gloriam ac dignitatem nihil addi posse videbatur. Dabit Deus his quoque finem. Scribis etiam plures ex nostra disciplina viros illo execrando morbo esse consumptos, sed eos non nominas, qua ex re perlubens nomina eorum scire vellem. Reliquum est ut mihi significes quo in loco sit eloquentissimus M[arcus] Donato ceterique illi patricii viri. Clarissimum iu­risconsultum dominum Andream Ven[erium] scio Venetiis in praesentiarum esse, cui si me diligentissime commendabis mihi pergratum erit. Vale tu qui legis et ama me mutuo amore. Die X et quinta Iulii. 36. Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso 27/28 febbraio [s.a.] Da Venezia Giovanni Sobota comunica a Maffeo Vallaresso di aver ammirato la sfilata del senato veneziano. /677/ Io[hannes] Sobotae hones[to] M[apheo] V[alaresso] salutem. Pompa nuptialis clarissimi tui senatus tantae amplitudinis ac maiestatis mihi visa est, ut, si caelum ac pulchritudinem beatorum contempleris, nescio si ibi quicquam illustrius comperies. Qua ex re, M[aphee] suavissime, ut opi­nio mea fert, nullius nec laudatione nec vituperatione indigere videtur. Qua ex re optimam in partem accipies, hoc meum silentium iure honestum facies satis certo scio pro innata tua in me humanitate. Vale et disertissimo viro Vit. L. meis verbis salutem dic. Kalendas III Martii. Ex civitate. 37. Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso [1443] Giovanni Sobota chiede a Maffeo Vallaresso che il giureconsulto Giovanni da Prato (cioè Gio­vanni Bovacchiesi) aggiunga un parere a quello già datogli da Francesco Capodilista; chiede inoltre che gli sia inviato il discorso tenuto da un giovane oratore (Lauro Quirini) per la morte di Gattamelata. Idem ad eundem. Superiori die cuidam de Campolongo commisi ut meis verbis te exoraret, disertissimus iurisconsultus Iohannes de Prato, ut aliquid ipso dignum adde­ret ad subtile consilium Francisci de Capitibuslistae. Pecuniam etiam mise­ram. Nihil postea certi habui. Quare, si homo ille ad te venerat, me certum facias. Reliquum est ut luculentam illam oratiunculam ad me mittas quam ex pergamo ille adolescens habuit in funere fortissimi ac audacissimi ducis Gatemelatae, quam si ad me per latorem praesentium dabis, veluti excellens munus deorum ipsam suscipiam. Vale. 38. Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso [1436-1438] Giovanni Sobota si rivolge a Maffeo Vallaresso per riceverne un grande aiuto; Maffeo di ciò incolpi la sua stessa grande umanità, la quale rende Giovanni così audace; il giureconsulto Angelo da Castro nei giorni precedenti ha dato un suo parere in una causa dibattuta a Traù; Giovanni vorrebbe avere quel parere, e Maffeo, avendo un grande ascendente su Angelo, lo può ottenere, e può farglielo avere per tramite del latore della presente lettera. Idem ad eundem. Singularis ac prope divina tua in me humanitas, vir /678/ ornatissime, tantum de te mihi pollicetur quantum de me mihi polliceri soleo, meque hortatur ut tibi magis imperem quam te exorem. Qua ex re, si temeritati mihi hoc imputes, humanitas tua et obiurganda et accusanda erit, quae mihi tantam audaciam tribuit. Etsi saepenumero et opera et diligentia tua mirifi­ce usus sim, hac tempestate vero et armis et viribus et nervis tuis utendum est. Te ad hanc rem conficiendam ducem et patronum animosissimum esse vellem. Angelus de Castro iurisconsultus superiori die consuluit in quadam causa Trag[urii]. Copiam illius consilii perlubens habere vellem. Magna auc­toritas tua est apud Angelum et tanta quidem ut maior esse non potest nec quicquam tibi denegare audet. Profecto, si copiam illius consilii tuo nomine et caute accipies latorique praesentium dabis, Darii sane regis opes me supe­rasse putabo. Vale. 39. Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso 4 luglio [1438 o 1442] Giovanni Sobota scrive a Maffeo Vallaresso per comunicargli di aver trovato a Venezia un giovane servitore di Maffeo, e di averlo affidato allo zio di Maffeo, Zaccaria; il ragazzo, pur se di ingegno al­quanto ottuso, per fuggire ha usato uno stratagemma intelligente, che Maffeo conoscerà dal ragazzo stesso, quando questi tornerà da lui; era fuggito causa le offese subite da alcune domestiche. Idem ad eundem. Satis certo scio, humanissime Maphee, Ia[cobum] fratrem tuum ad te scripsisse quo pacto puerum tuum profuguum Venetiis comperi, quem continue senatorio viro domino Zachariae patruo tuo tradidi. Cogitans sane diligentius mecum pueri barbari ingenium multiplex ac tortuosum, non pos­sum satis non mirari mea ex sententia /679/ quadam egregia vafritia, dum abs te aufugeret, usus est. Ex eo, cum ad te veniet, cognoscere poteris. Ab eo tamen percepi lacessitum iniuriis ancillarum domesticarum abs te perfugisse. Reliquum est ut omnibus nostris me commendes. N. Col. meis verbis salu­tem dic. Fac ut aliquid te dignum ad me scribas, praesertim de salute urbis. Ex litteris percipies qui sim, sic enim ad familiares scribo. III Nonas Quintilis. 40. Giovanni Sobota a Maffeo Vallaresso 31 agosto [1438] Dall’ultima lettera di Maffeo Vallaresso, Giovanni Sobota ha saputo che in Padova c’è ancora la peste, ma che per fortuna i suoi domestici e i suoi compagni sono salvi; è felice di sapere che la sua raccomandazione è stata gradita da Andrea Venier; a lui invierà, non appena possibile, una corniola con incisa l’effige della morte; il padre di Maffeo, pretore di Traù, ama ascoltare quanto Maffeo scrive a Giovanni: dunque Maffeo scriva più spesso [1]; nulla di più caro a Giovanni che ricevere notizie dall’Italia, soprattutto relative al Gattamelata e alla sua virtù che ha fruttato una grande vittoria [2]. Idem ad eundem. [1] Maxima laetitia affectus fui, M[aphee] suavissime, ex iocundissimis tuis lit­teris, quas hisce diebus veluti quodam excellens munus deorum suscepi, quibus scribis Patavinam urbem adhuc pestifero sidere commoveri, nullum tamen ex domesticis sociis meis hoc morbo occubuisse, qua ex re diis gratias habeo. Quod autem scribis senatorio viro domino Andreae Ve[nerio] meam commen­dationem pergratam fuisse, hoc profecto semper praedicavi me sibi gratissimum esse. Corniolam in qua mortis effigies sculpta sit citius quoad potero compara­tam ad ipsum mittam. Haec de his. Hoc unum te, Ma[phee] praestantissime, nolo latere. Patri tuo nostro praetori clarissimo litteras quas ad me scribis tantae voluptati esse ut nihil supra, meque saepe numero solet exorare ut cum litteris meis te ad scribendum /680/ excitem. Qua ex re, si patrem tuum magna volup­tate explere vis, saepius illo tuo stilo litterali ad me scribas. [2] Mihi etiam tuis litteris nihil iocundius ex Italia afferri potest, prae­sertim si ad me scribes quo pacto animosissimus Gatamelata sua egregia vir­tute ac suo ductu nobis excellentem victoriam peperit, quae nobis maximae voluptati esse debet, hostibus vero ad aeternum terrorem. Reliquum est ut clarissimo viro domino Zachariae patruo tuo me diligentissime commendare velis, praestantissimo etiam iurisconsulto domino An[dreae] Venerio. De incolumitate etiam Patavinae urbis si ad me diligentissime scribes mihi per­gratum erit quidve in hac re in futurum sperandum sit. Vale et incolumitati tuae servias in qua et mea est. Pridie Kalendas Septembris. 41. Antonio Panormita a Poggio Bracciolini [s.d.] Escerto di una lettera di Antonio Panormita a Poggio Bracciolini; la lettera è stata più volte edita, almeno a cominciare da Poggio 1513, f. 132, e poi ristampata molte altre volte (ad es. in Panormita 1791, 47-53). An[tonius] Pa[normita] Pog[gio] Flo[rentino] salutem. Epistolae tuae quae veterem sane et antiquum illum eloquentiae Ro­manae morem prae ceteris mea sententia exprimunt ad me ut iusseras per­latae sunt. Ea iam, etiamsi auctorem obticuisses, abs te mihi pro quadam singulari earum elegantia perfectas animadverterim. Habent enim epistulae tuae nescio quid excelsum, suave, acrum, opulentum, grave atque ea quidem insigniter ut qui tuas illas esse dubitarit? Et cetera. Postquam alteras ad te scripseram tuae et graves et or/681/natae redittae mihi sunt, quae eo accumulatiores venerunt quo etiam comitem habuerunt. Libellum vere ....F......Saa vincebar ms : expectes vincebat. adeo prudenter et polite conscriptus est ut sane Mercurio iuncta venustas videatur. Quod et ipsum Graece sapit voca­bulum, et cetera. Vale decus nostrum et me, ut facis, ama. Ego enim te diligo, te observo, te admiror et quidem quam maxime possum. Iterum vale nec me fraudes oro voluptate ac vice tuarum epistularum quae, ut in initio dixi, praeceteris gratae iocundae et verae romanae mihi visae sunt. Datum et cetera, quam cursim. Scribam post haec ad acerimum et pereloquentem virum N. de Malg. si modo festinantis atque alacris huius nuncii ratio permiserit; sin minus quam primum per alium tutum in omnem eventum. Ex me illi salve dicas deside­rium sitis et torculum. A[tonii] Pa[normitae] avetote. 42. Girolamo a Sy. [s.d.] Un Girolamo indirizza il suo saluto a un Sy., che si augura di poter presto incontrare, anche a Venezia, dove volentieri giungerebbe, pur tra i pericoli, per tenere fede alla sua promessa; gli raccomanda di salutare la famiglia Vallaresso. Hier[onimus] Sy. salutem. Audivi te in languorem incidisse, quod mihi summam molestiam attulit. Cura valitudinem tuam, suavissime mi Sy., cuius probitas sic fuit mihi in meis adversitatibus iucunda, ut nihil in terris te uno carius dixerim. Non diu abero a te si fata volent. Cupio Venetiis te videre, postquam reditus ad Kalendas Octobris differtur. Fidem tanti facio, ut in barbarie pro redi­mendo pignore fidei Venetiis usque /682/ redierim, non sine magno capitis discrimine. Domino reverendo archiepiscopo commendabis me mirum in modum, item et domino G. ceterisque Vallaressis, quibus semper obligor pro singulari liberalitate quam in me ostenderunt. Vale et cura ut te valentem inveniam. 43. Girolamo a Sy. [s.d.] Il medesimo Girolamo dell’epistola precedente dice al medesimo Sy. che la lettera da questi in­viatagli lo ha fatto molto divertire; Sy. a Venezia è angustiato dalla solitudine; ma Girolamo sta assai peggio, specie da quando Sy. se ne è andato [1]; i barbari che lo circondano lo disprezzano, auspica di poter tornare presso la curia dell’arcivescovo M(affeo) Vallaresso; ma attende anche il ritorno dell’amico, di cui però non condivide le critiche rivolte a quanti celebrano il buon vino: esso infatti libera l’animo dagli affanni, come anche suggerisce Orazio [2]; se Çufanaro e Barissovich (due amici?) tanto esperti di medicina, condividono il piacere del vino, vuol dire che non ci sono controindicazioni in merito; è invece riprovevole la misantropia di Timone Ateniese, così come raccontata nella Vita di Marco Antonio [3]. Idem ad eundem. [1] Salvus sis tu qui me salvum esse cupis. Epistola tua plena facetiis mihi non parum risus afferre potuit. Etenim, quid suavius, quid dulcius au­dire queo quam Sy. mecum loquentem? Cuius benivolentia, fides et obser­vantia satis in me nota est. Scribis te ipsum solitudine torqueri, qui Venetiis vivens incredibili paene hominum multitudine singulis horis offendi soles. An fortasse deest tibi gravissima nostrorum maiorum consuetudo, quibu­scum quotidie loquens, dum eorum scripta disertissima perlegis, vulgus (ut ita dixerim) profanissimum asperneris? An ideo te solum esse putas quod eius aspectu et colloquio cariturus sis hoc tempore quem tu partem animae appellare consuevisti? Sed quid agam infelix, qui veram et quidem acerbis­simam solitudinem postquam a te discessi nactus sum? Nequeo plane tam fortis et constans videri, quin vehementer commovear et angar cum verum miserrimus ad im/683/manes barbaros reditus sim, quorum neque sermone neque praesentia cum voluptate frui valeo. [2] Nam, idem qui se proceres vocari volunt, sic me torvis oculis intuen­tur, ut nutu et oratione sibi me infestissimum dicere audeant. Quoniam illius partes secutus videor quem ipsi – modo facultas daretur – crudeliter multare cuperent, omnia mihi adempta sunt solacia, quibus antea dolores animi levare solitus sum. Nunquid ad curiam reverendissimi domini M[apehi] archiepisco­pi me conferam, ubi curas sollicitudinesque deponam? Nunquid benignissimi principis favore utar, cuius clipeo adversariorum ictus excipere poteram? Haec si mihi non reddantur, quid est quod in hac terra ulterius me commorari faciat? Illud sane Virgilianumab superabar ms : expectes superabat. saepenumero mecum reputo: heu fuge crudeles terram fuge litus avarum.1ba Graeca verba, propter inscitiam scribentis deturpata, non leguntur. Crede, mi Sy., illud idem et tibi faciundum esset, si fortuna, quae rerum omnium regina vocatur, priscos furores genti saevissimae praestaret. Cum primum redii, latratus canum, qui tuis meisque moribus obstrepere so­liti sunt, inveni, quos malui prudenter veluti Sylleam rabiem picatis auribus praeterire quam temere irritare. Praestolor adventum tuum summo cum de­siderio. Non enim diutius hic mihi vivendum est absque solitis adminiculis quae saltem a morsibus canum tutiorem me facie/684/bant. Tu cum redieris una commentabimur quonam pacto rationes nostrae vitae disponendae sint. Illam unam epistolae tuae partem improbare possum in qua mihi visus es illos criminari qui Liberi sacra celebrant, quae non bacchanalia (ut est vetus poetarum mos) appellantur, sed, recentiori vocabulo, ab his qui eam religio­nem profitentur, ‘chiarinationes’ dici solent, quorum claram mentem et curis expeditam faciant. Unum meministi te aliquando legere apud Horatium: nulla placere diu neque vivere carmina possunt quae scribuntur aquae potoribus2 et cetera, quae apud eundem in multis locis de eadem re scripta sunt. [3] Itaque illos ego summis laudibus efferendos censeo, qui temporum conditionem miserati sunt, qui poetarum vicem doluerunt, in quibus quanta iactura facta sit tute vides. Sed non doleo quod me in eorum numero ponis, verum moleste fero quod te subtrahis a quo ipse initiatus rationem sacro­rum perdidicisse laetor. Tu enim sacerdos optimum ministrum me habuisti. Siquid igitur Çufanarus et Barissovich faciunt, non sine ratione probabili actum esse reor. Tenent enim mirifice phisicam ipsam quae nihil eos impe­rite aggredi pateretur. De Censorino, quod scripsisti, non affert admiratio­nem ullam, quem ego Thimoni Atheniensi comparavi, qui humani generis consortia fugere solebat. /685/ Spero aliquando amentia simili ductum posse in sua republica ceteris barbaris referre ac persuadere illud quod Thimo in sua fertur concione dixisse: «est mihi, cives Athenienses, post domum parumper orti et in eo ficus quaedam coaluit». Lege cetera quae sequuntur in vita Mar­ci Antonii: «persuadebat enim ut antequam ficus succideretur, siquis vellet laqueo vitam finire id sine cunctatione ageret».1ab sicut supra. Quid dicam nisi barbarum hominem barbare loqutuurum? Do veniam illi. Vale imperfecta epistola e manibus rapitur. Iterum vale. 44. Girolamo Ci. a Giacomo Vallaresso 29 gennaio 1466 Da Teramo Hier. Ci. scrive a Giacomo Vallaresso per comunicargli la gioia di sapere che l’arci­vescovo Maffeo ha lasciato la Dalmazia alla volta di Roma; professa il suo debito nei confronti dell’arcivescovo, di Giacomo e di tutta la famiglia Vallaresso [1]; Giovanni Antonio Campano vescovo di Teramo ha intercettato una lettera di Giacomo indirizzata allo stesso Hier. Ci.; il vescovo Campano non è in grado di distinguere i veri amici, avvantaggia i predoni e perseguita chi vive nella virtù; si raccomanda all’arcivescovo Maffeo, che spera di rivedere presto [2]. Hier[onymus] Ci. Ia[cobo] Valla[resso]. [1] Ex litteris quas ad me nuper misisti summam voluptatem accepi cum quia res tuas incolumes esse, tum quod archiepiscopum omni venera­tione dignissimum ex Dalmatis Romam rediisse mihi indicarunt. Is enim, ut familiae vestrae summum decus est, ita et amicorum omnium quos familia­ritate sua honestaverit, maximum praesidium esse perhibetur. Verum in me exornando quid egerit non modo tu frater eius nosti, sed omnes Dalmatae compertum habent. Quapropter debeo illi quidem plurimum, debeo tibi, debeo Vallaressis reliquis non medio/686/cres gratias. Non possumbc splen] splem ms. tot bene­ficiis rependere vicem, possum tamen ea non praeterire silentio. Taciturnitas enim et huiusmodi rerum cum reticentia suppressio ingratitudinis notam saepenumero traxit. Commemoratio autem grati animi naturam ostendit et saltem optime voluntatis indicium patefacit. [2] Campanus Aprutinorum antistes litteras ad me tuas intercepit. Is est amicorum aestimator ignarus. Nam illis adhaesit qui perfidia et omnium flagitiosorum sordibus obruti vivunt. Eos vero vel contemnit vel odiis infe­statur quorum vita semper in virtute et aequitate versata sunt. Quid plura? Tantam in ecclesia nostra seditionem et discordiam excitavit, ut canonici rerum divinarum obliti alius alium perditum ire studeant. Cum plus otii nactus fuero diffusius his de rebus exarabo. Nunc obsecro me commendes re­verendissimo domino archiepiscopo quem videre et cum debita veneratione alloqui vehementer opto. Vale et si quid voles me facturum iubeto. III Kalendas Februarii, Terami MCCCCLXVI, quam celerrime. 45. Poggio Bracciolini ad Antonio Panormita 3 aprile [s.a.] Epistola di Poggio Bracciolini ad Antonio Panormita, edita in Poggio 1832, 177-178. /687/ Poggius Antonio Panormitae. Iohannes Lamola adolescens, ut percepi tum doctus tum studiosus tui, attulit ad nos libellum Epygrammatun tuorum, quem inscribis Hermafrodi­tum, opus et iocosum et plenum voluptate. Hunc cum legisset primo vir clarissimus Antonius Luscus, multisque verbis collaudasset et ingenium et facultatem dicendi tuam (nam liber est suavissimus), misit deinde illico ad me legendum. Delectatus sum, mehercle, varietate rerum et elegantia ver­suum. Simulque admiratus sum res adeo impudicas, adeo ineptas invenisse tam composite a te dici, atque ita exprimi multa turpiuscula ut non enarrari sed agi videantur. Nec ficta iocandi causa, ut existimo, sed actu existimari possunt. Laudo Graecam doctrinam tuam, iocunditatem carminis, iocos ac sales tibique gratias ago pro portiuncula mea qui Latinas Musas, quae iam diu nimium dormierant, a somno excitas. Pro caritate tamen qua omnibus debitores sumus unum est quod te monere et debeo et volo, ut scilicet dein­ceps graviora quaedam mediteris. Hoc enim quod adhuc edidisti vel aetati concedi possunt vel licentiae iocandi. Ita et Vergilius adolescens lusit in Pria­peia et /688/ praeterea qui post lascivos versus serioribus vacavit. Ut enim Terentius noster refert: haec aetas aliam vitam alios mores postulat.1aa memores ms corruptum videtur : fortasse maerores corr. Itaque tuum est iam missam facere lasciviam et res serias describere, ut arguatur vita impura libelli obscenitate. Scis enim non licere idem nobis qui Christiani sumus quid olim poetis qui Deum ignorabant. Sed fortasse scis Minervam. Tu ipse hoc idem sentis quod laudo proboque ex te ad maiora hortor. Haec bono animo accipias rogo. Ego enim tuus sum. Tu Poggium ascribe in tuis. Plura scripsissem, si per otium licuisset. Verum alias erimus longiores, si hoc non displicuerit tibi. Vale et me quando te mutuum fieri intelligas ama. Romae III Nonas Aprilis manu festina. Perlectis epistulis tuis gavisus sum quod optatam salutem tuam earum relatu cognovi. De his autem quae in consequentibus insinuare eloquii tui sermo studuit gratias ago Deo meo. Quod solicitudinem officii pastoralis impendis, qualiter ecclesiastica officia ordinentur perquiris. Et licet omnia prudentiae tuae sint cognita /689/ tamen quia affectu fraterno me consulis ex parte qua valeo expediam et de omnibus et cetera. APPENDICI 1. Le lettere di Maffeo Vallaresso nell’ordine cronologico dell’edizione critica a confronto con il numero d’ordine del ms. Vat. Barb. lat. 1809 Il numero della prima colonna indica l’ordine nel quale le lettere si susseguono nell’edizione critica (cioè un ordine strettamente cronologico); segue, in corsivo, la data della lettera stessa; nella terza colonna è il corrispettivo numero d’ordine della lettera nel ms. Vat. Barb. lat. 1809. 1. 17 11 1450 1. 2. 04 11 1450 4. 3. 22 11 1450 2. 4. 22 11 [1450] 3. 5. 01 12 1450 281. 6. 17 03 1451 6. 7. 18 03 1451 5. 8. 18 03 [1451] 7. 9. 03 04 [1451] 8. 10. 03 05 1451 9. 11. 14 05 1451 10. 12. 14 05 1451 11. 13. 05 06 1451 12. 14. 28 06 1451 26. 15. 16 07 [1451] 13. 16. 28 07 1451 214. 17. 15 08 [1451] 215. 18. 20 08 [1451] 14. 19. 20 08 [1451] 15. 20. 25 08 1451 16. 21. 31 08 [1451] 17. 22. 09 09 [1451?] 25. 23. 12 09 [1451] 18. 24. 12 09 1451 19. 25. 12 09 [1451] 20. 26. 15 09 1451 21. 27. 15 09 [1451] 22. 28. 17 09 [1451] 23. 29. 03 10 [1451] 24. 30. 21 10 1451 27. 31. 15 11 [1451] 216. 32. 02 01 1452 280. 33. 08 01 1452 28. 34. 08 01 1452 282. 35. 08 01 1452 283. 36. 08 01 [1452] 284. 37. 20 01 [1452] 285. 38. 20 01 [1452] 217. 39. 31 01 [1452] 229. 40. 07 02 [1452] 277. 41. 15 02 [1452] 278. 42. 16 02 1452 287. 43. 18 02 1452 286. 44. 18 02 [1452] 279. 45. 23 02 [1452] 218. 46. 28 02 1452 219. 47. 28 02 1452 220. 48. 03 03 1452 288. 49. 13 03 1452 221. 50. 13 04 [1452] 29. 51. 20 04 [1452] 30. 52. 21 04 [1452] 31. 53. 30 04 [1452] 32. 54. 30 04 [1452] 289. 55. 02 05 1452 292. 56. 06 05 [1452] 291. 57. 12 05 1452 290. 58. 03 06 [1452] 33. 59. 05 06 [1452] 293. 60. 28 06 [1452] 222. 61. 18 07 1452 34. 62. 18 07 [1452] 35. 63. 18 07 [1452] 294. 64. 02 08 1452 36. 65. 26 08 1452 223. 66. 31 08 1452 295. 67. 31 08 1452 296. 68. 04 09 1452 298. 69. 12 09 1452 275. 70. 25 09 [1452] 44. 71. 28 09 [1452] 299. 72. 11 10 [1452] 37. 73. 18 11 [1452] 38. 74. 18 11 [1452] 39. 75. 18 [11 1452] 40. 76. 18 [11 1452] 41. 77. 18 11 [1452] 42. 78. 18 11 1452 43. 79. 18 11 1452 45. 80. 22 11 [1452?] 225. 81. 22 11 [1452?] 226. 82. 04 12 [1452] 46. 83.? ? ? [1452] 224. 84. 03 01 [1453?] 227. 85. 07 01 1453 300. 86. 21 01 [1453?] 51. 87. 25 01 [1453?] 228. 88. 21 02 [1453?] 230. 89. 28 02 [1453] 47. 90. 01 03 1453 48. 91. 01 03 1453 231. 92. 14 03 [1453] 49. 93. 14 03 [1453] 232. 94. 30 03 1453 233. 95. 30 03 [1453] 301. 96. 28 04 1453 303. 97. 30 06 [1453] 60. 98. 02 07 [1453] 234. 99. 03 07 1453 52. 100. 03 07 1453 53. 101. 03 07 1453 54. 102. 03 07 1453 235. 103. 08 07 [1453] 56. 104. 17 07 [1453] 57. 105. 18 07 [1453] 59. 106. 29 07 [1453] 61. 107. 31 07 [1453] 236. 108. 01 08 1453 237. 109. 08 08 [1453] 62. 110. 25 08 [1453] 63. 111. 31 08 [1453] 64. 112. 24 10 [1453] 304. 113. 04 11 [1453] 305. 114. 26 11 1453 65. 115. 30 11 1453 306. 116. 05 12 [1453] 66. 117. 21 12 [1453] 67. 118. 21 12 [1453] 307. 119. 21 12 [1453] 308. 120. 21 12 1453 309. 121. 29 12 1453 312. 122. 30 12 [1453] 310. 123.? ? ? [1453] 50. 124.? ? ? [1453] 55. 125.? ? ? [1453] 58. 126. 25 01 1454 313. 127. 29 01 [1454] 311. 128. 15 02 [1454] 314. 129. 23 02 1454 68. 130. 5 04 [1454] 315. 131. 20 04 1454 238. 132. 20 04 [1454] 239. 133. 20 04 1454 240. 134. 23 04 [1454] 69. 135. 23 04 [1454] 70. 136. 25 04 1454 81. 137. 25 04 [1454] 241. 138. 04 05 1454 71. 139. 08 05 [1454] 73. 140. 25 05 [1454] 72. 141. 28 05 1454 316. 142. 12 06 [1454] 242. 143. 17 06 1454 243. 144. 17 06 1454 317. 145. 06 07 1454 74. 146. 31 08 [1454] 319. 147. 08 09 [1454] 320. 148. 28 09 [1454] 244. 149. 01 10 [1454] 75. 150. 01 10 [1454] 245. 151. 08 10 1454 76. 152. 09 10 1454 246. 153. 22 10 [1454] 77. 154. 15 11 1454 78. 155. 06 01 [1455] 79. 156. 24 01 [1455] 80. 157. 30 01 1455 247. 158. 18 02 1455 82. 159. 18 02 1455 83. 160. 18 02 1455 321. 161. 18 02 [1455] 322. 162. 18 02 1455 324. 163. 18 02 [1455] 326. 164. 18 02 1455 327. 165. [18 02 1455] 328. 166. 18 02 1455 329. 167. 19 02 [1455] 325. 168. 03 03 1455 249. 169. 25 04 1455 248. 170. 28 04 1455 84. 171. 28 04 1455 330. 172. 01 05 1455 331. 173. 05 05 1455 85. 174. 15 05 [1455] 86. 175. 16 05 [1455] 87. 176. 16 05 [1455] 88. 177. 14 06 1455 332. 178. 07 07 [1455] 89. 179. 22 07 [1455] 90. 180. 22 07 1455 333. 181. 22 07 [1455] 250. 182. 04 09 1455 502. 183. 02 10 [1455] 91. 184. 02 10 [1455] 251. 185. 02 10 1455 334. 186. 02 10 1455 335. 187. 02 10 1455 336. 188. 02 10 1455 337. 189. 02 10 1455 338. 190. 05 11 [1455] 92. 191. 14 11 1455 339. 192. 04 12 [1455] 93. 193. 20 12 [1455] 94. 194. 20 12 [1455] 252. 195. 20 12 1455 340. 196. 28 12 1455 341. 197. 29 12 [1455] 96. 198.? ? ? [1455] 323. 199. 15 01 1456 342. 200. 03 02 1456 95. 201. 05 02 [1456] 98. 202. 05 02 [1456] 100. 203. 05 02 1456 343. 204. 09 02 [1456] 97. 205. 22 02 1455 99. 206. 23 02 1456 344. 207. 14 03 [1456] 101. 208. 14 03 1456 345. 209. 16 03 [1456] 102. 210. 16 03 1456 103. 211. 16 03 1456 104. 212. 16 03 1456 346. 213. 05 04 [1456] 107. 214. 15 04 1456 256. 215. 21 04 1456 352. 216. 22 04 1456 253. 217. 22 04 [1456] 254. 218. 22 04 1456 353. 219. 23 04 [1456] 255. 220. 27 04 [1456] 354. 221. 28 04 [1456] 105. 222. 28 04 [1456] 106. 223. 28 04 [1456] 108. 224. 28 04 [1456] 109. 225. 28 04 [1456] 110. 226. 28 04 1456 347. 227. [28 04 1456] 348. 228. 28 04 1456 349. 229. 28 04 [1456] 350. 230. 28 04 [1456] 351. 231. 28 04 [1456] 355. 232. 28 04 1456 356. 233. 28 04 1456 357. 234. 26 06 1456 358. 235. 26 06 1456 359. 236. 03 07 1456 113. 237. 03 07 1456 360. 238. 10 07 1456 111. 239. 05 07 1456 112. 240. 01 08 1456 257. 241. 02 08 [1456] 114. 242. 02 08 1456 115. 243. 02 08 1456 361. 244. 14 08 1456 258. 245. 22 08 [1456] 116. 246. 24 08 [1456] 259. 247. 31 08 [1456] 117. 248. 31 08 1456 118. 249. 04 09 1456 260. 250. 24 09 [1456] 119. 251. 15 11 [1456] 122. 252. 28 11 [1456] 120. 253. 28 11 1456 362. 254. 11 12 1456 121. 255. 11 01 1457 123. 256. 11 01 [1457] 124. 257. 11 01 [1457] 125. 258. 21 01 [1457] 126. 259. 07 03 [1457] 127. 260. 15 03 [1457] 152. 261. 28 03 [1457] 128. 262. 01 04 1457 129. 263. 04 04 1457 261. 264. 27 04 [1457] 262. 265. 12 05 1457 130. 266. 14 05 1457 363. 267. 15 05 1457 131. 268. 27 06 1457 263. 269. 28 06 1457 132. 270. 01 08 1457 157. 271. 06 08 1457 364. 272. 06 08 1457 365. 273. 14 09 1457 156. 274. 04 10 1457 134. 275. 08 10 1457 367. 276. 15 10 [1457] 135. 277. 26 11 1457 366. 278. 28 11 [1457] 136. 279. 28 11 [1457] 137. 280. 05 12 1457 138. 281. 08 12 1457 368. 282. 13 12 1457 139. 283. 13 12 1457 369. 284.? ? ? [1457] 133. 285. 01 01 1458 140. 286. 08 01 1458 141. 287. 17 01 1458 153. 288. 03 02 [1458] 143. 289. 05 02 [1458] 144. 290. 06 02 [1458] 145. 291. 12 02 [1458] 146. 292. 12 02 [1458] 147. 293. 12 02 [1458] 148. 294. 13 02 [1458] 149. 295. 28 02 1458 142. 296. 10 03 1458 150. 297. 13 03 [1458] 151. 298. 16 03 [1458] 154. 299. 16 03 [1458] 264. 300. 17 03 [1458] 155. 301. 14 04 1458 158. 302. 14 04 1458 370. 303. 18 05 1458 371. 304. 22 05 1458 159. 305. 30 05 [1458] 372. 306. 01 06 1458 373. 307. 15 06 1458 160. 308. 02 07 1458 265. 309. 04 07 1458 374. 310. 08 07 1458 379. 311. 12 07 1458 161. 312. 12 07 1458 162. 313. 16 07 1458 163. 314. 30 09 1458 164. 315. 04 10 1458 380. 316. 10 10 1458 167. 317. 11 10 [1458] 165. 318. 18 10 1458 166. 319. 26 11 [1458] 168. 320. 07 12 1458 169. 321. 08 12 1458 375. 322. 26 12 1458 170. 323. 26 12 1458 381. 324. 26 12 1458 382. 325. 26 12 1458 383. 326. 12 01 1459 376. 327. 13 02 1459 377. 328. 14 02 1459 171. 329. 17 02 1459 172. 330. 28 02 1459 384.a 331. 01 03 1459 173. 332. 06 03 [1459] 174. 333. 05 04 1459 378. 334. 05 05 1459 384.b 335. 25 06 1459 385. 336. 02 10 1459 175. 337. 02 10 1459 176. 338. 02 10 [1459] 177. 339. 04 10 1459 389. 340. 10 10 1459 386. 341. 10 10 1459 387. 342. 13 10 1459 388. 343. 14 11 [1459] 178. 344. 14 11 1459 390. 345. 07 12 1459 391. 346. 12 12 1459 392. 347. 19 12 1459 393. 348. 19 12 1459 394. 349. 27 12 1459 395. 350. 03 01 1460 396. 351. 03 01 1460 397. 352. 03 01 [1460] 398. 353. 10 01 [1460] 179. 354. 12 01 1460 399. 355. 01 03 1460 181. 356. 03 03 1460 180. 357. 08 03 1460 400. 358. 10 03 [1460] 401. 359. 10 03 [1460] 403. 360. 12 03 1460 402. 361. 15 03 1460 404. 362. 20 03 1460 405. 363. 25 03 [1460] 406. 364. 25 03 [1460] 407. 365. 15 04 1460 408. 366. 15 04 1460 409. 367. 15 04 1460 410. 368. 16 04 1460 411. 369. 16 04 1460 412. 370. 09 05 [1460] 413. 371. 10 05 1460 414. 372. 17 05 1460 415. 373. 22 06 1460 417. 374. 19 07 1460 182. 375. 09 09 [1460] 418. 376. 24 09 1460 419. 377. 12 10 1460 183. 378. 18 12 1460 266. 379.? ? ? [1460] 416. 380. 07 02 [1461] 184. 381. 07 02 [1461] 185. 382. 08 02 [1461] 186. 383. 08 02 1461 420. 384. 08 03 1461 187. 385. 12 03 1461 421. 386. 18 03 [1461] 195. 387. 19 03 1461 267. 388. 29 03 1461 422. 389. 03 05 1461 188. 390. 03 05 1461 189. 391. 06 05 1461 190. 392. 16 05 1461 191. 393. 23 05 1461 192. 394. 08 07 [1461] 423. 395. 08 07 1461 424. 396. 08 07 1461 425. 397. 08 07 [1461] 427. 398. 09 07 [1461] 426. 399. 17 07 1461 193. 400. 04 08 1461 194. 401. 14 08 [1461] 196. 402. 19 09 1461 197. 403. 19 09 1461 428. 404. 21 09 [1461] 429. 405. 24 09 1461 430. 406. 15 10 [1461] 431. 407. 30 10 1461 432. 408. 16 11 [1461] 198. 409. 16 11 1461 199. 410. 16 11 1461 433. 411. 17 11 [1461] 434. 412. 17 11 1461 435. 413. 19 11 [1461] 436. 414. 24 11 1461 437. 415. 29 11 1461 438. 416. 09 12 1461 439. 417. 13 12 1461 274. 418. 14 12 1461 441. 419. 15 12 1461 276. 420. 15 12 [1461] 440. 421. 16 12 1461 200. 422. 07 02 1462 442. 423. 07 02 [1462] 443. 424. 09 02 1462 445. 425. 09 02 1462 446. 426. 10 02 [1462] 201. 427. 10 02 [1462] 447. 428. 10 02 [1462] 448. 429. 14 02 [1462] 449. 430. 22 02 1462 450. 431. 03 03 [1462] 202. 432. 03 03 1462 451. 433. 03 03 1462 452. 434. 03 03 1462 453. 435. 03 03 1462 454. 436. 05 03 [1462] 270. 437. 22 03 1462 455. 438. 28 03 1462 268. 439. 28 03 1462 272. 440. 29 03 [1462] 271. 441. 31 03 1462 269. 442. 18 04 1462 456. 443. 25 05 1462 457. 444. 26 05 1462 458. 445. 29 05 1462 459. 446. 31 05 [1462] 203. 447. 15 06 [1462] 204. 448. 10 07 1462 205. 449. 10 07 [1462] 206. 450. 10 07 [1462] 207. 451. 10 07 1462 460. 452. 10 07 1462 461. 453. 31 07 1462 273. 454. 31 07 1462 462. 455. 31 07 1462 463. 456. 31 07 [1462] 464. 457. 01 08 1462 465. 458. 08 08 [1462] 466. 459. 09 08 [1462] 208. 460. 16 08 1462 467. 461. 25 08 [1462] 468. 462. 30 08 1462 209. 463. 31 08 1462 469. 464. 08 09 [1462] 210. 465. 08 09 1462 211. 466. 23 10 1462 213. 467. 20 11 [1462] 472. 468. 21 11 [1462] 471. 469. 01 12 1462 473. 470. 04 12 1462 474. 471. 13 12 [1462] 212. 472. 23 12 [1462] 475. 473. 09 01 1463 476. 474. 13 02 [1463] 477. 475. 11 06 1463 478. 476. 20 06 1463 479. 477. 20 06 1463 480. 478. 30 07 [1463] 481. 479. 30 07 1463 482. 480. 12 08 1463 503. 481. 08 09 [1463] 483. 482. 22 09 [1463] 484. 483. 22 09 1463 485. 484. 16 11 1463 486. 485. 24 02 [1464] 487. 486. 08 05 1464 488. 487. 08 05 1464 489. 488. 28 07 [1464] 490. 489. 06 08 1464 491. 490. 12 08 [1464] 492. 491. 12 08 1464 493. 492. 12 09 [1464] 494. 493. 15 04 1466 496. 494. 10 06 1467 497. 495. 21 06 1467 498. 496. 27 07 [1470] 495. 497. 12 05 1471 499. 498. 01 06 1471 500. 499. 10 06 1471 501 2. Le lettere di Maffeo Vallaresso nell’ordine del ms. Vat. Barb. lat. 1809 a confronto con il numero d’ordine cronologico dell’edizione critica Il numero della prima colonna indica l’ordine nel quale le lettere si susseguono nel ms. Vat. Barb. lat. 1809; segue, in corsivo, la data della lettera stessa; nella terza colonna è il corrispettivo numero d’ordine della lettera nell’edizione critica (cioè il numero d’ordine cronologico). 1. 17 07 1450 1. 2. 22 11 1450 3. 3. 22 11 [1450] 4. 4. 4 11 1450 2. 5. 18 03 1451 7. 6. 17 03 1451 6. 7. 18 03 [1451] 8. 8. 03 04 [1451] 9. 9. 03 05 1451 10. 10. 14 05 1451 11. 11. 14 05 1451 12. 12. 05 06 1451 13. 13. 16 07 [1451] 15. 14. 20 08 [1451] 18. 15. 20 08 [1451] 19. 16. 25 08 1451 20. 17. 31 08 [1451] 21. 18. 12 09 [1451] 23. 19. 12 09 1451 24. 20. 12 09 [1451] 25. 21. 15 09 1451 26. 22 15 09 [1451] 27. 23. 17 09 [1451] 28. 24. 03 10 [1451] 29. 25. 09 09 [1451?] 22. 26. 28 06 1451 14. 27. 21 10 1451 30. 28. 08 01 1452 33. 29. 13 04 [1452] 50. 30. 20 04 [1452] 51. 31. 21 04 [1452] 52. 32. 30 04 [1452] 53. 33 03 06 [1452] 58. 34. 18 07 1452 61. 35. 18 07 [1452] 62. 36. 02 08 1452 64. 37. 11 10 [1452] 72. 38. 18 11 [1452] 73. 39. 18 11 [1452] 74. 40. 18 [11 1452] 75. 41. 18 [11 1452] 76. 42. 18 11 [1452] 77. 43. 18 11 1452 78. 44. 25 09 [1452] 70. 45. 18 11 1452 79. 46. 04 12 [1452] 82. 47. 28 02 [1453] 89. 48. 01 03 1453 90. 49. 14 03 [1453] 92. 50. ? ? ? [1453] 123. 51. 21 01 [1453?] 86. 52. 03 07 1453 99. 53. 03 07 1453 100. 54. 03 07 1453 101. (54. = 302.) 55. ? ? ? [1453] 124. 56. 08 07 [1453] 103. 57. 17 07 [1453] 104. 58. ? ? ? [1453] 125. 59. 18 07 [1453] 105. 60. 30 06 [1453] 97. 61. 29 07 [1453] 106. 62. 08 08 [1453] 109. 63. 25 08 [1453] 110. 64. 31 08 [1453] 111. 65. 26 11 1453 114. 66. 05 12 [1453] 116. 67. 21 12 [1453] 117. 68. 23 02 1454 129. 69. 23 04 [1454] 134. 70. 23 04 [1454] 135. 71. 04 05 1454 138. 72. 25 05 [1454] 140. 73. 08 05 [1454] 139. 74. 06 07 1454 145. (74. = 318.) 75. 01 10 [1454] 149. 76. 08 10 1454 151. 77. 22 10 [1454] 153. 78. 15 11 1454 154. 79. 06 01 [1455] 155. 80. 24 01 [1455] 156. 81. 25 04 1454 136. 82. 18 02 1455 158. 83. 18 02 1455 159. 84. 28 04 1455 170. 85. 05 05 1455 173. 86. 15 05 [1455] 174. 87. 16 05 [1455] 175. 88. 16 05 [1455] 176. 89. 07 07 [1455] 178. 90. 22 07 [1455] 179. 91. 02 10 [1455] 183. 92. 05 11 [1455] 190. 93. 04 12 [1455] 192. 94. 20 12 [1455] 193. 95. 03 02 1456 200. 96. 29 12 [1455] 197. 97. 09 02 [1456] 204. 98. 05 02 [1456] 201. 99. 22 02 1455 205. 100. 05 02 [1456] 202. 101. 14 03 [1456] 207. 102. 16 03 [1456] 209. 103. 16 03 1456 210. 104. 16 03 1456 211. 105. 28 04 [1456] 221. 106. 28 04 [1456] 222. 107. 05 04 [1456] 213. 108. 28 04 [1456] 223. 109. 28 04 [1456] 224. 110. 28 04 [1456] 225. 111. 10 07 1456 238. 112. 05 07 1456 239. 113. 03 07 1456 236. 114. 02 08 [1456] 241. 115. 02 08 1456 242. 116. 22 08 [1456] 245. 117. 31 08 [1456] 247. 118. 31 08 1456 248. 119. 24 09 [1456] 250. 120. 28 11 [1456] 252. 121. 11 12 1456 254. 122. 15 11 [1456] 251. 123. 11 01 1457 255. 124. 11 01 [1457] 256. 125. 11 01 [1457] 257. 126. 21 01 [1457] 258. 127. 07 03 [1457] 259. 128. 28 03 [1457] 261. 129. 01 04 1457 262. 130. 12 05 1457 265. 131. 15 05 1457 267. 132. 28 06 1457 269. 133. ? ? ? [1457] 284. 134. 04 10 1457 274. 135. 15 10 [1457] 276. 136. 28 11 [1457] 278. 137. 28 11 [1457] 279. 138. 05 12 1457 280. 139. 13 12 1457 282. 140. 01 01 1458 285. 141. 08 01 1458 286. 142. 28 02 1458 295. 143. 03 02 [1458] 288. 144. 05 02 [1458] 289. 145. 06 02 [1458] 290. 146. 12 02 [1458] 291. 147. 12 02 [1458] 292. 148. 12 02 [1458] 293. 149. 13 02 [1458] 294. 150. 10 03 1458 296. 151. 13 03 [1458] 297. 152. 15 03 [1457] 260. 153. 17 01 1458 287. 154. 16 03 [1458] 298. 155. 17 03 [1458] 300. 156. 14 09 1457 273. 157. 01 08 1457 270. 158. 14 04 1458 301. 159. 22 05 1458 304. 160. 15 06 1458 307. 161. 12 07 1458 311. 162. 12 07 1458 312. 163. 16 07 1458 313. 164. 30 09 1458 314. 165. 11 10 [1458] 316. 166. 18 10 1458 318. 167. 10 10 1458 316. 168. 26 11 [1458] 319. 169. 07 12 1458 320. 170. 26 12 1458 322. 171. 14 02 1459 328. 172. 17 02 1459 329. 173. 01 03 1459 331. 174. 06 03 [1459] 332. 175. 02 10 1459 336. 176. 02 10 1459 337. 177. 02 10 [1459] 338. 178. 14 11 [1459] 343. 179. 10 01 [1460] 353. 180. 03 03 1460 356. 181. 01 03 1460 355. 182. 19 07 1460 374. 183. 12 10 1460 377. 184. 07 02 [1461] 380. 185. 07 02 [1461] 381. 186. 08 02 [1461] 382. 187. 08 03 1461 384. 188. 03 05 1461 389. 189. 03 05 1461 390. 190. 06 05 1461 391. 191. 16 05 1461 392. 192. 23 05 1461 393. 193. 17 07 1461 399. 194. 04 08 1461 400. 195. 18 03 [1461] 386. 196. 14 08 [1461] 401. 197. 19 09 1461 402. 198. 16 11 [1461] 408. 199. 16 11 1461 409. 200. 16 12 1461 421. 201. 10 02 [1462] 426. (201. = 444.) 202. 03 03 [1462] 431. 203. 31 05 [1462] 446. 204. 15 06 [1462] 447. 205. 10 07 1462 448. 206. 10 07 [1462] 449. 207. 10 07 [1462] 450. 208. 09 08 [1462] 459. 209. 30 08 1462 462. 210. 08 09 [1462] 464. 211. 08 09 1462 465. 212. 13 12 [1462] 471. 213. 23 10 1462 466. (213. = 470.) 214. 28 07 1451 16. 215. 15 08 [1451] 17. 216. 15 11 [1451] 31. 217. 20 01 [1452] 38. 218. 23 02 [1452] 45. 219. 28 02 1452 46. 220. 28 02 1452 47. 221. 13 03 1452 49. 222. 28 06 [1452] 60. 223. 26 08 1452 65. 224. ? ? ? [1452] 83. 225. 22 11 [1452] 80. 226. 22 11 [1452] 81. 227. 03 01 [1453] 84. 228. 25 01 [1453] 87. 229. 31 01 [1452] 39. 230. 21 02 [1453] 88. 231. 01 03 1453 91. 232. 14 03 [1453] 93. 233. 30 03 1453 94. 234. 02 07 [1453] 98. 235. 03 07 1453 102. 236. 31 07 [1453] 107. 237. 01 08 1453 108. 238. 20 04 1454 131. 239. 20 04 [1454] 132. 240. 20 04 1454 133. 241. 25 04 [1454] 137. 242. 12 06 [1454] 142. 243. 17 06 1454 143. 244. 28 09 [1454] 148. 245. 01 10 [1454] 150. 246. 09 10 1454 152. 247. 30 01 1455 157. 248. 25 04 1455 169. 249. 03 03 1455 168. 250. 22 07 [1455] 181. 251. 02 10 [1455] 184. 252. 20 12 [1455] 194. 253. 22 04 1456 216 254. 22 04 [1456] 217. 255. 23 04 [1456] 219. 256. 15 04 1456 214. 257. 01 08 1456 240. 258. 14 08 1456 244. 259. 24 08 [1456] 246. 260. 04 09 1456 249. 261. 04 04 1457 263. 262. 27 04 [1457] 264. 263. 27 06 1457 268. 264. 16 03 [1458] 299. 265. 02 07 1458 308. 266. 18 12 1460 378. 267. 19 03 1461 387. 268. 28 03 1462 438. 269. 31 03 1462 441. 270. 05 03 [1462] 436. 271. 29 03 [1462] 440. 272. 28 03 1462 439. 273. 31 07 1462 453. 274. 13 12 1461 417. 275. 12 09 1452 69. (275. = 297.) 276. 15 12 1461 419. 277. 07 02 [1452] 40. 278. 15 02 [1452] 41. 279. 18 02 [1452] 44. 280. 02 01 1452 32. 281. 01 12 1450 5. 282. 08 01 1452 34. 283. 08 01 1452 35. 284. 08 01 [1452] 36. 285. 20 01 [1452] 37. 286. 18 02 1452 43. 287. 16 02 1452 42. 288. 03 03 1452 48. 289. 30 04 [1452] 54. 290. 12 05 1452 57. 291. 06 05 [1452] 56. 292. 02 05 1452 55. 293. 05 06 [1452] 59. 294. 18 07 [1452] 63. 295. 31 08 1452 66. 296. 31 08 1452 67. 297. 12 09 [1452] 69. (297. = 275.) 298. 04 09 1452 68. 299. 28 09 [1452] 71. 300. 07 01 1453 85. 301. 30 03 [1453] 95. 302. 03 07 1453 101. (302. = 54.) 303. 28 04 1453 96. 304. 24 10 [1453] 112. 305. 04 11 [1453] 113. 306. 30 11 1453 115. 307. 21 12 [1453] 118. 308. 21 12 [1453] 119. 309. 21 12 1453 120. 310. 30 12 [1453] 122. 311. 29 01 1454 127. 312. 29 12 1453 121. 313. 25 01 1454 126. 314. 15 02 [1454] 128. 315. 05 04 [1454] 130. 316. 28 05 1454 141. 317. 17 06 1454 144. 318. 06 07 1454 145. (318 = 74.) 319. 31 08 [1454] 146. 320. 08 09 [1454] 147. 321. 18 02 1455 160. 322. 18 02 [1455] 161. 323. ? ? ? [1455?] 198. 324. 18 02 1455 162. 325. 19 02 [1455] 167. 326. 18 02 [1455] 163. 327. 18 02 1455 164. 328. [18 02 1455] 165. 329. 18 02 1455 166. 330. 28 04 1455 171 331. 01 05 1455 172. 332. 14 06 1455 177. 333. 22 07 1455 180. 334. 02 10 1455 185. 335. 02 10 1455 186. 336. 02 10 1455 187. 337. 02 10 1455 188. 338. 02 10 1455 189. 339. 14 11 1455 191. 340. 20 12 1455 195. 341. 28 12 1455 196. 342. 15 01 1456 199. 343. 05 02 1456 203. 344. 23 02 1456 206. 345. 14 03 1456 208. 346. 16 03 1456 212. 347. 28 04 1456 226. 348. [28 04 1456] 227. 349. 28 04 1456 228. 350. 28 04 [1456] 229. 351. 28 04 [1456] 230. 352. 21 04 1456 215. 353. 22 04 1456 218. 354. 27 04 [1456] 220. 355. 28 04 [1456] 231. 356. 28 04 1456 232. 357. 28 04 1456 233. 358. 26 06 1456 234. 359. 26 06 1456 235. 360. 03 07 1456 237. 361. 02 08 1456 243. 362. 28 11 1456 253. 363. 14 05 1457 266. 364. 06 08 1457 271. 365. 06 08 1457 272. 366. 26 11 1457 277. 367. 08 10 1457 275. 368. 08 12 1457 281. 369. 13 12 1457 283. 370. 14 04 1458 302. 371. 18 05 1458 303. 372. 30 05 [1458] 305. 373. 01 06 1458 306. 374. 04 07 1458 309. 375. 08 12 1458 321. 376. 12 01 1459 326. 377. 13 02 1459 327. 378. 05 04 1459 333. 379. 08 07 1458 310. 380. 04 10 1458 315. 381. 26 12 1458 323. 382. 26 12 1458 324. 383. 26 12 1458 325. 384a. 28 02 1459 330. 384b. 05 05 1459 334. 385. 25 06 1459 335. 386. 10 10 1459 340. 387. 10 10 1459 341. 388. 13 10 1459 342. 389. 04 10 1459 339. 390. 14 11 1459 344. 391. 07 12 1459 345. 392. 12 12 1459 346. 393. 19 12 1459 347. 394. 19 12 1459 348. 395. 27 12 1459 349. 396. 03 01 1460 350. 397. 03 01 1460 351. 398. 03 01 [1460] 352. 399. 12 01 1460 354. 400. 08 03 1460 357. 401. 10 03 [1460] 358. 402. 12 03 1460 360. 403. 10 03 [1460] 359. 404. 15 03 1460 361. 405. 20 03 1460 362. 406. 25 03 [1460] 363. 407. 25 03 [1460] 364. 408. 15 04 1460 365. 409. 15 04 1460 366. 410. 15 04 1460 367. 411. 16 04 1460 368. 412. 16 04 1460 369. 413. 09 05 [1460] 370. 414. 10 05 1460 371. 415. 17 05 1460 372. 416. ? ? ? [1460] 379. 417. 22 06 1460 373. 418. 09 09 [1460] 375. 419. 24 09 1460 376. 420. 08 02 1461 383. 421. 12 03 1461 385. 422. 29 03 1461 388. 423. 08 07 [1461] 394. 424. 08 07 1461 395. 425. 08 07 1461 396. 426. 09 07 [1461] 398. 427. 08 07 [1461] 397. 428. 19 09 1461 403. 429. 21 09 [1461] 404. 430. 24 09 1461 405. 431. 15 10 [1461] 406. 432. 30 10 1461 407. 433. 16 11 1461 410. 434. 17 11 [1461] 411. 435. 17 11 1461 412. 436. 19 11 [1461] 413. 437. 24 11 1461 414. 438. 29 11 1461 415. 439. 09 12 1461 416. 440. 15 12 [1461] 420. 441. 14 12 1461 418. 442. 07 02 1462 422. 443. 07 02 [1462] 423. 444. 10 02 [1462] 426. (444. = 201.) 445. 09 02 1462 424. 446. 09 02 1462 425. 447. 10 02 [1462] 427. 448. 10 02 1462 428. 449. 14 02 [1462] 429. 450. 22 02 1462 430. 451. 03 03 1462 432. 452. 03 03 1462 433. 453. 03 03 1462 434. 454. 03 03 1462 435. 455. 22 03 1462 437. 456. 18 04 1462 442. 457. 25 05 1462 443. 458. 26 05 1462 444. 459. 29 05 1462 445. 460. 10 07 1462 451. 461. 10 07 1462 452. 462. 31 07 1462 454. 463. 31 07 1462 455. 464. 31 07 [1462] 456. 465. 01 08 1462 457. 466. 08 08 [1462] 458. 467. 16 08 1462 460. 468. 25 08 [1462] 461. 469. 31 08 1462 463. 470. 23 10 1462 466. (470. = 213.) 471. 21 11 [1462] 468. 472. 20 11 [1462] 467. 473. 01 12 1462 469. 474. 04 12 1462 470. 475. 23 12 [1462] 472. 476. 09 01 1463 473. 477. 13 02 [1463] 474. 478. 11 06 1463 475. 479. 20 06 1463 476. 480. 20 06 1463 477. 481. 30 07 [1463] 478. 482. 30 07 1463 479. 483. 08 09 [1463] 481. 484. 22 09 [1463] 482. 485. 22 09 1463 483. 486. 16 11 1463 484. 487. 24 02 [1464] 485. 488. 08 05 1464 486. 489. 08 05 1464 487. 490. 28 07 [1464] 488. 491. 06 08 1464 489. 492. 12 08 [1464] 490. 493. 12 08 1464 491. 494. 12 09 [1464] 492. 495. 27 07 [1470] 496. 496. 15 04 1466 493. 497. 10 06 1467 494. 498. 21 06 1467 495. 499. 12 05 1471 497. 500. 1 06 1471 498. 501. 10 06 1471 499. 502. 04 09 1455 182. 503. 12 08 1463 480. 3. Corrispondenti di Maffeo Vallaresso Nei rimandi alle lettere dell’epistolario, in corpo tondo si segnalano quelle di cui Maffeo Vallaresso è mittente, in corsivo grassetto quelle di cui egli è destinatario. Alvarotti Francesco, 232 Anania de, Giacomo, 159 Ballastro Pietro, 487 Banus, magister, 49 Barbarigo Girolamo, 344 Barbaro Donato, 405 Barbaro Ermolao, 380, 113, 118, 128, 479 Barbaro Francesco, 40, 41, 119 Barbaro Matteo, 293 Barbaro Zaccaria, 393 Barbo Giovanni, 463 Barbo Marco, 18, 38, 70, 79, 93, 120, 129, 193, 200, 208, 215, 303, 304, 305, 313 Barbo Nicolò, 436, 446 Barbo Paolo, 9, 150, 206, 261, 282, 359, 389, 392, 399, 445 Barbo Pietro, 2, 7, 10, 12, 17, 62, 65, 78, 103, 104, 109, 110, 112, 121, 131, 141, 144, 145, 147, 148, 166, 173, 178, 185, 209, 237, 240, 250, 252, 255, 258, 271, 296, 307, 316, 335, 339, 345, 353, 374, 377, 381, 384, 396, 397, 410, 416, 417, 425, 453, 464, 465, 470, 491 Belloria Donato, 123, 242, 244, 251 Bertoldo Ludovico, 83, 229, 263 Bessarione, 210, 256 Bianco Donato, 183 Bogdanus, canonico di Zara, 77 Bollani Candiano, 324, 360, 367, 371, 434 Bologna da, Marco, 170 Bon Andrea, 179, 184, 432, 442 Bon Maffeo, 253 Bondumier Andrea, 368, 391, 460, 466 Bragadin Giacomo, 165, 402, 437, 476 Buffarelli Mosè, 8, 130, 160, 352 Calandrini Filippo, 394, 395, 420 Calbo Ludovico, 234 Canali Giovanni, 331 Capello Vittore, 176, 194 Capitolo di Pago, 13, 254 Capitolo di Zara, 3, 336 Capranica Domenico, 60, 133, 182 Carpi da, Egidio, 461 Cattaro di, Niccolò, 448 Cavazza Angelo, 43 Condulmer Francesco, 11, 16, 53, 81, 92 Condulmer Giovanni, 20, 73, 86, 186, 198 Contarini Cosma, 188 Contarini Giulio, 376 Contarini Leonardo, 224 Contarini Maffeo, 213, 233, 241, 281, 283, 289, 311, 322, 332 Conti Andrea, 33, 54, 67, 76, 96, 161, 177, 191, 199, 202, 211, 218, 260, 272, 316, 346, 348, 409, 418, 428, 456, 462, 467 Corbavia di, Giovanni, 449 Croci Nicolò, 111, 278 Dalla Sega Francesco, 189 Dandolo Fantino, 222 Dati Leonardo, 158, 265 De Castro Angelo, 228 De Dominis Giovanni, 276 De Ferra Filippo, 372, 485 De Ferra Zoilo, 485 De La Gronda Angelo, 174 De Luca N., 457 De Medio, Isidoro, 163 De Rippa Paolo, 350, 351 Delfin Fantino, 108, 134 Detrico Gregorio, 236 Diedo Antonio, 225, 279 Diedo Domenico, 157, 292, 486 Diedo Ludovico, 422 Dominici Domenico, 454 Donà (Donato) Marina, 82 Ducci Antonio, 230 Emanuele, vescovo di Scutari, 56 Erizzo Stefano, 247 Fano da, Lorenzo, 221 Fasolo Angelo, 285 Fatati Antonio, 266 Feletto Antonio, 117 Ferici Pietro, 383, 408, 412, 427 Forlì da, Antonio, 474 Fortis Girolamo, 386, 471, 499 Foscari Filippo, 433 Foscari Francesco, 288 Foscari Pietro, 52, 259, 80, 216, 388, 498 Foscarini Ludovico, 496, 497 Francesco, vescovo di Veglia (Krk), 105 Frangipane Giovanni, 125, 235, 264 Giovanni, arcidiacono di Cattaro, 55 Giovanni, conte di Veglia, 137 Girolamo, monaco benedettino, 481 Giustiniani Lorenzo, 116, 47, 107, 142, 169; II, 6 Giustiniani Pietro, 459 Hermanus Giovanni, 154 Hermolais de, Hermolao, 378 Kiev da, Isidoro, 139, 257 Lando Girolamo, 302, 387, 398 Lando Vitale, 39 Leodio da, Pietro, 167 Leoni Luca, 23, 27, 35, 152, 153, 354 Loredan Giacomo, 214 Loredan Girolamo, 136, 171 Loredan Leonardo, 438 Loredan Ludovico, 291, 325, 473 Luca, arcidiacono di Zara, 246, 249 Maffeo, conte di S. Giorgio, 46 Malipiero Pasquale, 290, 294 Mantova da, Vittorino, 411 Marcello Andrea, 238, 239, 310 Marcello Giacomo Antonio, 365 Marcello, secretarius papale, 164 Marco, mansionario, 72 Margeto, arciprete di Pago, 135, 192 Marino Pietro, 223 Matoldo, arciprete di Zara, 337 Michele, vescovo di Pafo, 419 Minotto Francesco, II 8 Molin Pietro, 28 Moro Cristoforo, 439, 443, 447 Moro Giusto, 91, 94, 98 Moro Luca, 483 Morosini Barbone, 1, 19, 22, 26, 30, 34, 151, 195, 201, 204, 205, 212, 243 Morosini Francesco, 370 Morosini Giovanni, 180 Morosini Pietro (1), 187 Morosini Pietro (2), 323, 385, 390, 407, 435 Mosè, prete veneto, 197 N.N. vicario vescovile di Ancona, 382 Niccolò V, papa, 6, 31, 45, 143, 162 Nicolò, primicerio di Zara, 312, 341, 342, 349, 356, 363, 373 Nona da, M., 306 Novara da, Giovanni, 75 Pagello Guglielmo, 5 Pago di, Antonio, 84, 87, 88, 268 Palazzago di, Andrea, 15 Paruta Filippo, 181 Pavini Giovanni Francesco, 58 Perugia da, Niccolò, 74 Pesaro Angelo, 441 Piccolomini Tommaso, 478 Pietro Giovanni, canonico di Sebenico, 452 Pio II, papa, 424 Piove di Sacco da, Bernardo, 138, 140 Pirano di, Balsamino, 369 Porcellini Francesco, 189, 231, 406 Querini Lauro, 25, 29, 32, 42, 71, 127 Ragusa da, Simone, 480, 488, 489, 490 Ranar Giovanni, 299 Rosa Alvise, 429, 458, 475 Roselli Antonio, 227 San Martino di, Antonio pievano, 414 Santa Croce di, Onofrio, 468 Saracenis de, Filippo Maria, 477, 482 Scaffa Giovanni, 37, 68, 85, 90, 95, 102, 106, 155, 156, 175, 196, 484 Sebenico da, Giovanni prete, 450 Sebenico da, Pietro, 124 Signoria di Venezia, 51 Sisgorich Giorgio, 100, 114 Sobota Giovanni (Iohannes Traguriensis), 14, 64, 69, 97, III: 23, 24, 28, 35, 36, 37, 38, 39, 40 Sosco Simone, 423 Spalato da, Felice, 101, 146, 190, 248, 284 Speravic Franjo, 426 Speroni Matteo, 57, 63, 126 Stefano, abate di Sebenico, 99 Stefano, arciprete di Sebenico, 451 Teramo da, Gaspare, 297 Trevisan Giovanni, 245 Trevisan Zaccaria, 149 Turloni Giacomo, 61, 220, 262, 267 Valentini Niccolò, 277 Vallaresso Fantino, III 1, 14 Vallaresso Giacomo, 168, 347, 400, 404, 415, 430, 440, 472 Venezia da, Natale, 4, 308, 338, 340, 364, 379 Venezia da, Tommaso, 44, 115, 219 Venier Andrea (1), 24 Venier Antonio (2), 376 Venier Benedetto, 355 Vicari di Pago, 50 Vignati Urbano, 21, 36, 48, 59, 66, 89, 122, 132, 280, 401, 421, 455 Vitturi Matteo, 343, 366, 431 Zane Lorenzo, 203, 207, 217, 269, 270, 273, 274, 275, 286, 287, 295, 298, 301, 309, 314, 319, 320, 321, 326, 327, 329, 330, 333, 357, 358, 375, 403, 413, 444, 469, 492, 493, 494, 495 Zara da, Tommaso, 172 Zeno Iacopo, 362 Zeno Mauro, 300 Zocchi Giacomo, I: 347 Zorzi Giorgio, II 8 4. Umanisti corrispondenti di Maffeo Vallaresso V/L = veneziano laico; V/E veneziano ed ecclesiastico; E = ecclesiastico non veneziano; L = laico non veneziano. Barbarigo Girolamo V/L Barbaro Ermolao V/E Barbaro Francesco V/L Barbaro Zaccaria V/L Barbo Marco V/E Barbo Nicolò V/E Barbo Pietro V/E Bessarione E Bollani Candiano V/L Bondumier Andrea V/E Capranica Domenico E Condulmer Francesco V/E Contarini Cosma V/E Dandolo Fantino V/E Dati Leonardo L Dominici Domenico V/E Fasolo Angelo V/E Feletto Antonio E Fortis Girolamo L Foscarini Ludovico V/L Kiev da, Isidoro E Lando Vitale V/L Leono Luca V/E Marcello Andrea V/L Molin Pietro V/L Morosini Barbone V/L Niccolò V E Pagello Guglielmo L Pago di, Antonio E Pio II E Querini Lauro V/L Ragusa da, Simone E Sobota Giovanni L Trevisan Zaccaria V/L Vallaresso Fantino V/E Vignati Urbano V/E Zane Lorenzo V/E Zeno Iacopo V/E 5. Doctores corrispondenti di Maffeo Vallaresso Alvarotti Francesco ecclesiastico Bertoldo Ludovico docente Bon Maffeo patrizio venez. Conti Andrea curiale De Castro Angelo docente De Medio, Isidoro curiale Fano da, Lorenzo docente Ferici Pietro ecclesiastico Mantova da, Vittorino curiale Marino Pietro patrizio venez. Palazzago di, Andrea medico Pavini Giovanni Francesco ecclesiastico Porcellini Francesco docente Roselli Antonio docente Santa Croce di, Onofrio ecclesiastico Saracenis de, Filippo Maria ecclesiastico Teramo da, Gaspare ecclesiastico Venier Andrea patrizio venez. Zara da, Tommaso studente Zocchi Giacomo docente 6. Ecclesiastici corrispondenti di Maffeo Vallaresso. Alvarotti Francesco clero secolare Barbaro Ermolao vescovo/arcivescovo Barbo Giovanni curiale Barbo Marco vescovo/arcivescovo Barbo Nicolò curiale Barbo Pietro cardinale Belloria Donato clero secolare Bessarione cardinale Bianco Donato clero secolare Bogdanus, canonico di Zara clero secolare Bologna da, Marco clero regolare Bon Andrea vescovo/arcivescovo Bondumier Andrea vescovo/arcivescovo Bragadin Giacomo vescovo/arcivescovo Buffarelli Mosè vescovo/arcivescovo Calandrini Filippo cardinale Capitolo di Pago istituzione Capitolo di Zara istituzione Capranica Domenico cardinale Carpi da, Egidio vescovo/arcivescovo Cattaro di, Niccolò vescovo/arcivescovo Cavazza Angelo vescovo/arcivescovo Condulmer Francesco cardinale Condulmer Giovanni curiale Contarini Cosma clero secolare Contarini Maffeo vescovo/arcivescovo Croci Nicolò vescovo/arcivescovo Dandolo Fantino vescovo/arcivescovo De La Gronda Angelo clero secolare De Luca N. curiale Dominici Domenico vescovo/arcivescovo Donà Marina clero regolare Ducci Antonio clero secolare Emanuele, vescovo di Scutari vescovo/arcivescovo Fasolo Angelo vescovo/arcivescovo Fatati Antonio vescovo/arcivescovo Feletto Antonio vescovo/arcivescovo Ferici Pietro curiale Forlì da, Antonio curiale Foscari Pietro cardinale Francesco, vescovo di Veglia vescovo/arcivescovo Giovanni, arcidiacono di Cattaro clero secolare Girolamo, monaco benedettino clero regolare Giustiniani Lorenzo vescovo/arcivescovo Giustiniani Pietro vescovo/arcivescovo Kiev da, Isidoro cardinale Lando Girolamo vescovo/arcivescovo Leodio da, Pietro curiale Leono Luca clero secolare Loredan Girolamo clero regolare Luca, arcidiacono di Zara clero secolare Marcello, secretarius papale curiale Marco, mansionario clero secolare Margeto, arciprete di Pago clero secolare Matoldo, arciprete di Zara clero secolare Michele, vescovo di Pafo vescovo/arcivescovo Morosini Francesco clero secolare Morosini Pietro (2) clero regolare Mosè, prete clero secolare N.N. vicario vescovile di Ancona clero secolare Niccolò V papa Nicolò, primicerio di Zara clero secolare Nona da, M. clero secolare Pago di, Antonio vescovo/arcivescovo Paruta Filippo vescovo/arcivescovo Pavini Giovanni Francesco curiale Piccolomini Tommaso vescovo/arcivescovo Pietro Giovanni, canonico di Sebenico clero secolare Pio II papa Piove di Sacco da, Bernardo vescovo/arcivescovo Ragusa da, Simone clero secolare Ranar Giovanni curiale San Martino di, Antonio pievano clero secolare Santa Croce di, Onofrio vescovo/arcivescovo Saracenis de, Filippo Maria clero secolare Scaffa Giovanni vescovo/arcivescovo Sebenico da, Giovanni prete clero secolare Sebenico da, Pietro clero secolare Sisgorich Giorgio vescovo/arcivescovo Sosco Simone clero secolare Spalato da, Felice vescovo/arcivescovo Speravic Franjo vescovo/arcivescovo Speroni Matteo clero secolare Stefano, abate di Sebenico clero regolare Stefano, arciprete di Sebenico clero secolare Teramo da, Gaspare curiale Turloni Giacomo vescovo/arcivescovo Valentini Niccolò vescovo/arcivescovo Vallaresso Fantino vescovo/arcivescovo Vallaresso Giacomo curiale Venezia da, Natale vescovo/arcivescovo Venezia da, Tommaso vescovo/arcivescovo Vicari di Pago istituzione Vignati Urbano vescovo/arcivescovo Zane Lorenzo vescovo/arcivescovo Zeno Iacopo vescovo/arcivescovo 7. Dalmati e Istriani laici corrispondenti di Maffeo Vallaresso Corbavia di, Giovanni conte di Corbavia De Dominis Giovanni nobile di Arbe De Ferra Filippo nobile di Zara De Ferra Zoilo nobile di Zara De Rippa Paolo conte di Pola Detrico Gregorio nobile di Zara Hermolais Hermolao nobile di Arbe Frangipane Giovanni conte di Veglia Giovanni, comes di Veglia conte di Veglia Maffeo conte di S. Giorgio nobile di Zara Pirano di, Balsamino cittadino di Pirano Rosa Alvise nipote di Giorgi Natale 8. Patrizi e magistrati veneziani corrispondenti di Maffeo Vallaresso Per conoscere gli incarichi dei vari patrizi veneziani menzionati in elenco, si rimanda alla tabella 3, contenente i rinvii alle singole lettere dell’Epistolario dalle quali sarà agevole ricavare appunto (se indicato) le magistrature, gli uffici o il ruolo politico di volta in volta occupato dai corrispondenti (patrizi veneziani, laici) di Maffeo Vallaresso. Ballastro Pietro magistrato Barbarigo Girolamo patrizio Barbaro Donato magistrato Barbaro Francesco magistrato Barbaro Matteo magistrato Barbaro Zaccaria magistrato Barbo Paolo magistrato Bollani Candiano magistrato Bon Maffeo patrizio Calbo Ludovico magistrato Canal da, Giovanni patrizio Capello Vittore magistrato Contarini Giulio magistrato Contarini Leonardo magistrato De Rippa Paolo magistrato Delfin Fantino magistrato Diedo Antonio magistrato Diedo Domenico magistrato Diedo Ludovico magistrato Erizzo Stefano magistrato Foscari Filippo patrizio Foscari Francesco magistrato Foscarini Ludovico magistrato Lando Vitale patrizio Loredan Giacomo patrizio Loredan Leonardo magistrato Loredan Ludovico magistrato Malipiero Pasquale magistrato Marcello Andrea magistrato Marcello Giacomo Antonio magistrato Minotto Francesco magistrato Molin Pietro magistrato Moro Cristoforo magistrato Moro Giusto magistrato Moro Luca magistrato Morosini Barbone magistrato Morosini Giovanni patrizio Morosini Pietro (1) patrizio Pesaro Angelo magistrato Querini Lauro patrizio Signoria di Venezia magistrato Trevisan Giovanni magistrato Trevisan Zaccaria magistrato Venier Antonio magistrato Venier Benedetto magistrato Vitturi Matteo magistrato Zeno Mauro magistrato Zorzi Giorgio magistrato Abbreviazioni Biblioteche e archivi ASPVE Archivio della Curia Patriarcale di Venezia ASVAT Archivio Segreto Vaticano ASVE Archivio di Stato di Venezia BCTV Biblioteca Capitolare di Treviso BMCVE Biblioteca del Museo Correr di Venezia BNM Biblioteca Nazionale Marciana Bibliografia Acocella 2011 Maria Cristina Acocella, Il Formulario di epistole missive e responsive di Bartolomeo Miniatore: un secolo di fortuna editoriale, La Bibliofilía 113/3 (settembre-dicembre 2011), 257-292. Alessio 2001 Gian Carlo Alessio, L’ars dictaminis nel Quattrocento italiano: eclissi o persistenza?, Rhetorica. A Journal of the History of Rhetoric 19/ 2 (Spring 2001), 155-173. Altan 1962 Angelo Altan, Fantino Vallaresso, patrizio veneziano, arcivescovo di Creta e il concilio fiorentino, in Venezia e i concili, Venezia 1962, 47-65. Arbel 2013 Benjamin Arbel, Venice’s Maritime Empire in the Early Modern Period, in A Companion to Venetian History (1400-1797), edited by Eric R. Dursteler, Leiden-Boston 2013, 125-253. Barbaro 1743 Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolae, Brixiae 1743. Barbaro 1991 Francesco Barbaro, Epistolario, I. La tradizione manoscritta e a stampa, a cura di Claudio Griggio, Firenze 1991. Barbaro 1999 Francesco Barbaro, Epistolario, II. La raccolta canonica delle «Epistolae», a cura di Claudio Griggio, Firenze 1999. Barberini-De Angelis d’Ossat-Schiavon 2015 Maria Giulia Barberini, Matilde De Angelis d’Ossat, Alessandra Schiavon (a cura di), La storia del Palazzo di Venezia: dalle collezioni Barbo e Grimani a sede dell’ambasciata veneta e austriaca, Roma 2015. Barile 2011 Elisabetta Barile, Per la biografia dell’umanista Giovanni Marcanova, Treviso 2011. Bellieni 2018 Agnese Bellieni, Le epistole di Francesco da Fiano (1350 ca-1421), in Epistolari dal Due al Seicento. Modelli, questioni ecdotiche, edizioni, cantieri aperti, a cura di Claudia Berra, Paolo Borsa, Michele Comelli, Stefano Martinelli Tempesta (Quaderni di Gargnano 2, 2018), 721-741. Belloni 1986 Annalisa Belloni, Professori giuristi a Padova nel XV secolo. Profili bio-bibliografici e cattedre, Frankfurt am Main 1986. Benzoni 1996 Gino Benzoni, Le accademie e l’istruzione, in Storia di Venezia, IV: Il Rinascimento. Politica e cultura, Roma 1996, 789-816. Bernardinus Senensis 1950 Bernardini Senensis Opera omnia, I, Florentiae 1950. Bernardinus Senensis 1959 Bernardini Senensis Opera omnia, VII, Florentiae 1959. Bertanza-Dalla Santa 1993 Enrico Bertanza-Giuseppe Dalla Santa, Maestri, scuole e scolari in Venezia fino al 1500, Vicenza 1993 (edizione originale Venezia 1907). Bianchi 1879 Carlo Federico Bianchi, Zara Cristiana, II, Zara 1879. Bigi 1964 Emilio Bigi, Barbaro, Ermolao, in DBI, VI, Roma 1964, 95-96. Bisaha 2004 Nancy Bisaha, Pope Pius II and the Crusade, in Crusading in the Fifteenth Century, a cura di Norman Housley, Houndmills-New York 2004, 39-52. Black 2001 Robert Black, Humanism and Education in Medieval and Renaissance Venice. Tradition and Innovation in Latin Schools from the Twelfth to Fifteenth Century, Cambridge 2001. Boerio 1867 Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, 3 ed., Venezia 1867. Boschetto 2012 Luca Boschetto, Società e cultura a Firenze al tempo del Concilio. Eugenio IV tra curiali, mercanti e umanisti (1434-1443), Roma 2012. Bourgin 1904 Georges Bourgin, La familia pontificia sotto Eugenio IV, Archivio della R. Società Romana di Storia Patria 27 (1904), 203-224. Branca 19981 Vittore Branca, Ciceronianesimo ed anticiceronianesimo nell’esperienza epistolografica umanistica a Venezia, Ciceroniana 10 (1998), 119-131. Branca 19982 Vittore Branca, L’eredità barbariana nel Bembo, l’umanesimo volgare, la «Respublica litteraria», in Idem, La Sapienza civile. Studi sull’Umanesimo a Venezia, Firenze 1998. Buzzetti 2004 Dino Buzzetti, della Pergola, Paolo, in DBI, LXXXI, Roma 2004, 187 (voce on line: https://www.treccani.it/enciclopedia/della-pergola-paolo_%28Dizionario-Biografico%29/). Casacci 1926-1927 Antonio Casacci, Un trattatello di Vittorino da Feltre sull’ortografia latina, Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti 86 (1926-1927), 911-945. Casanova Uccella 1980 Maria Letizia Casanova Uccella (a cura di), Palazzo Venezia. Paolo II e le fabbriche di S. Marco, Roma 1980. Casarsa 1979 Laura Casarsa, Contributi per la biografia di Gregorio Correr, Quaderni della Facoltà di Magistero di Trieste 1 (1979), 29-88. Casarsa-D’Angelo-Scalon 1991 Laura Casarsa-Mario D’Angelo-Cesare Scalon, La libreria di Guarnerio d’Artegna, Udine 1991. Ceccon 2011 Silvio Ceccon, Molino, Biagio, in DBI, LXXV, Roma 2011, 417-420. Cenci 1968 Cesare Cenci, Senato veneto. «Probae» ai benefizi ecclesiastici, in Celestino Piana-Cesare Cenci, Promozioni agli ordini sacri, Firenze 1968. Cicogna 1827 Emmanuele Antonio Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827. Colonna 1883 Francesco Colonna, Le songe de Poliphile ou Hypnerotomachie, litteralement traduit pour la premiere fois, avec une introduction et des notes par Claudius Popelin, I, Paris 1883. Coluccia 1998 Giuseppe L. Coluccia, Niccolò V umanista: papa e riformatore. Renovatio politica e morale, Venezia 1998. Cozzi-Knapton 1986 Gaetano Cozzi-Michael Knapton, La Repubblica di Venezia in età moderna. Dalla guerra di Chioggia al 1517, Torino 1986. DBI Dizionario biografico degli Italiani, Roma 1960- Delle Donne 2002 Fulvio Delle Donne, Epistolografia medievale e umanistica. Riflessioni in margine al manoscritto V.F.37 della Biblioteca Nazionale di Napoli, in Parrhasiana II. Atti della seconda giornata sui Manoscritti medievali e umanistici della Biblioteca Nazionale di Napoli, Napoli 2002 (A.I.O.N. 24), 37-51. Del Torre 19971 Giuseppe Del Torre, «Dalli preti è nata la servitù di quella repubblica». Ecclesiastici e segreti di stato nella Venezia del ’400, in Itinerari per la storia della città, a cura di Stefano Gasparri-Giovanni Levi-Pierandrea Moro, Bologna 1997, 131-158. Del Torre 19972 Giuseppe Del Torre, Foscari, Pietro, in DBI, XLIX, Roma 1997, 341-344. Del Torre 19973 Giuseppe Del Torre, Foscari, Polidoro, in DBI, XLIX, Roma 1997, 347-350. Del Torre 2010 Giuseppe Del Torre, Patrizi e cardinali. Venezia e le istituzioni ecclesiastiche nella prima età moderna, Milano 2010. Dempsey 2001 Charles Dempsey, Inventing the Renaissance Putto, Chapel Hill and London 2001. De Peppo 1986 Paola De Peppo, Dal Legname, Giovanni Battista, in DBI, XXXII, Roma 1986, 96-99. Devoto 1968 Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana. Dizionario etimologico, 2 ed., Firenze 1968. Di Benedetto 1997 Filippo Di Benedetto, Alcuni casi di euristica delle fonti in testi umanistici, in Filologia umanistica per Gianvito Resta, a cura di Vincenzo Fera e Giacomo Ferraù, I, Padova 1997, 589-600. Dissera Bragadin 1995 Giorgio Dissera Bragadin, La Santa Intrada, 31 luglio 1409. Dalmazia: quattro secoli di guerre veneto-ungare. Re e regine dell’Europa danubiano-balcanica, Venezia 1995. DMLBS The Dictionary of Medieval Latin from British Sources, ed. Ronald Edward Latham, David R. Howlett, and Richard Ashdowne, London 1975-2013 (http://www.dmlbs.ox.ac.uk/web/online.html). Du Cange Charles Du Cange Du Fresne et al., Glossarium mediae et infimae Latinitatis, Niort 1883 (I)-1887 (X) = http://ducange.enc.sorbonne.fr/. Epist. Maffeo Vallaresso, Epistolario, secondo la numerazione della presente edizione critica: con il solo numero arabo ci si riferisce alla prima parte dell’epistolario; con riferimento ai testi trasmessi dalla parte seconda, ovvero dalla parte terza, al numerale arabo è premesso il numero romano II, ovvero III. Erasmus 1703 Desiderii Erasmi Roterodami Opera omnia emendatiora et auctiora, ad optimas editiones praecipue quas ipse Erasmus postremo curavit summa fide exacta, doctorumque virorum notis illustrata, in decem tomos distincta, tomus II, complectens Adagia, Lugduni Batavorum 1703. Ernout- Meillet 1985 Alfred Ernout-Antoine Meillet, Dictionnaire étymologique de la Langue Latine, quatrième éd., Paris 1985. Eubel 1898 Konrad Eubel, Hierarchia catholica medii aevi, I, Monasterii 1898. Eubel 1914 Konrad Eubel, Hierarchia catholica medii aevi, II, Monasterii 1914. Farlati 1769 Daniele Farlati, Illyricum sacrum, IV, Venezia 1769. Favaretto 1990 Irene Favaretto, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della Serenissima, Roma 1990. Fiaccadori 1994 Gianfranco Fiaccadori (a cura di), Bessarione e l’Umanesimo, Napoli 1994. Fiocco 1954 Giuseppe Fiocco, La casa di Palla Strozzi, Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filosofiche 7 (1954), 361-382. Fiocco 1963 Giuseppe Fiocco, Palla Strozzi e l’umanesimo veneto, in Umanesimo europeo e umanesimo veneziano, a cura di Vittore Branca, Firenze 1963, 349-358. Fiocco 1964 Giuseppe Fiocco, La biblioteca di Palla Strozzi, in Studi di bibliografia e di storia in onore di Tommaso de Marinis, II, Milano 1964, 289-310. Fiorilla 2015 Maurizio Fiorilla, Sul testo del Decameron: per una nuova edizione critica, in Boccaccio letterato, Atti del Convegno Internazionale (Firenze-Certaldo 10-12 ottobre 2013), a cura di Michaelangiola Marchiaro e Stefano Zamponi, Firenze 2015, 211-237. Frulovisi 2010 Tito Livio Frulovisi, Oratoria, edizione critica, traduzione e commento a cura di Cristina Cocco, Firenze 2010. Fubini 1994 Riccardo Fubini, Lega italica e “politica dell’equilibrio” all’avvento di Lorenzo de’ Medici al potere, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di Giorgio Chittolini-Anthony Molho-Pierangelo Schiera, Bologna 1994, 51-96. Gallo 1998 Donato Gallo, Università e Signoria a Padova dal XIV al XV secolo, Trieste 1998. Gentili 1985 Augusto Gentili, I giardini di contemplazione: Lorenzo Lotto, 1503/1512, Roma 1985. Gill 1965 Joseph Gill, Constance et Bale-Florence. Histoire des Conciles oecuméniques, Paris 1965. Girgensohn 1995 Dietrich Girgensohn, Kirche, Politik und adelige Regierung in der Republik Venedig zu Beginn des 15. Jahrhunderts, II, Göttingen 1995. Gothein 1932 Percy Gothein, Francesco Barbaro (1390-1454): Frühhumanismus und Staatskunst in Venedig, Berlin 1932. Griguolo 2010 Primo Griguolo, Il testamento di Giacomo Zocchi († 1457), in Miscellanea di studi per il sessantennio sacerdotale di mons. Antonio Samaritani, Ferrara 2010, 323-339. Griguolo 2011 Primo Griguolo, Per la biografia del canonista ferrarese Giacomo Zocchi († 1457): l’insegnamento, la famiglia, i libri, Quaderni per la storia dell’Università di Padova 44 (2011), 181-208. Grubb 2009 James S. Grubb, Introduction, in Family Memoirs from Venice (15th-17th centuries), edited by James S. Grubb, Roma 2009, XI-XXIX. Guarino da Verona 1915 Epistolario di Guarino Veronese raccolto e illustrato da Remigio Sabbadini, I. Testo, Venezia 1915. Guarino da Verona 1919 Epistolario di Guarino Veronese raccolto e illustrato da Remigio Sabbadini, III. Commento, Venezia 1919. Gullino 1996 Giuseppe Gullino, Il patriziato, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima, IV: Il Rinascimento. Politica e cultura, a cura di Alberto Tenenti e Ugo Tucci, Roma 1996. Gullino 1997 Giuseppe Gullino, Foscari, Filippo, in DBI, XLIX, Roma 1997, 303-304. Gullino 2005 Giuseppe Gullino, Loredan, Alvise, in DBI, LXV, Roma 2005, 738-742. Harrington 1997 Karl Pomeroy Harrington, Medieval Latin, revised by Joseph Pucci, with a grammatical introduction by Alison Goddard Elliot, 2 ed., Chicago-London 1997. Hausmann 1968 Frank-Rutger Hausmann, Giovanni Antonio Campano (1429-1477). Erläuterungen und Ergänzungen su Seinen Briefen, Freiburg im Breisgau 1968. Hofmann 1952 Georg Hofmann S. I., Quellen zu Isidor von Kiew als Kardinal und Patriarch, Orientalia Christiana Periodica 18 (1952), 143-157. Hofmann 1980 Johann Baptist Hofmann, La lingua d’uso latina, Introduzione, traduzione italiana e note a cura di Licinia Ricottilli, Bologna 1980. Iacopo di Porcia 2018 Iacopo di Porcia, Le opere edite e inedite di un umanista europeo, a cura di Mario D’Angelo, Pordenone, Accademia San Marco, 2018. Istvánffy 1758 Miklós Istvánffy, Historia regni Hungariae, Viennae ecc. 1758. Jelic Luka Jelic, Regestum litterarum zadarskoga nadbiskupa Mafeja Vallaressa (1449 do 1496 god.), Starine 29 (1898), 33-94. King 1986 Margaret L. King, Venetian Humanism in an Age of Patrician Dominance, Princeton 1986. King 19891 Margaret L. King, Umanesimo e patriziato a Venezia nel Quattrocento, I. La cultura umanistica al servizio della Repubblica; II. Il circolo umanistico veneziano. Profili, Roma 1989. King 19892 Margaret L. King, Umanesimo cristiano nella Venezia del Quattrocento, in La Chiesa di Venezia tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di Giovanni Vian, Venezia 1989. Kohl-Mozzato-O’Connell Benjamin G. Kohl-Andrea Mozzato-Monique O’Connell, THe rulers of Venice, 1332-1524: interpretations, methods, database, http://rulersofvenice.org/. Kovacic-Lucic 2005 Slavko Kovacic and Nikša Lucic, Jelic, Luka, arheolog i povjesnicar (1864-1922), in Hrvatski biografski leksikon, VI, Zagreb 2005. Kristeller Paul Oskar Kristeller, Iter Italicum. A finding list of uncatalogued or incompletely catalogued humanistic manuscripts of the Renaissance in Italian and other libraries, London-Leiden 1965 (I)-1997 (VII). Labowsky 1979 Lotte Labowsky, Bessarion’s Library and the Biblioteca Marciana: Six Early Inventories, Roma 1979. Lane 1991 Frederic C. Lane, Storia di Venezia, Torino 1991. Lepori 1980 Fernando Lepori, La scuola di Rialto dalla formazione alla metà del Cinquecento, in Storia della cultura veneta, 3/II, Vicenza 1980, 539-540. Lewis & Short 1879 Chariton T. Lewis and Charles Short, A Latin Dictionary, New York 1879. Lowry 1974 Martin Lowry, Two Great Venetian Libraries in the Age of Aldo Manutius, Bullettin of the John Rylands Library 57 (1974), 128-166. Lucic 1666 Ivan Lucic, De regno Dalmatiae et Croatiae libri sex, Amstelaedami 1666. Mallett 1983 Michael Mallett, Signori e mercenari. La guerra nell’Italia del Rinascimento, Bologna 1983. Mantello-Rigg 1996 Frank Anthony Carl Mantello and Arthur George Rigg (edd.), Medieval Latin: an Introduction and Bibliographical Guide, Washington D.C. 1996. Marini 1784 Gaetano Marini, Degli archiatri pontificj, II, Roma 1784. Marx 1983 Barbara Marx, Zur Typologie Lateinischer Briefsammlungen in Venedig vom 15. Zum 16. Jahrhundert, in Der Brief im Zeitalter der Renaissance, Mitteilung IX der Kommission für Humanismusforschung, a cura di Franz Josef Worstbrock, Weinheim 1983, 118-54. McCrory 2006 Martha McCrory, Scatole, stipi e specchi: presentazione e percezione delle gemme incise dal Rinascimento all’Ottocento, in Le gemme incise nel Settecento e Ottocento. Continuità della tradizione classica, a cura di Maurizio Buora, Atti del convegno di studio (Udine, 26 settembre 1998), Roma 2006, 62-80. Melchiorre 20111 Matteo Melchiorre, Canonici giuristi a Padova nel Quattrocento. Note su Antonio Capodilista e Giovanni Francesco Pavini, Quaderni per la Storia dell’Università di Padova, 44 (2011), 93-143. Melchiorre 20112 Matteo Melchiorre, L’affetto di Eugenio IV. Riforma e anatomia di un capitolo cattedrale (Padova, 1430-1439), Rivista di Storia della Chiesa in Italia 2 (2011), 471-512. Melchiorre 2014 Matteo Melchiorre, «Ecclesia nostra». La cattedrale di Padova, il suo capitolo e i suoi canonici nel primo secolo veneziano (1406-1509), Roma 2014. Menniti Ippolito 1991 Antonio Menniti Ippolito, Donà, Pietro, in DBI, XL, Roma 1991, 789-794. Menniti Ippolito 1993 Antonio Menniti Ippolito, Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, in DBI, XLIII, Roma 1993, 46-52. Modigliani 2000 Anna Modigliani, Paolo II, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, 685-701. Modigliani 2014 Anna Modigliani, Paolo II, papa, in DBI, LXXXI, Roma 2014, 93-98. Monfasani 2011 John Monfasani, Bessarion scholasticus: a study of cardinal Bessarions Latin library, Turnhout 2011. Morpurgo 1922 Edgardo Morpurgo, Lo Studio di Padova, le epidemie ed i contagi durante il governo della Repubblica veneta (1405-1797), in Memorie e documenti per la storia dell’Università di Padova, Padova 1922, 119-233. Mueller 1996 Reinhold C. Mueller, Aspects of Venetian Sovereignty in Medieval and Renaissance Dalmatia, in Quattrocento Adriatico. Fifteenth Century Art of the Adriatic Rim, Papers from a colloquium, Florence, 1994, edited by Charles Dempsey, Bologna 1996, 29-56. Mueller 2010 Reinhold C. Mueller, Immigrazione e cittadinanza nella Venezia medievale, Venezia-Roma 2010. Mueller 2021 Reinhold C. Mueller, Venezia nel tardo Medioevo. Economia e società / Late Medieval Venice. Economy and Society, a cura di Luca Molà, Michael Knapton e Luciano Pezzolo, Roma 2021. Nardi 1957 Bruno Nardi, Letteratura e cultura veneziana del Quattrocento, in La civiltà del Quattrocento, Firenze 1957, 101-145. Neralic 2007 Jadranka Neralic, Judicial Cases in the Court of Maffeo Vallaresso, Archbishop of Zadar (1450-1494). Zadar and its Church in the First Half of the 15th Century, Review of Croatian History 3 (2007), 278-280. Nicolini 1971 Fausto Nicolini, Scritti di archivistica e di ricerca storica, Roma 1971. Niermeyer Jan Frederik Niermeyer, Mediae Latinitatis lexicon minus, Leiden 1954 (I)-1964 (XI). Nosarti 2010 Lorenzo Nosarti, Forme brevi della letteratura latina, Bologna 2010. Novakovic 2012 Darko Novakovic, Epistolarij nadbiskupa Maffea Vallaressa kao vrelo za povijest hrvatskoga humanizma Colloquia Maruliana 21 (2012), 5-24. O’Connel 2009 Monique O’Connel, Men of Empire. Power and Negotiation in Venice’s Maritime State, Baltimore 2009. Olivieri 1982 Achille Olivieri, Condulmer, Francesco, in DBI, XXVII, Roma 1982, 761-765. Orlandi 2008 Giovanni Orlandi, Le statistiche sulle clausole della prosa. Problemi e proposte, in Idem, Scritti di filologia mediolatina, a cura di Paolo Chiesa, Anna Maria Fagnoni, Rossana E. Guglielmetti, Giovanni Paolo Maggioni, Firenze 2008, 451-482. Ortalli 1993 Gherardo Ortalli, Scuole, maestri e istruzione di base tra Medioevo e Rinascimento. Il caso veneziano, Vicenza 1993. Panormita 1791 Quinque illustrium poetarum Ant. Panormitae, Ramusii Ariminensis, Pacifici Maximi Asculani, Joan. Joviani Pontani, Joan. Secundi Hagiensis Lusus in Venerem…, Parisiis 1791. Paschini 1939 Pio Paschini, Ludovico cardinal camerlengo († 1465), Roma 1939. Pastor 1911 Ludwig von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, II, Roma 1911. Pastore Stocchi 1980 Manlio Pastore Stocchi, Scuola e cultura umanistica fra due secoli, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, 3/I, Vicenza 1980, 93-121. Pederin 1988 Ivan Pederin, Das Venezianische Handelssystem und die Handelspolitik in Dalmatien (1409- 1797), Studi Veneziani 14 (1988), 91-178. Pellegrini 2000. Marco Pellegrini, Pio II, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, 663-685. Peri 1983 Vittorio Peri, Tre lettere inedite a Fantino Vallaresso ed un suo catechismo attribuito a Fantino Dandolo, in Umanesimo e Rinascimento a Firenze e Venezia. Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, III/1, Firenze 1983, 41-68. Pertusi 1980 Agostino Pertusi, L’umanesimo greco dalla fine del secolo XVI agli inizi del secolo XVI, in Storia della cultura veneta, III/1, Vicenza 1980, 177-264 Pesce 1969 Luigi Pesce, Ludovico Barbo, vescovo di Treviso (1437-1443). Cura pastorale, riforma della Chiesa, spiritualità, Padova 1969. Pesce 1987 Luigi Pesce, La Chiesa di Treviso nel primo Quattrocento, Roma 1987 (3 volumi). Petricioli 1969 Ivo Petricioli, Prilozi poznavanju renesanse u Zadru, Radovi Filozofskog fakulteta u Zadru, Razdio historije, arheologije i historije umjetnosti 6 (1969), 86-95. Piccini 2006 Daniela Piccini, Lessico latino medievale in Friuli, Udine 2006. Piccolomini 1997 Iacopo Ammannati Piccolomini, Lettere (1444-1479), a cura di Paolo Cherubini, I, Roma 1997. Pistilli 2003 Gino Pistilli, Guarini, Guarino, in DBI, LX, Roma 2003, 357-369. Podesteria e Capitanato di Brescia, 1978 Relazioni dei Rettori di Terraferma, XI: Podesteria e Capitanato di Brescia, Milano 1978. Podesteria e Capitanato di Verona, 1977 Relazioni dei Rettori di Terraferma, IX: Podesteria e Capitanato di Verona, Milano 1977. Poggio 1513 Poggii Florentini Oratoris Clarissimi, ac Sedis Apo. Secretarii Poggii Florentini ... Operum primæ partis contenta (...) Argentinae 1513. Poggio 1832 Poggii epistolae, editas collegit et emendavit plerasque ex codd. mss. eruit, ordine chronologico disposuit notisque illustravit equ. Thomas de Tonellis, I, Florentiae 1832. Prijatelj 1971 Kruno Prijatelj, Bragadin, Donato, in DBI, XIII, Roma 1971, 669-670. Quondam 2002 Amedeo Quondam, Nota al testo, in Baladassarre Castiglione, Il Cortigiano, a cura di Amedeo Quondam, Milano 2002. Ramminger Johann Ramminger, Neulateinische Wortliste. Ein Wörterbuch des Lateinischen von Petrarca bis 1700 (in progress): http://nlw.renaessancestudier.org/ Rausa 2000 Elena Rausa, Le lettere di Andrea Dandolo, Benintendi de’ Ravagnani e Paolo de Bernardo a Francesco Petrarca, Studi petrarcheschi 13 (2000), 151-242. Reiffenstuel 1833 Jus canonicum universum… auctore Anacleto Reiffenstuel, III, Romae 1833. Ristori 1987 Renzo Ristori, Dati, Leonardo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIII, Roma 1987, 44-52. Rizzo 2002 Silvia Rizzo, Ricerche sul latino umanistico, I, Roma 2002. Rolfi Ozvald 2015 Serenella Rolfi Ozvald, L’editoria artistica di fine Settecento nel carteggio di Gaetano Marini e i nuovi generi di consumo culturale, in Gaetano Marini (1742-1815) protagonista della cultura europea. Scritti per il bicentenario della morte, I, a cura di Marco Buonocore, Città del Vaticano 2015. Romano 2007 Dennis Romano, La rappresentazione di Venezia. Francesco Foscari: vita di un doge nel Rinascimento, Roma 2007. Sabbadini 1928 Remigio Sabbadini, L’ortografia latina di Vittorino da Feltre e la scuola padovana, Rendiconti della Regia Accademia nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche 4 (1928), 209-221. Sambin 1959 Paolo Sambin, Ricerche per la storia della cultura nel secolo XV. La biblioteca di Pietro Donato (1380-1447), Bollettino del Museo civico di Padova 48 (1959), 53-98. Sanudo 1999 Marino Sanudo, Le Vite dei dogi, a cura di Angela Caracciolo Aricò, I: 1423-1457, Venezia 1999. Segarizzi 1904 Arnaldo Segarizzi, Lauro Quirini umanista veneziano del secolo XV, Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, s. II, 54 (1904), 1-28. Segarizzi 1905 Arnaldo Segarizzi, Sei lettere di Giovanni Sobota, Pagine Istriane 3 (1905), 55-59. Segarizzi 1915-1916 Arnaldo Segarizzi, Una grammatica latina del secolo XV, Atti del Regio Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, 75 (1915-1916), 89-96. Serena 1912 Augusto Serena, La cultura umanistica a Treviso nel secolo decimoquinto, Venezia 1912. Škegro 2002 Ante Škegro, Na rubu opstanka. Duvanjska biskupija od utemeljenja do ukljucenja u Bosanski apostolski vikarijat. On the Edge of Survival. Diocese of Duvno from the time of its founding till incorporation into Apostolic vicariate of Bosnia, Zagreb 2002. Strika 2010 Zvjezdan Strika, Pokušaj suzbijanja glagoljice na Zadarskoj sinodi 1460. godine, Chroatia christiana periodica 34 (2010), 29-38. Tognetti 2009 Sergio Tognetti, Gli affari di messer Palla Strozzi (e di suo padre Nofri). Imprenditoria e mecenatismo nella Firenze del primo Rinascimento, Annali di Storia di Firenze 4 (2009), 7-88. Tomasini 1642 Giacomo Filippo Tomasini, Annales canonicorum secularium Sancti Georgii in Alga, Udine 1642. Tosi 1992 Renzo Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano 19924. Tramontana 2007-2008 Alessandra Tramontana, Un inedito epigramma di Giovanni Marrasio per Girolamo Forti, Studi medievali e umanistici 5-6 (2007-2008), 105-123. Väänänen 1982 Veikko Väänänen, Introduzione al latino volgare, a cura di Alberto Limentani, traduzione di Annamilla Grandesso Silvestri, Bologna 1982. Vallaresso 1944 Fantino Vallaresso, Libellus de ordine generalium conciliorum et unione Florentina, ad fidem manuscriptorum edidit, introductione, notis, indicibus ornavit Bernardus Schultze, Roma 1944. Valsecchi 2017 Chiara Valsecchi, Roselli, Antonio, in DBI, LXXXVIII, Roma 2017, 455-458. Woodward 1921 William Harrison Woodward, Vittorino da Feltre and other humanist educators: essays and versions (…), Cambridge 1921. Zippel 1904 Giuseppe Zippel (a cura di), Le vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, Città di Castello 1904. Zonta-Brotto 1970 Gaspare Zonta e Giovanni Brotto (a cura di), Acta graduum academicorum gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450, Padova 1970. Zorzi 1987 Marino Zorzi, La Libreria di San Marco: libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987. Indice dei nomi Aaron 489 Acrone (Elenio) 175, 180 Alessandro (figlio del Luca Vallaresso) 681 Alessandro (frate) 545 Alvise Bertoldo 346, 377 Alvise Detrico 335 Alvise Loredan 250, 443, 473 Alvise Rosa 577, 609, 636 Andrea Bon 305, 308, 581, 588-589 Andrea (medico) 164, 281, 363-364, 413-414 Andrea 178 Andrea Bondumier 488-489, 517, 611, 621 Andrea Buzzacarino 430, 500 Andrea Conti 183, 207, 216, 223, 237, 292, 304, 315, 321-322, 325, 332, 338-339, 375, 386, 430, 469, 471, 552, 565, 576, 607, 614, 623 Andrea Crisoberga 689 Andrea di Giovanni da Prato 678, 726 Andrea Marcello 354, 424 Andrea Marich 677 Andrea Venier 586, 713, 725, 728 Angelo Cavazza 194 Angelo da Castro 346, 726 Angelo de la Gronda 302 Angelo Fasolo 399, 411, 653 Angelo Pesaro 588 Antonelli Petrucci 667 Antoni Ducci 347 Antonio (frate da Siena) 636-637 Antonio (pievano di S. Martino) 559 Antonio (presbitero confessore delle monache di Santa Maria) 365, 368 Antonio (presbitero) 285, 558 Antonio (vescovo di Ossero) 245 Antonio 700, 721 Antonio Baratella 704 Antonio da Forlì 633 Antonio da Ragusa 211-212 Antonio di Pago 229, 231-232, 382, 671 Antonio di San Crisogono 542 Antonio Diedo 343, 393 Antonio Fatati 380 Antonio Feletto 254 Antonio Lusco 733 Antonio Panormita 728, 733 Antonio Roselli 345 Antonio Venier 499, 537 Antonio Zabarella 154 Aristotele 696 Asconio Pediano 193-194, 220 Attilio Regolo 367 Bacco 452 Balsamino di Pirano 490 Barbone Morosini 168, 172, 176, 180, 184, 284, 318, 324-327, 332-333, 339, 358, 713, 716-718 Barissovich 731 Bartholomeo Colleoni 162-163 Bartholomeo Paruta 402 Bartolazich 638 Bartolo 560 Benedetto (dottore di decreti) 693 Benedetto (frate) 235 Benedetto (latore della lettera) 302 Benedetto (san) 529 Benedetto Morosini 177-178 Benedetto Venier 476-477 Bernardo da Piove di Sacco 273-275 Bernardo Giustiniani 665 Bessarione (cardinal) 331, 372, 709 Blasio (maestro) 411 Bogdan (canonico di Zara) 224 Bogdan di San Crisogono 506, 512, 518, 520, 526-527, 530-531, 536, 540, 546, 548, 551, 575 Braccio da Montone 162 Bulzias 630 Callimaco 509 Callisto (cappellano) 466, 471 Candiano Bollani 442, 481, 487, 493, 582 Carlo (fratello di Giovanni di Corbavia) 596-597 Carlo Fortebracci 162 Carlo Magno 164 Catone 452, 458 Cerbero 437 Cibele 446 Cicerone 193-194, 220, 387, 445, 561 Collano (presbitero) 644 Cornuto 175, 180 Cosma Contarini 313, 713 Covallisio 697 Crantor 388 Cristoforo 507 Cristoforo Guar. 687 Cristoforo Moro 586, 589, 593 Çufanaro 731 Democrito 509 Diogene 509 Deodato (un presbitero) 208 Dionisio 653 Domenico Capranica 211, 269, 307 Domenico Diedo 289, 406, 650 Domenico Dominici 602 Donatello 252 Donato 183, 220, 262-263 Donato Barbaro 549 Donato Belloria 260, 341-349, 357, 359, 366, 504 Donato Bianco 308 Doymo 576 Effa 445 Egidio da Carpi 612 Elisabetta Zane 190 Emanuele (domenicano, vescovo di Scutari) 208 Emmanuel 721 Ennio 451, 705 Eolo 624 Epaminonda 723 Ercole 177 Ermolao Barbaro (vescovo di Treviso) 187-188, 251, 255, 263, 287, 503, 640 Ermolao de Cedolini 681 Esopo 615 Eugenio IV papa 685, 697 Eustachio 691 Everso (II di Anguillara) 401 Fabriano 247, 259 Fantino Dandolo 341 Fantino Dolfin 246, 270 Fantino Vallaresso 419, 685, 689, 691-692, 697, 703, 719, 721-722 Febe 257, 535 Felice di Spalato 241, 281, 314, 364, 390, 398 Filippo Maria 563-564, 600, 639, 643-644 Filippo (arciprete) 645 Filippo (padre di Zoilo de Ferra) 649 Filippo (vicario) 558 Filippo Calandrini 520-521, 526-527, 567 Filippo de Ferra 481, 494, 629 Filippo Foscari 247, 258, 262, 280, 287, 305, 320-322, 581-582 Filippo Paruta 306-307 Francesco (canonico di Zara) 337 Francesco (figlio di Ludovico Diedo) 569 Francesco (presbitero) 374, 477, 511-512, 570, 599 Francesco (un chierico) 301 Francesco (vescovo di Veglia) 243 Francesco Alvarotti 348 Francesco Barbaro 191-192, 256, 263-264 Francesco Capodilista 725 Francesco Condulmer 165, 206, 227, 234 Francesco da Aviano 663 Francesco dalla Sega 430 Francesco Fazio 666 Francesco Foscari 402 Francesco Malipiero 428 Francesco Minotto 675 Francesco Morosini 491 Francesco Porcellini 314, 348, 549-550 Francesco Sforza 162 Franjo Speravic 574, 585 Fustino Vallaresso 235 Gabriele Vallaresso 539 Galeazzo de Cabaldi 681 Gaspare da Teramo 411 Gattamelata 725, 728 Gentile da Leonessa 163 Gentile Piccinino 163 Gessolanus (episcopo) 282 Giacomo (cappellano) 661, 663 Giacomo (fratello di Maffeo Vallaresso) 291-292, 294-297, 304, 321-322, 330-333, 339, 353, 355, 357-358, 362, 366, 368-369, 371-373, 377, 400, 430, 468-471, 475, 500-501, 504, 507, 541, 543, 547, 560, 574, 577, 579, 587, 604, 629, 634, 636, 642, 727, 732 Giacomo Ammanati Piccolomini 566 Giacomo Antonio Marcello 485 Giacomo Bozo 512 Giacomo Bragadin 294, 375, 411, 483, 544, 437-439 Giacomo Contarini di Leonardo 190, 197-198 Giacomo Loredan 249-250, 335 Giacomo Piccinino 163 Giacomo Turloni 212, 340, 376, 381 Giacomo Zocchi 344 Giacomo Anania 291 Giorgio (vescovo di Sebenico) 240, 252, 261 Giorgio Castriota Scanderberg (condottiero albanese) 310 Giorgio Negri 389 Giorgio Zorzi 675 Giovanni (fratello di Vallaresso) 180, 209, 237, 239-241, 261, 276-277, 291, 297, 305-307, 332, 382, 425, 434-435, 656 Giovanni (nipote di Maffeo Vallaresso) 577 Giovanni (presbitero) 659 Giovanni Antonio Campano 733 Giovanni Barbo 584, 592, 616 Giovanni Berardi 692 Giovanni Carvajal (dominus Zamorensis) 655 Giovanni Condulmer 169, 176-177, 185-186, 221, 231, 310-311, 321, 655 Giovanni Cordiçich 644 Giovanni da Crema 654 Giovanni da Novara 223 Giovanni da Parma 653 Giovanni da Venezia 606 Giovanni de Calzina 545 Giovanni de Cena 672 Giovanni de Dominis 391 Giovanni di Canal 452-453 Giovanni di Cattaro 208 Giovanni di Corbavia 595-596 Giovanni di Sebenico 598 Giovanni Francesco Pavini 210 Giovanni Frangipane 261, 273, 350, 378 Giovanni Herman 287 Giovanni Lamola 733 Giovanni Michele 679 Giovanni Morosini 306 Giovanni Ranar 413 Giovanni Scaffa 187, 217, 230, 233, 236, 242, 245, 287-288, 303, 319, 647 Giovanni Sobota 195, 214, 218, 238, 711-712, 716-718, 724-725, 727 Giovanni Ta. 707 Giovanni Trevisan 361 Giovanni Venier 586 Giovenale 193-194, 531 Girolamo (san) 451, 694, 714 Girolamo 729-730 Girolamo Barbarigo 435, 467 Girolamo Cinna 336-337 Girolamo da Teramo 380 Girolamo Forte 508, 628, 666 Girolamo Lando 415, 419, 510, 539, 655-656 Girolamo Loredan 271, 299-300 Girolamo Vallaresso 642 Giulio Contarini 499, 537 Giunone 353 Giuseppe de Moisis 320 Giusto Gauro 234, 236, 238 Gregorio Detrico 335, 351-352 Guarino da Verona 714 Guglielmo Pagello 153 Hermolao de Hermolais 501 Iob 451, 691 Ippocrate 451 Isidoro de Medio 293 Isidoro di Kiev 274, 373 Jacopo Zeno 445, 482 L. de Soppe 315 Laerzio (Diogene) 175, 180 Lauro Querini 695, 709 Lauro Quirini 179, 183, 193, 220, 232, 262 Leo. B. 708 Leonardo Contarini 342 Leonardo Dati 290, 297, 380 Leonardo Loredan 586 Leonino Brembato 713, 715 Lia 489 Lionello d’Este 714 Lodovico Barbo 317 Lorenzo 701 Lorenzo Boncio 694 Lorenzo da Fano 340 Lorenzo da Urbino 679 Lorenzo Giustiniani 186, 199, 245, 254, 277, 298, 334, 673-674 Lorenzo Valla 336, 448 Lorenzo Venier 428, 531 Lorenzo Zane 325, 328, 338, 382-383, 386, 389-390, 399, 401, 408, 422-423, 429, 432-433, 435-436, 444, 447, 449-451, 454, 479, 497, 545, 558, 590, 625, 657-662 Lorino 414-415 Luca (arcidiacono di Zara) 362, 365 Luca (canonico) 210 Luca (presbitero) 645, 671 Luca Calcina 430 Luca Leoni 173, 176, 185, 285, 286, 476 Luca Moro 646 Luca Vallaresso 681 Luciano (presbitero) 214-215, 218 Lucifero 561 Lucrezio 175, 183, 193, 220 Ludovico Bertoldo 229 Ludovico Calbo 349 Ludovico Contarini 409 Ludovico Detrico 352 Ludovico Diedo 569 Ludovico Foscarini 448, 663-664, 665, 704 Ludovico Loredan 405, 491, 631-632 Ludovico Saccano 706 Ludovico Trevisan 677 M. da Nona 419 M. Morosini 340 Maddalena 688 Madiam 445 Maffeo Bon 369 Maffeo Contarini 197, 329, 334, 349, 355, 394, 397, 404, 425, 438, 453-454 Maffeo di Cattaro 318 Maffeo Girardi 678 Manlio Torquato 437 Mar. (mansionario della cattedrale di Zara) 221 Marcello (segretario pontificio) 294 Marco (fratello di Vallaresso) 165, 175, 467-468, 512, 516, 548, 566, 580 Marco (presbitero) 615 Marco Antonio 630, 732 Marco Barbo 165, 168, 189, 219, 222, 225, 235, 257, 266-267, 311, 317, 323, 329, 336, 416-418, 427 Marco da Bologna 299 Marco Donà 725 Marco Giustiniani 695 Marco Giusto 721-722 Marco Morosini 338 Margeto (arciprete di Pago) 271, 316, 338 Maria 489 Mariano da Siena 571-572, 634-635 Marina Donato 227 Marino Falier 686 Mario Vittorino 193 Marta 489 Martino (cappellano) 566 Martino (chierico di Zara) 381, 383, 385 Martino (presbitero) 297, 569, 604-608, 614, 623 Masoli de Galelli 672 Matollo (arciprete di Zara) 460 Matteo (cappellano) 658 Matteo Barbaro 407 Matteo da Nona 680 Matteo Speroni 209, 213, 262 Matteo Vitturi 435, 467, 486, 580 Mauro Zeno 413-414 Mercurio 449, 729 Michele (presbitero) 301 Michele Foscari 322 Minerva 734 Mosè Buffarelli 267, 291, 474 N. de Coneglano 165 N. de Luca (segretario del cardinal Calandrini) 608 N. Polenso 299 Natale (vescovo di Nona) 422, 461, 463, 484, 502, 571, 574-576, 578, 601, 610, 617, 620 Nettuno 624 Niccolò Dalle Croci 249, 392 Niccolò Piccolomini (dominus Beneventanus) 655 Niccolò V papa 181, 196, 278, 293, 375, 673 Nicolò (figlio di Stefano di Sebenico) 680 Nicolò (primicerio di Zara) 426, 464-465, 472, 477, 483, 495 Nicolò (un tempo vescovo di Arbe) 428 Nicolò (vicario della provincia di Zara) 398 Nicolò 587 Nicolò Barbo 583, 592, 616 Nicolò Canal 516, 536-537 Nicolò Cava 694, 702, 707 Nicolò da Cattaro 595, 597, 596 Nicolò da Perugia 222 Nicolò da Sacile 473-474, 490 Nicolò da Sebenico 307 Nicolò di Lotaringia 671 Nicolò Meremo 676 Nicolò Sagundino 422-423 Nicolò Valentini 391 Nicolò Zocchi 336 Omero 495 Onofrio Santa Croce 624 Orazio 452, 616, 731 Orazio Coclite 437 Pallade 446, 449 Paolo Barbo 167, 284, 328, 376, 396, 421, 480, 512, 518, 540, 591, 617 Paolo da Mantova 312 Paolo de Georgi 398, 606 Paolo de Rippa 472-473, 588 Paolo di Giovanni 190 Paolo Dotti 686 Paolo Morosini 273 Pasquale Malipiero 404, 407-408, 448 Pellegrino (arcidiacono di Nona) 376 Perseo 446 Persio 175, 451 Pietro (banno) 202 Pietro (fratello di Andrea Conti) 566 Pietro (presbitero) 563 Pietro Ballastro 650 Pietro Barbo 181, 189, 213, 214-216, 237, 242-243, 247-249, 258, 268, 276, 279-280, 282, 295-296, 302, 305, 309, 311, 330, 353, 355, 365-366, 368, 371, 373, 385, 409, 418, 420, 431, 457-458, 462, 468, 470, 475, 496, 500, 504, 507, 529-530, 534, 553, 562, 564, 572, 577-578, 600, 616, 627, 653, 657, 723 Pietro Bembo 448 Pietro Brunoro Sanvitale 423 Pietro Cerenzenin 562 Pietro Cimelich 413 Pietro de Blasi 427 Pietro di Leodio 296 Pietro Ferici 506, 551, 553, 555, 556, 575 Pietro Foscari 204, 226, 337, 374, 511, 675 Pietro Giovanni (canonico di Sebenico) 600 Pietro Giustianini 610 Pietro Loredan 713, 717-718 Pietro Marino 342 Pietro Molin 177-178 Pietro Morosini 299-300, 312, 440-441, 508, 516, 550, 583 Pio II papa 571, 619, 676 Plato 153, 335, 696 Plauto 498, 596 Plinio 455 Poggio Bracciolini 728, 733 Polidoro (predecessore di Maffeo Vallaresso) 530 Polifemo 388 Quintiliano 193-194 Rachele 489 Renato 719 Sabinus Barrensis 484, 491 Salomon 379 San Paolo 187 San Pietro 685 San Simeone 590 Scipione Nasica 446 Sigismondo 698 Simeone (canonico) 175, 184 Simone (cancellario) 630 Simone (il presbitero) 232, 308, 409, 429, 433, 450, 481, 629, 653-654, 656 Simone da Ragusa 641, 651-653, 655 Simone de Fanfogna 631 Simone de Piachiaro 315 Simone di Fano 382 Simone Lon. 472 Simone Sosco 570 Soppe 638 Stefano (abate di San Nicolò di Sebenico) 239 Stefano (arciprete di Sebenico) 599 Stefano Galzigna 501 Stefano di Pago 559 Stefano Erizzo 363 Stefano Gige 238 Taddea 688 Temistocle 722 Terenzio 220, 262-263, 734 Timone Ateniese 731 Tobia 691 Tomasso Tomassini 195, 232, 253, 339 Tomeo 640 Tommaso (nunzio) 479 Tommaso 383-385, 386-387, 400, 412, 630 Tommaso da Zara 300 Tommaso Piccolomini 640 Tommaso (cavaliere) 202-203 Trapezunzio 232 Tridiano Gritti 155 Ulisse 509 Urbano (arcidiacono) 199 Urbano Vignati 171, 186, 201, 211, 216, 233, 259, 268, 393, 543, 568, 604-605 Valerio 688 Valerio Corvino 437 Virgilio 734 Virgilio (presbitero) 478 Vitale Lando 190 Vito (frate eremita) 315, 325 Vito Detrico 328, 481, 494 Vittore Capello 303, 318 Vittorino da Mantova 555 Zaccaria Barbaro 519 Zaccaria Trevisan 150, 283, 448, 713 Zaccaria Vallaresso 165, 485-486, 642, 727-728 Zerenzanino (canonico di Zara) 617, 620 Zoilo de Ferra 648 a meritis] metitis ms. a conveniant ms1 : corr. ms2. a ....F......S] ERMAGMTOF ms. a Illud sane Virgilianum] Virg[ilius] mg. 1 Cfr. Verg. Aen. III 44: «heu fuge crudelis terras, fuge litus avarum». 1 Cfr. Plut. Ant. LXX 3: «e.ta e.pe..: ‘.st. µ.. µ..... ....ped.., . ..d.e. ....a..., .a. s... t.. .. a.t. p.f..e., .. .. .d. s..... t.. p...t.. .p...a.t.. µ..... ... ....d.µe.. t.. t.p.. .ß....... d.µ.s.. p..e.pe.., ..a, .. ..a t.... .....s.. .µ.., p... ....p..a. t.. s...., .p.....ta.’». b Possum non ms1 : del. non ms2 inter scribendum. 1 Cfr. Ter. Andr. 189: «nunc hic ds aliam vitam defert, alios mores postulat». Pagina incipitaria del codice Vat. Barb. lat. 1809, unica decorata del manoscrit­to (circa 1480). Roma, Biblioteca Apostolica ­Vaticana (per gentile concessione). Pagina incipitaria di una grammatica latina, trascrizione attribuita a Maffeo Vallaresso, Ve­nezia 1432. Nel capolettera miniato ritratto d’uomo, plausibilmente lo stesso Vallaresso, tenente un libro. A fondo pagina stemma della famiglia Vallaresso su fondo oro. Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Cicogna 59, c. 2r (per gentile concessione). Pagina finale della grammatica latina recante in inchiostro rosso la soscrizione, presumibil­mente autografa, Iste regule sunt mei Mafei Valaresso domini Georgii de contrata Sancti Proculi Confessoris. Deo gracias, amen. Fate de otubrio MCCCCXXXII, Venetiis. Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms. Cicogna 59, c. 63r (per gentile concessione). Ala sud ed ala est del palazzo arcivescovile di Zara (Zadar); a destra la porta del nartece della chiesa di S. Donato. Il palazzo fu costruito, una prima volta, sul sito del foro romano di Zara. Venne quindi completamente ricostruito dall'arcivescovo Maffeo Vallaresso dopo il 1453; lo stato attuale consegue a ulteriori, cospicue trasformazioni apportate tra il 1829 e il 1832 (foto Matej Klemencic). Le rovine del palazzo detto 'Palac' (dall'italiano 'Palazzo'), su una pic­cola isola nella baia di San Cassiano (Sukošan). La sua costruzione fu avviata dopo il 1470. Palac, un edificio rettangolare a due piani, fu costruito come ritiro estivo di Maffeo Vallaresso e dei suoi successori (foto Matej Klemencic).