Anno II della Nuova Serie XIV della Raccolta Fasc. VI Capodistria, novembre-dicembre 1923 PAGINE1STRIANE Rassegna bimestrale di Letteratura, Scienza ed Arte con particolare riguardo aH'Istria diretta da FRANCESCO MAJER e GIOVANNI OUARANTOTTO L'incoraggiamento del ministro Gentile Nelle gravi difficolta che dobbiamo quasi giorno per giorno affrontare — e vincere — allo scopo di potere, fedeli alla tradizione culturale paesana che modestamente rappresentiamo, mantenere in vita questa rivista, ci fu di grandissimo conforto la calda appro-vazione, non disgiunta da un pratico aiuto, venutaci dali'uomo insigne che e oggi il supremo moderatore della pubblica istruzione in Italia. Ecco la lettera, onde la R. Sottoprefettura di Capodistria ci comunicava di fresco la risposta del Ministero deli'istruzione a una nostra domanda diretta ad ottenere un sussidio d'incoraggiamento: «1 fascicoli della Rivista «Pagine Istriane« sono pervenuti ali'On. Ministero deli' Istruzione Pubblica quando gia, pronunziatasi la Giunta del Consiglio superiore della pubblica istruzione in merito a tutte le domande e alle pubblica-zioni tempestivamente presentate, il fondo disponibile per sussidi d'incoraggiamento, fondo del resto assai modesto, era stato ripartito mediante assegnazioni disposte per i časi piu meritevoli di considerazione e di aiuto.» «Ad ogni modo S. E. il Ministro, per dimostrare quanta simpatia hanno incontrato in lui le finalita che la Rivista »Pagine Istriane» persegue, in un territorio in cui tanto provvida e la propaganda d'italianita e dei valori nazionali, ha disposto che tutto il margine rimasto sull'apposito stanziamento di bilancio, e cioe la somma di lire 700, sia devoluto a favore della detta Rivista, ed esprime il rincrescimento di non poter fare di piu come vorrebbe.» E noi, mentre rendiamo qui pubblicamente le migliori grazie all'on. Ministro, ci permettiamo di additare il suo nobile esempio a quanti, nelle terre nostre, enti e persone, hanno a cuore la fortuna degli studi paesani e la propaganda nazionale. Capodistria, dicembre 1923. prof. FRANCESCO MAJER prof. GIOVANNI QUARANTOTTO H manoscritto dellavv. Francesco Colombis sulle vicende storiche delle isole del Quarnero M'era noto che 1' avv. Francesco Colombis da Cherso, morendo nel 1890 a 68 anni, avea lasciato agli eredi un suo manoscritto contenente cenni e memorie sulle vicende storiche delle isole del Quarnero. lo che mi diletto di tali studi, manifestai vivo il desiderio di possedere per qualche tempo il detto manoscritto, che di fatto stette per parecchio tempo a mia disposizione in grazia alla squisita cortesia del dott. Giuseppe Colombis fu Giorgio, a cui mi preme di rendere qui molte grazie. 11 fascicolo consta di circa quaranta pagine di scrittura mi-nutissima e non tanto facile a leggersi, e tratta per sommi capi e senza un certo ordine gli avvenimenti succeduti nelle isole dai tempi leggendari all'armistizio di Villafranca, dividendo la materia in cinque capitoli: 1 geografia e storia; II protettorato e comuni; III dominio di Venezia; IV impero francese e dominio austriaco; V Lussino e 1'occupazione franco-sarda. Scarso e il valore storico di quanto si narra nel manoscritto, perche 1'autore anziche valersi de' numerosi documenti gia pub-blicati o giacenti nei nostri archivi, ripete quanto gia fu stampato da altri intorno alle isole, cadendo nelle stesse inesattezze e nulla quasi di nuovo arrecando specie intorno agli avvenimenti che nei tempi antichi ed in quelli medievali si svolsero nelle isole flanatiche. Anche la lingua non e scevra di improprieta, e la grammatica pure qualche volta vi zoppica: lo stile poi, spesso studiato ed enfatico, fa desiderare maggior concisione e naturalezza. Ma accanto a tali mende il manoscritto ha il grande ed indiscutibile pregio d'essere tutto pervaso da un alto spirito di italianita e da un disprezzo aperto per l'Austria e per le sue istituzioni: sentimenti tanto piu mirabili perche professati e scritti durante il periodo del piu duro servaggio, mantenuto da un governo sospettoso ed inflessibile. Ed appunto elevate ragioni di riccno-scente amor patrio m'indussero a togliere dalToblio il lavoro dell'avv. Francesco Colombis, che appartenne a quella schiera di forti patriotti, la quale, ignara d'ogni vilta, seppe e volle, imper-versando la tirannide, tenere nell' isola di Cherso alto il culto e le speranze nella Gran Madre Italia. E di tali nobilissimi senti-menti voglio dare alcune prove desunte dall'accurato studio del manoscritto. Dopo aver ricordato che le isole di Cherso ed Ossero per stratificazione e struttura geologica appartengono aH' Istria perche appendici del Monte Maggiore, il Colombis si sforza di provare che entrambi facevano parte della decima regione italica d'Augusto, e «sebbene contro tale asserto si gridera alla bestemmia», insiste che iscrizioni e termini ci porgono sicuri indizi delTessere state le due absirtidi indubbio confine dell'estremo lembo d' Italia al tempo dell'impero romano. Non per niente lo storico Higino par-lando sulle origini di Ossero avea detto: Haec autem insula posita est in Histria contra Polam. E scrivendo probabilmente dopo Lissa, quasi un monito ai venturi, il Colombis «si augura che la storia veneta ed i recenti fatti aprano gli occhi ali' Italia sull'importanza dei lidi istriani e delle isole absirtidi; Venezia per dominare 1'Adriatico si professava sua sposa, e 1'Italia per conservarlo deve adottare una prole che i suoi nemici si sforzano di dichiarare illegittima*. Ed anche per ragioni strategiche, poiche «il dominio delTAdriatico deve cadere o in mani slave o italiche«, e le isole flanatiche sotto tale aspetto sono d'una straordinaria importanza, tanto che «volendo 1'imperatore Carlo VI erigere un porto nell'Adriatico, incerto fra Trieste, Fiume, Segna o Carlopago, gli fu osservato che il cannone puntato a Cherso o a Veglia gliene avrebbe in queste due ultime impedito l'ingresso». La parte migliore del manoscritto e quella che tratta della signoria veneziana nelle isole nostre: 1'autore esalta la fedelta incrollabile e commovente dei sudditi, le leggi sapienti in ogni ramo della pubblica amministrazione, lo sgomento e le lagrime ed il sangue sparso alla caduta dell'amata signora. Speciali lodi ei tributa ai provvedimenti sulla pešca adottati da San Marco, ancora per buona sorte mantenuti in vita dai nostri comuni «in barba ai decreti inapplicabili e strani che ci provengono da Vienna, senza cognizione di causa e di mezzi per esercitare un'industria che vuole piu esperienza che scienza». Chiama utopia il proibire ai bravi Chioggiotti 1'uso della cocchia nell'aIto Quarnero: ma for-tunatamente i Pretori del Cragno indarno si adoperano a mante-nere tale divieto. Ed alludendo alle beghe degli scienziati teutonici su tale specie di pešca, il Colombis, spirito beffardo e sarcastico, cosi continua: «Ma basta in proposito: 1'ardua questione agli anatomici degli anatomizzati scorticatori dei molluschi e degli in-setti marini! Mi dicano soltanto costoro quale e il miglior modo per arrostire gli sgombri?». Molti encomi si tributano pure al dominio francese «che lascio orme indelebili della sua non lunga esistenza. Lo svincolo delle sostanze fidecommissarie, rendendo i beni liberi nella persona dell'ultimo loro possessore, 1'attuazione del codice penale e civile francese colle relative procedure, l'istituzione dei giudici di pace, le attribuzioni delle mairies furono veri progressi«. Vennero inoltre rese piu spedite le comunicazioni con la terraferma e costruita una strada carreggiabile che partendo dall'estremo lembo setten-trionale deli'isola nel porto di Faresina, giungeva ai Lussini: opera d'inestimabile importanza che fu «tracciata ed eseguita sotto la direzione degli ufficiali di guarnigione, con immediato consiglio, senza gli eterni disegni, commissioni e collaudi, di anticipati dispendi, li quali da cinquanta anni ne da saggi ripro-vevolissimi il subentrato dominio«. Poiche appunto, dice il Colombis, «dal 1814 incominciano i beati tempi deH'Austria», e giu una serie di.., complimenti per essa. 11 codice civile fu 1'unica legge fatta per 1'utile e per il bene delle popolazioni, perche il penale «rimase quall'era barbaro ed arbitrario«. A Cherso, Veglia e Lussino si invid «un Commissario distrettuale, arbitro delle mansioni politiche e giudiciarie, il quale veniva ordinariamente scelto dalle felici regioni del Cragno, perche trilingue ed avverso allo spirito delle marine popolazioni... II loro dispotismo, improntato ordinariamente di plebea origine, rifulgeva oltre l'usato nei momenti delle coscri-zioni militari, e 1'animo vendicativo, venale ed al tutto alieno ai patri sentimenti, vi si manifestava coll'impeto di chi comanda in terra straniera>. II sistema tributario «appoggiandosi sul potere amministrativo e politico, offerse in quest'epoca la piu desolante sensazione*. Gli aggravi aumentavano d'anno in anno e per com-piere 1'opera si istituirono «le i. r. dogane con tutto il corredo degli ausiliari satelliti. Io non dico (continua il Colombis) le opprimenti vessazioni che per tale istituzione ebbero a soffrire gli abitanti delle isole, non 1'inceppamento dei traffici tanto di esportazione che di quelli ancor piu necessari della importazione: ma ricorderd, a monumento di pio ribrezzo ai venturi, che, tra altro, in due differenti incontri nella dogana di Cherso vennero dalle guardie sfasciati due bambini dormenti per vedere se entro alle loro fascie vi fossero oggetti di contrabbando; i fanciulli appartenevano alle due famiglie Mitis e Petranich, ch'io nomino a solo scopo di allontanare taccia di esagerato : tanta e l'ignominia del fatto! Con queste istituzioni e con questi non propri magistrati correvano i tempi della pace, interrotta e fugata dalTapparire del 1848». Ma di questo fortunoso periodo, che, come da altre parti sappiamo, ebbe forti ripercussioni anche nell'isola nostra, nulla riferisce il Colombis: non le ansie segrete del popolo oppresso anelante a liberta, non i generosi ardimenti della gioventu studiosa, che, come Francesco Mitis, abbandonava le aule universitarie per accorrere alla difesa di Roma all'appelIo di Giuseppe Garibaldi. Forse al Colombis, anima ardentemente italiana, avra doluto narrare le delusioni e le amarezze di quella grande epoca, a lui che in famiglia, al ginnasio della Madonna della Salute in Venezia e all'Universita patavina s'era educato ed inebriato all'amore della Grande Patria libera ed una. Lo sdegnoso rammarico per il ri-sultato negativo di tante magnanime iniprese, ei compendia con I' indole impulsiva che gli fu propria, chiamando volgari le vittorie austriache in Italia nel '48 e '49. Anche le nuove leggi pubblicate dall'impero dopo quel periodo non trovano quartiere nel mano-scritto, perche »profuse sopra fondamenti e principi che non erano dei luoghi. Infatti nelle isole del Quarnero sopra i principi romani sorsero le singole leggi statutarie che per ben otto secoli la re-pubblica veneta impianto in tutti gli ordini dei propri interessi e delle proprie esigenze, per cui tutto cio che in seguito volle 1'Austria riformare sulla vasta e discordante forma delle sue slave e tedesche provincie, legare non si poteva ad un ceppo che non ne accoglie l'innesto». Bella e originale perche da nessuno de' nostri ancora narrata, e la quinta parte del lavoro, quella che tratta dell'occupazione di Lussino nel Iuglio del 1859 da parte dell'armata franco-sarda. II racconto ha importanza speciale perche il Colombis fu testimonio oculare degli avvenimenti, esercitando egli allora 1'avvocatura in detta citta. Riteago quindi che il riferirne in modo un po' piu esteso non possa tornare discaro. Dopo una verbosa e poetica descrizione delle bellezze naturali dei Lussini, il Colombis ci narra che nella quieta alba del 3 luglio 1859 si presentavano in Val d'Augusto con le micce accese, tra lo sbalordimento degli abitanti, cinquanta navi fran-cesi e sette sarde e molte altre ausiliarie, con circa cinquemila uomini di sbarco. Erano le francesi comandate dal vice-ammiraglio Romain Desfosses e le sarde dal barone Tolosano, i quali, aperti i pieghi nella fermata ad Antivari, aveano ricevuto l'ordine dal governo di Parigi di portarsi nel porto di Lussinpiccolo, scelto come stazione provvisoria delle forze navali alleate. Ma quasi contemporaneamente all'apparire di queste echeggiavano per 1'aria un centinaio circa di cannonate che accrebbero lo spavento degli abitanti. Era la Verly che, ancoratasi a trecento tese o giu di li da Ossero, bombardava i parapetti della Cavanella ed il ponte che univa 1'isola di Cherso con quella di Lussino. Fatto d'armi che induce il Colombis ad esclamare con fiera ed amara ironia: «Questi furono i soli colpi di cannone che la coalizione franco-sarda sparo in quella guerra nell'Adriatico... ed al certo mente umana non avria preveduto che in questo cadaverico nido degli antichi Liburni consumate verrebbon le prime e le ultime muni-zioni della superba intrapresa*. Nello stesso mattino dei 3 vennero a terra due ufficiali, uno francese e 1'altro sardo, che richiesero delle autorita del luogo, ed avendo appreso che gli impiegati del governo si erano allon-tanati dalla citta, presentarono al municipio un piego sigillato per il comandante della piazza. Era il proclama d'occupazione, che steso in lingua italiana esigeva la resa a discrezione di tutti i militari, la consegna degli uffici e delle armi, anche da parte dei privati: agli eventuali bisogni degli abitanti si sarebbe provveduto, purche si fossero mantenuti tranquilli. Chi voleva abbandonare 1'isola poteva farlo entro ventiquattro ore, dandone preventiva comunicazione allo stato maggiore generale della flotta francese, che avrebbe rilasciato i necessari salvacondotti. Dei quali si valsero pochi impiegati subalterni ch'erano rimasti in citta. Alle due del pomeriggio dello stesso giorno furono sbarcati da quattro a cinque mila soldati tra francesi ed italiani, i quali si schierarono nella piazza e lungo le rive, mentre tra il rim-bombo delle artiglierie della flotta ed al suono degli inni nazionali venivano issate sullo stendardo cittadino le bandiere di Francia e di Sardegna cucite insieme, in presenza «dei membri del Municipio e di tutta la popolazione di Lussino, che, colla calma pro-pria dell'indole marina, assistette allo spettacolo cosi nuovo ed inusitato alle genti di non popolosa citta«. Presa indi la parola, il commodoro francese presento agli abitanti il governatore deII'isoIa, raccomandando a tutti di ubbidirgli e di non temere per le private fortune sotto 1'egida della sua militare amministrazione: a presidio della quale rimasero in citta quattrocento fanti, con i quali si formo pure la guarnigione della fortezza pochi mesi prima lasciata dagli austriaci in pieno abbandono. II governatore nei di successivi fece togliere tutti gli stemmi della bicipite e pubblico vari decreti «riconosciuti utili agli interessi momentanei della citta che in quei pochi giorni non ebbe a patire le conseguenze violenti dell'im-preveduto mutare del suo governo». In genere 1'amministrazione franco-sarda fu intesa ad assicurare 1'ordine, la tranquillita ed il benessere materiale e sociale degli isolani «quantunque di quella certi tali ne dissero roba da chiodi: ma furono ingannati o vollero ingannare». La maggiore sopraffazione subita fu quella che alcuni marinai piuttosto alticci non pagarono Io scotto in un'osteria di Lussingrande: ma furono puniti in modo esemplare. Certo non fu sopraffazione il getto dei libri e dei mobili dali' Ufficio del Porto, essendosi per balordaggine ed imperizia di chi ne avea 1'incarico della custodia, lasciata venire per lo sgombero la terza intimazione: e se fu bello spettacolo vedere per quello sgombero coperto il porto di carte, di involti e di libracci che a foggia dei rari nantes del porto veleggiavano sull'onde, fu consolante il pensiero che da cosi fatta piu comica che fatale devastazione, non ne sortirono effetti pregiudiziali e sinistri; ond'e a concludere della necessita ed importanza degli operati scientifici di quella categoria d'impiegati dell'Austria». Ogni giorno per tempissimo un piroscafo partiva alla volta d'Ancona e ritornava alla sera stessa portando la posta e quanto abbisognavano 1'armata e la popolazione di Lussino, in pro della quale il Desfosses fu provveditore operosissimo. Ai cinque la fregata Gily ando in esplorazione a Fiume ed ai sette la bellissima Impetueuse mosse alla volta di Zara per chiedere la consegna della nave mercantile Raoul catturata dagli austriaci dopo la dichiarazione di guerra. «Di questa spedizione, continua il Colombis, ne parlo L'«Osservatore Triestino® di data 9 luglio N. 154 con una sincerita tutta propria del suo costume sull'impazienza degli austriaci di battersi e sui danni sofferti da questo legno. Noi pero che fummo testimoni del suo ritorno pos-siamo asserire che neppure uno degli scagliati proiettili di questa quondam fortezza toccarono il corpo o gli attrezzi della francese fregata«. L/intero naviglio lasciava quindi il porto di Lussinpiccolo per mandare ad effetto il compito principale che gli era stato affidato dai due governi: 1'attacco a Venezia. Ma giunto qui ai 9 di luglio apprendeva con sommo scoramento ch'era stato con-chiuso 1'armistizio di Villafranca. Ritornate tutte le navi a Lussino, al governatore venne confermata la notizia da un ufficiale giunto allora allora con un vapore del Lloyd austriaco. E tosto si ini-ziarono i lavori per 1'abbandeno della citta che fu compiuto nella giornata del 22 luglio. Schierate le milizie nella piazza, tra le salve delle artiglierie ed i concenti delle bande venivano ammai-nate le bandiere delle due nazioni alleate «in mezzo a numeroso popolo che non sapea considerare per nemiche le due potenze che nelle agitazioni 1'avean ben trattato e protetto*. Ai 23 le navi francesi salparono dal porto salutando con la bandiera e con lo sparo dei cannoni la citta, senza che questa rispondesse al saluto. Ai 28 partirono pure le sarde che avevano differito di lasciare il porto per mancanza d'ordine da parte del loro governo. »Cosi (conclude il Colombis con 1'animo certamente afflitto e pensoso) fini questa spedizione nei lidi liburnici, che sara menzionata negli annali della storia e nel ricordo delle isole absirtidi*. E con queste parole ei pure finisce il suo lavoro dopo aver aggiunto i seguenti soli titoli ai molti aneddoti che s'erano svolti nell'isola durante 1'occupazione delle potenze alleate: »Provvista dell'acqua pagata cinque mila franchi. — Visitatori a bordo dei legni da guerra, visite fatte dai preti. — Visite private. — Fanciulle venditrici di fiori. — Nascondimento degli arredi sacri. — L* ammalata nelle vicinanze del forte Kalek per cui i soldati cessarono dallo strepito. — Bacio della mano di un giovane soldato alla Sig.a . . . Porte sbagliate. — Lisciva di una moglie d' impiegato. — Nomi di bat-tesimo. — Lista dei liberali. — Perdita dello stemma della Pretura e suo preteso annegamento: un pezzo pero del medesimo ritrovato sotto al focolajo. — Morti avvenute per discarico da un trasporto, per annegamento o malattia. — Protesta ridicola e pre-miata del podesta di Ossero. — Onorificenza ai podesta di Lussinpiccolo e di Cherso. — Due societa assicuratrici: L' amica societa e la Liburnica*. Da questi titoli abbastanza suggestivi che hanno 1'aspetto di un promemoria, da qualche pagina del manoscritto lasciata in bianco e dai molti punti di reticenza e di omissione che vi si riscontrano, si potrebbe arguire che il Colombis avesse in animo di continuare la sua narrazione, di completarla, di correggerla e di limarla anche dal lato della lingua e dello stile. Ma questo lavoro indispensabile, che avrebbe di molto aumentato i pregi del manoscritto, pur troppo vi manca, e pochi a que' tempi con maggior competenza avrebbero potuto compierlo, inquantoche 1'avvocato Francesco Colombis, a tacere deH'integrita di carattere e del-1'acutissimo ingegno, possedeva cultura vasta e profonda e amore forte e disinteressato al luogo natio. Doti queste che unite alla facita deli' eloquio gli valsero il seggio podestarile conferitogli da' suoi concittadini nel 1864 e ch' ei tenne con onore e in tempi fortunosi fino al 30 Iuglio 1867. Ma non ostante tutti i difetti, il ricordato manoscritto resta esempio mirabile e testimonio perenne della grande anima italiana dell'avvocato Francesco Colombis in tempi calamitosi, in cui il tedesco e croato governo di Vienna tentava con ogni mezzo di spegnere le legittime aspirazioni e la vita nazionale nell* isola che mi diede i natali. Trieste, nell' autunno del 1923 SILVIO MITIS Ricerche fachinettiane Frate Felice e Jocelyn La storia fortunosa del passato offri al poeta istriano Michele Fachinetti 1'occasione di cantar la sua amata terra natia in un breve e commovente componimento idillico, trasfondendovi liberamente tutta la propria ambascia e tutta la propria passione per le tristi condizioni della sua epoca, che se la patria non era piu devastata dagli Uscocchi, i suoi nemici, se anche piu inciviliti, nulla avevano da invidiare a quelli. Le vicende di Frate Felice risalgono appunto ali' epoca deli'irruzione degli Uscocchi, che con anacronismo inutile, ma perdonabile e poeticamente indifferente, il Fachinetti fissa nel 144^ mentre ebbe luogo a varie riprese nel secolo XVI e precisamente a Rovigno nel 1597. L'intreccio semplicissimo si connette con la distruzione di Docastelli, le cui rovine si osservano tuttora presso il Leme, ed e il romanzo doloroso di due anime stražiate, che per forza degli eventi sono bruscamente separate per tutta la vita. Giorgio di Xenandraghi sta celebrando il matrimonio con la vezzosa Lucia de' Bibali, quando le orde barbare irrompono im-provvise nel sacro tempio e in un baleno tutto distruggono, devastano, saccheggiano e dovunque seminano la morte e la strage. Giorgio difende coraggiosamente se e la diletta sposa, ma nel trambusto la perde di vista e la piange morta. Dopo innumerevoli peripezie vaga per 1'Istria, con un solo pensiero fisso, con un'unica debole speranza, di ritrovare cioe la sposa o di averne qualche notizia. A Parenzo si accontenta di pregare «nel gran tempio — opra famosa d'un'altra eta», ma non e minimamente tocco dal «gradevol pallor delle sue donne», a Pola vede «il circo e il dirotto arco de' Sergi e 1'aurea porta e il tempio — sacro ad Augusto —» a Rovigno venera le sacre reliquie della giovanetta Calcedonese, ma sempre con la morte nel cuore. Dopo u,n lungo peregrinare arriva al convento della Madonna dei Campi presso Visinada e trova un frate, gia suo compagno di giuochi, che lo persuade a cercar la pace del cuore lungi dal mondo fallace fra le tranquille mura del cenobio. Cosi accade. Dopo qualche tempo Giorgio, divenuto frate Felice, riconosce la sua sposa in una donna poveramente vestita che domanda umilmente la carita presso la porta della Chiesa. Grande e la tentazione, piu grande pero la forza d'animo di fra Felice, che piu volte le fa 1'elemosina senza svelarle il suo essere; ha pero la fortuna di darle gli estremi conforti della religione al letto di morte, cosi che la martire spira benedicendo Dio per la grazia concessale di rivedere Io sposo amato. II professor Valeriano Monti, nel suo studio su Michele Fachinetti edito nel 1909 a Pola, osservd che in questo poemetto c'e una pallida rassomiglianza col Roccello del Pellico. Infatti 1'unico punto d'accostamento c'e nelle peregrinazioni di frate Felice attraverso 1' Istria, che il nobile cavaliere Roccello, disgu-stato con i suoi concittadini, percorse in lungo e in largo 1' Italia; va a Milano, a Verona, a Venezia, a Firenze, a Roma, consta-tando che dovunque ci sono lotte, contrasti, sedizioni, e infine ascolta Ia voce della ragione per bocca del suo fido scudiero Gilnero e si riconcilia con la sua Saluzzo e diventa indulgente per i difetti dei conterranei. Ma questa rassomiglianza e troppo piccola, perche si possa parlare di imitazione. Io čredo invece di non andar lungi dal vero indicando come fonte d'ispirazione il famoso poemetto Jocelyn del principe dei romantici francesi, che tanta farna godette gia al suo primo ap-parire e che il Fachinetti conobbe e ammiro indubbiamente. Bastera leggerne il riassunto. Allo scoppio della rivoluzione francese Jocelyn, gia avviato alla carriera sacerdotale, trova rifugio sulle Alpi del Delfinato. Un giorno accoglie nella sua grotta due fuggiaschi, di cui il piu vecchio muore in seguito alle ferite. Nel giovane fuggiasco Jocelyn scopre una donzella; 1'amicizia diventa un vero e puro amore reciproco. Ma la sorte li divide. A Grenoble Jocelyn riceve gli ordini sacri. Dopo molti anni egli scorge Laurence in una chiesa la prima volta. Parecchio tempo dopo viene chiamato al capezzale d'una morente. £ Laurence. A parte certi atteggiamenti ed episodi particolari, identica e la finzione del ritrovamento del manoscritto autobiografico dei due personaggi; all'invasione degli Uscocchi fa riscontro il periodo burrascoso della rivoluzione francese. Uno e il fatto centrale, cioe la separazione violenta dei due giovani amanti; Felice rassomiglia a Jocelyn per lo spirito di sacrificio cristianamente accettato, per il dolore serenamente sopportato con nobile rassegnazione. Una e pure 1'impressione di simpatia e di compassione per le vittime del destino avverso. Ambidue i poemetti sono quasi dello stesso ottimismo cristiano, che spinge gli eroi a un'immoIazione continua del proprio essere, alla soppressione costante di ogni sentimento egoistico di fronte al dovere. Per la sobrieta dei particolari, per la brevita del racconto e per la parsimonia del disegno arriverei a dire che il poemetto del Fachinetti sia piii suggestivo del Jocelyn, che, se ammirabile per la forma, per la vivacita dei colori, per la sovrabbondanza delle descrizioni, scema talvolta 1'interesse per il tema principale. Le troppe digressioni filosofiche, alle quali Lamartine si lascia trasci-nare con straordinaria facilita, la compiacenza soverchia, con la quale Joce!yn esamina e tortura la sua anima esulcerata, se sono passi meravigliosi per se stessi, sono pero a scapito del racconto fondamentale, e i personaggi rischiano di diventare om-bre evanescenti. D' altronde pero anche il Fachinetti deve al suo misticismo esagerato, se i suoi personaggi si scostano alquanto dalla natura ,umana e quindi nel loro amore sono idealizzati un po' troppo. Jocelyn, per quanto profondo sia il suo spirito religioso e per quanti sforzi faccia su se stesso, tuttavia non resisterebbe alla tentazione, se non lo soccorressero cause estranee. Quando scorge la sposa in chiesa, sta per gridare il di lei nome, ma si smarrisce. Al letto di morte non resiste ali' ambascia di vederla in quello stato e convulsamente grida e da sfogo alla sua dispe-razione. Frate Felice invece riesce nelle stesse condizioni a dominarsi e si tradisce con sole due lagrime. Senza la chiaroveg-genza di Lucia egli non sarebbe stato riconosciuto. Altrettanto dicasi di Laurence che, pur amando intensamente colui che gli aveva giurato fede eterna, cede alla sua natura femminile, si sposa con uno che non ama, e sdrucciola insensibilmente nel pec-cato quasi con la speranza di provar le emozioni del vero amore. E che cosa si puo trovare di piu umano della scena della sua morte ? L'imitazione del Fachinetti non si arresta all'inquadramento generale del poema, essa si riscontra in modo evidente anche in parecchie espressioni. Eccone alcuni esempi: Joceiyn, rapito nella visione della sposa, esclama: Je crois voir, tout trouble, une celeste figure, Comme un etre ideal, au-dessus de nature, se detacher de terre et se transfigurer. Ed esulta al pensiero d'un bambino un etre qui serait elle et moi, notre image, notre celeste amour de terre se levant. Frate Felice vagheggia la sposa che e Un pensier santo, una delizia ascosa, Un'ansia senza pena e indefinita... E vederla insegnare a un figlio mio II mio nome, la patria, e, prima, Iddio. In segno di giubilo per la vittoria riportata su se stesso, Jocelyn grida, con un nodo alla gola: Tu trionphas, mon Dieu, de ma fragilite e Frate Felice: Se fui forte, alla prova inaspettata, Vostra e, Signor, la gloria. Simili sono le parole delle morenti che anno 1'unico desiderio di vedere ancora una volta il volto dell'amato e muoiono additando il cielo. Allora JoceIyn piange e grida: Ce n'est que dans le ciel que nous sommes parents, come Frate Felice, quando la scorse la prima volta presso il convento: Oh Lucia, o Lucia — ahi tardi — io ti ravviso — Ma il luogo che ci attende e il paradiso. In questo poemetto, col quale il Fachinetti intendeva di offrire alla sua terra natia un umile tributo d'affetto figliale, non manca, la nota mesta e accorata deli'amor di patria. Cosi Frate Felice saluta singhiozzando il paese che lo vide nascere: Addio, patrie colline e patrie valli, Dal sole estremo deli' Italia arrise! Nel rilevare i punti di contatto, piu che alle peculiarita este-riori, vale la pena di badare al carattere intimo dei due scrittori. L'imitazione non e casuale, ma dovuta al fascino che Lamartine esercito sul suo discepolo. Le espressioni non sono una eco, si dettate direttamente dal cuore commosso. Non puo stupirsi d'una certa dipendenza letteraria da Lamartine, chi conosca la comunanza delle loro idee, 1'idealismo cristiano, il sentimento angoscioso deli' infinito e la continua aspirazione a Dio. La religione e pro-fondamente radicata nei loro cuori e, come li tiene lontani dalle turpitudini umane, cosi li rende indulgenti verso i peccatori nella speranza del loro miglioramento morale. £ poi un titolo di gloria per il Fachinetti d' esser stato sincero, pur tentando di avvicinarsi al grande poeta francese senza diventarne per questo un pedissequo e freddo imitatore. Egli non canto mai se non per passione interna; del resto in tutte le poesie sue c'e sempre la stessa commozione, lo stesso desiderio di pace, di fede, d' amore. La modestia della vita intemerata, la borita d'animo, la rettitudine di carattere armonizzate in giusto equilibrio lo rendono modello insigne dell'uomo, dello scrittore e del cittadino probo e austero. Trieste, 1922. FERRUCCIO BORRI SPIGOLATURE STORICHE Nuovi aneddoti su Pietro Kandler II Kandler, sia come uomo, sia come erudito, era una figura cosi tipicamente singolare, che 1'aneddoto fiori intorno a lui ricco e spontaneo. Una intera messe di aneddoti kandleriani pubblicai io stesso in questa rivista per il quarantesimo anniversario dalla morte deli' illustre storico triestino1). Ma la raccolta era ben lungi dall'essere completa, come posteriori scoperte ed indagini mi dimo-strarono. Dagli aneddoti che mi venne fatto di raccogliere dopo d'allora, trascelgo oggi quelli che, mentre piu si prestano, per il carattere loro, alla divulgazione, sono anche i meglio adatti a compiere la prima serie di aneddoti kandleriani da me edita e a dare, insieme, nuovo e sempre piu forte rilievo a cio che nel Kandler uomo e studioso si staccava dal comune, assumendo un particolare aspetto di significativa originalita. A' tempi suoi, il Kandler era una delle piu note e — come oggi si dice — rappresentative personalita triestine; ragione per cui non passava da Trieste forestiero o letterato di qualche im-portanza, che non si affrettasse a visitarlo. Taluno di questi visi-tatori del Kandler volle successivamente narrare le impressioni provate alla presenza di lui; e ne avemmo degli interessanti e gustosi quadretti. Questo, per esempio, dovuto a Bartolomeo Cecchetti: »Vidi un giorno, per la prima volta, sul letto de' suoi patimenti, il dottor Pietro Kandler, procuratore civico, conservatore delle antichita del litorale, eruditissimo. Strano uomo! Mi mette in mano un libro ad alfabeto, e mi dice di scegliere. Leggo Ar-chivio, Biblioteca, Cajfe, Municipio ecc. ecc., e non capisco. Ma pronunciategli alcune voci, lo veggo indicare alla sua diletta compagna, certi grossi involti, e di la trarre altrettante monografie, ') Pietro Kandler nell' intimita e nell'aneddoto ; »Pagine Istriane«, a. X [1912], n. 4-6, pp. 105-118. Ristampa nelFopuscolo: Inaugurandosi su la časa ove nacque Pietro Kandler la lapide decretata dal Comune, Trieste, 23 maggio 1912; Capodistria, Priora, 1912; pp. 35-48. opera sua, che mi regala. Non c'e a tirar molto a indovinare, che per la penna del Kandler era passata tutta la storia di Trieste, la sua vita presente, le sue istituzioni, i suoi pregi, i suoi difetti. Egli aveva impressa in mente la pianta della citta, e deli'Istria intera, quali erano ai tempi romani. Non vorrei asserire che tutto cio ch'egli scriveva, sinceramente convinto, fosse in archeolo-gia un dogma. Ma non era degna della calma serenita della scienza, la guerra che čredo gli si movesse negli anni suoi estremi.» Non minore rispetto incuteva il Kandler agli eruditi stranieri. Ne abbiamo una prova eloquente in cio che scrisse di lui Lodovico von Heufler: «Nach dem Tode Rossetti's folgte ihm in der Direktion des Museums der ebenso wiirdige und allein eine ganze altertum-forschende Gessellschaft aufwiegende Dr. Peter Kandler. Dieser Forscher alter Zeiten gibt seit dem Jahre 1846 eine Fundgrube von historischen, archaologischen und topographischen Original-nachrichten in der Form des Wochenblattes «L'Istria« heraus. Ebenso verdienstvoll und ebenso venig gekannt ist die Geschichte der Bisthiimer Triest, Capodistria und Cittanova, die jetzt alle unter der Infel des gewohnlich hier residierenden Bischofs vereinigt sind. Dieses in Lloyds Typographie prachtig gedruckte Werk hat er bei Gelegenheit der Inthronisation des ietztigen Bischofs Bartholo-maeus Legat her ausgegeben. Wenn ich alle literarischen Verdienste Kandlers aufzahlen wollte, wiirde ich heute nicht mehr fertig. Du kannst dich wohl an ihn erinnern und wirst wissen, dass sein Aeusseres seiner bestandigen Beschaftigung mit dem Alten ganz entspricht. So, glaube ich, haben wir uns im Ausdrucke der Mienen und im Schnitte des Profiles, im Gang und Haltung die altromischen Senatoren zu denken.» 2). Piu di una volta Paolo Tedeschi cerco di schizzare alla brava, nei numerosi e svariati suoi scritti, la caratteristica figura del Kandler, con esito quasi sempre felicissimo, in grazia mas-simamente a quella spontanea vena di fine umorismo ond'egli amava ravvivare la sua svelta e garbata prosa. Un godibile ri-trattino del Kandler delineato dal Tedeschi e questo, ch'io estraggo ') Trieste e le sue istituzioni; «Rivista Europea« (Firenze), a V, vol. IX, fasc. II (1 ottobre 1874); pp. 270-271. Ludwig R. v. Heufler : Italienische Briefe; mit einem Anhange: Erinnerungen aus dem Kiistenlande. Wien, Druck u. Verlag der Mechitaristen-Congregations-Buchhandlung, 1853; pp. 7-8. da certi suoi Appunti bibliografici oggi non facilmente accessibili: «Ed io mi rammento di aver veduto un de Burlo reggere il gon-falone di San Giusto nella processione teoforica davanti al Mu-nicipio, allora Magistrat; con molta compiacenza additatomi e con relativo gonfiamento di gote dall'illustre Kandler, degno successore del Rossetti nella carica di civico procuratore, carica di cui il bravo uomo a quattro occhi, con gente per la quale e della lega, si compiaceva moltissimo.» ') Ed e stato il Tedeschi a conser-varci altresi un aneddoto che da nuova conferma dei sentimenti di schietta e profonda italianita che sempre animarono il geniale discepolo e continuatore di Domenico Rossetti: «— Eccellenza — disse un giorno il Kandler al governatore2) — se i me ponze la vena, i me trovara sangue roman —.» 3) Frase, oltreche co-raggiosamente sincera, amabilmente arguta; com'era arguta la risposta che il Kandler, da vecchio, soleva dare a quanti gli chiedessero notizie della sua, per gli acciacchi alle gambe, non sempre buona salute: — Dal bugnigolo4) in su, stago ben. — Par di vedere il filosofico sorriso che s:ira indubbiamente seguito a queste scherzose e pur dolenti parole. Altro grazioso aneddoto, che testimonia della felicita di certi improvvisi giuochi di parole del Kandler, e il seguente, che mi fu anni fa raccontato in Capodistria dal nostro illustre Attilio Hortis, narratore d'aneddoti insuperabile, alla presenza dell'or defunto patriotta dott. Vittorio Scampicchio, che se la godeva un mondo. Si sa che Tomaso Luciani e 1'avvocato Antonio Scampicchio furono tra i piu fidi amici e collaboratori del Kandler. Una volta il Luciani, essendo di passaggio per Trieste, si reco a visitare il Kandler. S'impegno fra i due una viva conversazione. A un certo punto il Luciani, che aveva anche altre faccende da sbrigare, salzo per accomiatarsi; ma il Kandler lo trattenne. Di li a non molto, altro tentativo del Luciani di andarsene, con esito del pari sfortunato. Finalmente, il Luciani balza in piedi risoluto. E il Kandler, con bonaria allusione alla fretta di scappare che aveva 1'amico: — Ma Luciani, da quando xestu diventa... Scampicchio ? Un interessante aneddoto, ma di tutt'altro genere, ho dalla cortesia del chiaro amico dott. Mario Stenta, che l'udi narrare 1) «La Provincia deli'Istria«, a. XXVIII, n. 14: 16 Iuglio 1894. 2) S'intende al governatore austriaco (luogotenente) di Trieste. 3) «La Provincia dell'Istria», a. XIX, n. 15: 1 agosto 1885. 4) Ombelico. piu volte dal padre suo, il fu professore Michele. Ai tempi del Kandler era molto difficile avere libero accesso e libera circola-zione nel paese dei Cici. Ma il Kandler vi entrava e vi girava in qualunque momento, riverito e rispettato. Com'era cio possibile? Da uno di quei Cici, che scendono a Trieste e in Istria per vendervi legna da ardere e carbone (fasce e carbune), egli aveva avuto un giorno in dono un pezzetto di legno con suvvi degli intagli bizzarri e cabalistici. Era una specie di segno di riconoscimento, di passa-porto. Difatti, con 1'aiuto di esso, al Kandler fu sempre facilis-simo, da quel momento in poi, di penetrare nel territorio dei Cici e di percorrerlo con tutto suo comodo. Raccontava altresi il prof. Michele Stenta, in prova della rara facolta d'osservazione di cui era dotato il Kandler, ch'era stato questi a fargli notare, nella inferriata che chiude la lunetta sovrastante alla porta principale della chiesa dei Gesuiti in Trieste, un piccolo martello, intrecciato agli ornati e a tutti ignoto, ch'egli asseriva essere o un simbolo di maestranze o un'insegna massonica. Chiudo con un paio di aneddoti narratimi, qualche anno fa, dali' egregia signora Eleonora Kandler-Vlahussich, 1'unica tuttor su-perstite pronipote del Kandler. Un giorno la signora Kandler-Vlahus-sich visitava, in compagnia di alcuni suoi conoscenti, il castello di Miramar. Giunta dinanzi al noto quadro rappresentante la partenza di Massimiliano d'Absburgo per il Messico, vi riconobbe fra le persone effigiate il nonno suo, e lo disse a voce alta. 11 servitore che faceva da cicerone alla brigata, e ch'era un vecchio gia stato al personale servizio delTarciduca e poi imperatore Massimiliano, si scosse tutto alle parole della signora Kandler-Vlahussich, e, rivolto a lei, cosi disse, dopo inchinatala in atto di particolare rispetto: — Ah, Lei dunque e nipote del dottor Kandler! L'ho conosciuto anch' io; e ho avuto in diverse occasioni l'onore di servirlo in questo stesso castello. 11 defunto imperatore Massimiliano lo stimava assai e lo voleva presso di se molto di frequente. Ma il signor dottore era sempre occupatissimo; e io mi ricordo che piu di unavolta, a me che Io invitavo a Miramar a nome e per incarico del mio augusto padrone, egli disse con furbesco sorriso: — Vecio mio, feme sto piazer: dixeghe che no me gave trova. — Lo stesso servitore, per dimostrare la grande conside-razione in cui Massimiliano aveva tenuto il Kandler, soggiunse quest'a!tro particolare aneddotico. Un giorno il Kandler era a tavola con 1'arciduca. Colto da subitanea indisposizicne, egli dovette alzarsi e uscire. In conformita all'etichetta di corte, non sarebbe piu dovuto rientrare. Ma Massimiliano, chiamato subito a se il servitore, gli die ordine di raggiungere il Kandler e di pregarlo da parte sua di ritornare a tavola, tostoche fosse cessato il disturbo che lo aveva costretto a lasciare la sala da pranzo.'). GIOVANNI QUARANTOTTO BIBLIOGRAFIA ISTRIANA A. Libri ed opuscoli 68. Riccardo Pitteri: Discorsi per la Lega Nazionale raccolii e pub-blicati per cura del Consiglio Centrale della Lega Nazionale, prcceduti dalla commemorazione di Silvio Benco. Roma, Alfieri & Lacroix, 8. a. [ma 1922]; fig. £ qui la parte meno nota del Pitteri, non la meno bella o la meno im-portante. Solitamente, i discorsi d'occasione sono di corta durata: dileguato 1'istante e cessata la necessita, ond'ebbero vita, piombano nel dimenticatoio. E guai, il piu delle volte, tentar di sottrarli al loro destino, C'e da rimaner molto delusi e a lungo pensosi su 1'incostanza dei sentimenti umani e su 1'artificiosita di certe forme deH'entusiasmo. Per i discorsi occasionali del Pitteri succede 1'opposto: il tempo, anziche menomarli e scolorirli, li rafforza e li sublima. Ma in primo luogo il Pitteri, con i'aiuto di quel suo cuore «sinceramente, profondamente, ardentemente italiano«, com'egli amava esprimersi (discorso del 27 maggio 1900 in Arco), infondeva senza sforzo nelle sue parole un ardore in sommo grado comunicativo e persuasivo; secondariamente, egli era un provetto e delicato artista d'ogni forma verbale, e amava limare e cesellare la sua schietta e robusta prosa non meno che Ia sua armoniosa e meditabonda poesia. In terzo luogo, i suoi discorsi erano e sono discorsi storici, in quanto genuini documenti di pas-sione nazionale e irredentistica. Fu dunque ottimo consiglio, e forma veramente bella d'onoranza, verso il piu illustre e benemerito dei presidenti della Lega Nazionale, il raccoglierli tutti con devoto amore in un unico volumetto stampato con sobria ricchezza tipografica e fregiato d'un austero ritratto del Pitteri, di alcuni fac-simili di suoi autografi, daltri ricordi della attivita prebellica della Lega Nazionale. II Pitteri non fu un oratore vero e proprio: un oratore cioe di largo respiro, di ricca ideazione, di pronta ed eloquente parola; ne questo libretto ha la pre-tesa di farlo passare per tale. Egli fu un parlatore calmo, ma sincero; breve, ma efficace; prudente nellesprimersi, ma abilissimo, anzi unico nel manifestare per sottintesi il riposto pensiero; serio e dignitoso sempre; finemente arguto qualche volta. Ma quella che piu di tutto piace nei discorsi del Pitteri e piu di tutto li conserva, e la decorosa veste linguistica. 11 Pitteri non mai disse o scrisse cosa ch'egli non avesse prima lungamente meditata, amorosamente pla-smata, pazientemente corretta. Tutti questi suoi discorsi, anche i piu Iievi e piu Uno dei primi che Massimiliano d'Absburgo, divenulo imperatore del Messico, decoro deIl'ordine della Guadalupa, fu il Kandler. brevi, recano visibili le impronte deH'esperta e vigilante sua lima. Egli era uomo di tanto buon gusto e di cosi alto e delicato sentire, che lo scrivere sciatto e il parlare impreparato gli sarebbero parse imperdonabili mancanze di riguardo e verso il pubblico e verso di se. Oello scritto del Benco, che precede, a modo d' introduzione, la raccolta dei discorsi del Pitteri, e che altro non e se non la commemorazione del com-pianto poeta e presidente della Lega Nazionale, letta in Trieste il 26 ottobre 1919, superfluo ogni elogio : essa e tal pezzo di nutrita, efficace, sapida prosa, che onorerebbe qualunque rinomato scrittore. Da quelle stupende icastiche pagine il Pitteri balza vivo ancora una volta dinanzi agli occhi nostri; e non se ne diparte piu. G. Q. 69. Riccardo Pitteri: Onde, versi; Bologna, Cappelli, 1923. II volumetto esce a cura di colei che fu la nobile e degna compagna del poeta, e consta di tre parti, due delle quali comprendono versi per Io piu gi& noti (come quelli che danno il titolo al libro e che il Pitteri stesso recito anni sono alla Minerva di Trieste), mentre la terza esclusivamente abbraccia gli ultimi canti di lui, quelli ch'egli compose tra 1'aprile e il settembre del 1915, «lungi dalla sua Trieste, in angosciosa trepida attesa e con 1' intenso desiderio di vedere prossimo il finale esito felice della nostra guerra." Con piu lunga e amorosa cura martellati i primi e ricchi di tutte quelle rare qualita d' ispirazione e d'arte che fecero cosi spesso del Pitteri un verseggiatore di vaglia, anzi un vero poeta; piu negletti i rimanenti e soffusi, si direbbe, di quel senso di stanchezza e di malinconia, a cui forse non era alieno il presentimento della prossima fine, che travaglio il Pitteri durante tutto il suo esiglio, ma in ispecie dopo la morte del padre suo, e che solo la fede nella redenzione e nei gloriosi destini d' Italia aveva la forza d'alleviare. Un componimento che rispecchia molto fedelmente questo stato d'animo del Pitteri e il sonetto Esule un anno (pag. 177), che qui si riporta anche perche ci sembra una delle cose meglio riuscite al poeta in quegli angustiosi giorni: Esule un anno da la mia contrada Tra la speranza vissi e lo sconforto: Di sbirraglia e di plebe una masnada La časa mi predd: mio padre e morto. Troppo or son tardo per brandir la spada E forse il tempo che mi resta e corto; Ed un figlio non ho che per me vada L'il]ibato a onorar nome ch'io porto. Pur, se riguardo di mia vita il corso, So che posso tenere alta la fronte A la luce del di senza rimorso. E quando avvenga che il paese mio Spieghera il tricolor su 1'orizzonte, Povero e oscuro andrd, ma pago, a Dio*). *) Ci permettiamo di riprodurre questo sonetto nella lezione datane dal Rivalta (Mentre il tempo matura; Bologna, Zanichelli, 1618, pg. 34), indub-biamente migliore di quella con cui ce lo offre il volumetto Onde. II libretto, di cui si e detto piu sopra, ci richiama alla memoria il Pitteri in veste di presidente della Lega Nazionale e d'oratore: questo, di cui si dice ora, ce Io ripresenta in qualita di poeta. Eppure, il Pitteri non era tutto nel patriottismo e nella poesia. La cultura, l'uso della societa, il gusto innato e finissimo avevano fatto di lui un conversatore mirabile, pieno di souplesse e di verve, un raccontatore di aneddoti meraviglioso. Chi potra ridarci questo Pitteri? Solo delle piacevoli storielle ch'egli amava argutamente inserire nei co!loqui con gli intimi, con gli amici, con chi aveva occasione di visitarlo nella sua verde Farra o ne! lussuoso studiolo del suo palazzo di Trieste, ci sarebbe da comporre un volume. L' ultima volta ch'ebbi 1'onore di essere ricevuto da lui, essendo il discorso caduto su la Lega e su 1'attivita da essa esplicata nel campo scolastico> egli volle, al solito, chiudere il suo dire con un aneddoto tanto grazioso e gustoso, ch'io non 1'ho mai potuto dimenticare. Eccolo; e darei non so quanto per poterlo riferire con le parole stesse del poeta. La Lega Nazionale si trovo una volta a dover affidare certa sua scuola o asilo dellTstria interna ad un vecchio maestro pensionato. Non avendo questi corri-sposto alle aspettative, fu necessario congedarlo. Ricevuta la lettera di licenzia-mento, il maestro prese penna, carta e calamaio per protestare contro quello ch'egli riteneva un torto immeritato. Ne usci un documento unico nel suo genere, in cui, dopo una quantita di lagni e di recriminazioni, si Ieggevano le seguenti testuali parole: «E cosi dovro anch'io, misera vittima dell'altrui nequizia, escla-mare col Sommo Poeta (Dante Alighieri), Ouesta dunque e 1' iniqua mercede Che serbaste al canuto guerriero ?» «E sto can», conchiudeva con comica indignazione il Pitteri, «sto can, no contento de scriver Sommo Poeta, el gaveva ancora el coragio civil de agiunger fra parentesi Dante Alighieri!" Caro, buono, indimenticabile Maestro I G. Q. 70. Francesco De Stefano: G. R. Carli, Pietro Verri e Cesare Beccaria; estr. dalla «Nuova Antologia», fasc. del 1° aprile 1923. In quest'ottima ricerca, abilrnente condotta anche su la scorta di documenti inediti o poco noti, il De Stefano — che fu insegnante a Capodistria e ivi imparo a conoscere e a stimare il nostro Carli — studia Ia natura delle re-lazioni fra il Carli e Pietro Perri, fra il Carli e il Beccaria. II Carli e il Verri — ch'erano, come il De Stefano chiaramente dimostra, due nature affatto diverse fra loro, anzi addirittura opposte — furono dapprima intimi amici, poi si divisero e avversarono accanitamente, finche la stima reci-proca non li ebbe riuniti anche una volta e per sempre. II miglior frutto del-1'amicizia fra il Carli e il Verri, il De Štefani giustamente lo scorge nel famoso e profetico articolo del Carli Della patria degl' italiani, articolo che il Verri fu felice di pubblicare nel suo Cajfe, non senza pero attenuarne per precauzione qualche frase che a lui pareva troppo azzardata, Giacche i due amici erano diversi anche nel modo di considerare e sentire la patria: «italiani ambidue, ma piii cautamente il Verri che il Carli« (pg. 6). Carattere ben diverso ebbero invece i rapporti fra il Carli e Cesare Beccaria. «L'amicizia nacque piii tardi e rimase sempre uguale' (pg. 12). Ma fu un'amicizia soprattutto letteraria. Pur facendo delle riserve su certe dottrine e su certe tendenze del Beccaria, il Carli ammirava sinceramente il grande rifor-matore del sistema penale; e fa piacere il sentire com'egli giudicasseVimmortale trattato Dei delitti e delle pene «il primo libro che sia stato scritto in Italia in favore deirumanit&, con energia e con indipendenza® (pg. 13). 11 che peraltro non gl'impedi di vagheggiare una risposta polemica al «seducente Rousseau«, nome ch'egli dava al Beccaria per scemargli un tantino l'originalita e argutamente accusarlo plagiario. Dobbiamo essere sinceramente grati al giovane studioso siciliano del devoto e perseverante amore ond'egli si occupa del Carli. 11 lettore di questa rivista sa che 1'opuscolo del quale abbiamo parlato non e 1'unico saggio di studi carliani dato fuori sinora dal De Stefano. Ne esso sara 1' ultimo, come in breve si vedra. Se poi al De Stefano riuscira — come si spera e noi di cuore gli auguriamo — di pubblicare il ricco e importante epistolario del Carli serbato finora inedito nella Comunale di Capodistria, non si potra dire davvero ch'egli non si sia preparato con la dovuta serieta e coscienziosita all'arduo compito. G. Q. 71. Anita Tavolara. La rivoluzione /rancese previsia da un italiano : il cvnte Giuseppe Gorani; estr. dalla «Nuova Antologia«, fasc. 1° settembre 1923. Giuseppe Gorani, geniale e poco noto scrittore milanese, coevo al nostro Gian Rinaldo Carli, fu amico e corrispondente di questo ; e parecchie interes-santissime lettere sue sono contenute nell' inedito epistolario carliano ; lettere che la signorina Tavolara sfrutta appunto in questo accurato e dotto studio per rivendicare nel Gorani 1'uomo politico accorto e di larghe vedute, e per illu-strare la sua partecipazione alla rivoluzione francese. Anche questa pubblicazione della signorina Tavolara non fa che accrescere il desiderio che tutti gli studiosi hanno di veder pubblicato in breve e per intero 1'epistolario carliano. Alla non lieve bisogna divisa di accingersi, come altrove s' e detto, il prof. De Stefano ; e la signorina Tavolara ora annunzia di volergli essere collaboratrice. Osiamo credere che il prof. De Stefano non potrebbe augurarsi una meglio preparata e piu abile aiutatrice, se e lecito giudicare la signorina Tavolara dalle attitudini aH' indagine storica, da essa cosi brillante-mente dimostrate in questo suo notevolissimo saggio. G. Q. 72. Bruna Tamar o: Pola; Tempio di Augusto; Scaui e lavori dire-stauro. Estratto dalle «Notizie degli scavi«, anno 1923, fasc. 7°, 8° e 9° [Roma, Danesi]. Segnaliamo con grande piacere alI'attenzione degli studiosi di cose patrie istriane questo dotto e interessante opuscolo della giovine nostra comprovinciale signorina Bruna Tamaro. Esso contiene una magistrale relazione sugli ultimi lavori di restauro praticati in Pola al tempio d'Augusto e sugli scavi resisi necessari in quella circo-stauza. Piu di un problema archeologico era da risolvere relativamente alla sistema-zione definitiva del tempio d'Augusto, e fu felicemente risolto dall'Ufficio Belle Arti perla Venezia Giulia, al quale anche la signorina Tamaro appartiene. E degli scavi si approfittd altresi per rimettere in luce parte di quell'edificio, costrutto fra il tempio di Augusto eil gemello tempio di Diana, che gia il Carrara aveva rivelato nel 1845. Molto fu gia congetturato su 1'origine, l'et&, l'uso dell'antichissimo fabbricato. Con buoni argomenti la signorina Tamaro giunge alla conclusione che 1'edifizio in discorso «e, senz'alcun dubbio, romano e anteriore ai templi, forse contempo-raneo alla ricostruzione della colonia« ; ma che non si puo invece ammettere, come altri affermč, «che fosse in uso contemporaneamente ad essi, ne che fosse riservato al Comizio« (pg. 220). Pare inohre fuori di dubbio alla signorina Tamaro, che 1'edifizio suddetto «non fu piii adoperato, quando sorsero i due templi; anzi su di esso venne a poggiare la terrazza che li portava« (ibidem). Lo scritto della signorina Tamaro, la quale dimostra fra altro una cono-scenza veramente perfetta dalla bibliografia relativa al soggetto da essa trattato, b corredato di numerose e bellissime riproduzioni fotografiche del tempio d'Au-gusto, degli scavi eseguiti accanto ad esso ecc. G. Q. 73. Enea Cianetti: Trento e Trieste;Milano, Casaeditrice Sonzogno, 1915; fig. [Della famosa collezione «Biblioteca del popolo® e d' intenti puramente divulgativi.] 74. Salvatore Barzilai: La nostra guerra, discorso pronunziato a Na-poli il 26 settembre 1915 al teatro San Carlo. Roma, Quattrini, 1915. 75. Mario Baratta: Giuseppe Mazzini e il confine orientale d' Italia, con due tavole in nero e una in colori ; Istituto geografico De Agostini, No-vara, 1919. [Dal 1848 in poi Giuseppe Mazzini designo costantemente come confine orientale d' Italia le Alpi Giulie, «le quali spingono il loro ramo piii me-ridionale a ridosso di Fiume, che rimane aggregata alla madre Patria«; pg. 9.] 76. Francesco Coppola: La crisi italiana: MCMXIV-MCMXV; Roma, «L' Italiana«, 1916. [A pp. 203-214 un bellissimo profilo di Ruggero Fauro Timeus.] 77. Riccardo Rietti: Nell'ora eroica d'Italia (1915-1919): Trieste redenta — Italia patria Dantis — Fiume; Genova, Siag [1919]. [Versi, non privi d' impeto e d' ispirazione. II Rietti e triestino]. 78. Bruno Coceancig: Ruggero Timeus Fauro; Parenzo, Coana, 1920- 79. Vittorio Ferruccio Borri: / Romeni d'Istria e il Comune romeno di Val d'Arsa; Estr. del Bollettino della Reale Societa Geografica Italiana; fasc. IX-X, 1923 [Roma]. 80. SocietA. agraria di Trieste: Carta geologica dei dintorni di Trieste con nozioni sull'origine dei terreni agrari e loro costituzione; Trieste, Lloyd Triestino, 1922; fig. [II bello, interessante ed erudito Iavoro e opera di un serio studioso, il prof. Francesco Blasig.] 81. Francesco Salata : Per le nuove province e per l' Istria; discorsi e scritti con note e documenti ; Roma, Stab. poligr. per 1'amministrazione della guerra, 1922. 82. Bernardo Benussi: II feudo al Quarnero della Chiesa episcopale polense; estr. dagli «Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti«, tomo LXXII, parte II; Venezia, Ferrari, 1922. 83. In memoria di Antonio Giordani; Udine, Stab. tip. Gustavo Percotto & figlio, 1922. [Antonio Giordani e — per chi non lo ricordasse — 1'animoso garibaldino e patriotta, che la notte del 15 settembre 1882 concesse fraterna ospi-talita nella sua časa di Buttrio a Guglielmo Oberdan e a Donato Ragosa.] 84. Nel primo anniversario della morte di Anna Depanghei-Satiro, Capodistria, Pecchiari, 1920. [Versi di Mario Oliveri]. 85. Attilio Tamaro: Ancora di Trieste; estr. dalla «Rassegna Italiana», fasc. LXI, 1912; Roma, S. P. E. R., 1923. [Sul problema del rifiorimento com-merciale di Trieste.] 86. Gastone Zuccoli: Antonio Smareglia; monografia sulle opere del maestro, con note musicali illustrative; Trieste, Treves-Zanichelli, 1923. B. Riviste e giornali 87. II violino di Giuseppe Tartini ridestato dopo 153 anni da Letizia Caico; in «Il Piccolo della sera« (Trieste), 27 febbr. 1923. 88. Guglielmo Oberdan nei ricordi di Felice Albani; in «11 Piccolo della sera»; (Trieste), 8 maržo 1923. 89. Giulio Ceaari: La democrazia triestina aderisce al P. L. I.; in «11 Giornale d'Italia« (Roma), 25 aprile 1923. [Tesse in breve la storia del par-tito nazionale-liberale di Trieste]. 90. Dott. Isidoro Furlani: Ricordi deltirredentismo giuliano; in «11 t Popolo di Trieste« (Trieste), 27 maggio 1923. [Ottimi lineamenti di storia del separatismo istriano e triestino.] 91. Attilio Gentille: Le manifestazioni di Trieste per la morte di Alessandro Manzoni; in «11 Piccolo della sera« (Trieste), 22 maggio 1923. 92. Livia Rusconi: Giuseppe Tominz; il maggior ritrattista della Venezia Giulia; in «11 Piccolo della sera« (Trieste), 11 luglio 1923. 93. Le spoglie di G. Oberdan restituite alla uenerazione degli italiani. L a storica relazione del comm. Carlo Banelli nella raccolta delle testimonianze e delle prove; in »Piccolo« (Triesfe), 18 agosto 1923. 94. Nazario Sauro e 1'impresa di Trieste; in «11 Piccolo della sera« (Trieste), 11 agosto 1923. [Riassume un articolo stampato nel «Resto del Car-lino« da Camillo Marcfroni.] 95. Ignazio Domino: I tesori del Museo di Capodistria; in «11 Piccolo della sera« (Trieste), 3 settembre 1923. 96. Giuseppe di Biagio Cobol: Nell'ora dei sacri ricordi ricordando, tcmpre di vecchi patriotti capodistriani; in «11 Popolo di Trieste« (Trieste), 24 agosto 1923. [Schizza la caratteristica figura del patriotta capodistriano mar-chese Giuseppe de Gravisi.] 97. Emšlio Girardini: Riccardo Pitteri; in «11 Piccolo della sera« (Trieste), 11 settembre 1923. 98. Angelo Scocchi: Memorie oberdaniane; in «11 Piccolo della «sera» (Trieste), 3 ottobre 1923. 99. Importanti documenti di storia patria consegnati ali'Archivio di Stato; in «11 Piccolo« (Trieste),6 ottobre 1923. [77 lettere inedite di Carlo De Franceschi, Luigi e Antonio Barsan, Michele Fachinetti e d'altri patriotti istriani, risalenti agli anni dal 1843 al 1852]. 100. Ruggero Fauro nell'ora deli' intervento; i prodi di Trieste nella vita di Roma; in «11 Piccolo delle ore diciotto« (Trieste), 1 dicembre 1923. 101. La morte di Enrico Nordio\ in «11 Piccolo« (Trieste), 4 dicembre 1923. 102. Domenico Rossetti appartenne alla «Giovine Italia ?» In «11 Popolo di Trieste« (Trieste), 13 dicembre 1923. Cronaca e notizie varie Auspice 1'Universita. Popolare di Trieste, il prof. Carnera, direttore dell'Osservatorio astronomico tenne nella palestra di via Gatteri un'intere-ssantissima conferenza «Sulla storia e sui progressi della scienza astronomica« la sera del 13 novembre. & Addi 16 novembre la Societa Adriatica di Scienze Naturali inauguro il 49° anno della sua attivita con la riunione deila sezione dei cultori di fisica e chimica. II prof. dott. Guido Voghera tenne una conferenza sulla «Matematica scherzosa, paradossi e false deduzioni». ® Sotto gli auspici delle Societa Atene e Roma, della Minerva e del Circolo Artistico il giorno 22 novembre il dott. Doro Levi tenne una splendida conferenza sulla archeologia italiana in Oriente e sull'opera svolta in otto lustri dalla Missione di C-reta e di Rodi. Al R. Istituto Superiore di Trieste il giorno 24 novembre ebbe luogo la solenne commemorazione manzoniana. Parlo il prof. Ferdinando Pasini sul tema: «Anno manzoniano«. La sera dell'8 dicembre il giornalista e scrittore Aldo Valori lesse nella Sala Tartini di Trieste una conferenza sulla vita e l'opera di Alfredo Oriani, il solitario di Casolevalsenio. % II giorno 20 dicembre il prof. Carnera nella terza riunione scientifica della Societa Adriatica di Scienze Naturali di Trieste parlo su «L'astro-nomia e la teoria della relativita di Einstein«. # II giorno 11 febbraio 1924 fu tumulata nella tomba di famiglia, accanto alla madre adorata, la salma del patriota conte avv. Eugeitio Rota di Capodistria, trasportata solennemente a Venezia insieme ad altre tre gloriose salme di cittadini veneziani, che offersero le loro vite in olocausto alla patria. Egli era accorso volontario quale semplice soldato nell'eta di 62 anni, lieto che gli si presentasse 1'occasione da lui tanto desiderata di adoperarsi anche con la sua persona, perche la sua diletta Capodistria si congiungesse finalmente alla madre patria. Ma non doveva godere del giorno del riscatto, perche la morte lo colse sul Podgora. Nel solenne corteo il Municipio di Capodistria era rappresentato dal cap. Piero Almerigogna, suo compagno d'armi, il quale con parole commoventi porto alla salma il saluto della citta natale. Uno dei nostri direttori, il prof. Giovanni Quarantotto, ha lasciato Capodistria. Per ragioni di famiglia e di studio egli chiese ed ottenne di essere trasferito alla Presidenza della neoeretta R. Scuola Complementare di Trieste. Seguitera tuttavia a mantenere, nella direzione di questa rivista, la parte avutavi finora.