ISSN 0024-3922 LINGUISTICA XXXIV, 2 Ljubljana 1994 ISSN 0024-3922 LINGUISTICA XXXIV, 2 Ljubljana 1994 Revijo sta ustanovila tStanko Škerlj in fMilan Grošelj Revue fondee par t S tanko Škerlj et fMilan Grošelj Uredniški odbor - Comite de redaction Janez Orešnik - Mitja Skubic - Pavao Tekavčič Natis letnika je omogočilo MINISTRSTVO ZA ZNANOST IN TEHNOLOGIJO REPUBLIKE SLOVENIJE Sous les auspices du MINISTERE DES SCIENCES ET TECHNOLOGIES DE LA REPUBLIQUE DE SLOVENIE FRAN ŠTURM - A CINQUANT' ANNI DALLA SCOMPARSA II termine "scomparsa" del titolo non e, purtroppo, 1'abituale eufemismo. Fran Šturm, il primo docente di filologia romanza presso la giovane Universitä di Ljubljana e, in quell'epoca, decano della Facoltä di Lettere, fu prelevato nella notte dal 12 al 13 maržo 1944 nella sua časa di Ljubljana da due sedicenti poliziotti in borghese, mai identificati (si era nel periodo dell'occupazione nazista), con la motivazione di un urgente confronto con un ufficiale partigiano catturato. Non fece mai ritorno a časa e vani furono i tentativi fatti dalla famiglia e dal rettore deli'Universitä presso le autoritä militari tedesche e presso la polizia. Non si e mai saputo nulla, ne e stato ritrovato e identificato dopo la guerra il suo cadavere. Tuttavia, un motivo c'era: lo Šturm era stato uno dei membri fondatori dell'OF (Fronte di Liberazione Nazionale) fin dall'occu-pazione italiana della cittä nell'aprile del 1941 e lo smembramento della vecchia Jugoslavia, ed era 1'organizzatore della rete clandestina all'Universitä. Nacque a Košana sul Carso nel 1881, fece i suoi studi universitari a Vienna tra il 1902 e il 1908 (romanistica e germanistica), e li discusse con successo la sua tesi di dottorato di ricerca col tema: Romanische Elemente in der slowenischen Mundarten von Innerkrain (1911). Fu per due anni professore di francese in un liceo a Vienna e insegnö la stessa lingua al liceo di Ljubljana a partire dal 1911. Creatasi dopo la guerra l'universitä, collaboro con la appena istituita cattedra di studi romanzi fin dali'anno accademico 1921/22, per diventare, nel 1927, il primo docente di ruolo per la filologia romanza. Per ovvie ragioni il compito primario della cattedra era quello di far progredire lo studio del francese, diventato nell'insegnamento medio la prima lingua straniera. C'e stata, di conseguenza, una grande necessitä di creare in pochi anni un numero sufficiente d'insegnanti qualificati. Lo Šturm si mise al lavoro con tutto il fervore: dall'amore per la lingua francese nacque anche l'idea di un grande dizionario francese-sloveno. Chi scrive queste righe ricorda ancora, nel 1938 e 1939, l'uscita dei primi volumetti del dizionario, accessibili per quanto riguardava il prezzo anche ai liceali. Certo, lo scoppio della guerra rallentö il ritmo del lavoro e l'occupazione italiana interruppe la pubblica-zione: furono stampate solo le pagine fino alla lettera C. Benche dedito alio studio del francese, Fran Šturm euro anche quello dell'italiano e, forse in maggior misura ancora, quello del friulano. Proveniente egli stesso dalla zona del Carso, per esperienza propria si era formato l'idea dell'importanza dell'influsso romanzo non solo nella lingua letteraria slovena ma anche nelle parlate occidentali, vale a dire nelle zone attigue al territorio romanzo o addirittura etnicamente miste. In particolare gli parve importante constatare gli influssi linguistici friulani e veneti distinguendoli, possibilmente, tra di loro e non solo dall'influsso dell'italiano letterario. Una minuziosa esplorazione diede alio Šturm la possibilitä di affermare che i prestiti dal friulano verso lo sloveno (sempre lo sloveno delle zone occidentali) risultano interessanti per lo studio dello sloveno, giacche si tratta di constatare l'apporto lessicale straniero; tali prestiti, poi, diventano oltremodo preziosi per la romanistica, special-mente per il friulano. Permettono, infatti, di stabilire la cronologia di un fenomeno fonetico di estrema importanza, cioe la palatalizzazione delle occlusive velari davanti ad a. Tale fenomeno e ben noto al friulano e, piü ampiamente, al ladino (largo sensu), oltreche al francese. E' merito dello Sturm aver constatato (si veda Cefas-tu?, vol. VIII (1932) e IX (1933)) che i prestiti antichi dal friulano alio sloveno non conoscono tale palatalizzazione. Tanto per dare qualche esempio: Kobarid da Kabored, Kranj (con metatesi) da Carnia tra i toponimi, oppure pogača da FOCACEA, koštrun dall'ant. frl. castron, fruga da FRUGA (v. REW3 3546). Oggi, le rispettive parole in friulano suonano Cjargne, fujace, cjastron; fruje si trova in Engadina soltanto. I prestiti in sloveno provano, infatti, che la palatalizzazione ladina non e contemporanea a quella della Gallia settentrionale. Lo Šturm colloca il fenomeno tra l'XI e il XIV secolo: una delle prove sarebbe la sostituzione della labio-dentale/con la occlusiva p (si confrontino gli esiti del lat. FILIOLU sl. pilun, er. piljun, pijuri). Altro fenomeno fonetico che attirö l'attenzione di Fran Šturm fu quello della sonorizzazione delle occlusive sorde latine in posizione intervocalica. Giacche i toponimi nel territorio oggi sloveno dimostrano una duplice soluzione, la conservazione della sorda oppure l'innovazione, ossia la sonorizzazione, il problema di tracciare un limite si pone da se. E' nota la celebre linea wartburghiana La Spezia-Rimini, fissata appunto in base all'esito delle sorde intervocaliche, mentre i limiti per il lato Orientale non sono stati determinati. Ebbene, lo Šturm ebbe l'idea di sfruttare i dati offerti dai toponimi latini o prelatini che gli slavi dal VI secolo in poi appresero dalle stirpi celtiche o illiriche latinizzate. Cosi si pote stabilire una linea approssimativa che lascia toponimi con la sorda conservata a Oriente (Beljak, Ptuj, Logatec, Koper), mentre conoscono l'innovazione toponimi a Occidente (Meglarje in Carinzia, Kobarid, Čedad). Con queste ricerche Fran Šturm diede un contributo importante nel campo della romanisjica. Lo ricordiamo come fondatore degli studi di linguistica romanza all'Universitä di Ljubljana, gli riconosciamo indubbi meriti pedagogici e, alio stesso tempo, vediamo in lui l'iniziatore e l'animatore di quel filone di ricerche sulle interferenze slavo-romanze in ambedue le direzioni che oggi attirano molti ricercatori. E' giusto rendergli un omaggio a tanti anni dalla tragica fine. Mitja Skubic Jasna Makovec-Černe Ljubljana CDU 801.73 TEXTPRODUKTION KOGNITIVE TEXTMODELLE 1. EINLEITUNG Im Rahmen des Forschungsansatzes "Kognitive Wissenschaft" hat sich in den letzten zwei Jahrzehnten die Kognitive Linguistik stürmisch entwickelt und durch ihre Arbeiten neue Akzente in der gesamten sprachwissenschaftlichen Forschung gesetzt. Im Mittelpunkt des Interesses der Kognitiven Linguistik steht die Erforschung der Interaktion zwischen der mentalen Repräsentation und der Verarbeitung sprachlichen Wissens. Als ein konkretes Anwendungsfeld dieses neuen Ansatzes hat sich schon früh die Forschung zum "Verarbeiten und Verstehen von Texten" und zum "Lernen mit Texten" entwickelt.1 In diesem Forschungsansatz verbinden sich Gesichtspunkte und Impulse aus sehr verschiedenen Disziplinen wie der kognitiven Psychologie, der Informationsverarbeitungstheorie, der Linguistik, insbesondere der Textlinguistik, der ebenfalls neu aufkommenden Textwissenschaft, der Psycholinguistik und der Computerwissenschaft (vgl. Norman 1981, Shechter & Toglia 1985). Anders verlief die Entwicklung in einem anderen Forschungsfeld von Kognitiver Wissenschaft, dem "Textproduzieren". Erst seit Mitte der 80er Jahre kann man ein wachsendes Interesse auch an den produktiven Verwendungsweisen von Sprache beobachten. An die Textproduktion kann man mit unterschiedlichen Interessen und Fragen herangehen: Zum einen kann man sich für das Produkt interessieren und z.B. fragen, ob der Text unter Gesichtspunkten der Grammatik korrekt ist oder ob der Text kohärent, themabezogen ist. Dies sind linguistische und texttheoretische Fragen zum Textproduzieren. Zum anderen kann man sich für den Prozeß interessieren und z.B. fragen, welches Wissen und welche Handlungen ein Textproduzent einsetzen muß, um sein eigenes Vorgehen bei der Textproduktion zu kontrollieren und zu steuern, und welche Rückwirkungen der Textproduktionsprozeß auf das Wissen des Textproduzenten hat. In diesem Fall handelt es sich um eine prozeßorientierte Betrachtungsweise von 1 Textverstehen als auch Lernen mit Texten sind in den USA mittlerweile wohletablierte Forschungsthemen; vgl. z.B. Kintsch & van Dijk 1978. Textproduzieren, d.h. um eine Sicht des Textproduzierens, die die Kognition in den Mittelpunkt des Forschungsinteresses setzt. Die zentralen Fragen richten sich dabei auf die repräsentationalen und prozeduralen Aspekte der Sprachverarbeitung: Welche Planungseinheiten liegen der Sprachproduktion zugrunde? Wie werden die Einheiten so unterschiedlicher Kenntnissysteme wie Semantik und Phonologie abgerufen? Laufen die Prozesse unabhängig voneinander ab oder interagieren die Prozeßkomponenten miteinander? Inwieweit determiniert der Kontext den Verbalisierungsprozeß? Eine Textproduktionstheorie sollte nun beschreiben und erklären, wie mentale Repräsentation in (schriftliche oder mündliche) Sprachstrukturen übersetzt wird. Die Untersuchung bewußter und unbewußter Planungsprozesse bei der Textproduktion hat zwar eine lange Tradition, jedoch ergibt sich hier - wie bei der Erforschung aller mentalen Phänomene - das Problem, daß die Prozeßebenen der Beobachtung nicht direkt zugänglich sind. Sie müssen mittelbar über externe Parameter erschlossen und mittels theoretischer Modelle rekonstruiert werden. Ziel der Textproduktionsforschung ist es, die involvierten Planungs- und Aktivierungsvorgänge im Rahmen eines umfassenden Prozeßmodells (das Modell muß u.a. auch berücksichtigen, daß es sich dabei um in der Zeit ablaufende und von der Gedächtniskapazität eingeschränkte Vorgänge handelt) zu explizieren. Im folgenden werden Einblicke in grundlegende kognitive Prozesse der Planung und Produktion von Texten gegeben (Abschnitt 2), dann werden die in der kognitiv orientierten Textproduktionsforschung entwickelten Annahmen und Modelle dargestellt (Abschnitt 3), wobei an manchen Punkten weitergehende Überlegungen angestellt werden. Schließlich werden auch wesentliche empirische Methoden referiert (Abschnitt 4), die u.a. auch der Überprüfung und Falsifizierung bestimmter Annahmen dienen. Im letzten Abschnitt (5) werden einige präzisierende Textproduktionsprozeßannahmen getroffen. 2. ALLGEMEINE ÜBERLEGUNGEN ZUR KOGNITION BEIM TEXTPRODUZIEREN Eine Vorbedingung von Textproduzieren ist Wissen. Wissen ist die Menge aller Informationen, die ein Mensch intern gespeichert hat. Wissen ist nicht nur eine statische Ansammlung von Erfahrungsinhalten, sondern auch die Fähigkeit, auf diesen Inhalten zu operieren. Die allgemeine kognitive Kompetenz des Menschen umfaßt somit deklaratives, prozedurales und episodisches Wissen. Deklaratives Wissen ist Wissen über die Welt. Es wird in Form von Netzwerken, Propositionenlisten, Eigenschaftsrelationen, Teil-Ganzes-Beziehungen usw. beschrieben. Prozedurales Wissen, auch Handlungswissen genannt, dient dem Umgang mit der Welt. Damit sind in erster Linie diejenigen außersprachlichen Wissensbestände angesprochen, die es uns erlauben, bestimmte Ereignisse als bestimmte Handlungen zu deuten und selbst Handlungen durchzuführen. Es geht also um ein prozessual orientiertes Wissen, das uns z.B. auch befähigt, in einer bestimmten Kommunikationssituation bestimmte Handlungen unserer Kommunikationspartner zu erwarten. Wir wissen außerdem, welche Handlungen in bestimmten Situationen normalerweise aufeinander folgen, d.h. unser Wissen umfaßt ganze Handlungskomplexe, die gewöhnlich auch kulturell geprägt sind (vgl. Watzlawick et al. 1974). Prozedurales Wissen wird oft in Wenn-Dann-Beziehungen beschrieben. Episodisches Wissen ist Wissen über Erlebtes, d.h. biographisches Wissen. Deklaratives Wissen beim Textproduzieren ist das Wissen von Textproduzenten über die Aufgabe Textproduzieren. Hierzu gehört insbesondere der kommunikative Rahmen beim Textproduzieren, also Wissen über Zweck und Funktion von Textproduzieren, über Thema, Zeit, Leser. Prozedurales Wissen beim Textproduzieren ist das Wissen des Textproduzenten über Strategien, d.h. über seine Handlungsmöglichkeiten zur Textproduktion wie z.B. Planung (Gliederung, Skizze usw.), Generierung (aus dem Langzeitgedächtnis oder aus unterschiedlichen externen Informationen) oder Formulierung. Es ist sinnvoll, daß beim Textproduzieren zwischen einer Bedingungsebene und einer Handlungsebene unterschieden wird. Der Textproduzent selbst ist beiden Ebenen zuzuordnen. 2.1 Die Handlungsebene Das Textproduzieren ist als Handlungsverlauf zu bestimmen (vgl. Rehbein 1977, Ehlich 1980, Ehlich & Rehbein 1979). Eine weitere Eigenschaft von Textproduzieren ist, daß die Handlungen sich auf mehrere Ebenen beziehen, so wie sich auch ein Text aus mehreren Ebenen zusammensetzt. Die Forscher nehmen ähnliche Aufteilungen von Handlungen vor. Auf einer ersten Ebene wird das Textproduzieren in zwei Typen von Handlungen unterteilt, die sich generell unterscheiden: Planung und Ausführung. 2.1.1 Planung Planen als ein stetiger und dynamischer Prozeß bedeutet, Entscheidungen zwischen Alternativen zu fällen. Beim Textproduzieren sind zwei Arten von Planung zu unterscheiden: die inhaltliche Planung und die Planung der Vorgehensweise (s. z.B. Flower & Hayes 1981b). 2.1.1.1 Inhaltliche Planung Bei der inhaltlichen Planung geht es um den Aufbau und die Gestaltung des Textes. Eine wichtige Bedingung für die inhaltliche Planung ist das Thema des zu produzierenden Textes. Anders ausgedrückt würde man sagen, der Textproduzent muß eine erste Repräsentation des Themas aufbauen. Das Thema als Bedingung für inhaltliche Planung ist also in Relation zum Wissen des Textproduzenten zu betrachten. Ist das Thema für ihn eindeutig, dürfte weinger inhaltliche Planung notwendig sein, als wenn dem Textproduzenten nicht klar ist, was mit dem Thema zu verbinden ist. Was mit dem Thema zu verbinden ist, ist eine erste Aufgabe der inhaltlichen Planung. Eine weitere wichtige Bedingung für die inhaltliche Planung sind die potentiellen Leser bzw. deren Erwartungen. Sie beeinflussen die Auswahl der Inhalte und auch die Form, in der diese Inhalte mitgeteilt werden. Der Textproduzent hat dabei das Vorwissen der Leser und deren sprachliche Fähigkeiten zu bedenken. Auch die Wortwahl ist hierdurch beeinflußt. Auch die Funktion des Textes ist eine Bedingung für die inhaltliche Planung. Texte z.B., die überzeugen sollen, bedürfen bestimmter Argumentationsstrukturen, die nachvollziehbar sind. Unter den Entscheidungen, die die inhaltliche Planung beeinflussen, kann das inhaltliche Wissen zum Thema wohl als grundlegende Voraussetzung betrachtet werden. So ist beispielsweise bei Abhandlungen zu empirischen Untersuchungen Konvention, zuerst den theoretischen Hintergrund auszuarbeiten, dann den Versuchsaufbau zu erläutern und folglich die Ergebnisse mitzuteilen. Inhaltliche Planung kann rein mental ablaufen, oder der Textproduzent macht sich Notizen, um seine Gedächtniskapazität zu entlasten. Aber auch Planungsnotizen sind in einer Schaubild - oder Gliederungsform angefertigt. In der Textproduktionsforschung wird des weiteren unterschieden zwischen Planung, die sich auf den ganzen Text bezieht (vgl. z.B. "global discourse plans" von Cooper & Matsuhashi 1983 oder Makrostruktur bei van Dijk & Kintsch 1983) und der Planung, die sich auf den einzelnen Satz bezieht ("sentence plans"). 2.1.2 Ausführung Ausführung umfaßt Orientierung, Generierung von Informationen, Formulierung (Vertextung) dieser Informationen gemäß dem Plan, Rezeption von geschriebenem Text und Evaluation des Textes. 2.1.2.1 Orientierung Die Orientierung umfaßt zum einen alle vorbereiteten Handlungen zur Bereitstellung der notwendigen Materialien. Zum anderen zählt hierzu eine Situationsanalyse, d.h. die Repräsentation der situativen Bedingungen (z.B. Thema, Rezipient, Zeit usw.). 2.1.2.2 Generierung Es werden einerseits Wissenselemente aus dem Langzeitgedächtnis abgerufen und andererseits externe Informationen für die Textproduktion verarbeitet. Die Generierung von Informationen wird von Hayes & Flower (1980) als Assoziationsfolge gesehen, bei der unter Berücksichtigung der situativen Bedingungen Thema und Leser Informationen aus dem Langzeitgedächtnis abgerufen werden. Unterscheidet sich Textproduzieren bzw. Texte von Textproduzenten mit mehr bzw. weniger Wissen zu einem Thema? Ohne Zweifel hat die Vertrautheit mit dem Thema Einfluß auf die Verfügbarkeit von bedeutsamen Wissenselementen. Dies konnte in Untersuchungen, die den Einfluß von themenrelevantem Wissen auf Textproduzieren zum Gegenstand hatten, auch nachgewiesen werden (vgl. McCutchen 1986, Voss, Vesonder & Spilich 1980, Witte & Faigley 1981, Eigler et al. 1990). Die Wichtigkeit des Themas zeigt sich auch in dem in der Fachliteratur oft verwendeten Stichwort "Qualität": inwieweit sind einzelne Äußerungen, aus denen Texte bestehen, themabezogen? Als gute Texte werden in der Regel solche empfunden, die sich eng auf das gestaltete Thema beziehen, d.h. sich im Gesamtbereich für einen Leser durch Themenrelevanz auszeichnen. Molitor (1984: 27ff.) beispielsweise nennt einige Möglichkeiten, wie Generierung unterstüzt werden kann. Eine Möglichkeit ist die Benutzung eines Textschemas, das gemäß Anlaß und Funktion der Textproduktion abgerufen oder gebildet wird. Ein Textschema repräsentiert die Struktur des Textes und eröffnet sozusagen Leerstellen, die zu füllen sind. Steht dem Textproduzenten kein Textschema zur Verfügung, dann muß er die Struktur des Textes erst entwickeln. Weiterhin spielen metamnemonische Techniken eine Rolle, wie z.B. Gliedern von vorhandenem Material, Perspektivenwechsel, Analogien usw. Beim Textproduzieren spielt auch die Verwendung von schriftlichen Informationen eine wichtige Rolle. Generierung umfaßt somit zwei Bereiche: Abrufen von Wissen aus dem Langzeitgedächtnis und die Verarbeitung von externen Informationen. Das Wissen des Textproduzenten wird in Informationselemente im Arbeitsgedächtais überführt und mit dem Thema verknüpft. Der Textproduzent entwickelt eine Repräsentation des Themas und damit eine erste Repräsentation des Textes. 2.1.2.3 Formulierung Durch die Formulierung werden die generierten und durch die Planung organisierten Inhalte versprachlicht. Dabei handelt es sich um einen Übersetzungsvorgang von nichtsprachlichem semantischem Material in Text. Dieser Vorgang setzt sich aus einer Folge von Entscheidungen und Handlungen zusammen (vgl. Cooper & Matsuhashi 1983). Einige Autoren betonen, daß schon bei der inhaltlichen Planung Sprache beteiligt sei. So greift z.B. Ludwig dazu das Konzept der inneren Sprache auf (Ludwig 1983: 60f.). Die Ergebnisse dieser innersprachlichen (Planungs-) Aktivitäten seien in semantischen Komplexen organisiert. 2.1.2.4 Rezeption Durch Rezeption kann der Textproduzent die Repräsentation seines Textes erneuern. Auf der Grundlage der Textverarbeitungsforschung (z.B. Kintsch & van Dijk 1978) ist - auf den zu produzierenden Text bezogen - anzunehmen, daß der Inhalt in Form einer Makrostruktur repräsentiert ist. 2.1.2.5 Evaluation Durch Evaluation wird ein Vergleich zwischen Intention und Realisation vorgenommen. Es gibt verschiedene Stufen der Evaluation (Rückkoppelung, Kontrolle, Bewertung), durch die geprüft wird, ob die Ziele verwirklicht sind (ob der Text den eigenen Intentionen entspricht, ob er kohärent ist usw.). Zusammenfassend läßt sich sagen: Wenn wir schreiben oder sprechen, verschlüsseln wir konzeptuelle Inhalte in ein geordnetes Nacheinander von sprachlichen Einheiten. Vereinfacht gesagt, umfaßt dieser Vorgang folgende Prozeßebenen: Auf der Stufe der Konzeptualisierung findet die Erstellung einer kognitiven Repräsentation des intendierten Äußerungsinhalts statt. Hier werden die Informationen ausgewählt, die ein Sprecher einem Hörer mit einer bestimmten Intention mitteilen will. Die Stufe der Lexikalisierung involviert die Auswahl und Aktivierung der lexikalischen Einheiten, welche die konzeptuellen Inahlte ausdrücken sollen. Diese . Ebene gehört bereits zum Prozeß der Formulierung. Ein weiterer Schritt ist die Erzeugung einer syntaktischen Struktur. Auf der Stufe der phonologischen Enkodierung werden die lexikaUschen Einheiten phonologisch spezifiziert. Schließlich erfolgt die lautsprachliche Artikulation, d.h. die motorische Hervorbringung der sprachlichen Repräsentation. Textproduzieren als kognitive und motorische Tätigkeit bedarf daher verschiedener Fähigkeiten, welche alle erlernt werden müssen. 3. KOGNITIVE MODELLE DER TEXTPRODUKTION Kennzeichen der kognitiv orientierten Forschung zum Textproduzieren ist die Sicht des Textproduzierens als kognitiver Prozeß. Die Folge ist der Entwurf von kognitiven Prozeßmodellen (z.B. Hayes & Flower 1980, Bereiter 1980, de Beaugrande 1984). Das sind auf einem generellen Niveau formulierte Vorstellungen hinsichtlich der am Textproduktionsprozeß beteiligten Komponenten (wie Lang- und Kurzzeitgedächtnis, Wissen u.ä.) und der Abfolge von Prozessen, die zwischen Wissen und Text vermitteln. Sprachproduktionsmodelle werden in enger Interaktion zwischen Theorie und Empirie entwickelt. Theoretische Modelle erlauben die Ableitung von Hypothesen, die in experimentellen Untersuchungen überprüft werden können. Auf der Grundlage experimenteller Ergebnisse können die Modelle bestätigt oder modifiziert werden. In der Textproduktionsforschung ist eine Trennung des Bereiches der gesprochenen Sprache von dem Bereich der geschriebenen Sprache meist die Regel. Gerade damit versäumt die Forschung jedoch, integrative Einsichten in den Sprachproduktionsprozeß zu gewinnen. Sprechen und Schreiben unterscheiden sich zwar in vielerlei Hinsicht. Sprechen - eher als ein Produkt der Evolution angesehen - ist in die Situation einer normalerweise mindestens dialogischen face-to-face Kommunikation eingebettet. Schreiben ist jedoch in eine eher monologische Situation eingebettet (vgl. Tannen 1985). Aus diesem Unterschied ergeben sich Konsequenzen für unterschiedliche Produktionsgeschwindigkeiten (vgl. Chafe 1977), für die Interpunktion oder für eine unterschiedliche Wortwahl (Hayes 1988). Natürlich ließe sich eine ganze Liste weiterer differenzierender Merkmale auflisten, die jedoch die Schlußfolgerung nicht rechtfertigen läßt, daß der Produktion gesprochener Sprache und der Produktion geschriebener Sprache völlig unterschiedliche kognitive Prozesse zugrunde liegen. Obwohl insbesondere Informationsquellen und Kontextbedingungen beim Schreiben und beim Sprechen teilweise von unterschiedlicher Relevanz sind, ist davon auszugehen, daß beim Sprechen und Schreiben eine große Schnittmenge zentraler kognitiver Produktionsprozesse vorhanden ist (van Dijk & Kintsch 1983, Herrmann 1985, Bereiter & Scardamalia 1987). Eine Verbindung beider Forschungsbereiche erscheint deshalb sinnvoll. Dies gilt gerade dann, wenn man auch die Genese der Schreibentwicklung berücksichtigt. Schreiben muß gelernt werden und die Fähigkeit, schriftliche Texte produzieren zu können, müssen Kinder auf der Grundlage ihrer mündlichen Sprachfähigkeit entwickeln. Eine naheliegende und die mündliche und schriftliche Textproduktionsforschung verbindende Fragestellung ist deshalb z.B.: "Welche kognitiven Fähigkeiten müssen zu den für die mündliche Spr.achproduktion gelernten zusätzlich entwickelt werden, damit schriftliche Texte produziert werden können?" (vgl. Scardamalia & Bereiter 1987). Die Produktion geschriebener Sprache ist Gegenstand wissenschaftlicher Analysen erst etwa ab den siebziger Jahren unseres Jahrhunderts (z.B. Stallard 1974, Flower & Hayes 1977 u.a.). Hingegen wurden die Probleme bei der mündlichen Produktion schon Ende des letzten Jahrhunderts untersucht, und zwar anhand mündlicher Fehlleistungen (Meringer & Mayer 1895). Ab den 50er Jahren entstanden weitere Untersuchungen zur Produktion gesprochener Sprache (z.B. Goldman - Eisler 1951, 1954; Maclay & Osgood 1959). Dies hatte zur Folge, daß die Theorieentwicklung im Bereich der mündlichen Textproduktion der Theorieentwicklung der schriftlichen Produktion weit voraus war. Dies ist erstaunlich, wenn man die tägliche Flut von geplanten und schließlich produzierten schriftlichen Publikationen berücksichtigt. Wie schon erwähnt, ist die schriftliche Textproduktionsforschung eine verhältnismäßig junge Disziplin und die Theorieentwicklung in diesem Bereich beginnt erst in den achtziger Jahren mit den Arbeiten von Hayes und Flower (1980; Flower & 2 In den achtziger Jahren sind die in der amerikanischen Forschung entwickelten Theorien und Modelle in deutschsprachigen Raum aufgenommen, kritisiert und weiterentwickelt worden. Vgl. z.B. Fischer & Mandl 1980, Kluwe 1981, das Modell von Borkowski & Krause 1985. Hayes 1981a). Das Ziel war zunächst festzustellen, ob verschiedene Phasen in der schriftlichen Textproduktion überhaupt zu erkennen sind. Fallstudien zu geübten Textproduzenten, die während der Textproduktion mündlich permanent darüber berichteten, worüber sie gerade nachdachten (lautes Denken), zeigten, daß Textproduktion ein rekursiver Prozeß ist. Im folgenden werden wesentliche kognitive Modelle der schriftlichen Textproduktion dargestellt: 1. Das sogenannte rekursive Modell von Hayes & Flower (1980), das zu einer Art Leitmodell geworden ist (fast in allen Arbeiten zum Textproduzieren wird darauf Bezug genommen). Es bildet den zentralen Rahmen der Schreibforschung. 2. Das am weitesten ausgearbeitete, stärker linguistisch orientierte Modell des parallelen Verarbeitens von de Beaugrande (1984). 3. Das Modell von Schreibstrategien von Bereiter (1980) bzw. von Bereiter & Scardamalia (1983, 1985, 1987), das sich auf Schreibproduktionsprozesse von Anfängern konzentriert. 4. Das Modell von Cooper & Matsuhashi (1983) versucht zu erklären, welche Verarbeitungsschritte beim Übergang von der Planungsphase in die Übersetzungsphase im Produktionsprozeß notwendig sind. 3.1 Das Modell von Hayes & Flower Die Textproduktion wird in dem Modell von Hayes & Flower (1980) als ein globaler zielgerichteter Prozeß im Sinne eines Problemlöseprozesses verstanden, wobei es zu einem Wechselspiel zwischen Intention und Realisation kommt. Die Zielgerichtetheit besteht in der Annäherung an die Zielvorstellungen hinsichtlich Thema, Leser und Form (im Sirtne von Textschema). Dieser Zielgerichtetheit entspricht auf der Ebene des Handelns eine flexible Organisation der Prozesse wie Planen, Übertragen (Übersetzen) in schriftliche Form und Prüfen, die ihrerseits in weitere Subprozesse zerfallen. Diese Abfolge ist nicht einfach linear-sequentiell anzusehen, da es sich um ein rekursives Modell handelt: eine Phase der Planung wird von einer Phase der Übertragung (Übersetzens) und diese wiederum von einer Phase des Überarbeitens abgelöst. Ein kontinuierliches Durchlaufen dieser Phasen führt schließlich zu einem vom Textproduzenten gewünschten Textendprodukt. Die Voraussagen von Hayes & Flower waren, daß zunächst Prozesse des Bereitstellens von Wissen, gelegentlich unterbrochen von Prozessen des Prüfens, vorherrschen, dann Prozesse des Organisierens und schließlich Prozesse des Übertragens, jeweils unterbrochen von Prozessen des Bereitstellens neuen Wissens und des Prüfens. Die Autoren arbeiten mit der Methode des lauten Denkens und der Protokollanalyse, um kognitive Prozesse beim Textproduzieren zu identifizieren. Aufgrund der ihrem Modell zugrundeliegenden empirischen Daten konzentrieren sie sich auf die Subprozesse der Planung und der Übersetzung. Hayes & Flower (1980) unterscheiden innerhalb der Textproduktion drei relevante Bereiche: 1. die Textproduktionssituation 2. das Langzeitgedächtnis des Textproduzenten und 3. die aktuelle Textproduktion (der Schreibprozeß selbst) Zur Textproduktionssituation gehören mehrere Faktoren, von denen drei zentral sind. Der erste Faktor ist die Aufgabe, einen ganz bestimmten Text mit einem konkreten Thema zu verfassen. Darüber hinaus muß sich der Textproduzent an den spezifischen Lesern orientieren, für die er schreibt. Den dritten Faktor stellt der aktuell produzierte Text dar, d.h. der Textteil, der nach der bereits begonnenen Textproduktion zustande gekommen ist. Der produzierte Text ist nämlich die Grundlage für seine kohärete Fortführung. Mit dem Langzeitgedächtnis ist das unterschiedliche Wissen (Sachwissen, Wissen über den sprachlichen und strukturellen Aufbau des Textes sowie über die Texttypen bzw. Textsorten, Wissen über Leser usw.) des Textproduzenten gemeint, in der Hauptsache wohl das Wissen über den Themenbereich, zu dem zu schreiben ist. Dieses Wissen ist der Ausgangspunkt für die weitere Verarbeitung. Zur Bewältigung einer bestimmten schriftlichen Aufgabe muß nun der Textproduzent all die dafür notwendigen Informationen aus seinem Langzeitgedächtnis abrufen. Somit ist Textproduktion ein zielgerichteter Problemlöseprozeß. Der aktuellen schriftlichen Textproduktion, die nur eine Komponente des Modells darstellt, ordnen Hayes & Flower drei Prozeßtypen zu: Planungsprozesse Übersetzungsprozesse Überarbeitungsprozesse Planungsprozesse eröffnen die Chance, nicht an der Vielfalt heterogener Anforderungen zu scheitern. Pläne reduzieren - zunächst nur umrißhaft - auf das Wesentliche. Planungsprozesse dienen dazu, eine interne mentale Repräsentation des Wissens aufzubauen, das in einen Text transformiert werden soll. Welche Struktur und welche Komponenten dieser internen Wissensrepräsentation zugrunde liegen, bleibt jedoch bei Hayes & Flower uneindeutig (vgl. Flower & Hayes 1981a: 372). Einerseits behaupten sie nämlich, daß das Wissen in Form von Propositionen gespeichert ist, andererseits aber sagen sie, daß Konzepte, Relationen und Attribute, die eigentlich die Wissensstruktur bilden, in Komplexen von Netzwerken oder Bildern organisiert sind (Hayes & Flower 1980: 15). Hayes & Flower unterscheiden drei Planungsprozesse: Generierungsprozeß, Organisationsprozeß und Beurteilungsprozeß. Die Aufgabe des Generierungsprozesses besteht in dem Abrufen von notwendigen Informationen aus dem Langzeitgedächtnis. Der Textproduzent generiert ein Netzwerk von Ideen, das weit über den tatsächlich produzierten Textinhalt hinausgehen kann. Ergebnis dieses Prozesses sind "single words or sentence fragments, although they may sometimes be complete sentences." (Hayes & Flower 1980: 15ff.). Der Organisationsprozeß linearisiert die im Hinblick auf das Thema abgerufenen Informationen entsprechend ihrer Wichtigkeit in einem Schreibplan. Der Beurteilungsprozeß übernimmt eine Selektionsfunktion. Er wählt zwischen den generierten und organisierten Informationen solche Informationen aus, die für die Schreibaufgabe besonders geeignet sind und gleichzeitig den Sprachkonventionen hinsichtlich schriftlicher Texte genügen. So wird während der Planungsphase eine mentale Repräsentation des zu produzierenden Textes aufgebaut. Mit Hilfe des Übersetzungsprozesses wird die mentale Repräsentation in Sprache transformiert. Die Aufgabe des Übersetzungsprozesses ist es nun, der linearisierten propositionalen Repräsentation sprachliche Korrelate zuzuordnen. Eben an dieser Stelle wird der oben angedeutete Widerspruch in den Arbeiten von Hayes & Flower offensichtlich. Wenn schon innerhalb der Planungsphase der Generierungsprozeß einen sprachlichen Output erzeugt, nämlich einzelne Wörter, Satzfragmente oder auch ganze Sätze, dann wäre der Übersetzungsprozeß nicht mehr notwenig. Es ist deshalb davon auszugehen, daß das Ergebnis des Generierungsprozesses nicht einzelne Wörter, Satzfragmente oder Sätze sind, sondern atomare und komplexe Propositionen, die während des Übersetzungsprozesses in Sprache übersetzt werden. Unter Überarbeitungsprozessen verstehen Häyes & Flower Produktionsschritte, die die Qualität des schon produzierten Textes sowohl in inhaltlicher als auch in stilistischer Hinsicht verbessern oder auch verändern. In diese Prozesse sind auch Leseprozesse des Textproduzenten eingebettet, und zwar mit dem Ziel, einen Vergleich zwischen dem geschriebenen und dem intendierten (geplanten) Text zu ermöglichen. Treten Diskrepanzen auf, dann können mittels Korrekturen rekursive Anpassungen vorgenommen werden. Die Prozesse der Planung, Übersetzung und Überarbeitung sind in diesem Modell hierarchisch organisiert und können nach Hayes & Flower parallel arbeiten. Dabei gehen die Autoren davon aus, daß die sprachliche Realisierung eines Textes direkt von der vom Textproduzenten aufgebauten mentalen Repräsentation abhängt, d.h. die Repräsentation wird von Propositionen schrittweise in schriftlich-sprachliche Form überführt. Qualitative Angaben darüber, wie der Übersetzungsprozeß von einem mental geplanten zu einem sprachlich realisierten Text vonstatten geht, fehlen bei Hayes & Flower gänzlich. Mit anderen Worten, die der Introspektion nicht zugänglichen Prozesse wie z.B. die Übergabe semantischer Informationen an den von Hayes & Flower angenommenen Übersetzungsprozeß stehen nicht im Mitelpunkt ihrer Forschungsarbeiten. Das Modell selbst wird von den Autoren als provisorisch eingeschätzt, als Leitfaden für Forschung und als Ausgangspunkt bei der Suche nach stärker ausgearbeiteten Modellen. Wissenschaftlich gesehen hat es den Charakter eines Rahmenmodells. Die Autoren sagen: "Our model is a model of competent writers" (1980: 29). Darin zeigt sich eine weitere Beschränkung des Modells: Auf seinem Hintergrund mögen Mängel des Schreibens von Anfängern faßbar werden - es gibt aber keinerlei Anhaltspunkte, wie aus Schreibanfängern Schreibexperten werden. 3.2 Das Modell von de Beaugrande Der Autor, von der Linguistik herkommend, versucht in das Problem des Textproduzierens den kognitiven Ansatz und dessen Ergebnisse zu integrieren. Bei der Einschätzung der Forschungslage ist de Beaugrande der Meinung, daß Textproduzieren in Anbetracht seiner Komplexität sinnvoll nur erforscht werden kann, wenn vielfältige Veriablen in Modelle integriert werden und deren Interaktion zum Gegenstand der Forschung gemacht wird. So hebt sein parallelstage interaction model die Parallelverarbeitung und die Interaktion der Produktionsphasen hervor. Außerdem weist es die Kapazitätsbeschränkungen des Kurzzeitgedächtnisses eines Autors als physiologisches Argument aus, weshalb die Informationsmenge, die sprachlich realisiert werden kann, die Satzebene in der Regel nicht überschreitet. Sein Ziel ist eine Wissenschaft des Textschreibens (science of composing, theory of writing); diese sieht er eingebettet in eine allgemeinere Theorie des Textproduzierens (die mündlichem und schriftlichem Textproduzieren übergeordnet ist) und diese wiederum in Theorien des kognitiven Verarbeitens (cognitive processing) einerseits und der Kommunikation und Interaktion andererseits. Der Ebene des Textproduzierens ist das Sprachsystem zugeordnet, das seinerseits wieder Subsysteme umfaßt (bezogen auf Laute, Wörter, syntaktische Muster, Begriffe, Vorstellungen usw.), die gleichzeitig operieren und deren Interaktion das Handeln des Gesamtsystems konstituiert. Im Licht der übergeordneten Theorien (des kognitiven Verarbeitens wie der Kommunikation) erhalten linguistische Syntax, Semantik und Pragmatik eine spezifische Deutung: linguistische Syntax als Spezialfall linearen Verarbeitens, Semantik als Spezialfall begrifflichen Verarbeitens und Pragmatik als Spezialfall von Zielplanung. Zwei Tendenzen sind zu beobachten: Steigerung von Komplexität und ihre Reduktion durch Systematisierung. Das Modell umfaßt mehrere Ebenen, auf denen sukzessiv, aber auch parallel operiert werden kann, wenn der Schwerpunkt jeweils auf einer Ebene hegen dürfte (s. Abb.l). Von "höheren" (d.h. logisch betrachtet: nachgeordneten) Ebenen kann auf "tiefere" Ebenen zurückgekehrt werden, wenn es die Entwicklung erforderlich macht -im Modell symbolisch durch die Zick-Zack-Verbindungen der Ebenen. Auf der tiefsten Ebene - goal-planning - vollzieht sich die Festlegung des Ziels, das mit diesem Text erreicht werden soll, und des Plans, wie dieses Ziel erreicht werden soll. Auf der nächsten Ebene - ideation - kommt es zur Fixierung der "idea". Darunter versteht de Beaugrande: "a configuration of conceptual content that acts as a control center for building the text-world model (the total configuration of knowledge activated for processing the text)." (de Beaugrande 1984: 109) Abb. 1 Das Modell interaktiven, parallelen Verarbeitens (zitiert nach de Beaugrande 1984:106) Das besagt: Im Hinblick auf das Thema wird ein noch recht allgemeiner begrifflicher Rahmen entworfen, der dann eine gewisse Kontrollfunktion übernimmt, nämlich welches Wissen im Fortgang zu aktivieren ist, um den Rahmen auszufüllen, bzw. welches - sich möglicherweise assoziativ einstellende - Wissen auszuscheiden ist. Auf der nächsten Ebene - conceptual development - geschieht nun diese Anreicherung, bis ein detailliertes "text-world model" entsteht (de Beaugrande 1984: 129). Es folgen die Ebenen expression, auf der die gedanklichen Konfigurationen sprachlich gefaßt werden, dann phrase linearization und sound/letter linearization, auf denen die endgültige Überführung in die Form eines zusammenhängenden Textes vollzogen wird. Es handelt sich nun um kein lineares bzw. serielles Modell; vielmehr stellen die Ebenen nur funktionale Einheiten und keineswegs ausschließlich zeitliche Einheiten dar. Von der Ebene der Entwicklung der Gedanken kann auf die der Entwicklung des Rahmens zurückgegangen werden, wenn sich dieser bei der Weiterarbeit als inkonsistent erweisen sollte, oder: Von der Ebene des textlichen Linearisierens kann auf die der Entwicklung der Gedanken zurückgegangen werden, wenn sich beim Versuch des Linearisierens zeigt, daß die bisherige gedankliche Arbeit unzureichend war, sich z.B. Lücken oder gar Widersprüche zeigen. Das heißt: De Beaugrande nimmt wie Hayes & Flower (1980) die Möglichkeit einer sehr flexiblen Organisation der einzelnen Teilprozesse an. De Beaugrande versucht zu erhellen, was mit dem Wissen beim Textproduzieren geschieht. Dabei weist er auf die Funktion des Gedächtnisses als Wissensspeicher beim Textproduzieren hin. Bei jedem Textproduzieren wird Wissen aktiviert und zugleich aktualisiert. Aktualisierung meint, daß - bezogen auf die Textproduktionssituation (Thema, Zweck) - entsprechende Auswahlen getroffen werden und dieses ausgewählte Wissen thema- und zweckangemessen in Zusammenhang gebracht wird. Ganz allgemein wird daher erwartet, daß Wissen zu einem Thema einen Einfluß auf den Prozeß und damit auf das Produkt von Schreiben hat. Das Gedächtnis fungiert als Wissensspeicher. Nimmt der Schreiber einen kleinen Ausschnitt des Textes wahr (nämlich den gerade geschriebenen), so hat er rückwärts- und vorwärtsgewandt eine Repräsentation des geschriebenen Textes. Das hat erhebliche Konsequenzen: "Hence, the text producer makes only fleeting contact with the surface text, and carries out most activities upon a mental representation. The latter's format differs from that of the surface text in important ways: being not just linear, but also hierarchical (...); including materials not expressed in the text (...). (de Beaugrande 1984: 128) In der Begrifflichkeit des Modells bedeutet das folgendes: In der "ideation"-Phase kommt es zum Entwurf eines gedanklichen Rahmens für den Text, der die weitere gedankliche Differenzierung wie auch die Prozesse der "expression"- und "linearization" - Phase steuert, der dabei aber in einer Art Makrostrukturbildung (vgl. van Dijk & Kintsch 1983) mit den auf der Textebene erreichten Differenzierungen angereichert wird. Das besagt: So wie der Schreiber den künftigen Text nicht im Detail, sondern in Form einer "configuration of conceptual content" (de Beaugrande 1984: 109) antizipiert, so verfügt er auch nach dem Schreiben nicht über eine gedächtnismäßige Repräsentation des geschriebenen Textes im Detail, sondern über eine Makrostruktur, die während des Schreibens erzeugt wird. Während des Produzierens eines Textes wird ständig und zwar in sehr unterschiedlicher Weise mit Wissen umgegangen. Wissen wird aus dem Gedächtnis aktiviert, wird - situationsbezogen - aktualisiert. Hier lassen sich Verbindungen zum Textverarbeiten und Lernen mit Texten, aber auch zum Wahrnehmen herstellen: Jeweils wird auf Wissen zurückgegriffen, auf "our prior model of the world" (de Beuagrande 1984: 3), jeweils handelt es sich um Nutzung eigenen Wissens, das sich entwickelt, indem dieses Wissen und die spezifischen Gegebenheiten der Situation, sei es in Prozessen des Textverarbeitens, sei es in Prozessen des Wahrnehmens, vermittelt werden. Auch in diesem Modell fehlen prozedurale Angaben darüber, wie ein Ausschnitt einer nichtsprachlichen konzeptuellen Repräsentation als Satz, von dem der Produzent zu Beginn der Produktion normalerweise noch nicht weiß, wie er syntaktisch aufgebaut oder wann er zu Ende ist, inkrementell produziert wird. 3.3 Das Modell von Bereiter und von Bereiter & Scardamalia Auch Bereiter (1980) geht bei seinen Überlegungen von kognitiven Theorien aus. Im Zentrum seiner Forschung steht die Frage, welche kognitiven Strategien bei der schriftlichen Textproduktion angewendet werden und wie diese angepaßt sind an die jeweils begrenzte Informationsverarbeitungskapazität. Er (1980) entwirft ein Prozeßmodell, das folgende Komponenten umfaßt: auf einer obersten Ebene ein "exekutives Schema", das den Schreibprozeß als ganzen unter Berücksichtigung von Zwecken (d. h. in der Sprache von Hayes & Flower (1980): von Thema und potentiellen Lesern) steuert; auf der darunterliegenden Ebene steuern "Textschemata", den Schreibprozeß hinsichtlich der Textform (diese hängt wiederum von Textsorte ab), dann einen "Inhaltsverarbeiter" ("content processor", Bereiter 1980: 79, vergleichbar den Prozessen "Bereitstellen von Wissen" und "Organisieren") und schließlich einen "Sprachverarbeiter" ("language processor", ebenda S. 79), vergleichbar dem Prozeß "Übertragen" bei Hayes & Flower (1980). Auch zu dem Modell von de Beaugrande (1984) lassen sich entsprechende Beziehungen herstellen. Auf dem Hintergrund dieses hierarchischen Modells wird der Schreibprozeß selbst als ein Wechselspiel von absteigenden und von aufsteigenden Prozessen angesehen (aufsteigende Prozesse bedeuten die Aktivierung der höher liegenden Hierarchieebenen). Die sich entwickelnde Fähigkeit zur Bewältigung der Verarbeitungsüberlastung beim Schreiben erklärt Bereiter (1980) mit Annahmen van Pascual-Leone & Smith 1969, nach denen -mit dem Alter zunehmend - eine größere Zahl von Tätigkeiten koordiniert wird. So praktizieren z.B. Schreibanfänger im Vergleich mit Schreibexperten ein strukturell einfacheres Schreiben. Bei ihnen stehen Probleme auf niederen Ebenen im Vordergrund, weil zunächst überhaupt etwas zu Papier gebracht werden muß. Die Anfänger praktizieren eine Schreibstrategie, die Gesichtspunkte höherer Ebenen - wie z.B. potentielle Leser oder Textschemata - nicht einzubeziehen vermag. Bereiter unterscheidet "associative writing": der Schreiber schreibt, solange ihm etwas einfällt. Wird dann das Wissen von den Schreibkonventionen, von der Orthographie bis hin zur Syntax integriert, konstituiert sich die Schreibstrategie "performative writing". Der nächste Entwicklungsschritt führt vom performativen zum kommunikativen Schreiben ("communicative writing"). Erst jetzt wird der potentielle Leser berücksichtigt. Das kommunikative Schreiben ist die wohl verbreitetste Form des alltäglichen Schreibens, in dem nun Inhalt, Form und Leser in gleicher Weise den Schreibprozeß steuern. Wenn sich die Schreibfähigkeiten mit den beim Leser realisierten bewertenden Fähigkeiten verbinden, entsteht ein sogenannter "feedback loop" von Schreiben und Lesen, in dem das Produkt des Schreibens, also der Text, unter Standards des Schreibers gesehen, seiner kritischen Bewertung in formaler als auch inhaltlich-logischer Hinsicht unterworfen wird. Der Text wird nun als etwas empfunden, das zu gestalten ist, d.h. Textproduktion wird nicht mehr nur als instrumentelle Fähigkeit, etwas mitzuteilen, gesehen, sondern weit stärker als eine produktive Tätigkeit. Dabei bleibt auch diese Schreibstrategie - "unified writing" genannt - noch vorwiegend textbezogen. Das ändert sich, wenn noch ein letzter Schritt in der Schreibentwicklung vollzogen wird, wenn erkannt wird, daß der für "unified writing" konstitutive "writing-reading feedback loop" nicht nur zu einem verbesserten Text, sondern auch zu einem verbesserten Verstehen ("improved understanding", ebenda S. 89) führt. Denken und Wissen können durch die kognitiven Konsequenzen des Schreibens (der Textproduktion) angereichert werden. Insofern kommt in diesem Schreiben die epistemische, d.h. Wissen-entwickelnde Funktion des Schreibens voll zum Tragen. Wann immer Texte produziert werden, ob in der Form des "performative writing", des "communicative writing" oder des "unified writing", wird nicht nur auf Wissen zurückgegriffen, sondern wird dieses Wissen allein schon durch den Einbezug in einen Textproduktionsprozeß modifiziert. Was de Beaugrande (1984) als Aktivierung von Wissen, die immer eine Aktivierung im Blick auf den Schreibzweck ist, zu fassen versuchte, erscheint bei Bereiter (1980) als epistemische Funktion des Schreibens. Bereiter hat ein hierarchisch-rekursives Modell entwickelt, das, verglichen mit dem Modell von Hayes & Flower (1980), viel stärker theoretisch fundiert ist. Bereiter steht in der Tradition vieler Dichter und Schriftsteller, aber auch Wissenschaftler wie z.B. Wygotski (1934), Luria (1973) und Bruner & Olson (1976): daß sich Wissen durch Schreiben, d.h. durch diese spezifische Form der Versprachlichung, entwickeln und damit auch verändern kann. Das Modell von Bereiter & Scardamalia (1983,1985,1987) In ihrem Modell der schriflichen Textproduktion gehen die Autoren einen methodisch und theoretisch anderen Weg als z.B. Hayes & Flower (1980), Flower & Hayes (1980, 1981, 1984) und Cooper & Matsuhashi (1983). Sie versuchen, beim Schreiben verwendete Fähigkeiten und Strategien zu erkennen. Dabei vergleichen sie Schreibproduktionsprozesse geübter Textproduzenten mit Produktionsprozessen von Anfängern. Ihr Interesse konzentriert sich jedoch auf den Schreibanfänger, der Schreibfähigkeiten eines geübten Textproduzenten erst noch erlernen muß. Sie untersuchen also, wie Kinder beim Schreiben von Texten vorgehen. Dieser Forschungsbereich findet zunehmend Beachtung (s. z.B. McCutchen 1986). Der gemeinsame Nenner der Produktionsmodelle für geschriebene Sprache besteht in der Tatsache, daß die Produzenten ihr Wissen im Produktionsprozeß transformieren können. Bereiter & Scardamalia nennen diese Modelle deshalb auch "knowledge transforming-Modelle". Der geübte Textproduzent kann mit Faktoren wie Ziele, Texttyp, potentielle Leser bewußt umgehen. Die Kinder dagegen verfügen nicht über die Fähigkeit zu dieser Art Reflexion. Darunter verstehen die Autoren z.B. konkrete Wirkungen, die der Text bei bestimmten Lesern hervorrufen soll. Potentielle Leser werden von Kindern nicht antizipiert. Kinder entwickeln während der Textproduktion keine über die Schreibaufgabe hinausgehenden individuellen Ziele. Deshalb setzen Bereiter & Scardamalia (1985, 1987) den "knowledge transform- ing"-Modellen ein "knowledge telling"-Modell gegenüber, das den Produktionsprozeß bei Kindern beschreiben soll. Das Modell geht davon aus, daß Kinder im Produktionsprozeß lediglich drei Informationsquellen benutzen können, um einen Text zu produzieren. Diese sind: das Thema des Textes Diskursschemata und der bereits produzierte Text Diese Schlußfolgerung ziehen die Autoren aus eigenen empirischen Untersuchungen. Das Thema dient als Stimulus, um Informationen schnell aus dem Wissen abzurufen. Diese Informationen können jedoch nicht wie bei geübten Textproduzenten beliebig angeordnet werden. Sie werden nämlich so aktiviert, wie sie in der Wissensrepräsentation der Kinder mental repräsentiert sind. Unter Diskursschemata verstehen Bereiter & Scardamalia Wissen über den Aufbau verschiedener Textsorten. Kinder verfügen nicht nur über Wissen über den Aufbau narrativer Texte, sondern auch Wissen über den Aufbau von Wegbeschreibungen oder Erörterungen. Die Funktion des bereits geschriebenen Textes ist es, weitere Informationen aus der Wissensrepräsentation der Kinder abzurufen. Globale Planungsprozesse, die den Aufbau des gesamten Textes partiell vorwegnehmen, treten bei Kindern nicht auf: "... the topic would give rise to a first utterance, something in the first utterance would provide a cue for a second, and so on." (Bereiter & Scardamalia 1987: 343). Das Fehlen globaler Prozesse erklärt, warum von Kindern produzierte Texte auf der Ebene zweier Sätze Kohärenz aufweisen (lokale Kohärenz), häufig aber nicht auf der gesamten Textebene (globale Kohärenz) (vgl. McCutchen & Perfetti 1982, Karmiloff-Smith 1985). Das bedeutet, daß die Kinder nicht ausschließlich textrelevante Informationen aktivieren. Bereiter &Scardamalia nehmen deshalb eine Prüfphase an, die es den Kindern ermöglicht, solche Informationen vor der Produktion auszusondern, die nicht mit der Textstruktur und dem Thema des Textes kompatibel sind. Diese Prüfphase ist die einzige Komponente im Modell, die eine bewußte Informationsselektion im Produktionsprozeß zuläßt. Textproduktion unter der Perspektive einer Wissenswiedergabe-Strategie eines Schreibanfängers unterscheidet sich zentral von einer Wissenstransformations-Strategie eines geübten Schreibers. Erstens produzieren Kinder den Text nicht als Instrument, um individuelle Ziele zu realisieren oder um bestimmte Wirkungen und Einstellungen bei Lesern zu erzeugen. Zweitens ist Wissen wiedergeben eine routinisierte und bewußt nur bedingt vom Textproduzenten steuerbare Strategie. Wissen transformieren ist hingegen ein Problemlöseprozeß, währenddessen der Produzent rational und rekursiv alle Informationsquellen auswertet und erst dann einen Text produziert, der nach individuellen Einschätzung den Anforderungen der Schreibsituation genügt. Bereiter & Scardamalia heben deshalb hervor, daß schriftliche Textproduktion im wesentlichen ein kognitiver Prozeß ist, bei dem das Operieren mit mentalen Wissensrepräsentationen über Sprache, Ideen, Ziele und Textstrukturen im Vordergrund steht. Das knowledge telling-Modell bleibt auf einer relativ globalen Beschreibungsebene. Wie aufgrund von thematischem und textstrukturellem Wissen selektierte Informationen in einen konkreten Text transformiert werden, bleibt völlig ungeklärt (vgl. Bereiter & Scardamalia 1987: 24ff.). Bereiter & Scardamalias Ziel ist es, aus Differenzen, die es zwischen den Fähigkeiten gibt, Wissen lediglich wiedergeben oder Wissen transformieren zu können, Möglichkeiten abzuleiten, um Kinder in pädagogischen Lehr- und Lernprozessen an Fähigkeiten geübter Schreiber heranzuführen. Daß eine Steigerung reflexiver Prozesse bei Kindern zumindest auf einer lokalen Ebene zu inhaltlich besseren Texten führen kann, zeigen Scardamalia, Bereiter und Steinbach (1984). In dieser Untersuchung trainierten Kinder während der Textproduktion einen inneren Dialog zu führen, also zu jedem Argument ein Gegenargument zu finden und dann abzuwägen, ob das Gemeinte dem Geschriebenen entspricht. Nach einer Trainingsphase waren die Texte der Experimentalgruppe inhaltlich wesentlich differenzierter als die der Kontrollgruppe (vgl. Bereiter & Scardamalia 1987). Schreibanfänger haben gegenüber geübten Schreibern feststellbare Defizite, über die inhaltliche Planung des Textes zu reflektieren. Bereiter & Scardamalia zeigen, daß diese Fähigkeit lernbar ist. Wird diese Fähigkeit angewendet, dann verbessert sich die inhaltliche Qualität der Texte von Anfängern deutlich. Die zentrale Ausrichtung des Modells liegt somit aber ebenfalls auf bewußt Steuer- und wahrnehmbaren Schreibprozessen und nicht auf der Schnittstelle zwischen der Textplanung und seiner sprachlichen Realisierung. 3.4 Das Modell von Cooper & Matsuhashi Im Gegensatz zu Hayes & Flower und Bereiter & Scardamalia versuchen Cooper & Matsuhashi, Übersetzungsprozesse auf der Satzebene zu spezifizieren. Dabei unterscheiden sie das Erstellen von globalen Diskursplänen, den Aufbau von Satzplänen und Schreibausführungshandlungen. Ihr Modell stellt somit ein top-down ausgerichtetes Stufenmodell dar. Im Rahmen des Aufbaus von globalen Diskursplänen muß der Textproduzent zunächst bestimmen, welche Ziele und Zwecke er mit dem zu schreibenden Text erreichen möchte. Darüber hinaus müssen die Leser und der Texttyp berücksichtigt werden. Der Texttyp impliziert immer die Entscheidung für eine spezifische Textstruktur. Globale Diskurspläne stecken Rahmenbedingungen ab, an denen sich Satzproduktionsprozesse orientieren. Welche Verarbeitungsschritte auf der Satzebene bei der Produktion notwendig sind, beschreiben Cooper & Matsuhashi als Satzplanung, und zwar im Rahmen von acht Schritten. In einem ersten Schritt wird eine Proposition formuliert. Dafür müssen bestimmte Informationen aus dem Langzeitgedächtnis abgerufen werden. Sie werden dann in einer Prädikat-Argument-Struktur geordnet und einem die Diskursintention realisierenden Sprechakt zugeordnet. Im Anschluß daran wird das Thema einer Proposition bestimmt. Ferner wird die Proposition mit dem vorausgehenden sprachlichen Kontext verbunden und folglich werden der Prädikat-Argument-Struktur lexikalische Einträge zugewiesen (in Form von Wortstammformen). Erst in einem siebten Schritt wird die Proposition in einen grammatikalischen Satz transformiert und die lexikalischen Einträge flektiert. In dem letzten Verarbeitungsschritt wird das Verarbeitungsresultat, d.h. der Satz im Kurzzeitgedächtnis gespeichert, bis er geschrieben ist. Die Satzplanungsprozesse sind hier abgeschlossen. Der Produzent beginnt mit Schreibausführungshandlungen. Cooper & Matsuhashi gehen davon aus, daß Schreibausführungshandlungen eines geübten Textproduzenten so trainiert sind, daß sie stark routinisiert sind und im Schreibprozeß die kognitive Verarbeitung des Produzenten nur wenig belasten. Das Modell von Cooper & Matsuhashi konzipiert den Schreibprozeß unter Berücksichtigung globaler Diskurspläne als sequentielle Planung und Realisierung einzelner Propositionen: der Prädikat-Argument-Struktur werden aus dem Lexikon Wörter zugeordnet und die mentale Repräsentation wird Proposition für Proposition als Text geschrieben. Die syntaktische Realisierung folgt dabei der semantischen Repräsentation. Wie die Transformation einer propositionalen Struktur in einen schreibund schließlich lesbaren Satz erfolgt; bleibt in dem Modell wiederum unterbestimmt.3 3 Auch in den Modellen von Hayes & Flower und Bereiter & Scardamalia werden keine inhaltlichen Angaben zur Übersetzung einer mentalen Repräsentation in einen Text gegeben. Diese sequentielle und wissentlich idealisierte Abfolge einzelner Planungsschritte auf der Satzebene betrachten die Autoren selbst als idealisiert. Problematisch ist in ihrem Modell die Annahme, daß Texte bzw. Sätze propositionsweise geplant und auch propositionsweise geschrieben werden. Der zeitliche on-line Verlauf der Struktur von Propositionen ist nicht identisch mit der Struktur geschriebener Sätze. Eine Transformation der semantischen propositionalen Repräsentation in eine Satzstruktur ist somit notwendig. Trotzdem kann dieses Modell zu einer diferenzierteren Theorie des Schreibprozesses beitragen. 4. EMPIRISCHE METHODEN DER SPRACHPRODUKTIONS-FORSCHUNG In der kognitiv orientierten Textproduktionsforschung versucht man, die Determi-nantien des Produktionsprozesses mit Hilfe experimenteller Studien aufzudecken. Die Frage ist, ob es möglich ist - aufgrund der empirischen Untersuchungen und über interpretative Zuordnungen hinausgehend - die Annahmen hinsichtlich der Prozesse zu überprüfen. Die Vielschichtigkeit der Schreibproduktionsprozesse macht es notwendig, das Textproduzieren aus den unterschiedlichen Perspektiven und mit verschiedenen Methoden zu untersuchen. Diese sind: Pausen normale vs. pathologische (z.B. aphasische) Sprachproduktionsfehler die Methode des lauten Denkens (verbale Protokollanalyse) normale Schreibfehler vs. pathologische (z.B. agraphische) Schreibstörungen Revisionen Von zentraler Bedeutung sowohl in der mündlichen als auch in der schriftlichen Produktionsforschung ist die Methode der Auswertung von Pausenpositionen und Pausenlängen während der Textproduktion. Viele Untersuchungen bedienen sich dieser Methode der on-line Erhebung (vgl. Goldman-Eisler 1951, Maclay & Osgood 1959, Butterworth 1975). Bei der Messung von Pausen wird die Position des Wortes innerhalb eines Satzes bzw. Textes in Beziehung gesetzt zur Länge der Pause, die der Produktion dieses Wortes vorausgeht. Systamtische Beziehungen zwischen der Pausenlänge einerseits und der Wortposition andererseits ermöglichen dabei unmittelbare Einblicke in aktuell ablaufende Prozesse der Planung und Produktion von Texten. Der Produktion von Fehlern liegt eine Regelhaftigkeit der Interferenzbildung zwischen Planungseinheiten unterschiedlichster Komplexität (Phrasen, Wörter, Morpheme, Silben, Grapheme/Phoneme) zugrunde. Die (Methode der) Untersuchung von Sprache (s. z.B. Fromkin 1973, 1988) versucht aufgrund dieser Regelhaftigkeit zu bestimmen, wann welche Planungseinheiten im Produktionsprozeß relevant werden. Bei der Methode des lauten Denkens (s. z.B. Hayes & Flower 1980, Flower & Hayes 1981) sollen die Textproduzenten über ihre Gedanken vor und während der Textproduktion mündlich berichten. In den Untersuchungen von Schreibstörungen geht es nicht um die Analyse der freien Textproduktion, sondern um die bei diesen Menschen noch vorhandenen Fähigkeiten, Schreibprogramme für einzelne Wörter generieren und diese aktivierten Programme motorisch ausführen zu können. In den Untersuchungen von Revisionen stehen Überarbeitungsprozesse im Vordergrund. Im folgenden soll nur die Pausen-Methode eingehender dargestellt werden. 4.1 Schreibpausen Insbesondere die Analyse von Pausen im Sprachproduktionsprozeß stand eine Zeitlang im Vordergrund der Forschung. Mit dem Einbezug dieser Methode in die linguistische und kognitive Sprachforschung wurde nämlich eine Änderung der Betrachtungsweise vollzogen: von der in den bisherigen Überlegungen vorherrschenden produktorientierten Betrachtung zu einer mehr prozeßorientierten. Die Pausen-Methode besteht - wie schon erwähnt - in der Messung von Pausen, die mündlichen und schriftlichen Äußerungen vorausgehen. Dabei stellen sich einige zentrale Fragen wie z.B.: An welchen Stellen treten Pausen auf? - Wie lang sind Pausen an verschiedenen Textstellen? Kann aus den Zusammenhängen zwischen Pausenpositionen und Pausenlängen auf eine Art kognitiven Rhytmus zwischen Planungs- und Schreib/Artikulationsprozessen geschlossen werden? Viele Untersuchungen weisen darauf hin, daß das Vorkommen von Pausen und Verzögerungselementen (wie hm und äh) oft an Satzgrenzen zu beobachten ist. Darum wurde als grundlegende Planungseinheit der Satz angesehen. Eine Korrelation zwischen Pausen und syntaktischer Komplexität läßt sich aber nicht feststellen. Vielmehr scheint die Pausenmenge eher von der konzeptuellen Komplexität der Äußerung abzuhängen (s. Butterworth 1980). Im Bereich der schriftlichen Textproduktionsforschung gibt es im Vergleich mit der mündlichen Sprachproduktionsforschung wenigere Studien. Als eine erste empirische Untersuchung zur Überprüfung der konstatierten Beziehung zwischen Pausenpositionen, Pausenlängen und Planung beim Schreiben kann die Arbeit von Matsuhashi (1981) angesehen werden. In ihrem Artikel Explorations in the Real-time production of Written-Discourse (1982) beabsichtigt sie nicht nur ein integratives Modell des Textproduktionsprozesses, sondern auch Voraussetzungen für die Überprüfung entsprechender Hypothesen bereitzustellen. Integrativ soll das Modell insofern sein, als es - vergleichbar den anderen kognitiven Modellen - die starre Abfolge von Subprozessen im linearen Modell zugunsten flexibler Verknüpfungen funktional durchaus unterscheidbarer Teilprozesse auflöst. Der leitende Gesichtspunkt ihrer Arbeit ist, daß der Typ der Schreibaufgabe den Textproduktionsprozeß steuert. Sie untersucht Texte von geübten Schreibern und erhebt Pausen ab einer Länge von einer zehntel Sekunde (der Schreibvorgang der Probanden bzw. Pausen wurde aufgrund von Videoaufzeichnungen bestimmt; die Fallstudien sollten Muster der Körpersprache in Zusammenhang mit Schreibpausen gewinnen;). Sie zeigt u.a., daß Pausen innerhalb von Erörterungen und innerhalb von Texten, die einen Leser explizit beeinflussen sollen, länger sind als Pausen in Berichten. Sie zeigt auch, daß die längsten Pausen an Satzgrenzen auftreten. Auch andere Forscher zeigen, daß lange Pausen am häufigsten zwischen Sinneinheiten (Absätzen) signifikant sind. Vor diesem Hintergrund formulieren Flower & Hayes (1981) zwei Hypothesen: eine linguistische Hypothese, nach der Schreiber pausieren, um zu planen, was als nächstes zu schreiben ist, und eine sog. rhetorische bzw. kognitive Hypothese, nach der längere Pausen mit Bedürfnissen globaler Planung in Verbindung stehen. Für die linguistische Hypothese sprechen Ergebnisse von Matsuhashi (1981, 1982): Pausen treten bevorzugt bei höherer gedanklicher Komplexität auf, ferner an Satzgrenzen. Andererseits scheinen die Ergebnisse in einem Zusammenhang mit der Entwicklung der Schreibfähigkeit und mit der Textsorte (Bericht und Erzählung folgen dem Leitfaden des zeitlichen Nacheinander) zu stehen. Für die rhetorische bzw. kognitive Hypothese spricht, daß sie dem für ausgebildete Schreiber (Bereiter & Scardamalia 1983) charakteristischen Planen auf mehreren Ebenen gerecht wird und zugleich die satzbezogene Planung einzubeziehen vermag. Im einzelnen gehen Flower & Hayes (1981) so vor, daß sie die verbalen Protokolle lauten Denkens in "composing episodes" zerlegen; das sind Einheiten, in denen sich der Schreiber auf ein und denselben Fokus konzentriert. Sie nehmen an, daß die Grenzen zwischen solchen Episoden, in denen sich ein Fokuswechsel vollzieht, eine maßgebliche Quelle für sog. prägnante Pausen sind (Pausen als Indikatoren). Auch anderen Forschern ist die mögliche Schlüsselrolle der Schreibpausen nicht verborgen geblieben: De Beaugrande (1984) beschäftigt sich vor dem Hintergrund seines Modells, nach dem sich Textproduzieren ständig parallel auf mehreren Ebenen vollzieht, mit den Schreibpausen; Chafe (1977), Sprechen und Schreiben kontrastierend, beschäftigt sich auch mit Schreibpausen. Die Beobachtung der Pausen als Indikatoren kognitiver Prozesse beim Schreiben eröffnet zweifellos einen Zugang zum Textproduktionsprozeß. Auffallend ist zunächst einmal der große Anteil der Pausenzeit an der Gesamtproduktionszeit. Die Gesamtzeit wird von Schreibern jeweils zur Hälfte für Schreiben und für Pausen aufgewendet, die Sprechzeit aber zu 2/3 für Sprechen und 1/3 für Pausen. Das zeigte nur ein Vergleich (s. Eigler et al. 1990: 236). Laut anderer Ergebnisse sind die Unterschiede noch viel größer. Das Verhältnis der Pausenzeiten zwischen Aussagenketten ist bei Sprechern und Schreibern 1:10, zwischen und innerhalb von Aussagen sogar 1:16 (vgl. Eigler et al. ebenda). Um den Anteil der Pausenzeit an der gesamten Produktionszeit angemessen würdigen zu können, müßte man wissen, wie viel Zeit zur Produktion vergleichbarer mündlicher Texte benötigt wird und wie groß in diesem Fall der Anteil der Pausenzeit ist. Alle empirischen Studien weisen darauf hin, daß Pausen ein integraler und notwendiger Bestandteil des Produktionsprozesses sind. Auftretenwahrscheinlichkeiten und variierende Längen von Pausen an spezifischen Textstellen lassen Rückschlüsse auf den Beginn und die relative Wichtigkeit eines mit dieser Textstelle korrelierenden Planungsprozesses zu. Innerhalb der mündlichen Sprachproduktionsforschung gab es schon viel früher empirische Untersuchungen (z.B. Goldman-Eisler 1958, Maclay & Osgood 1959 u.a.). Maclay & Osgood (1959) nahmen eine Differenzierung verschiedener hesitation pauses vor: repeats, worunter sie Wiederholungen von Äußerungen verstehen, false starts, d.h. Selbstkorrekturen unvollständiger Äußerungen, filled pauses als Pausen, in denen Haesitationssignale wie "äh" oder "hm" gesprochen werden, und unfilled pauses, in denen zwischen der Produktion zweier Wörter eine wahrnehmbare "leere" Pause liegt. Des weiteren zeigten sie, daß die meisten Pausen vor Inhaltswörtern liegen und wenigere vor Funktionswörtern, während andere Forscher zeigten, daß Pausen hauptsächlich an grammatischen Verbindungsstellen auftreten (vgl. Henderson, Goldman-Eisler & Skarbek 1966). Nach Butterworth (1975) korreliert zwar der rhythmische Wechsel von Pausen und flüssigem Sprechen mit syntaktischen Einheiten, syntaktische Prozesse sind jedoch nicht die Ursache für diesen Wechsel. Ursache sind semantische ideas, die in Sprache transformiert werden müssen (Butterworth 1975: 76). Syntaktische Planungsprozesse sind somit semantischen nachgeordnet. Aufgrund vieler empirischer Untersuchungen läßt sich zusammenfassend sagen, daß die Auftretenswahrscheinlichkeit von Pausen am Satzanfang größer ist als an anderen Positionen im Satz (vgl. z.B. Holmes 1984, 1988; Butterworth 1980). 5. FAZIT In den vorangegangenen Abschnitten wurden die derzeit bekanntesten kognitiven Modelle des schriftlichen Textproduzierens dargestellt. Diese Modelle sind stark an der Gedächtnisforschung orientiert, was dazu führt, den Textproduktionsprozeß als Interaktion von individuellem Gedächtnis und Text zu modellieren. Jedes der vier beschriebenen Modelle eröffnet einen Zugang zu Wechselbeziehungen von Wissen und Textproduzieren. Dabei wird das Wissen nicht nur aktiviert, um dann niedergeschrieben zu werden, sondern es wird aktualisiert, d.h. in einen Zusammenhang gebracht, der dem Thema, Zweck und Leser des Textes entspricht. Somit ist Textproduzieren eine zielgerichtete und partnerbezogene Handlung, bei der rekursiv Phasen der Planung, des Übersetzens und des Überarbeitens wiederholt durchlaufen werden. Allen diesen Modellen sind folgende Parameter gemeinsam: alle Modelle sind dynamische Prozeßmodelle; Prozesse arbeiten parallel und rekursiv, d.h. es werden mehrere Verarbeitungsebenen angenommen; eine weitere Differenzierung des Textproduktionsprozesses geschieht in drei Schritten: 1. "Problem" (bzw. Problemlösen) 2. "Rapräsentation" 3. "Makrostruktur" Beim Textproduzieren, als Problemlösen verstanden (z.B. Bereiter 1980, de Beaugrande 1984, Scardamalia & Bereiter 1986), werden alle anderen Textproduktionsprozesse wie z.B. das assoziative Schreiben, nicht als Problemlöseprozesse angesehen, also auch nicht die Formen alltäglichen Schreibens, sofern sie auf sachlicher Ebene kein Problem bieten und das Textproduzieren selbst durch mehr oder weniger feste Textschemata gesteuert wird und insofern keine Probleme aufwirft. Auch das Textproduzieren als epistemischer Effekt wird eng mit dem Textproduzieren als Problemlösen verknüpft (vgl. z.B. Chafe (1977), der einen spezifischen epistemischen Effekt des Textproduzierens annimmt). In den meisten Modellen ist die generierte mentale Repräsentation eine propositionale Prädikat-Argument-Struktur. Es wird angenommen, daß mit dem Stellen eines Themas Wissen aktualisiert wird, d.h. sich eine erste Repräsentation des Sachverhalts bildet. Es wurde nachgewiesen, daß die Texte, die unter der Bedingung "Themenbereich bearbeitet" geschrieben wurden, nicht nur insgesamt länger sind und mehr kohärente Äußerungen enthalten als die Texte, die unter der Bedingung "Themenbereich nicht bearbeitet" geschrieben wurden (vgl. z.B. McCutchen 1986), sondern im Durchschnitt auch eine größere maximale Tiefe aufweisen. Der größere Textumfang ergibt sich also zum einen dadurch, daß mehr Inhalte präsentiert werden (horizontale Textentwicklung, d.h. mehr Aussagen in nebengeordneter Position), zum anderen dadurch, daß Inhalte differenzierter dargestellt werden (vertikale Texentwicklung, d.h. mehr Aussagen in über- bzw. untergeordneter Position). Des weiteren weisen die Untersuchungen darauf hin, daß Gruppen von Versuchspersonen mit unzulänglichem Wissen in bezug auf ein Thema keine gedankliche Repräsentation hervorbringen können, sondern die Themenstellung wörtlich aufnehmen und - wenn es überhaupt zum Produzieren eines Textes kommt -sich in der Art eines "knowledge telling" auf die einzelnen Begriffe der Themenstellung beziehen, oder aber sie verschieben die Themenstellung, um so handlungsfähig zu werden. Der Begriff "Makrostruktur" stammt schon aus van Dijks Dissertation (s. van Dijk 1972 und van Dijk & Kintsch 1983), wo sie vielmehr für Produktion konzipiert war. In der Textverarbeitungsforschung wird mit "Makrostruktur" die Wissensstruktur gemeint, die sich beim Verarbeiten eines Textes über dessen Mikrostruktur aufbaut, d.h. was der Text für den Leser bedeutet. Der Textproduzent weiß bei Abschluß der Arbeit den niedergeschriebenen Text nicht wörtlich, wohl hat sich bei ihm während des Textproduzierens eine Makrostruktur aufgebaut, vergleichbar der Makrostrukturbildung beim Textverarbeiten. Im Zuge der "schematization"-, "framing"- und "categorization"-Prozesse bildet sich eine mehr oder wenig reich differenzierte Makrostruktur aus, die anders ist als die anfängliche Repräsentation. LITERATUR Beaugrande, R. de (1984): Text production: Toward a science of composition. Norwood: Ablex. Beaugrande, R. de & Dressler, W.U. (1981): Einführung in die Textlinguistik. Tübingen: Niemeyer. Bereiter, C. (1980): Development in writing. In: L.W. Gregg & E.R. Steinberg (Eds.): Cognitive processes in writing. Hillsdale: Erlbaum, 73-93. Bereiter, C. & Scardamalia, M. (1983): Does learning to write have to be so difficult? In: A. Freedman, I. Pringle & J. Yalden (Eds.): Learning to write: First language, second language. London: Longman, 20-33. 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Medtem ko so prve sistematične kognitivne raziskave ustnih besedil stekle že v zgodnjih petdesetih letih (predvsem v ZDA), pa so se sistematične kognitivne raziskave produkcije pisnih besedil začele šele v osemdesetih letih (v ZDA, kmalu zatem pa tudi v Evropi, zlasti v Nemčiji). Značilnost teh raziskav je, da niso usmerjene v besedilo kot produkt, temveč proučujejo sam proces nastajanja besedila. Kognitivna teorija besedilne produkcije naj bi torej opisala ter pojasnila, kako se mentalna reprezentacija našega (deklarativnega, proceduralnega, epizodičnega) znanja "prevede" v jezikovne strukture. V prispevku sem najprej orisala splošne in obenem temeljne kognitivne procese v teku nastajanja besedila (2. poglavje), nato pa opisala trenutno najbolj (pri)znane kognitivne modele pisne besedilne produkcije. To so: Hayes & Flowerjev model, de Beaugrandov model, Bereiterjev oz. Bereiter & Scardamaliajev model in Cooper & Matsuhashijev model (3. poglavje). Vzporedno z modeli so predstavljene glavne empirične metode, na rezultatih katerih temeljijo teoretične predpostavke posameznih modelov (4. poglavje). Vsak izmed modelov na svoj način omogoča vpogled v interakcijo odnosov med vedenjem in besedilno produkcijo. Vsem modelom pa so skupni naslednji parametri: (1) vsi modeli so dinamični in procesno usmerjeni, (2) procesi delujejo paralelno in rekurzivno, (3) prva groba diferenciacija besedilne produkcije obsega tri stopnje: problem (ustvarjanje/pisanje besedila v smislu reševanja nekega problema), reprezentacija in makrostruktura besedila. Danko Šipka University of Munich, Germany CDU 801.3 USAGE LABELS NETWORK: AN APPROACH TO LEXICAL VARIATION1 1 State of the art 1.1 The Problem of lexical variation is frequently addressed within the linguistic community. Its complexity and the broad implications of any possible solution have considerable appeal among theoretical linguists. Lexicographers, in their turn, have been forced to address it in order to provide dictionary usage information, which is normally done by means of dictionary labels such as: American English, obsolete, slang, etc. An insightful overview of the relevant lexicological approaches, as well as some lexicographis projects is provided in Lipka (1990). The most exhaustive sociolinguistic classification, however, can be found in Preston (1986). Lexicographis treatments of lexical variation have been addressed in numerous papers listed in Zgusta (1988). 1.2 A careful review of the papers mentioned above as well as my investigation of several Slavic, German, and English dictionaries (described in Šipka 1992 in print), allows us to formulate the following general remarks about the problem: a. the underlying criteria for the categories distinguished are, in most cases, neither clearly stated nor recognizable, b. the same holds for the hierarchization of the categories, c. frequently, the different-level categories are treated as if they were same-level categories, d. there is no common agreement about the underlying criteria or about the categories and their hierarchization. 1.3 All this can be exemplified by means of the label categories distinguished in several prestigious Slavic (mostly academic) dictionaries. Their non-consistency can be 1 I would like to express my gratitude both to the Alexander von Humboldt Foundation, which made my research on the topic possible, and Prof. Leonhard Lipka, of the University of Munich, my adviser during the Humboldt Post-Doctoral Program, for his support and various useful comments on former versions of the manuscript. I am furthermore very grateful to Dr. Hans-Jörg Schmid for his useful comments of the manuscript. observed in comparison with a consistent list of categories, like the one presented in Lipka (1990: 23): (a) region (b) social group (c) field of discourse (d) medium (e) attitude user language use The label categories used in Slavic dictionaries, given here in literal translation, are stated as follows: Russian dictionary (ANSSSR): transferred meaning, jocular-ironical, non-literary words, terms (1950:1, XII) Bulgarian dictionary (BAN): non-literary, functional style, historical, emotionalexpressive, frequency, style character change (1977:1, 25) Slovenian dictionary (SSKJ): semantic, terminologic, style, expressive, temporal-frequency, normative (1979:1, XX) Polish dictionary (PAN): geographic, thematic, chronologic, expressive (1958: I, XXXIX) Slovak dictionary (SAV): non-literary, style, emotional-expressive, temporal, normative (1959:1, XI-XIII) Serbo-Croatian dictionary (MS): professional terms, archaisms, neologisms, vulgar and slang words, hapax legomena (1967:1, 11) Macedonian dictionary (IMJ): style markers (mentioned only in general sense) (1961: XII). All the dictionaries mentioned are similar to a great extent in their approach. The differences, therefore, are not caused by the dictionary type, the intentions of the compilers or the needs of potential users. A similar situation can be observed with German (DUDEN 1967ff), as well as English dictionaries (LCED 1985, Collins 1986). Furthermore, these findings are supported by several metalexicographic papers (eg. Ludwig 1982, Schippan 1987). 1.4 In order to overcome the situation stated above, we propose the construction of a "usage labels network" and its algorithm for handling ambiguity and synonymy. 2 Starting assumptions 2.0 The basis for the network and its algorithm are some relatively simple facts of human perceptive and creative abilities. These facts can be roughly described as follows. 2.1 When reading or writing a text, one normally knows what is the object of the reading or writing, i.e. one is aware of the "text type" in question. Usually, we know whether we read a newspaper sport section, a government document, a poem, etc. Similarly, we are aware that we are producing a letter to a friend, a novel, an official statement, etc. In such situations we always have in mind which lexemes are allowed in certain contexts. Consequently, we expect to read or to use not all the lexical units, but only the ones that are justified by the context. Thus, when we meet a form that can belong to two or more different meanings, or when choosing the most appropriate synonym, in most of the cases the determining factor will be the type of context. To illustrate this, let us use two simple examples. When reading a newspaper report on a chess tournament and encountering in it the word partia, a speaker of Russian assumes that the meaning is 'game' since the context disfavors the other meaning, 'political party'. When reading a Communist Party document, our imaginary Russian speaker is in the opposite situation, i.e. he expects 'political party', not 'game'. This means that the type of context (ie. not context itself) operates as the disambiguator in this particular case. When producing a vulgar joke, or an official statement, a speaker of English may use the phrases to kick the bucket or to pass away, respectively. In neither of the situations will one hesitate about the decision. It would be incorrect to use the phrase to kick the bucket in an official statement, say in a newspaper; and it is ridiculous to use the phrase to pass away in unofficial communication, unless one is trying to be ironical. 2.2 It follows that before reading or writing, one has eliminated all the senses and the forms (ie. the 'lexical units' in Lipka's sense) that do not apply in the particular situation. In all such cases, therefore, it would be a pure waste of time and energy to search for contextual clues, and, quite obviously, one does not do this. Basically, what we have in our mind when reading or writing a text can be roughly described as the 'labels' (in the sense defined here), both for the texts and lexemes, as well as the rules which determine the relations between, as well as the rules which determine the relations between the text and the lebels for the lexemes, or the 'lexical units' of a 'lexeme'. Or, in other words, both texts and lexemes are classified in pigeonholes, so that some senses of a lexeme (ie. 'lexical units') fit into a certain text's pigeonhole, and the others do not. Briefly, prior to reading or wrtiting we must have in our mind: 1. the "usage labels network": a. labeled text, b. labeled lexemes or 'lexical units' ie. different senses of lexemes, c. the rules which govern the text vs. lexeme label relations, 2. the label of the text we are reading or writing. For example, when handling the Serbo-Croatian pair of 'lexical units' that fall together in one lexeme čast, namely 'honor' and 'part', the first meaning will be labeled as contemporary, the second as obsolete. The text of a newspaper from the year 1989 will be labeled as contemporary. There is a rule that the text label 'contemporary' significantly reduces the probability of occurrence in the text of any 'lexical units' labeled as 'obsolete'. Consequently, a reader does not expect the second meaning of the homonymous or polysemous lexeme(s) čast, and a writer is not going to use such a meaning. The same applies to synonyms. If this were not so, we would accept, for example in The New York Times, the sentence: The president kicked the bucket this morning at 6:30 as quite normal. 2.3 For the reasons explained above we can assume that these labels and rules are an inherent part of language competence, not just the facts of language performance. It is, therefore, quite legitimate to try to establish a systematic list of labels and to describe the rules which govern their usage. 3 Construction 3.0 The first distinction is to be made between those usage labels which cannot be stated as the probability of a lexeme or 'lexical unit' to be found in a particular text group, and the ones which can be treated that way. Note that we have in mind only usage labels, not, for example etymological ones. The former comprise the following categories, with the respective values given in brackets: frequency (frequent, usual, rare, individual...), expressive (derogatory, vulgar, jocular, familiar...), personal (baby talk, masculine, feminine), referential (used of...) labels. These labels are not directly useful for our purposes, due to the fact that they can not be formulated as the lexeme-text relation. Cf. the distinction between "dictionary labels" and connotations in Lipka (1990: 14-26, 63-67). The latter, however, function as the basic elements of the following usage labels network. 3.1 Hierarchy is the governing principle of the network. Sometimes, for example in Miller et al.'s (1990) database WordNet, this is called a "lexical inheritance system". Herarchic structure in the lexicon is particularly relevant for nouns, while for adjectives antonymy is more important. Within the framework of 'sense-relations' developed by John Lyons (cf. Lipka 1990: 140ff), hierarchical relations in the lexicon are described with the help of the concept of 'hyponymy'. In the work of anthropologists and cognitive linguists, 'natural (or folk) taxonomies' were distinguished from 'scientific (or technical) taxonomies' (cf. Lipka 1990: 155f). The proposed network consists of usage labels mutually related on the basis of subordination and coordination. It is a tree-like structure with top-down subordination, and terminal points at each level. Thus, if the difference between two lexemes, or between a text and a lexeme is obvious at the highest level, there is no need to go further. A draft of the highest levels for Serbo-Croatian can be presented as in the diagram 1: level 1 level 2 __level 3 1 standard and non-stratified 0 non-differentiated2 1 temporal 2 territorial 3 functional 0 non-differentiated2 1 historism 2 neologism 0 non-differentiated ■ 1 eastern variant -> 2 western variant-> • 0 non-differentiated ■ 1 scientific -> ■ 2 professional - - ■> ■ 3 hobby -> ■ 4 games --—:—> ■ 5 literary -> 1 non-standard 0 non-differentiated 1 temporal - 2 territorial 3 functional 0 non-differentiated2 ■ 1 archaism -> • 2 neologism -> ■ 0 non-differentiated ■ 1 kaj -> - 2medit -* - 3 pan -> ■ 4 din -»■ 0 non-differentiated • 1 professional slang----> 2 social slang -> 3 folk taxonomies -» 2 Cf. the discussion of "markedness" in Lipka (1990: 63ff). The arrow indicates further differentiation, while 0 indicates the terminal point of a branch. Thus, for example the category 'games/plays', covered in Serbo-Croation by one word (igre) and, respectively, one concept igre branches further as in the diagram 2 (2): 4 games/plays 1 dancing 1 dance 2 folk dance 2group open-air games 3 table games 1 board games 2 card games 4 sports 01 bal games 02 gymnastics 03 track and field 04 hiking and alpinism 05 cycling 06 auto-moto 07 fighting 08 winter 09 water 10 riding 11 aero 12 hunting and fishing This example is also interesting to show that there does not have to be a single common denominator for all members of a category. The German philosopher L. Wittgenstein used the very same example to exemplify his concept of 'family resemblance' (cf. the discussion of his approach in Aitchison 1987: 74ff). 3.2.0 The network is based both on ontological (or ontognoseological) and linguistic grounds. The main sources of the ideas for the network generation were lexicologic, socio-, and psycholinguistic handbooks; general, specialized and frequency dictionaries; numerous papers (lexicological on vocabulary stratification, metalexicographical on dictionary labels, papers form computational linguistics on lexical data basis); and finally, library classificatory systems: decimal classification, Dewey, etc. (cf. review of the systems in Bakewell 1978). 3.2.1 The initial binary branching is the split between standard and non-differentiated versus non-standard. The markedness of the non-standard group reflects its higher peculiarity, when compared with the standard one. This first branching shows already one great advantage of the network, i.e. if the a text is labeled as standard, and a lexeme or a 'lexical unit' as non-standard, the determination of the possibility for a lexeme to be in that text is already accomplished. 3.2.2 Further sub-branching in both categories is a threeslot split (temporal, territorial, and functional), with separate branchings for each of them. While the first branching was obligatory, all the others are facultative. Most of the prepositions and conjunctions in all languages, for example, are labeled only as standard/non-differentiated, with no further differentiation at all. 3.2.2.1 The temporal slot in both categories comprises two binary branchings. A word can be unmarked or marked, and the marked ones can be neologisms or historisms (in standard and non-differentiated groups), i.e. neologisms or archaisms (in non-standard group). The notion of neologism is rather indistinct. The problem of their determination is where to set the temporal limit after which a word can be considered a neologism. The difference between standard and non-standard neologisms is solely the one between their superordinated categories. Historisms and archaisms, however, are distinct in yet another manner. The lexemes that are used only about denotata which do not exist any more are considered historisms (such as bey ie. 'a title in the Turkish Empire', knight, etc.). They are used in standard language, but only in connection with these denotata. Archaisms, on the other hand, became obsolete for their form, and their denotatum is referred to in standard language by another word (eg. albeit). 3.2.2.2 The territorial slot is a language-specific category. The slot presented above pertains to Serbo-Croatian. In the standard category it corresponds to national variants: Serbian (eastern) and Croatian (western). Non-standard territorial branching only partially corresponds to Serbo-Croatian dialects due to the fact that various dialects share a very similar cultural background, and thus similar lexical influences, which in its turn leads to identical lexical strata. For example, the lexemes labeled as mediterranean can be found both in the ča- and što- dialect, which are, in dialectologic perspective, two quite different entities. 3.2.2.3 The functional slot is certainly the most intricate one. The differentiation in both standard and non-standard categories should be universal, at least in an European or Europe-based culture, ie. a culture with an "European" set of values and way of thinking. In the standard category, it follows the differentiation of human activities. Therefore, we have the categories corresponding to scientific, professional, leisure (hobby and games), and finally literary activities. Non-standard differentiation, on the groups, i.e. members of certain professions (professional slang), social strata (social slang), or very broad, uneducated, mostly rural population strata (folk taxonomies). 3.3 Although one might find some other approach to the categories more useful (for example to have only "professional" and "leisure" instead of our five standard functional categories), the basic principles of the network, primarily the very idea of tree-structureness with the topdown flow, should substantially contribute to our understanding of lexical variation. Another question, not to be discussed here in detail, is now to assign the labels to the lexemes. One can use non-gradual labels (eg. slang) and, therefore, label only lexemes that clearly belong to the category in question, which was our approach in testing the network. It is, however, also possible to set a scale, for example between 1 (clear member of a category) and 0 (clear non-member), and thus have gradual labels (such as slang 0.1, slang 0.7, slang 0.8, etc.), following thus the idea of "gradeience" very much in current usage in linguistics. 4 Testing 4.1 The network has been tested on a database consisting of 1105 Serbo-Croatian homonymic nests, containing a total of 2287 labeled lexemes. The database entries were constructed as in the diagram 3 (3): arija : solo pjesma, najčešče u operi 1001 vazduh 2023 1 - form shared by the homonyms 2 - separator 3 - meanings (aria vs. air) 4 - label codes. The label codes follow the numbers on the graph presenting the highest levels of the network. So the first place show if it is a standard (1) or non-standard lexeme (2), and the rest of them temporal, territorial and functional differentiation. Thus, in our example: 1001 = standard temporally and territorially non-differentiated lexeme belonging to scientific terminology vs. 2023 = non-standard temporally non-differentiated Mediterranean folk-taxonomy. The database was planned to be reusable: it is used to test the network, as the basis for disambiguating software, and finally, to analyze several categories of variation in Serbo-Croatian. The nests have been derived from the 6-volume dictionary by Matica Srpska (1967-76). Their labelling was based on various dictionary labels, as well as my own native speaker competence. Only the three initial levels of the network were applied. There were possible results: the nests could be: a. solved with just the first three levels, b. solvable with further levels, c. unsolvable. The network has been tested on the example of homonyms since the idea was that if lexical differentiation is so clearly stated that it can be efficiently used for disambiguation, then it is plausible to expect that it will function in all other casses as well. 4.2 As the final result we had 719 (or some 70%) nests solved with the first three levels, 342 nests were solvable with further levels, and finally 98 unsolvable nests remained. This proves the network to be highly efficient: as more than 90% of homonymic nests can thus be solved. More-than-two-member nests having some binary relations solved, while other further solvable, or unsolvable were counted in two or three groups. If, for example, we have a nest ABC consisting of the binary relations AB, AC, BC, and AB being solved, AC solvable, BC unsolvable, then all possible results are counted for that nest. This is why the final result is 1159 (719 + 342 + 98), and there are only 1105 nests. Furthermore, it is interesting that 1565 lexemes (71,69%) were, one way or another, stratified, while only 618 (28,31%) were marked only as standard or non-stratified. This shows that the status of a wide range of lexemes is determinable by the network. 5 Applications One can think of numerous applications of the network and its advantages when compared with existing models and practice. The network can be applied to a variety of linguistic and other activities, two immediate ones being lexicography and computational linguistics. In the field of lexicography, the usage labels network brings a more consistent theoretical approach: both underlying principles and categories can be clearly stated as well as hierarchized. Moreover, there are numerous practical advantages. The lexicographer is offered a solid basis for labelling, the user knows which categories he/she is going to deal with. The network is, furthermore, adjustable to the dictionary type. Thus, a general descriptive dictionary equally develops all the branches with dept of the branching depending on its volume, intentions, user needs, etc. A specialized dictionary, on the other hand, in detail sub-classifies only the branch representing its field, while the others remain only roughly differentiated (eg. using only the first three levels of the network). There are two main applications of the network in the field of computational linguistics, both being based on matching lexeme versus text labels. The first application concerns the choice of synonyms. Most commercial text-processors offer as their thesaurus a list of synonyms without usage labels. Applying the usage labels network, this text-processors' option can be substantially improved. The user would choose the text labels (once for each text), so that the thesaurus option offers only the synonyms associated with the lexeme labels that match those chosen for the text in question. Thus, the phrase to kick the bucket will be eliminated in a formal text, and so will to pass away in an informal one. The second application within computational linguistics is the one in the process of disambiguation. Present disambiguating procedures are normally based on contextual clues. As it can be seen in numerous papers on the topic (recent surveys can be found in Small et al. 1988, as well as in Batori et al. 1989), this is a troublesome, time-consuming as well as memory-demanding task. In case the network and the matching of the lexeme versus textual labels is applied prior to searching for contextual clues, numerous instances of ambiguity can be solved without long and complicated procedures. The quantity of the cases solvable by means of the network is indicated by the test results tated in 4.2. Of course, there are also non-serious texts, where no disambiguation is intended. In such cases, the network does not disambiguate, it simply reveals the mechanism of a joke, or other non-serious text. The algorithm for the application of the network in computational linguistics can be stated as in the diagram 4: output step 0 LGi/LLa/, LG2 /LLb/ This is predetermined. We have linked two different labels to the two separate lexicon groups. For example, 'a' means 'contemporary', 'b' means 'obsolete', step 1 text/TLa/ A label is assigned to the text. Here too we can imagine that 'a' means 'contemporary'. Step 2 text/TLa/ <- Gl/LLa/ I - LL2/LLb/ Predefined rules state that a text labeled as 'a' tolerates only the lexemes labeled as 'a'. Thus, only the lexeme group 'one' is passed through. For example none of the obsolete lexemes are allowed in a contemporary text. step 3 form 1 (text) lexeme(LGi) Predefined rules determine that a form met in the text belongs to a lexeme from lexeme group one. LG - lexeme group TL - text label LL - lexeme lebel a [- voice] /_# In the latter variety, however, devoicing occurs only as an assimilation process before voiceless environment: [+ obstx.]-> [a voice] /_[+ obstr. a voice]2 The aim of the comparison was twofold. In the first place, the research was conducted to show how Eliasson's (1991) hypothesis about a cognitive calculus that is complementary to phonological rules applies to these two varieties. In other words, we wanted to see whether the strategy of disambiguation of surface voiceless obstruents is that of reanalyzing neutralized surface forms (e.g. brod "boat" brot) by comparing them to the form that contains relevant morphophonemic information, i.e. to that of the oblique case (gen. broda). If it turns out that this strategy is employed by the speakers of the two varieties of pronunciation, Croatian can be added to the list of languages (including Russian and Polish) for which Eliasson's hypothesis holds true. 1 This is a slightly revised version of a paper submitted to the 7th International Phonology Meeting, Krems, Austria, July 4-7, 1992: We are grateful to S. Eliassori for his comments to the original paper. The still remaining inadequancies are, of course, our own. 2 "Here the symbol "a" is understood to indicate that the output of the change has the same feature value ("+" or "-") as the conditioning environment (Hock, 1986). Another interesting issue that arises in connection with the reanalysis involved in disambiguation concerns the dialectological or, rather variation aspect of disambiguation. We looked at how the extent of reanalysis of surface voiceless obstruents correlates with the native variety of the speaker/listener. 2. Procedure The procedure employed was a somewhat modified version of the psycholinguistic test uesd by Eliasson (1991) within a wider research project covering several languages. We used a perceptual test involving two different stimuli (one recorded by a Standard and one by a Kajkavian Croatian speaker) and two different groups of listeners (10 Standard and 10 Kajkavian listeners), i.e. four different test situations. The items for disambiguation were possible but non-existent Croatian words ending in a voiced obstruent, referring to imaginary beings or phenomena from a science-fiction story: Sened, inug, Kartiz and trab. Each item was recorded by each speaker twice at each of the following three stages: (1) in isolation; (2) in a context where it appeared in the nominative, i.e. in an environemt triggering final devoicing in the Kajkavian variant and only partial devoicing in the Standard; (3) in a context where it appears in an oblique case, i.e. in an environment where the obstruent surfaces as voiced. The listeners in the experiment correspondingly identified the four ambiguous items ("new words") in three successive stages, and at the end of the test, they were encouraged to reconsider their earlier responses and correct them if they felt correction was needed. 3. Results Table (1) represents the overall extent of the identification of the ambiguous final obstreunts as voiceless. Test I covers the first two of the three stages referred to above; test II follows stage (3); the bottom row of the table represents the extent of reanalysis of the final obstruents originally perceived as voiceless. PERCEIVED AS VOICELESS Pure no % test I 129 100 test II 24 18,60 reanalzsis 105 81,40 Table (1): Overall perception of stem-final obstruents as voiceless 3 No objective tests were made of the voiceless/voiced production of the words, so the entire test is based on subjective perception of the informants. The above results show that in Croatian obstruents in stem/word-final position are generally perceived as voiceless. Like in Polish and Russian, reanalysis of the tentatively established lexicon on the basis of the morphosyntactic information obtained from the context takes place in a significant number of cases. This is to say that speakers of Croatian first rely on their perception of sound in various contexts, which experience is then reconsidered in view of the morphosyntactic rules and reanalyzed drawing on both system and perception. The following two tables, (2) and (3), show how the extent of identification of the final obstruent as voiceless depends on the variant pronunciation of the speaker (goal no. 2): KAJK. LISTENERS ST. LISTENERS TOTAL Pure no. % Pure no. % Pure no. % test I 40 100 40 100 80 100 test II 6 15 9 22,5 15 18,75 reanal. 34 85 31 77,5 65 81,25 Table (2): Kajkavian speaker KAJK. LISTENERS ST. LISTENERS TOTAL Pure no. % Pure no. % Pure no. % test I 30 100 19 100 49 100 testll 4 13,3 5 26,3 9 18,4 reanal. 26 86,7 14 73,7 40 81,6 Table (3): Standard speaker It is indicative that final devoicing was perceived in the speech of the Kajkavian in 100% cases by both groups of listeners. This proves the existence of the corresponding phonological rule in the Kajkavian variety of Croatian. In the Standard variety, however, the smaller extent of identification of these segments as voiceless in the corresponding environment can be accounted for by the lack of final devoicing as a phonological rule. It should also be noted that there was no significant difference in the reanalysis patterns for the two speakers. The following tables, (4) and (5), show how the identification of final obstruents as voiceless depends on the native pronunciation of the listeners: KAJK. STIMULI ST. STIMULI TOTAL Pure no. % Pure no. % Pure no. % test I 40 100 19 100 59 100 test II 9 22 5 26 14 23,7 reanal. 34 85 26 87 60 85,7 Table (4): Kajkavian listeners KAJK. STIMULI ST. STIMULI TOTAL Pure no. % Pure no. % Pure no. % test I 40 100 19 100 59 100 test II 9 22 5 26 14 23,7 reanal. 31 78 14 74 45 76,3 Table (5): Standard listeners It can be observed that the native variety of pronunciation of the listeners plays a greater role than the native pronunciation of the speaker in the reanalysis patterns, which points to the influence the phonological matrix acquired first has on future cognition processes. This fact has several implications, one of them being that speech production cannot be objectively measured by speech perception. By extension it also corroborates the validity of distinguishing between the speaker's and listener's grammars. It further gives some support to the hypothesis (Sapir-Whorf) that the (native) language system influences cognition. These differences in the reanalysis patterns dependent on the pronunciation of speaker versus the pronunciation of listener is shown in the form of a histogram (figure 6): % reanalysis F^re(6) Kajk. listeners ESI St. listeners Finally, the difference between the responses by the two groups of listeners can be analyzed with respect to the number of items reanalyzed by individual subjects. The number of items reanalyzed ranged from 0 to 4. Figure (7) shows the frequency patterns for the two groups of listeners. The rising pattern for the Kajkavian listeners v. the level pattern for the Standard listeners reflects a greater overall tendency towards reanalysis observed among the Kajkavian subjects. f 40 — Kajk. listeners - St. listeners / 60 0 12 3 4 No. of items This tendency may also be the explanation for the fact that we observed several cases of hypercorrect responses by the Kajkayian listeners for items from the non-alternatig set that objectively ended in a voiceless obstruent zok analyzed as zog: plet analyzed as pled. This again points out that in the interraction of new cognitive experience and the acquired language system, the system plays a significant role in the cognitive process. Speakers of a system with word final voice neutralization will more heavily rely on the system (and its rule of devoicing voiced obsturents in non-voiced environment), than on perception. This is to say, that in doubtful cases it will be assumed that the neutralizing rule is operating. It is interesting to note that the same strategy is applied in the perception of "foreign" varieties within a linguistic continuum (or diasystem) as in the perception of a foreign linguistic system. 4. Conclusion The present research shows that the hypothesis about a cognitive calculus that is supplementary to phonological rules holds true for the two observed varieties of Croatian. In addition, it turns out that the native variety of the subject plays a significant role in the reanalysis involved in disambiguation. The present study shows that in the process of recognition and acquisition of (spoken) language there are three factors that play a part, i.e. (1) auditory perception, (2) existing lexicon, (3) a set of phonological rules. The processing of the auditory input involves repeated collation with the lexicon and phonological/grammatical rules. Thus any additions made to the lexicon are made in conformity with the system. The tests performed with speakers of two different varieties and two separate groups of listeners who are native speakers of the two varieties also point out the influence that language rules acquired first exert on the cognition of new language material. This lag in language processing has been noticed in contrastive studies of languages and acknowledged as a problem in foreign language learning (cf. also Eliasson & Tubielewicz Mattson, 1992). From the same experience it can be gathered, however, that new cognitive matrices can be (and are) formed and applied in the acquisition of further new language material (e.g. in learning a third language). Reference Baric, Eugenia et al. (1979) PRIRUČNA GRAMATIKA HRVATSKOGA KNJIŽEV-NOG JEZIKA, Školska knjiga, Zagreb. Eliasson, Stig (1991), The cognition/rule interface in phonological processing. Paper presented at the 3rd International Conference of the International Society of Applied Psycholinguistics, Toronto, July 18, 1991. Eliasson, Stig & Dorota Tubielewicz Mattson (1992), Cognitive processing of phonological ambiguity in second-language learning. Paper in progress. Hock, Hans Heinrich (1986) PRINCIPLES OF HISTORICAL LINGUISTICS, Trends in Linguistics, Studies and Monographs 34. Mouton de Gruyter, Berlin-New York-Amsterdam. Povzetek RAZDVOUMUENJE SOVPADLIH OBLIK V DVEH VARIANTAH HRVAŠČINE Sestavek opisuje preizkus, v katerem se dve varianti hrvaščine (knjižna in eno izmed narečij) vzporejata glede razzvenečenja zapornikov na koncu besede. Preizkus je pokazal, da velja v opazovanih variantah hrvaščine domneva o kognitivnem kalkulusu kot dodatku fonološkim pravilom. Ugotovljeno je bilo, da igra pomenljivo vlogo (pri spremenjeni razčlembi, ki spremlja razdvoumljenje razzvenečih zapornikov) poslušalčeva domača varianta. Goran Filipi Pula CDU 805.312 (497.13 Istra) ORNITONIMIAISTRIANA: I NOMI DI TIPO MAZORIN PER LA SPECIE ANAS PLATYRHYNCHOS - UN RELITTO MEDITERRANEO? 0. Premessa Nel presente saggio si cerca di interpretare gli ornitonimi di tipo mazurin come relitti mediterranei. i nomi popolari presentati fanno parte di un ampio corpus che abbiamo raccolto durante 1'ultimo decennio nella regione istro-quarnerina (isola di Veglia compresa) in quasi 200 paesi per tutti gli idiomi istriani (istroveneto, istrioto, istrorumeno, i dialetti sloveni e croati e la parlata montenegrina di Peroj). 0.1 Per non confondere il lettore tutte le forme sono riportate con la stessa grafia: quella slovena con qualche segno specifico come S, ž, š, 3 ecc. (questi segni speciali si usano comunemente nei lavori di questo tipo, perciö non richiedono una particolare spiegazione)1. L'accento invece viene segnato come si usa nelle rispettive parlate, tranne per le parole istrorumene dove si adotta il sistema croato (semplicemente perche esso corrisponde alla realtä fonetica dell'istroromeno). Le localitä dove abiamo segnato 1'ornitonimo vengono riportate tra parentesi nella lingua ufficiale della zona d'appartenenza, cioe o in croato o in sloveno. 1. Identificazione biologica II germano reale (Anas platyrhynchos) e una delle specie d'anitre (Anatidae) piü comuni in Istria. Gjurašin all'inizio del secolo scrive: "Najmnogobrojnije su u hrvatskoj fauni zastupane medju svim plivačicama patke. Od svih njih prvo mjesto ide i radi broja u kom dolazi u našim zemljama, i radi toga, što nam je dala vrlo koristmi domacu ptiču, patku divlju, ili kako je zove narod na prosto patka ili raca (...) a mužjaka patak, racak ili racman." (GJURAŠIN 302) I sessi si distinguono chiaramente: "Maschio: capo verde metallico, stretto collare bianco, petto bruno porporino, parti inferiori grigio pallido, coda bianca con penne 1 Gli ornitonimi citati dai vari dizionari e repertori ornitologici vengono riportati come nell'originale. centrali nere arricciate, becco giallastro. Femmina: macchiata di bruno, becco bruniccio (spesso arancio ai lati). Entrambi sessi hanno largo "specchio" porpora viola compreso tra due strisce bianche (molto evidenti in volo) e zampe arancio." (PETERSON 56) "II d" in livrea nuziale si distingue facilmente dalla §, screziata di bruno. Zampe rosso arancio, specchio delle ali blu, racchiuso tra due bände bianche. cf in eclisse somiglia alia 2. (...) Vola con rapidi colpi d'ala, accompagnati da un fruscio ritmico. (...) Nidifica a terra sotto ai cespugli vicino all'acqua..." (DRCHAL 38) 2. Gli ornitonimi 2.1. Nelle parlate istrovenete e istriote dell'Istria2 abbiamo segnato: mäzor (Krk), mazorin (Barban, Bertoki, Bivje, Galižana, Krasica, Strunjan, Višnjan, Vodnjan), mäzoro (Barban, Krnica, Motovun), mazurin (Brtonigla, Fazana, Funtana, Kanfanar, Labinci, Lovreč, Motovun, Oprtalj, Pićan, Plomin, Šišan, Tar, Vižinada, Vodnjan, Vrsar, Zminj), mazurin (Medulin), mazurino (Brtonigla), mäzuro (Buje, Galižana, Gradinje, Krnica, Lovreč, Lucija, Pireliči, Pula, Tar), mazurin (Šverki), mazorin (Škrinjari), mäzoro (Savudrija). Solo a Umago (Umag) gli italofoni distinguono i sessi: mäzuro . Per finire questa lunga nota ancora un accenno all'importanza che puö avere un frammento letterario come Kočaca so povile. Quanti informatori bisognerebbe mobilitare per venire a capo che Kočaca h un plurale! (Nella stessa categoria rientrano probabilmente anche nomi come Križaca, Liščaca e altri). - ...fino alii confini di Misiza, spogliando con tal meditazione esso povero Commun di Gniva del Sito Puzzualz intermedio tra li veri Confini del Sito Barmant, e il detto Misiza... 1780.10.6 (253) - Misizza. 1782.9.7 (311) - Missizza. 1780.4.9 (264, 265) 60. Müzac (B, N)39 - dieti de Resia, & Gniva paseolare valeant in Monte vocato Musi. 1489.1.7 (21) - per l'affitto che paga il sudetto Comune all'Ilustr. Consorzio Frangepani per le Montagne di Mussi, e Borgona... 1716.21.9 (335) [ricevuta per 26 libbre di formaggio] - aver siegati le Herbe della Monte detta di Musi. 1717.3.8. (54) - solita Contribuzione, che devon dare annualmente... per le Montagne di Mussi, e Borgogna come compare dall'Affittanza. 1717.26.8 (335) [ricevuta simile di 26 libbre di formaggio - Giacomo Frangipani] - Division Monte Mussi. 1717.11.9(59) - Vertiva strepitosa Litte... tra l'Onorando Commun di San Giorgio di Resia da una, & 1'Honorando Commun di Gniva dall'altra... per il Taglio di parte delle Erbe del Monte chiamato Mussi di ragione dell' Illustris. Consorzio Frangipani. 1717.11.9 (59-60) - Monte chiamato Mussi, che... confina da Levante il Rio Bianco mediante Sasso grandissimo con due Croci segnato, sive Varsaz, Mezzodi il Canal di Mussi, e Pasco goduto dal Commun di Tarcento, & altre Ville annesse. 1717.11.9 (60) - l'inspezione del Monte contenzioso nominate Musi. 1719.9.9. (58) - altra sommita di Musi, & drio Musi, di poi a dritta Linea sino in Campo di Cadin. 1777.29.4 (211) - Musi. 1777.25.2 (214) - Monte Musi. 1779.22.6 (224) - Musi, osia drio Musi. 1779.22.6 (226) - ...il Communale esistente in Mussi, o sia drio Mussi. 1780.10.6 (251) - II Communale Ju mussi [su Mussi?], e drio Mussi. 1780.4.9 (266) - Pascolo del Monte Musi. 1781.6.3 (278) 39 Stando a una recente informazione (O), i vecchi resiani avrebbero usato per questa montagna il nome generico di Piahüte, ossia lenzuola (Ta-s te Piahüte). Questo termine si adatta bene al ripido versante settentrionale dei Musi, dove - chissä quando - valanghe e lavine asportarono terra e vegetazione lasciando scoperti grandi lastroni di roccia viva, ben visibili da lontano. Nel 1962, invece, il nome Plahuta in una leggenda sulla Hüda Ura, cioe la Tempesta personificata (B), sembrava usato non come termine generico, bensi locale, riferito a un determinato lastrone, sulla destra del Barman, in prossimita del vecchio sentiero che portava a Karnica /Carnizza. - il Monte Musi nominato Barghin, sive Stermas, che riconosce detto Comun di S. Giorgio con titolo separate dalla Casa Frangipani, e che e separate dall'altra parte di Musi dipendente da Titolo d'ambidue li Comuni, e che viene posseduto promiscuamente, abbia a rimaner di detto Comun di S. Giorgio, & esso solo debba possederlo senza ingerenza immaginabile del Comun di Gniva. 1782.9.7 (312) 61. Niski patök (B)40 - appresso il Rivo di Nischipotoch appresso l'Alveo del Fiume Resia, appresso un certo Condutorio, o sia Manadore di Legni. 1499.27.4 (22) - Rivo Nischipotoch. 1777.29.4(212) - Rivo di Nischipotoch. 1778.12.3 (219) - Niscipotoch. 1778.12.3 (219) - oltra il Rivo di Nischipotoch. 1780.10.6 (254) - oltre il Rivo Mischipotoch. 1780.4.9 (265) - Rivo Nischipotoch sino al luogo di Sagurisizza. 1782.9.7 (311) 62. Njivica: Ta-w Njivici (B), T\i-w Njivici (N)41 - ...super loco Montis Cranize Gnivice. 1547.25.6 (9) - ad locum certae Vallis parvae vocatae Gnivicae. 1547.25.6 (10) - le Montagne di Gnivizza, e Carnizza di ragion di Gniva che cominciano dall'accennato confine Misiza... 1723.9.11 (96-97) - Pendenze di Carniza, e Gniviza. 1723.9.11 (97) 40 L'informatore (B) conosce un Niski patök nella zona di Oseacco. 41 II nome qui non e un semplice dim. di njiwa (campo), come nel caso del villaggio Njivica (Vedronza) nell'alta val del Torre, a sud di Ter (Pradielis), com. di Bardo (Lusevera). La nostra Njivica (Nella zona di Karni'ca/Carnizza) e un diretto rampollo, una "succursale" del villaggio resiano Njiwa, una sua proiezione oltre lo spartiacque tra Tagliamento e Isonzo. Ci troviamo di fronte a una tipica stazione di transumanza estiva, dove il legame di figliolanza e corroborato dai nomi: Njiwa (madre) e Njivica (figlia). In mancanza di precisi dati sull'origine e lo sviluppo storico di Njivica sarä meglio ascoltare la leggenda che, tra l'altro, spiega il perche di certe anomalie nella divisione dei pascoli montani (cfr. Matičetov 1968-71). Alia Njivica di una volta davano il tono di villaggio anche gli osti che potevano servirsi, in montagna, della "licenza" loro concessa per l'esercizio a valle. II terremoto del 1976 diede pero il colpo di grazia al lento processo di abbandono in atto giä prima. La poesia popolare resiana ci offre quasi un inno al curioso "locum certae Vallis parvae vocatae Gnivicae" (1547) che, o per ragioni prosodiche, o semplicemente perche "variatio delectat", diventa ora lipa moja Njyvica ora m& te lipa Njyvica (O cara mia Gn. -Matičetov 1972 n° 11). L'itinerario fittivo di un giovane innamorato, in cerca della sua bella di Ucjä, parla di una sosta anche a Njivica: Co se dusciou uon Gnivizo, / ia se ućiutel zittiro (Quando sono arrivato a Gnivizza, ho sentito il suono della citira - Di Lenardo 1974 n° 18) 63. Obläze: Ta-dö г Obläze (K), Wobläze (B)42 - primo dalla Forame di Obblas fino in Sagatte tanto d'Erbe vive, quanto d'Erba morta. 1667.16.1 (38) - il Pascolo di Oblaes. 1680.28.3 (44) - Oblas. 1749.15.5 (51), 1753.25.2 (53) 64. Pasigh - Grachicinich..., indi calandosi per il Livinale sino in Mecia, o sia Rivo Bianco, indi verso Ponente in Pasigh. 1777.29.4 (212) 65. Peraćace (B)43 - Monte Periachiaz. 1654.5.10(166) - Perachiaz. 1654.5.10(167) - Parachiaz. 1749.3.3 (50) - Perachioz. 1749.3.3 (51) 42 Nel tempo tra la prima (1667) e l'ultima (1753) testimonianza scritta tale nome era attribuito a tutta la pendice, dal fondovalle sulla destra del Bila e su fino al margine Sud dell'altopiano - "fino in Sagatte" (Ta-wne w Zagate) ed e probabile che ancora oggi sia cosi. Appena quando negli anni trenta del sec. scorso fu trasferita sulla destra del Bila la carrabile Resia-Resiutta e da Podklanac in lä la strada venne a trovarsi alle falde della zona Oblaz, questo nome cominciö a entrare nella coscienza di un maggior numero di resiani e non solo di quelli dei vecchi comuni di Bila e Njiwa. Fu cosi che il tratto di strada che lambisce Oblaz e va verso il confine comunale resiano, segnato da una majana o cappella detta "Salverjina", ebbe pian piano il nome "Ta-z Obläzi", passaggio bbbligato di tutti i resiani che se non per sopravvivere almeno per guadagnarsi da vivere meglio dovevano "andar via" (jtet pröc), cioe emigrare. Döz Obläze poti me, / tu ka mi oči kdžejo... (B - Le mie strade giü attraverso O., lä dove mi mostrano gli occhi - Matičetov 1978, p. 61). Cosi si puö capire perche il poeta Renato Quaglia a una della sue poesie diede il titolo metaforico di "Ta Oblazawa", che nella traduzione slovena letteraria di Marko Kravos suona "Pot v svet" (R. Quaglia, Baside, Trst, 1985, pp. 66-69). 43 Delle due forme trasmesse per iscritto, quella masc. sg. compare per prima (Perachiaz, 1654), tuttavia non possiamo dichiararla piü attendibile di un posteriore Peragiazzä (1777), specialmente perche quest'ultima vive nella tradizione orale, mentre di Perachiaz non si trova traccia. Puö darsi che, se non si tratta di una (senz'altro falsa!) analogia con Lipovaz e Porklanaz (che compaiono fra l'altro anche assieme in uno stesso documento del 25 feb. 1753) sia da considerarsi una risposta -"Zis Peraćac" - alia domanda "da dove vieni?". II tentativo di spiegare "Peračaci"(!) come "porticina" e di accostarlo nientemeno che a una parola turca (v. Matičetov 1993, p. 68, n° 45) e un esempio tipico di etimologia affrettata e subordinata a teorie preconcette. Come eventuale parallelo a Perac'aca (con accento sulla prima sillaba) si potrebbe accostare il nome di un luogo (non abitato) della Carniola superiore (Gorenjsko): Pirečica (viadotto all'uscita O dal traforo della strada tra Ljubno e il santuario di Brezje). Da gentile informazione orale del dr. Dušan Cop, esperto di toponomastica della zona, si viene a sapere che il vero nome del torrente in fondo alia forra sopra la quale si erge il viadotto non e Pirečica ma Perdiica (fem.sg.) e che nomi analoghi esistono anche nella conca di Bohinj e altrove in Slovenia. II Nom.pl. p'0ra{ats0 si trova anche in un piccolo . prospetto tipologico dei nomi di luogo resiani (O. Kronsteiner 1975, 119 § 2.2.1), assieme a kr'y.f0ts0, -pl'0{ats0, putJu'alits0 e sim. (con qualche incongruenza grafica; a titolo di esempio abbiamo scelto solo nomi che conosciamo dal nostro elenco). - Perachiaz con Ii Pascoli attorno la Tavella dal Lipovaz fino in Porclanaz. 1753.25.2 (53) - Peragiazzä. 1777.29.4(210) - Peragiaz. 1777.15.2 (214) - Perachiaz. 1779.22.6 (225) 66. Petro Fartivo - Confinante... a Septentrione cum Petro Fartivo, ac claputii prope primum Albam. 1614.18.8(36) 67. Place (B, N) - Item un'altra Pezza in loco, che si dice Plechie. 1609.16.8 (32) - Plegie. 1680.28.3 (44) - Plachie. 1726.9.4 (47) - Plegie. 1749.15.5 (51) - Inplechie. 1753.25.2 (53) - Plechie. 1778.12.3 (217) 68. Planinica (B), Plininica (N) - per la Scrassa di Planiniza, & Stansissa... 1605.9.1 (75) (rinnovazion Bando 1597) - Monte di Planiniza. 1622.26.7 (76) - Monte Planiniza. 1622.26.7 (77) - attraversando sotto Planiniza s'estendono fino al Luoco detto Billipeg, e Cirnipotoch. 1723.9.11 (95) - Planiniza. 1723.9.11 (97) - ...pascoleggio degli Animali... fatti condurre nel Monte Planiniza. 1775.27.7 (356) - Animali del Monte Planiniza. 1775.27.7 (357) - pretesi Confini delli Monti Cernipotoch, e Planiniza. 1776.26.6 (360) - la veritä fü, & e, che Scrassa di Planiniza dalle Carte di Confini Chiamata, e sempre stata, & e identicamente la situazione, e pendenza Credosa, che hä la sua Pianta, e Radice nel Monte di Planiniza... 1776.26.6 (361) - Scrassa di Planizza. 1777.25.2 (214) - Scrasa di Planneniza. 1777.29.4 (211) - la Planiniza di ragione degli Abitanti del Commun di Resiuta. 1777.29.4 (212) - la Monte di Planiniza. 1777.27.5 (363) - Planinizza. 1777.27.5 (363) - La veritä fü, & e, che la Parola Sgrasa in Lingua Illirica, o sia Reseana significa in Italiano Sfesa, o sia Schiapadura. 1777.7.6 (362) - andando suso in Cuzzer, discendendo poi in Scrassa di Planinizza, o sia Forcastina, andando sino alia sommita del Monte Musi. 1778.12.3 (219) - Sclaza di Planinizza. 1779.22.6 (224) - Scrassa di Planizza. 1779.22.6 (226) - Scraza di Planinizza. 1780.10.6(252) - Scraza di Planinizza. 1780.4.9(266) - Scrazza di Planinizza. 1781.6.3 (279) - Scraza di Planizza. 1782.9.7 (312) 69. Polüdnik/Pulüdnik (B), Pulüdnik (N) - ...in facie Solis in loco vocato Polunich. 1636.11.7 (337) - ...sopra Sappolodnich additando verso la Cima d'essa Pendenza il sito chiamato Palunich a distinzion di Sappolodnich che stendesi al di sotto e a differenza pure di Billipeg, che e l'opposta Pendenza di detto Colle, che scende dall'altra parte sopra il Fiume Resia. 1723.9.11 (96) - Poloduich. 1723.9.11 (97) - Negando espressamente, che il Termine di Poludnich sii diverso da Sappuludnich ne che importi diversitä di sito come vorrebbe capziosamente disseminare a studio di equivoco. 1723.9.11 (99) - Sapolodovich, o sii Palvich. 1725.13.1 (112) - negando che i Siti di Sapolodnich, e Palunich siano lo stesso. 1736.1.12 (342) - [il Comune di Gniva interpella il Comune di S. Giorgio] a confessar se entro i Confini descritti nell'Investitura 1636 11. Luglio del Sito denominate Palonich sii compreso aneo il Sito detto Sappolonich... 1736.15.12 (344) - ...rispetto alia mal professata indentitä di Puludnich, e Sapaludnich. 1737.12.1. (345) [rimanda al suo punto di vista espresso il 9 nov. 1723] - dichiaro... che sia, e s'intenda il Sito controverso entro i Confini del Investitura 1636. 11. Luglio di Paludnich, ovvero Sapoludenich, e particolarmente sino al Rivo Sighipotoch di ragione del Comun di Gniva... 1739.9.5 (347) [Sentenza a favore di Gniva] - Puludinich. 1749.15.5 (51) - Puludivich ovvero Storimlin. 1753.25.2 (53) - Paludrich. 1777.29.4 (212) - La sentenza del di 9 Maggio 1739... ha malamente, ed ingiustamente giudicato, che il Sito denominate Sappulodnich sino al Rio Sachipotoch sia di ragione del detto Comun di Gniva. 1781.9.4 (349) 70. Potklänac, Ta-pot KMncon (B) - Porclanaz. 1753.25.2 (53) 71. *Potök44 - dal Ponte Resia per il Rivo detto Potoch. 1777.29.4 (211) 72. Pradolma (N), Ta-na Pardulinej (K) - Montem qui vocatur Prodolina. 1382.9.7 (2) - Stare Starnisca, e Pradolina Monti contigui, e Pascolo apparente (sic!) alii Monti predetti. 1778.12.3 (219) 73. Pucuwälca, Tli-wne na Puciwälcah (K) (?)45 - ...del Sito Puzzualz intermedio trä Ii veri Confini del Sito Barmant, e il detto Misiza... 1780.10.6 (253) - Puzzualz. 1781.13.2(264) - Puzzualz, che esiste tra Ii... Confini del sito Barmant e quelli di Missizza. 1780.4.9 (265) [cosi sul foglietto a stampa incollato sopra la forma scorretta Duzzualz] - Puzzualz. 1781.13.2(300) - Ii Comunali detto Barmant, e Pozualz sino in Misizza. 1782.9.7 (311) 74. Pulice (B) - quel sito preciso...dietro Goslo... e che viene per maggior speeifieazione denonziato Pollice. 1757.27.2(151) - ...ne possa poner mano, e praticar tagli in quel sito preciso denominate dietro Goslo, ...e che viene denominate anco per maggior speeifieazione, Polizze parte integrante del sudetto sito. 1757.31.12 (145) 75. Püsti Göst (B)46 - passando per Goliz per Somitä di Pustigost discendendo zoso per Plechie sino al Rivo de Cirnipotoch. 1605.9.1 (75) (Rinnovazion Bando 1597) - fino drio Pustigast (!), sino Bresaviza... 1778.12.3 (219) 44 Potök/Patök in resiano sta per 'torrente'. In Resia. Numero unico, p. 74, il Rivo Potoch (1672) corrisponderebbe al torrente che scorre tra Oseacco e Gniva che dagli uni viene chiamato Osöjski potök 'torrente di Oseacco', dagli altri Nj'ivaški putök 'torrente di Gniva'. 45 Questo nome, che significa "posto di riposo", si riferisce anche ad altre localitä della valle; la piü famosa sarebbe forse Puäiwalca (S) che si trova alle pendici del Sart dove per parecchio tempo e vissuta la fam. dei 3enovi-Skwerč (S). BdC nei Materiali I § 509, contiene probabilmente il toponimo di cui si fa menzione nel libro delle liti, poiche, in nota a Puiiwälca sta scritto "dove riposano andando per Carnizza". 46 Gli informatori interpellati conoscono solo la localitä-altopiano Püsti Göst (B)/Püsti Öst (S) a nord di Stolvizza. Di questa localitä una volta si cantava: Du bei pussical Pustigost, / vis Sart nu uso Indrinizo, / nu dardu una Perauo? "Chi ha falciato P., / tutto il Sart, tutta Indriniza / e fin sul picco Perauo?" (Di Lenardo 1974 n° 26). 76. Ravančin Kulk (B) и - Item altra Pezza in loco chiamato Ravanzinculch appresso la strada Publica, ed il Pascolo Commune. 1609.16.8 (32) [Investitura] - altro pezzo chiamato Ravanzinculch. 1726.9.4 (48) - Revanziaculch. 1777.12.3 (218) [trascrizione errata delle due forme precedenti] 77. Rebenich - ...item alia Bona Comunalia in Monte vocato Rebenich ab Ortu juxta Prata dictorum de Gnive, a Meridie Rivum Sichipoch, ab Ocasu locum de Belipeg. 1636.11.7 (337) 78. Reisdainscaora - Monte Reisdainscaora, e Paludrich, principiando a Sol a Monte col Rivo Nischipotoch. 1717.29.4(212) 79. Rep: Ta-na Repo, Ta-wne w Repo (B)47 - Item altra Pezza in Reep appresso li Eredi qu: Zuanne Palet, ed il Pascolo Comune, e Strada Pubblica. 1609.16.8 (32) - altro pezzo in Rep. 1726.9.4 (48) - Reep. 1778.12.3 (218) [Investitura; data corretta a penna: 1777 27 febbraio] 40 80. Resenebordo - in Scarbina per Cuzer per Resenebordo. 1749.15.5 (51) 81. Resiute - Resiutta - Ta-na Bfli (B) - Resiuta. 1654.5.10 (167) (Accordo querelato) - Risciuta. 1660.1.5 (172) 82. Rio Bianco - Bfli Potök (U) - Rivo Blanco. 1382.9.7 (3) - ove nasce lo Rivo Bianco. 1580.9.6 (14) - Rivo vocato Rivo Alvo. 1581.29.5 (25-26) - aMontibus Rium album. 1581.29.5 (27) - confina da Levante il Rio Bianco mediante Sasso grandissimo con due Croci segnato siveVarsaz. 1717.11.9 (60) 47 Nella valle ci sono anche altre localita con lo stesso nome Rep, che designa una striscia di terreno oblunga. 48 Questa forma potrebbe essere in rapporto con oresje 'erica' e brdo. 83. Rischipotoch49 - ...a Ponente il Rivo Rischipotoch suso in la sumita detta Sia ovvero Rut... 1654.5.10 (166) 84. Rop: Ta-h Robu (N) - caminando [dalla Monte Casaria/Karni'ca] suso alia sommitä di Rop seguitando altra sommitä di Musi, & drio Musi,... di poi a dritta Linea sino in Campo di Cadin. 1777.29.4(211) 85. Riišće (B)50 - Ruschis. 1753.25.2 (53) 86. Rüt (B) - ...in la Sumita detta Sia ovvero Rut. 1654.5.10 (166) 87. Scrimizinadulina/Serimizinadulina51 - Livinal di Meligolch, seguitando per la Sommitä sino in Serimizinadulina, indi calandosi a Miziza, che confma colla Monte Casaria di esso Commun di Gniva... 1777.29.4 (211) - principiando da Miziza in suso Scrimizinadolina, indi suso Strop... 1777.29.4 (212) 88. Slonziplas/Slorigi Bias - ab Oriente Lavinam dictum de Slorigi Bias. 1581.6.6. (27) - confina a Oriente Lavina detta Slonziplas, a Mezzodi Sommitä del Monte, che e sopra il Monte nominato Maggior, a Occidente il Rio detto Stormaz, e il Capo del Rivo nominato Lisbine, ed a Monte il Rio Bianco. 1777.12.3 (220) 89. Ster mlan (B) - Item un altra Pezza in loco detto Starimilian, presso il Pascolo del Commune, appresso i Cretti. 1609.16.8 (32) - altro pezzo chiamato Starimlin appresso il Pascolo, appresso i Creti... 1726.9.4 (47) - Puludinich, o sia Storimlin. 1749.15.5 (51) - Puludivich, ovvero Storimlin. 1753.25.2 (53) - Starimilian. 1778.12.3 (218) [Investitura; correzione a penna: 1777 27 febbraio] 49 Probabilmente si tratta del Biski patök che rappresenta il primo tratto, a monte, del torrente che scorre attraverso Bila, dove viene chiamato invece Wuznik (B). 50 II nome della sede di transumanza estiva Ruschis ž scritta Rusćie (Di Lenardo 1974 n°10), Pa ta na Rusćie bei ni seil "Anche a R. non andrei" (Id. n° 11), Riišće (Merkü 1976 n. 541) o Rüsca (Id. n° 544); l'agg. possessivo nel Nsg f. e Riišćina (Merkü 1976 n° 541). 51 In Resia. Numero unico, 1967, a p. 74 compare Smirizina Dolina che ci permette cosi di interpretare il toponimo con piü facilitä, riconducendolo a smereka/smreka 'abete' e a dolina 'valle'. 90. Starmac (O) (pascolo) - Pascum nominatum... Barghin, sive Starmaz. 1581.29.5 (25) - un Pasco della Monte di Musi chiamato Barghin, ovvero Starmaz. 1717.2.9 (57) - Item il Pascolo del Monte Musi, ...nominato Barghin, sive Stormaz. 1778.12.3 (220) - Barghin, sive Stermaz. 1781.6.3 (279) - il Monte Musi nominato Barghin, sive Stermas. 1782.9.7 (312) 90.a *Starmac (rio) - ab Ocidente Rium dictum di Hirmaf, & Caput Rivi, vocati Lisbine. 1581.6.6 (27) [nel documento originale forse compariva al posto di Hirmaf la forma Stirmas, con s lunga] - a Occidente il Rio detto Stormaz, e il Capo del Rivo nominato Lisbine. 1778.12.3 (220) 91. Starnisće (B, N) - Montem qui vocatur Stare Stranišča. 1382.9.7 (2) - habentes partem vocatam del Miruhic habeant, & habere debeant liberum accessum, & regressum cum eorum Animalibus, & Gregibus ad dictum Montem per stratam, qua tenditur ad locum appellatum Starnischia. 1580.9.6 (15) - Homines villae Gnivae... elegerunt sibi partem, et portionem Montis Inferioris, qui vocatur de Starnischia. 1580.21.6 (16) - Se in Starnischia e Cirnipotoch Montagne di Ragione di San Giorgio siino Boschi di Fagaro. 1723.9.11 (95) - la Montagna di Starnischia stendesi fin al Fiume di Uva [= Učja] verso Plez. 1723.9.11 (97) - Starnischia. 1723.9.11 (98) - Stare Stranišča, e Pradolina, Monti contigui. 1778.12.3 (219) 92. Stolvise - Solbica - Piero Negro nativo di Stolvise... 1722.17.10 (89) 93. Strop52 - Strop. 1382.9.7 (3) - indi suso in Strop. 1777.29.4 (212) - Strop. 1503.5.7 (6) - usque summitatem primi Collis de Strop... in Cacumine dicti Collis, ... in loco eminentiori ad evidentiam ipsorum Confinium in aliquo Lapide Congruo celari 52 In BdC 1895, § 508 compare un toponimo Täna Ströpoe, che dovrebbe comspondere alia forma antica riportata in elenco. debeant Signum Cruris... usque ad ultimum Collem dicti Monti (!) de Strop in quo Colle alia Crux celanda sit. 1503.5.7 (7) 94. Studeniz53 - ...a fönte de Studeniz. 1613.24.6 (34) [si riferisce alla 'Concessionem...de Anno 1598.1.5'] 95. Sühi Potök (N) - Rium Sichipotoch; Rivum Sichipoch 1636.11.7 (337) - particolarmente sino al Rivo Sighipotoch. 1739.9.5 (347) - [Bassura di Forchia], indi discendendo, e caminando per il Rivo Suchipotoch sino in altro Rivo Barnian. 1777.29.4 (211) - Suchipotoch. 1779.29.4(212) - Suchipotoch. 1777.27.5 (365) - per il Rivo Suchipotoch fino in altro Rivo Barman. 1779.22.6 (226) 96. Šija (B) - in la Sumita detta Sia ovvero Rut. 1654.5.10 (166) 97. Škarbina (B), won zis Škarbino (L)54 - nel Monte Discarbina; in cima la Monte Scarbina. 1605.9.2. (75) (Rinnovazion Bando 1597) - Item in altro Pezzo sopra il Monte di Sgarbine, in loco chiamato Tanavosepeg appresso il Pascolo Comune d'ogni intorno. 1609.16.8 (32) - de nemore Scarbina. 1613.24.6 (34) - super Montem appellate Sgarbina... 1614.16.8 (36) 53 Tale toponimo e piuttosto frequente nella valle. II significato originario, che e quello 'sorgente', non e piü conosciuto perche e stato sostituito da mlaka (cfr. anche Matičetov 1992, 91). Tale supposizione e avvalorata dal fatto che, secondo gli informatori, in tali localitä sgorgano delle acque, per es. Ta-par Studunčiću/Štulunčiću (B), Tu-w Studmce (O). 54 Un canto resiano registrato a Bila-S. Giorgio nel 1962 inizia cosi: Da jöra mä Skarbinina,/ ka na ma štiri rožice... (Matičetov 1972 n° 27). "Quel monte di Š. / che ha quattro fiorellini...". Perö trasposto nel linguaggio comune, di ogni giorno, quest'inizio suonerebbe: "II villaggio di Bila ha quattro ragazze da marito." Una vecchia legge poetica resiana infatti non permette di dire apertamente il nome del villaggio del quale si vuole cantare, ma suggerisce di ricorrere a certe metafore ben conosciute da tutti. Siccome di fronte a Bila-S. Giorgio sta il massiccio monte Škarbina, per un resiano basta sentir nominare S. che giä sa di cosa parla questo canto: di Bila. Lo stesso potrebbe dirsi, per es., in merito ai canti della Dorina Di Lenardo 1974 n. 1, oppure di P. Merkü 1976 n° 542: Attenzione! Giacche la battuta iniziale, il primo verso accenna a Škarbina, sentiremo senz'altro parlare di Bila e quindi, con la mente, trasferiamoci subito a Bila! Piü o meno lo stesso si potrebbe dire anche per altri paesi e frazioni della valle: Kucera = Liščaca, Sart = Solbica, Canen = Korito, Banera = zona di Jama... Non dobbiamo naturalmente esagerare, generalizzare; 1'argomento comunque richiede di essere approfondito. - Sgarbina. 1680.28.3 (44) - altro pezzo sopra il Monte Sgarbina; altro pezzo pur sopra detto Monte in loco chiamato la Tasasgarbina. 1726.9.4 (47) - in Scarbina per Cuzer per Resenebordö. 1749.15.5 (51) - Las di sopra in Scarbina. 1755.25.2 (53) - Monte di Sgarbine. 1778.12.3 (217) - Scarbina. 1782.9.7 (312) 98. Škraža (B) - Scrasa. 1777.27.5 (365) - Crassa. 1777.27.5 (365) [Zuanne qu: Domenico Beltrame di Resiutta testimonia di aver pascolato per 18-20 anni in quel di Planinica, dove si trova questa Skraža/Costone (363-365)] 99. Štancije, Štancje (N) - ...& Stanssissa caminando via per Cadin, Lavori... 1605.9.1 (75) (Rinnovazion Bando 1597) - Stanzis. 1723.9.11 - e di San Giorgio Cernipotoch compreso il Sito chiamato Stanzis. 1723.9.11. (97) - Cadin, indi suso per la Sommitä di Stante, discendendo in Scrasa di Planneniza. 1777.29.4 (211) 100. Štožje (B), Štužje (N) - Malicolch Estosie. 1777.29.4(211) 101. Tämor, Ta-par Tämoru (B), dö par Tsmoru (L)55 - usque ad Summitatem dicti Montis Cragnice, in quo loco possit (!) sunt duo Tamaci, unus scilicet, & primus pro usu Animalium dictorum de Gniva, & alius, scilicet, secundus, pro usu Animalium dictorum de S. Georgio parum distantes a certo riuvulo, sive Agare, sive Aqua tunc dividend dietam partem Montis Cranice spectante dictis de S. Giorgio ab alia parte superiore dicti Montis pertinentis dictis de Gniva... 1547.25.6(11) 55 Relativamente al Tamor, da una poesia registrata a Ucjä Г ultimo giorno di Carnevale 1969, riportiamo il seguente passo: Mi ćeua jte nu sforina / nu rauno dö par Tämoro / ziz no kareto garmouo (Merkü 1976 n° 524). L'ignoto poeta che, come tutti i montanari di vecchio stampo (dall'alta valle dell'Isonzo fino alla Carnia) usciva sempre con una bella gerla (rez. korba, frl. carnico cösse) sulla schiena, intrecciata con rami di nocciolo (garm), cosi caratteristica che appare perfino sulla copertina della raccolta Merkü, si e divertito (a Carnevale ogni scherzo vale) a chiamare questo suo "mezzo di trasporto" ironicamente kareta... Pertanto proponiamo una nuova lettura del passo in questione: Xo partirö e me ne andrö / dritto giü al Tamor / con un carretto di nocciolo (ossia con la gerla sulla schiena). - a lapide praedicto miser (!), usque ad Tamacos. 1547.2.7 (12) - ...tutto il Piano, ch'e nella Radice del Monte Planiniza con tutto il Pecol sino al primo piano del Monte istesso dove si dice il primo Tamoro... 1622.2.8 (77) - restando in detta parte ad uso di detti di Gniva il Tamoro chiamato del Pozzo, ovvero Bramischiblas. 1622.2.8 (77-78) 102. Tanavosepeg - Sopra il Monte di Sgarbina, in loco chiamato Tanavosepeg appresso il Pascolo Comune d'ogni intorno. 1609.16.8 (32) - in luoco chiamato Tanavosepeg. 1726.9.4 (47) - ...sopra il Monte di Sgarbine, in luoco chiamato Tanavosepeg. 1778.12.3 (217) 103. Ta-za Škarb'mo (N) - Item un altra Pezza sopra detto Monte in loco cognominato Tasasgarbina appresso da tutti i lati in Pascolo Commune. 1609.26.8 (32) - Tasasgarbina. 1778.12.3 (218) [copia della trascrizione del 1609] 104. Tölska Stina / Törska Strna (N) - Torsca Stigna - ...al luoco chiamato la Forca nel sito poi capitolato, ho sentito qualche volta da Pastori stessi chiamar Torsca Stigna, ma precisamente non mi arricordo, interrogati poi questi stessi perche chiamassero detto sito in due forme, risposero in sostanza significar 1'istesso tanto uno, che l'altro termine, ma esso indifferente il termine per l'espressione della Lingua. 1777.27.5 (364) 105. *Tolsti Vrh - Tülsti War (B) - Tolsiurch. 1654.5.10 (167) - Tolstiurh o sia Goslö. 1757.27.2 (151) - del Monte sopra Lipovaz, e Tolstiurh, o siano Goslö, & sino alii Confini di Oseacco... 1757.21.12(142) - Tolstiurch o sia Goslö. 1757.31.12 (145) - Tolsti Uvar. 1777.29.4 (210) 106. Trabnibardö - Trabnibardö. 1750.12.10(52) 107. TYabnilidü56 - Trabnilidü drio Goslö. 1749.15.5 (51) 56 La seconda parte del composto, il -dü finale (da Dol/Dul "vallone"), puö esistere anche autonomamente, come lo dimostra il Dul al margine N di Osoane, scomparso nel 1976 quando le ruspe vi hanno spazzato dentro i resti del piü grande villaggio resiano. Forse di qua a mille anni gli archeologi suderanno per riportare alia luce i numerosi ed interessant! elementi architettonici in 108. Učja - Uccea - ...Stare Stranišča..., Prodolina..., Chilla, omnes Montes contiguos, & ad invicem se tenentes, & Pascuum pertinens ad Montes praedictos et quemlibet ipsorum, cum omnibus juribus, & actionibus realibus, & personalibus ad Montes praedictos, & in eorum quemlibet spectantibus & pertinentibus sitos, & positos in loco dieto Canale de Vicca, & in Rivo Blanco... 1382.9.7 (2-3) - la Montagna di Starnischia di ragion di San Giorgio che stendesi sin al Fiume Uva verso Plez. 1723.9.11 (97) - Stare Stranišča, e Pradolina, Monti contigui, e Pascolo apparente (!) alii Monti predetti con tutte le azioni alii Monti predetti appartenenti situati, e posti in luogo detto Canal di Ucea in Rio Bianco. 1777.27.2 (219) - nelli siti di Ucea... M. Casaria, Livinale Mirnich. 1779.15.9 (229) 109. Varsaz - [Divisione Monte Mussi:] conferiti... sopra il prenominato Monte chiamato Mussi, che unito, confina da Levante il Rio Bianco mediante Sasso grandissimo con due Croci segnato, sive Varsaz, Mezzodi il Canal di Mussi, e Pasco goduto dal Commun di Tarcento, & altre Ville annesse, Sol a Monte la Spetabil Communitä di Gemona, o Venzone, & alle Monti la Fabrica della Rever. Abbazia di Moggio per mitä della Cima d'esso Monte. 1717.11.9 (60-61) - sive Varsaz. 1717.11.9(61) 110. Wränji patök / Ränji patök (B)57 - Rivo di Uragnipotoch. 1651.6.5 (161) - Rivo Uragnipotoch. 1654.5.10(166) - Uragnipotoch. 1654.5.10(167) - Rivo Oragnipotoc. 1654.5.10(167) - Rivo Uragnipatoc sino alla sommitä del Monte sopra Lipovaz; Rivo Uragnipotoc. 1757.21.12(142) - Rivo Uragnipotoc. 1757.31.12(145) - Rivo Uragnipotoch. 1757.27.2. (151) - Loco vocato Uragni Potoch...Uragnipotoch. 1777.29.4 (210) pietra della vecchia Oso(j)ane. All'ultima padrona del Dul, Pasqua Siega "taw Düle" o, tout court, Paska Dülica, morta prima del "potres", fu risparmiato il cordoglio di vederne la rovina. 57 Accanto all'interpretazione a) "Torrente dei corvi" ne girano nella valle altre due: b) Rejni patok (R), cioe torrente morto "dove abitano le volpi. Molti ma molti anni fa li non scorreva acqua e nessun cacciatore e nessun cane osava andarci" (M. Matičetov, Ce fastu?, 50-51, 1974-75, p. 112); c) Rejnik potök 'torrente (del) defunto', perche secondo una leggenda (O), in quel luogo sarebbe stato ucciso un prete. - Uragnipotoch. 1779.22.6 (225) - Uragnipotoch. 1780.11.3 (238, 239) - ...due Rivi Uragnipotoch, e Brusignipotoch... 1780.11.3 (241, 243) - Uragnipotoch, e Brusinipotoch. 1780.18.4 (246, 247) 111. Zagäta: Ta-wne w Zagati (B)58 - in loco dicto in Sagatta. 1558.31.5 (30) - in loco chiamato Sagata. 1609.16.8 (32) - la forame di Obblas fino in Sagatte. 1667.16.1 (38) - Sagata con suo Pascolo drio Goslö. 1680.28.3 (44) - Sopra Sagata in loco detto drio Goslö. 1749.3.3 (50) - Sagata. 1749.15.5 (51) - Rivo Sotto Sagata. 1750.12.10(52) - Segata. 1753. 25.2 (53) - Sagatta, 1778.27.3 (217) 112. *Zagoricica59 - Andando in suso per Rivo di Nischipotoch sino al loco di Saguriziza, indi al sasso di Bilapeg... 1778.12.3 (219) - Montagne Cernipotoch sino al luogo di Saguriziza... 1780.10.6 (254) - Montagne Cernipotoch sino al luogo di Sagurisiza. 1780.4.9 (265) - Sagurisizza. 1782.9.7(311) 113. *Zagoslo: Ta-za Gosl5n (B) - unum Sedimen...in loco dicto Satgoslö. 1546.4.12(29) - Sagoslö. 1558.31.5 (31) - in loco chiamato drio Goslö. 1609.7.10 (33) - in Curnich Sagoslö. 1667.12.10(40) - Affittanza Commun di San Giorgio del Monte Sagoslö, o sia drio Goslö. 1667.3.11 (42) 58 Tra il 1558 e il 1778 su 9 menzioni di questo toponimo (scritto con una o due t), una sola suona Sagata, forma che ricompare perö in un recente rilievo da Bila: ...un Segato ćieua itit. / 'Cieua pociasu si vilest, / us uinčie te Sagatine... (Ce ne andremo in Sagata./ Con calma supereremo / i tornanti di Segata - Di Lenardo 1974 n° 40). Zagata, completamente "di ragion" (proprietä) di quei di Bila, sarebbe un pendant di Njivica, solo che si trova a 200 m piü in basso e, non essendo attorniata da alte montagne, e meno selvaggia, piü aperta e "domestica". 59 L'informatore (N) conosce a Gözd. la localitä Ta-za Horičico 'Dietro la Piazzetta', luogo dove, in altri tempi, si riunivano i bambini per giocare. - Sentenza a favor del Commun di S. Giorgio contro Danificatori nel Monte Satgoslö, o sia drio Goslö. 1668.12.5 (43) - il Bosco drio Goslö, ovvero Curnich. 1668.23.5 (179) - Sagata con suo Pascolo drio Goslo. 1680.28.3 (44) - in un loco drio Goslo ovvero Curnich. 1718.20.10 (181) - e drio Goslö. 1746.29.5 (49) - con la somitä del Monte drio Goslö fino alla Confin dei Stoluizani. 1749.3.3 (50) - Trabnilidü drio Goslö. 1749.15.5 (51) - Monte drio Goslö. 1750.12.10(52) - Siti detti dietro Goslö. 1756.5.5 (127) - dietro Goslö. 1756.5.5 (128) - drio Goslö. 1756.5.5 (129) - volgarmente detto drio Goslö. 1757.26.10 (139) - luoghi detti drio Goslö. 1757.21.12 (140) - Pascolo, e Bosco situato dietro Goslö. 1757.21.12 (141) - dietro Goslö. 1757.27.2 (151) - drio Goslö. 1758.8.6(157), 1759.18.4(153), 1777.25.2(214) - un pezzo di Comugna con Bosco, e Selva situata nelle Pertinenze di San Giorgio in loco chiamato drio Goslö. 1778.12.3 (217) - drio Goslö. 1779.22.6 (223, 225), 1780 (235) - drio il Goslö. 1780 (236) - drio Goslö. 1780.18.4 (244, 245) - ...nelli soli siti Boschivi, e Pascolivi Compresi tra il Fiume Resia da una parte e li due Rivi Uragnipotoch, e Brusinipotoch, sino al Confine di Osseacco dall'altra, che comprendano anche una picciola parte delle varie situazioni abbraciate dalla generale denominazione di drio Goslö. 1780.18.4 (246) - drio Goslö. 1780.10.6 (250), 1782.7.2 (319), 1782.12.2 (322) 114. *Za Hözdi: Ta-za Hözdi (N) - tutto lo Monte, comenzando zoso del Fiume Ucea per mezzo, & a rimpetto lo loco detto da Pie del Miruhic, & andando suso per dritta Linea per sino drio Sagosdi, ove che e fatta una Croce in Sasso per sino alia summita di esso Monte, per donde sono signate in quatro Sassi quatro Croce, & traversando per de drito verso Stoluizza sino per mezzo lo Rivo chiamato Lastiguipatoch (!), caminando drio due Croce signate in due Sassi. 1580.9.6 (14) -indi a Masasnati Clin, indi suso alla sommitä di Sagoldi [Sagosdi], ove si trova uno (!) Croce scolpita in un Sasso, indi calandosi per la Monte Sagoldi sino nel Rivo Ucea appresso li Casoni di San Giorgio, indi suso per il Mirnich... 1777.29.4 (212) - calandosi per la Monte Sagosdi fino al Rivo Ucea. 1779.22.6 (227) - Sagosdi. 1780.10.6(253) 115. Zaleni Potök (O), Zeleni Patök (B)60 - ...per il Livinale sino in Mecia, o sia Rivo Bianco, indi verso ponente in Pasigh, e seguitando per traverso sino Zelenipotoch. 1777.29.4 (212) 116. Zapolüdnik, Ta-za Pulüdnik (B)61 - nelli siti, e Territorio di Braman, e Sapoloduvich... 1721.21.11 (79) - i Legnami tagliati nei siti promiscui di Sappolodvich, e Barman. 1722.24.1 (80) - Sopoluduich. 1722.7.3 (82) - Sappolodovich, o sia Sapolunich. 1722.22.3 (84) - Sappolodovich; Sappolodvich. 1722.8.10(86) - Cappolodovich (!); Seppolodovich. 1722.17.10(90) - Sappulodonich. 1723.4.11 (93) - Sappulodnich (94), Sappulodovich (95), Sappulodnich, Sappolodnich (96), Sappuludnich (97, 98, 99) 1723.9.11 - Soppolodvich. 1724.1.4(101, 102) - Sopolodvich. 1724. 27.4 (104) - Sappalodnich. 1724.17.6(196) - Sapolodovich. 1725.13.1 (112), 1725.16.3 (113), 1725.7.5 (117) - un suo pezzo di Medilli nel Monte Sapoludnich chiamato Jacumonepotoch. 1736.13.10(339) - Sapoludnich. 1736.13.10(340) - negando di bei nuovo, che i Siti di Sapolodnich, e Palunich siano lo stesso. 1736.1.12 (342) - Sapulundenich. 1778.12.3 (220) - Sapolunich. 1780.10.6(250) - Sappolludinich. 1780.10.6(254) - Sapalovich. 1780.4.9 (265) - Sappoludnich. 1781.13.2 (300) [correzione a stampa su foglietto giä incollato sopra la dicitura Supolsinich] 60 Questo toponimo, rilevato nella zona di Karnica / Učja, compare anche nei dintorni di Bila come Zeleni patök (B). 61 Nel nostro elenco alfabetico, questo toponimo compare in una ventina di forme, tutte del Settecento, alle quali perö da altri documenti storici si potrebbero aggiungerne altre, piü vecchie e curiose, come per es. un Postpolutnig, ibrido latino-resiano. Per quanto riguarda invece la presenza di Zapolüdnik nella cronaca poetica della valle, si veda la nota 38 s.v. Mizica. - Sapolodnich. 1781.6.3 (278) - Sappaludnich; Sapoludnich. 1781.25.8 (353) - Sapolunich. 1782.9.7(311) 117. Zorgnale - andando sino alla Sommitä del Monte Musi, e per Apice da Cadin in Zorgnale, indi in Lavora, poi in Goliz giü per la Creta, fino drio Pustigast, fino a Bresaviza, & indi alla Resia, e Niscipotoch. 1778.12.3 (219) 4. Conclusioni 4. Dopo aver presentato al pubblico scientifico questa discreta raccolta di toponimi resiani, e ora di accomiatarci. Per caratterizzare in breve il valore - almeno relativo -del nostra elenco di nomi resiani, ci e venuta l'idea di ricorrere a un'analogia, traendola dalla numismatica. La nostra stampa per liti (fino al 1982 - anno della pubblicazione Madotto - nessuno ne sapeva nulla), dalla quale sono emersi parecchi bei nomi storici, non e forse paragonabile a un vaso di monete ritrovato nell'orto o in una casa diroccata? Vero e pero che non ogni deposito di vecchie monete rappresenta giä di per se un tesoro favoloso, non tutti i conii sono in metallo prezioso, il loro stato di conservazione non e sempre buono, tra i singoli pezzi molti si ripetono, pochi - o nessuno - sono "pezzi unici", e via di seguito. Comunque, se gli studiosi di numismatica sanno apprezzare e valorizzare ogni sia pur modesta scoperta nel loro settore di attivitä, coscienti come sono che e giä un discrete successo quando si possono individuare inattese e valide presenze, frequenze, curiose somiglianze e parentele, diffusione sicura in un dato spazio e/o tempo, perche dovrebbero essere da meno gli studiosi di toponomastica? I nostri toponimi storici, pur incongruenti nella scrittura, non alieni da banali errori di trascrizione o di stampa, limitati al periodo 1382-1784, circoscritti a due comuni della Val Resia (Bila e Nj'iwa), appaiono linguisticamente collegati gli uni con gli altri, come se si dessero la mano, proveniendo da localitä contigue, "ad invicem se tenentes". 4.1. Tuttavia non ce la sentiamo di finire senza rispondere a una domanda che sappiamo quanto mai viva, anche se non ci e stata rivolta direttamente. Cerchiamo pertanto di dare qui almeno qualche notizia sommaria sul decorso degli studi di toponomastica resiana. Naturalmente non possiamo entrare nei dettagli e citare pubblicazioni dove ricorre solo qualche singolo nome resiano, ma ci limiteremo a scritti di un certo rilievo. 4.1.1. Un lontano precursore ne e senz'altro il ceco Antonin Pisely, capitato nel 1801 per servizio nella valle di Resia o al suo margine occidentale, dove raccolse alcune dozzine di voci resiane. Quasi piü che per via dei dati (modesti: 16 toponimi e non tutti precisi!) il suo contribute merita forse di essere ricordato per la distribuzione sistematica in nomi di villaggi, idronimi, oranimi e microtoponimi.62 4.1.2. Strano che - eccetto Pisely - fra quanti dalla fine del Settecento e a tutta la prima metä dell'Ottocento visitarono la valle sotto il Canin, lasciandoci descrizioni di vario genere, memorie o altre tracce scritte,63 nessuno abbia pensato di segnalarci nomi di luogo che escano dalla cornice convenzionale (nome del capoluogo e pochissimi altri che si possono contare sulle dita). 4.1.3. I rilievi cartografici che si svolgono su incarico dei Quartieri generali sono sempre segreti ed e pertanto logico che cosi sia stato anche col lavoro della commissione del Q. G. austriaco. Sempre ci rimane perö a disposizione almeno il risultato definitivo, fissato sulle carte a piccola scala, con maggiore o minor numero di toponimi, piü o meno fedeli a quanto dettato dagli informatori. Ciö che scrisse Joseph von Bergmann nel 184864 e nel 184965 non ci consente certo di vedere dietro le quinte del "teatro" geografico-militare austriaco. Per avere chiarimenti sui toponimi resiani e consigli sul modo di trascriverli, il Bergmann si era rivolto a un'autoritä indiscussa: il linguista sloveno F. Miklošič,66 allora bibliotecario nella Biblioteca di Corte Viennese. 4.1.4. La seconda metä dell'Ottocento vide approdare nella Resia il famoso linguista polacco J. Baudouin de Courtenay, salpato perö da un porto della Russia: Pietroburgo. Al suo primo soggiorno nella valle (agosto 1873) seguirono altre visite e soste; sicche, fino alio spirare del secolo, non si puö pensare nulla di filologicamente importante che riguardi Resia senza l'apporto attivo del BdC. Dal momento che la sua figura umana e scientifica domina su tutti e su tutto, non ci deve sorprendere che pure il contributo di tale linguista alia toponomastica resiana superi ciö che in questo campo specifico si e fatto sia prima che dopo di lui, quasi fino al giorno d'oggi.67 62 "Feldkurat", cappellano militare austriaco nel reggimento "K. Kinsky", che per hobby si dedicava alla raccolta folkloristica, con lettera del 14 aprile 1801 inviö una colletta di 73 voci resiane a Praga, al suo amico J. Dobrowsky, il quale provvide a pubblicarle: "Über die Slawen im Thale Resia" in Slawin 1,2, 1806, pp. 120-128; una nuova edizione, curata da W. Hanka, usci nel 1834. 63 Oltre J. Potočki (data imprecisata: 1791-1797) sono da ricordare L. L. Linussio ("Solwizza, primo agosto 1821"), M. Tenore (Resiutta, 2 nov. 1824), G. Fresco (1840), I. I. Sreznevski (fine di aprile -1. maggio 1841), S. Vraz (intorno al 10 giugno 1841). 64 Bergmann (1848, 46-50) scrive tra l'altro che pastori e legnaioli di lingua slava, stabilitisi in questa valle (Resia) non si sa quando, denominarono valli e monti, terreni, boschi, ecc. Adduce parecchi toponimi, traendoli dalla sezione del Q. G. austriaco ed apponendovi 1'interpretazione del Miklošič. 65 Alio scritto del Bergmann (Das slavische Resiathal, 1849, pp. 29-32) era allegata una cartina geografica della valle. 66 II contributo del Miklošič alia toponomastica resiana e stato di recente esaminato da H. Steenwijk 1992, cap. 4: Miklošič und resianische Toponyme. 67 Molto, se non tutto il materiale toponimico raccolto dal BdC nel 1873 e sparso nei suoi Materiali I, 1895, ma rintracciabile senza difficoltä tramite il ricco indice alle pp. 671-2; riunito insieme sta all'inizio della monografia "Rez'ja i Rez'jane" del 1876; disposto in ordine alfabetico si troverä come capitolo a se nel Vocabolario resiano (Rezijanskij slovar) del BdC, che stanno preparando per la stampa A. Duličenko, M. Matičetov e N. I. Tolstoj. Nuovi toponimi resiani, inediti, raccolti sempre dallo stesso autore, si trovano nell'archivio dell'Accademia di scienze russa, sez. di Pietroburgo (in copia presso l'lstituto di tradizioni popolari Slovene della SAZU a Lubiana). 4.1.5. Per recuperare, cioe tirare fuori dalle nebbie medievali certi nomi storici, ci volevano metodi e conoscenze particolari (specialmente in materia di paleografia), che solamente la storiografia puö metterci a disposizione. Fu cosi che prestarono la lore opera - poco meno che di scavo: da parte friulana A. Di Prampero, V. Joppi, da parte slovena F. Kos, da parte tedesca A. Jaksch e altri che qui non e il caso di citare. Non e lecito perö sottacere un entusiasta di storia dell'alpinismo, A. Gstirner (1906), il quale, risalendo indietro fino dove era possibile, ha saputo trarre da ogni dove nomi storici e poi, avvalendosi della sua singolare domestichezza con le montagne tutt'intorno a Resia, anche localizzarli con precisione, aggiudicandoli ai loro primi veri o probabili portatori (si pensi per es. a un "Möns Habiiis" o altri nomi simili, piü o meno refrattari all'identificazione). 4.1.6. Tra gli innamorati della nostra montagna e doveroso ricordare altri due personaggi: J. Kugy e H. Tuma. Al primo ritorneremo ancora, poiche tra le sue visioni poetiche e altamente umane ci fornisce un meraviglioso passo a commento e chiusura di questo nostra contributo. Del Tuma invece, alpinista e insieme raccoglitore instancabile dei nomi di montagne (il suo scritto forse piü noto e dedicate alia "Toponomastica delle Alpi Giulie" 1929), senza voler diminuire alcun merito - e ne ha tanti! - penso che, almeno nel settore resiano, sia sempre valido quel che sta scritto come corollario ai n.ri 5 e 13 di Resia. Bibliografia ragionata (1981). 4.1.7. I nomi di luogo resiani devono aver destato 1'attenzione anche di Bruno Guyon, uno slavista originario della Val Natisone (Barnas/Vernasso 1868 - Napoli 1943); intorno al 1933-34 egli avrebbe scritto per la "Zeitschrift für Ortsnamenforschung" alcuni articoli (fra l'altro: Die mediterranischen toponomastischen Elemente in Resiathal e Die slovenische Echtheit der Resianer aus den Ortsnamen in Resiathal),69 che perö nel suddetto periodico non si trovano.70 4.1.8. Durante il seminario per la lingua, letteratura e cultura slovena che ogni anno si svolge presso l'Universitä di Lubiana, nel luglio 1972 fu organizzata un'escursione nella Val Resia. Vi prese parte anche il prof. Kronsteiner che, entusiasta dell'incontro con la Valle e coi suoi abitanti, decise di ritornarci per conto proprio. Frutto tangibile della sua seconda visita e lo scritto Die Toponymie des Resia-Tales del 1975. Egli tentö un esperimento: prendendo per base il patrimonio onomastico resiano segnato sulla carta (CI) dellTstituto Geografico Militare 1:25.000, si prefisse di controllarne la situazione 60 anni dopo i rilievi fatti nel 1910. Tuttavia, la ristretta scelta degli informatori (provenienti, pare, soprattutto dal villaggio piü grande e popolato Oso(j)ane) ha probabilmente limitato i risultati della ricerca sul campo. Solo cosi e 68 Particolarmente importante il capitolo B: Der Mensch in den Bergen. 69 Notizie tolte dall' articolo di Jem, Bruno Guyon, in Primorski SBL, 6, Gorica, GMD, 1979. 70 Da gent, comunicazione del prof. O. Kronsteiner. Sarebbe interessante appurare quale fine abbiano fatto questi ed altri scritti del Guyon, se stampati altrove o rimasti inediti presso gli eredi o depositati in qualche biblioteca. Ci raccomandiamo per questo alla cortesia degli slavisti dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli. comprensibile la qualifica "ignoto" (unbekannt) a fianco dei nomi che invece si potrebbero benissimo dire "arcinoti": cosi per esempio (restando nei limiti delle prime lettere dell'alfabeto) BRUSSEN PATOK (v. la nostra nota 21), CELZE (v. le note 9 e 31), CLADIE, COCHIAZE (v. nota 38). Per altri nomi credo che non sia stata considerata l'eventualitä che ci troviamo di fronte a evidenti sbagli di stampa: per es. ANARCOTA (Auarcota o Warköta, quindi nessun rapporto col frl. cort "Hof, Bauernhof" che in resiano si chiama dwbr); per GOSTO la forma corretta e Goslö e al posto di DRIO GOSTO dobbiamo vedere un SATGOSLO (1546), *Zagoslö, nel 1993 registrato come Ta-za Goslön (B; si veda pure la nostra nota 26). Infme il nome IEDAIE "Felsgruppe" (anch'esso "ignoto"!) fu inserito in una poesia moderna: tuw iseh jedajeh/ punčikeh pači (R. Quaglia 1985, 26), che alia lettera dovrebbe suonare: in queste Jedaje / piene di pietre, mentre il poeta diede a jedaje un senso metaforico di "luogo solitario" e di conseguenza il traduttore scrisse: "v tej samoti / polni kamenja." 4.1.9. Ed ecco infine giunto il momento di ritornare al Kugy, poeta sensibilissimo, il quale delle sue montagne predilette - del Triglav per esempio - non esitö un istante a dire "che cresceva davanti ai miei occhi fino ad assumere una sua personalitä precisa e potente, che m'incatenava tanto piü, quanto piü a fondo ero riuscito a penetrare nella sua essenza e sviscerare il suo significato". Questi suoi nobili e profondi sentimenti egli era persuaso di poterli condividere con i datori (o "creatori") dei nomi, come egli si esprime, insomma con l'anima del popolo. Se egli ebbe sott'occhio in primo luogo i nomi delle montagne, ciö non significa che non si possa estendere il suo ragionamento dagli oronimi agli idronimi e in genere a tutti i toponimi, compresi perfino i microtoponimi. Ed ora riproduciamo, Dalla vita di un alpinista, quanto il nostro corregionale Julius Kugy scrisse nel 1917 - come apposta per noi - e pubblicö per la prima volta a Trieste settanta anni fa (Aus dem Leben eines Bergsteigers): «Direi che anche l'anima popolare senta cosi e batta queste vie, creando i nomi dei suoi monti dopo averne afferrati con precisione il carattere e 1'individuality attraverso l'osservazione secolare. Per questo bisogna trattare con rispetto e con amore i nomi autoctoni e popolari, bisogna ricercarli dove sono caduti nell'oblio e vegliare gelosamente perche non vengano mutati a capriccio o sostituiti con altri, di maniera. Col loro suono caratteristico e nella loro crudezza originale sono diventati una parte dell'individualitä del monte, e spesso sanno ridare, meglio di qualunque descrizione e con vera poesia, l'impressione, per cui i monti uscirono dalla notte dei tempi ed entrarono nel raggio di osservazione e nella coscienza del popolo.» (Versione di E. Pocar, Trieste, 1985з, p. 55). * Si specifica che nel presente lavoro i capitoli 1. e 4., le note n. 1-7, 9-13, 19-23, 25-27, 29-36, 38, 39, 41-43,46,50, 54-56, 61-70 sono opera di M. Matičetov; il cap. 2., le note n. 8, 14-18, 24, 28, 37,40,44, 47-49, 51-53, 59, 60 e i Riferimenti bibliografici sono da attribuire a R. Dapit; il cap. 3. e le note n. 45, 46 e 57 sono di entrambi gli autori che insieme hanno cercato di risolvere i vari problemi nati durante l'esecuzione del lavoro in comune, attraverso il reciproco scambio di informazioni ed esperienze. Riferimenti bibliografici BAUDOUIN DE COURTENAY J. - 1876, "Rez'ja i Rez'jane", in Slavjanskij Sbornik, III, 1, Sankt-Peterburg. - 1895, Materialy dlja južnoslovjanskoj dialektologii i etnografii. I. Rez'janskie teksty, Sanktpeterburg. 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Gri, a cura di), Udine, Accademia di Scienze Lettere ed Arti, pp. 57-94 MERKU P. - 1976, Ljudsko izročilo Slovencev v Italiji. Zbrano v letih 1965-1974 / Le tradizioni popolari degli sloveni in Italia. Raccolte negli anni 1965-1974, Trst/Trieste. QUAGLIA R. - 1985, Baside, Trst, ZTT. Resia. Numero unico. Primavera 1967, Udine, SFF. SIMONETTI A. - 1993, L'antica tecnica della fluitazione del legname mediante I'utilizzo di chiuse. Le "stüis di Tralbe" a Moggio Udinese, Pontebba (Udine), Comunitä Montana Canal del Ferro-Val Canale. STEENWIJK H. - 1992, "Miklošič als Resianologe", in Miklošičev zbornik. Mednarodni simpozij v Ljubljani od 26. do 28. Junija 1991, Ljubljana, SAZU-Univerza v Ljubljani (FF)-Univerza v Mariboru (Obdobja 13), pp. 451-461. TUMA H. - 1929, Imenoslovje Julijskih Alp, Ljubljana, Slovensko Planinsko Društvo. Povzetek REZIJANSKA KRAJEVNA IMENA v tiskanem pravdnem zborniku izpod konca 1$. stoletja Ob pomembnih pravdah, posebe medobčinskih, ki so se včasih vlekle v neskončnost, medtem pa so se akti tako namnožili, da se je bilo med njimi skoraj nemogoče znajti, so prizadeti (sami od sebe ali na zahtevo sodišč?) dali celotno dokumentacijo razmnožiti v tiskarni, da bi sodniki, zagovorniki in drugi sodni udeleženci z obeh strani, imeli razpravno gradivo pri rokah v pregledni obliki. Dobro ohranjen, na 388 straneh (4°, s.l., s.a., vendar taqn. 1784) tiskan izvod takega zbornika listin iz pravde med rezijanskima občinama Bila (S. Giorgio) in Njiva (Gniva) je v svoji knjigi La Val Resia ed i sitoi abitanti iz leta 1982 prvič omenil njegov hranitelj, rajni Aldo Madotto. Le-ta je istočasno posodil svoj mikavni zbornik M. Matičetovemu, da si je iz njega izpisal - ad notam et litteram - vsa imena krajev v rezijanski dolini. Kartotečni listki s tistimi imeni so potlej obležali v predalu do letos, ko je furlanski lingvist R. Dapit (ki zbira in obdeluje toponomastiko Rezije za tamkajšnjo občinsko upravo), z veseljem sprejel soavtorjevo ponudbo, ne samo da prenese s starinsko patino prekrita imena iz let 1382-1784 na računalnik, ampak da hkrati tudi preišče, na terenu, koliko jih še živi in kako se glasijo dandanes, ko je od takrat preteklo od šeststo do dvesto let. V uvodnih dveh poglavjih sta avtorja prispevala - vsak zase - najnujnejše informacije o svojem del(ež)u, pa še nekaj spoznanj in priložnostnih misli o teh zgodovinskih zapiskih in njih pomenu za rezijanologijo. Središčni, poglavitni del te objave pa je 3. poglavje, sad skupnega dela, ki prinaša imena, razvrščena abecedno v izvirni podobi (z napakami vred, s ponavljanji, z nekaj konteksti, kjer so navedeni prostorsko med sabo povezani kraji -"Montes contiguos et ad invicem se tenentes" ipd.), zraven pa še imena, kakor jih poznajo domačini v našem času. Na končuje dodan še sklep (pogl. 4), ki naj nakaže - vsaj povrhu - kdo in kako je v zadnjih dveh stoletjih kaj prispeval k poznavanju rezijanskih krajevnih imen. Marsikaj poučnega in branja vrednega pa sta pisca vtaknila v sedemdeset opomb, ki dopolnjujejo vedenje o imenih tudi s podatki, strogo vzeto niti ne čisto jezikoslovne narave. O svojem "hiševanju" sta dolžna dati še tale nadrobni pregled: M. Matičetov je prispeval uvodno poglavje 1 in sklepno pogl. 4, zraven pa še opombe št. 1-7,9-13,19-23,25-27,29-36, 38, 39,41-43,46,50,54-56,58,61-70; R. Dapit je prispeval uvodno poglavje 2, opombe št. 8, 14-18, 24, 28, 37, 40, 44, 47-49, 51-53, 59, 60 in bibliografski pregled. Opombe št. 45, 46 in 57 so skupne. Pisca sta kajpada skupaj in sproti reševala vprašanja, ki so nastajala pri delu in se medsebojno opozarjala na gradivo, ki bi lahko obogatilo skupni prispevek. ECHANGES DE POINTS DE VUE -TEHTANJA IN MNENJA Eric P. Hamp Department of Linguistic The University of Chicago Addenda ad LINGUISTICA XXVIII, 1988,141-157 pgs. At the end of my comments to Frau's Dizionario (p. 146) I remarked that there is practically nothing Celtic in the sources to the stems of the names there cited in -ic(i)u-. It was an oversight on my part that i neglected to add at the end of that paragraph what is probably obvious to any reader: The bases of the stems in these praedial names, with the unsurprising exception of those in B-, could easily be good and well known Latin; this does not of course mean that their possessors were native Romans. Their society was however strongly acculturated, or else it was characterized by such pretentions. The suffix may well properly have been *-k(i)o- added to stems in -i-, which might also be thematized. When i wrote my note on Venzone Venčon (ibid. 145-6) in discussing the Dizionario i was not avyare of Frau's remarks (308-9) in his rich article "I nomi dei castelli friulani" (257-315) in G.B. Pellegrini ed., Studi linguistici friulani I, Udine : SFF 1969. I regret the unintended appearance of bad manners in not mentioning this valuable introduction by Frau of a principled analysis of this important name into the literature. In attributing this name and associated names to a pre-Roman source I am still inclined, on the basis both of its distribution and its morphology, to regard the etymon of this name and its base as Celtic rather than the vague entity to which Krahe ascribed such forms. In fact it is only by arguing a specific attribution, in this case Celtic, that we can solve the delicate and important question of IE morphology that I have mentioned (145-6). To bring the discussion of this etymon and its base together and up to date we may now mention in addition to the references given in Linguistica XXXVIII: Zeitschrift für celtische Philologie 36, 1977, 9-10, footnote 4 (supplementary to MSS 30, 1972, 35-8); Etudes Celtiques 24, 1987, 185 (early Irish abacc)\ Scottish Gaelic Studies 15, 1988, 150 (Loch, River Awe); Studia Celtica 22-23, 1987-8, 7-8 (Romano-British Abona, AßOU, Abisson); 24-25, 1989-90, 139 (Abisson); 26-27, 1991-2, 15 (Abona, AßOU, Awe); Scottish Gaelic Studies 16, 1990, 193, footnote 6 (on the last three named forms). Inconveniently, this topic arises in a number of different contexts, and I apologize to my readers for the scattered nature of these publications; i hope in the future to unify the account, but must attend to other duties at the present moment. Both Frau (Studi linguistici friulani I 309) and myself (Linguistica XXVIII 145) have recognized that the river name Venzonassa reflects a secondary re-derivation. I think that we are now in a position to contemplate how this may have happened. At an early time (in Celtic) the 'river' was *abon- (nom. sg. *abu, acc. *abonan, gen. *abens, loc. *aben(i), dat. *abne, derivational stem *abn- ~ aban-); perhaps later a regularized feminine evolved over a wide expanse of Europe, *abona. At this time an adjective of appurtenance *aban-k(i)o- existed, and the town name (fem.) *aban-kion-(>Avan abinkion- is simply the individuation in -n- of this adjective. But as time passed *abona and abinkion or abinčon- became rather removed formally frome one another. Now on the basis of Abisson (Studia Celtica 22-23, 1987-8, 8) we know that we may hypothesize the presence also of derivative *aben-so-, or perhaps *abin-so-. If we juxtapose the feminine *abon-a and conflate *abin-so- with *abinkion- we reach the feminized *abinkion-ä-sä > Venzonasa. This of course results in an apparent inversion of the derivational direction for the river and town names. The sibilant suffix seems to give the key. COMPTES RENDUS, RECENSIONS, NOTES -POROČILA, OCENE, ZAPISI Wilfried Kürschner (Hg.), Linguisten-Handbuch: Biographische und bibliographische Daten deutschsprachiger Sprachwissenschaftlerinnen und Sprachwissenschaftler der Gegenwart, /-//, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1994, XXX-1191 pp. Sebbene questo manuale fosse ideato nell'ormai lontano 1988 esso vede luce, a cura di W. Kürschner (1945-), professore di linguistica generale e germanica all'Universita di Osnabrück (sede di Vechta), appena ora. Una delle ragioni che hanno differito la sua pubblicazione e il fatto che fino al 1990 non esisteva un indirizzario dei linguisti attivi nella ex RDT. Le poche persone che giä nel 1989 risposero all'appello dalla Germania Orientale appartenevano quasi esclusivamente all'Istituto Centrale di Linguistica dell'Accademia delle Scienze (ZISW) di Berlino (Est) e neanche essi erano liberi di rispondere all'intero Questionario (in base a ordini ricevuti hanno dovuto "saltare" ogni risposta alle domande Nr. 5, 6, 16, 18 e 31 (cf. W. Kürschner, "Notizen zur Entstehung des Linguisten-Handbuchs", vol. I, XII-XIV) e il divertente e che queste domande si riferivano a cose del tutto "normali" (per es. ai numeri dei telefoni privato e d'ufficio e alle attivitä svolte fra la fine degli studi e l'ultimo incarico di lavoro). I criteri che hanno motivato la scelta di persone invitate a dare dei dati bio-bibliografici propri erano nel contempo semplici e complessi; il requisite di base era: vi entreranno tutte le persone che scrivono, primieramente (ted. primär), in tedesco su problemi di non importa quale lingua e sul tedesco, in non importa quale lingua, con la condizione che abbiano pubblicato almeno due libri linguistici, cf. "Vorwort", vol. /, p. VII. In pratica si osserva alle volte un trattamento diverso per persone "germanografe" con dimora stabile nei paesi germanofoni e quelle viventi negli altri paesi. In ambedue i gruppi vi sono dei linguisti/delle linguiste aventi il tedesco come LI e loro colleghi/colleghe che hanno un'altra lingua come LI (la cittadinanza non ha avuto nessunissimo conto). La condizione di aver al proprio attivo almeno due libri linguistici e stata qualche volta perdonata a germanisti/e stranieri/e, insegnanti all'estero, ma non a stranieri/e insegnanti altre discipline (per es. linguistica romanza, slava ecc.) nei paesi germanofoni. Nel libro figurano piü di 1600 persone originarie da 46 stati. Soltanto alcune non hanno voluto dare una propria foto. Quante abbiano rifiutato di esservi inserite, non mi consta. In ogni modo e positivo il fatto che alcuni fra i piü noti professori che hanno dovuto, negli anni Trenta, emigrare dalla loro patria per ragioni "razziali", hanno accettato di esservi presentati (cf. Kahane, Henry, vol. I, pp. 431-432; Pulgram, Ernst, vol. II, pp. 737-738). Da quello che mi consta a nessun/a linguista "Orientale" e stato impedito di essere presente in questo manuale sempre se lo abbia desiderato. I lemmi (di solito di una colonna; con rare eccezioni) sono aggiornatissimi (ognuno ha potuto completare i propri dati che aveva inviato nel 1989/1990 con aggiunte fino al 31.12.1993). Quello che conta di piü, tutti i ritratti bio-bibliografici sono collegati da tre utilissimi indici (Ortsregister, 1067-1090; Sprachenregister 1091-1119; Register der Hauptarbeitsgebiete, 1120-1191) in base ai quali ogni utente puö apprendere assai rapidamente non solo i nomi delle persone che lavorano in un'universitä, in un istituto scientifico o "privatamente" nelle rispettive cittä dei 46 paesi (disposti in ordine alfabetico da Ägypten a Vereinigte Staaten von Amerika) ma anche i nomi degli studiosi che si dedicano a una data lingua e a una determinata (sotto) disciplina. Siccome molti di essi si occupano di due o piü lingue e di due o piü sottodiscipline, molti nomi vengono menzionati piü volte. I romanisti vi apprenderanno, per es., che nei paesi coinvolti sono attivi 168 francesisti, 79 italianisti, 22 lusitanisti, 21 rumenisti, 64 ispanisti nonche 53 romanisti "generali" (non menziono le "piccole" lingue di cui si occupano di solito da una a tre persone). Altra cosa sono le lingue per cui esistono poche cattedre e specialisti, cf. il basco (2), lo swahili (5) e sim. Nei paesi sotto disamina sono stati individuati tre slovenisti (M. Križman, O. Kronsteiner e G. Neweklowsky). Come mi sembra, fra i linguisti attivi nei sei stati slavi meridionali non figurano tutti coloro che corrispondono alle condizioni menzionate. Passo in rassegna i presenti: Bulgaria (Sofia; Universitä "K. Ohridski": I. Duridanov, P. Petkov, D. Slivkova, S. Stojanova-Ovčeva; Now Bulgarski Universitet (sic): M. Groseva); Croazia (Zagabria: S. Žepić); Serbia (Belgrado: J. Djukanovic, P. Ivić, Z. Žiletić; Novi Sad: V. Berić-Djukić, P. Mrazović); Slovenia (Lubiana: S. Heusinger; Maribor: M. Križman). La Bosnia ed Erzegovina e la Macedonia mancano all'appello. Nella speranza che nella secönda edizione vengano eliminate tutte le lacune e apportate le date aggiornate (indirizzi, numeri di telefono e di fax - i linguisti, specie se giovani, sono molto mobili) mi permetto di suggerire al curatore di pubblicare ogni anno (o ogni due anni) degli indirizzari "differenziali" e di inviarli (gratis o a prezzo simbolico) a tutte le persone che finora vi figurano o che abbiano acquistato il libro, sempre in attenzione di una nuova edizione riveduta ed ampliata (che non si limiterä aU'eliminazione di lemmi riguardanti persone morte durante la troppo lunga "incubazione", come per es. H. Bräuer, H. Kahane, A. Schorta, ma dovrä introdurvi persone che senza colpa propria vi mancano: a mo' d'esempio, trovo annunciata, a cura di K. Ezawa, W. Kürschner e I. Suwa, la traduzione di un volumetto del germanista giapponese Tsugio Sekiguchi, Deutsche Präpositionen. Studien zu ihrer Bedeutungsform. Mit Beiträgen von E. Coseriu und K. Ezawa, Tübingen, Max Niemeyer Verlag). C'e da sperare pure che questo manuale possa servire d' esempio per la compilazione di opere analoghe, necessarie e tutt'altro che impossibili, in una trentina di paesi europei ed extraeuropei. Žarko Muljačić (Berlin) «Quaderni di filologia e lingue romanze», Ricerche svolte nell'Universitä di Macerata 1985-1992. 1. Nel 1979 ai giä numerosi periodici di filologia e linguistica romanza in Italia si e aggiunta la rivista citata nel titolo della presente breve recensione. Fondato da Enzo Giudici (ricordato nelle Premesse al volume del 1986, pp. 5-9), il periodico e uscito dal 1979 al 1984 in sei volumi, ai quali e seguito l'unico volume della Nuova serie (1985); in seguito sono stati pubblicati sette volumi della 1Па serie (1986-1992). La direzione della rivista e affidata alla studiosa italiana Giulia Mastrangelo Latini, dell'Ateneo di Macerata. Fino al numero 3 della П1а serie i volumi contengono i sommari dei numeri precedenti. La nostra recensione si limita ai contributi di argomento linguistico nelle annate citate nel titolo. 2.1 temi trattati nei «QFLR» (complessivamente cca 160 contributi, senza contare le recensioni, presenti dal 1984 ma assenti dal num. 7 della Iüa serie) appartengono in prevalenza al dominio filologico e/o letterario (come di consueto in Italia), mentre soltanto una ventina si dedicano ad argomenti linguistici. Vi sono rappresentati i tre principali domini della Romania occidentale: italoromanzo, iberoromanzo e galloromanzo. Vä da se che all'interno del primo prevalgono studi sul marchigiano e sui dialetti vicini. 3. A giudicare dai titoli, nei volumi della Ia serie (che il recensente non possiede) troviamo i seguenti contributi di interesse linguistico: Maria di Nono, Testi volgari maceratesi del secolo XIV (vol. 2 /1980/, p. 263 sgg.); Giulia Mastrangelo Latini, Note di morfologia dialettale (vol. 3 /1981/, p. 239 sgg.); Enzo Giudici, Lingua italiana: purezza e proprietä (vol. 6 /1984/, p. 243 sgg.). 4. Nell'unico volume del 1985 Bruna Garofoli pubblica il primo dei suoi studi sugli aggettivi nella lingua di Berceo: L'aggettivazione nei Milagros di Berceo: La religione (pp. 5-31). Si sottolinea il ricco uso di aggettivi in Berceo e «la natura umile e al coritempo fervente della sua fede» (p. 20). Gli esempi (nei relativi contesti minimali) sono seguiti dagli elenchi secondo i concetti qualificati. - Lo studio di G. Mastrangelo Latini Soprannomi nella bassa Valle del Tronto (pp. 319-337) esamina i soprannomi (ottenuti da informatori anche anziani) classificati in determinate categorie. 5. Nel volume 1 della IIIa serie (1986) troviamo un altro articolo sui soprannomi: I soprannomi a Montecchio (pp. 279-292) di Bruna Garofoli. La classificazione e simile a quella nello studio di G. Mastrangelo Latini, ma questa volta gli informatori sono gli Scolari di Montecchio (prov. di Terni), il che si riflette in interessanti motivazioni attuali: ad es. Kunta Kinte, Snoopy, Super Super Reagan e simili. 6. Cinque studi su temi linguistici si leggono nel volume 2 (1987). Bruna Garofoli continua le ricerche sugli aggettivi in Berceo con il contributo L'aggettivazione nei Milagros di Berceo: La natura (pp. 5-13). - Monique Blondel pubblica lo studio intitolato Journal d' un voyage fait aux Indes Orientales (1690-1691) de Robert Challe. Remarques linguistique s (pp. 77-95), nel quale esamina la lingua dell'autore secentesco, pregnante, ricca di neoformazioni proprie, di arcaismi, di cambiamenti semantici e di termini esotici. - G. Mastrangelo Latini e Гautrice dello studio Osservazioni in margine a imprecazioni ed espressioni aggressive nel dialetto di Martinsicuro (pp. 181-192). Si tratta di espressioni di malaugurio, maledizioni, imprecazioni ecc., che fanno appello a malattie gravi (tubercolosi, rabbia, tetano, gangrena) e a stati simili (apoplessia). - Maria Di Nono pubblica due contributi: Lettera di Carlo Malatesta ai macaratesi (Osimo, 25 dicembre 1415) (pp. 169-180), con un'analisi fonetica e morfologica del testo, e Sulla formazione dell'aggettivo «camuso» (pp. 193-200) in cui, dopo la rassegna degli etimi proposti, ricostruisce la base canis (gen.) + musus. 7. II volume 3 (1988) ci offre soltanto due articoli di interesse linguistico. Maryvonne Baurens si occupa dei Toponimi italiani nel sud-ovest della Francia (Note di toponimia) (pp. 149-158). Sono i nomi delle bastides (cittä fondate nel Due e Trecento), che ricordano quelli delle cittä straniere (italiane, come Mielan, Pavie, Plaisance, Viterbe ecc., o altre) e sono dovuti a contatti di vario genere (crociate, guerre, rapporti commerciali con l'ltalia centro-settentrionale). - G. Mastrangelo Latini esamina Le denominazioni dei pesci a San Benedetto del Tronto (159-173), dandone una classificazione secondo le specie, seguita da osservazioni onomasiologiche. 8. Nel volume 4 (1989) si leggono ben sei contributi linguistici. Bruna Garofoli conclude lo studio sugli aggettivi in Berceo con il breve articolo L'aggettivazione nei Milagros di Berceo: i colori, la musica, le cose (pp. 51-58), constatando che anche nei tre domini esaminati Berceo sceglie gli aggettivi «con la consueta precisione» (p. 56) ed annunciando ulteriori ricerche sulla frequenza e la funzionalita, nonche un glossario (p. 57). - Carlos Alberto Cacciavillani si dedica al Vocabulario de los componentes de la estructura urbana en El Conde de Partinuples (pp. 59-78), esaminando gli etimi, i significati e la funzioni dei termini architettonici e urbanistici nel romanzo spagnolo antico (ad es. ciudad, huerta, iglesia, mezquita, pueblo, villa ecc.). - Interessante, soprattutto dal punto di vista sociolinguistico, e il contributo di G. Mastrangelo Latini Osservazioni sull'italiano parlato a Roma (pp. 165-175): i dati sull'immigrazione, le fasce sociali, il dialetto sempre presente nell'italiano di Roma e le oscillazioni dei livelli sono seguiti da una rassegna delle caratteristiche fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali (inclusi i modi di dire e gli elementi simili). - Lungo e ricco di dati e lo studio di Giovanna Bizzarri La flora spontanea nel dialetto fabrianese (pp. 177-212), che raggruppa i fitonimi secondo la classificazione botanica ed e corredato da fotografie a colori. - Erminio Gelsi pubblica un breve articolo di tipo «Wörter und Sachen»: Intorno alla Kuarta (pp. 213-221), in cui 1'esame linguistico della voce (unitä di misura) e accompagnato da disegni e calcoli volumetrici. - Infine, nel volume 4 c'e anche una recensione di argomento linguistico: Monique Blondel recensisce (favorevolmente) il libro Lefrangais dans tous les sens di H. Walter (pp. 225-226). 9. La continuazione della ricerca terminologica di C.A. Cacciavillani si legge nel volume 5 (1990): El vocabulario de la arquitectura e del equipamiento en la novela El Conde de Partinuples (pp. 65-74). Questa volta l'autore studia i termini alcazar, castillo e palacio assieme a certe voci attinenti all'arredamento interno. 10. II volume 6 (1991) contiene soltanto lo studio di Elisabeth Ceaux Le limousin: de la decadence ä la renaissance (pp. 205-225), ritratto vivace e scritto con amore dell'idioma limosino dalle origini ad oggi, attraverso le sue vicissitudini sociolinguistiche. L'esposizione e illustrata da testi con traduzioni nelle note. 11. Nel volume 7 (1992) ci sono dodici contributi, quasi tutti di argomento letterario - filologico. Di interesse linguistico, per la precisione lessicologico, e solo l'articolo Acerca del lexico lirico-musical de las Cantigas de Santa Maria de Alfonso X «El Sabio» (pp. 163-176) di Umberto Malizia. II testo, presentato all' XI Congresso dell'Associazione di Ispanisti (California 1992), si limita alle prime cento Cantigas ed e parte di un previsto studio piü ampio. Partendo dalla correlazione tra la musica e l'Europa del Duecento, l'autore esamina alcune voci (cantar, lais, madudinos, trobar ecc.) paragonandole ad altri termini neolatini e citando a confronto anche Isidore di Siviglia e Venanzio Fortunata. 12. II «Quaderni di filologia e lingue romanze» dell'Universitä di Macerata sono un periodico interessante da diversi punti di vista. La loro importanza linguistica sta nei contributi dedicati alia regione marchigiana con le aree limitrofe, nonche nella loro apertura ai tre grandi settori della Romania occidentale. In tal modo la rivista riflette la vivace attivitä scientifica nell'Ateneo marchigiano. Terminando queste pagine esprimiamo l'augurio di vedere il temario dei «Quaderni» allargato a tutta la Romania: quella Orientale, quella Nuova (territori d'oltremare) e, last but not least, anche alla Romania Submersa. Pavao Tekavčić Francesco Bruni (a cura di), L'italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identitä regionali; La Nostra Lingua, Biblioteca storica di linguistica italiana, UTET, Torino 1992; XXXIII + 1038 pp. 1. Gli italianisti di tutto il mondo sanno quanto ricca sia in Italia la tradizione della filologia, della critica e della perenne Questione della lingua. Recentemente questi domini scientifici si sono arricchiti di un'opera davvero monumentale come materia, impostazione, trattazione e mole: il volume di formato enciclopedico che qui recensiamo. E un'ennesima storia della lingua italiana, impostata tuttavia da un angolo visuale diverso, quello cioe della diffusione progressiva dell'italiano dalle origini ai giorni nostri nelle regioni dello stato italiano e in certe altre aree (Dalmazia e Istria, Canton Ticino, Valle d'Aosta, Malta, Corsica). Si esaminano le caratteristiche dell'italianizzazione delle singole aree: da qui il sottotitolo. 2. L'italiano nelle regioni e la quarta pubblicazione nella citata biblioteca, dopo L'italiano - Elementi di storia della lingua e della cultura di. F. Bruni (1984), Grammatica italiana di L. Serianni e A. Castelvecchi (1988) e Dizionario di toponomastica di cinque autori (1990). Vi hanno collaborate ben trenta studiosi, tutti di atenei italiani tranne A. Cassola (universitä di Malta) per Malta e M. Metzeltin (universitä di Vienna) per la Dalmazia e l'lstria. L'introduzione, di F. Bruni (pp. XIX-XXXIII) e preceduta dall'Indice generale (pp. VII-XVII) e seguita dalle Avvertenze e Abbreviazioni. La parte principale sono i capitoli sulle regioni e altre aree (pp. 1-937), dopo i quali si legge una sintesi di storia del libro italiano (pp. 941-977). Seguono gli Indici (pp. 981-1038). La bibliografia si trova al termine di ogni capitolo, sicche certe opere fondamentali (di F. Bruni, B. Migliorini, G. Rohlfs ecc.) vengono citate piü volte. Gli elenchi bibliografici variano molto: mentre per la Toscana si citano addirittura dodici pagine, per Malta c'e una pagina e mezzo. Un ottimo accorgimento tecnico e la sistemazione delle note, non a pie di pagina ne alla fine del relativo capitolo, ma nella colonna interna della pagina approssimativamente all'altezza del rinvio nel testo, il che facilita molto la lettura. Appositi rinvii rimandano ad ulteriori informazioni sulle voci ritenute notevoli. 3. L' introduzione espone le basi teorico-metodologiche, i metodi e le finalitä. L'argomento centrale e l'espansione dell'italiano nei territori esaminati. L'esposizione della complessa materia e coerente entro limiti ragionevoli, lasciando cioe un certo margine di libertä agli autori. Infatti, in alcuni capitoli (ad es. quello sulla Toscana) l'articolazione e di ordine cronologico (I. Dalle origini al principio del Cinquecento; II. Dal Cinquecento al Settecento; Ш. Ottocento e Novecento), in altri e al primo piano la divisione geografica (L'Emilia e la Romagna: I. Parma e Piacenza; II. Modena e Ferrara; III. Bologna e la Romagna), in altri ancora vengono combinati i criteri cronologico e politico (La Sicilia: I. II volgare in Sicilia [epoche normanna, sveva, angioina e aragonese]; II. L'italiano «in» Sicilia; III. L'italiano «di» Sicilia (dall'Unitä ad oggi). L'esposizione non privilegia piü i centri tradizionali (Firenze, Roma) e tende anche a superare la rigida opposizione lingua/dialetto (ammettendo registri intermedi) e quella altrettanto rigida fra strati cölti e strati analfabeti (fra i quali c'e tutta la scala di semialfabeti, semianalfabeti ecc.). La diffusione della lingua nazionale viene sempre inquadrata nella situazione storico-politica e nelle relazioni letterarie, filologiche ecc. Si esaminano anche gli influssi dei centri di diffusione come la curia papale e le corti feudali. II volgare ossia l'italiano e incluso in una triplice rete di contatti e influssi: con il latino, con i dialetti e con gli altri idiomi alloglotti (soprattutto romanzi: francese, occitanico, castigliano ecc.). Anche la Chiesa e l'istruzione hanno la loro importanza nella diffusione linguistica e culturale. 4. Ad illustrazione della materia si danno testi (per lo piü frammenti piuttosto brevi), i quali coprono tutta la gamma dai livelli piü alti (le Tre Corone) a quelli di «consumo» tipici del «sottobosco» culturale, come ad esempio i Reali di Francia (uno dei bestsellers, pubblicato per l'ultima volta addirittura nel 1947!). Oltre ai testi letterari Гopera tiene conto anche degli altri: i piü svariati documenti, conti commerciali, testamenti, diari, lettere private, manifesti e volantini nelle epoche moderne ecc. Si cerca dunque di illustrare 1'azione di t u 11 e le forze (non della sola letteratura), si illustrano la sprovincializzazione (p. XXX) e il progressivo superamento del secolare campanilismo, dal medioevo ad oggi. La novitä dell'ottica consiste nell'osservare la materia non dal punto di vista dei dialetti, ma da quello dell'italiano (p. XXXI). 5. Interessante e anche il capitolo sulla storia del libro italiano, dapprima manoscritto, in seguito stampato: i suoi vari generi (libri religiosi, scolastici, «da donna»), le vie di diffusione, gli inventari delle biblioteche pubbliche e private; infine, il libro nell'etä moderna, cioe dall'invenzione della stampa meccanica ad oggi. 6. Alcuni fatti meritano di essere messi in risalto, sia per la loro importanza che per interessanti paralleli col resto della Romania. 1) Le lettere dei semialfabeti (emigranti, prigionieri, artigiani, domestiche ecc.) ricordano per contenuto e livello di lingua ad es. le lettere latine di Claudio Terenziano. 2) II consistente uso del volgare come reazione alla «rinnovata fortissima vitalitä del latino» nel Quattrocento (p. 341) e sensibilmente analogo all'uso cosciente della rustica romana lingua come reazione alla riforma carolingia. 3) L'eterogeneitä di gentiluomini e militari nelle corti, che impone «a tutti un adeguamento del proprio volgare e l'adozione di un codice compromissorio, una sorta di pidgin» (p. 481) si lascia paragonare da un lato ai Giuramenti di Strasburgo (redatti anch'essi in una sorta di rudimentale koine comprensibile a tutti), dall'altro alia lingua della poesia giullaresca, essa pure non troppo locale. 4) I rotoli illustrati, adottati dai monaci benedettini per visualizzare i contenuti delle storie religiose (p. 632), rendono forse accettabile le vecchia ipotesi dei cartelloni dipinti adoperati dai giullari (1'idea, a suo tempo definita «infelice», ci e sempre parsa probabile). 5) Le raccomandazioni di J. Mazza (p. 769) di prendere nel parlare in considerazione cinque «circunstancij» (interlocutore, luogo, tempo, scopo, modo), cioe di «usari paroli consueti ad la tua patria ed adpartinenti ad la condicioni de 1'audienti», sono vera e propria pragmatica e sociolinguistica ante litteram. 6) Infine, e degno di interesse che i dialetti per cosi dire «fagocitati» dali'italiano che si diffonde non scompaiono ma riaffiorano nel rispettivo italiano regionale in forme di determinate caratteristiche (Canton Ticino p. 144, Umbria p. 531, Lazio con Roma p. 582). 7. L'abbondantissima materia e la dettagliata trattazione lasciano prevedere osservazioni critiche. Ecco quelle che riteniamo particolarmente importanti. 7.1 In confronto con la prevalenza di dati filologici e letterari, il versante linguistico e un po' scarso, limitato com'e per lo piü alle caratteristiche dell'italiano regionale moderno. Al termine di certi capitoli (Lombardia, Veneto, Campania, Basilicata) si riassumono con maggiore o minore chiarezza i tratti del rispettivo italiano regionale, in altri tali riassunti non ci sono. 7.2 Pur non negando la ricchezza della materia trattata siamo del parere che quasi tutti i capitoli si potrebbero condensare senz'alcun danno al valore scientifico. Una editio minor servirebbe anche nell'insegnamento universitario, il che col libro nelle presenti dimensioni e praticamente escluso. 7.3 Proponiamo anche due aggiunte: i dati essenziali sui collaboratori (come ad es. nel volume Latin and the Romance Languages in the Early Middle Ages, Londra 1991, curato da R. Wright) e le carte geografiche dei territori esaminati. Anche qualche riproduzione di codici manoscritti farebbe bella figura. 7.4 Poiche fra i brani si trova il Ritmo bellunese (p. 226), si potrebbero includere anche frammenti dei tre vetusti Ritmi (Laurenziano, Cassinese, su S. Alessio). II loro altissimo valore per 1'Italia medievale non necessita di alcuna giustificazione. 7.5 II capitolo La Dalmazia e l'Istria merita qualche cenno a parte. L'autore, come detto, e M. Metzeltin, probabilmente ritenuto imparziale tra le due «parti in causa», italiana e croata. L'esposizione e relativamente breve e chiara e si distingue cosi dalla maggioranza degli altri contributi caratterizzati in gran parte dalla perenne retoricitä dei trattati filologici italiani. Certe osservazioni non si possono tuttavia tacere. La componente italiana appare favorita a scapito di quella croata: infatti, accanto ai nomi croati degli scrittori ragusei si danno anche quelli italiani, mentre per le localitä si citano quasi soltanto nomi italiani (Antivari, Arbe, Budua, Cattaro, Cazza, Curzola, Dulcigno, Lagosta, Lesina, Meleda, Novegradi, Ossero, Ragusa, Tenin, Trau, Zara ecc.). Nella bibliografia non si cita nessun titolo di P. Skok (!!) ne di V. Vinja, e di Ž. Muljačić uno solo, del 1962! Per le informazioni storiche sulla Dalmazia (p. 317, nota 1) non si cita nemmeno un titolo di autori croati. Infine, poiche in Dalmazia e in Istria non c'e una tradizione scritta paragonabile a quella delle regioni italiane stricto sensu, il Metzeltin si dilunga su fattori di tutt'altra indole (sei pagine sulla marina militare asburgica!). 8. Ci sono poi varie osservazioni a proposito di problemi di dettaglio. 1) P. 15, nota 4: al posto di vocali (doppie) si legga consonanti. 2) Nella bibliografia per il Piemonte e la Valle d'Aosta piacerebbe vedere citati i volumi dei Rescontr Anternassional ecc. di Alba, importanti per il piemontese, dunque anche per il relativo italiano regionale. 3) P. 91: per Bonvesin da la Riva, secondo noi, andrebbe citato il suo galateo De quinquaginta curialitatibus ad mensam, in gran parte tuttora interessante (e valido!). 4) P. 190: la conservazione di /k/ in alcuno non e lina prova dell'incostanza della sonorizzazione giacche questa puö essere preceduta dalla sincope (cfr. aucun in francese, dove la sonorizzazione e costante). 5) P. 213: se il termine rajforzamento si usa nella solita accezione (raddoppiamento: a casa), sarebbe preferibile adoperare un'altra denominazione per l'aspirazione. 6) P. 222: prima si parla di vocali turbate, poi di vocali arrotondate (denominazione da preferire). 7) P. 225: /a > e/ e chiusura, non apertura. 8) P. 254, nota 2: il sintagma francese nos orateurs (col predicate ont "hanno"!) va tradotto "I nostri oratori", non "noi oratori". 9) P. 270: la preposizione a non sta davanti ai verba sentiendi ma dopo di essi e davanti all'infinite retto (es. nostro: sento a cantare). 10) P. 321: se si parla di J.V. Valvasor, l'anno 1808 non puö essere esatto. 11) P. 323: fra le «comunitä dalmate e istriane» figura anche Ilok, nome di una cittä nel cuore della Croazia pannonica: come correggere? 12) P. 338: per lo spostamento di verbi dalla III alia II classe in emilano vure "volere" non e un buon esempio, essendo VOLERE forma quasi panromanza. 13) P. 348: le forme verbali emiliane in -i (plur. masch.), -e (plur. femm.) ricordano l'analogo fenomeno nel dialetto di Ripatransone (e cfr. qui appresso andiami in abruzzese, p. 612). 14) P. 364: Castelvedro dovrebbe risalire a Castellu Vetere, non a Castro Vetere. 15) Nella bibliografia per l'Emilia-Romagna (pagg. 392-401) non dovrebbe mancare il nome di F. Schürr, noto studioso dei dialetti e della cultura romagnola. 16) P. 462: gli Appennini sono ad ovest, non ad est delle Marche. 17) P. 509: va precisato che la sillaba non e libera solo davanti a consonanti semplici ma anche davanti ai nessi muta+liquida. 18) P. 522: nella grafia altrui il suono i e reso dal digramma gi, non dalla sola g (la pronuncia, infatti, non e [altruii]). 19) P. 531, nota 4: la formulazione rischia di suggerire che l'intonazione non fa parte della fonetica, il che sarebbe ovviamente errato. 20) P. 531-b): in sede tonica i grafemi e, o non bastano, ma va precisata l'apertura (analogamente pp. 630, 887, 921,928). 21) P. 542: non vediamo in che cosa dicere nella catacomba di Commodilla sia volgare anziehe classico. 22) P. 545: il betacismo, piü di trent'anni dopo Weinrich (1958), e presentato in modo breve e del tutto tradizionale. 23) P. 657: e interessante che molti documenti meridionali offrono forme coniugate non soltanto deH'infinito (cfr. I'infinitivo pessoal portoghese), ma anche del gerundio e persino del participio (cfr. pp. 721, 733, 760 ecc.). 24) P. 703: giacche si parla di Giacomo Micaglia, «autore del piü antico lessico italo-serbocroato a noi giunto», nella bibliografia per la Puglia vanno citati gli studi di J. Jernej in materia. 25) P. 867: nel brano riprodotto ricorrono le forme disinteressate e interessano, mentre nel commento si parla della «doppia r» e si citano Disinterressate e interressano: va corretto il brano o il commento? 26) P. 886: il suono [ć] davanti a vocali anteriori non si scrive ce (.riceverd) ne cie (faciendo), ma ovviamente solo c. 27) P. 943: non vediamo proprio come il Cantico di S. Francesco, malgrado le riserve espresse, possa essere «veramente» un testo giullaresco. 28) Infine, certe formulazioni sono talmente metaforiche che pongono il lettore davanti a veri e propri problemi di interpretazione: «arrotondare il vocalismo» (p. 811), «durezza di sintassi» (p. 821), «denso contesto» (p. 822), «sclerotizzazione nell'analisi» (p. 921). Quale sarebbe il significato in parole povere, «a volto umano»? 9. In conclusione, il colossale volume qui recensito e una storia della lingua italiana sui generis: piü moderna delle opere analoghe, piü aperta al policentrismo e ai fattori culturali nel senso piü largo, anche se non perde mai di vista 1'unita dell'italiano ne l'identitä delle singole regioni. D'ora in poi L'italiano nelle regioni sarä un'opera impreteribile in qualsiasi studio di filologia italiana. Pavao Tekavčić Francesco Bruni (a cura di), L'italiano nelle regioni - Testi e documenti, Torino 1994, UTET, XXXVII + 937 pagine 1. Questo volume e l'antologia destinata ad illustrare e a completare la materia del primo volume (1992), al quale infatti gli autori rinviano costantemente (esempi, citazioni, bibliografia). Al dettagliatissimo sommario (pp. IX-XXI; in seg. senza p(p)) segue l'lntroduzione firmata anche qui dal curatore F. Bruni (XXIII-XXXVII), dopo la quale si leggono i 22 capitoli in disposizione analoga al I volume (1-911) e l'lndice delle voci e delle locuzioni (913-937). 2. Al centro, anche in quest'analogia, e l'italianizzazione, dalle origini fino ad oggi. Un altro «filo rosso» e il pluralismo e l'interferenza (XXVIII). Insomma, e un «volume antologico di storia linguistica interregionale» (791). I testi sono disposti in tre «gradini»: testi piü bassi e scorretti, testi dei semicolti, testi letterari (XXIV - XXVII). I testi semicolti sono un' ampia zona «grigia» e abbracciano lettere, autobiografie, documenti, dialoghi, testamenti, poi linguaggi settoriali ecc. L'antologia privilegia le prime due categorie di testi (XXVII-XXX). Important! sono pure la periodizzazione e la distinzione tra lingua e dialetto, sempre chiara e sicura nella competenza dei parlanti, per quanto bizzarre altrimenti possanoessere le loro idee sulla natura della lingua e dei dialetti (XXXV). In un termine, il lettore troverä nell'antologia «le voci della regione» e «il coro», e questi sono «la vera giustificazione d'aver riunito i capitoli che seguono» (XXXVII). 3.1 capitoli non sono di uguale ampiezza ne seguono schemi rigidi: ai lunghissimi capitoli sul Veneto (263-310) o sull'Emilia e la Romagna (345-417), ad esempio, si oppongono quelli piü brevi (La Calabria: 757-790; Malta: 843-859) o quelli addirittura brevissimi (L'Istria, Fiume e la Dalmazia: 339-344). Come nel I volume, in certi capitoli (L'Emilia e la Romagna) l'articolazione poggia su criteri areali anziehe cronologici. II capitolo sulla Corsica si ferma ovviamente a metä Ottocento, quello sulla Basilicata privilegia gli Ultimi due secoli, i piü ricchi di documenti (729). 4. Nell'antologia si trova la prosa e la poesia, testi sacri e profani, testi drammatici, letteratura religiosa ecc. I testi molto antichi o comunque in idiomi di non immediata comprensione sono corredati di traduzioni o almeno parafrasi (in italiano attuale). Ogni capitolo si apre con una Premessa (sguardo succinto sui testi nel loro ambiente storico-culturale) e ad ogni testo e premesso un «cappello», talvolta assai lungo in confronto con il relativo brano (valga per tutti il Liber Fondachi /865-866/, dove con poco meno di una pagina e mezzo di «cappello» si commenta un brano di quattro righe). Le abbondanti note a pie di pagina (dunque non nella colonna interna, come nel I volume) contengono spiegazioni e comment! 5. Rileviamo alcune constatazioni interessanti: i sistemi di avvertimento reciproco e di comunicazione tra i mendicanti e i ladri nel Ticino (178), la coesistenza nei tribunali di Venezia del veneziano in cui si parla con 1'italiano in cui si redigono i relativi atti (294), l'influsso decisivo del latino durante tutte le tappe dell'emancipazione dell'italiano (370), il riaffiorare dei dialetti nei rispettivi italiani regionali (553), le carenze dell'italiano scolastico, il quale «e l'anello debole del panorama linguistico della regione [la Basilicata, RT.] (come dell'Italia intera)»(730; cfr. pure 752-753) ecc. Per il rapporto tra lingua e mondo extralinguistico e importante la seguente affermazione: «da tempo si sa che l'uso di codici diversi comporta non solo diversitä linguistica, ma anche diversitä culturali» (302). 6. Come nel primo volume, anche nell' antologia ci sono interessanti paralleli tra la situazione italiana e quella della Romania altomedievale: 1) la diglossia a Venezia corrisponde bene a quella prima della riforma di Carlomagno, quando si scrive ancora latino, ma si parla giä la rustica romana lingua; 2) la zona «grigia» (vari registri dei testi semicolti) continua le varietä diastratiche, diafasiche e diamesiche, che dovevano esistere anche nel mondo romano e che la dottrina neogrammatica si limitava a formulare con la rigida opposizione tra voci popolari e voci dotte; 3) la raccomandazione di Federico Borromeo di ricorrere al dialetto per essere capiti «dagli ignoranti, e gli huomini di grosso ingegno, e materiali» (140) ricorda la decisione dell' 813 di servirsi della rustica romana lingua (o thiotisca) «quo facilius cuncti possint intelligere quae dicuntur». 7. II capitolo sull'Istria, Fiume e la Dalmazia e passibile di critiche, come nel I volume. L'intenzione dell'autore (M.Metzeltiri) di illustrare «il carattere culturale venezianeggiante e italianeggiante delle nostre regioni fino agli inizi del Novecento» (339) e in contrasto con l'esiguo numero di testi/documenti, il che dunque non sembra appoggiare la tesi dell'italiani tä. Inoltre, e soprattutto, ormai e davvero tempo di sostituire l'impreciso termine collettivo slavo con i nomi etnici croato, sloveno ecc., paralleli al nome italiano. Infine, al brano di N. Tommaseo che esalta le virtü del popolo serbo andrebbe aggiunto qualche testo analogo sulla nazione croata maggioritaria lungo la costa dell'Adriatico Orientale (inclusa l'lstria) e quella slovena nell'Istria settentrionale e lungo il confine sloveno-italiano. Fra le tante pretese fonti d'italianitä in queste parti ci dovrebbero essere testi/documenti con echi anche di questi due popoli slavi meridional! • 8. Ecco adesso una scelta di osservazioni critiche minori: 1) Mentre sono rappresentati (da brevi frammenti) il Ritmo Cassinese e quello su S. Alessio, manca il vetusto Ritmo Laurenziano, e cosi pure il Contrasto di Cielo d'Alcamo, il Privilegio Logudorese e certi altri testi pur importanti nella storia linguistica italiana. 2) Nei testi/documenti lombardi c'e un vuoto tra il 1776 ed il 1990: possibile che in questo periodo non ci sia nulla da antologizzare? 3) Alcune note sembrano superflue (ed es. la spiegazione di item /580/ o la constatazione di r al pošto di rr in iritata /909/, che non spiega nulla, ecc.), mentre certi fatti piü complicati non sono commentati (paradigma latro - latroni /561/, padro per padrone /676/, grafia y per aoo /690/ ecc.). 4) insira de lor (72, nota 19) e tradotto 'fuori di loro' cioe 'oltre loro', ma con il punto interrogativo. Poiche si tratta di disposizioni per l'avvenire ('figli e nipoti'), crediamo che insira, o meglio insira, valga 'usciranno', cioe 'proverranno' e sim. 5) ambi (281) non illustra la declinazione (che consiste in forme casuali), ma soltanto la mozione. 6) A proposito della forma tene 'tiene' (425, nota 82) non parleremmo di forma monottongata (che denota il risultato del relativo processo), ma di forma non dittongata. 7) cande 'cadde' nel Ritmo su S. Alessio (476, nota 50) non e reazione ipercorretta a /nd > nn/ bensi dissimilazione /dd > nd/. 8) In celebranne (< celebrarne) si ha l'assimilazione /rn > nn/ soltanto se essa ricorre anche in altri contesti fonetici; se no, si tratterä di allungamento dopo la /a/ tonica dell'infinito apocopato, ch'e breve. 9) Invece delle denominazioni « n palatale», «s palatale» (536), «suono palatale per ng» (659) sarebbero preferibili i rispettivi simboli fonetici, ad es. n, Š. 10) venenusa (692) non e un esempio per la /o/ (-usa < -OSA). 11) uno de Ii medichi fecero (762) non e concordanza a senso (come si ha ad es. in la gente urlavano), bensi l'apcordo col sostantivo immediatamente precedente. 12) Spiacevole la confusione di fonemi e gradi di apertura alla p. 794: ad essere sette risp. cinque sono i fonemi, mentre i gradi sono quattro risp. tre. 13) qui a Malta non e oggetto indiretto ma avverbiale di luogo. 14) Stupiscono ben tre occorrenze di metereo- al posto del corretto meteoro- (496, due 656). 9. Fra gli errori di stampa, certamente non molti in confronto con la mole del volume, rileviamo: 1) venne offerto riferito a possibilitä va corretto in venne offerta (46). 2) Leggere parlementaires, non parlamentaires (204). 3) come correggere alle condizione (286): singolare o plurale? II contesto ammette ambedue. 4) Accademia dei Lincei, non [...] Licei (308). 5) I versi del brano dovrebbero essere 44, non 52 (522; cfr. 523-524). 6) In sciaqquaiale (537) si ha l'apertura in -e della -i, non della -I. 7) Leggere ricucire, non ricurire (634, sub 70). 8) Correggere circestensi in cistercensi (809). 9) Correggere Archivio Historico in Archivo Histörico (spagn.; 813). 10) Leggere dodeci, non dedeci (907, nota 2). 10. I due volumi intitolati L'italiano nelle regioni costituiscono un insieme organico, uno strumento scientifico di primaria importanza, ormai impreteribile negli studi di storia linguistica italiana. Al curatore e ai collaborator! le nostre piü sincere congratulazioni. Pavao Tekavčič Maria Iliescu - Wagner Marxgut (eds), Latin vulgaire - latin tardif III, Actes du IHeme Colloque international sur le latin vulgaire et tardif (Innsbruck, 2-5 septembre 1991); Tübingen, Niemeyer, 1992; X + 368 pagine Questo volume raccoglie gli Atti del III colloquio internazionale sul latino volgare e tardo, organizzato dalla prima curatrice assieme ad un gruppo di altri studiosi dell'Universitä di Innsbruck. Ci sono trenta contributi (non ventinove, come detto alla p. IX), di cui quattordici in tedesco, dodici in francese e quattro in spagnolo. Gli autori si dedicano a tutto l'arco della latinitä dalla Cena Trimalchionis ai testi dei secc. XVI-XVIII; quanto ai livelli linguistici, predominano il lessico e la semantica, ma non mancano nemmeno i livelli grafico, fonetico-fonologico e morfosintattico, nonche interessanti accenni alla pragmatica e ai problemi sociolinguistici e testuali. La maggioranza degli autori offre fatti nuovi e/o reinterpretazioni in chiave moderna di quanto giä noto. A nostro avviso sono particolarmente interessanti i due contributi dedicati alia lingua dei documenti recentemente scoperti (numm. 9 e 23), mentre al polo opposto si trovano i contributi di carattere polemico (num. 24) o addirittura vere e proprie stroncature (num. 22). In seguito diamo i riassunti dei contributi, con le nostre osservazioni. La numerazione 1-30 e nostra. 1) T. Adamik, Vulgarismen und sprachliche Norm im Satyricon (1-9): Petronio si serve della lingua per caratterizzare i personaggi; nell'ambiente c'e il bilinguismo greco-romano e la diglossia tra il codice alto dei dotti (cca 1%) e quello basso del volgo (i rimanenti 99%), fra i quali c'e una notevole differenza. - Secondo noi la rigida diglossia di tipo binarista andrebbe sostituita da distinzioni piü sottili di vari registri diastratici, diafasici ecc. 2) C. Arias Abellän, Sobre el sufijo latino -osus y su empleo con significado «aproximativo» en parte del romdnico (11-24): esame della funzione di -osus nell'espressione di colori; essendo la funzione principale del suffisso quella intensificante, il problema e dato dalla sua partecipazione ad espressioni approssimative. Conclusione: -osus non esprime l'approssimazione (diminuzione), solo diventa piü frequente nel dominio dei colori perdendo in questo processo parte del significato originario di abbondanza. 3) F. Biville, Le grec parle en latin vulgaire. Domaines lexicaux, structures linguistiques d'accueil (25-40): l'autrice studia i grecismi in funzione sociolinguistica ed enunciativa, supponendo anche lei due livelli o registri. Questi vengono distinti (cronologicamente, sociolinguisticamente ecc.) a seconda dei relativi documenti, del significato, del lato formale e della sopravvivenza neolatina. Si ribadisce la loro importanza nella linguistica romanica. 4) G. Calboli, Bemerkungen zu einigen Besonderheiten des merowingisch-karo-lingischen Latein (41-61): studiando l'uso di ille nelle due versioni della Chrodegangi Regula (seconda metä dell'VIII sec.), l'autore si dedica al livello generale del testo e specialmente alle precise delimitazioni nel capitolo 29, alle quali contribuisce appunto ille. La precisione e dettata dalla necessitä di evitare eventuali contese, discordie ecc. nel convento. 5) L. Callebat, Problemes formels de la vulgarisation scientifique et technique (63-73): la lingua dei trattati tecnici cerca di essere comprensibile, soprattutto nei testi divulgativi (che sono la maggioranza dei trattati latini conservati); il carattere didattico determina ripetizioni e ridondanze, e soprattutto un certo equilibrio tra chiarezza e concisione. Altri fattori che agiscono sono l'argomento, l'epoca, la cultura dell'autore, le finalitä ecc. 6) R Comploj, Aspekte der Wortbildung bei Sulpicius Severus (75-81): lo scrittore latino, pur usando il latino classico, adopera volgarismi (obarrare, inlucubratus, aggettivi in -bilis, diminutivi, verbi frequentativi) subendo cosf l'inevitabile influsso linguistico dell'epoca. 7) R. de Dardel, Niveaux de langue intermediaires entre le latin classique et le protoroman (83-91): lo studioso distingue due livelli linguistici e due processi di latinizzazione (primario e popolare / secondario e seriore, di origine letteraria), studiando tre strutture: il futuro di esse, la declinazione tricasuale e, soprattutto, i comparativi sintetici. L'ipotesi principale, ma enunciata con riserve, e quella della coesistenza di norme parallele e dei livelli intermedi (soggetti a variazioni). - Giova ricordare che la rigida opposizione neogrammatica popolare/dotto e stata criticata da H. Lüdtke quasi quarant'anni fa (1956) e piü tardi F. Bruni (1984, p. 274) spiega l'evoluzione rallentata di certe voci con un partieolare «controllo di utenti». 8.1. Fischer, Griechisch-lateinische Sprachbeziehungen auf dem Balkan (93-101): secondo l'autore le relazioni greco-latine sono costanti e sono bidirezionali. II contributo esamina i fattori greci e/o latini dell'adozione di grecismi, specialmente in romeno, dalmatico, albanese e slavo, e ribadisce il carattere rustico della latinitä balcanica (cfr. a proposito num. 15). - Osserviamo che la sincope in xvcXov non deve essere dovuta solo alle norme fonotattiche greche, giacche ricorre in tutto l'Impero (ad es. tuclu per titulum addirittura in Mauretania). 9) R Flobert, Les graffites de la Graufesenque: un temoignage sur le gallo-latin sous Neron (103-114): esame interessante, sostanzioso e chiaro, dei livelli linguistici dal grafico al lessicale della lingua dei detti graffiti (sui prodotti di ceramica, nelle evidenze commerciali ecc.). Essi riflettono la coesistenza del latino col celtico in un gallo-latino nato da processi di creolizzazione e conservatosi durante un certo tempo. 10) P.A. Gaeng, La morphologie nominale des inscriptions chretiennes de l'Afrique (115-131): lo studioso americano continua le sue ricerche sul latino delle iscrizioni applicando il suo metodo (confronti statistici delle deviazioni dalla norma) al latino africano e insistendo anche qui sulla filiazione -is > -i (plurali italiani e romeni). La latinitä africana presenta paralleli sia con l'Occidente che con Г Oriente ed e affine piü al sardo che alla romanitä iberica. Anche questo studio rivela differenze regionali. 11) C. Gallardo, Resultado a del diptongo au (133-141): in opposizione alla spiegazione corrente di /au > a/ per effetto della dissimilazione davanti a /u/ o /o/, l'autrice fornisce esempi della stessa riduzione anche in altri contesti e conclude che accanto ad /au > a/ doveva esserci anche l'evoluzione /au > av o ab/ la quale, seguita dall'assimilazione di /v/, /b/ alla consonante seguente, dä lo stesso risultato. Una /u/ o /o/ nella sillaba successiva puö aver agito come fattore secondario. 12) O. Garcia de la Fuente, Sobre la colocaciön de los adverbios de cantidad en el latin vulgar y en el latin biblico (143-157): si studiano i detti avverbi, nell'Itinerarium Egeriae e nella Vulgata, dal punto di vista della posizione rispetto ai verbi ed aggettivi e da quello della dipendenza dai modelli greci, ebraici e aramaici (con interventi del traduttore latino). - Osservazione: i sintagmi muito maius, muito minus ecc. (p. 153) non sono superlativi ma comparativi rafforzati. 13) B. Garcfa-Hernandez, Nuevos verbos Impersonales en latin tardio e influencia griega (159-172): i verbi impersonali (pluit) e unipersonali (decet), pur affondando le radici nel latino arcaico, si diffondono nella latinitä tarda sia per influsso greco che per fattori interni latini. L'intransitivizzazione dei verbi transitivi e la diffusione degli impersonali transitivi sono due processi collegati con la perdita del passivo sintetico classico. 14) J. Herman, Sur quelques aspects du latin merovingien: langue ecrite et langue parlee (173-186): l'autore evita risposte categoriche al problema del rapporto tra latino merovingio e lingua parlata; infatti, egli crede che questo latino non rifletta l'idioma parlato, ma che non sia neppure una lingua del tutto estranea al volgo. II livello di lingua differisce notevolmente da testo a testo, ci sono formule ereditate e non piü capite e i sistemi nominale e verbale appaiono reciprocamente stagni (con errori piü numerosi nel primo, importante indizio dell'evoluzione romanza). 15) M. Iliescu, Le latin et la specificite des langues romanes. Le semantisme «specifique» du roumain (187-194): vedendo nella libera scelta la condizione della differenziazione. M.I. studia alcune categorie lessicali (voci con /senza significato specifico) e i fattori di scelta. Conclusione: il presunto carattere rustico del lessico romeno non e provato (cfr. num. 8), ma la questione richiede ancora altri studi. 16) S. Kiss, Koine litteraire et conscience linguistique etudiees dans quelques chroniques latines des Vf-VIlf siecles (195-202): determinati problemi (parafrasi, trasformazioni lato sensu, modi verbali, collocazione delle parole) servono ad illustrare le scelte nella koine, non per scoprire riflessi della lingua parlata ma per stabilire l'elasticitä della koine letteraria. Le scelte stilistiche hanno la loro importanza anche in diacronia. 17) J. Kramer, Seile, Zöpfe, belegte und unbelegte Etyma: Lehren aus der Wortgeschichte von trichia (203-212): dopo un excursus sull'etimologia e la critica dei fantomatici Sternchen-Wörter 1'autore si sofferma sulla famiglia lessicale del gr. trichia (> treccia, fresse) postulando come significato iniziale 'fune', non 'treccia'; infatti, quest'ultimo e irradiato dalla Francia ed e recente. In conclusione si accentua l'importanza del greco e dell'esame delle fonti (realia). - Secondo noi il passaggio metaforico 'fune > treccia'poteva essere a portata di mano ovunque, dunque poligenetico e non necessarimente di provenienza solo francese. 18) H. Kurzovä, Zum spät- und vulgärlateinischen Verb (213-223): si esaminano due fatti un po' marginali, coepit + infinito e l'impersonale itur. La prima struttura, inizialmente ingressiva, assume in seguito il significato analogo a quello dell'imperfetto (preterite inattuale). II passivo tipo itur perde in seguito l'agente e, mentre il latino esprime ambedue i passivi ([+/- agente]) con le stesse forme, le lingue romanze riservano le forme analitiche per il tipo [+agente] usando le perifrasi riflessive per il passivo deagentivizzato ([-agente]). - A differenza dell'autrice, per noi la perifrasi coepit+infinito, almeno negli esempi citati, ha pur sempre un significato ingressivo. 19) Y. Malkiel, Zur Vertretung des lateinischen Nominalsuffixes -ium im Romanischen (225-232): partendo dalle tre tappe delle ricerche etimologiche (Diez -Meyer-Lübke - Rohlfs) 1'autore studia il parallelismo tra i suffissi ium e -ia, attribuisce la nascita dell'it. -io all'influsso del suffisso greco -ia, include nell'esame lo spagn. -ido e i contatti con i suffissi -ivu e -ata e sostituisce la genesi esposta all'etimologia -i'o < -eriu sostenuta dal Rohlfs. - Alla p. 229 miagollo, pigollo e sibillo vanno corretti rispettivamente in miagolio, pigolio e sibilio. 20) W. Manczak, Le developpement phonetique irregulier du ä la frequence en latin vulgaire (233-241): il contribute ripropone le note idee dell'autore sull'importanza della frequenza nell'evoluzione anomala, per la quale W.M. da vari argomenti (ordine statistico, diffusione, irregolaritä delle forme frequenti, vocabolari, atlanti). - Va rilevata tuttavia la circolaritä dell'argomentazione: le forme anomale si devono alla frequenza, la quale si deduce appunto dall'evoluzione anomala (se no, come facciamo a stabilire la frequenza mille o piü anni fa?). Alle pp. 236-241 si legge poi una critica del Vaänänen (e dell'etimo applicare) che stona in un certo modo nel volume. 21) J. Müller-Lance, Die Funktion vulgärlateinischer Elemente in den Satiren des Horaz am Beispiel von sat. 2,5 (243-254): intendendo il latino volgare come la totalitä del latino parlato, J.M.-L. scopre volgarismi in Orazio esaminando le loro funzioni, l'intenzione del poeta e le differenze di correttezza fra il primo e il secondo libro. Dalla statistica risulta che Orazio utilizzava i volgarismi deliberatamente, come mezzo stilistico. 22) A. Önnerfors, Sprachliche Bemerkungen zum sogenannten Lorscher Arzneibuch (255-281): il contributo, il piü lungo del volume, e dedicato al codice medievale di Bamberg ma, a parte l'introduzione e l'elenco di voci in calce, le «osservazioni» si riducono ad una stroncatura di U. Stoll la cui inclusione nel volume non puö non sollevare critiche. 23) H. Petersmann, Zu den neuen vulgärlateinischen Sprachdenkmälern aus dem römischen Britannien. Die Täfelchen von Vindolanda (283-291): testo informativo e interessante (come il nom. 9), che studia tutti i livelli dalla grafia alla stilistica (ma manca la morfologia; perche?) sulle tavolette di legno scavate a Vindolanda (oggi Chesterholm). I testi illustrano la koine latina ed il sermo castrensis e confermano la riapparizione tardolatina di fenomeni antichi. Essi arricchiscono notevolmente le nostre conoscenze di latino volgare. 24) H. Schmeja, Zur Latinität des Aethicus Ister (293-305): scopo del contributo sembra essere la confutazione delle idee di M. Richter il quale, nella cosiddetta Cosmographia di Aeth. Is. (fine VIII sec.) distingue gli ibernismi presenti solo nei testi iberno-latini da quelli ricorrenti anche altrove (ma particolarmente frequenti nei detti testi). II tema del contributo e dunque di ordine lessicale (spiccano i termini per i punti cardinali). Nessuno degli ibernismi di Richter e provato, tuttavia sono necessarie ulteriori ricerche e una nuova edizione della Cosmographia. 25) Chr. Seidl, Der Beitrag der Wortbildung zum Ansatz ausschließlich vulgärlateinischer Rekonstrukte (307-325): sulle formazioni in -aster si esamina la possibilitä di ricostruzione e si distinguono da un lato voci con/senza attestazione, dall'altro i Transponate (ricostruzione fonetica senza esistenza effettiva) e Rekonstrukte (idem, ma con esistenza effettiva). Per definire una formazione come latina almeno uno dei morfemi deve risalire al latino. 26) M. Selig, Un exemple de normalisation linguistique dans l'Italie medievale -Gregoire de Catino et le Regestum Farfense (327-341): si compara la citata opera (secc. XI-XII) con i documenti longobardi e dall'analisi intertestuale risultano varie modifiche determinate dalla norma, dall'epoca e dai fattori di comunicazione. Le correzioni cercano di aumentare la comprensibilitä ma non implicano mutamenti di contenuto. L'importanza della pragmatica testuale (sintassi trasfrastica) riflette l'aumento della comunicazione scritta a partire dalla riforma carolingia. 27) D. Slusanski, Graphemes, phonemes, morphemes. L'aide de la philologie ä l'etude du bas-latin (343-346): il brevissimo contributo esamina la lettura e Г interpretazione di certe forme (nestres su un'iscrizione della Scizia Minore), le metatesi e altri problemi nella Cena Trimalchionis. - In axilla > ascella non c'e metatesi essendo sc soltanto il grafema di /šš/. 28) A. Stefenelli, Sprechsprachliche Universalien im protoromanischen Vulgärlatein. Lexikon und Semantik (347-357): anche per A.S. il latino volgare e l'insieme delle varietä spontanee. Partendo da certe presupposizioni della comunicazione orale (handicaps, proprietä della com. orale, emozionalitä) l'autore esamina la tendenza all'analiticitä e la diffusione di espressioni generali (dovuta secondo alcuni alia «pigrizia mentale»), - Secondo noi aeternus, data la sua importanza in chiesa, non puö essere stato imprestato solo tardi (cosi a p. 351) e anche il concetto di "andare via" (p. 354) doveva esistere e dunque poter essere espresso durante tutta la storia latino-romanza. 29) V. Väänänen, Codiculus Aboensis. La latinite "triviale" de Finlande (359-363): i testi studiati (libri latini di Gezelius: versi triviali, detti, proverbi, enigmi), destinati a študenti universitari e risalenti ai secc. XVII-XVIII, attestano la cultura latina nel paese nordico. 30) J. Wierzchowski, Deus sive Natura, im mittelalterlichen Latein und in den neueren Sprachen (365-368): contributo brevissimo anche questo, dedicate come il precedente alla latinitä moderna, in particolare alla formula (esplicativa, non disgiuntiva) X sive Y: anche se di origine latina, essa si sviluppa in seguito nelle lingue moderne e da qui influisce a sua volta sul latino fino all'Ottocento. Questi i riassunti dei contributi. Gli errori tipografici sono rari: qualche accento nei cognomi spagnoli, alla p. 23 manca il testo della nota 50 e alla p. 280 sembra mancare la conclusione del testo della nota 41. Mancano purtroppo anche i dati sui collaborator! (universitä/istituto, dominio scientifico), che senz'altro sarebbero interessanti e utili (si veda ad es. quanto fatto nel volume curato da R. Wright Latin and the Romance languages in the early Middle Ages, Londra 1991, pp. VII-IX). II volume recensito merita di essere letto e meditato da quanti si interessano di questo affascinante dominio della linguistica romanza. Essi, e tutta la linguistica neolatina mondiale, attendono con comprensibile interesse gli Atti del IV colloquio, previsto a Caen nel 1994. Pavao Tekavčić Magnus Petursson, Joachim Neppert, Elementarbuch der Phonetik, Helmut Buske Verlag. Hamburg 1991. 211 Seiten. Wie schon der Titel des Buches besagt, betrachten die beiden Autoren ihr Werk als eine Einleitung in die allgemeine Phonetik. Obwohl es viele Bücher gibt, die sich mit diesem Gebiet befassen, sind beide Wissenschaftler mit den vorhandenen Lehrbüchern der Phonetik unzufrieden und sie haben darum ein Buch für Studierende der Allgemeinen und Angewandten Phonetik und für Studierende der Hör- und Sprachbehinderten-pädagogik verfaßt, das ihren Vorstellungen entspricht. Das Buch besteht aus vier Teilen. Im ersten Teil werden die allgemeinen Grundbegriffe der Phonetik behandelt. Das 1. Kapitel befaßt sich mit den Erzeugungsprozessen des Sprechens, darunter wie erfahren wir Sprache, was ist Phonetik, die phonetischen Teildisziplinen, mit dem wissenschaftssystematischen Standort der Phonetik, mit einigen Bemerkungen zur Forschungsmethodik. Schon aus diesem ersten Kapital wird ersichtlich, daß die beiden Autoren, obwohl sie Grundbegriffe behandeln, sie keineswegs vereinfachen, sondern mit dem Hintergrund des Wissenschaftlers, dem die Phonetik unter den verschiedensten Aspekten und verschiedener Arten gut bekannt ist, so daß die Arten kurz vorgestellt und die Beziehungen untereinander erklärt werden. Die Autoren geben zu, daß die Phonetik heutzutage schon so sehr entwickelt ist, daß kein Forscher in allen ihren Bereichen und Disziplinen bewandert sein kann. Im 2. Kapitel "Das phonetische Ereignis der Sprache" werden solche Begriffe wie der zweigliedrige Aufbau der Sprache, die Sprachlaute und ihre Darstellung, das sprachliche Zeichen, Inhalt und Ausdruck besprochen. Im 3. Kapitel "Die Sprache im Kommunikationsakt" werden 11 Stufen der Kommunikationskette vom Sprecher zum Hörer geschildert, was auch schematisch dargestellt wird. In diesem Zusammenhang wird auf die Wichtigkeit der Redundanz des sprachlichen Signals hingewiesen und auf die drei Arten des Rückmeldemechanismus, der dem Sprecher ermöglicht, des Gesagte zu prüfen - ein Bereich der in der Phonetik gewöhnlich nicht so genau behandelt wird. Der zweite Teil behandelt "Die Erzeugungsprozesse des Sprechens". Das heißt, daß im 4. und 5. Kapitel die Atmungsorgane, Atmung und Luftströmungsprozesse und die Phonation geschildert werden, - alles auf Grund detaillierter anatomischer und physiologischer Beschreibungen und bildlicher Darstellungen der Knochen und Muskeln von Zwerchfell und Brustkorb aus durch Kehlkopf und Mundhöhle bis zu den Lippen. Aus der am Ende erwähnten Literatur aus diesem Bereiche entnehme ich, daß die Autoren dabei die neueste Forschung aus den Bereichen der Medizin, Physik und Psychologie miteinbezogen haben. Die Beschreibungen, wie alle die Knochen und Muskeln mit ihren lateinischen Namen funktionieren, sind für den Phonetiker zwar ein interessanter Lesestoff, doch kann ich mir nicht vorstellen, daß die Kenntnisse sie auswendig aufzuzählen viel zum besseren Verständnis des Problems beitragen würden. Wäre es hier nicht zweckmässiger, sich auf das Verstehen der Funktionen zu beschränken? Die Defektologen behandeln diesen Stoff ohnehin noch gesondert. Das gleiche gilt für den 1. Teil des 6. Kapitels, der sich mit der Artikulation befaßt, und teilweise auch für das 9. Kapitel, wo das Gehirn beschrieben wird. Äußerst ergiebig scheint mir der zweite Teil des 6. Kapitels, so z.B. die Übersichtstabelle der Artikulationsorgane und ihre Bewegungsmöglichkeiten, die Erläuterungen der Unterschiede zwischen Vokalen und Konsonanten, die Beschreibungen der Artikulationsmodi und die Ausführungen über gelegentliche und inhärente Stimmhaftigkeit. Beide Forscher sind sehr genau, sie korrigieren die oberflächliche Ausdruckweise mancher Phonetiker, und ergänzen sie mit ihren eigenen Erkenntnissen oder denen anderer, alles ist durchdacht, man fühlt daß diese Seiten des Buches auf Erfahrungen gründen, daß das Gesagte "erlebt" ist, up-to-date, voll von Verbesserungen bekannter Definitionen. Pauschale Urteile werden bekämpft. Die Autoren erläutern, was ein linguistischer Ausdruck bedeuten kann, und präzisieren, wie und in welcher Bedeutung sie ihn gebrauchen. Solche Stellen sind besonders nützlich. Als Einführung in die Phonetik ist der Text keinesfalls eine einfache Lektüre, die Ausdrucksweise ist stellenweise trotz ihrer Exaktheit und Klarheit oder gerade deswegen gedrängt und setzt gewisse linguistische Vorkenntnisse voraus. Der kursive Druck inhaltlich wichtiger Begriffe hilft den Studierenden durch größere Übersichtlichkeit und erleichtert die Bewältigung des Lehrstoffes. Es wird immer angegeben, wo eine ausführlichere Auskunft über ein Problem zu finden ist. Ich möchte hier eine kleine Randbemerkung machen: die Autoren unterscheiden zwischen fallenden und steigenden Diphtongen (S. 107) sowohl vom artikulatorischen als auch vom prosodischen Standpunkt aus. Wäre es nicht um einer größeren Klarheit willen besser, bei der artikulatorischen Klassifizierung sich anderer Ausdrücke zu bedienen und zwischen schließenden (?) (closing) und öffnenden (?) (opening) Diphtongen zu unterscheiden? Der dritte Teil "Schallformen sprachlicher Kategorien" befaßt sich im 7. Kapitel auf 26 Seiten mit der akustischen Phonetik. Es werden Grundbegriffe erläutert wie die Entstehung des Sprachschalls, periodischer und nicht-periodischer Schall, der Unterschied zwischen Klang und Rauschen, Resonanz und Filterung, Formanten und Spektra von Vokalen und Konsonanten, alles schön übersichtlich doch in so gedrängter Form, daß gute Vorkenntnisse der akustischen Physik vorausgesetzt werden. Das 8. Kapitel über Suprasegmentalien enthält in der Einleitung alle hierfür üblichen Angaben. Bei der Satzintonation werden außer den Veränderungen der Tonhöhe (Grundfrequenz) noch die anderen Erscheinungen, die zur Satzintonation beitragen, erwähnt: Dauer, Intensität, Klangfarbe, Pause, Tempo, Stimmqualität, Musikalität (was wird darunter verstanden?) und Emphase. Meiner Meinung nach ist ein langsamerer Frequenzfall in längeren Intonationseinheiten als in kürzeren der Tatsache zuzuschreiben, daß der Sprecher die Tendenz hat, in seinem Normalfrequenzbereich zu verbleiben, ungeachtet der Länge der Intonationseinheit. Sie erläutern in Kürze, wie es zu einer Klangerhöhung in der Kehle kommt, warum die fallende Intonation die ökonomischste und darum die natürlichste (unmarkierte) Intonation ist; weiter wird von der häufigen doch nicht unbedingten Verknüpfung der steigenden (markierten) Intonation mit Fragesätzen gesprochen und über den Fokus. Im Zusammenhang mit dem Akzent (Wortbetonung) werden die Elemente behandelt, die zur Gesamtwirkung, zum Akzent, beitragen. Bei den sogenannten Tonsprachen ist es die Wortmelodie, der Worttonverlauf, der den Hauptanteil hat. Unter den Tonsprachen Europas vermiße ich das Slowenische, obwohl sonst alle der Reihe nach aufgezählt werden. Kurz und verständlich werden auch die verschiedenen Arten der Tonsprachen erläutert. Die More und die Morensprachen werden etwas anders als gewöhnlich aufgefaßt, es ist eine Grundfrequenzveränderung in einem Realisierungsbereich der kleiner als der eines Segments ist. Ebenso bündig wird die Lautqüantität behandelt, die bedeutungsunterscheidenden Charakter hat. Im Zusammenhang damit werden die bekanntesten Sprachen mit Quantitätsunterscheidungen, bezüglich ohne Quantitätsunterscheidungen, aufgezählt. Das Buch ist "ein Elementarbuch der Phonetik" und beide Autoren weichen geschickt den phonologischen Problemen aus; wo aber dies nicht geht, werden sie auf eine einfache allgemein linguistische und so leicht verständliche Art erklärt. Der vierte Teil behandelt die "Neurophysiologischen Funktionen und Wahrnehmung der gesprochenen Sprache", die das letzte Glied in der Kommunikationskette bilden. Im 9. Kapitel "Anatomische und physiologische Voraussetzungen der auditiven und motorischen Sprachverarbeitung" werden die Anatomie, Histologie und Physiologie der Steuerung- und Perzeptionsorgane beschrieben. Interessant sind die Forschungen über die Sprachverarbeitung im Gehirn, die der Japaner Tsunoda zusammengefaßt hat (1984), daß wir in den europäischen Sprachen isolierte Vokale in beiden Hemisphären gleichermaßen verarbeiten, in den Sprachen der austronesichen Sprachfamilie und im Japanischen werden sie hingegen nur links verarbeitet; doch ist dies nicht genetisch-, sondern kulturbedingt. Vokale in Wörtern und Konsonanten werden in allen bisher untersuchten Sprachen ausschließlich in der linken Hemisphäre verarbeitet, was auf eine enge Verbindung mit den Lexemen verweist. Im 10. und letzten Kapitel erörtern die Autoren einige Theorien der Sprach-perzeption. Seitdem die technische Möglichkeit zur Erzeugung synthetischer Sprache besteht, ist zum ersten Mal in der Geschichte der Phonetik eine systematische Suche nach den Perzeptionsindizien der Sprache möglich. Es ist nunmehr möglich, einzelne Signalelemente, wie z.B. Transitionen, Explosionsschall und Zeitunterschiede systematisch zu variieren und zu kombinieren und sie so auf ihre sprachperzeptuelle Relevanz hin zu untersuchen. Die gleiche akustische Einheit kann verschieden perzipiert werden und verschiedene akustische Ereignisse können als gleichartig wahrgenommen und bewertet werden. Die Forschungsergebnisse aus diesem Bereiche haben gezeigt, daß es in der Phonetik keine Invarianten gibt, daß sie nur in den Bereich der Wahrnehmung gehören, daß der Kontext bei der Wahrnehmung der Laute eine wichtige Rolle spielt und daß der Unterschied zwischen der Reizspezifizität und der Reaktionspezifizität berücksichtigt werden müßte. Die Autoren erörtern noch einige Sprachperzeptionstheorien und betrachten die Motortheorie der Sprachperzeption als grundlegend und die verschiedenen gegenwärtigen auditiven Theorien im großen und ganzen als willkommene Ergänzungen dazu. Sie beenden ihr an Informationen überaus reiches Buch mit der Feststellung, daß der Sprachperzeptionsprozess noch immer der am wenigsten erforschte Bereich der Kommunikationskette ist und daß auf diesem Gebiet neue Entdeckungen zu erwarten sind, die uns unsere Ansichten und unser Verständnis dieser Prozesse gründlich verändern und erweitern könnten. Tatjana Srebot Rejec Jože Toporišič, Enciklopedija slovenskega jezika, Cankarjeva založba, Ljubljana 1992, pgs. 384 L'Encyclopedic de la langue Slovene, publiee par la maison d'edition Cankarjeva založba de Ljubljana, est destinee aux usagers slovenes qui chercheraient l'explicätion d'un terme linguistique en usage dans la linguistique Slovene. Si, ici, nous en faisons mention, ce n'est certainement pas pour en faire une recension. II s'agit tout simplement du desir d'attirer Г attention des linguistes etrangers sur la parution de cette oeuvre. Ceux, bien sür, qui s'occupent du Slovene ou des langues slaves en general, ou bien ceux qui, pour une raison ou autre, consulteraient un traite linguistique en Slovene et auraient besoin de voir eclairci un terme linguistique. Ce livre pourrait bien leur rendre service. D'autant plus, que la tendance de ces dernieres decennies, comme reaction ä l'internationalisation de plus en plus pressante de toute terminologie scientifique, est justement celle de sloveniser autant que possible la terminologie linguistique. L'eminent linguiste Slovene Jože Toporišič, professeur de langue Slovene litteraire ä la Faculte des Lettres de l'Universite de Ljubljana, a reuni dans ce livre, ordonnes alphabetiquement, les termes concernant la langue Slovene. Ce qui est important, pour l'usager etranger, c'est que sur la totalite de quelque cinq mille lemmes, ä peu pres mille sont des doublets, en ce sens que le terme etranger, de provenance latine surtout, qui fait partie de la terminologie internationale renvoie au terme Slovene et, vice versa, le terme Slovene a ä cote de lui le terme correspondant de la terminologie linguistique internationale. L'usager non Slovene trouvera, par consequent, au moins un minimum d'information sur le terme Slovene employe. L'auteur de VEncyclopedie est de tendance structuraliste: il n'est done pas surprenant que la terminologie employee de directions modernes en linguistique est predominate. Mais, le vocabulaire sociolinguistique et psycolinguistique y est present et celui des ecoles et doctrines elites traditionnelles n'y est pas neglige. Sont traites aussi, abondamment, les termes concernant la dialectologie Slovene. Les termes slovenes donnent, en plus, des informations qui pourraient etre souvent utiles. Ils sont munis de signes diacritiques lesquels mettent en evidence la place de l'accent et aussi, pour les voyelles moyennes, la qualite. Pour le cote morphologique, il servira, peut etre, au linguiste etranger de trouver, pour le substantif Slovene, ä cöte de la forme du sujet, aussi la forme flexionnelle ("cas regime") ou bien, pour l'adjectif, ä cöte de la forme masculine, aussi celle du feminin et celle du neutre. UEncyclopedic de la langue Slovene se presente done comme un instrument valable pour tous ceux qui entrent en contact avec le Slovene sur le champ plus strictement linguistique. Mitja Skubic Giovan Battista Pellegrini, La genesi del retoromanzo (o ladino), Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, Band 238; Max Niemeyer Verlag Tübingen, Tübingen 1991, pp. 72. E' uscito nella gloriosa serie dei Beihefte della ZRPh un nuovo volume, opera del glottologo padovano Giovan Battista Pellegrini. Vorrei cominciare col dire che non e la prima volta che 1'illustre Autore e presente nella nostra rivista; vi ha pubblicato vari articoli riguardanti i nomi della flora in friulano, ha trattato della fortuna di un prestito dallo sloveno nel lessico friulano dei cestai; ha esposto, nel vol. XXII, le sue idee sul ladino/retoromanzo. II libro e nuovo, ma non si tratta di una nuova indagine: l'Autore tratta di quella spinosa questione che siamo soliti chiamare la questione del ladino. Che si tratti di una questione spinosa lo rivela giä il titolo. La presentazione del problema e minuziosa. La parte introduttiva e riservata al panorama degli scritti e studi sul ladino (inteso, qui, lato sensu) fin dagli inizi del secolo scorso. Pellegrini, come del resto tutta la cerchia dei linguisti padovani, e seguace delle idee di Carlo Battisti sull'inesistenza dell'unitä linguistica del friulano, del ladino dolomitico e delle parlate romanze nei Grigioni. Sono del parere contrario gli studiosi delle universitä di lingua tedesca: per loro, i tre tronconi formano un insieme linguistico. II punto di partenza, per tutti, sono, ovviamente, i Saggi ladinv, perö, il Pellegrini sostiene che molti abbiano letto Ascoli superficialmente, piü che altro l'introduzione e la conclusione, dove l'idea dell'unitä linguistica e chiaramente espressa, e da qui la convinzione che il grande glottologo goriziano sostenga l'idea dell'unitä ladina. Pellegrini puö vantare, oltre a un assiduo lavoro pluridecennale, in gran parte consacrato ai problemi linguistici dell'Italia nordorientale, il fatto di avere la conoscenza diretta della situazione linguistica, dal momento che e di casa a Cencenighe (Belluno). Eppoi, piü importante ancora, quale ideatore e direttore dei lavori per l'ASLEF, ha potuto e dovuto impossessarsi di un inesauribile tesoro di conoscenze per il friulano. A questo sapere linguistico il Pellegrini aggiunge una vasta e profonda erudizione nei campi dell'archeologia, epigrafia, topografia e toponomastica. L'Autore, passando in rassegna problemi piü propriamente linguistici, dopo aver accennato alle premesse storiche, si riferisce ampiamente alla Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti del Rohlfs che e, soprattutto, la grammatica storica dei dialetti. Valuta in particolare l'esito della vocale a tonica, dei gruppi consonantici occlusiva + liquida (PL-, BL- mantenutisi piü a lungo, la constatazione e giä del Rohlfs, e CL-, GL-), la conservazione di -S come morfema della 2.a pers. sg. del verbo. Per questo fenomeno cita Meyer-Lübke, Battisti e Rohlfs, op.cit.par. 528. Cita anche una interessante lettera di un mercante veneziano, scritta a Candia a metä del Trecento, dove la -s, oltre ad essere morfema verbale, appare, seppure una sola volta, anche come morfema del plurale del sostantivo: savaras melio li presis. Un'attenzione particolare e riservata, ovviamente, alia palatalizzazione della velare davanti ad -a. Giä Ascoli considerava il fenomeno indigeno e popolare, dice Pellegrini a pag. 35, vale a dire non un gallicismo fonetico. Pellegrini afferma che l'unico tratto sintattico posto in luce dal Gartner (si veda anche Rohlfs, par. 744) sia l'impiego del congiuntivo nel periodo ipotetico. L'attenzione di tutti gli studiosi e stata sempre rivolta, dall'Ascoli in poi, alia fonetica e, soprattutto con i lavori per gli atlanti linguistici, al lessico. Pellegrini sostiene che nel lessico "retoromanzo" (in certi casi l'Autore usa il termine con le virgolette, ma il piü delle volte le omette) non e presente un solo concetto il quale venga a confermare Г unitä grigionese-dolomitica-friulana (il termine scelto dovrebbe accentuare la non unitä linguistica). II Pellegrini contrappone a ogni vocabolo citato come tipico, esclusivo del retoromanzo, testimonianze raccolte in alta Italia. Cosi per blavus, considerato una specificitä da Kuen (nel lontano 1937), trova un riscontro nella teste citata lettera del mercante veneziano: ebis a mente de vardar lo meo drapo blavo. Tutto il problema, sostiene Pellegrini, sta nel fatto che si vuol opporre il retoromanzo/ladino all'italiano settentrionale. In tutto, secondo i manuali di romanistica, vi sarebbero solo tre unitä lessicali assolutamente specifiche del retoromanzo: il diminutivo per il lat. SOL, -IS da *SOLICULU, frl. soreli; got. *skeitho, frl. seddn contro 1'it. cucchiaio\ celt. *dragiu engad. dreg, gard. drač contro l'it. crivello. Per tutti e tre i vocaboli Pellegrini cita testimonianze raccolte nell' italiano settentrionale e vede in questo l'argomento per negare la supposta unitä linguistica dei tre territori. Sarä giusta anche la sua constatazione che le concordanze del fassano (e in genere del ladino, stricto sensu, atesino) col friulano, come risulta dall'ASLEF, sono piuttosto scarse e sempre con documentazione anche in dialetti veneti e cisalpini, mentre sono frequenti le concordanze lessicali con i dialetti bellunesi (pag. 41). C'e perö il pericolo, a mio modesto parere, di risalire alia spartizione verticale di Carlo Battisti. II volume e un'ottima sintesi del problema del "ladino". E' una sintesi basata sulla fonetica e sul lessico; sarebbe auspicabile un piü ampio studio dei fenomeni morfosintattici. Sempre in chiave contrastiva, tale ricerca getterebbe altra luce sul problema. La nostra conoscenza, esauriente quanto al lessico, grazie anche ai molti lavori dell'Autore, potrebbe arricchirsi con dati riguardanti la sintassi, a prescindere dalla classificazione; questa e sempre il frutto di una riflessione e dipende spesso, come ha giustamente osservato giä Pierre Bee, Manuel pratique de philologie romane, a proposito della classificazione del catalano, dai criteri che si sono scelti. Lo studio del Pellegrini non e lungo, in tutto ci sono 47 pagine, seguite da 8 pagine di note che, poi, non sono solo note ma anche commenti. La nota 4, ad es., pag. 49-54, e una ricchissima casistica per presentare il quadro linguistico deli'Alto Cordevole. La bibliografia e esauriente, vi figurano oltre 200 titoli; non meraviglia che un buon numero, 35 per esattezza, appartenga all'Autore stesso: vi e dentro tutta una vita scientifica; il primo lavoro, 7 nomi locali del Medio e Alto Cordevole, risale al lontano 1948. Vi sono aggiunte inoltre alcune cartine: Suddivisione dialettale dell'Italia settentrionale', Suddivisione dell'Italia nord-orientale', Dittongazione di -e-; Conservazione di -a-; Palatalizzazione di CA e GA. Con la sua ricca documentazione, 1'opera offre un panorama dettagliato e invita, anzi, spinge alla riflessione. La veste tecnica e impeccabile. II solo rimprovero potrebbe essere fatto a proposito della divisione delle parole. Sappiamo che si tratta di una questione piuttosto banale, dovuta alle nuove tecniche tipografiche; tuttavia, almeno per la mia generazione, e difficile non essere presi dallo spavento vedendo diviso settent-rionale (pag.32), vadag-nis (pag. 34), associer-anno (pag. 45). Mah, ormai ci stiamo rassegnando. Mitja Skubic ERRATA CORRIGE (Roxana Iordache: La subordonnee temporelle ä l'epoque tardive chez Jordanes, Linguistica XXXII, pp. 31-60 et XXXIII, pp. 69-106) LINGUISTICA XXXII page 32, ligne 4 du haut de la page, ä la place de: reduction on lira: redaction. note 14, ligne 4 du haut de la note, ä la place de: pour le sens on lira: pour les sens page 38, commencement du 5e alinea, ä la place de: oü les ecrivains on lira: ou les ecrivains note 36, ligne 3 du haut de la note, ä la place de: "les subordonnees explicatives etc." on lira: "les subordonnees introduites par quia et quod, dans les subordonnees explicatives etc." page 44, ligne 1 du haut de la page ä la place de: des verbes on lira: de verbe note 66, ligne 2, ä la place de: pour d, on lira: par d note 67, ligne 1, ä la place de: "des voyelles" on lira: "des voyelles e et i, les notes anterieures et suivantes" page 49, ligne 4 du haut de la page, ä la place de: dictui on lira: dictu! note 70, ä la place de: apparit on lira: apparait page 52, ligne 13 du bas de la page, ä la place de: postilens on lira: pestilens note 127, ligne 1 de la note, ä la place de: Get., 35 on lira: Get., 85 page 60, ligne 8 de haut de la page, ä la place de: p.56 on lira: p. 57 LINGUISTICA ХХХ1П page 70, ligne 8 du haut de la page, ä la place de: l'indicatif on lira: l'indicatif parfait, note 138, ligne 5 de la note, ä la place de: dans ses on lira: dans des note 166, ä la place de: Uintum on lira: Vintum page 76, ligne premiere du dernier alinea, ä la place de: cum nox on lira: cum mox note 174, ligne 3 du bas de la note, ä la place de: 1. 40 on lira: 1. 30 note 174, ligne 1 du bas de la note, ä la place de: 1. 30 on lira: 1. 40 note 176, ä la place de: p. 6372 on lira: p. 637 page 78, ligne 4 du bas de la page, ä la place de: res on lira: rex page 79, ligne 7 du haut de la page, ä la place de: "classique)." on lira: "classique - voir supra)." note 185, ä la place de: particule ?? on lira: particule de note 193, ä la place de: p. 6371 on lira: p. 637 note 194, ä la place de: Umgangsprache on lira: Umgangssprache page 81, ligne 7 du bas de la page, ä la place de: in tantum quia on lira: in tantum quia page 83, ligne 1 du bas de la page, ä la place de: Patmo on lira: Pathmo page 83, ligne 3 du bas de la page, ä la place de: postquam on lira: postquam note 209, ligne 1 de la note, ä la place de: exstingue on lira: extingui page 85, ligne 13 du haut de la page, ä la place de: auae on lira: suae note 246, ligne 1 de la note, ä la place de: aussi frequente on lira: assez frequente note 256, ä la place de: la forme ea on lira: la forme ea note 260, ligne 2 de la note, ä la place de: "non ante - nisi" on lira: "non ante - nisi" et "non prius - nisi" note 264, ligne 1 de la note, ä la place de: "non ante - nisi" on lira: "non ante - nisi" et "non prius - nisi" note 264, ligne 1 de la note, ä la place de: oes on lira: eos page 96, ligne 2 du bas de la page, ä la place de: D'autre on lira: D'autres note 268, ligne 1 de la note, ä la place de: langue on lira: langues page 100, ligne 15 du bas de la page, ä la place de: praecauerat on lira: praecaueret page 101, ligne 9 du bas de la page, ä la place de: Suivant on lira: Suivent VSEBINA - SOMMAIRE Fran Šturm. A cinquant'anni dalla scomparsa - Franu Šturmu. Petdeset let po izginotju ......................................................... 1 Jasna MAKOVEC-ČERNE, Textproduktion. Kognitive Textmodelle - Besedilna produkcija. Kognitivni modeli ........................................ 3 Danko ŠIPKA, Usage labels network: an approach to lexical variation - Mreže kvalifikatorjev: pristop k variantnosti v slovarju .......................... 31 Hussein REHAIL, Developpement linguistique et apprentissage du vocabulaire -Jezikoslovni pristopi pri usvajanju besedišča............................. 43 Zorica VUČETIĆ, Contribute alio studio della suffissazione aggettivale nell'italiano contemporaneo - Prispevek k preučevanju priponske tvorbe pridevnikov v sodobni italijanščini..................................... 49 Višnja JOSIPOVIĆ and Dora MAČEK, Disambiguation of neutralized forms in two Croatian varieties - Razdvoumljenje sovpadlih oblik v dveh variantah hrvaščine......................................................... 63 Goran FILIPI, Ornitonimia istriana: I nomi di tipo mazorin per la specie Anas platyrhynchos - un relitto mediterraneo? - Istrska ornitonimija: mazorin (Anas platyrhynchos) - mediteranski relikt? .................................. 69 Richard SÄRBU, Observations sur le lexique istro-roumain actuel - Opombe k sedanjemu istroromunskemu besedišču................................. 73 Milko MATIČETOV - Roberto DAPIT, Toponimi resiani in una stampa per liti della fine del Settecento - Rezijanska krajevna imena v tiskanem pravdnem zborniku izpod konca 18. stoletja...................................... 81 Tehtanja in mnenja -Echanges de points de vue Eric P. Hamp, Addenda ad LINGUISTICA XXVIII, 1988 ................... 127 Poročila, ocene, zapisi -Comptes rendus, recensions, notes Wilfried Kürschner (Hg.), Linguisten-Handbuch: Biographische und bibliographische Daten deutschsprachiger Sprachwissenschaftlerinnen und Sprachwissenschaftler der Gegenwart, I-II, Tübingen 1994 (Žarko Muljačić) ... 129 Quaderni di filologia e lingue romanze, Ricerche svolte nell'Universitä di Macerata; Macerata 1985-1992 (Pavao Tekavčić)......................... 131 Francesco Bruni (a cura di), L'italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identitä regionali; La Nostra Lingua, Biblioteca storica di linguistica italiana, Torino 1992 (Pavao Tekavčić).............................................. 134 Francesco Bruni (a cura di), L'italiano nelle regioni - Testi e documenti, Torino 1994, (Pavao Tekavčić).............................................. 139 Maria Iliescu - Wagner Marxgut (eds), Latin vulgaire - latin tardif III, Actes du IIIeme Colloque international sur le latin vulgaire et tardif (Innsbruck, 2-5 septembre 1991); Tübingen 1992 (Pavao Tekavčić) ....................... 142 Magnus Petersson, Joachim Neppert, Elementarbuch der Phonetik, Hamburg 1991 (Tatjana Srebot Rejec).......................................... 148 Jože Toporišič, Enciklopedija slovenskega jezika, Ljubljana 1992 (Mitja Skubic) 152 Giovan Battista Pellegrini, La genesi del retoromanzo (o ladino), Beihefte zur ZRPh, Band 238; Tübingen 1991 (Mitja Skubic) ......................... 154 Errata corrige ..................................................... 157 LINGUISTICA XXXIV, 2 Izdala in založila Filozofska fakulteta Univerze v Ljubljani Revue publiee et editee par la Faculte des Lettres et Philosophie de l'Universite de Ljubljana Glavni in odgovorni urednik - Redacteur en chef Mitja Skubic Tajnica redakcije - Secretaire de la redaction Jožica Pire Nasloviti vse dopise na naslov Priere d'adresser toute correspondence ä Mitja Skubic, Filozofska fakulteta, Aškerčeva 2, Ljubljana (Slovenija) Tel.: 386 61 176 92 00 Fax.: 386 61 125 93 37 Tisk - Imprimerie Tiskarna Pleško, Rožna dolina c.IV/36, Ljubljana Po mnenju Ministrstva za znanost in tehnologijo št. 415-01-119/94 z dne 1.3.1994 šteje publikacija med proizvode, za katere se plačuje 5% davek od prometa proizvodov.