ANNO VII. Capodistria, addì » marzo 1881 V® '£.'}? & ............................i ............. ............ ■■■■■■ ' ■■■■ ............ ..... ■ .....»............Viiwmi n .............«»'mH N. 11 ■Iryu^y Solili 10 al numero L' arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale Franco a domicilio L'annua, 9 ott. 80 — 25 sett. 81, importa f. 3 e s. 20; La semestrale in proporzione. Fuori idem Il provento va a beneficio dell'Asilo d'Infanzia I CRONACA C APODI STRI ANA BIMENSILE si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Pavento è l'amministratore. L'integrità di un giornale consiste nell'attenersi, con costanza ed energia, al vero, all' equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 9 Marzo 1713 — Nasce Giancarlo Passeroni. — (V. Illustrazione). Effemeridi di città e luoghi marittimi dell Istria marzo I. 1392. — Papa Bonifacio IX elegge frà Giovanni Marzari di Trieste dei Minori di S. Francesco a vescovo di Sparnassa nell'Albania, ove stette sino 1' anno 1410. -45, I, 276, - e 3. 2. 1530. — L'arciduca Ferdinando scrive al conte e podestà di Pola (Cristoforo Ci vran) di voler raccogliere entro il raggio di sua giurisdizione il danaro della Crociata, intimata per muovere guerra al Turco, e spedirglielo quanto prima. - 4, XXII, 49. 3. 1299. — Pola. Ser Nicolò Soranzo, vicario del podestà locale Giovanni Soranzo, notifica al veneto senato i vari motivi per cui il Comune non ha per anco smantellate le civiche mura. - 2. 4. 1040. — Verona. Il re Arrigo conferma le antiche donazioni, fatte dai suoi predecessori alla mensa vescovile di Parenzo. - 2. 55 5. 1397. — L'arcivescovo di Ravenna viene immesso con odierna sentenza al possesso dei beni che quella Chiesa possedeva da lungo tempo nella città di Pola e suo distretto; tra altro l'imperatore Ottone II le aveva donato nel 1101 il monastero di S. Maria (del Canneto?) in Pola e l'abazia di S. Andrea sull'isola di Serra presso Rovigno. - 46, 252, - e 7. 6. 1487. — Il podestà di Pirano, Lodovico Giustiniani, scrive al vescovo di Capodistria di porre un freno a certi inconvenienti usati dal chiericato locale, solito a mascherarsi e frequentare i balli con grave scandalo dei terrazzani. - 3. 7. 1369. — Venezia. Il senato concede a Francesco de Castropola di esportare dai distretti di Pola e di Valle certa quantità di granaglie di sua spettanza e di venderle nelle varie Terre dell'Istria. - 44, VII, 33. 8. 1257. — Duino. Il patriarca Gregorio de Montelongo ed il comune di Pola vengono ad una convenzione con la quale la città di Pola si obbliga di pagare al patriarcato annue lire duemila. - 47, Diss. IV, 127. 9. 1184. — Il patriarca Gottifredo vuole che, morto Almerico di Muggia, la decima di Isola ritorni alle monache di S. Maria in Aquileia, dalle quali il detto Almerico l'aveva ricevuta. - 5, II, 172, - e 33, 8, - e 3. 10. 1286. — Venezia. Il senato ordina ai due consiglieri in Capodistria di sorvegliare ai lavori del ponte che deve cougiungere la città al Castel Leone e di pagare la man d'opra, previa esatta resa di conto. - 7, I, 155. II. 1463. — Ducale Moro che ordina al comune di Pirano di concorrere co' comuni d'Isola, Capodistria e Muggia nell'erezione di una bastita nelle vicinanze di Nigri-gnano per intercettare il commercio alla città di Trieste. - 3. 12. 1252. — Popone, giudice delegato dal patriarca Bertoldo, condanna que' cittadini di Parenzo che pretendevano avere dei diritti sulle peschiere di ragione della mensa vescovile. - 25, VI, 223. 13. 1505. — Roma. Papa Giulio II scrive a frà Altobello Averoldo, vescovo di Pola e suo luogotenente in Bologna, "a voler assistere e favorire Bartolomeo Zambec-cari il quale era incorso nell' interdetto. -34, I, 549. 14. 1420. — Ducale Mocenigo che ordina al pod. e cap. di Capodistria, Omobono Gl'itti, di passare al conte di Grado dalle rendite, che il patriarca gradese godeva in Istria, lire 150 di piccoli per salariare il proprio cappellano. - 18, 33.b 15. 1270. — Pirano. Il consiglio vuole che il gastaldo sia persona del luogo e che finiti i due anni di sua carica, non possa essere rieletto che dopo l'intervallo di due intieri anni : vuole che certi artieri venuti dal Friuli riconoscano con qualche lor lavoro il gastaldo; delibera che il patriarca marchese o chi per lui non possa venirci che ogni terzo anno per tenervi placito tre soli dì entro il tempo da san Michele al carnovale ; delibera che ove il patriarca volesse scegliervi il gastaldo, ancorché la persona fosse del luogo, l'eletto non possa cuoprire il posto sotto pena di lire 200 venete ; vuole finalmente che la nomina del gastaldo e dei tre giudici sia fatta da dodici persone giurate del luogo - 1. 21 - 4. XXII, 384, - e 2. Rossini ìli veste da camera*) (Continuazione, vedi i 3 N.i prec.) * L'ultima serata musicale data da Rossini fu nel settembre del 1868, nella sua villa di Passy, non mi ricordo la data precisa. Incominciava già a soffrire del male che lo tolse di vita nel uovembre successivo. Ci cantarono, fra gli altri, la Nilsson, l'Albani, il baritono Faure, ed altri artisti e dilettanti. C'era anche un pianista, che non nomino, il quale per riuscire gradito al maestro, eseguì una delle sue più belle composizioni per pianoforte, quella intitolata La Pesarese. Finito il pezzo, Rossini si alzò da sedere, corse incontro al pianista, gli strinse la mano e gli disse : Bravo, très bien, mais mordieu vous marchez trop vite, e poi prendendo me sotto il braccio, mi trascinò fuori del salotto per dirmi, tutto arrabbiato, in italiano: Mio caro, la musica oggi è diventata una corsa sfrenata ; la va a chi più corre e così non si capisce più nulla, non c'è più calma nè misura, ne ritmo e neanche senso. Affemmia che non aveva torto. Rossini lodava quasi sempre e quindi qualche volta adulava, ma anche lodando sapeva far capire quando le sue lodi erano proprio dell'animo e del convincimento. Quando in casa sua cantavano le dive, la Patti o la Nilsson, gli invitati *) Scritto del Dr. Filippo Filippi ; estratto quale saggio dalla Strenna-Album della Associazione della Stampa periodica in Italia. (Roma, Forzaui e Comp. tipografi del Senato). gareggiavano nell'applaudire ed anche lui incoro, ma con quei suoi cari occhietti semichiusi. Poi cantava un'altra prima donna, meno diva delle altre due, maegualmente esimia cantatrice, la quale veniva applaudita, dagli intelligenti, e dagli altri a fior di labbro, per puro complimento. Bisognava allora vedere Rossini; il suo sguardo era limpido, chiaro, aperto; ascoltando la meno diva egli scuoteva leggermente il capo dall' alto al basso, in seguo di compiacenza, e poi veniva a dire in orecchio alla più modesta virtuosa, stringendole la mano : cantate sempre a questo modo e lasciate pure che applaudiscano le altre. Da quella sera in poi non ho più riveduto il caro e venerato maestro. Possedo di lui alcune lettere, e in tutte c'è dello spirito a piene mani e della benevolenza per me. Mi è più cara, tra queste, ed oggi sono lieto di pubblicare, insieme a questi ricordi intimi, quella scrittami da Parigi nell'agosto del 1868, in seguito ad alcune discussioni avute coli' illustre maestro sopra la condizione attuale della musica, in ispecie da teatro. Questa lettera è una vera professione di fede, una specie di testamento artistico di somma importanza, e parmi di molto interesse. La pubblicai una prima volta nel 1868, iu un mio giornale, poco letto, e quindi non fu notata come lo meritava. Ripubblicandola oggi in questa Strenna, nella quale ebbi l'ouore d'essere invitato a scrivere, spero che avrà molti lettori, i quali apprezzeranno le saggie ed argute osservazioi fatte dal graiide compositore: osservazioni un po' esclusive, partendo da un punto di vista suo, tutto italiano. Ecco ora la lettera: (Personale) Passy, Paris, 36 agosto 1868. Pregiatissimo dott. Filippi, „Non posso lasciar partire per la volta di Milano il mio amico conte P. Belgiojoso senza munirlo di queste poche linee che a voi mi ricordino e vi esprimano, in uno, i sentimenti della mia gratitudine per il regolare invio che vi piace farmi del giornale il Mondo Artistico, di cui voi siete il dotto direttore e il critico più provvido per le produzioni dram-matico-teatrali, e per le belle arti ; sento inoltre il bisogno di tributarvi mille grazie per la costante affezione che ognora emerge nei vostri interessanti articoli a prò del Pesarese. Mi fu noto non ha guari d'essersi eseguite a Milano in varie accademie con brillante successo alcune vostre composizioni musicali ; come lo potete credere, caro dottor Filippi, me ne godette l'anima. Mi è pur caro il dirvi che l'arietta in La che voi mi faceste udire in mia casa a Parigi, cantata con voce un pochino velata dal suo autore distinto pianista compositore, „me trotto toujoursdans la téte." Detta arietta in dialetto veneziano è un vero gioiello ; non si dirà per Dio ! essere quella, musica del così dotto avvenire ! ! ! A proposito di questo tema tanto in voga e tanto ingiustamente discusso, mi è forza dirvi, che allorquando leggo certe parolacce come Progresso, Decadenza, Avvenire Passato, Presente, Convenzione, ecc., mi si prò- voca nello stomaco un certo moto antiperistaltico che provo tutte le pene del mondo a reprimere. Se mi fosse dato di potermi valere della vostra savante piume, quante e quali lezioni vorrei dare a questi sputasentenze (creduti Demosteni musicali) che di tutto parlano e nulla sanno definire. Vorrebbero perfino costoro imporre oggi per nuovo e peregrino ciò che è, per così diro, antidiluviano. Parlano, questi dottori, di musica declamata ! di musica drammatica!! E d'uopo supporre che questi signori ignorano che i celebri Dufay e Goudimel, per circa un mezzo secolo produssero esclusivamente musica declamata, senza ritmo, ossia drammatica. Arrivarono poscia gli altri celeberrimi Caccini e Peri, continuando in questo genere, e chiamando le loro composizioni musicali : Opere in stile recitativo. A questi finalmente succedette il Titano musicale, Gluck e compagni, che parmi fossero sufficientemente iniziati nel genere declamato e drammatico!! Non credete già, mio buon dottor Filippi, ch'io sia per sistema antidrammatico; no davvero, e sebbene io fossi virtuoso del bel canto italiano prima di farmi compositore di musica, divido la massima filosofica del gran poeta che dice : Tous les genres no ut bons Hors lo genre ennuyeux. »Quanto poi al procedere attuale dei nostri cari colleghi, è forza convenire che gli sconvolgimenti sociali prodotti da speranza, da tema, da rivoluzioni ed altro, portano seco l'inevitabile conseguenza di forzare i poveri compositori di musica (che per lo più lavorano per fame e fama) a svolgorsi il cervello onde rinvenire nuove forme, eterogenei mezzi, a fine di potere dilettare le nuove generazioni coetanee insorte in gran parte dalla rapina, dalle barricate ed altre coserelle simili ! ! Sta ora a voi, egregio critico, il predicare a tutta possa ai giovani compositori di musica che non havvi progresso nè decadenza iu queste ulteriori novità, e far loro sentire a pari tempo essere questi puerili ritrovati, figli solo della pazienza e non già dell'ispirazione ; che abbiano infine il coraggio di emanciparsi dalle convenzionali abitudini e che abbraccino con animo allegro e piena fiducia quanto havvi di divino e di seducente nell'arte musicale italiana, che sono: Melodia semplice e varietà nel ritmo. So a tali precetti saranno ubbidienti questi giovani colleghi si sfameranno facilmente, rinverranno la fama desiata ed avranno le loro produzioni lunga vita come l'ebbero quelle degli antichi nostri santi padri Marcello, Palestrina, Pergo-lese, e come l'avranno indubitatamente i celebri odierni, Mercadante, Belliui, Donizzetti, Verdi. Avrete, arguto e carissimo dottor Filippi, rilevato che con intenzione ho passato sotto silenzio la parola imitativa nella raccomandazione fattavi pei giovani compositori sull'arte musicale italiana, per la quale solo ho fatto cenno di melodia e di ritmo. Io resterò ognora intbranlable nel ritenere l'arte musicale italiana (specialmente per la parte vocale) tutta ideale ed espressiva, mai imitativa come la vorrebbero certi filosofoni materialisti. Mi sia permesso dire che i sentimenti del cuore si esprimono e non s'imitano. A corroborare poi il mio assunto sull'arte musicale e sua estensione, dirò che la parola espressiva non esclude per certo la declamazione, meno ancora la musica detta drammatica, anzi asserisco che tal volta, la comanda. L'ideale poi associato eh' ei sia all' espressivo apre la strada (ciò eh' io preferisco) al canto nobile, semplice, fiorito, appassionato. Sia dunque detto una volta per sempre essere l'imitazione, l'appannaggio, la compagna inseparabile e sovente l'aiuto principale dei cultori delle due belle arti, pittura e scultura. Se poi all'imitazione si accoppiano un nobile sentimento artistico, un po' di genio (di cui natura è poco prodiga) quest' ultimo, il genio, sebben talvolta ribelle ai precetti, fu e sarà ognora, ad un sol tocco, creatore del bello! Dirò iufiue per non lasciar senza applicazione le due parolone Progresso, Deca- denza, che solo alla fabbricazione di nuovi ed in contrario e dispensano da qualunque altro innumerevoli strumenti accordo un progresso, i commento a rivendicare il Valentico alle provin-(Progresso che tanto sorride ai sedicenti ama- ' eie Venete. Non sarà tuttavia fuor di proposito tori della musica imitativa, e ne hanno forse j addurre il motivo p?r cui, a parer mio, si desse ragione). Non posso però negare una certa decadenza nell'arte vocale, tendenti i nuovi suoi cultori allo stile idrofobico, piuttosto che al-Vitalo dolce dolce cantare che nell'anima si sente. Che Iddio accordi il suo perdono a coloro che ne furono 1' originaria causa. M' avvedo, hélas ! che le poche linee annunciate nel principio di questo mio scritto si sono pervertite in un prolisso epistolare abominable. Non sorridete, vi prego, per la dicitura di questo mio zibaldone o pezzo sconcertato, scritto troppo in fretta e vi piaccia credermi con dolce affetto il vostro collega ed il Vostro candido estimatore O. Rossini nomato *) E ora di finirla, depongo la penna. Lausdeo ! " Alla bella lettera del Rossini non ho voluto nulla togliere, neppure quelle frasi, troppo indulgenti, a mio riguardo, che provano, se non altro, l'eccesso della sua affettuosa benevolenza. E se ho mancato alla modestia più elementare, ine lo perdoni il benigno lettore. Milano, ottobre del 1880. Filippo Dr. Filippi DI ADRIANO VALENTICO VESCOVO DI CAPODISTRIA — 1566 - 1572 c della sna Patria natale. (Fr. Hadrianus Beretti Valenticus Dominio. — Nel C'at. Dio e.) Il Naldini nella sua Corografia Ecclesiastica della città e diocesi di Giustinopoli '), chiama il Vescovo Valentico di patria dalma-tino e che fosse veramente della Dalmazia credono gli storici che precedettero il Naldini e parecchi di coloro che vennero dappoi, trn' quali il Torpiu nelle notizie che raccoglieva intorno a' Vescovi di Trieste e Capodistria 2). Documenti però irrefragabili ch'esistevano nel Monastero de'Padri Domenicani in Venezia e si pubblicarono a questo riguardo da Giovanni Contarmi cho vi appartenne3), provano che ben altro paese che non "è la Dalmazia riconosce il Valentico a sua patria nativa; ne addurremo due che pongono fuori d'ogni contestazione la verità. 11 primo è uua Ducale di Andrea Gritti che suona così: Vi manifestiamo che Bernardo de Torninosi per autorità imperiale pubblico Notajo oggi ha messo in luce un istromento e lo notificò alla presenza nostra ad istanza di ser Giacomo Zoja di Oderzo, col quale istromento fu per mezzo di testimonìi abbastanza provato che donna Domenica del fu Battista di Oderzo e ser Giovanni Beretti Veneto contrassero alla presenza loro matrimonio e di cui nacque un unico figlio, che nel secolo chiamavasi Girolamo ed ora si chiama frate Adriano dell'ordine dei Predicatori. Così a' 20 Novembre dell' anno del Signore 1506. Il notajo poi e uomo di buona fama ed opinione, ed à' suoi istrumenti è da prestarsi pienissima fede ')• Il documento secondo poi è quello che trovasi nel libro Consiliare della Comunità cui addetto era il Padre Adriano, e le parole ivi registrate sono le seguenti : frate Adriano Veneto fu ricevuto a vestire V abito clericale il dì là Maggio 1523 da frate Marco di Ale-magna allora Priore-, chiamavasi nel secolo Girolamo. Fece poi la sua professione il 15 Maggio 1524 nelle mani del predetto Priore. Queste prove non ammettono risposta alcuna *) Dai Francesi: Le singe de Pesare. Dai Pesaresi miei concittadini: Il cigno di Pesar-o. Dai Lu-ghesi (Romagna) concittadini di mio padre: Il cignale di Lugo. Da me stesso, quid autore di una nuova scala chinese : Pianista (senza rivali) di quarta classe. '} Venezia 1700. Presso Girolamo Albizzi. 2) Trieste tipografia Weiss 1833. 3) Venezia 1760. Presso Francesco Storti. La Ducale ha la data del i Maggio 1525. luogo alla falsa opinione che fosse Dalmatino in coloro cho senza pieno convincimento dei fatti scrissero intorno a questo dotto Vescovo Giustinopolitano. Domenica, la madre a Girolamo, chiamato poi frate Adriano, perduto eh' ebbe il suo primo marito, passò a seconde nozze con Damiano Dalmatino, nativo di Cattaro; quindi la madre, che recossi in Dalmazia col marito e padriguo di Girolamo, fu cagione dell'inganno nel quale caddero gli scrittori che ignoravano i fatti esposti, nè aveano motivo di sospettarli. Per soggiungere poi alcun che intorno al cognome di Valentico assunto da' frato Adriano e Vescovo di Capodistria non è fuor di ragione credere che lo traesse da un casale o borgata del territorio opitergino, oggidì chiamato Va-lont, soggetto al comune ed alla Parrochia di Fontanelle. Ivi la sua famiglia godeva alcuni possedimenti, ivi abitava la madre, ivi per avventura trasse egli medesimo i suoi natali, ed avrà seguito il costume di alcuni ordini religiosi in geuerale, e iu particolare di 'alcuni individui ascritti ad altri ordini, di chiamarsi non più dal nomo della famiglia, bensì da quello del luogo ove nacquero. E questa asserzione riguardo al Vescovo Beretti, più comunemente conosciuto sotto il nome di Valentico, è suffragata dal modo con che il suo nome viene annunciato dal Prospetto de' Vescovi Giusti-nopolitani officialmente dato alle stampe, cioè: Fr. Hadrianus Beretti Valenticus; chè il professore della Università di Padova, il Teologo del Concilio di Trento, il Vescovo Capodistriano avrà preferito contrassegnarsi dal nome di Valentico giusta le consuetudini di parecchi ordini religiosi, e perchè gli sarà parso, com'è in fatto, esteticamente preferibile. Che che ne sia, la madre di frate Adriano, venuta a morte, per amore al figlio e rispetto al monastero cui apparteneva, lasciava questo per testamento suo erede dei beni posseduti in Valont (Valentico). Della dottrina e vasta erudizione di lui è certa prova averlo il Senato Veneto con editto onorevolissimo eletto pubblico professore di Metafisica nella Università di Padova, insegnamento sostenuto pel corso di otto anni essendo poi promosso alla cattedra di Lettere-Sacre, alla quale attese per ben tredici anni, con applauso di quanti in giorni anche allora assai difficili frequentavano la sua scuola 6). La fama, di che godeva, persuase Filippo Mo-cenigo Vescovo di Nicosia e insiemo a lui, come affermano parecchi scrittori, Daniele Barbono Patriarca di Aquileia, personaggio di quella scienza vastissima che tutti sanno, ad eleggerlo compagno e teologo loro nel Concilio di Trento. Morto poi Pietro Soto, Teologo Pontificio, venne da Pio IV elevato il nostro Adriano a quii'ufficio importantissimo, e fu scritto che: egregie magnoque firn sui, twn ordinis bollore rnunus implevit ut ex actis Concilii con-stat 6), Nel 1566 fu da Pio V eletto Vescovo di Capodistria succedendo ad altro dottissimo Tommaso Stella promosso a questa .Catteira Episcopale dopo l'agitazione recatavi da Pietro Paolo Vergerio. Il Valentico non fallì all'aspettazione eh'erasi concepita di lui e dell'opera assidua, e delle veglie, e de' propri scritti giovò grandemente alla Diocesi affidatagli, e più avrebbe giovato se dopo sei anni di episcopale governo il dì 7 Marzo 1572 non fosse stato l'ultimo di sua mortale carriera. Il Valentico- per fermo è degno di figurare tra' Vescovi più illustri che sedettero nella Cattedra vescovile di Capodistria, ragguardevelissima perchè dì là, sarei' per dire, diffondevasi la virtù e là* scienza alle altre sedi della sì ridente ed operosa costa istriana. _ ■«•• Jacopo Bernardi. 5) Prende abbaglio il Fontana'che afferma il Valentico avere per 40 auni insegnato Lettere Sacre nella Università di Padova. PENSIERI D'UN PITTORE | (Cont. V. i Ni. prec.) Sonvene, e non pochi, di quelli i quali menano la loro vita in un continuo poltrire, e per un certo dono speciale, che presumono avere, si arrogano il diritto di giudicar tutto e tutti con innappellabile sentenza ; e lo fanno con la sicurezza del bugiardo per istinto, che a lungo andare crede egli stesso alle proprie millanterie. Si rinvengono tra i disgraziati anco di quelli che, dopo d'essersi sagrificati per il bene j dei loro amici, sono dagli stessi posti in dileggio e compromessi nella dignità, nel carattere e persin nell'onore. In seguito a tale dolorosa esperienza il disgraziato tiene iu riserbo, diffidente, la sua bontà per non renderla strumento del proprio danno ; ed allora ei viene giudicato scettico, intrattabile, brutale, e molte volte non basta; ma s'ha anco la bella soddisfazione di sentirsi esagerare temerariamonto ogni movimento ad oltraggioso carico. Da taluno viene presa la discretezza in iscambio di grettezza, o di poco spirito ; quanto ne resta umiliato il gentile! non tanto per il grosso giudizio che viene fatto di lui, quanto per l'insolente capriccio del fato che si diletta avvicinarlo a cotanta materia. Invano i fatti dimostrano che la grandezza d'un nome nasce senza antecessori e dura senza posterità ! L'ambizione col lungo uso distrusse questa verità. Ognuno ci facciamo eredi e della gloria e dei meriti dei nostri antenati. La società, collettivamente parlando, ras-sembra un serraglio di belve strette al guinzaglio che non osauo muoversi per paura ; ma quando ai rettori mancano ragioni per concludere trattati, allora sciolgono dal guinzaglio le belve ed affidano a loro la causa. Quanto più la società sarà libera nelle azioni e nei pensieri e tanto più l'indocile si farà prepotente, e tanto più la felicità se ne starà da lungi. Solo a colui ch'è concentrato per dolorose istruzioni è dato vedere certe verità in tutta la loro dolorosa parvenza. Si onora il sapere, si ammira la virtù, si rispetta la gentilezza; ma non sempre il sapere e la virtù sono gentili, come non sempre la gentilezza viene rispettata. Di ciò noi dobbiamo grazie ai contraffacenti. La vera carità è quel sentimento di fratellanza che edifica lo spirito di chi la sente; essa comprende ogni gentile accordo che venga usato con reciprocanza d'affetto: mentre la carità cerimoniale, eh' è quella che solitamente viene usata per soddisfare al precetto, e più che al precetto alla vanità, demolisce lo spirito tanto di chi la usa come di chi la riceve. Iu società abbiamo tutti bisogno di carità, eh' è qnanto dire di quello scambievole tratto gentile che rende gradito il consorzio. La severità dei giudizii viene per solito applicata da chi può a discapito di chi avrebbe bisogno d' ajuto per sollevarsi. Fossero almeno giusti!...... I malvagi sono in numero infinito; molti indotti dalla naturale inclinazione; molti dalla necessità, conseguenza dei primi ; gli altri per non sapersi opporre alla corrente, conseguenza finale. B. Gì anelli. S. Morpurgo: Antonio Pucci e Vito Biagi, banditori fiorentini del secolo XIV. — A. Zenatti: Dodici Strambotti di Luigi Pulci. (Nozze Biagi-Piroli). Koma, For-zani e C. 1881 (ediz. di 82 esempi, numerati di pag. 36 in 8°). L'operoso quanto valente giovane triestino sig. Albino Zenatti è ormai noto favorevolmente ai lettori dell' Unione, che gustarono nei N.ri 1-5 della presente annata, riportate dall' Ar-cheografo Triestino (agosto 1880), le belle pagine sul nostro Girolamo Muzio, preludio ad estesa monografia, che dell'illustre Giusti-nopolitano ei sta compilando e noi attendiamo con grande impazienza. E nel N.ro 4 pure di quest' anno si fe' cenno di altra publicazione per nozze, vale a dire di alcuni graziosissimi Rispetti, saggio d'una sua raccolta ancora inedita di canti popolari del Trentino meridionale. Neil' elegante opuscolo, di cui oggi vogliamo brevemente tener parola, ei ci viene innanzi con un terzo saggio ed una terza promessa, che vorremmo non meno delle altre vedere ben presto adempiuta. Ma questa volta nel rendere omaggio agli sposi si accompagna all'amico suo sig. Salomone Morpurgo, altro egregio giovane triestino, che avemmo il piacere di ospitar qui la state scorsa, quando venne a fare alcune ricerche nell'Archivio del nostro Duomo. Premesse alcune parole e accurate postille illustrative, il Morpurgo publica un Documento tratto dalR. Archivio di Stato in Firenze (Libro delle Provvisioni del 1369 a f. 22a e 23b), di non lieve importanza, chi consideri come scarse oltremodo e malsicure sieno le notizie che ci restano di Antonio Pucci, che pure fu non ultimo rappresentante di quella forma di poesia popolare, apparsa in Firenze a mezzo il Trecento, cui il Carducci ebbe a denominare borghese. Detto Documento è una supplica, con la quale il Pucci, già per lo meno sessagenario, nel 1369 pregava la Signoria a volerlo sollevare dal faticoso ufficio di banditore, in cui proponeva gli subentrasse Vito Biagi, e a lasciargli quello soltanto di approvatore. Supplica, cui, da quel piacevole dicitore iu rima ch'egli fu, non può a meno di concludere con questi due versi : In quanto sia onesta la domanda Antonio Puccii vi si racoraanda. Ma non dubitiamo, che si debba leggerne con diletto un brano dal principio, nel quale ei riassume la sua vita di publico ufficiale. Abbiasi questo saggio del come in quei tempi, che a ragione il Morpurgo esalta beati, si potea scrivere in buona lingua e in semplice stile anche uu' istanza. Ecco il brano : „Omissis aliis — Dinanzi a voi, signiori priori de 1' arti e gonfaloniere de la iustitia, reverentemente si spone per parte del vostro e del comune di Firenze banditore Antonio Pucci, — che gli è vera cosa che per gratia di dio e di voi e dogli altri buoni e cari cittadini, io sono stato già è trentacinque anni uficiale di, questo comune, benché indegnia-mente, però che prima sonai diciotto anni la campana, e male per la poca for^a c'aveva a tale uficio, e lo stormento ch'io sonava pesava semilia libre di metallo. Piacque a dio e a' buoni cittadini di traspormi, e diedermi a sonare uno più leggiere stormento, e con più utile, ciò fu una trombetta d'argento che pesa una libra, e questo uficio ò fatto dicesepte anni vie peggio che '1 primaio, però che la trombetta vorrebbe assai alito, e io n'ò poco, e ogni dì mi mancha, più l'uri dì chè l'altro; perchè vi priegho per dio e per onore di voi . . ." Lo Zenatti fa seguire dodici Strambotti di quel cervello balzano che fu messer Luigi, i quali si possono dire inediti — tanto rare ne son fatte le antiche edizioni! Pur lo Zenatti fu così fortunato da poterne vedere di quattro differenti quattro esemplari, eh' egli descrive in alcune righe di prologo. — E noi ci facciamo mallevadori, che le gentili lettrici, specie so abbiano provato Quell'indistinto fremito d'amor Che scorre per le fibre alle fanciulle, letti che avessero questi dodici, sarebbero, come noi, di tutt'altro avviso che non fosse il D'Ancona, il quale asseriva: „che gli strambotti del gran cantore del Morgan te sono meritamente caduti in dimenticanza", e che mostrerebbero desiderio di conoscere anche gli altri. Intanto, non potendo tutta la serqua, offriamo loro il I e il IV, che ci paiono graziosi e freschi assai. 0 giglio fra le rose, o fiordaliso, o gemma orientai, o violetta, io credo che nascesti in paradiso, ch'ai somiglianza, mi par, d'angioletto; io mai non guardo il tuo pulito viso, che dentro al cor non senta una saetta: per certo tu non se' nel mondo nata, ma in paradiso da D'io formata. I' ti vo bene e forse tu noi credi, e così la mia vita tu confondi ; i' ti riguardo e tu, clie te ne avvedi, per che cagione '1 viso mi nascondi? e se con gli occhi favellar mi vedi, perchè con gli occhi tuoi non mi rispondi? se con la lingua parlar non mi puoi, perchè non parli a me con gli occhi tuoi? Ed ora in verità ch'io vorrei essere banditore anch'io, ma avermi assai più alito da soffiare nella trombetta che non avesse il Pucci e vorrei bandire ai quattro venti, ma così che le mie parole penetrassero non già nelle orecchie — chè allora van dentro dell'una e fuori dell'altra, — ma si configgessero nel cervello e fossero il tormento di tutti i poetuncoli epitalamici, che ancor non fecero la morte della cicala, e vorrei persuaderli a smettere una volta la infelice usanza d'infastidire le lune di mielecoii le loro stantie canzonette agli sposi e ai genitori degli sposi e agli avi e agli atavi degli sposi — e a cedere il posto a publicazioni, come questa che qui, delle quali la storia civile e la letteraria non possono che avvantaggiarsi. G. Vatova Nuove indagini intorno ad Andrea Antico da Montona, primo calcografo musicale Secolo XVI. (dalia Provincia) L'abate Pietro Dottor Tomasin, dotto ed appassionato cultore di storia istriana, e il maestro di musica Giovanni Piber, pubblicarono in questi giorni uua disertazione storica intorno al celebre inventore ed esecutore delle note musicali calcografiche, Andrea Antico da Montona. Il lavoro di que' due egregi, dato in luce a Trieste coi tipi Pastori e Dal Ben, fu raccolto iu uu opuscolo di pagine trenta, le quali noi qui riassumiamo alla meglio, e per sommi capi a vantaggio di quelli che desiderassero avere nuove notizie intorno ad un illustre istriano, di cui il sempre benemerito Stancovich parlò troppo succintamente nella sua Biografa degli uomini distinti dell' Istria. Andrea Antico (Anticho) nato in Montona alla fine del secolo XV, cioè intorno al 1490, fu il primo che diede alla luce un saggio di calcografia musicale, inventando edesegnendo la stampa in legno delle noto. Studiò a Roma, dove ben presto venne considerato come una vera gloria, avendo dato in luce una raccolta di quindici messe composte dai più celebri maestri fiamminghi del secolo XV; la raccolta fu dedicata a Leone X, il grande mecenate delle arti, e nella dedicatoria l'autore vi mise le seguenti memorabili parole: easque incisis in ligneas tdbulas notis (quod nullus ante me fecit) nova imprimendi ratione sociorum sumptibus excudi atque publicavi. L'Antico diede inoltre alla luce le seguenti composizioni musicali, che religiosamente si conservano oggidì nel civico liceo musicale di Bologna: 1. Liber quindecim missarum diverso-rum auctonm, stampato in Roma l'anno 1516 in folio. 2. Il primo libro delle canzoni francesi ; Venetiis apud Octaviauum Scotum, 1536, in ottavo piccolo oblungo. 3. Madrigali a tre voci di Costanzo Festa ed altri autori : Venetiis apud Octavia-num Scotum, 1537 in ottavo piccolo oblungo. 4. Il terzo libro di madrigali di Ver-zélotto, Venetiis apud Octavianum Scotum, 1537, in ottavo piccolo oblungo. Le tre pubblicazioni recano scritte sul-1' ultima pagina le seguenti parole dell'Antico: Finiscono li madrigali ecc. nuovamente con somma diligentia corretti et per Andrea Antigo de Montona intagliati. Oltre alle edizioni surriferite, il celebre montouese lasciò uu altro libro, posseduto dalla famiglia dei marchesi Polesini di Parenzo, che s'intitola : Frottole intabulate da sonare organi, libro primo. Impresso in Roma da Andrea Anticho de Montona chierico ; con prvileggio d. P. P. Leone X, MDXVII. L'indice di questo libro contiene ventisei frottole, alcune delle quali in dialettto veneziano e la raccolta termina con un breve di papa Leone X del 27 dicembre 1516, col quale si vieta a chicchessia — pena la scomunica — di imprimere per la durata di anni quindici, senza il permesso dell' Antico, il suo lavoro musicale, revocando ogni altro privilegio in antecedenza concesso. Prima di finire questi cenni sul nostro istriano, riporteremo qui il giudizio che dà sulle Frottole intabulate altro illustre comprovinciale vivente, il Maestro Alberto Gio-vannini di Capodistria, che s'acquistò già bella fama nel mondo musicale. "Credo (così egli in una lettera diretta nel gennajo del 1868 a Tomaso Luciani) che sia una canzone a quattro parti reali, meglio che una suonata per organo, e questo lo arguisco dal vedere sempre il canto ristretto ai limiti delle voci. È un bel lavoro dal lato dello sviluppo tonale, ben modulato, quantunque ostinatamente risolva nel tono di Re minore, che è pur tono fondamentale. Quanto al ritmo è del tutto mancante, e iu questo riproduce il difetto di quest'epoca, avvegnaché il ritmo cominciasse ad isvilupparsi verso lo scorcio del XVI secolo. Nella mia traduzione vedrà scritti così in chiave che in corso della canzone certi accidenti musicali che non si trovano nell'originale, ma che erano indispensabili col sistema moderno, e credo di non avere pertanto franteso l'autore. Ci si vedono pure delle progressioni di accordi non permesse dal nostro sistema: ma allora non era peranco nato il nostro Tartini che doveva per primo dettare le vere leggi dell'armonia. Quanto alle due iniziali B. T. a piedi del versetto "amor quando fioriva mia speme," non vorrebbero significare bassi e tenori, essendo scritto il pezzo musicale in chiave di mezzo soprano e di baritono, ma probabilmente le iniziali del nome del poeta, forse Bernardo Tasso. È un lavoro che merita di essere messo in luce, e interesso Lei a persuaderne il proprietario. Ecco tutto ciò che posso dirle." La seconda parte dell'opuscolo qui sopra descritto contiene un discorso critico del maestro Piber sul libro Frottole intabulate ecc., e si chiude l'intero lavoro colle seguenti belle parole che onorano veramente la memoria del nostro istriano: "L'idea dell'Antico di incidere iu legno i segni musicali, varrebbe già da sè sola ad assegnargli un posto distinto nella schiera degli inventori e primissimo in quella dei propagatori dell'arte musicale. Che se poi vogliasi meritamente apprezzare la nitidezza dell'incisione, per cui tale primo esperimento calcografico nulla perde al paragone de' più recenti saggi sillografici musicali, non si può a meno di felicitare l'illustre marchese Giampaolo Polesini per avere gelosamente custodito uu lavoro cotanto pregevole, ed offerta in oggi occasione di togliere dall'obblìo un uomo che tanto illustra l'Istria che gli fu patria." t. vita dell' oratore romano è per lui soltanto (come dici.' il Baretti) „un pretesto per dir mal del male" ; aerisi: in istile piano, famigliare. Aveva abitudini da filosofo antico : abitava una piccola cameretta a pianoterra : si preparava da sè solo il cibo, che consisteva in pane bollito, frutta ed acqua, e che se lo andava u prendere egli stesso anche quando l'età avanzata gli rèudeva penoso il camminare; e questo cibo mangiava con lui sullo stesso tavolo un gallo, suo fido compagno. Volle essere sempre povero e vivere delle sole messe : vane le proferte dei mecenati e degli amici, vano puri.1 il lauto assegnamento vitalizio fattogli dalla Repubblica: egli lo distribuiva ai poveri. E così visse lietamente fino quasi ai novanta anni. Giunto agli estremi volle morire solo solo e rifiutò perfino l'assistenza di un servo, che gli era stato inviato da uu amico. Nacque presso Nizza e morì a Milano, città da lui prediletta, ove passò tutta la vita. Illustrazione dell' anniversario L'abate Passeroni trattò la satira giocosa. Era suo pensiero il castigare i costumi depravati di que1 suoi contemporanei che vestivano seta; ma riuscì languido : e se gli mancarono lo sdegno e la mordacità che resero invece sublime la satira del suo amico Parini, si può forse accagionare il vivere di lui appartato e l'animo troppo mite. Scrisse sei libri di Apologhi, valendosi dell'ottonario: di questi parte sono imitazione degli antichi e parte sua invenzione; e in ottava rima il Cicerone di canti centuno : poema binarissimo, in cui sono frequenti e lunghe assai (canti interi) le disgressioni onde satireggiare ; e la Pubblicazione. — E uscita la II Edizione della Piccola Raccolta di esercizi pratici di grammatica e di lingua italiana ecc. del sig. maestro Francesco Marinaz. Noi, che salutammo l'opera quando venne alla luce la'prima volta, non possiamo che raccomaudarla ben di cuore ora che fu dall' egregio A. migliorata ed accresciuta. Ai maestri ed alle famiglie, che non avessero pur anco acquistata l'operetta, annunciamo ch'essa è vendibile al prezzo di 60 soldi nelle librerie Coen e I)ase e presso l'autore, Trieste Via Galleria N. 4. S. V. Stazione enologica provinciale di Parenzo. — La Giunta provinciale vi ha nominato a direttore il sig. Riccardo Callegari di Cone-gliano, allievo di quella r. Scuola Agraria, e che per sei anni assistette il Carpenè. Società Operaja a Buje. — Ci giunge notizia da quella gentile cittadetta esservi in formazione una società operaja di mutuo soccorso, e che anzi già circa duecento vi sono gl' inscritti. E noi, lieti di verificare come quella popolazione tanto svegliata percorra difilata-mente la via del progresso, che già da parecchi anni seppe imboccare, auguriamo al suo nuovo sodalizio prospere sorti. Una ferrovia fnnicolare è già in costruzione alla miniera carbonifera di Viues presso Albona. La miniera, proprietà dei signori Iiothschild e Werndl, manderà con questa ferrovia (in sostituzione al lento e costoso sistema finora usato dei carri) il carbone fossile dal monte al porto di Rabaz, donde, come di consueto, passerà oltremare nei porti di Venezia, Ancona, Brindisi ecc. Sarà una dello più lunghe ferrovie funicolari che esistano : lunga seimiladucento metri. Stazione telegrafica a Isola. — Venne attivata fino dal 15 gennaio p. p., unita alla posta, con orario limitato, ma con corrispondenza illimitata. Fillossera. — Alla fine del mese scorso giunsero da Nuova-York, al r. ministero italiano d' agricoltura e commercio, circa dodici quintali di semi di viti americane resistenti alla fillossera, e vennero subito distribuiti. L'esposizione di Milano verrà inaugurata il 1. di maggio. I piani della civica Palestra triestina, che erano esposti all' ultimo congresso pedagogico di Roma, verranno ceduti dal Municipio di Trieste al Museo pedagogico-didattico di Roma dietro richiesta fatta dal r. Ministero italiano della pubblica istruzione. Arresto di cittadini italiani. — Arrestarono a Cervignauo i cittadini italiani Domenico Moraudiui e Giovanni Giraudolini per grida sediziose contro il governo austriaco, e in loro confronto stanno istruendo il relativo processo. II »Leone di Caprera." — Diretto per Napoli, giunse a Gibilterra il 23 gennaio da Montevideo (Sud-America), d' onde era partito il 3 ottobre p. p., il più piccolo battello che abbia finora compiuto la traversata. È lungo otto metri, largo due, alto uno ; della portata di tre tonnellate e 1li ; costruito in legno, foderato di rame, con due alberi ; e porta il nome di »Leone di Caprera". Ha due soli buchi: uno semicircolare pel timoniere e subito vicino la boccaporta; nella stiva, ingombra da una serie di tubi di ghisa atti a far galleggiare quaranta tonnellate, e dalla provvista d'acqua e di cibarie, non è possibile che la sdraiata di un uomo solo. Gli arditi naviganti sono tre ; e, cosa nuova in simili imprese, non sono nè inglesi, nè americani, come certo i lettori se li saranno immaginati, ma sono invece tre nostri connazionali; cioè i napoletani Vincenzo Fondacaro (capitano) e Pietro Troc-coli, e l'anconetano Orlando Grassini. Durante la traversata nou incontrarono che cinque bastimenti : un italiano, un portoghese, un inglese e due tedeschi. A 48 gradi di longitudine e a 30 di latitudine, il battello fu colto da burrasca sì forte che per un istante le cime degli alberi rimasero sommerse; ma più grave pericolo ancora li attendeva a breve distanza dall' Isola del Ferro ; ivi dovettero difendersi da una frotta di pescicani. Ai 9 gennaio arrivarono a Las Palmas (Grandi Canarie) e vi fecero sosta per cinque giorni, suscitandovi grande entusiasmo. Dicesi che il battello verrà regalato al Museo di Napoli. Libro proibito. —- L'i. r. Tribunale Provinciale, dietro proposta dell' i. r. Procura di Stato, ha deciso che debba vietarsi l'ulteriore diffusione, e che vengano distrutte le copie rinvenute e rinvenibili, della pubblicazione fatta a Venezia nel 1869 (Tipografia Naratovich) dal prof. Luigi Fichert, intitolata: La madre triestina — Canti; e ciò perchè questa pubblicazione contiene gli elementi oggettivi dei due crimini di offesa alla Maestà Sovrana o di perturbazione della pubblica tranquillità, e innoltre quelli del delitto di offesa all' armata imperiale. Turilio di San Malato, il celebre schermidore italiano, riuscì vittorioso anche a Parigi : nella festa datavi dal Cercle des Arts Liberaux, il 22 del mese passato, gli venne offerta una medaglia d'oro col tricolore francese. Terremoto a Casamicciola (Isola d' I-schia). — Avvenne il 4 corr. vi crollarono circa 200 case, ed altre minacciano rovina ; si calcolano a parecchie decine i morti ed i feriti. Trapassati nel mese di Febbraio 1881. 2 Giovanni Parovel fu Pietro d'anni 50 — 3 M. B. carcerato d'anni 19, da Mikulich (Dalmazia). — 4 Margherita Lonzar nata Rasman d'anni 25. — 7 G. B. carcerato d'anni 33 da Castelnuovo. — 8 G. B. carcerato d'anni 24, da Raducic (Dalmazia). — 9 Pietro Schipizza fu Giovanni d'anni 67. G. M. carcerato d'anni 48, da Ogorie Superiore (Dalmazia). — 12 Pasquale Lussa d'anni 80, da Razzize. — 14 Élena Muslavich nata Laurancich d'anni 70, da Castua. G. J. carcerato d'anni 24, da Tiberine (Erzegovina). — 15 Antonio Parovel di Nazario d'anni 21. G. U. carcerato d'anni 27, da S. Pietro in Selve. — 16 Maria Mayer nata Corrente d'anni 91. — 10 Andrea Grio fu Domenico d'anni 40. — 2« T. C. carcerato d'anni 60, da Catturo (Dalmazia). - 22 M. S. carcerato d' anni 67, da Ervace (Dalmazia). — 23 T. H. carcerato d' anni 54, da Trieste. E 3 fanciulli sotto i 7 anni. Matrimonii celebrati nel mese suddetto 12 Felice Bellemo e Maria Cociancich; Antonio Alessio ed Elena Minca. — 13 Giovanni Zottich e Giovanna Clarich. -- 10 Andrea Minca ed Orsola Steffè ; Michele Dobrilla ed Ausonia Cattunar. — 23 Elio Scher e Santa Gavinel; Giovanni Zorzetti e Maria Apollonio. — 26 Giacomo Ivancich e Maria Apollonio ; Giacomo Ferrari Delatus e Caterina Busan-Lughi ; Nicolò Delconte ed Anna Lonzar; Simone Zucca e Maria Divo. — 27 Giovanni Da Ponte ed Anna Vescovo. — 28 Antonio Depangher e Caterina Zetto. Corriere dell'Amministrazione (dal 22 p. p. a tutto il 6 marzo corr.) Milano. Dr. Andrea Marsich (I sem. del Vii anno). Avviso ai bachicultori Presso il sottoscritto trovasi in vendita Seme bachi di razza nostrana a bozzolo giallo cellulare e selezionato scrupolosamente al microscopio. Prezzo fior. 6.50 all'oncia di grammi 25 ; oltre le cinque oiicie fior. 6. Capodistria, li 7 marzo 1881 Giuseppe Gravisi fu Giannandrea.