Anno X. Capodistria, Luglio-Agosto 1912 N. 7-8 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE vV- In morte di Giuseppe Picciola Di Giuseppe Picciola, che per la miglior parte della vita mi fu piuttosto fratello che amico, scriverò, spero, cosi da rendergli tutto 1' onore che si spetta a lui uomo, a lui cittadino, a lui scrittore. E ciò non potendo far subito, vorrei intanto tacermi. Ma perchè altri si affretta a onorarlo, non mi è consentito rispondere con un rifiuto a un invito che da Trieste mi viene. Dirò dunque questo soltanto: che del Picciola tutti ammirarono e amarono la bontà, la gentilezza, la coltura, l'ingegno : ma troppi pochi valutarono drittamente il valore di alcune sue pagine in prosa, bellissime, e di alcune sue poesie, belle davvero. Di che egli, sempre proclive ad accendersi d'entusiasmo per le opere altrui, non si crucciava. Ma una delle ragioni, e forse la principale, per cui egli non produsse tutto ciò che sarebbe stato potenzialmente in lui, io so che deve affermarsi in tal mancanza di aperti consensi. Ne avrebbe acquistata nuova vigoria; per ciò che all'artista è necessario, la fiducia in sè. Eppure anche la modestia giova alla sua complessiva figura, di uomo e di poeta gentile ; cosi che, nel dolermi eh' egli non stampasse di più, son costretto a compiacermi che non andasse mai smaniando per la fama, nè tentasse di procacciarsela, come si usa, con artifizi ciarlataneschi. Guido Mazzoni. Certi di far cosa tutt' altro che discara ai lettori, riproduciamo qui per intero, non senza il consenso dell' autore, il bellissimo discorso onde l'illustre senator Mazzoni commemorò il suo e nostro Picciola al Consiglio Comunale di Firenze, nella seduta del 2 luglio u. s., e che comparve il dì dopo nella fiorentina Nazione (a, LIV, n. 185) : «Spiacente che altri doveri d' ufficio mi costringessero a mancare alla seduta di ieri 1' altro, sono ora sicuro d'interpretare il sentimento di tutti quanti i colleghi del Consiglio, anzi dell' intiera cittadinanza ricordando con amaro rimpianto la morte immatura di Giuseppe Picciola. «Dirò di lui soltanto pochissime parole; sia perchè mi dispensa da un ampio discorso 1' amore stesso che Firenze mostrò, nei funerali, di professargli, sia perchè a me repugna mettere in pubblico la mia commozione, la quale forse non riuscirei a frenare quando avessi a parlare im po' distesamente di chi, per più di trenta anni, mi fu piuttosto fratello che amico. «Il Picciola ebbe egregi meriti di studioso e d'artista; compilò buoni libri scolastici, scrisse pagine di prosa critica ed estetica, eccellenti, compose liriche d'intenso affetto e di squisita fattura. «Si onorava di essere stato scolaro al D'Ancona e al Carducci; e fu degno dell' un maestro e dell' altro, con la serietà dei propositi, con la diligenza della dottrina, col gusto dell' arte. «E devo subito soggiungere che la nostra città ebbe gran ragione di applaudirlo in discorsi eloquenti, dei quali uno egli tenne in questo medesimo palazzo, nel Salone dei Cinquecento, sul Carducci, e fu discorso insigne, tale da riuscir pari all' occasione e all' argomento solenni. «Ma la parte che Firenze prese al lutto della famiglia, cui egli così crudelmente fu rapito, dimostrò che tutti sentivano come con lui fosse scomparso un educatore, un capo d'istituto, non pareggiabili facilmente. «Era buono, era zelante, era accorto, era colto. Sapeva farsi rispettare e amare ; sapeva sospingere e frenare ; sapeva armonizzare gli studi degli alunni e gli animi e le tendenze varie degli insegnanti, in una bella e proficua concordia. «Si fa presto a desiderare che Firenze fiorisca, come veramente dovrebbe, centro di cultura e di dottrina e d' arte. Si fa presto a desiderare che le istituzioni scientifiche e artistiche che Firenze ha, si completino, crescano, si espandano in opere rigogliose di vita *). «Il difficile non è creare o trasportare istituti ; il difficile è farli andar bene ! «E il Picciola, nel suo Liceo-ginnasio Galileo, offriva un modello del come si fanno andar bene le scuole. «La veneta italianità della sua Istria, che egli aveva tanto sentita e virilmente affermata da soffrirne un lungo e amarissimo esiglio, gli era stata rinforzata e acuita a Trieste, appunto perchè il contrasto giornaliero delle razze le va là educando e maturando alla disciplina. «E la vivezza veneta della sua Parenzo, 1' entusiasmo cosciente e disciplinato della sua Trieste, egli aveva recato, nobilissime qualità, in questa nostra Firenze, di cui egli si vantava di essere ormai un operoso cittadino. «Alla sua memoria, alta e cara memoria, vada, e all' angosciata famiglia, il nostro commosso e reverente saluto» *) Si discuteva sul trasferimento in Firenze del R. Istituto forestale di Vallombrosa. Giuseppe Piceiola non era mutato mai. Gli amici che lo avevano conosciuto studente ritrovavano sempre in lui, capo d'istituto e padre di famiglia, lo spirito giovanile come l'aspetto, la confidente alacrità, il gran cuore ignaro d' ogni bassa cosa, la gentilezza nativa d' ogni atto e d' ogni pensiero, gentilezza come di cavaliere ingenuo. Da maestro faceva amare le lettere, da uomo faceva amare la vita. E quand' egli cosi impensatamente morì, gli amici piansero, e sempre piangono, più che su di lui, su la lor propria vita fatta senza di lui più povera, più greve e sola, abbandonata in terra da chi pur con la sua persona, con la sua parola anco lontana, sapeva crescerle fede e valore. Dino Mantovani. Povero Picciola! Che debbo dirLe? E' una vera fatalità che preme sui più cari e illustri discepoli del nostro Carducci, Severino Ferrari, Giovanni Pascoli, pochi altri, ed ora il Picciola, grande nella sua modestia, e quasi tutti da poco usciti di giovinezza o almeno non raggiunta 1' età matura. 11 Carducci segnò loro la via dell' immortalità, li ebbe, più che discepoli, specialmente il primo e 1' ultimo, collaboratori preziosi, e li ricambiò dell' affetto di cui era capace. Perchè il cosi detto istrice, mercè loro, ritirava a sè gli aculei e assumeva pelo e sembianze di agnello. A me che ben conobbi il Carducci par vederlo in intimo colloquio spirituale col nostro Picciola, che ne doveva rimanere ammirato e conquiso e lusingato, se il maestro spesso ne accettava i peritosi consigli. Insomma, sia pure che Giuseppe Picciola sia stato 1' ombra del Grande, noi non potremmo, nel nostro concetto, separare quell' ombra dalla persona viva che si erge gigante sotto il bel cielo della patria nostra... *). G. Occioni-Bonaft'ons. *) Squarcio di lettera privata, gentilmente concesso da chi la ricevette e riprodotto (col permesso, s'intende, del chiaro mittente) per la sua sincera spontaneità. La vita e l'ajaia letteraria fli Ginsepe Picciola I. La vita. Lo rividi poco più di un mese prima del giorno funereo ; conservava intatta e inesauribile quella vigile irrequietudine, quella lieta vivacità che furono le note fondamentali della sua vita, tutta lavoro. Eppure egli si sentiva incerto e quasi spaurito, perchè gli pareva diminuita la sua vitalità nel paragone appunto del lavoro. Di fatti, già agli 11 di gennaio scriveva ad una persona amica: «non so guardare all'avvenire senza trepidazioni e terrori. La fatica quotidiana non sopisce il tormento del pensiero, e così ne sento scarsamente il conforto. Non mai, forse, ho fatto una vita così misera e oscura come quest'anno, in cui il tempo mi par sempre troppo corto al lavoro da compiere, e l'opera compiuta non mi dà uè sodisfazione nè piacere». E nell' ultima lettera che scrisse alla sorella, agli 11 di giugno, quando ha ormai conosciuta la sua malattia, ciò che lo spaventa, non sono i dolori o la morte, ma «il completo abbandono d'ogni lavoro» ; e ad un amico, con quell' ingenua speranza che è il gran conforto dei mortali, esprimeva il suo proposito di voler attendere a comporre libri scolastici, poiché doveva rimanere lontano dalla scuola. I casi della vita contribuirono ad acuire in lui il bisogno del movimento e dell' attività, gli offersero 1' occasione di conoscere sempre nuove cose e persone, sicché egli prodigò generosamente agli altri il suo lavoro e il suo pensiero, non ricavando per sé che poco di quanto meritava, come sarebbe stata una cattedra universitaria che non gli sarebbe dovuta mancare. Eppure in questa vita che egli molte volte, nelle lettere famigliari, chiama girovaga e da zingaro, è mirabile la serena tranquillità dello spirito che riesce a dominare la stessa irrequietezza dell'azione. E certo dalla diritta sicurezza dell'animo rampolla 1' affetto gagliardo e possente per la patria, che gli fu sempre nel cuore, da vicino e da lontano, nei lunghi venti anni di esilio, affetto che prorompe irresistibile, tra le lagrime, all' annuncio che gli è aperto il ritorno (lettera al padre, dei 24 febbraio 1899): «La felicità della notizia mi ha quasi tramortito : non capisco più nulla, nè ho quasi coscienza de' miei sentimenti. La gioia che a tratti m'invade è così nuova nella mia vita, che non riesco ancora a capirla: nè posso credere ancora che presto sarò nelle vostre braccia e rivedrò la patria da tanto tempo desiderata-. A Parenzo egli nacque il 26 settembre del 1859, e per quanto la famiglia del padre, Luigi, fosse di Trieste ed a Trieste egli trascorresse tutta l'infanzia e la giovinezza, hanno ragione i Parentini di rivendicarlo a proprio concittadino, perchè di Parenzo era la madre, Angela Privileggi, ed a Parenzo passò tutte le vacanze scolastiche aspirandovi dalla bella natura quel senso ariostesco della forma che è un atteggiamento caratteristico della sua mente. «Dalla riviera ligure e dal golfo di Napoli», egli esclama, «io son sempre tornato alla sua [di Parenzo] tranquilla bellezza senza rimpianti; ho ammirato i suoi flammei tramonti che si rinfrangono tra gli scogli corallini in mille lampeggiamenti di topazi e di viole, di porpora e di oro ; ho risalutato con esultanza di gioia la divina isola di San Nicolò, cespo di verdura, ricinto dalle melodie e dagli aromi dell'Adriatico; ho chiesto asilo ai suoi piccoli golfi che riflettono nelle profondità di smeraldo le chiome degli alberi e la profusione dei fiori; ho piegato il capo in atto di riverenza dinanzi al campanile paterno, segnacolo di salvezza ai naufraghi del mare e ai naufraghi della vita» l). Nella sua famiglia, tra le cospicue della città, e nella sua parentela, della quale basterà ricordare la famiglia dell' avv. Arrigo Hortis, egli trovava buone abitudini di studio, e libri, e stimoli e incoraggiamenti a coltivarsi sempre più. Ma anche nel Ginnasio comunale, da lui assolto nel 1877, egli ebbe compagni dalla vivace intelligenza, coi quali si formò una specie di cenacolo letterario : col mutuo insegnamento e con la gara che naturalmente ne derivava, i giovani provvedevano così a completare la istruzione scolastica e armonizzavano le loro energie per la vita. Di questi Aristide Costellos, ora avvocato e benemerito nostro uomo politico, innamorò all' ammirazione ') Parenzo, per l'inaugurazione del nuovo palazzo del Comune (Parenzo, Coana, 1910). del Carducci i suoi compagni, troppi de' quali, come il Picciola, non poterono rendere alla città nativa il tributo della propria opera : Salomone Morpurgo, Giacomo Venezian, Salvatore Bar-zilai, Albino Zenatti, Gustavo Boralevi, se conservarono a Trieste 1' affetto figliale e ne mantennero sempre alto il buon nome, non poterono da vicino fomentarne i buoni studii e partecipare alla difesa nazionale. Giuseppe Picciola, adunque, assolto il Ginnasio triestino, si recò a Pisa per istudiarvi lettere in quella Scuola normale dove era stato scolaro il Carducci, e dove insegnavano Alessandro D'Ancona, Ferdinando Ranalli, Michele Ferrucci. Nella vacanza del 1878 si ricostituì la brigata dei giovani studenti; accadde che parecchi di loro, facendosi vindici della gioventù triestina, contro la quale scriveva allora offese ed insulti il direttore del giornale tedesco, si recassero verso la sua abitazione in via Massimiliana per domandargliene ragione. Ma prima che arrivassero a compiere la loro intenzione, che la polizia aveva risaputa, furono arrestati. E questo arresto senza ragione sarebbe terminato comicamente, se uno, perquisito, non fosse stato trovato in possesso di carte che poterono sembrare compromettenti. Era il 5 ottobre del 1878: Giuseppe Picciola ed altri, avvertiti a tempo,'si rifugiarono a Venezia. Alcuni, Parenzan, Zampieri, Morpurgo, Zanardi furono prosciolti in istruttoria. Tre degli arrestati, Salvatore Barzilai, Giacomo Venezian, Vittorio Venezian, dopo sette mesi di carcere, furono tratti dinanzi ai giurati di Graz sotto l'imputazione di alto tradimento, per avere iniziata una sottoscrizione allo scopo di presentare un albo di ritratti e uu indirizzo di devozione a Garibaldi, e per avere formato una società secreta. I giurati assolsero, ma tante giovani speranze andarono perdute per la vita cittadina. Giuseppe Picciola si trovò cosi separato dalla sua città, dalla famiglia della quale fu sempre amorosissimo, nel momento quando più aveva bisogno di aiuti per continuare nella carriera felicemente iniziata. Si guadagnò un posto gratuito nella Scuola normale e attese con gran passione allo studio, ma sempre tenendo dietro ai fatti che si compivano nella città natale e nulla omettendo che potesse servire ad acquistarle simpatia e corrispondenza di sentimenti. Alla Scuola normale conobbe Guido Manzoni, che gli fu più fratello che amico 4), e da lui fu introdotto nella famiglia di Giuseppe Chiarini, che abitava a Livorno. Quasi ogni settimana vi si recavano i due amici insieme col figlio del Chiarini, Cino, col quale il Picciola mantenne sempre la più affettuosa amicizia, e spesso vi trovavano Giosuè Carducci. Per tal modo il Picciola entrava nel mondo dei poeti, partecipava alla più nobile vita letteraria italiana, conosceva davvicino i maggiori scrittori degli ultimi trent'anni, dagli Amici pedanti ai Goliardi. In casa del Chiarini conobbe il d'Annunzio che era allora al principio della gloriosa carriera, come narrò, nell' occasione della morte di Giuseppe Chiarini, nel Piccolo della sera del 6 agosto 1908. Da allora, 1880, comincia la collaborazione ai maggiori giornali letterari, come il Fanfulla della domenica, la Domenica letteraria, la Domenica del Fracassa, la Cronaca bizantina, la Cronaca minima e quella Vita nova, sulla quale apparvero le prime poesie di Giovanni Pascoli2). Assolti gli studi nel 1881, venne a Bologna ad insegnarvi in un ginnasio; qui si ritrova col Mazzoni, col Barzilai, col Venezian e con loro riprende 1' opera di propaganda nazionale cominciata a Trieste, e da Bologna essi mandano articoli per 1' Eco del popolo, che si pubblicava a Trieste .. . quando non veniva sequestrato. Per questo giornale si fa scrivere dal Pascoli quella biografia del Carducci che pubblicò appena ora. Ma a Bologna soprattutto godette la famigliarità di Giosuè Carducci e di Aurelio Saffi. Del Carducci frequentò la casa, dette lezione alla figlia Laura; gli trascrisse i versi, lo aiutò in altri lavori, tanto che più tardi ne fu detto addirittura il segretario. E se pensiamo al vivo interesse che il Carducci prese in quegli anni agli avvenimenti triestini, dobbiamo credere che il suo informatore fedele fu per 1' appunto il Picciola, il quale non si stancò mai di farsi l'araldo della propria città, sia che, ad esempio, parlasse in pubblica conferenza a Padova ') Al Picciola dedicò nel 1880 la sua traduzione degli Epigrammi di Meleagro da Gadara (Firenze, Sansoni) e ricorda : «queste pagine furono, per massima parte, scritte nella tua stanza. Mezzo sepolto in un cumulo di libri e di fogli, io m' affannavo a dipanare la matassa delle polemiche tedesche; tu, lì accanto, rinfocolavi cogli Chàtiments di Victor Hugo gli sdegni generosi dell'esule». 2) Egli ottenne dal Pascoli la promessa, purtroppo non compiuta, di una conferenza a Trieste. Vedi la lettera nelVIndipendente del 4 aprile 1905. ed a Bologna dei letterati triestini, sia che Da Triestino a Triestino mandasse un saluto a Salvatore Barzilai, quando fu eletto deputato (U Opinione, 5 dicembre 1890), sia che dai giornali rettificasse o chiarisse notizie errate od oscure, e facesse conoscere uomini e cose nostre. Di quanto poi avveniva in patria, egli era sempre informato dal padre, dai fratelli, e soprattutto dalla sorella, la signora Silvia de Segher, che ne conserva con amore il bellissimo carteggio. Dal ginnasio di Bologna passò al liceo di Rovigo, e nel 1885 a quello di Maddaloni. Qui la vita mancava di molti di quegli agi materiali che ora si stimano necessarii alla nostra civiltà; ma egli era innamorato del lussureggiante paesaggio meridionale, per il quale sentì più tardi un nostalgico desiderio ; e d' altra parte nella vicina Caserta, dove si recava anche più volte la settimana, e nella non lontana Napoli trovò fraterna accoglienza in parecchie intellettuali conversazioni. Cominciò allora a scrivere sui giornali napoletani; nel Corriere di Napoli si firmava Nereo. Un altro ampliamento delle sue conoscenze personali e letterarie gli venne quando, impedito di tenere lezione da una laringite, venne in congedo a Roma e qui fu scelto a proprio segretario da Ferdinando Martini, allora ministro della pubblica istruzione. Se avesse voluto rimanere al ministero, certo avrebbe fatto una bella carriera, ma egli non si sentiva di ridursi ad un ufficio amministrativo, aveva bisogno di espandere nei giovani il suo vivace entusiasmo, di comunicare negli altri l'ammirazione per ogni cosa bella, e, non appena potè, dopo l'intermezzo romano, tornò nel 1889 alla scuola, come insegnante di lettere italiane nel liceo di Pesaro. A Pesaro fece la più lunga dimora della sua vita di insegnante, chè vi rimase per dieci anni; e vi era giunto a trent' anni, cioè nell' età completa, quando la personalità s' è costituita dalle agitazioni e dalle esperienze che la travagliarono. A Pesaro formò la sua nuova famiglia, sposandosi con la figlia del senatore Vaccai, la signora Bice; qui gli nacquero i figli Gino, Vittorio, Angioletta; qui egli pensava di passare gli ultimi anni della vita dopo il pensionamento, e, se questo non gli concesse la morte precoce, almeno vi riposa il sonno eterno. Da Pesaro incomincia per lui un periodo di un certo raccoglimento; pubblica il suo primo libro, e per ora unico, di poesie, approfondisce gli studii danteschi, soprattutto sulla Matelda, comincia a tenere le sue conferenze, per le quali è pregato ed invitato da ogni parte. Ma anche allora, come sempre, è la scuola e, diciamo pure, le necessità della vita che assorbono la maggiore e più vivace parte della sua attività. La fiducia che in lui hanno i reggitori del Ministero della istruzione, si esplica in incarichi, i quali gli fanno bensì molto onore, ma ne distrassero la forza e lo studio. A Pesaro diventa preside del liceo, e in questo ufficio si addimostra tanto capace che poi gli vengono affidate le scuole dove sia molto da riordinare e rinnovare, è incaricato di ispezioni e di esami: e vi spese tanta energia e tanto tempo! Da Pesaro passa, sempre in qualità di preside, al liceo di Reggio Emilia, di là nel febbraio del 1900 è trasferito a Lucca come preside e rettore di quel liceo e collegio, del quale deve assumersi anche la responsabilità amministrativa; sino a che, stanco e sfinito da tante brighe, abbandona quel posto, nel novembre del 1901, per il liceo di Ancona, ed appena nel settembre del 1906 viene a Firenze, come preside del Liceo Galileo. Era la meta, oltre alla quale non aveva guardato la sua modestia; era la sosta e la pace, tanto desiderate non per riposare ma per lavorare. Ma scelto tra gli undici che composero la Commissione reale per l'ordinamento degli studi secondari in Italia, costituita nel dicembre del 1905, egli dovette a tratti far lunghe dimore a Roma sino al !908, e per partecipare alle sedute e per assolvere poi quella parte della relazione che gli fu affidata '). Nel 1908 non potè rifiutare di assumere la presidenza del Comitato fiorentino della Dante Alighieri, e poi si sobbarcò anche all' ufficio di segretario della Commissione della Lectura Dantis; e si diede con ogni amore ed entusiasmo all'istituzione del battaglione scolastico nel Liceo da lui diretto. Intanto compilò insieme col Mazzoni, la Antologia carducciana e si preparava a commentare tutte le odi barbare per un' edizione carducciana che poi non si fece ; raccolse e ordinò i materiali per 1' antologia dei Poeti d' oltre confine, che è ora sotto i torchi, e tanti altri progetti ') La relazione fu pubblicata dal Ministero della P. I. nel 1909 (Roma, Cecchini). Le relazioni particolari furono coordinate e fuse nella Relazione generale dal prof. Vittorio Fiorini. formava, quando la malattia inesorabile lo sorprese, mentre egli nell'entusiasmo del lavoro non poteva accorgersi di come se ne esaurisse, e lo uccise il 18 giugno del 1912. Della sua malattia, dei suoi funerali parlarono ampiamente i giornali, soprattutto fiorentini: La Nazione, II Fieramosca, Il nuovo giornale del 20 giugno. Ma da tutta la stampa italiana egli ebbe un affettuoso tributo di rimpianto: Ugo Ojetti nel Corriere della sera (20 giugno), il prof. Filippo Sesler nel-1' Ordine (Ancona, 19-20 giugno), Lucrezio Boris nel Giornale del mattino (Bologna, 20 giugno), Alessandro Bellucci nel Giornale d'Italia (Roma, 22 e 24 giugno), Silvio Benco nel Piccolo (20 giugno), Haydée nel Piccolo della sera (21 giugno), Elda Gianelli nell' Indipendente (25 giugno; vedi anche 20 e 24 giugno) e poi la Fiamma di Pola (22 giugno), YEmancipazione del 1" luglio, l'Idea italiana di Rovigno (4 luglio). Il Comune di Parenzo, decretandogli solenni onoranze, intitolò a lui una via della città. Molti furono i discorsi sulla sua bara; quelli tenuti, quando il feretro sostò dinanzi alla porta del suo Liceo, dal prof. Ec-cher, dal prof. Linaker e dallo studente Bizzarri, sono pubblicati a cura degli studenti in un opuscolo della Tipografia giuntina di Firenze. A me, perchè dal breve cenno biografico, risulti meno incompleta la sua figura rimane di parlare delle sue conferenze, e ho lasciato di dirne a bella posta per ultimo, perchè in esse meglio si espande la sua personalità. Egli cominciò a tenere conferenze, nel 1893, per parlare della sua patria, per diffonderne la conoscenza e la simpatia ; e poi continuò a tenere conferenze per scopi patriottici, a favore della Dante Alighieri, sino all' ultimo discorso per la guerra di Tripoli. La voce dalla tonalità alta e dal timbro velato e quasi rauco, che con gli anni andò correggendosi, aveva però una fresca vibrazione di commozione che s'adattava all'espressione limpida ed entusiasta del discorso. Chè le sue conferenze erano tanto gradite, perchè egli non si presentava come arcigno critico, ma come persuaso esegeta del suo soggetto; e ciò gli avveniva non perchè in lui mancasse acume di critica, ma perchè non discorreva se non di quello che sentisse di ammirare e di amare. Per questo fu così felice espositore della Commedia dantesca; di Matelda parlò quasi con 1' accento di un mistico innamorato. Nè rimase soltanto alla letteratura, ma potè discorrere di qualunque arte, dove scoprisse proporzione ed armonia di forma; per questo commemorò con tanta approvazione Raffaello in Urbino, discorse poi di Urbino e la sua gloria, si proponeva in questo ultimo tempo di illustrare la Venezia del Cinquecento. L'ardore dell' affetto e la serenità dell' arte si unirono a conferirgli cosi vera eloquenza quando parlò di Giosuè Carducci. A lui spettò 1' onore di dirne l'elogio nel giubileo dell'insegnamento (1901)'), da lui vollero commemorato il morto poeta San Miniato, Venezia, Firenze, Recanati, Siena. E sono prose bellissime che conservano il loro valore oltre 1' occasione del momento e meritano di essere raccolte e studiate. Quanto poi, nella scuola e fuori, fosse feconda la sua opera e la sua parola, come il suo entusiasmo si propagasse in vivaci stimoli di bene, mostrarono il lungo desiderio e il doloroso rimpianto dai quali fu accompagnato alla tomba. Quando la bara, alla stazione di Firenze, stava per essere trasportata a Pesaro, uscì dalla folla piangente un ufficiale che il viso adusto manifestò per un reduce da Tripoli, e volle mandare 1' estremo saluto al maestro amoroso e saggio al quale chi avesse affidato i propri figli, non temeva di sfidare il pericolo e la morte per la patria, perchè sapeva al sicuro le sue speranze più care. Nessun poeta avrebbe saputo immaginare una glorificazione più degna di quell' omaggio. A. Gentille i) Anche alle feste carducciane del 1905 prese parte; e della visita che allora fece al Carducci, così scrisse alla sorella nella lettera del 24 dicembre: «Domenica mattina andai a trovare il Carducci a casa sua. Era a letto e lo trovai in uno stato compassionevole. Per farle uscire in carrozza, devono portarlo di peso sopra una poltrona giù per le scale, poiché non si regge più e non riesce più a fare un solo passo. Gli parlai molto evitando di far parlar lui, perchè stenta a esprimersi, mentre ha ancora la mente lucidissima, e quando gli dissi che la sera prima gli avevo recato il saluto di Trieste e dell' Istria, si mise a piangere silenziosamente... Era uno strazio. E quando mi congedai, mi volle baciare e abbracciare, tutto in lagrime, e mi fissò lungamente quasi per darmi 1' estremo saluto. Povero Carducci! Che agonia lunga e straziante è la sua!» II. L' opera letteraria. ') (311 nabile intelletto e al più nobile cuore d' Antonio tesante.) Tentar di portare oggi un serio e spassionato (per quanto non definitivo) giudizio critico su tutta l'opera letteraria di Giuseppe Picciola, mentre è ancor fresca la zolla su la sua tomba precoce e durano tuttavia, su 1'una e l'altra sponda adriana, i lunghi echi di rimpianto suscitati dall' amaro destino che nel buono dell'età improvviso lo travolse, sarebbe impresa, oltre che diffìcile, inopportuna. Altro dunque dev'essere, almeno per il momento, il nostro compito : quello, se non c' inganniamo, d'indicare, massime ai più giovani tra i comprovinciali, in che cosa veramente consista 1' opera letteraria del Picciola, quali sieno le sue principali caratteristiche, quali i pregi suoi più evidenti; cercando, in pari tempo, d'invogliare quanti hanno un culto per ogni bella e buona cosa a una conoscenza sempre più larga e più diretta delle poesie e delle prose d' esso Picciola; il quale, benché, proprio nel colmo della rinomanza, giungesse, in un impeto d'innata modestia, a dirsi «povero scribacchiatore di libercoli inutili ed ignoti»2), era indubbiamente (e questo lo possiamo dire, senza tema di recar offesa al vero, anche nel dì della lode) uno de' più genuini e geniali artisti della parola che avesse prodotti la regione nostra dal Besenghi e dal Eevere in poi. Come i più degli scrittori mossi, nel decennio tra il 1870 e 1' '80, non diremo (che sarebbe inesatto) dalla scuola, ma dall' esempio e dagli insegnamenti del Carducci, Giuseppe Picciola fu poeta e prosatore a un tempo, amò, cioè, alternare la dolce fatica del verso con 1' austero travaglio, nel vasto (ma a lui tutt' altro che superficialmente noto) campo letterario antico e moderno, dell' indagine storica e della valutazione critica esercitate con serio e coscienzioso impegno. Se non che, fiso di *) Rendiamo grazie auche pubicamente alla sorella del poeta, signora Silvia de Segher-Picciola, delle diverse publieazioni e notizie con isquisita gentilezza favoriteci. 2) Cfr. Per 1' Università italiana di Trieste, estratto dal fascicolo di marzo-aprile 1902 della Rivista d'Italia; pag. 7. continuo in un ideale di superiore eccellenza artistica e letteraria, come s'indusse solo tardi e a fatica a raccogliere in un volume tutt' i suoi versi giovanili, e quelli degli anni maturi sparse incurante qua e là nei giornali e nelle riviste o confinò in pubìicazioni per nozze e in opuscoli fuori di commercio, cosi reluttò e indugiò sempre a dar fuori gli scritti suoi prosastici, nè mai volle riunire, come pur sarebbe stato vivo desiderio di amici e di ammiratori, e come pur oggi generalmente usa, in solo un complesso i più ragguardevoli e significativi tra essi. Circostanza questa dalla quale due non lievi inconvenienti trassero origine : da un lato, la scarsa conoscenza che ha il gran publico dell' attività letteraria del Picciola, e, conseguentemente, dall' altro, la non larga fama goduta dal nome di lui fuori dei circoli di chi, vuoi per mestiere, vuoi per gusto, s' occupa di proposito d' arte e di lettere. Noi non sappiamo se, ora eh' egli è dileguato per sempre dalla scena del mondo, il memore affetto della famiglia o di qualche amico superstite vorrà pietosamente accingersi al lavoro da lui mai sempre negletto e raunare, di su i giornali, le riviste e le publicazion celle d'occasione, il meglio dell'opera sua di poeta e di prosatore, come s' è già fatto per tanti altri, anche assai meno meritevoli di lui: certo, ciò riuscirebbe di grande utilità agli studi e costituirebbe insieme 1' omaggio più alto e men passeggero alla memoria di lui: e noi, prima di proceder oltre ed esaminare per conto nostro le disjecta membra poètae ci facciamo lecito d' affrettare coi voti un si nobile assunto. * * * A chi prenda a considerare a parte a parte tutta quanta 1' opera letteraria di Giuseppe Picciola, non tarda certo a manifestarsi quello che si potrebbe dire il carattere essenziale di essa ; carattere consistente in una interpretazione, se ci è concesso il termine, cavalleresca della vita, in un infaticato ardore per ogni alta, pura e bella cosa. Figlio d' una terra esperta delle più nobili lotte civili, proclive ad altezza di sensi per indole >) Nella nostra disamina non terremo conto, s'intende, che degli scritti a stampa del Picciola, soffermandoci di preferenza sui principali. Accenni a cose sue non publicate son già, del resto, specie dove si discorre di lui conferenziere, nello scritto che precede e compie il nostro. e per educazione, avviato all' arte dalle austere massime carducciane, il Picciola riuscì un vero apostolo della gentilezza e della bellezza; e qualunque forma dell' arte tentasse, ciascuna squisitamente improntava del suo puro fuoco interiore, terminando artista anche quando voleva essere soltanto erudito. Non per nulla egli poetò una volta, con un po' di bonaria ironia (in cui si sente peraltro bene espresso lo scoraggiamento dell' uomo che ha troppo amato i suoi ideali per rassegnarsi a cuor freddo al loro tramonto): Io fui ne' giovini anni un don Chisciotte, pallido hidalgo e magro cavaliero, cui pungeva un ardor di strane lotte, cui raggiava da gli occhi un gran pensiero. Ora sono il buon Sancho... Che Sancho mai ! Egli restò fino all' ultimo respiro, attraverso tutti gì' inevitabili disinganni della vita, un invitto e intemerato cavaliere dell' ideale. Dei primi passi del Picciola nell' arringo letterario ha già discorso da par suo Guido Mazzoni in un volumetto ormai introvabile '), ricordando, oltre il gentile episodio (ora notissimo) 2) del sonetto inviato dal Picciola studente dell' ottava ginnasiale al Carducci e della cortese risposta del grande poeta, i versi e gli articoli di lui apparsi, dal '79 all' '88, nel Mameli, giornaletto letterario di Genova, nel Fanfulla della Domenica, nella Domenica del Fracassa, nel Fracassa e nella Cronaca Minima. Erano versi «che palesavano nella gentilezza della forma e dei suoni un lungo amore dell' arte» 3), e articoli notevoli per limpidezza di pensiero e disinvolta eleganza di lingua. Ma, tra 1' '80 e 1' '84, anno in cui offerse, in uno smilzo fascicoletto non venale, le sue prime poesie all' amico Mazzoni4), il Picciola avea anche principiato a dar opera a seri studi storico critici. Fu primo ad entrargli in simpatia quel genia! tipo d'erudito e poeta ') Poeti Giovani, testimonianze di un amico; Livorno, Giusti, 1888. 2) Anche perchè tornò a discorrerne recentemente il Picciola stesso nello scritterello autobiografico Come conobbi il Carducci (Alberto Liim-broso: Miscellanea carducciana; Bologna, Zanichelli, 1911; pgg. 102-105). 3) Mazzoni, op. cit., pag. 51. *) Versi di Giuseppe Picciola ; Bologna, Zanichelli, MDCCCLXXXIV. Il contenuto di questo opuscoletto fu in buona parte rifuso nei Versi del '90, dei quali sarà discorso di proposito fra poco. settecentesco eh' è il roveretano dementino Vannetti ; e per più di un anno non si occupò che di lui, illustrandone con gran cura alcuni scritti inediti e publicando un' intera diligen-tissima monografia su 1' epistolario e gli amici di lui. Poi, fu preso d' amore (amore non venuto meno mai più e non stato senza un notevole influsso sovra l'arte sua) per un inestinguibile lume di fresca e superba poesia, l'Ariosto; e scrisse 1' eloquente e imaginosa prefazione al Furioso in 24° stampato nell' '85 dal Sansoni in Firenze, e mise assieme, col professor Virginio Zamboni (che taluno confuse col più noto Filippo), quell' eccellente libro scolastico, oramai giunto alla settima edizione, che sono le Stanze dell' Orlando Furioso collegate dal racconto dell' intero poema e annotate 1) ; stanze precedute da uno scritto introduttivo, su la vita dell'Ariosto e sul Furioso, eh' è quanto di meglio si possa desiderare in simil genere di lavori. Nel frattempo, gli era così cresciuto il numero dei versi da poterne, tra editi e inediti, metter fuori un ben nutrito volumetto. Non si risolse però tanto presto e tanto facilmente a consegnare il manoscritto ad un editore, timoroso com' era d' esser rimasto troppo al di sotto del suo elevato ideale artistico. Quando si risolse, e fu nel '90, lo diede allo Zanichelli, che ne ricavò uno de' suoi famosi elzeviri dalla copertina di color giallo aranciato, impressa a caratteri rossi e neri. Da buon discepolo del Carducci, il Picciola dedicò i suoi Versi (così, modestamente, li aveva battezzati) all' illustre Maestro, raccomandando anzi tutto a lui que' componimenti nei quali egli avea trasfuso il tormentoso rimpianto della casa paterna, ormai da dodici anni vietatagli. C' è però dell' altro, oltre 1' amara pena dell' esiglio, espressa con vera e grande efficacia, in quella raccolta di poesie : c' è degli a volte sommessi, a volte fragorosi echi silvestri, colti da un'anima squisitamente sensibile alle bellezze dell' augusta natura e anelante con sincerità alla pace liberatrice e rasserenatrice dei campi: Buono è viver tra' campi. Anche il mistero pauroso de 1' essere dilegua, e nel giocondo adoperare han tregua i tumulti del cuore e del pensiero. ») Bologna, Zanichelli. Non da le eterne pagine che adoro, oh, non da voi, Poeti, queruli ne la vita dolorosa ; ma da le vigne e da le spighe d' oro, ma da' pingui oliveti lampeggia la promessa luminosa ! Guarito in questa sana aura odorosa, schiude il cuore al piacer tutte le porte fermo aspettando che la bianca Morte lo assuma ne' chiarori alti del vero. C' è degli intimi fremiti, dei fremiti amorosi soprattutto, soffusi però, a quando a quando, d' un tenue velo di malinconia e interrotti bruscamente più volte dall' indistruttibile ricordo dell' immensa sciagura dell' esiglio, che non dà pace al poeta e, in quella specie di Canto dell' amore che sono le commosse virili quartine A un oriolo a sveglia (una delle cose più belle di tutto il libro), gii fa perdutamente rimpiangere il caro nido paterno, che non ispera di veder mai più. C' è delle strane fantasie, ora inargentate dal romantico chiaror della luna, ora accese da ariostesclii balenìi di bei tesori: robe broccate e perle e argenti ed ori, donne dal crine in fino a' piedi ondoso... C' è anche delle raffinate evocazioni, nella soave e piana lingua del Trecento, di antiche gloriose figure dell'arte e della storia : de la Vergine di mastro Giambellino, ad esempio, fulgente nella cheta sacristia de' Frari, o di Dante giovine, che muove fra '1 popolo e sospira per una ghirlandetta eh' ei vide a pargoletta umile e bella ; e una dolcezza inusitata spira a la sua ballatetta, che fugge in fretta luminosa e snella su 1' ali d' oro che le diè Casella. Ma a voi le coglie e su le argute carte lei trepidante infrena agile 1' arte d' Oderisi tra vincoli di fiori. Nè manca, in fin di volume, un ispirato Congedo, in cui il poeta s' accomiata con acre angoscia dai sogni e dai fantasmi verso il del montanti dell' anima sua, per rivolgere anche una volta il riverente pensiero e la singhiozzante parola a quella che non gli può uscir di cuore a nessun patto, alla lontana patria perduta, alla lontana patria straziata che invoca il soccorso dei figli non degeneri e eh' egli non è in grado di aiutare: O mia patria santa, i morbidi ozi, no, vinto non m' hanno, e pel duro esiglio indocili reco 1' animo e il pensier, reco, o patria mia, con impeto d' angoscioso assiduo affanno, tutto a te del mio cuor memore il desio solingo e auster. A te i canti ora : e prorompano minacciando, folgorando, e quai lampi in fra le nuvole squarcin 1' ombre a 1' avvenir ; poi la vita . . , Agli spettacoli naturali da un lato, all' amor della negata terra natale, della donna e dell' arte dall' altro s'ispirano adunque in massima parte i Versi del Picciola; e, poiché nessuna contentezza o festa al mondo vale a consolare appieno della perdita della patria, gli spiriti che li animano sono spiriti di mestizia e di preoccupazione. Con tutto ciò, alle volte, segnatamente nelle ballate e nelle sestine (si sa che il Picciola si piacque, a imitazione del Carducci e a gara col Mazzoni e col Ferrari, di rimettere in onore antichi leggiadri schemi metrici nostrani) il poeta sembra pur moversi in un circolo di perfetta serenità, solo intento al vivace sbocciar delle imagini fra l'alterna musica del ritmo e della rima ; ma è allora appunto che egli rompe più spesso fede alla propria vera coscienza artistica e più obliosamente indulge al manierato, al riflesso, all'arcaico; non cadendo però mai (e anche questo va rilevato) nel goffo e nel volgare, grazie al suo straordinario nativo buon gusto e al possesso largo, pitno, sicuro eh' egli ha di tutt' i segreti melodici e dinamici del ritmo e d' ogni più raffinata eleganza linguistica. Della imitazione carducciana nei Versi del Picciola, benché qualche critico n' abbia fatto gran caso, non mette proprio conto discorrere : essa è tutta esteriore, tutta in qualche mossa, in qualche costrutto, in qualche accoppiamento d' aggettivi, nella scelta di qualche metro o motivo. Quante poesie compose il Picciola, che fu poeta di razza e quindi, comunque affollato di occupazioni e di brighe estranee all' arte, non potè mai intralasciare di far versi, dal '90 ai primi successi della spedizione a Tripoli, che gli fecero erompere dal caldo cuore le ultime cose in rima? Non molte, incontentabile com'era; tante però, che, a volerle raccogliere tutte, se ne potrebbe facilmente ricavare (come ci ripeteva e). Spentosi, ritorna nell' anno 593, facendo strage fra le truppe di re Agilulfo che assediano Roma2). Nel 597 si presenta nella Grecia, specialmente a Tessalonica e con tal furore che vi perde la vita la metà degli abitanti di tutto l'impero bizantino. Agatia, Procopio ed Evagrio storici contemporanei ci lasciarono la descrizione di quella terribile epidemia. I sintomi furono quelli della peste bubbonica, ma lo spavento entrato nelle menti delle popolazioni, coadiuvato da tristi presagi, da orribili visioni fu tale, che buona parte di coloro che furono risparmiati dal morbo ebbero leso il cervello ed in generale tutto il sistema nervoso. Vili. Il morbo penetrò in Istria negli anni 557, 584, 591 e dal 600 fino al 601. Quali città la peste avesse colpito in quelle annate non ci venne dato di rilevare. Le notizie che togliamo dall' «Istria» di Kandler') offrono la nuda data senza corredo di fonti o d'altre indicazioni. Ammettendo per le epidemie istriane una gravità eguale a quelle delle epidemie che in quel torno di tempo desolarono l'impero bizantino, devesi ritenere che la provincia nostra ne abbia sofferto in sommo grado e che ne sia susseguita perdita enorme di popolo. Forse le stragi prodotte da quelle epidemie contribuirono in vaste proporzioni alla decadenza incipiente della prosperità istriana, all' abbandono di quelle dimore sontuose, che al principio del secolo Cassiodoro descriveva e che formavano il più beli' ornamento dei territorii suburbani. Invece nei tre secoli che seguirono, l'Istria venne, a quanto finora si sa, risparmiata dalle pesti e sebbene fosse bersaglio alle incursioni d'orde straniere, le quali non poco la desolarono, potè tuttavia dare saggio ci' un benessere e d' un' opulenza nelle produzioni dell' arte bizantina, di cui ancor oggidì rimangono traccie evidenti. Nel secolo che segue occorsero parecchie epidemie di peste in Europa. Il morbo penetrava nel 695 in Costantinopoli portatovi dalla Siria, ove durò fino al 700. Da Costantinopoli s' estendeva verso 1' Occidente divampando in tutta 1' Europa. Lo troviamo nel 749 in Sicilia e nelle Calabrie dominando nei paesi mediterranei fino al 814 con furore estremo, sicché non si può ammettere che l'Istria ne sia stata risparmiata. 1) Dahn. Op. cit. III. 288. 2) Dahn. Op. cit. III. 296. 3) Kandler «Istria» Vol. V, 1. Seguono per 1' Europa 100 anni esenti di pesti bubboniche. Appena verso 1' anno 938 il morbo colpisce Venezia. Dall' Oriente, ov' esso non s' era estinto ancora, penetra mediante le navi di commercio nella città delle lagune e vi mena orrende stragi. E' ignota la durata del morbo nella città e non si sa neppure se oltre a Venezia altre città d'Italia ne sicno state colpite. Ciò che si può ammettere si è che l'infezione non s' e-stinse si presto, ma che perdurò, giacché pochi anni più tardi nel 954 e 958 il morbo ricomparve a Venezia e sembra gravemente, per passare successivamente in Italia, ove non cessa tosto, ma vi si mantiene per parecchi anni *). Se ne ha una prova nel fatto che nel primo scorcio del secolo decimo Rovigno a motivo di frequenti calamità, miserie e pestilenze, dovette per 20 e più anni interrompere la fabbrica del Duomo, iniziata nel 904 2). Il morbo frattanto continua ad estendersi in Europa e lo troviamo a Roma nel 983, a Venezia nuovamente nel 996, ove ed in tutta l'Italia si mantiene fino al 1007, nel qual anno si ripresenta in Istria e contemporaneamente nella Carniola, in cui perdura fino al 1009 apportando la desolazione 3). Nel 1010 troviamo la peste di nuovo a Venezia, dopo di che si ha una tregua fino al 1022. In quest' anno il morbo che regnava nei paesi nordici (Polonia-Glogau nel 1017)4), dirige il viaggio fatale verso il Sud e penetra in Italia devastandola. Seguono 50 anni di tregua o di mancanza di notizie, all' espiro dei quali nell' anno 1073 fino al 1080 il male s'introduce e domina a Venezia facendovi stragi6). Da quest'epoca in poi per una lunga serie di anni le epidemie di peste si susseguono una prossima all' altra. Troviamo il morbo in Kiew (Russia) ove in forma di spaventosa epidemia domina dalla metà di Novembre dell' anno 1091 al 1. Febbraio 1092, cagionando la morte a 7000 persone 6). Dalla Russia la peste passa nell' Occidente d' Europa e specialmente a Venezia, nella qual città si presenta nel 1096 e vi resta quasi stabile per lunga serie d' anni, giacché lo troviamo in ogni decennio, così nel 1102, 1118, 1149, 1151, 1153, 1157, 1165, 1177 e 11827). Fra queste annate d'epidemia emerge quella del 1) De Franceschi — Istria — Note storiche, pag. 334. 2) Atti e Memorie della Società istriana d' archeologia e storia patria, Vol. I, pag. 333. 3) Kandler — Lettera al Dr. Guastalla. Neil' «Osservatore triestino» del 1871. 4) Schiemann. — Storia della Russia — trad. ital pag. 512. 5) Kandler — Annali. 6) Schiemann — Op. cit. ') Kandler — Annali. 1177, la quale sta di certo in relazione con quella di Scio in Grecia, ove la spedizione veneta diretta contro Emanuele imperatore bizantino (a. 1143-1181), la quale dovotte nel 1171 svernare a Scio, veniva decimata dalla peste l). A questa serie d' epidemie di peste appartiene pure la grande epidemia che nel 1197 devastò Vienna, la di cui origine viene attribuita ai Crociati reduci dall' Oriente 2). L'Istria stessa non ne andò esente perchè nel 1137, 1154 e 1182 la peste scoppiava a Capodistria e in modo tutt'altro che leggero 3). Gli ebrei feneratori a Capodistria (Continuazione vedi a pag. 32). Dai documenti che abbiamo trascritto risulta che i primi patti, o capitoli, fatti cogli Ebrei a Capodistria risalgono al tempo del Podestà Michele Contareno, al 1391, gli Ebrei però si trovavano nella Comunità molto tempo prima; si rileva da un fascicolo pergamentaceo, pervenuto ;n dono al nostro Archivio dopo la pubblicazione dell' inventario, che essi fenera-vano a Capodistria già nel 1386 e prestavano su pegni con regolare contratto notarile. I capitoli furono stipulati con Davide Veymar 4) e Salomone de Crucilach. Essi sono favorevoli agli ebrei, perchè li assolvono dal portar 1' O 5) o qualche altro segno, e permettono loro di esigere dai debitori citati in tribunale il loro interesse tre mesi dopo la scadenza lino alla 1) Vassilich Giuseppe — Da dedizione a dedizione. «Archeografo triestino» XVI, pag. 138. 2) Monatschrift fiir Gesundheitspflage. Wien, XV, 134. 4) Nel fascicolo pergamentaceo, di cui più sopra si fa parola, il nome di David è Vehemar, altrove il Marsich lesse Veninar e Vainichar. E' certo che questo David è sempre il medesimo ed è ragionevole che il suo vero nome sia Veymar, come è sempre chiaramente scritto nel nostro fascicolo degli Ebrei o scritto da essi stessi, o fatto per conto loro. 5) L' O era «una cordella zalla lata uno digito et magnitudinis unius panis quatuor denariorum a parte anteriori». Ducale Foscari ad Omobono Gritti 20 gennaio 1430. riscossione del pegno o all' estinzione del debito, e di sostituire altri ebrei al loro banco, quando per affari speciali debbano dipartirsi da Capodistria. In questi capitoli non si parla del tasso dell'interesse, cosa importantissima, perchè il fascicolo nostro ha lo scopo, come ho già osservato nella prefazione, di rilevare i privilegi che godevano gli ebrei di Capodistria e precisamente le famiglie di David e di Salomone, che avevano incominciato a tener banchi. Il tasso sarà stato probabilmente di due piccoli per lira o di due piccoli e mezzo, come si ha ragione di credere giudicando dai capitoli posteriori, che da questi derivarono. I capitoli furono confermati a Davide e ai figli di lui Marco e Mandolino nel 1409 e nel 1425, quindi dopo la morte del padre e del fratello Marco a Mandolino fino all' anno 1434, anno nel quale il Podestà Zanotto Calbo impose a Mandolino di chiudere il suo banco ')• * II vecchio Veymar godette fama di banchiero danaroso; nell' anno 1416 addi 14 maggio il Comune di Trieste mandò ambasciatori al Podestà e Capitano di Capodistria per officiare Davide Vainichar ? ebreo e feneratore a Capodistria a voler prestare alla città di Trieste certa somma per riscattare dalle mani di Federico conte di Cilli gli ambasciatori triestini Antonio e Leonardo Blagovicchio 2). Mandolino suo figlio, come abbiamo detto, tenne banco fino al 1434, ma si fermò a Capodistria fino al 1443. Si deve ritenere che anche Mandolino godesse in sulle prime una certa reputazione se per tanto tempo tenne dietro ai suoi affari senza molestia alcuna, perchè non era il solo che fenerasse in città. Noi vi troviamo Samuele de Magancia che fenerava insieme col padre di lui3). Nel 1418 troviamo Abramo di Li-bermano passato poi a Trieste 4), Moisè di Samuele e Samuele di Salomone, ai quali Francesco Foscari con ducale diretta ad Andrea de Lege nel 1427 permette di abitare a Capodistria e di fenerare ai cittadini coli' interesse di tre danari per lira5). 4) Vedi «Pagine Istriane» A. IX, pag. 272-276. 2) A. Marsich, Effemeridi istr., «Provincia» A. XXII, pag. 67. 3) Vedi «Pagine Istriane» A. IX, pag. 238. 4) A. Marsich, «Provincia» A. XII, 1878, pag. 129. 5) Liber Niger, p. 66 N. d'Arch. 1169. Ma non è più collo stesso favore che gli ebrei vengono considerati dalla Serenissima e qua e là fanno capolino i segni precursori dell' odio che un po' alla volta s'accende contro di essi. Il doge Francesco Foseari addi 9 novembre 1423 ordina al Podestà Alessandro Giorgio che nessun Ebreo od Ebrea possa comperar stabili e, se li possiedono, debbano venderli entro due anni se non li vogliono perdere '). Lo stesso doge nell' agosto del 1425 ordina al podestà di Capodistria Iacobo Venerio di proibire agli ebrei i livelli su possessi stabili2). Cinque anni dopo al Podestà di Capodistria Polo Cornario viene mandata una parte presa sopra i Zudei dell'Istria, colla quale si limita 1' usura al 3 per cento sopra pegni e si ordina che gli Ebrei portino 1' 0, per cui esso venne imposto da Omo-bono Gritti a Mandolino e Marco figli di David Veymar3). E' da notarsi che i due fratelli protestarono ed ottennero giustizia; furono esentati dal portar il segno e fu annullata per loro la multa di 25 lire di piccoli loro inflitta, perchè non s' adattavano a portarla '). Tuttavia l'astro della famiglia impallidisce: il podestà Zanotto Calbo prima prima fa accordare nel 1434 a Salomone di Trieste il permesso di fenerare alle condizioni degli altri, poi toglie a Mandolino il permesso di tener banco5). Questi però, come abbiamo veduto, rimane a Capodistria e protesta per avere il suo fino all' anno 1443 6). Altri ebrei intanto si susseguono; nel 1440 vi troviamo un certo Orso al quale viene imposto di dare 180 ducati d' oro per il prestito di 500 ordinato da Francesco Foseari al Podestà di Capodistria Valaresso7). Nel 1450 c' è un ebreo Iacob, al quale Francesco Foseari, >) Liber Niger, pag. 55, N. d'Arch. 1169. 2) Liber Niger, pag. 58 b. 3) Vedi «Pagine istriane» A. IX, pag. 241 e 243. 4) Ducale Frane. Foseari, 16 luglio 1431. «Pagine Istriane» A. IX, pag. 241. 5) «Pagine Istriane» A. IX, pag. 244. 6) «Pagine Istriane- A. IX, pag. 276. ») Liber Niger, pag. 95 b, N. d'Arch. 1169. Gli ebrei tassati furono i seguenti: Orso, abitante a Capodistria con due. 180, Iacob di Parenzo con 180, Bonaventura di Muggia con 30, Giuseppe di Muggia con 50. con ducale diretta a Marco de Lege, vuole siano mantenuti i patti secondo 1' antica consuetudine ') Poi troviamo un certo Abramo di Mestre, quindi nel 1454 un certo Abramo Iudeo over Bonaventura, al quale il medesimo doge concede di poter partire dopo esser rimaso 6 mesi a Capodistria 2). Cinque anni dopo e precisamente ai 22 novembre del 1459 il doge Pasqualigo Maripetro conferma agli ambasciatori di Capodistria, mandati dal Podestà Andrea Venerio, per un certo Iacob, i capitoli già conclusi a suo tempo con Mandolino e poi con Abramo di Mestre. (Continua) F. Majer. Bibliografìa istriana A) Opere d'istriani e di corregionali stampate in Istria e fuori; opere di forestieri stampate in Istria. 30. Raccoltina scolastica, diretta da G. Vidossich (Trieste, Quidde, 1912). 1). Carlo Goldoni : II bugiardo, commedia in 3 atti annotata da E. Maddalena (pagg. 91). 2). Il Temistocle, di Pietro Metastasi«), annotato da G. Quarantotto (pagg. 61—VI). Nel nuovo piano didattico dell' italiano per le scuole medie è giustamente disposto che, in quanto sia possibile, le opere letterarie sieno da leggersi per intero (cosa, a dire il vero, naturale e necessaria, quando si tratti di una commedia o una tragedia e sim., delle quali una scena o una parte non fa intendere niente), e che perciò si abbiano dei testi speciali, all' infuori delle antologie scolastiche, in modo che il docente abbia libertà di scegliere. A questo scopo 1' editore Quidde, benemerito delle nostre edizioni scolastiche, assicuratasi la cooperazione del dott. Vidossich, iniziò tuia Raccoltina, della quale sono usciti i due primi fascicoli, curato il primo dal ben noto studioso del Goldoni, il dott. E. Maddalena, e il secondo dal collega, prof. Quarantotto Pari fu in tutti e due la cura del testo, desunto da buone edizioni, secondo l'intenzione degli autori. Per la commedia goldoniana il Mad- ') Liber Niger, pag. 120, N. d'Arch. 1169. 2) Liber Niger, pag. 136, N. d'Arch. 1169. dalena riproduce molto opportunamente anche la dedica e l'avvertimento che di solito a torto si omettono, e il Quarantotto premette 1' argomento. Oltracciò, secondo il piano dell' opera, v' è in ciascuno dei libretti un cenno storico sulla composizione e, in fondo, le annotazioni. E' comune difetto dei commentatori o di abbondare nelle spiegazioni di cose che tutti capiscono, o di sfuggire alle vere difficoltà. Nel caso nostro i due commentatori hanno saputo tenere il giusto mezzo e corrispondere ottimamente al loro ufficio, sempre tenendo dinanzi lo scopo della raccolta e le persone cui è destinata. Quindi sono evitati i giudizii estetici che possono preoccupare ed impacciare la spiegazione del docente ; vi sono dati in quella vece quei dati di fatto che giovano a togliere le prime difficoltà della lettura. Il commento del Maddalena è fatto più di notizie storiche del costume coni' era richiesto dal genere commentato, cioè una commedia ; invece il Quarantotto si sofferma piuttosto alle particolarità stilistiche e metriche, trattandosi di un melodramma. Di tutti e due si può sinceramente dire che hanno fatto opera utilissima per la scuola. g. 31. Jiumero Unico de « La Fiamma», edito per cura della gioventù nazionalista di Pola; Pola, Niccolini, 1912; II ediz. ; prezzo, cent. 20 (a / scopo di beneficenza). Lo scopo degli editori di questo indovinato, ricco e decoroso Numero Unico era (e così avevano anche stampato) di spacciarlo a vantaggio delle famiglie dei morti e dei feriti nella guerra d' Africa. Ora, alla Censura parve necessario di esigere che la vendita di esso si effettuasse solo dopo la soppressione della suddetta clausola e di una Noterella altresì in cui era ricordata una interpolazione parlamentare di Michele Pachinetti... Pur cosi mutilato, il Numero Unico della Fiamma incontrò ed incontra il generale gradimento ; e non è forse escluso che ne vediamo comparire in breve una terza edizione 1). Lo abbiamo detto ricco e decoroso ; e volevamo dire ricco per contenuto letterario e decoroso per forma tipografica. I giovani nazionalisti di Pola se ne possono giustamente tenere ; e con loro possono dirsi sodisfatti appieno quanti vi collaborarono con 1' opera intellettuale o manuale. Vediamone adesso il contenuto. Al posto d' onore fa bella mostra di sè Un sonetto giovanile di Giovanni Pascoli, mandato dall' illustre Giuseppe Picciola2); delicata e gentil cosa, tutt'altro che indegna di colui che divenne poi 1' ammirato poeta di Myricae e dei Canti di Castelvecchio. Anche versi altrui, ma di cent' anni fa, cioè della fortunosa epoca napoleonica, publica Attilio GentiUe ; mentre versi propri in lingua stampano CesareJiìfijìSi* EldaTTjIanelli, Haydée (cari noti nomi, dolci nobili canti), Riccardo Gradassi Luzi (di Terni), il sottoscritto e Renato Rinaldi ; e versi propri in dialetto il venerando e sempre vigile patriota~d7r Nazario Stradi, Domenico Varagnolo (di Venezia), Nane_Verigola e Tita Bidoll. Tutto il ') Questa recensione fu scritta lo scorso maggio. La terza edizione, qui pronosticata, non uscì, nè, sembra, uscirà. Ma la seconda andò a ruba. 2) Spetta ora a questo articoletto il tris'.e vanto d' essere proprio 1' ultima cosa data a stampare dal povero Picciola. resto è prosa; prosa dei generi più diversi, ma attraente e simpatica tutta. Vien primo Arturo Pasdera, con un dotto articolo sur Un ghibellino da Pola araldo della Repubblica fiorentina e con un paziente Frammento genealogico della famiglia dei Sergi de Pola de Castro Pola (i gruppi della discendenza dal 1250 c. al 1450 c.) ; seguono Silvio Benco, con un sottile pensiero ; Camillo De Franceschi, con un denso Brano di Storia polese (I primi cinquant' anni del dominio di Venezia); Giv. (Volpe, del Piccolo), con un raccontino, Salutate!...; Ferdinando Pasini (Da «Cuore« a «Fiam-mi ferino»), Mario Nordio (Sul campo di battaglia di Sciava- Sciat), G. Q. (Noterella fachinettiana : a proposito del Fachinetti uomo politico), Antonio. Batlara fBeethoven e Wagner) e, con un simbolico pensiero che bene chiùde la degna publicazione, Attilio Tamaro. (*. Q. 32. Cinquant' anui «li autonomia della Civica scuola reale superiore all'Acquedotto in Trieste, 1862-1912 (Trieste, Caprin, 1912, pagg. 109). Gli avvenimenti di cinquanta anni fa per i quali la nazione italiana fu ricostituita a stato indipendente ed ebbero cosi solenne e calda commemorazione a Roma, Torino, Firenze e per l'Italia tutta, furono, come si sa, cagione che anche la vita politica e sociale dell'Austria uscisse ad una certa libertà ; e perciò anche per gli Italiani dell' Austria ricorre ora il giubileo cinquantenario di parecchie istituzioni nazionali; chè la vita nazionale, invano oppressa sotto 1' assolutismo, subito risorse al primo sole, per quanto languido, del costituzionalismo. Un anno fa cadde 1' anniversario cinquantenne della dieta istriana e del consiglio triestino ; ora è la volta delle scuole italiane che la volontà popolare liberata subito instituì. Notizie sulle scitole reali a Trieste si trovano nel Ragguaglio storico sull' i. r. accademia di commercio e nautica, nel 500 anniversario di sua fondazione (Trieste, Herrmanstorfer, 1867), poi anche nella pubblicazione della Sezione nautica dell' i. r. accademia di commercio e nautica nel centocinquantesimo anniversario della sua istituzione (Trieste, Lloyd, 1904), e soprattutto nella Cronaca dei primi cinque lustri della civica scuola reale superiore (Trieste, Caprin, 1888). Ma questa pubblicazione che ora ci viene offerta, non è già una semplice ripetizione o integrazione delle sunnominate. Completa sì di quelle le statistiche, gii elenchi dei professori e dei licenziati, ma nella sua parte principale, che è lo studio del prof. Rocco Pierobon Sull' istruzione tecnica a Trieste, offre un nuovo e vivacissimo quadro non pure di vita scolastica, ma anche civile e politica. Fin dalle prime pagine il lettore si accorge di avere dinanzi non una delle solite cronache a base di numeri di decreti e di date meticolosamente esatte, ma una personale e scultoria rievocazione di fatti e di pensieri, di stati d' animo collettivi ed individuali, risolutamente espressa in frasi concise e periodi sintetici. V' è una brusca energia, la quale, nei trapassi apparentemente improvvisi, apre larghi orizzonti di fatti e di pensieri. La scuola vi è sentita, come deve essere, integrazione della vita, effetto e causa del più ampio movimento sociale, civile, politico. Ed è perciò che nello studio del prof. Pierobon, il quale, quando occorra, non rifugge dall' esporre ed esaminare anche orarii e questioni di minuta disciplina, ma non perciò tiene a mostrare tutto quanto ha ritrovato e raccolto, noi leggiamo non soltanto la storia dell' istruzione tecnica a Trieste, ma intravvediamo anche i movimenti sociali della città, le trasformazioni politiche dello stato, anche le tendenze filosofiche dell' epoca. V' è nello scritto un ampio respiro di umanità, o diciamo pure, di umanesimo, del quale il docente ha qui animata la cronaca, come nella scuola eleva il suo insegnamento. S- 33. Atti della Società italiana per il pi-ogresso delle scienze. — Quinta riunione, Roma, ottobre 1911. In questo grosso volume, di quasi 1000 pagine, testé pubblicato, oltre ai discorsi dei maggiori scienziati d'Italia, e all' importantissimo ciclo di conferenze, nelle quali si illustrano i progressi scientifici dell' Italia neir ultimo cinquantennio, c' è un discorso che ci tocca davvicino così per il contenuto come per 1' autore. Ed è la relazione che il prof. Guido Timeus, tenne alle sezioni riunite della Classe A sul tema 11 litio e la radioattività quali mezzi d' indagine nell' idrologia sotterranea ; V origine del fiume Timavo (pagg. 750-772 con illustrazioni), della quale parleremo altrove. Qui vogliamo ricordare 1' accenno che riguarda la nostra regione ed i nostri studiosi nella relazione di S. Ghirardini L'archeologia nel primo cinquantennio della nuova Italia (vedi pag. 718). Notiamo poi che delle sedute della sezione di storia e archeologia una fu presieduta a titolo d' onore dal prof. Puschi e I' altra dal dott. Marchesetti (pagg. 893-895). Il triestino prof. P. G. Goidanic riferì sullo Sviluppo della Società ortografica italiana e studi da essa intrapresi, e la relazione è stampata con la nuova ortografia o neografìa com' è chiamata. g. 34. Riccardo Pitteri : Il dito di Venezia; Venezia, Istituto veneto di arti grafiche; MCMXII. Questa collana di nove sonetti, che sono come l'inno della bene augurata resurrezione del campanile di San Marco, usci in luce proprio il 25 aprile u. s., a maggior lustro della indimenticabile festa veneziana, ed ebbe, per l'uomo che 1' aveva scritta e il paese d' onde proveniva, un altissimo significato : quel significato medesimo che avea avuto, dieci anni fa, un altro componimento poetico del Pitteri: il canto in terzine sopra il dolorosissimo improvviso crollo della vetusta torre. La prima cosa che colpisce il poeta è la rinata mole, cui il famoso angelo dorato maestosamente sormonta : Teso come un gigante indice al cielo Il Campami nel suo trionfo splende ; Del giglio antico il ben risorto stelo Tra i mille fiori di Venezia ascende. L' angel lassù d' azzurri spazi anelo Le robuste dorate ali distende, E il leone al suo piè da 1' evangelo Guarda con occhio uman se il volo ei prende... La scena è riprodotta da maestro : campanile, angelo e leone si vedono davvero ; e quasi quasi si vede e si sente anche il circostante tripudio umano. Ben s' accorge il poeta che, se nuova è la costruzione, l' anima del Campanile è sempre quella, è la vecchia anima veneziana esperta di tutti gli ardimenti e di tutte le glorie. Così il canto del Pitteri diventa evocazione storica. Ma dal passato il poeta ritorna rapido al presente e afferma, con beli' impeto, che la rinata torre rispecchia anche, simbolo sublime, Il genio della Patria, onde la prole S' erge animosa a le più belle cime ; saluta i leggendari colombi che popolano, da epoche immemorabili, la Piazza e la Piazzetta e nidificano ne' superbi monumenti ; esorta eloquente il campanile a sollevare in alto in alto i cuori dei poeti, ad opporre la sua fibra signorile Che d' oro ha purità, tempra di smalto, Delle scettiche plebi al tristo assalto, A gli scherni del secol mercantile... Indi, augurato che Venezia continui a seguire il suo falò, il Pitteri porge ascolto all' augurio che da tutta la città sale unanime verso il rinato monumento, che già addita al mondo i trionfi D' altri Pisani e d' altri Morosini ; nè tralascia ci' interpretare anche il linguaggio del Campanile stesso, che si sente tutt' una cosa con la torre crollata, cosi che non pur vede Rinata Italia e se per lei rinato, ma ricorda tuttavia, fin ne' più minuti particolari, i cessati fasti republicani: Ho vista La preda qui dell' oriente vinto, Porfidi egizi, bronzi di Corinto, Gente di fogge e di loquele mista... Questo l'ideal contenuto dei nove robusti sonetti ; ai quali poi non fa difetto nessuno di quei rari pregi d' empito lirico e d' animazione fantastica che da tanti anni siamo usi ad ammirare nel Pitteri e che ammireremo, si spera, per molti anni ancora, giacché il Pitteri, per quanto gli dia da pensare, scrivere e... brindare la Lega, non vorrà mai, perchè poeta fin nel midollo, congedarsi definitivamente dalle Muse. Gr. Q. 35. tesare Rossi : Nozze Pessi-Escher ; Trieste, XXVI giugno MCMXII; tipografia Balestra editrice. Sommano a tre i brevi capitoletti che Cesare Rossi, cantore nuziale di squisita gentilezza e di profondo sentimento, Ubera per le nozze della signorina Ida Pessi, nipote di Riccardo Pitteri, del quale il Rossi è, si sa, più fratello che amico : e sono in essi, con soave leggerezza di tocco e lieta vivacità di colore, fermati, a dir così, tre quadretti: quello della partenza d'Ida Pessi per un lungo soggiorno in Toscana, A illeggiadrire la natia favella Là dove d' Arno musicale è 1' onda ; quello del di lei ritorno a Trieste, con già in cuore il presagio del vicino incontro con l'uomo che l'avrebbe fatta sua; quello, finalmente, del di ei incedere, col nuziale corteo, itala sposa, verso il colle ove ne' marmi incise Roma latina incancellate impronte. Il tutto poi è, come in ogni manifestazione poetica del Rossi, pervaso da una dolcissima musica, musica di parole, musica di stile, musica di ritmo. (i. Q. 36. Dott. G. du Bau : Degli accoppiamenti di tre o più vocali e del j nella prima parte del sistema stenografico Gabelsberger-Noe, esclusi i nomi propri. Estr. dal Bollettino stenografico italiano. Venezia; a. XI, n. 2; febbr. 1912; Scarabellin. 37. Steno Tedeschi : Intorno agli oggetti del pensiero. Estr. dalla Rivista di filosofia; a. IV, fase. I; A. F. Formiggini, Modena, 1912. 38. Giuseppe Picciola: Tripoli e l'Italia, discorso (di G. P.) all'Unione liberale di Firenze; X febbraio MCMXII; Firenze, Tip. G. Ci-velli, 1912. 39. Domenico Lovisato : Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna), nota (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei) ; Roma, 1912. 40. Marino de Szombathely : Re Enzo nella storia e nella leggenda; Bologna, Nicola Zanichelli, 1912. 41. Salvatore Barzilai : Vita parlamentare: discorsi e idrofili politici, con prefazione di Ferdinando Martini, Roma, tipografia editrice nazionale, 1912. 42. Dott. Francesco Arnerritscli : Della rabbia, con speciale riguardo alla profilassi umana. E. Vram, editore ; Trieste, 1912. 43. M. G. Bartoli : Lingua letteraria. Triennio 1909-1911. Estratto àaXV Annuario del Vollmoller, Erlangen. R. B. Hof- und Univ.- Buchdruc-kerei von Iunge & Sohu. 1912. [Vi apprendiamo una buona notizia : che il Meyer-Liibke vuol far seguire alla serie alfabetica degli etimi del suo 'dizionario etimologico delle lingue romanze' uno studio 'sintetico' di lessicologia romanza, il quale sarà tradotto in italiano.] 44. Francesco Babndri: Appunti lessicali sulla parlata della campagna istriana. Capodistria, Stab. tip. Carlo Priora, 1911. 45. Francesco Babndri : Roma o Genova ? Parenzo. Tip. Gaetano Coana, 1911. 46. Francesco Babndri: Un diploma di Carlo V. Parenzo. Tip. Gaetano Coana, 1911. B) Oporo di forestieri stampate fuori dell'Istria e riferenti s i in via diretta o indiretta ad essa. 47. R. Katz : Werke Klassischer Kunst (Stuttgart, Ebner, 1910, 3 voi.). In questa ricca pubblicazione si trovano riprodotte parecchie antichità che sono nella nostra regione, così di architettura come di scultura ed arti affini. Alcune di queste opere non riguardano la nostra regione, ma si conservano nel museo triestino di storia e d' arte e fanno parte della preziosa collezione tarentina o di quella ex Sartorio : maschere e vasi tarentini sono nel vol. I tavole 15, 24, 25, vol. II n. 374 e vol. Ili n. 505 (vaso greco) e 506 (il famoso rhyton). Nel vol. I tav. 60 c' è il bassorilievo d' Amore e Elena del Museo triestino. Del resto ci sono monumenti di Pola: l'arco dei Sergi, che erroneamente viene designato come Porta Aurea, nel vol. II n. 340, 366, 367 (anche di questo la designazione è sbagliata) e vol. Ili il. 421, e il tempio di Augusto vol. II, n. 382, e voi. Ili n. 531, 532, 533. X. 48. Giuseppe Sai violi : L' istruzione in Italia prima del Mille. Firenze, G. C. Sansoni, editore; MCMXII. [Accenna brevemente, a pag. 93, alle scuole triestine del tempo del vescovo Giovanili (759-766), nelle quali studiò Fortunato di Trieste.] 49. Cesco Tomaselli : Canzoni eroiche, con prefazione di Riccardo Pitteri ; Venezia, Libreria scolastica veneziana di Giusto Fuga ; 1912. [E', notiamo la curiosità del fatto, la prima prefazione a un libro di versi che sia uscita dalla penna del Pitteri.] 50. Per Giuseppe Picciola ; 19 giugno 1912; Firenze, tipografia giuntimi (1912). [Contiene i discorsi pronunciati sul feretro di Giuseppe Picciola dai professori Alberto Eccher Dall' Eco e Arturo Linaker e dallo studente Gino Bizzarri.] NOTIZIE E PUBBLICAZIONI. * Il libro e la stampa, Bullettino ufficiale della «Società Bibliografica Italiana» Milano 1912, Fase. I : Lodovico Frati, I codici di un medico inglese del sec. XIII. — Giorgio Rossi, L' epistolario, foglio settimanale del sec. XVIII. — G. Gallavresi, La liquidazione sfortunata di una delle prime stampe di versi del Manzoni. — F. Novati, Tra gli autografi (11 matrimonio Beccaria Manzoni, da lettere autografe di Cesare Beccaria e di Giulia Beccaria Manzoni). * L'Ateneo Veneto, Venezia 1912, Fase. 1 e 2: Dott. Luigi Boschetto, Come fu aperta la guerra di Candia. — Guardiane Francesco, Dal Mare Libico agli orti delle Esperidi. — Alessandro Righi, Ippolito Pinde-monte e la politica veneziana. — C'sare Musatti, Spunti di dialetto veneziano nella commedia Sior Todero Brontolon. — Ernesto Lamina, La più antica stampa di rime volgari italiane. ^ Bollettino dell'Associazione archeologica romana, Roma 1912, anno II, n. 3-4: Filippo Tambroni, Topografia di Roma antica — II regione (Caelimontium). — Serafino Ricci, Le Discipline Numismatiche Italiane nel-1' ultimo cinquantennio. — Domenico Cancogni, Il Tribunato e 1* eredità di C. Poplicio Bibulo. — Alberto Galieti, Marianna Dionigi. — Francesco Fornati, Lavatio Matris Deum. * Madonna Verona, Verona 1912, A. VI, n. 1 : V. Cavazzocca Mozzanti, I pittori Badile. — P. M. Tua, Per un elenco delle opere pittoriche della scuola Veronese prima di Paolo. — Pietro Calzari, Paolo Caliari pittore (1763-1835). — Attilio Mazzi, Gli Estimi e le Anagrafi inedite dei pittori veronesi del secolo XV. * Rivista Ligure, Genova 1912, Fase. 1 e 2 : Arturo Issel, Un viaggiatore genovese nella Tripolitania e nella Cirenaica durante il 1817, — Ernesto Curotto, Il poeta ligure Scipione Della Cella. — Ellen White, Gli affreschi di Teramo Piaggia nel Santuario di N. S. delle Grazie. — Orlando Grosso, Il ritratto e la tomba di Pagano D' Oria rinvenuti nel Museo di Palazzo Bianco. — G. Poggi, La spedizione di Tripoli nel 1559 — Rodi e le devastazioni dei Turchi nell' Egeo. — A. Gianola, Euphorbos. * Atti e Memorie «Iella R. Accademia Virgiliana di Mantova, voi. IV, Parte I : P. Torelli, Studi e ricerche di diplomatica Comunale. * Archivio Trentino, Trento, A. XXVI, Fase. 1-4: Silvestro Valenti, Notizie documentate e la Carta di regola di Cadersone (Spogli d'Archivi)- — Ludovico Oberziner, Intorno a una sorella di Alessandro Vittoria. — Silvestro Valenti, Documenti inediti riguardanti la guerra di successione spaglinola (1701-1713) nelle valli occidentali del Trentino. * Atti del Reale Istituto Veneto, Venezia, 1911-12, Tomo LXXI, Disp. 1-7 : A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. — G. B. De Toni, Illustrazione del Quarto Volume dell'Erbario di Ulisse Aldovrandi. — L. Landucci, c. s., Giorgio Vasari a Venezia. — N. Tamassia, m. e., Le Exceptiones Legum Eomanorum e il diritto longobardo. — A. Medin, s c., Un versificatore del cinquecento rivendicato all'Italia. * Forum Julii, Gorizia, A. Ili, N. 1 : Aurelio dott. Monteverde, Il concilio di Mantova (827). — Cav. Enrico Prof. Maionica, Le basiliche di Aquileia Grado e Trieste e gli edifici sacri antico-cristiani dell' Istria e della Dalmazia, (continua). & Memorie storiche Forogiuliesi, A. 7, Fase. 4: Le vicende politiche e religiose del territorio friulano da Costantino a Carlo Magno (sec. IV-VIII). % Pro Cultura, Trento, A. II, n.i 1-3, 1912: Enrico Brol, Carlantonio Pilati a Venezia. — Guido Boni, I quadri della passione nella chiesa decanale di Tione. — Giuseppe Gerola, La sala del Clesio alla Esposizione regionale di Roma. — G. B. Cervellini, Iconografia Clesiana. — Francesco Menestrina, L' arcivescovo Pueeher-Passavalli. — Gustavo Chiesa, Un caso di crumiraggio a Rovereto nel sec. XVIII. — Archivio Folcloristico. & Coltura e Lavoro, Treviso, 1912, n.i 2-7 : Tito Garzoni, Una lettera di Mario Rapisardi. — V. Bortolaso, L'ultimo periodo di vita comunale a Vicenza, dalla morte di Ezzelino, alla Signoria Scaligera. — Augusto Serena, Emilio Teza. — A. Ronchese, Niccolò Tommaseo e Giacomo Leopardi. Augusto Serena, Giuseppe Picciola. ^ Atti della I. R. Accademia degli Agiati, Rovereto, vol. XVIII, Fase. 1-2, 1912: Dr. Pietro Lanza, Cesare Beccaria. — Prof. Attilio Stefani, Tartini (?) Del suono fondamentale. Giuliano Tessari editore e redattore responsabile. Stab. Tip. Carlo Priora, Capodistria.