i Soldi IO al numero. L'arretrato soldi SO L'Associazione è anticipata: annua o semestrale — Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 77 — 25 settem. 78 importa fior. 3 e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'infanzia CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE, si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore I L'integrità di «n giornali consiste nell' attenersi, con costanza ed energia, al vero, all'equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 10 aprile 1789 — Muore a Londra Giuseppe Baretti. — (V. Illustrazione.) PRODROMO *) DELLA STORIA DELL'ISTRIA (F. il N.o 25 gennaio e seg.ti) I Genovesi che già da molto essi pure avversavano Venezia, ed avevano occupato Pola anco nel 1328, conducevano ora nuova guerra contro i Veneti per ragione principalmente del commercio di Costantinopoli e di Soria, e sotto il comando di Paganino Doria aveano impreso ad occupare Pola, Parenzo, la stessa Capodistria, (1354) ed altre città, dopo aver battuto i Veneti, guidati da Nicolò Pisani, all'isola di Sapienza. Tale avvenimento infiammò gli sdegni de' soliti alleati contro l'Istria e la Venezia, e questa volta vi si aggiunsero Francesco di Carrara signore di Padova, il duca d'Austria e Lodovico re di Ungheria, il quale, senza curare la tregua couchiusa in Dalmazia co'Veneti l'anno 1345 scendeva in Italia con grande esercito, invadendo pur l'Istria. E tutti secondavano i Genovesi. Ma Venezia, non men forte che prudente, die tosto mano a fermar pace coll'Un-ghero. Furono a lui ceduti i paesi della costa orientale del Quarnaro fino a Durazzo ; e restarono a Venezia tanto le isole di quel golfo quanto l'Istria, nella quale venne posta altra autorità di Pasinatico in Grisignana per la parte superiore di qua del Quieto. Ma la nostra provincia, benché liberata pel momento, doveva soffrire nuove e più gravi sciagure. Da prima veniva corsa nuovamente dal patriarca Lodovico della Torre, succeduto a Nicolò (1360), assieme ai Triestini: poi si vedeva decimata la popolazione da fiera pestilenza. Nè il guerreggiar con Genova cessava, nè i collegati posavan l'armi, chè all'invece cresceva lo scompiglio per nuovi contendenti, i duchi d'Austria. Questi, a cui era passato il Carnio fino dal 1336, s'erano, ognor più avanzati co' loro possedimenti alle frontiere istriane, e patteggiavano già con Alberto III conte d'Istria la successione nella contea pel caso avesse egli a morire senza figli. Ma quanto al marchesato, che comprendeva la massima e la miglior parte della istriana provincia, vedendo le difficoltà di acquistarlo di fronte a Venezia, si tenevano contenti a poter possedere la rada di Trieste. Da ciò il voler questa città riconoscere l'alto dominio del duca d'Austria (1367), come aveva fatto l'anno prima il signore di Duino. Essa era infatti la città più separata, per l'antico suo isolamento governativo, dal resto della provincia. Ed è perciò che la vedemmo più volte ostile a Venezia, sì che da questa si legge ad ogui qual tratto presa e ripresa, come nel 1233, nel 1338, nel 1351 e nello stesso 1367, oltre che negli anni preaccennati. Ma sembra che quel riconoscimento non abbia avuto per allora effetto, allo stesso modo che non lo ebbe il riconoscimento dell'alta signoria dell'imperatore Carlo IV, votato nel 1354, attesoché ribellatasi di nuovo Trieste e Venezia, e assediata da Taddeo Giustiniani e Paolo Loredan, la scorgiamo darsi prima ai Visconti, poi al Carrarese, e scac- ciati i Veneti dai Genovesi, novellamente a Carlo IV, e alla perfine al protettorato del duca d' Austria (1369). Peraltro anche questo partito le tornava allora inutile, imperocché quel duca ebbe ne' patti con Venezia pecuniario guiderdone. La repubblica spedì quindi in quella città Saracino Dandolo ed Andrea Zeno, il primo col titolo di podestà, e il secondo con quello di capitano. Nè questa soggezione fu a lungo, chè nel 1371 volle Trieste darsi al patriarca Marquardo, succeduto a Lodovico, prendendo occasione dall'a-vanzarsi dei Genovesi, impadronitisi di Uraago. Ma stava ben presto per ritornare all'alta signoria del duca d'Austria dacché questi, morto Alberto III, era subentrato nella contea d'Istria (1374) pel già ricordato patto di successione : contea (da non confondersi col marchesato) che restò poi a quella casa qual provincia distinta non mai immedesimatasi colla Carniola. Càduta e ricaduta infatti essa città ai Veneti, si approfittò nuovamente di quella gran guerra di Venezia con Genova, detta di Chioggia, che quasi condusse la prima a totale rovina, per compiere, dopo essere stata consegnata invano al patriarca (1380) dall'ammiraglio genovese Matteo Maruffo, la definitiva sua dedizione ai duchi d'Austria nel 1382. Siamo corsi di proposito alcun poco innanzi con la storia speciale di Trieste, per dimostrare il carattere delle ostilità impegnatesi nel 1375 tra i duchi d'Austria e Venezia, circondata così da gran numero di antichi e nuovi nemici. E l'Istria doveva dividere con essa le maggiori peripezie. I Genovesi battono i Veneti condotti da Vettor Pisani nel canale de' Brioni presso Pola (1379), ed arse Pola e Parenzo, vanno a Chioggia. Mentre allora la repubblica versava nel maggior pericolo, il patriarca d'Aquileja voleva vendere perfino i beni della chiesa a sostenere la guerra in Istria, e morto Federico conte di Porcia viedomino generale della chiesa a-quilejese, spediva Artico di Udine nella nostra provincia ad occuparla, com'ei fece. Ma Venezia doveva sorgere più grande dai suoi pericoli. Tolto dal carcere Vettor Pisani, e richiamato dal Levante Carlo Zen, riassediò in Chioggia gli stessi Genovesi e li costrinse ad arrendersi (1380). Restavano ancora gli Ungheri, che Francesco Carrara dirigeva sopra Treviso, e un'altra armata genovese nell'Adriatico sotto Gaspare Spinola. Questi si volse all'Istria, che di nuovo venne desolata da saccheggi e da incendi, per quanto vigorosa fosse stata la difesa degl'Istriani. Il Castel-Leone di Capodistria specialmente, comandato da Rizzolino Azzone di Tre-vigi, oppose una resistenza degna di particolare memoria. Vi accorse allora lo stesso Vettor Pisani, ed unitosi a Parenzo ed a Pirano con le navi istriane, si presentò a Capodistria, e rotto il ponte che la congiungeva con la terra ferma, vi diè l'assalto, secondato dalla gente del castello. La città fu riconquistata ai Genovesi, che vennero con grande risolutezza inseguiti, e che costretti ad abbandonare tutte le coste, se ne partirono, portando seco in segno di trionfo corpi Santi rapiti a Capodistria, a Cittanova e a Parenzo. Si gran guerra terminò cou la mediazione di Amadeo conte di Savoja, e la pace venne firmata in Torino l'anno 1381. Circa l'Istria fu stabilito che rimanessero fermi i patti vecchi col patriarca. E nuova particolarità di que' tempi si è la convenuta restituzione dei corpi Santi. Così nella nostra provincia dopo tanti disastri, di nulla s'erano avvantaggiati quei patriarchi, che li avevano in gran parte provocati. Succeduto a Marquardo, Filippo d'Alenpon nello stesso anno della pace, i dissidi sospesi per poco tempo in Istria, ribollirono nel Friuli. E fu in quelle guerre che Giovanni di Moravia successore (1387) di Filippo nel patriarcato, restava morto (1395). Antonio Gaetani, detto il cardinale aquilejese, subentrato nella sedia patriarcale, governò egli pure brevi anni. E quando Antonio Pancera veniva eletto a succedergli nel 1402, i disordini del Friuli s'erano accresciuti. Rimosso nel 1408, venne posto in sua vece Antonio III Daponte. Così i litigi si raddoppiarono anco per motivi di religione tanto più gravi che allora appunto si disputava la cattedra di S. Pietro da Gregorio XII e Benedetto XIII. Traendo partito da queste dissensioni il conte d'Ortem-burgo cominciò a signoreggiare in Friuli. Ma uua nuova invasione di Ungheri doveva da prima accrescere (1412) e in fine risolvere la questione dell'esistenza del dominio temperale di Aquileja. Il re loro, Sigismondo, ch'era stato eletto imperatore di Germania, venuto a suggestione del patriarca Lodovico Tech, contro i Veneti per le questioni di Dalmazia, si spinse pure contro l'Istria. Pippo Scolari, suo generale, prese Valle e Diguano, ma sotto Parenzo e Pola a colpi di cannone fu respinto. E tutto l'inverno fu speso a tentare infruttuosamente le piaggie d'Istria. Nel Friuli intanto e nel Feltrino stava acquartierato il grosso dell'esercito di Sigismondo, che continuava a molestare il Trivigiano. I Veneziani allora aprirono trattative di pace e conchiusero una tregua di cinque anni. Ma Sigismondo la violò, e fece occupare parecchi luoghi dell'Istria da Federigo d'Ortem-burgo (1413). Spirata la tregua, rinfierìla guerra (1418) sh quel di Belluno, e tosto arse in tutto il paese ch'era stato prima occupato dagli Ungari, confederati al patriarca d'Aquileja, al conte d'Or-temburgo e a Martino da Carrara, I Veneziani sotto il comando di Filippo d'Arcelli, entrarono nel Friuli, e batterono le truppe del patriarca capitanate dal conte di Gorizia. Crescendo le vittorie di Venezia, il patriarca sollecitava Sigismondo a spedirgli soccorso. Ed egli sebbene impegnato in Boemia nella guerra contro gli Ussiti, mandò a difenderlo ottomila uomini. Ma non gli valsero, chè il Friuli fu tutto assoggettato dai Veneti al pari del Feltrino, del Bellunese e del Cadorino. Tentò bensì la mediazione di papa Martino V, ma pel perduto Friuli dovè accontentarsi d'annuo emolumento. Gli Ungheri tenevano ancora in Istria alcune terre, e Filippo d'Arcelli vi si portò a scacciameli. Unitosi ai militi istriani, assalse i nemici e li disfece. Ma in uno di questi gagliardi attacchi fu ucciso ed ebbe sepoltura in Capodistria. Taddeo marchese d'Este, che lo seguì nel comando, compiè lo sgombro dell'Istria dalle truppe ungheresi e patriarcali, accogliendo Al-bona, ultima sede dell'autorità patriarcale, in volontaria dedizione, e conquistando tutto che del marchesato istriano rimaneva al patriarca, vale a dire Pinguente, Portole, S. Giovanni del Coraeto, Muggia, e Castel Venere. Di tal maniera aveva fine il governo patriarcale, e il marchesato d'Istria passava sotto quel dominio della veneta repubblica, in che s'erano via via mutate l'antica alleanza e la più recente protezione. In compenso delle perdute province della Cargna, del Friuli e dell'Istria, ebbe poi il patriarca, fino allora il più ricco prelato d'Italia dopo il pontefice, l'annuo stipendio da Venezia di 5000 zecchini, così stabilito nel 1445, e la giurisdizione dei castelli friulani di S. Daniele e di S. Vito. _ (Continua) UNIONE DI PICOOLE FORZE Ci sembra questo il titolo più appropriato per tener parola della nostra Società Operaia di mutuo soccorso, che nel suo congresso generale del 24 mese scorso presentò il resoconto dell'ottavo anno di sua esistenza. Anche in quest'anno, che non fu certo dei più lieti per le condizioni economiche del nostro operaio, i conti finali del consorzio presentarono una confortante risultanza. Poche furono le esclusioni dei soci per difetto nei pagamenti, e superiori di due o tre le nuove domande per formar parte della Società. Il numero dei soci restò quindi inalterato, e dall' elenco ne enumerammo 224. Pochi ma buoni; questa è condizione principale per il felice andamento d'un sodalizio qualunque, e più particolarmente per quello che porta scritto sulla sua bandiera Lavoro e Mutualità. Dal serio e conciso discorso del benemerito presidente D.r Pietro de Madonizza, apprendemmo come la Società abbia tenuto iu ogni incontro fermo il suo programma, sì da presentare oggi le maggiori garanzie di uu prospero avvenire, e di meritarsi un titolo di benemerenza al decoro cittadino. Il movimento sociale durante l'anno decorso ci presenta un introito complessivo di fiorini 2463.08, ripartito in fior. 2108.78 per incassi di contribuzioni settimanali e tasse d'ingresso dei soci; in fior. 294.30 per interessi sopra il capitale risparmiato;ed in fior. 60 per pigione dei locali subaffittati. Di fronte figura un esito di fior. 1745.85, suddiviso in fior. 1234.40 per sussidi a 71 soci che caddero ammalati durante l'anno; in fior. 300 per emolumenti al medico ed al cursore; in fior. 140 per affitto dei locali d'ufficio; in fior. 40.20 per oggetti di cancelleria e stampe; ed in fior. 31.25 per spese straordinarie ed imprevedute. Durante l'anno furono capitalizzati fior. 653; e la rimanenza di cassa da passarsi in conto nuovo — fatta'sottrazione degli esiti complessivi, compreso l'importo versato a capitale, dagl' introiti ai quali vanno uniti fior. 476.80 rimasti in cassa alla chiusa dell'anno antecedente — presenta la cifra di fior. 541.03 Ecco dunque il frutto del paziente risparmio fatto nel breve corso di un anuo da pochi operai colla piccola contribuzione personale di 20 e 12 soldi per settimana. Essi possono veramante compiacersi, e quasi diremmo andare crgogliosi di queste economie, mercè le quali viene assicurato ad ognuno di loro un valido aiuto nei momenti più difficili della vita. L'unione dei piccoli risparmi collo scopo dello scambievole soccorso, costituisce per l'operaio una possidenza, che lo pone dal lato del benessere materiale al livello delle classi più ambienti, e nell'ordine delle considerazioni morali, lo rende in società superiore d'assai a quello che amministra e gode i frutti d'un patrimonio proprio. Infatti fino a che l'operaio è sano, può col lavoro delle sue braccia, meno rare eccezionali circostanze, mantenere sè stesso e la sua famiglia; e se per disgrazia lo colpisce una malattia, esso ricorre con diritto al sussidio di quel capitale eh' è il frutto d'un comune risparmio. In tale caso il principio di solidarietà s'appalesa nelle sue forme più nobili, perchè il fratello ricorre all'aiuto del fratello, assicurato dall' onesta compiacenza di contribuire contemporaneamente pur esso allo scambio del soccorso. La fortuna del godimento dei frutti d'una possidenza stabile, cui tutti certamente non possono aspirare, si risolve !pel mirabile congegno d'un associazione di j mutuo soccorso, in un fatto per tutti coloro i che vogliono perteciparvi. A raggiungere que-1 sto scopo si richiede certo non poca pazienza, ma l'intento non può fallire, quando non manchi il buon volere e l'unione. E il buon volere e l'nniono riportano sicura vittoria, quando alle viete gare individuali, elevate da qualche malevolo scaltro a questioni di dignità personale, alle compassionevoli ed in uno ridicole superiorità di sedicenti partiti, fomentate più spesso per frivole cause da qualche nascosto e potente nemico, si fa strada nell' animo dei più quel beninteso amor proprio, capace di tolleranza e sacrificio per il raggiungimento d'uno scopo di benessere comune. Uno sguardo retrospettivo alla vita del j consorzio di cui teniamo parola, sarà la prova ; migliore delle verità da noi sopra accennate. Il 10 decembre 1869 si costituiva qui con apposito statuto la società operaia di mutuo soccorso. Nei decorsi otto anni di sua esistenza il numero dei soci paganti si mantenne sempre al livello attuale. I principi, sempre difficili, furono si felicemente superati da presentare colla chiusa del primo anno il bello introito di fiorini 1828.79 con un netto risparmio di f. 1000 depositati a capitale fruttifero. Da questo primo faro confitto nel vasto pelago del risparmio, la Direzione della Società presagì un lieto avvenire, e gli onesti e buoni operai si strinsero attorno, fiduciosi nel motto "chi ben comincia è alla metà dell'opra,,. I benefici del soccorso si fecero sentire, e subito nella seconda metà di questo primo anno s'erogarono in sussidi di malattia fioriui 323.20. Nel secondo anno, i soli incassi delle settimanali contribuzioni salirono a f. 2856.34 e si distribuirono sussidi per f. 1743.24 aumentando il fondo capitale di altri f. 1122. Lunga ed inutile sarrebbe ora l'enumerazione dei singoli incassi, sussidi, e risparmi annuali del benfico sodalizio, senza del quale più d'uno dei nostri operai si sarebbe trovato in questi ultimi tempi di scemati guadagni fra le dure strette della miseria ; ma interessante ed eloquente assai riescirà un cenno numerico sul movimento complessivo degli otto anni decorsi, per mostrare in primo luogo a tutti la verità del nostro asserto, per invogliare molti all' associazione ed all' economia, e per presentare, a coloro che costantemente vi parteciparono ,una bella e ben meritata medaglia al valore del lavoro, della perseveranza, e del risparmio. Le piccole gocce dei 20 e 12 soldi, raccolte settimanalmente presentano ora l'imponente complessivo incasso di fiorini 20267.20, nel quale importo i sussidi esborsati per malattia figurano con fiorini 8881.90, e la sostanza sociale, compreso il fondo di cassa dell'anno testé decorso, con fiorini 8525.43 e la rimanenza, spesa in emolumenti al medico ed al cursore, in affitto dei locali, in oggetti di cancelleria e stampe, ed in altre imprevedute. Questi possono ben dirsi i miracoli del risparmio coll'unione di piccole e deboli forze, e ben maggiori e quasi duplici avrebbero potuto essere, se tutti coloro che s'in- scrissero nella matricola sociale, che porta il numero progressivo (comprese le ripetizioni dei sortiti e ritornati) di 487, avessero saputo e potuto perseverare nel primiero proposito. Tuttavia i rimasti hanno di che confortarsi, e sperare che il loro esempio trovi larga imitazione, per veder accrescere quel cumolo di benefici, che tanto maggiori saranno in avvenire, quando cioè la Società, dopo il suo decennio di vita, oltre agli ordinari sussidi di malattia, darà istituzione al fondo delle pensioni onde sovvenire l'operaio che per infermità fosse reso impotente al lavoro. L'infelice costretto oggi di stendere la mano all'elemosina, e subire tutte le umiliazioni della miseria, troverà allora con diritto l'appoggio in una istituzione che fu il frutto de' suoi risparmi giovauili e quello de' suoi collegbi; e nella sua umile condizione, ricordandosi dei tempi felici, benedirà il momento quando, nella baldanza giovanile gli sorse la prima idea dell'associazione e del risparmio. Coraggio dunque operai, e avanti ben serrati sotto la vostra bandiera, che porta il motto: Lavoro e mutualità. c—1. mnk—2fe&rla&£a—F&tEia La città, la provincia e la patria sono, diremmo, tre circoli di graduale ampiezza (trattiamo l'argomento soltanto dal lato morale), nei quali pochi sanno entrarvi in tempo opportuno, e pochi sopra tutto sanno rimanere in ciascuno di essi quel tanto che occorre, o dall'uno all'altro passare e far passare secondo il bisogno. Vi sono di quelli, la cui mente non esce mai fuori della cinta della loro città; ve ne sono altri che riterrebbero quasi delitto se (anche a costo di commettere grettezze e di opporsi all'incalzante e benefica forza degli e-venti) non si occupassero in provincia e colla parola e colla penna esclusivamente della provincia; ed innoltre v'ha chi vive sempre collo spirito fuori della città e della provincia, e da esse si trovano quasi quasi, per lo più in apparenza, svagati. Tutti questi certo trasmodano: gli ultimi peraltro, qualora l'opportunità sia reale, danno prova anzi, secondo noi, di patriottismo illuminato. Frequenti, grazie a Dio, e fruttuose sono le imprecazioni contro il così detto campanilismo; ma a nessuno ancora venne l'idea di disapprovare il cieco provincialismo, quanto utile un tempo, altrettanto ora nocivo. A favore del provincialismo molti anni addietro (ed allora era molto del caso) giovani e vecchi spinti da verace amor di patria, che sarà sempre ammirato e imitato, sermonavano e scrivevano enfaticamente. I tempi peraltro cangiarono e cangiano : quegli incitamenti, a-vendo già ottenuto (e forse con sovrabbondanza) il loro intento, ora non riuscirebbero più scosse elettriche, ma solo razzi rettorici, e dannosi perchè le loro conclusioni troppo sature di imprese pastorali potrebbero invischiare sulle poltrone chi cerca il più piccolo appiglio per restarvi. Nell'epoca adombrata, l'unica guisa di preparazione e di salvaguardia era appunto quella che veniva inculcata quale unica meta : lo studio delle cose antiche ; ma presentemente l'amore per le cose antiche è già radicato fortemente in provincia, essendo esse le glorie del passato ed i simboli dell'avvenire. Non si può quindi negare che non giovi, anzi che non sia indispensabile il dare sempre maggiore sviluppo a sì importanti adopramenti, e che ogni nuova pergamena, ogni nuova pietra non debba procurare soddisfazione e conforto; ma d'altro canto bisogna persuadersi non essere bene che tutte le forze, grandi e piccole, collimino e vengano impiegate adesso in ciò solo, e fa d' uopo ammettere e dichiarare acconcia anche qualche sbirciatina data fuori di provincia, colla quale, per esempio, facciasi brillare, sia pure per vie indirette e arenose (sulle quali, chi vuole, vede pure rapporti non inutili, e buona fonte di erudizione) colla quale sbirciatina, diciamo, facciasi brillare le glorie contemporanee della grande famiglia là ove i pregiudizii, ori- ginatì dalla lontananza e dagli animi abituati alla depressione, sconfortano quell'importante sentimento, che sempre vivo devesi mantenere, approfittando di qualsisia mezzo onesto e serio, e che invece lo si esinanisce, il più delle volte, col limitarlo costantemente a cerchia angusta - o colla quale, per citare altro esempio, si tenti di unire, ai noti scopi, le forze della provincia nostra con quelle di altre vicine. Il programma più utile, più necessario, è, anche in questo campo, la divisione del lavoro, fatta patente dalla scienza economica e dai suoi ottimi effetti; e sopra tutto il lasciare ad ognuno libertà di fare quello che può, che sa, e che, dietro peculiari considerazioni o circostanze, crede di dover fare ; e non misurare le stoffe nuove coi bracciuoli vecchi, e poi redarguire la sapposta scarsezza con gratuite e poco velate censure. Ed ora l'associazione delle idee ci fa ricordare di avere inteso taluno, contro tutte le aspettative, dichiararsi contrario all'unione delle tre Società Alpine litorane in una sola, e preferire la tisichezza della nostra con suggerimenti che nulla hanno di pratico e che attestano come il loro autore non abbia saputo tener conto dell'ansia dominante, la quale non può che ridersi dei progetti patriarcali. L'epoca attuale (almeno pel momento) esige, pel bene comune, più larghezza di sguardi, più vastità di fatti concreti. E qui appunto sta il perno delle considerazioni, per la cui pertrattazione ci manca l'inchiostro, e siamo quindi costretti a troncare il ragionamento prima di averlo potuto svolgere compiutameute. u> Il ritorno dall'Africa*) del capitano Sebastiano Martini (Fine V. il JV. prec.) Il capitano Martini ha fatto pure una preziosa conoscenza cogli Adal. È un popolo che differisce da quello dei Somali, poiché ha maggior robustezza fìsica maggior fermezza di carattere, una lingua diversa. Il nostro simpatico viaggiatore ha fatto il seguente racconto ad un amico : "Alla Missione cattolica in Adal, potei vedere giovanissimi alunni Somali leggere musica, accudire a diversi mestieri; li sentii cantare inni sacri in lingua inglese, parlare in francese. Conoscevano i numeri ed eseguivano le preliminari operazioni con mirabile prontezza e vivacità, e grazie alle paterne e intelligenti cure dei Padri di quella missione, i piccoli selvaggi presto saranno in grado di essere utili a sè stessi ed ai loro simili. "Il superiore ci disse aver riscontrato nei suoi piccoli protetti una precoce intelligenza, ma che per fiungere a quei risultati aveva dovuto secondare incostanza del loro carattere col farli cambiare spesso durante la giornata di occupazione, alternando j studio, lavoro e ricreazione. "In quanto alla religione praticata dei Somali e degli Adal, benché si pubblichi e si ritenga essere la mussulmana, da quanto ho potuto indagare mi è risultato come essi provino quell' alto sentimento, innato nell' uomo, dell' esistenza di uu essere supremo, e dell' Islamismo abbiano soltanto una debole e vaga conoscenza, e li ritenni più mussulmani di nome che di fatto.. * * * Il capitano Martini tornò in Italia, per la prima volta or sono 18 mesi e dovette sottoporsi al lungo viaggio per assicurare l'esito della prima spedizione, iniziata dalla nostra Società Geografica. Vi è tornato ora per la seconda volta, sempre collo stesso nobilissimo scopo e per secondare 1' alto e generoso desiderio del Re Menelik, che vuole ad ogni costo il soccorso della civiltà europea per sollevare il suo popolo dalle barbarie a cui lo condanna un Governo supremo, implacabile, circondandolo di uu cerchio di ferro, che avventurosamente può essere spesso spezzato. Le notizie della nostra spedizione sono piene di trepidarne. Il capitano Cecchi compra a prezzo di sacrificii indicibili la gloria e la fama, che si è fatta attorno al suo nome. La ferita alla mano dell' ottimo marchese Antinori si è riaperta; è sperabile che le condizioni della sua salute, ora alquanto deplorevoli, diverranno presto migliori. E or sospendiamo queste note raccolte in fretta. Ci è mancato il tempo per dire tutto ciò che volevamo dire oggi: la nostra indiscrezione favorita da un amico ci ha profittato. Quanto al capitano Martini, dopo avere scambiato con lui poche parole, gli abbiamo detto: — Vedo che deve partire, lo lascio! Ci ha risposto, però con un certo tuono di benevolenza: *) Proprietà letteraria Illustrazione Italiana (N. 10 marzo). — V. la nota fatta nel N. 25 novembre 1877 dell' Unione. — Bravo. In questa parola ci è tutto l'uomo. A onore del vero dobbiamo dire del resto che durante la nostra visita, egli occupatissimo intorno a' suoi bagagli non ci aveva ascoltato e non si era accorto neppure che parlavamo col suo amico e che avevamo spinto l'ardimento fino a gettar l'occhio sopra una lettera, scritta dal Martini prima del suo arrivo, e mostrataci dall' amico comune. Domani faremo altre rivelazioni. Il capitano Martini è un uomo a cui i Romani, che si aspettavano tutto da quella terra delle meraviglie e del mistero, avrebbero potuto liberamente rivolgere la loro famosa domanda: quid novum est Africae? Firenze, 2 marzo Seguiamo il Martini ne' suoi viaggi. Ora comincia il dramma. Egli può dire poco degli Ita Galla, dei Vollo Galla e dei Galla, poiché la spedizionè italiana ha appena attaversato, correndo, il loro territorio. Tutto l'attraeva a rimanere, ad osservare: prodigi di uomini, di animali, di vegetazione; ma non fu dato ai nostri di farvi un lungo soggiorno. Essi però videro abbastanza per ridire che quei popoli sono coltivatori di terreni fertilissimi, scavano il ferro, lo lavorano e strano contrasto ! sono pure eccellenti nel lavoro in giunco, in paglia, in terra cotta, in legno. Possiedono prosperose razze di bestiame, buonissimi cavalli, che formano il loro miglior mezzo di guerra. E in guerra sono sempre, non a sfogo di barbare passioni — come insinuano là gli Abissini — ma per difendere i pro-prii diritti, sottrarsi al continuo pericolo che li minaccia di essere ridotti in schiavitù; ai cui orrori, per ben due volte, nello spazio di due anni il capitano Martini ha dovuto assistere col cuore esulcerato. Il dì 6 dicembre 1877, mentre un leone entrato nella foresta, in cni era accampato, la riempiva de' suoi rugiti, il capitano Martini raggiungeva a Detarà la carovana abissina, che insieme ad un'altra di schiavi — condotta da un figlio di Abu-Beker, pascià egiziano, emiro di Zegla—doveva scortarlo sino alla costa. Non tardò ad essere funestato da scene strazianti. Al passaggio dell'Howasee tre schiave dopo aver patito offese gravissime fuggivano di notte tempo, ma poche ore dopo raggiunte, condotte nel campo, condannate „a bere l'acqua, cioè ad esser legate e gettate nel fondo del fiume, da cui non furono sollevate se non dopo cessato il moto della corda a cui erano affidate. Fortunatamente tutte e tre scamparono alla morte, e due giorni dopo il capitano Martini le vide girare per il campo pallide, cupe, ma sane in apparenza. Più tardi, egli diceva, alla stazione di Lali-ballà una di esse potè effettuare di notte tempo la fuga, ma come avrà potuto scampare alla fame e agli animali feroci? * * * Sebastiano Martini non è soltanto un uomo di molto, di raro coraggio, è un uomo di grandissimo e rarissimo cuore. Erano in viaggio. Le febbri le dissenterie, il vaiulo cominciavano a mieter vittime fra quegli infelici ed egli li vedeva non solo privi di soccorsi necessari, ma così malaticci o gravemente infermi, abbandonati con sprezzante indifferenza in deserti ove le fiere dovean metter fine ai loro mali. Qualche volta erano legati nel modo più inumano, gettati a bisdosso dei cammelli; alcuni sbattuti, straziati da quel moto violento, causa di una continua dolorosa confricazione della testa e di tutto il corpo contro gli angoli delle casse su cui erano legati di traverso, gettavano urla disperate. E noto che la vita dei viaggiatori è in quei luoghi insidiata ad ogni minuto. Neppure la più stretta prudenza basta sempre a salvarla. Pure il Martini incurante di sè, dimentico di ogni cautela, ordinò agli impassibili cammellieri di fermarsi. Gli Italiani adagiarono gli ammalati sopra appoggi improvvisati coi sottoselle delle loro cavalcature e con quanti oggetti, panni di cui poterono disporre. Il Martini rimproverava i padroni disumani e ne aveva vane promesse di più mite condotta; vane, poiché la loro crudeltà obbligò gl'Italiani per tutto il viaggio a sorvegliare e provvedere del loro meglio ad ogni movimento, a raccogliere e trasportare sui loro midi gl'infelici lasciati in abbandono. Pur troppo non era possibile riparare a tutto. Ma la filantropia, la generosità italiana hanno scritto una bella pagina che non sarà cancellata sulla sabbia di quei deserti. A noi spetta segnalare alla riconoscenza, all' ammirazione il nostro concittadino ed i suoi compagni di abnegazioni, di stenti, di lunghe lotte e di scarse ricompense. Ma che parliamo di ricompense? Essi sono pronti a scrivere il loro nome e quello della patria, magari col proprio sangue, in quelle regioni inospitali, nella lista gloriosa che esse ebbero dei martiri della civiltà e della scienza. * * * Sin dal suo arrivo nella carovana, il Martini non lasciò nulla d'intentato. Prevedendo ciò che stava per accadere, pregò capi e schiavi di avvertirlo, ai primi sintomi di qualunque male, chè egli avrebbe cercato di porvi rimedio. Ma le sue offerte per diffidenza verso i bianchi e verso tutto ciò che provenga da essi, oggetti, medicine . . . non furono accettate, se non quando a ciò gli astrinse il terrore di dover tutti da nn giorno all'altro subire la sorte dei loro compagni che di ora in ora perivano nel viaggio. Gli enetti del laudano, del chinino, dell'emetico, della clorodina, del solfato di zinco, li fecero presto persuasi della bontà dei rimedii offerti dai bianchi. Cessata ogni diffidenza, ogni repugnanza. uomini e donne entravano nella tenda del capitano Martini e chiedevano medicine. La Tallux, piccola schiava dell'età di dieci anni, un vero demonietto incarnato, ogni momento frugava nella tasca, dove erasi accorta che il Martini aveva nascosta la busta delle medicine. Le prendeva, le distribuiva alle sue compagne: tutto fuoco, tutta attività. La fiducia delle schiave negli Italiani divenne tale che cominciarono ad impiegare ogni mezzo per essere comperate. — Perchè non vuoi comperarmi? — fece'domandare al Martini dal dragomanno una delle ragazze abbandonate, che il nostro capitano aveva raccolte e in pochi giorni guarite. — Perchè i bianchi non comperano i loro simili — rispose Martini. — Ebbene — essa replicò — tanto > voleva lasciarmi morire: mi uccideranno. Ecco i terribili quadri della schiavitù. « * * Il Martini ha scritto in una sua lettera: "In Aden fui ben contento sentire come l'Europa tutta si sia data la mano per l'esecuzione del decreto oramai da tanto tempo emanato dalla civiltà per l'abolizione di quel traffico maledetto, ed a me ancora sotto l'impressione di tanto disperato dolore non resta che l'impazienza di assistere al compimento della redenzione africana.. La storia che ridirà i nomi degli Europei, i quali contribuirono a diffondere in Africa la civiltà, e conciliarono quelle genti alle massime della dignità umana, con esempi illustri di i corraggio e di slanci del cuore, raccoglierà anche il simpatico nome del nostro Sebastiano Martini. Egli ha fatto più di molti, meno di pochi. Ha sacrificato ad uno scopo fecondo, ammirevole, la sua forte giovinezza, i sorrisi della patria, !e dolcezze della vita agiata. Oggi non si saprebbero lodare abbastanza i saldi propositi, cosi gagliardamente effettuati. Sebastiano Martini onora la patria dei Sigoli e dei Frescobaldù In 18 mesi, come facemmo notare anche ieri l'altro; egli è venuto due volte per presentarsi alla Società Geografica. E si ripensi che questa seconda volta, soltanto per recarsi dal luogo dove era co' suoi egregi compagni sino alla spiaggia, ha dovuto impiegare tre mesi. Tre mesi, e tutti sanno di quali viaggi, fra quali rischi e fra quali intemperie! ... E fra pochi giorni, sarà la terza volta in viaggio per tornare nel cuore dell'Africa a sentire cantare dai leoni l'aria dell'„Aida": Là tra foreste vergini! . . . Altro che i Fiorentini, i quali si stancano di andare a piedi sino al piazzone delle Cascine! E qui finisce ciò che possiamo dire. Jarro. La cessata del soccorso» L'utilissima istituzione così intitolata e qui istituita nel decembre 1865, andò poi per progressiva gracilità cessando a motivo indiretto delle sorvenute turbe politiche, cioè per l'allontanamento dapprima coattivo e poscia volontario di Carlo Combi, il suo fondatore e zelante fautore. Scopo della società era quello di soccorrere tutti i poveri della città, compresi i vergognosi, con cibarie, vestiti, legna e denaro. Ciascun sestiere aveva un comitato di probi, ai quali spettava verificare il bisogno del ricorrente e sovvenirlo nel modo più acconcio, facendo poi riferta nelle periodiche a-dunanze; e l'agiato versava settimanalmente nella cassa sociale, a mezzo di apposito riscuotitore controllato, quell'importo qualsisia ch'egli prima era solito distribuire nello stesso periodo di tempo ai poveri, non di rado ingannato da simulazioni, e che talfiata negava, per impazienza o per esaurimento della somma fissata, a chi in realtà non mentiva nello stendere la mano. Per tale guisa l'agiato si procurava la gioiosa certezza che, mentre la sua cucina esalava odori appetitosi o quando se ne stava leggendo o dormiglioso sotto le tepide coltri, nessuno de'suoi concittadini a-vrebbe patito fame o freddo; per la via egli non veniva importunato e rattristato dalle facce sparute chiedenti pane; ed aveva la soddisfazione di concorrere ad impedire la pubblica questua (tanto lesiva il decoro cittadino) senza timore, mercè dello studiato ed equo ripartimento, che la di lei repressione divenisse atto inumano, e di far palese così indirettamente ai forestieri, coi fatti, la civiltà del luogo, che, sebbene non ricco per industria e commercio, libero pur trovavasi dalla piaga dell'accattonaggio e dalle sue immorali conseguenze. Ma contrarietà pervicaci a diserzioni vergognose, le une e le altre inesplicabili (qualora non si voglia forse attribuirle al disgusto di vedersi tolto uno dei più alti e comodi sgabelli per raggiungere grado cospicuo di popolarità col fare l'elemosina in persona) aggiunte alle cause sopra menzionate, annichi-lirono-fino a morte la caritatevole istituzione ; istituzione raccomandabile a tutte le piccole città, il cui erario non è in forza di dar lavoro o di erigere adeguati stabilimenti di beneficenza. Oggi che, pur troppo, continuano e certo s'accrebbero le cause che rendono qui numerosa la povertà, chi volesse occuparsi a rimettere in vita quella pia istituzione, farebbe opera veramente filantropica, e bene meriterebbe della patria. A tale intento, e nella speranza che l'iniziativa sorga in qualche gruppo di cittadini, ne abbiamo tenuto parola. Nell'archivio comunale trovasi lo statuto sociale. Ai volonterosi adunque l'estrarlo e il far rivivere la pia e tanto utile società, che potrebbe avere vita rigogliosa sotto il valido patrocinio del Municipio. _ Illustrazione dell' anniversario Giuseppe Bai-etti nacque a Torino nel 1716. Passò 1' adolescenza tonsurato; poscia, svestitosi, s'applicò alla giurisprudenza, e anche da questa lo tolse la naturale irrequietezza da cui era dominato. Fuggito dalla casa paterna si recò a Guastalla presso uno zio, il quale vistigli famigliari i versi del Marini, lo distrasse con altri autori, tra cui il Berni, e di questo tosto s'invaghì. Pare che tale circostanza abbia deciso dell' avvenire del Baretti, facendogli sorgere gli estri giocosi, che in seguito pel suo temperamento stizzoso e battagliero, lo condussero alla mordace e focosa censura, buona secondo lui (e come in gran parte i fatti lo dimostrarono) a correggere i difetti letterarii dell' epoca, ed a spazzare le carabattole arcadiche, risuscitando il buon gusto; ma che gli procurarono noie e inimicizie molte. Peregrinò, trovando si cibo copioso per la mento ma scarso per lo stomaco, sicché di continuo cercava impieghi che stessero in rapporto conveniente cogli studii cui dava opera; ed una volta per esempio, dovette rassegnarsi di fare a Cuneo la custodia ai magazzini militari. Scrisse anche in francese ed inglese; conobbe appieno, oltre al latino, il greco. Le battaglie letteraria che offriva e audacemente sosteneva, finirono col risolverlo ad abbandonare l'Italia disgustato: andò a Londra e se ne stette lì un decennio. Vi aperse una scuola di lingua italiana. Salito in pregio, ottenne in quella città un segretariato accademico che gli fruttava buon emolumento. Trascorso il decennio, passando il Portogallo, la Spagna e la Francia, venne di nuovo in Italia; e questa è l'epoca in cui scrisse la famosa Frusta letteraria col pseudonimo di Aristarco Scannabue, periodico in cui demolisce ed e-salta, non sempre con buon criterio (valga l'esempio del celebrare che fa Carlo Gozzi deprezzando Goldoni), i lavori de suoi corteinporanei e degli antichi. La frusta letteraria non è scevra di mondiglia e di stranezze; di essa i giovani non s'invaghiscano: la leggano ma con accortezza per non acquistare un giorno l'abitudine ed il gusto alle critiche subitanee e sguaiate ; e ne tengano conto solo per appren dervi buona foggia di stile. Ed ora nomineremo le sue opere principili. Tragedie di Pier Cornelio tradotte, — Poesie piacevoli — La voix de la Discorde, ou la Battaille des viólons — A Vissertation upon the I-talian Poets etc. — The Italian Library, containing an Account of the Lives and Works of the most valuable Authors of Italy etc. — A Dictionary of the English and Italian Languages — Lettere famigliari ai suoi tre fratelli — An Account of the manners and customs of Italy etc. Con questo lavoro egli ribatte delle idee manifestate intorno al popolo ilaliano dal dottor Sharp con leggerezza e che riuscivano ingiuriose. Morì a Londra settuagenario. II Fiumicino (ossia il torrente Coma-lunga). — Dall'i, r. Luogotenenza fu trasmesso il relativo piano tecnico alla Giunta Provinciale, la quale lo fece pervenire al nostro Municipio acciocché almeno i principali interessati esternassero il loro parere, prima di sottoporre alla Dieta il progetto di legge con cui dovrà essere reso obbligatorio il Consorzio; e i principali interessati, radunati dal Municipio il 24 marzo decorso, incaricarono un comitato di 20 proprietari! ad esaminare il detto piano, e quindi riferire le conclusioni al Municipio, che lo ritornerà alla Giunta, di esse corredato. L'i. r. Luogotenenza prelimiuò pei necessarii lavori di regolamento la somma di fior. 45000, ed una annua di fior. 450 per la manutenzione. Così avrà fine la centennaria questione del regolamento di questo torrente, regolamento interessante i proprietarii di fondi nelle valli di S. Ubaldo, Montignano, Centora, Manzano, Tri-bano, Tricola, S. Barbara, Pradissiol, Tolpi, Vergaluccio, Campo Marzio, Perariol, Piasentin, Pasturano, e innoltre di saline. Società Alpina. — Dopodomani 11 aprile alle ore 11 ant. avrà luogo in Albona la II adunanza generale col seguente Ordine del giorno: 1. Inaugurazione del congresso — 2. Lettura ed approvazione del verbale della prima adunanza generale — 3. Resoconto morale della società — 4. Resoconto economico (consuntivo dell'anno 1877-78 e preventivo per l'anne 1878 -79) — 5. Discussione ed adozione del regolamento interno o d'altro regolamento sull'uso degli oggetti sociali — 6. Elezione della direzione sociale e costituzione della medesima. — 7. Scelta del luogo di riunione della prossima generale adunanza — 8. Eventuale organizzazione d'una passeggiata alpina — 9. Eventuali altre proposte, di cui fosse votata l'urgenza. La Soeietà operaia di Parenzo. — Questa fiorente società si radunò in congresso generale il 19 marzo p. p. Dal Resoconto rileviamo essersi la sostanza accresciuta durante il decorso 1877, di fior. 520.30; essere stati i snssidii per malattia (fra denaro e medicinali) di fior. 550.57; che la sostanza alla fine del dicembre ammontava all' importo di fior. 2246.15; e che nella rubrica "passivo,, spiccava la bella parola nulla. Patrocinata, come fu sempre, da diligenti filantropi, essa ' non potrà che sempre più prosperare; e ciò le auguriamo di tutto cuore. Pia fondazione Grisoni. — Sabato 4 ; maggio p. v. avrà luogo la consueta estrazione delle sei doti di fior. 210 l'uiia, statuite dalla defunta contessa Marianna Pola - Grisoni. Vi possono aspirare (insinuandosi presso l'Officio Parrochiale non più tardi del 15 aprile corr.) tutte le ragazze e vedove di costumi onesti nate nel 1857, purché nate a Capodistria o ne abbiano conseguita la cittadinanza. A S. HI. la Regina Margherita rese 1' omaggio la signorina Erminia Bazzocbi, maestra nelle scuole cittadine di Trieste, d' inviare il volume delle sue poesie; e la Regina, a mezzo del sig. marchese Villamarina, suo maggiordomo, fece pervenire alla gentile poetessa risposta assai lusinghiera. Ragni istriani. — Riportiamo intanto dall' Adria del 6 corr. il cenno che segue sulla lettura fatta dal chiarissimo D.rLorenzutti al Gabinetto di Minerva a Trieste sulle acque e sulle terme esistenti tra l'Isonzo ed il Quar-naro, riservandoci poi, se la speranza manifestata nell'articolo avrà (come è generale desiderio) compimento, di dsre ai nostri lettori notizia della dissertazione stampata.—"L'esimio dott. Lorenzutti, che continua le belle tradizioni del padre, di cui è ancor viva in Trieste la memoria, venerdì a sera, nella saia del Gabinetto di Minerva, diede lettura, innanzi a scelto e numeroso uditorio, d'un suo pregiato lavoro sulle acque di San Stefano, Isola e sulle Terme di Moufalcone, lettura che venne accolta con sommo favore, e per le preziose cognizioni sulla formazione geologica dei monti dove scaturiscono quelle acque e l'analisi chimica di esse, e l'accurata storia del loro passato fino a noi e per le grazie dellostiie, onde è poeticamente in più luoghi infiorato il lavoro; ma sopra tutto pel sentimentoche dettavaquelle pagine, e per la verità che vi fu detta francamente, sorprendendosi che si dirigano gli ammalati ad acque lontane d'incerto beneficio, mentre si hanno d'intorno a Trieste fonti sì vitali e di gran lunga riconosciute migliori.„ "Ciò che ci piacque notare in quel numeroso uditorio si fu la presenza di alcuni consiglieri comunali inviati dal Municipio di Moufalcone a provare quanto gli stia a cuore I ciò che tocca all'interesse della sua patria. A quei signori indirizziamo un Voto che — l'amore del loro paese li inviti ad animare 1' intero Comune e la Dieta Provinciale a fare quanto altri Comuni ed altre Diete in casi consimili fecero, non risparmiando spese di sorta per rendere ai bagnanti attraente, confortevole, facile, ricca di ombrosi passeggi e di svariati trattenimenti, la dimora alle acque, con vantaggio e lucro del paese — ed all'egregio dott. Lorenzutti esprimiamo il desiderio che voglia accordare alla stampa sì prezioso lavoro per utile di tutti e per eccitamento a cui spetta. „ Teatro sociale. — Vi furono due concerti di piano dati dal dodiceune giovanetto napoletano Giovanni Giannetti, e piacquero assai e grande ammirazione destarono. Egli palesò tutti i requisiti, che un giorno, se normeggiati da studio accademico, lo faranno forso divenire una gloria musicale della classica terra. Al secondo concerto presero parte diversi gentili filarmonici sotto la direzione del benemerito maestro Cžastka con programma prelibato: dicemmo "benemerito, al sig. maestro non già per ottemperare alle solite convenienze della cronaca cittadina, ma tale essendo in realtà, imperocché ogni qual volta la filantropia lo chiami, o il decoro cittadino lo chieda, o per le pubbliche ricreazioni lo si inviti, egli è sempre pronto a prestarsi quantunque non gli manchino occupazioni numerose presso le i. r. Scuole; e venne molto applaudito nell'ardua Fantasia di Berict, che suonò sul violino accompagnato dal piccolo pianista. I Filarmonici disimpegnarono' eccellentemente il loro non facile compito : traessi ebbe occasione di farsi applaudire in modo particolare il giovane allievo Giovanni Paro-vel, il quale suona la cornetta in guisa da dovergli fare i più lieti presagi. Bollettino statistico municipale di Marzo Anagrafe — Nati (Battezzati) 32 ; fanciulli 16, fanciulle 16; — morti 32 : maschi 14 (dei quali 4 carcerati), femmine 3, fanciulli 7, fanciulle 8.— Matrimo-nii. 1 — Polizia. Denunzie in linea di polizia sanitaria 1; in linea di polizia stradale 1; per contravvenzione al regolamento sui mercati 1; per minaccio e maltrattamenti 1; di attentato stupro 1; — Arresti-. per rissa 2; per ferimento 1; per eccesi e maltrattamenti 1; per offese alle guardie 1. — Sfrattati 15. — Usciti dall'i, r. Carcere 12; dei quali 5 Dalmati, 2 Stiriani, 2 Triestini, 1 della Croazia, 1 Istriano, 1 del Regno. — I.lcenste: d'industria 2. — Insinuazioni di possidenti per vendere al minuto vino delle proprie campagne 11; per Ettol, 123, lit. 84; prezzo al litro soldi 40. — C'ertiUeati : p»r spedizione di vino 95; Ettol: 160, lit. 33. -- di pesce salato, 5; recipienti 42; Chil. 1925 (peso lordo) — di olio 4 ; recip. 5; Chil. 665 (peso lordo). — Animali macellati Bovi 70 del peso di Chil. 14625 con Chil. 1074 di sego; — Vacche 4 del peso di Chil. 425con Chil. 30 di sego — Vitelli 20. - Agnelli 118 — Castrati 2. Omni iasione. Nei matrimonii pubblicati nel N. prec. venne ommesso quello di Domenico Gemo con Maria Bomano celebrato il 3 febbrajo decorso. Corriere dell' Amministrazione (dal 22 p. p. a tutto il 6 corr.) Trieste. Giovanni de Almerigotti (II sem. del IV anno); Vincenzo Gianni (idem); Maria Marsich-Morsan (I sem, del IV anno). N.° 1961 EDITTO L'i. r. Giudizio distrettuale in Capodistria porta a pubblica conoscenza che i fogli di possesso estesi sulla base dei rilievi locali per l'impianto del libro fondale nel Comune censuario di Capodistria, come pure la rettificata specifica degli stabili, la copia della mappa r.ensuaria ed i protocolli assunti coi singoli possidenti, si esporranno alla pubblica ispezione giusta, il disposto del §. 28 della legge 11 marzo 1875 N.° 29 per 30 giorni, cioè dal 1 a tutto il 30 aprile a. c. nell'Ufficio di questo i. r. Giudizio distrettuale. In pari tempo si destina il giorno 1 maggio a. c. ore 9 a. presso questo i. r. Giudizio distrettuale per gli ulteriori rilievi sopra eventuali eccezioni contro l'esattezza dei detti fogli di possesso coli' avvertimento, che le eccezioni si possono presentare frattanto a questo protocollo degli esibiti o nel detto giorno all'incaricato dei rilievi a voce od in iscritto. Dall' i. r. Giudizio distrettuale Capodistria, 26 marzo 1878 (Oss. Triest.)