ANNO I. Capodistria -16 Décembre 1807. N. 8. ?IN GìA GIORNALE DEdL1 INTERESSI CIVILI, ECONOMICI ED AMMINISTRATITI DELL'ISTRIA. Esco il 1 ed il 16 d'ogni mese. ASSOCI VZIO>IE per un anno f.ni 3. semestre e quadrimestre in proponine. — Gli abbonamenti si ricevano presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si ricevono gra-tuitamenle; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi 5 per linea. — l ettere e denaro franco alla Redazione. — Pagamenti antecipati. DUE URGENTI BISOGNI. ( * ) (Continuazione e fine, vedi n. 7. ) A bene riuscire negli studi della statistica convien ehiamare in sussidio la sliria. Imperocché a ben giudicare delle presenti nostre condizioni, a rendercene ragione, fortificarci nella lède d'un lieto avvenire, cucilo stesso tempo additarci le vie più sicure per produrlo, nulla è più giovevole, anzi indispensabile, che la nostra storia. E qui si.presenta un'altra calamità: la mancanza d'una completa opera storica della provincia. Mentre essa ci dimostrerà con irrefragabili documenti che l'Istria, fu un tempo fi indissima, può sola spiegarci per quali cause ed attraverso a quali vicende sia caduta mHrtrftu.dc drjezione, da cui con trrntìi difficoltà può venir rilevata. Chiarendoci i molivi per cui giunse a prosperila, e poi le cause del suo decadimento, sarà facile il determinare i veri mezzi di combattere queste, se tuttora sussistenti, e di ricalcare le v ie, per quanto è possibile, onde gli antichi nostri pervennero ad inalzarla a floridezza. La nostra storia rimonta ad epoche lontanissime, è ricca di vicende, e si connette a quelle di altri popoli cisalpini. Ma quanti la conoscono? Mentre ogni popolo civile sa i propri fasti, da cui ricava argomento di nobil vanto e dignità, e sprone a vieppiù amare la patria, e porla in onore con generose opere; mentre a nessuna provincia mancano storie si ampie che ristrette, noi difettiamo non solo d'una storia larga che potrebbe formaie molli volumi, ma persino d'un compendio della medesima che sia a portata di tutti, che trovisi in ogni famiglia civile, giri in mano de'giovani, e venga insegnala nelle scuole, come si fa altrove. Il succoso sunto che ce ne diede il Combi nella l'orla orientale, è troppo ristretto. Se noi avessimo una storia, non udremmo certi vicini accampare delle insussistenti pretese politiche sul nostro lerrilorio; ed a quei giovani istriani che vengono spinti a frequentare le scuole d'altra provincia, con danno dei nostri isliluti scolastici, e con far loro consumare altrove quel danaro che potrebbe e dovrebbe rimanere nella povera provincia, a quei giovani, dico, non si riuscirebbe di maliziosamente istillare false idee di nazionalità, nè far loro credere che l'Istria anticamente formasse parte di provincie transalpine, che fu conquistata dagli slavi, che questi sono i più antichi, gli originari abitanti del paese, che i veneti insegnarono agl'istriani parlare l'italiano ecc. Se noi avessimo la nostra storia e statistica, taluno che si compiace d'esclamare in tuono lamentevole» l'Istria fu e sarà sempre povera» direbbe invece: l'Istria fu ricca, e dovrà ritornar tale, perchè contiene in se egregi clementi di prosperila, ai quali però vuoisi dare il conveniente sviluppo, lo credo che coli'insinuare negli a-nimi la disperazione d'un miglior avvenire, non si giovi alla pall ia, e che anzi chi lo fa le si moslri avverso; imperocché soltanto infondendo coraggio e fiducia si spinge l'uomo a combattere contro le avversità per vincerle. Come il comandante d'un esercito messo dal nemico in critica situazione, non vorrà al certo per u-scirne prorompere in lamentazioni che avviliscano i suoi militi, ma ecciterà in vece in loro l'eroismo e la fiducia della vittoria, similmente a..che noi dobbiamo in-fianmiare^ colla prospettiva di migliori sorti, gli animi intorpiditi ed accasciali dalle a versila, perchè con alacrità, costanza, ed impiego di tulle le forze si accingano a superarle, raggiungere il benessere e consolidarlo. E leggendo la forte difesa dell'ultimo re istriano Rpillo opposta alle legioni romane e la sua morte gloriosa con tulli i suoi sulle rovine di Nesazio, e la vigorosa resistenza delle altre due antiche città Mutila « Favcria, che in pena vennero distrutte, ed il valore di Tarsia, Gavardo, Verzi, Negri, Colucci, e di tanti altri, fra cui Pietro Ci ussich, che difendendo contro i Turchi, il forte Clissa, la chiave della Dalmazia, trova la morte eroicamente pugnando; e udendo i nomi di tanti uomini insigni in lettere, e scienze ed arti, e quello di Cristoforo Mosconi che lasciava a Pisino, sua patria, il ricchissimo suo patrimonio per uno slabilimento di beneficenza, quali eccitamenti non ricaverà la gioventù a imitare quest'esempio, e dedicare alla patria l'ingegno, gli averi, la vita? Sorga pertanto chi ci doni questa storia pel popolo, cotanto universalmente bramata e lungamente attesa, e vorrei che all'attuazione di questo desiderio, ol-trecchè tulli i buoni patriotti, desse impulso anche la Dieta provinciale con un sussidio pecuniario per agevolarne la pubblicazione. Dal volo generale è chiamato a soddisfare a questo prepolente bisogno l'illustre I)r. Randlcr (**) che consumò la vita in ricerche storiche ed archeologicUc ( M sulla noslra provincia; ma chiunque altro volesse accingersi all'opera ben meriterebbe della patria che lo rimunererebbe di plauso e gratitudine. □ (") Nella prima parte di questo articolo pag. 52, seconda colonna. linea 59 stampato nel numero precedente, è scorso uno sbaglio tipografico, che muta notevolmente il senso del periodo. In luogo adunque di non è difficile, leggasi non è facile. (") La storia dell'Istria è già tutta nella mente del dottissimo uomo, e però confidiamo, che questo voto, espresso tante volte e con tanto accordo da quanti scrissero e parlarono della nostra provincia, sarà da lui adempiuto. Note della Redazione. C. presso Parenzo, dicembre. (Gp. F.) E che cosa potrei mai scrivere io, pacifico coltivatore di questa appartata campagna? Voleva parlare di strade, tanto di quelle che sono già da un pezzo costruite, onde mettere in luce gli errori che si sono commessi, acciò non se ne commettano altri, quanto di quelle che sono attualmente in costruzione, che, a vederle, mostrano ttome i vecchi spropositi si ripetano sempre con coraggiosa ostinazione. Ma dopo letti alcuni numeri del giornale mi accorgo che di strade s' è parlato abbastanza ; lasciamo adunque per qualche tempo riposare i lettori. La corrente del giorno, e sopra tutto dei giornali, è quella, dal più al meno, di accapigliarsi l'un l'altro; e poiché la politica fu saviamente esclusa dalla Provincia, onde rimase chiuso quel gran campo dove c' è spazio per tutti a dirne di dritte e storte, di madornali o meschine, vedo che i miei comprovinciali si sono gettati a corpo morto sul campo delle strade, dove si poteva in qualche modo seguire l'andazzo del giorno, senza ledere il programma. Io parlerò invece di agricoltura, argomento neutro, nel quale mi lusingo non inceppare in polemiche, ossia mi spiego, spero ew-tare polemiche calorose, poiché certamente se ai fatti da me eventualmente esposti, si vorrà contrappormi fatti e ragioni diverse, accetterò con piacere la lezione, e le poche mie righe avranno raggiunto il loro scopo, quello cioè di aver messa in chiaro e diffusa lina qualche verità. E senz'altro preambolo, già lungo abbastanza, tanto da cominciare, dirò che l'olio d' oliva più fino che si conosca in commercio. quello che ha più credito e maggior prezzo è 1 olio di Lucca, quello della riviera di Genova, di Nizza, di Cette ecc.; in generale «li quei paesi, i quali sono situati presso l'estremo confine della linea isotermica, la sola conveniente al prosperare dell'olivo. Sotto condizione di clima adunque l'Istria non è seconda ad alcuna delle suddette località : pure l'olio dell Istria non è fino. Alla eccellenza dell'olio, è naturale che non vi concorre il solo clima; vi concorre la natura del suolo, la varietà della pianta, e fucili pratiche di spremitura. Se i! clima è immutabile, qual Dio lo ha dato, se quasi altrettanto puossi dire della natura del suolo, se lenta e difficile è la sostituzione di varietà di piante più pregevoli sopra scala alquanto estesa, non è così delle poche norme di spremitura, mediante le quali, ne va convinto chi scrive, può tramutarsi un olio che riesce ordinario senza quelle, in uno relativamente assai fino. E giacché ci troviamo all'epoca della raccolta delle olive, non è fuor di luogo ricordare quauto sia facile evitare quell'odore, che i negozianti di Trieste chiamano odor di terrina, quasi a far credere, che l'olio dell'Istria serbi in sé l'odor della terra da cui proviene. Cuell'odore però speciale e disgustoso é tutt' altro che odore di terra, nè assolutamente è intrinseco alle olive dell'Istria; è semplicemente «dure di oliva fermentata e male custodita. Senza entrare in discussione sull'importanza di un buon fran-tojo e di una forza qualsiasi atta a spremere dalla pasta la maggior quantità di olio che si possa, mi limito a discorrere sopra un fatto, solo, principale e decisivo, ed è di doversi frangere l'oliva appena raccolta, oppure di conservarla in modo che resti asciutta, e che per nessuna causa possa scaldarsi, fermentare, ed alterarsi. Per ottener? questo, bisogna conservarla sopra un mattonato od un pavi- mento, ed assolutamente non più spessa di due pollici, se specialmente corrono tempi umidi, e quanto uieno, tanto meglio; fa d'uopo evitare che un freddo intenso la colga, mentre in tal caso la si debbe frangere al più presto. Ricordo un antico adagio il quale voleva che l'oliva raccolta al giorno, si avesse a frangere la notte. K qui sta racchiuse il tutto in quanto all'odore di Ierrino; che in quanto alla leggerezza ed al colore é inevitabile accettare quello che la natura dà, mentre sappiamo che riesce paglierino quello di Nizza e di Lucca, gialletto iu geuerale quello dell Istria, verde quello di Salò, e verde tra noi anche quello di Dignano; ma l'odore sgradevole può essere evitato, in quanto esso non proviene che dalla fermentazione dell'oliva prima della spremitura. Nè io pretendo svelare un arcauo, o proclamare una nuova scoperta. Quasi ognuno lo sa; ma nessuno, o per abitudine, o per inerzia o talvolta per dubbiezza, lo pone in pratica. Ecco perchè potrebbe non riescire inutile questo cenuo, non ad altro diretto che ad invogliare a farne la prova. Ma qui importa un'altra indispensabile avvertenza. Non già la sola oliva, ma il frantojo, le bruseole (sporte), i vasi, tutto, vorrei dire perfino l'aria del torchio impregnata di olio puzzolente, è pregiudizievole alla buona riuscita; l'olio contrae facilmente un cattivo odore. Non è certamente facile di tramutare tutto ad un tratto il riprovevole modo di conservare le olive praticato nell' Istria nei tini e nelle botti, in luogo di conservarle distese sopra vasti pavimenti. E dove sono questi vasti locali necessarj ? Certamente a Pirano no, e meno ancora a Rovigno, che producono la maggior quantità di olio in provincia; ma è peraltro strano che tutti i più agiati possidenti non si procurino almeno tanto olio inodoro che basti ai consumi della loro cucina; e questo assolutamente si può fare purché lo si voglia. Sarà più facile ancora l'ommettere di cucinarlo dopo spremuto. Nè si ritenga che l'oliva conservata a lungo o fermentata prima della spremitura fornisca una maggiore quantità di olio. E un errore ed un inganno, come è notissimo, cagionato dalla evaporazione ed asciugamento dell'aqua contenuta nella polpa delle olive. Dodici brente di oliva raccolta da molto tempo, erano forse quattordici, quindici il giorno della raccolta; non è meraviglia se dieno al frantojo qualche lira d'olio di più. L'olio non è un prodotto industriale che l'arte tramuta; è all'invece bello (^preparato notte celle del frutto ; l'arte non fa che estrarlo più puro e naturale che sia possibile. L'oliva conservata a lungo va incontro anzi ad un danno, certi anni, rilevantissimo, e ad una diminuzione di quantità. Quel baco o vermicello che rode la polpa delle olive (la musca o dacus oleac) per cui tante olive si portano a casa bacate, continua la sua opera struggitrice anche sul frutto raccolto, con diminuzione di quantità e peggioramento di qualità. Che se le olive si fermentino poi a segno da diventare una pasta, (e ne ho vedute in qualche luosro che vi abbisognava una vanga per estrarle dal tino fetido) quest i pasta riscaldandosi dà luogo ad una emanazione di calore, con perdita di quella stessa maggior quantità di olio che si supponeva guadagnare. Ogni fatto, ogni ragionamento adunque consiglia la convenienza di lavorare l'oliva al più presto dopo raccolta. Riepilogando la cicalata sopra la utilità di conservare fresche le olive, quali vennero staccate dall'albero, dirò che in primo luogo bisogna procurare che sieno frante e spremute subito ; che se ciò non è possibile, si conservino basse sopra un pavimento, perchè non fermentino, e che se neppur questo si avesse opportunità di fare, si salino in un tino, in ragione di funti 23 di sale ogni 20 breute (*) di oliva, e così si potranno frangere in qualunque momento ; ma sopra tutto siavi nettezza scrupolosa di attrezzi, vasi, pile ecc. Si conservi l'olio in luogo caldo, e che possibilmente non geli, e quando abbia deposto la feccia e sia diventato limpido (lampante) lo si travasi. E così è risolto il problema dell'olio inodoro e fino, quanto può dare l'oliva, il su-lo. ed il clima da cui proviene. Che l'olio poi dell'Istria non sia stato sempre giudicalo poco fino nia all'incontro eccellente, viene a comprovarlo uu erudito mio amico, amatore di memorie antiche. L'Istria al tempo dei romani produceva uno dei migliori oli del mondo. Giusta Marziale e Plinio i primi oli erano lo spainuolo di Cordova, (che Plinio chiama Beticum in generale), quello di Venafro nella Campania, e l'i-strinno. Marziale, spaglinolo di nascita, da gli onori del primato a quello di Cordova, asserendolo migliore di quello di Venafro; il secondo pare lo dia a quello dell'Istria, la quale avrebbe avuto l'a«- soluta preminenza nei \asi figulini (latinamente testa) in cui veniva riposto. Unc/o (vuol dire olio) Corduba laetior Venafro Histria nec minus ab so luta testa. Plinio, parlando degli olì diee : Pi incipatum in hoc quoque bono obtinuit Italia loto orb*. maxime agro Venafro, ejusque parte qua e lucinianum fundit oleum. Beticum et Histrum inter se pari certuni laude. I due versi di Marziale suonerebbero in italiano : Cordova si rallegra di miglior olio di Venafro, ed è migliore anche di quello dell'Istria, la quale però dà i più distinti vasi figulini. Ed il passo di Plinio voltato in italiano: anche in riguardo a qupsto prodotto (l'olin) l'Italia prende in tutto il mondo il primo posto, specialmente per l'olio dell'agro di Venafro e di quella sua parte che spreme l'olio liciniano. L'olio spagnuolo e l'istriano si contrastano la palma fra loro (") Con un fiorino adunque circa di spesa in sale, si preserva dalla fermentazione tanta uliva da ottenerne un barile, e si guadagna in valore d' olio per lo meno tre ed anche quattro fiorini in più per ogni barile. Montana, dicembre. (E.) Un Tizio, identificandosi colla deputazione coni, di Montona. di cui pubblica gli atti e le note officiose, scaglia veleno conlro una nostra corrispondenza inserita nel n. 2. della Provincia, sull'argomento della divisione dei boschi comunali di Montona. Egli dilaga, nei n. 241, 242, 243, le colonne del Cittadino con una cattedratica tisana, nella quale svisa ogni l'atto e fa spiccare i suoi privali rancori con una profusione di basse accuse. Con simili avversari, che degradano la discussione di un argomento di pubblico interesse, ad una polemica ingiuriosa, crediamo indecoroso di scambiare parole. Siamo d'altronde persuasi che la confulax.ione più luminosa dei citali articoli stia nella stessa pubblicazione del protocollo di seduta comunale 29 aprile 1867, colla nota accompagnatoria alla Giunta provinciale; nei quali atti ogni lellore spassionato scorge di leggeri l'idea preconcetta, la stilicheria degli argomenti, e la sudata preparazione di venti considerandi in veste curialesca, che mettono capo ad una conclusione discorde. Ciò basti di quel Tizio, che non sa serbar modo, e a cui lasciamo la soddisfazione di affascinar la plebe con una parodia di legge agraria. Invece ci sentiamo in debito di occuparci della corrispondenza 11 ottobre inserita nel u. 4 della Provincia, di cui apprezziamo il linguaggio assennato e cortese, e le cui rette intenzioni non mettiamo in dubbio un istante. È un errore che il bosco testò ceduto dal sov. e-rario sia dei comunisti; che questi ne abbiano avuto il godimento; che l'abbiano rivendicalo, e che siano intervenuti alla transazione della lite coll'erario. In primo luogo la denominazione di bosco dei comunisti, usata dall'articolista, forinola'mi concetto nuovo, indeterminato e diverso dai finora conosciuti di bene patrimoniale, o comunale, definiti dalla legge. Non si saprebbe quindi a quale altro abbia voluto alludere, nè perchè abbia ricorso ad uno spediente di opportunità, che si pone in contraddizione cogli stessi pretendenti, i quali non esitano di qualificare per comunali i boschi che cadono in questione. E così non può dirsi con serietà che i comunisti abbiano avuto in antecedenza il godimento del bosco ceduto dal sov. erario, perchè una parte più arrischiata di essi si fosse recata a far legne di soppiatto, (nelle prese cedute e nelle altre ancora, secondo che era possibile di eludere la vigilanza», incorrendo in caso di sorpresa in una condanna per furio, e più lardi in quella per contravvenzione boschiva, quando la petizione vin-dicnloria del comune aveva sbiadito il concetto della prava intenzione. Se poi i comunisti, od una parte di essi, si fosse, unita per promovere la rivendicazione dell'intiera foresta, o di una parte di essa, ed avesse anche concorso a sostenere una parte delle spese di causa, ciò non potrebbe mai far ritenere assennatamente che i comunisti, (nemtnen quelli che figurano nel protocollo di vicinia 3 settembre 1815, citalo nel primo dei 20 considerandi (vedi Cittadino n. 2Ì1), e di cui una parte soltanto oggi sopravvive,) abbiano rivendicato e che abbiano rivendicalo in nome proprio, e che il bosco sia cosa loro. Egli è troppo chiaro che quei comunisti, in loro specialità indipendente e separata dal comune, non potevano presentare nè veste nè requisiti di una rivendicazione, non avendo per se slessi alcun titolo. Ed in fatti nè comunisti promotori, nò altri, sono concorsi alla stipulazione della transazione fra l'erario e il corpo morale del comune, in nome del quale firmarono il Podestà Ganciani, i Consiglieri Sadù e Basiaco, e il Rappresentante Franco, e nessun altro, la falli al comune, non ad altri, fu fatta la cessione di una parte della foresta, come lo dice, in termini superiori ad ogni equivoco la transazione stessa 4 aprile 18GG n.0 2872, esprimendosi all'art. I. » li sovrano erario dà, cede, e trasferisce in proprietà al comune di Montona, ed il comune di Montona accetta in assoluta proprietà e possesso le prese boschive eie. » All' art. V; » Il sovrano erario garantisce al comune di Montona la libera proprietà e possesso etc. » Per rimovere poi ogni dubbio, ogni falsa apparenza', o studiato equivoco, e per non cicalare a caso, come fece l'articolista del Cittadino, bisogna conoscere almeno un poco i falli precedenti. Il comune di Montona rettosi coi suoi statuti antichi durante il dominio veneto, fi io al 1797, si governò poscia con un Direttorio politico formalo da un direttore politico e due assessori solto il dominio austriaco; ricevette in appresso l'organazione francese dal 1806 al 1813, indi quella venuta coll'edillo Nugent, che durò fino al 1845. Nel periodo dal 1813 al 4845 si reggeva mediante un Podestà eletto dai cittadini e confermalo dal Governo, assistito da due Delegali eletti dalla popolazione. Questi facevano del loro meglio nell'ordinaria amministrazione, e solo nei casi più importanti convocavano la vicinia di tulli i capifamiglia, con permesso dell'autorità politica, dalla cui approvazione dipendeva la validità delle sue deliberazioni. In questo periodo (nel 1843) e in questo modo, con licenza della politica autorità, fu convocala la vicinia del comune di Montona, per avvisare alla rivendicazione della foresta e fu deliberalo di intentar lite dalla vicinia del comune, con permesso politico. Il protocollo 3 settembre 1843 non è che l'atto di deliberazione di questa vicinia, e quindi del comune. Ed è un grossolano errore di storia, di diritto pubblico, e di giurisprudenza, il fingere un'associazione illegale di comunisti, usurpante le parli del comune, pei rivendicare nel nome di comunisti anzicchè di comune. Altronde poi è assai poco esalto, e sincero i! dire che la transazione 4 aprile 1866 n.° 2872 sia stala stipulata per eliminare la petizione vindicatoria 25 giugno 1845 n.° 41531. La causa era ben lontana dal promettere un esito fortunato, e l'atto veramente influente fu la insinuazione in via di esonero fatta dal comune di Montona pretendente servitù sulla foresta, e rispettivamente dall'erario forestale, in seguito alla sov. Patente 5 luglio 4853. In esilo, non della causa ordinaria ed in sede civile, ma della procedura, ed in sede di esonero, si venne alla transazione suddetta, come consta dall'esordio del suo testo, e solo subordinatamente si ebbe cura di accennare nella medesima l'eliminazione contemporanea della causa civile. Ora questa intimazione n.° 574 fu fatta dal comune, non dai comunisti, e la transazione fu stipulala da quello, non da questi. Procedendo innanzi, un altro errore si è quello che nella citata transazione sia stata stipulala, diretlamenfe pei comunisti, l'annua somministrazione di 500 ciaf, di legne pel corso di 5 anni, e che da ciò debba derivare l'obbligo del comune di continuare perennemente la somministrazione annua di egual quantità di legna ai comunisti. Una stipulazione di tal fatta non si riscontra in veruna parte della transazione; bensì avendola presente, troviamo che dice all'articolo III: » Il sovrano erario si obbliga di assegnare gratuitamente al comune di Montona tutti i rami e cimali inabili ad uso di costruzione, ricavabili dalle piante che verranno tagliate, nel corso dei primi 5 anni susseguenti al giorno dell'approvazione della presente transazione, nel bosco erariale di Montona; la raccolta ed accatastazione di queste legna seguirà per allro a tutta cura e spesa del comune stesso ..... la rappresentanza comunale di Montona cui resla esclusivamente riservata l'ulteriore distribuzione delle legne slesse Ira le famiglie povere del comune. » Questi 500 ciaf, di legne potrebbero quindi sembrar destinati a favor delle famiglie povere, ma queste non sono che una parte dei comunisti. Come poi da tale concessione dell'erario si debba dedurre l'obbligo perenne del comune di consegnare annualmente egual quantità di legne ai comunisti, e come il bosco ceduto al comune sia vincolato a fornire costantemente queste legne, è ciò che non si saprebbe indovinare. Questa conseguenza mancante di ogni logica premessa, urta anche contro la manifèsta incongruenza che, tra l'erario e il comune, siasi stipulato un paltò a favore di terzi non intervenuti, e che si alleggiano afflìtto separali. E gli stessi avversari la condannano sostenendo che il bosco ceduto non sia atto a dar questo reddito annuo di legne ed ammettendo per ciò clic la transazione non dovesse accogliere una condizione impossibile. É parimenti erroneo che il reddito di 25 jfgeri di fondo lasciali al comune in proprietà patrimoniale, con facoltà di ridurli a prato, non sia bastante alle spese d'amministrazione dei rimanenti jugeri 272. Un prato di 25 jugeri deve render più di fior. 1000, in un paese ove i prati si affittano oltre a 50 fior, il jugero, e le spese d'amministrazione di un bosco di jugeri 272 non possono essere cotaulo esorbitanti. Altronde l'utilizzazione del bosco, nou sollauto per le- gnatone, ma anche per pascolo ecc. potrebbe essere colpita di una piccola imposizione che, senza ecceder di gravezza, senis.se a coprire le spese. Ma se anche il dubbio d'insufficienza, e di infruttuoso spreco del reddito dei 25 jugeri, accampato nei menzionati considerandi, si volesse ammettere pel momento; se si potesse consentire la convenienza dell'abbandono di 272 jugeri per evitarne la spesa d'amministrazione, e guadagnare così la rendila nella di jugeri 25, come si potrebbe poi trovar giustificabile che il comune ceda ai comunisti, oltre i jugeri 272 avuti dall'erario, anche altri jugeri 60 di bosco, cioè il comunale Fajè di circa jugeri 17, e il patrimoniale Costiera di Nomparez-zi di circa jugeri 43, che erano cosa del comune ancor prima della transazione? Per solo fine di liberare la rendita di jugeri 25, il comune dovrebbe dunque abbandonare ogni pretesa sopra jugeri 272, e poi anche regalarne altri 60!.... Questa operazione, stillata nei considerandi, e lodata anche nell'artiolo della Provincia, sembra a noi tuli'altro ehe un felice trovato economico, e non vorressimo mai vedere i Comuni dell'Istria seguirne l'esempio. Tanto meno lodevole troviamo in questo progetto il consenso allo svegro del bosco in Costiera di Nnmparezzi, che scemerebbe la dotazione di combustibile, all'alto stesso che se ne accusa difetto, e incorrerebbe il paradosso economico, condannalo dalla scienza e dall' esperienza, di spogliare del bosco, e porre a coltura un fondo in perfetta tramontana, mai guardalo dal sole, ed erto continuamente da 45 a 60 gradi, così da doverne, in brevissimo periodo, prevedere lo snudamento, e la sterilità. In generale poi la posizione del principio, che da un fondo boschivo di 297 jugeri il comune non possa ritrarre vantaggi di sorla, ina solo passività e disturbi, ci sembra una deplorabile confessione di mancanza di attitudini amministrative, e dà sconoseenza delle disposizioni del §. 63 Reg. comunale. E dichiarare che il miglior modo di ripiegare al difètto di combustibile, che provoca a la devastazione dei boschi, sia quello di svegrare un bosco, e ripartirne un altro riconosciuto insufficiente ai bisogni; il dire che singoli privati possano diffonder meglio la loro porzione di proprietà che un comune intiero, coi mezzi di legge, e di pubblica forza, che stanno a sua disposizione, mostra un'eccentricità delle più originali. Prima di chiudere dobbiamo rigettare il carico di un appunto che cova l'insidioso intendimento di esporci ai rancori. Giammai ci siamo curali di mettere in questione i meriti dell'attuale rappresentanza: le sue o-pere la giudicheranno. Bensì abbiamo dello che per e-vitare una cattiva scella, il mezzo era di sceglier bene. Ora poi notiamo come falli significativi, che fra i cittadini contali nel n.° 143 del Cittadino, i più intelligenti e provali nelle pubbliche cariche, sono appunto quelli che si astengono di intervenire alle adunanze comunali, e di subire le vedute della maggioranza; che la decantata unanimità (dei presenti) nella deliberazione 29 aprile 1867, non sia scevra di sospetto di pressione, per l'atteggiamento ostile della moltitudine, e le minaccie di incendi e devastazioni; che quei cittadini intelligenti e sperimentati, esposti a la malevolenza, si credono mal sicuri delle persone, e che i loro timori si fondano nei fatti poco lontani di eccedenze, che sono troppo pubbliche, e notorie per darsi la spiacevole cura di ricordarle. Notiamo da ultimo che ben 12 di quei rappresentanti, ed 11 sostituti avevano già segnata la deposizione del loro mandato, trattenuta per ora per interposti offici, e per longanimità e prudenza. Dopo tutto questo osserviamo, che i più vitali argomenti svolti nella nostra corrispondenza pel n.° 2. della Provincia, rimangono senza confutazione, e se, per nostra opinione credevamo sconsigliabile una gratuita divisione di fondi boschivi, che sono in piena attualità di rendita di legne, e di pastura ecc. (se non siano abbandonati ad un totale esterminio), non così combattevamo il pensiero di una vendita conciliante la convenienza di entrambe le parti. Trattandosi di una questione che interessa non solo le condizioni economiche, ma ben anco le sociali del comune, abbiamo credulo nostro debito di cittadini di spiegare in prima le nostre disinteressate vedute, ed era nostro decoro di ribattere le ingiuste e smodate accuse. Noi, non cerchiamo, nè per soddisfazione d'orgoglio, nè per viste di lucro, il frivolo favore del volgo col carezzarne le passioni; noi cerchiamo la coscienziosa e durevole stima degli onesti col dire la verità. Pisino, dicembre. (A. C.) Di articoli lunghi non è qui luogo; chè la divisa dell'epoca è presto e a buon mercato. Vorrei far cenno di poche cose esemplici intorno all'economia rurale, ma per quanto ci penti, trovo che per (spiegarmi alla meglio non posso essere tanto breve quelito vorrei. La nostra popolazione agricola sarà sempre miserabile finché fino saprà aumentare il numero degli animali bovini e la quantità dei letami. La possibilità di possedere più animali bovini dipende dall'avere più foraggi. t trattati d' agronomia ci dicono: fate prati artificiati. Però da noi le difficoltà son molte e per avventura oou superabili; ajutiamoci intanto alla meglio, dappoiché •iippiamo per esperienza che vi ha possibilità d'ajulaisi. Nel 1865 il lieno ui primo taglio fu scarso, e di secondo non ce ne fu briciolo. Il contadino ne prese sgomento, e si mise perciò a raccogliere quand'era tempo erbe dove ne poteva trovare. Si svelse a cariale di quella gramigna (p unicum uertieilUlum) che accestisce fra il formentone, e che negli anni addietro veniva depasciuta e calpestata senza altro costrutto. Anche gli stocchi dot formentone nuli venivano più gettati a f.isci davanti a'bovi, ma sibben minuzzati. Ogni piccolezza che potesse servir di mangime si poneva in serbo; era per fortuita mite t'inverno, e così fu salva la nostra poca animaleria. Sarebbe stalo ancor meglio se si avesse fatto cogli stocchi del formentone, come s'usi praticare altrove e in qualche pai-te della nostra provincia stessa, spiccandone il fiore o il pennacchio dopo che la spiga o pannocchia è quasi matura, e spogliando lo stcceo di tutte le sue foglie. Tale foraggio serbalo per l'inverno è ottimo, e non ha residui che sieno rifiutati dagli animali. 11 letamajo poi deve essere impermeabile, o come dittiamo noi giugno, ctie non permetta filtrazione. (Juando si porta il letame net letamajo non lo si getti come capita, ma Io si distenda a strati e lo si comprima coi piedi per renderlo più compatto ac-«iochè svapori meno e non vi restino vacui nei quali si formi la muffa. La muffi è il primo prodotto a spese dei principi vegetativi del letame; è concime anch'essa quii sostanza organica, ma non è mai l'equivalente degli elementi consumati per produrla. Tuttodì si sogliono gettare sul letamajo gli escrementi puri, ma la sulla non s'usa nettare, che appeua ad ogni quindici giorni. La ricetta poi per avere letame in maggior copia e migliore, sarebbe questa : ogni qual volta si netta la stalla o si abbia certa qualita di stabbio da gettare sul letamajo, vi si soprapponga uno strato di terra alto una spanna o incirca, e così verrà compresso il letame, e la terra assorbirà quasi tutte le evaporazioni degli strati inferiori, di modo che, impregnadosene, si convertirà in ingrasso. Così, senza nulla perdere iiè per la muffa né per le evaporazioni, s' arricchirà il letamajo, essendoci sempre il tornaconto se anco fosse il caso di tradurre la terra dalla campagna in citta, e poscia dalla città in campagna. Si dira che tali cose non sono novità di zecca, osservo però che non m'accadde mai di vederle poste in pratica da nessuno. Chi le approva, le adotti, ne dia l'esempio, istruisca 31 contadino, lo persuada e spinga ad adottarle; che ciò fara bene per lui e per tutti. Un cenno ancora riguardo ai lachi di campagna. Ributta veramente il vedere che la gente faccia uso di quell'acqua dova gli animali abbeverandosi vi lasciano ogni sorta ai sporcizia. Eppure l'acqua dei luciti, a meno che d'estate non sia ridotta a poca quantità e non diventi calda e putrescente, non è nè disgustosa nè malsana. La sua salubrità si deve alla larga superficie che rimane a contatto dell'aria ed alla agitazione prodotta dai venti che qui da noi regnano perenni. Per togliere però la sconcezza di bere alla medesima fonte col bue, dovrebbero essere fatti altri lachi per gii animali ed altri per l'uomo, e in questi ultimi avrebbero a.l essere collocati alcuui dadi di pietra da farne una specie di molo, onde poter attingere l'acqua pura e netta. Le cisterne nei luoghi scarsi d'acque vive, sarebbero indicate in ogni villaggio appresso la casa pai nicchiale e la chiesa, per avere sufficiente stillicidio e per poterle sorvegliare riguardo alla mondezza. Le piccole cisterne che si sono fabbricate da se alcuui contadini benestanti parlerebbero a favore di un certo progresso. Ma se avviene che colti da un acquazzone vi ricoveriate in alcuna loro casa, avreste di che sbalordire vedendo l'acqua che scende nella cisterna, tutta pregna delle sozzure del tetto su cui stende il contadino i panni ad asciugare, la lana, le zucche, gli stocchi di formentone e via, nonché di quelle del selciato in giro al pozzo, solitamente ingombro dell» masserizie da cucina, e di un numeroso stuolo di porci, di cani e polli! E vero che perciò la famigli;! non ne rimano attossicata; ma non cessa che sia per se una turpezza se anco il contadino benestante preferisce di bere il suo vino e lascia l'acqua, o se si sappia, che l'acqua usita in cucina perde eolla bollitura certi suoi principi nocivi, se infine può valere qualcosa anche il rustico proverbio; ehe l'uomo non sa di che diventi grasso. Pola dicembre. (k.) Eccoci alle uggiose giornate dello scorcio d'autunno; brevi, umide, malinconiche, dal bigio cielo continuamente annuvolato, dalla lenta minuta filiforme pioggerella, dalla viscosa poltiglia delle vie, dalla sonnolenta atonìa di tutti gli esseri viventi. Per me, ve lo dico chiaro, non v'è nell'anno epoca peggiore. L'inverno almeno ha le sue bore, le sue nevi, i freddi, che a qualche cosa son buoni: ma che farne di questa interminabile pioggia fuor di tempo e di luogo? Se la si potesse mettere in serbo per l'estate, non ci sarebbe a ridire: ma sì, andate a cercarla quando propriamente la vi occorre! Già non c'è verso: in Istria da alcuni anni in qua, o si abbrucia o si annega: e di queste due miserie, rispetto alla nostra città, quasi quasi preferirei la prima. Pensate che quando ci capitano addosso di questi tempi, noi camminiamo sopra un mare di fango. Non vi ha palmo di selciato in città: e in questo riguardo non mi ricorre al pensiero alcun altro luogo della Provincia, che sia a più cattivo partito. Ora io domando: perchè in una città, la quale vuoisi destinata a divenirne il più grande emporio militare marittimo dell'Impero, nelle cui fortificazioni, arsenale, cantieri, si spesero lìnora parecchi milioni, ove l'erario ha costruito appositi casamenti per alloggiarvi gli impiegati militari, che va crescendo a vista d'occhio, e che possiede a quest'ora teatro, trattorie, calle, alberghi, ed altri stabilimenti men neeessurii alla vita; perchè vi si inscia tuttavia sussistere questo enorme guajo?.. D/i chi n'è la colpa?.. E di chi volete ne sia la colpa?odo rispondermi in coro da iutte le parti. Del comune, cioè del Podestà, dei Consiglieri e Rappresentanti comunali. Non tocca forse ad essi pensarci ?.. E qui giù a guisa di accompagnamento una salva di fanulloni, di imbecilli, di inerti, e peggio. Adagino, signori miei; discorriamcela dapprima un poco fra noi in confidenza, e poi se vorrete restare fermi nella vostra opinione, padroni, padronissimi. Per me. è inutile che ve lo nasconda, un po' di tenerezza per que'signori onorevoli ce l'ho e non vorrete tenermi il broncio se procuro di tirar aqua al loro inolino. Dovete adunque sapere prima di tutto, che la nostra città, essendo anche fortezza e porto da guerra, non appartiene completamente a sé stessa. Non so se mi capite, ma è come se vi dicessi, che non vi si può muovere una paglia senza averne dapprima ottenuto il consenso dell'amministrazione civile e militare. Poi vi dirò che in tutta questa {accenda, nulla ci hanno più a fare gli organi del comune. La vi par grossa? Eppure è così. La loro attività deve ora soltanto restringersi a sollecitare di quando in quando da cui spetta, l'attuazione di una misura già definitivament'- abbracciata d'accordo coli'erario fino dall'anno 1865: ma il relativo concluso addormentatosi placidamente in grembo alla polvere di qualche scrivanìa da referente, contento come una pasqua della sua posizione, tira innanzi della grossa Per verità il comune avvisando alla necessità di selciare le vie della città, almeno le principali, si arrabbattava da qualche anno in cerca dei mezzi onde raggiungere lo scopo: ma gira e rigira, pensa e ripensa, eccovelo sempre alle prese con quella benedetta questione delle finanze, passata a stato cronico in quasi tutti i comuni dell'Istria. Che fare? Rivolgendo la mente ai molti sacrifizi fatti in prò dell'erario; al dono dei fondi pregevolissimi lungo la riva del mare, alla cessione gratuita del bacino della fontana ed amplissimo uso e godimento d< Ile acque ivi sorgenti, al grave peso degli alloggi militari con nobile costanza sostenuto, ed a tanti altri sacrifizii di minore entità; non era fuor di proposito sperare che l'iniziativa del cotanto necessario provvedimento dovesse procedere dall' erario medesimo, il quale, attesa la grande quantità di stabilimenti da essolui posseduti in città, le sue continue operazioni, e la dimora de' moltissimi suoi impiegati e militari, vi aveva un interesse diretto: ed intanto bisognava accontentarsi di tenerne desta l'attenzione con reiterate suppliche e memoriali. Allora l'antico comodissimo sistema delle Commissioni e subcommissioni entrava in scena a far capolino di quando in quando: fioccavano gli ingegneri, ie prelevazioni, i piani, i disegni: un corteo di individui, muniti di lunghe pertiche, dalle accuminate banderuole, con accompagnamento di aste, tripodi ed ìstrumenti girava qualche giorno per le vie della città: poi tutto in un momento disparizione generale; uomini, aste, memoriali scendevano al limbo; un sepolcrale silenzio annunziava la morte dei feti prima ancora che fossero nati, e l'inosorabile oblio stendeva sovr' essi le negre sue ali. — Intanto il comune, onde impedire alle genti di sprofondare nel fango fino alla caviglia, doveva spendere quasi annualmente I ni 2000 incirca, per annegarvi una grande qurntità di ghiaja, senza che ciò la salvasse dall'insudiciarsi per benino, e dall'aggravare la propria coscienza con edificanti infornate di imprecazioni all' indirizzo del povero municipio. Finalmente, come a Dio piacque, la questione venne posata matura sul tappeto, e per venire tosto alla conclusione vi dirò, essere stato deliberato ancor nella state dell'anno 4805, se ben mi ricordo, che l'erario si sarebbe accollata una terza parte delle spese di canalizzazione, mentre le altre due avrebbe dovuto sopportarle il comune. Ma siccome questi non possedeva i fondi necessari, l'erario ne antecipava gli importi. Ai lavori si dovrebbe por mano fra breve, previa un'ultima revisione e rettificazione dei piani e progetti da lunga mano rilevati. Da allora in qua sono trascorsi oltre due anni, ma questa benedetta revisione non avanza d'un passo. Indarno il comune, la locale autorità distrettuale civile, e le altre autorità locali militari ne sollecitano la comparsa: niuna risposti, niun segno di vita! I piani, i disegni, i progetti sonosi tranquillamente adagiati su qualche benemerito scaffale, e hanno ripigliato il sonno dei sette dormenti: e il fortunato mortale di scaffali cotanto portentosi, c'è a giuocarne uno contro cento, beatamente seduto loro dappresso, sta facendo la guardia affinchè non si destino. Buono che in questo frattempo i nostri cittadini avranno campo di occuparsi alla lunga sull'altra non meno importante questione, se convenga o meno per la nostra città adottarvi il proposto sistema di canalizzazione. Certo si è che desso presenta qui dei gravi inconvenienti, per la mancanza di declivi, per la facilità dèlie ostruzioni e per le incomode esalazioni, le quali potrebbero anche riuscire dannose alla pubblica igiene. Ma ora m'accorgo di avere stucchi e fradici voi ed i vostri lettori con questi argomenti trattati là alla burlona, che non si adattano gran fatto all'indole seria ed all'indirizzo generale del vostro giornale. Ma che volete? di certe cose locali bisogna pure occuparsene, e non c'è modo di trattarle ex cattedra; e poi, quel continuo sussiego, quel fare all'occhietto coli"uomo di polso, non fanno per me. Prendetemi adunque come sono; ovvero se non vi garba, fatemelo sapere chiaro e tondo; chè il minor male mi possa incogliere, sarà quello di mettere le pive in sacco. cenni sull'origine e progressivo sviluppo dell'accademia giustlnopl.luana. ( Continuazione e fine, vedi n. 7.) La peste scoppiata con insolita veemenza l'anno 4554 fu cagione dello scioglimento della Società dei Disiosi, che nel breve lasso di sua esistenza aveva dato impulso efficace alla coltura d'ogni genere di studi. Non appena cessato il flagello, gli animi si rinfrancarono dallo squallore e dal lutto, la nobile gioventù ispirata d'amor patrio e vaga di studi, diedesi con ardore e slancio a ravvivarne il genio sopito, e l'Accademia risorse più di prima, rigogliosa ed aperta alle più belle speranze. 11 vescovo di Capodislria mons. Morali, che vis- so a quei tempi, fa onorevole menzione di quest'Accademia, che si disse Palladio, adunala nella mira d'impiegare le forze degli ingegni in istudi, e dispute, e ragionamenti di morale, di letteratura e di poesia, non senza il condimento di lesi traile d' argomenti di amore e di galanteria, secondo indettava lo spirito dell' epoca. Non sappiamo (issare con sicurezza l'anno dell'istituzione o direm meglio del rinnovamento di questa società; certo si è però che essa fiori\a l'anno 1380, e abbiamo memoria di vari distinti accademici, che ne formavano parte. Girolamo Vida sostenne qual socio della Palladi» le 65 conclusioni amorose, gli argomenti delle quali si veggono indicati dietro al suo Sileno ed alle sue Poesie stampate a Vicenza nel 1589. V' è pure un Discorso accademico di Nicolò Manzioli pronunciato da lui in lode della virtù nel 1587; inoltre notansi tra i membri della medesima Ottoniello e Giulio de Belli, Cesare Barbabianca, Marcantonio Valdera, il celebre Santorio Santorio e vari altri. Non regge però l'opinione di alcuni che Palladia fosse nome generico, applicabile a tutte le Accademie letterarie di Capodislria, a^ve-gnacchè durante tutto il tempo, che corse dal 1544 fino all'anno 1646, essa non apparisce designata mai con altro titolo; reintegrata poi nell'anno 1646, ricevette il nome di Accademia de' Risorti e lo mantenne invariabilmente fino al suo tramontare. Questa nuova società, benché foggiata in sulle prime all'esempio delle precedenti, venne nondimeno dilatando sempre più la sfera degli esercizi letterari finché, scomparse del lui lo le tracce della primitiva origine cavalleresca, essa divenne un vero Seminario di studi, dal quale uscirono tutti gli uomini egregi, che nei due secoli decimosettimo e decimottavo colsero allori nel campo dell'amena non men che della severa letteratura. I primordi di questa datano dall'anno, in cui lenendo la reggenza della città di Capodistria Pietro Grimani, le lettere e le scienze ebbero in lui un mecenate colto e liberale, che, recandosi ad onore l'incarico avuto dai cittadini di farsi auspice e patrono della rinascente Accademia, impegnò tutta la sua attività ed influenza perchè ne venisse con decreto sovrano sancita legalmente la durala, e procurò inoltre che fosse fin da principio i-sliltiila con norme ed ordinamenti adatti a garantirne il progresso. Ed è appunto a questa di lui generosità, che i cittadini riconoscenti vollero render omaggio anche nell'impresa accademica, raffigurata in un albero d'olivo quasi secco e sfrondato, dalle cui radici germogliano alquanti rampolli verdi e vivificati dal benefico raggio del sole. L'arma Grimani collocata nel centro del disco solare col motto Rediviva calore è espressione simbolica in lode di Pietro Grimani, per la cui prolezione e fomento dal fusto inaridito dell'antica, spuntò il fresco germoglio della nuova Accademia de' Risorti. Del resto l'impresa stessa ci porge un primo saggio a conoscere l'indole degli esercizi rispondente in lutto al genio letterario del secolo XVII. Agli spettacoli pomposi e stravaganti di mascherale, di combattimenti e di giostre messe in scena con sfarzoso apparato di fogge e costumi strani e bizzarri, fan degno riscontro la turgidezza e l'ampollosità dello stile, guasto e fuorviato dalla propensione alle vuote declamazioni, alle audaci e strampalate metafore, all'abuso de!tropi, alla smania dei lunghi e reboanti periodi, allo sfoggio in genere di frasi smaglianti senza modo nè ordiue affastellale a puro lusso e addobbo esterio- re. » Ai pensieri semplici e naturali, osserva pure il Gravisi, alle metafore ed allegorie del secolo precedente, e-rano succedute le antitesi, le eterne paronomasie, i concetti falsi, i traslati più licenziosi: i più felici ta-lenti si fecero fatai nome anche tra noi, come in altre parli d'Italia, colla corruzione del gusto.» Varii sono gli Accademici di quest'epoca, ma tutti ad eccezione di pochissimi, adescali dal facile plauso con che vedevano accolte nelle mensili adunanze le loro produzioni azzimate ed i letterari trastulli, fàceano spreco delle doti del loro ingegno, perdendosi in vane e futili questioni d'amore o in problemi inutili di morale. Si distinsero in quest'epoca Santo Grisoni, Aurelio de Belli buon poeta latino, che dettò in versi eroici la versione della Gerusalemme liberata del Tasso, Antonio e Prospero Petronio, che compose una storia pregevole dell'Istria, Girolamo Vergono, che fu professore di medicina nell'Università di Pisa, Giov. Batt. Bratti, Pietro Co. Fini ed altri. I due più celebri accademici poi 0-razio Co. Fini e Antonio Co. Sabini, chiamati l'un dopo l'altro al supremo ufficio di consultori di stato a Venezia, lasciarono pure opere pregevoli, sebbene non monde del tutto dai difètti che, come dicemmo, erano comuni a tutti i letterali del secolo. A ripristinare il buon gusto, a raddrizzare gl'ingegni e riaccendere negli animi l'amore alle gravi discipline concorse un provvedimento salutare, degno veramente della fama, che godè mai sempre questa città di colla e gentil promotrice degli studj. Fu adottata la massima nell'anno 1699, di fondare il Collegio dei P. Padri delle scuole pie, istituto venerando e be-nemerito, che vivrà perenne nella memoria degli Istriani finché saranno sacri ed estimati i heneficj derivanti da una educazione ispirata ai dettami della religione e della scienza, e si renderà tributo d'onore agli uomini egregi, che dall'istituzione di quei professori riconobbero il nome glorioso con cui nobilitarono se stessi e la patria. Gli effetti di questa provida istituzione emersero tosto nello slancio cui riprese in breve lo studio dell'eloquenza e della poesia italiana, e nella gara destata tra la studiosa gioventù d'informare la propria coltura alle fonti dei classicismo italiano e latino. Ed è quindi che vuoisi ripetere la passione perdurata tra i dotti Istriani in tutto il secolo decimottavo in dedicarsi di preferenza ad erudite e pazienti investigazioni nel campo delle memorie patrie, delle letterature classiche, della storia e dell'archeologia, come l'attestano le opere dei varii letterati e scrittori, che vissero in quel epoca. Fra i primi allievi di questa nuova scuola vanno annoverali i Marchesi Giuseppe e Cristoforo Gravisi, il Co. Orazio Fini, Domenico Manzioli, Giacomo de Belli, Don Gavardo Gavardo, tutti distinti nella vaga e colta poesia, e nelle scienze particolari, Agostino Co. Morosini, il Dr. Elio Belgramoni, Alvise Manzioli ed alili. Fioriva pertanto la società, e cresceva pure il numero de'suoi membri dopoché, scomparso dagli esercizj, l'elemento cavalleresco, eran caduti gl'impedimenti li-noallora frapposti all'accesso di persone non nobili, e po-tea quindi ogni uomo, che fòsse di civil condizione e desse saggi d'interessamento ed amore agli studj, entrare nel grembo della medesima. Ma siccome avviene di tutte le istituzioni dipendenti dal voler dell'uomo, che per vivere e progredire hau d'uopo di stimoli ed incitamenti continui, l'Ac- Ci cademia de'R'/isorlì per un cerio accasciamento, clic s'era impadroni'to degli animi e per l'intervallo troppo lungo, che correa dall' una all'altra generale adunanza, vide illanguidire il fervore de'suoi membri e sperperarsi quelle forze che doveano contribuire al suo incremento e splendore. Nel 1759 Iti rollo il nesso, che da secoli stringeva iuiti gli studiosi istriani e dal ceppo antico divello un ramo de'più fecondi. Infervorali allo studio dall'educazione attinia nel collegio cittadino e slimolali da brama ardente di t'imputarsi nella palestra delle gare letterarie, ì giovani accademici per genio d'età impazienti di lenczze ed uggiose lungaggini, si costituirono in società indipendente intitolandosi quasi a simbolo del loro proposito col calzatile appellativo di Operosi. L'apertura di questa giovane accademia fu solenr.envnle celebrala con isfarzo di odi, sonetti e componimenti d'ogni specie e con un brillante discorso d'inaugurazione allusivo all'utilità degli esercìz] accademici. Questo fallo sebbene, come sopra avvertimmo, cagionasse da principio uno sperpero deplorabile di forze, fu lungi però dal recar nocumento alla vecchia accademia, poiché in prima destossi Ira le due istituzioni uno spirito di utile rivalità, ed in appresso, venendo meno gradatamente quella degli Operosi, seeondochè le file dei giovani diradavansi per la partenza loro agli studj universitarj, i llisorli ringagliardirono anzi vieppiù per l'accesso di que'giovani stessi, quando maturi di senno e ricchi di dottrina tornavano in pallia. Nel 1703 gli Operosi, stremati assai di numero per l'assenza di molli, ripresero vigore massimamente per le cure di vari» giovani distinti, tra cui Francesco Co. del Tacco, i Marchesi Elio, Dionisio e Nicolò Gravisi, Alessandro Gav.udo, tulli ligli di quelli, che aveano fondala la società nel 1757. Ma questo slancio per le ragioni suddette non poteva esser che passeggero, e quindi avvenne che parecchi di quelli, riconciliali ormai coi Risorti, aggradirono l'invilo lor fatto di associarsi alla vecchia accademia, per cui venne al ceppo antico innestato un ramo vigoroso, che attecchì mirabilmente e portò in seguilo frulli copiosi. Nel 1767 adunque i Risorti divennero per lai Iasione veramente operosi e tali durarono lino alio scioglimento totale della società. Prima di que.,lo però l'Accademia ebbe un periodo luminoso lii \ ili) non allriinenli che fiaccola, la quale prima di perire, manda un ultimo guizzo di luce. Trovandosi il celebre Gian Rinaldo Carli a Capodistria l'anno 1758, i di lui amici ed estimatori pensarono di valersi del nome e dell'autorità sua per infondere vita e ardore alla patria accademia, l'olendo questi per la rinunzia falla allcr allora alla cattedra di nautica ed astronomia a Padova, protrarre d'alquanto il suo soggiorno in patria, vennegli conferito il grado di Presidente con ampio arbitrio di disporre ed ordinare tulio quello, che al vantaggio della medesima riputasse conveniente. Il Carli acceltò l'incarico e vi dedicò lutto l'ingegno e la perizia, ch'egli avea in simil genere di ordinamenti. Furono presi per lui provvedimenti per garantire l'osservanza esalta delle leggi statutarie,, furono rimesse in vigore esazioni lasciale andar in disuso per incuria degli anteriori presidenti, fu impegnalo l'alleilo pall io e la generosità de'ciltadi-ni per la coriisponsioue di tributi annui tendenti all'i- stituzione di una public» biblioteca, e messi alla direzione di questa i due socj più distinti, i Marchesi Girolamo e Giuseppe Gravisi; si diede il bando a tutto quello, che ancor riinanea delle sonnifere produzioni dei pastorelli del secolo anteriore, e s'allemprarono iu quella vece gl'ingegni agli studj laboriosi ed unicamente proficui di antichità, di storia patria e nazionale, di agronomia, di scienze commerciali ed economiche; prin-cipiossi allora a smettere il vezzo delle molli canzonette e dei lunghi e nojosi panegirici, e si proposero in cambio quesiti pratici sopra la coltura più adatta delle vili e degli olivi, sopra il perfezionamento,di cui potrebbe esser suscettibile la confezione del sale istriano ed altri. Tali quesiti venivano in bell'ordine avvicendandosi alle dotte ed eloquenti diseriazioni sopra la vita e le opere di eminenti ingegni istriani de'secoli andati, sopra varii punii importanti della storia civile ed ecclesiastica della provincia, sopra questioni controverse e difficili, intese a rivendicare il possesso di glorie contestale o a sparger luce sù epoche od uomini insigni dell'Istria. Così sappiamo esser siala scelta frequente* mente a tema degli esercizj accademici la storia della riforma religiosa in quanto essa è collegala alla vita del famoso Pietro Paolo Vergerio il Juniore. Queste misure produssero un grande fermento letterario alimentalo ancora dal plauso, che la recita dei discorsi e delle disertazioni accademiche riscotea appo un publi-co elello, che concorreva assiduo a festeggiare le a-dunanze mensili tentile nella sala di casa Barba bianca. Fu Reciso inoltre di celebrare a somiglianza d'altre accademie la giornata solenne del così dello Ferragosto, ed il socio March. Girolamo Gravisi tenne analogo discorso la prima volla che la società adunossi in tale ricorrenza Per tale abbrivo all'attività letteraria occasionato dall'illuminata ed energica iniziativa del Carli, l'accademia salì ili estimazione nella provincia e fuori, in prova di che frequenti si furono le aggregazioni di socj di questa alle accademie di Padova, di Belluno, di Rovigo, di Gorizia e in ispecialilà a quella di Udine, colla quale massimente mantenne la Giuslinopo-lilana un allivo commercio di sludj e di amichevoli of-fi< j. Fra i Risorti più distinti di quest'epoca meritano speciale menzione oltre il Presidente Gian Rinaldo Carli, il fratello di lui Stefano e il figlio Agostino Carli Rubbj, Nicolò e Cristoforo de Relli, Bartolomeo Manzioli, Alessandro Gavardo, Gian Paolo Polesini, Ignazio Dr. Lotti medico provinciale, il Padre Domenico Malia Pellegrini de P. P. Predicatori, il P. Antonio Schiavnzzi, il sacerdote don Antonio Decleucich, e quegli, che fu anima e splendore della società, il Marchese Girolamo Gravisi intorno al (piale vuole giustizia si raccolgano finalmente le notizie che ne illustrino la vita e i ineriti lellerarj. (*) Chiudiamo augurando che Capodistria nostra non venga meno giammai alle onorale tradizioni della sua coltura e dei suoi sludì. prof. G. B. (") Siamo ben lieti di annunziare che l'egregio autore di questo scritto intorno alle accademie ha già pronto per la stampa un eccellente suo lavoro, che adempie pienamente al voto degli Istriani di vedere illustrati la vita e gli studi del Marchete Girolamo Gravisi. Nota della Redazione. É ti