Received: 2017-01-13 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 DOI 10.19233/AH.2017.14 INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI COSTITUZIONALI: VENEZIA E LA TERRAFERMA, SECOLI XV-XVI Andrew VIDALI Universita degli Studi di Trieste, Dipartimento di Studi Umanistici, Via Principe di Montfort 3, 34124 Trieste, Italia e-mail: ANDREW.VIDALI@phd.units.it SINTESI Attraverso un'approfondita disamina del corpus deliberativo veneziano tra inizio Quattrocento e gli anni '40 del Cinquecento, questo contributo intende evidenziare il rapporto che legava la pena del bando con la dimensione conflittuale e giurisdizionale che animava il Dominio di Terraferma nella penisola italiana. Si tracceranno cosí le tappe di una legislazione bannitoria improntata al confronto ed allo scontro con una realtá giuridica diversa, il cui esito si riverberd anche all'interno delle dinamiche con-flittuali della laguna, come testimoniato da alcuni episodi affrontati a conclusione di queste pagine. Parole chiave: Venezia, Terraferma, pena del bando, faida, giurisdizione, legislazione, banditi INTERRELATIONSHIPS BETWEEN THE BANISHMENT PENALTY, FEUD AND CONSTITUTIONAL ASPECTS: VENICE AND THE MAINLAND IN THE 15th AND 16th CENTURIES ABSTRACT Through a in-depth examination of the Venetian legislation between the 1410s and the 1540s, this paper aims to highlight the relations which bounded the banishment penalty to the conflict and jurisdictional dimension that animated the Mainland domain in the Italian peninsula. In this way, the several stages which marked the confrontation between two differentjuridical mentalities will be drawn, while the impact of this process ' outcome within the lagoon conflict-system will be shown by analysing some cases which happened in the early XVIth century Venice. Keywords: Venice, Mainland, banishment penalty, feud, jurisdiction, legislation, bandits 261 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 INTRODUZIONE: «PURGARE LA CITTÀ» Officio de ogni ben instituta República, la qual attende alla tranquillità et commodo deli Citadini etpopuli sui e proveder con tutti li spiriti, che le sue cità siano expúrgate da homini tristi et scelerati, et soprattutto exterminar etperseguitar li banditi, li quali sono quelli che si puo dir amorbano dove capitano con li vici et mali costumi soi (ASV, CD, Comuni, 14, 46 v.-47 r.). La parte emanata il giorno 8 luglio 1541 dal Consiglio di Dieci esprimeva con chiarezza il campo semantico nel quale collocare i banditi: essi erano assimilati ad un'infezione che avvelenava la vita urbana con vizi e scelleratezze. Eppure, una simile connotazione cosi dispregiativa non rifletteva un'immutata condanna morale nei confronti di chi era stato espulso dalla comunità di appartenenza, ma al contrario fu il frutto collaterale di un più esteso processo, protrattosi per tutto il XV secolo fino all'inizio del XVI, di incontro/scontro tra due differenti realtà: Venezia e la Terraferma. L'obiettivo che questo contributo si prefigge è difatti quello di proporre un'analisi dell'ampia legislazione promulgata dalla Repubblica nei confronti del banditismo allo scopo di evidenziare come la Dominante si commisuro con una cultura legale diversa dalla propria in quanto fondata sul diritto comune1, difformità che diede luogo ad una separatezza giuridica (Povolo, 1997, 103-107). Intervenire in questa materia significava ingerirsi all'interno della gestione dei conflitti che animavano le società d'antico regime e che sfociavano spesso in faide e vendette, poiché l'allontanamento dal contesto comunitario interpretava un importante ruolo all'interno delle dinamiche conflittuali, favorendo la riconciliazione tra i gruppi in contrapposizione (Smail, 1996, 40-41; 2003, 172-173), in quanto il bandito era situato in una pericolosa condizione liminare, quella di homo sacer, che ne permetteva la legittima uccisione senza conseguenze legali (Agamben, 1995, 79-82; Knoll, Sejvl, 2010). Questa condanna, che aveva dunque una funzione di raccordo tra aspetti consuetudinari e dotti della giustizia2, subi notevoli trasformazioni all'interno della Repubblica di Venezia tra XVI e XVII secolo, perdendo gli aspetti locali e comunitari che la caratterizzavano, a cui si accompagné una vera e propria ridefinizione della figura del bandito, che venne rappresentato, da questo momento in avanti, come un oppositore politico3. Quest'analisi intende invece concentrarsi su di un arco temporale anteriore, che si dipana tra il momento dell'espansione della città lagunare nella pianura padana, a inizio Quattrocento4, e l'inizio del quinto decennio del Cinquecento, un limite che rappresenta il momento di congiunzione con l'inizio di un nuovo indirizzo di politica penale adottato dalla Domi- 1 Sullo ius commune si veda Grossi (2010, 29-35) e Van Caenegem (1991). Sulle gerarchie del diritto vene-ziano, dove lo ius commune non era inserito, si rinvia a Cozzi (1982, 220-226). 2 Per un'esauriente analisi della commistione tra procedure consuetudinarie e dotte, formalizzate, della riso-luzione dei conflitti, si rinvia a Povolo (2015). 3 Come esemplificato dalla vicenda del fuorilegge Giovanni Beatrice detto Zanzanù, affrontata in Povolo (2011). 4 Si rinvia a Cozzi, Knapton (1986, 11-26) e Varanini (1997, 209-216). 262 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 nante ed incentrato sulla temporanea, ma ripetuta nel tempo, sospensione della possibilità di liberarsi dal bando tramite l'uccisione di altri banditi (Povolo, 1997, 123-125). Prima di affrontare il corpus di deliberazioni in materia di banditismo5, lo spunto of-ferto dalla legge del 1541 va collocato all'interno di una più larga cornice. Se epiteti quali scelesti e facinorosi si trovano sin dall'inizio del XV secolo, come si osserva in una parte del 1413 (ASV, S, Misti, 50, 126 v.), e sono presenti anche alla fine dello stesso secolo e all'inizio del successivo6, altrettanto non si puo dire di un termine quale expurgare: vocaboli analoghi che rimandano chiaramente al concetto culturale della contaminazione7 appaiono con frequenza a partire dall'ultimo decennio del Quattrocento8. Preservare la purezza del nucleo urbano dalla nociva e corruttiva presenza dei banditi è l'obiettivo dichiarato di numerose leggi che testimoniano non solo il consolidamento di una nuova rappresentazione, ormai imprescindibile dalla messa al bando, ma pure il riconoscimento pieno, da parte della compagine governativa, che non c'è mezzo più efficace per garantire il «pacifico et quieto viver ben [...] che tegnir la Citta, et le Provincie purgate et nette de mali homeni, et persone de malafar» (ASV, MC, 25, 115 r.), come prescritto da una disposizione del 1514, connettendo irreversibilmente la salute della Repubblica all'opera di risanamento di civitates, loca e territoria dalla piaga dei banditi9. Nel secondo paragrafo si osserverà come tali propositi di bonifica vennero perseguiti all'interno della legislazione bannitoria a partire da metà anni '80 del Quattrocento, un momento di svolta in quanto segna l'inizio dell'adozione non più sporadica, ma sistematica, di strumenti in parte già esistenti nei domini di Terraferma, ma sostanzialmente rigettati o poco condivisi dalla Signoria veneziana fino a quel momento. Nel primo paragrafo verranno esaminate le modalità con cui si realizzo l'incontro/scontro tra la realtà lagunare e quella del neo-formato stato da ter, ponendo in risalto le scelte operate dalla Dominante nel regolare l'applicazione della pena del bando nei nuovi territori. Le risposte si concretizzarono su diversi piani e, soprattutto, tale confronto indusse il ceto dirigente veneziano a ripensare la prassi bannitoria adottata dai propri tribunali, gettando le basi per quelle soluzioni di continuità avvenute tra fine XV e inizio XVI secolo. Il terzo e ultimo paragrafo offrira degli esempi finalizzati ad illustrare le effettive ricadute esercitate dalle trasformazioni descritte all'interno della Dominante, analizzando alcuni conflitti che ebbero luogo all'interno del contesto lagunare a inizio Cinquecento. 5 Per un confronto con la legislazione bannitoria nella Firenze del XIV secolo, si veda Tanzini (2013). Si vedano pure i contributi in materia di banditismo nel primo Cinquecento di Guarienti (2013; 2014). 6 Ad esempio nell'aprile 1475 (ASV, MC, 23, 155 r.), nel maggio 1502 (ASV, S, Ter, 14, 85 v.-86 r.), nel gen-naio 1522 m.v. (ASV, MC, 26, 24 v.-25 r.), nel febbraio 1534 m.v. (ASV, CD, Comuni, 10, 113 v.-114 v.). 7 Si rinvia all'opera ormai classica dell'antropologa Douglas (2002). Per una recente riflessione sulle mol-teplici implicazioni di tale tema, si veda Povolo (2014), e per un esempio di applicazione di tale concetto all'interno della storiografia veneziana, si rinvia a Chojnacki (2015). 8 La prima indicazione in tal senso e forse quella contenuta nella parte dell'11 settembre 1490, che revocava la legge del 29 luglio 1489, la quale vietava l'uccisione di banditi tramite agguati ed assembramenti. Nel motivarne l'abrogazione, fortemente sollecitata dalla comunita di Vicenza, si osservava che in tal modo si sarebbe facilitata l'opera di decontaminazione delle citta dalla presenza dei banditi (ASV, CD, Miste, 24, 215 r.). 9 Cfr. ad esempio le parti del 17 marzo 1494 (ASV, S, Ter, 12, 47 v.-48 r.) e del 25 agosto 1506 (ASV, S, Ter, 15, 134 r.-v.). 263 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 IL XV SECOLO Il fenomeno del banditismo è al centro di un lungo dibattito che prosegue da quasi cinquant'anni10 e che ha prodotto numeróse riflessioni11, ma il profondo legame tra la sfera giudiziaria degli stati d'antico regime e la figura del bandito, che trae il proprio nome dalla stessa pena (Gallant, 1999, 26), non è stato in realtà colto da molti studiosi, mentre chi ha adottato tale prospettiva ha potuto osservare pienamente le interrelazioni tra faida e banditismo12. Nell'agevolare la gestione e la risoluzione dei conflitti, la pena del bando non puo essere disgiunta dai riti processuali, adottati dalle istituzioni giudi-ziarie che si ponevano il compito di ricondurre la conflittualità entro binari socialmente accettabili (Povolo, 2015), e soprattutto essa interagiva intensamente con la dimensione costituzionale dell'Europa medioevale e della prima Età Moderna, che si esprimeva attraverso il concetto di iurisdictio13 (Povolo, 1997, 118-119). La legislazione bannitoria rappresenta dunque una lente d'ingrandimento attraverso la quale esaminare questi due temi all'interno del contesto veneziano, dove le analisi già compiute hanno dedicato non sufficiente attenzione a tali problemi14, cioè gli aspetti che connettono la pena del bando alla risoluzione delle conflittualità, sia all'interno della città lagunare che nella Terra-ferma, ed gli assetti costituzionali. Contestualmente, verranno segnalate anche quelle deliberazioni che rimarcavano le divergenze tra il sistema legale continentale e quello veneziano, dove vigeva un sistema giuridico che presentava numerose peculiarità15. Le misure che inizialmente affrontarono la questione dei nuovi domini nella penisola italiana si posero il compito di integrare all'interno del sistema di grazie e petizioni, già atti-vo a Venezia per i condannati dai Cinque Anziani alla Pace16, coloro che erano stati banditi dai rettori per «puram rixam» (ASV, MC, 21, 214 v.-215 r.), favorendo il pagamento delle multe e quindi il rientro nelle rispettive patrie, come statuito a inizio agosto 141117. Di ben 10 Se si considera come punto d'avvio Hobsbawm (1969). 11 Tra le molte opere, ci si limita a rinviare a solo due importanti raccolte di atti di convegni, Ortalli (1986) e Manconi (2003). 12 Si veda, all'interno del panorama storiografico italiano, Raggio (1990) e Lepori (2010). 13 Sul valore costituzionale della giurisdizione in antico regime si rinvia a Hespanha (2013). Per un esempio dell'importanza rivestita ancora nel XVIII secolo dalle questioni giurisdizionali all'interno della Repubbli-ca, si veda Spiller (2004). 14 I principali lavori con cui confrontarsi, per quanto concerne l'arco cronologico preso in esame, sono Basa-glia (1981), Cozzi (1982, 84-86), Viggiano (1993). La già citata opera di Povolo (1997), affronta invece il periodo immediatamente successivo dedicando molto più spazio a queste problematiche. 15 Si veda Povolo (2006), dove viene anche presentata un'analitica riflessione storiografica sul tema. 16 Una magistratura su cui, a causa delle scarse fonti reperibili, la storiorafia veneziana poco si è soffermata; si rimanda comunque a Ruggiero (1982, 20-21, 41; 1997, 396). 17 Salvo poi concedere, il 3 giugno 1414, una contingente facoltà ad alcuni rettori, in particolare quello di Padova, di trattare personalmente con i condannati e i banditi troppo poveri per recarsi a Venezia a porgere le proprie suppliche. La volontà di «venire ad illa pacta, conventiones, et gratias» (ASV, MC, 21, 239 r.) con tali individui del Dominio esprimeva le intenzioni del ceto dirigente di evitare la dispersione dei sudditi e l'impoverimento dei territori da poco acquisiti. Il 19 agosto 1425 il Maggior Consiglio concesse nuovamente al podestà di Padova l'autorità per poter negoziare con i condannati affinché essi pagassero le loro condanne dando unapiezaria (ASV, MC, 22, 70 r.). 264 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 altro tenore era la parte del 3 luglio 141418, che per prima affronté organicamente i dilemmi legati alla conflittualità che imperversava nelle province assoggettate, manifestando pure quali fossero i sostanziali punti di divergenza tra la prassi bannitoria veneziana e quella continentale. I delitti e i ratti continuamente commessi, in particolare a Vicenza e nel vicentino, spinsero il Senato ad occuparsi della materia, articolando la seguente serie di risposte: il bando, da qualunque territorio e giurisdizione, a cui soggiacevano tutti i rapitori di donne ed i condannati alla pena di morte per qualunque crimine, ad eccezione dell'omicidio puro19, veniva ora esteso all'intero Dominio a parte terre; i rettori, nella cui giurisdizione trovava-no rifugio i rapitori ed i banditi provenienti da altri territori, dovevano catturare e rispedire quest'ultimi al rettore nel cui distretto era stato perpetrato il delitto; la consuetudine o la norma statutaria vigente in alcune province soggette, che prevedeva la possibilità di liberare se stessi o qualcun altro dal bando attraverso l'uccisione o la presentazione di un altro bandito, non doveva più aver luogo, ma veniva sostituita da una taglia di cento lire per chi avesse ucciso o presentato un bandito da Vicenza o vicentino, pagata dalla stessa comunità berica, mentre nelle altre gurisdizioni nemmeno questa ricompensa veniva contemplata; infine, chiunque avesse dato ricetto a rapitori e banditi in casa propria o avesse fornito loro in qualunque modo ausilio, sarebbe stato punito secondo l'arbitrio dei rettori sotto la cui giurisdizione i condannati erano stati aiutati (ASV, S, Misti, SO, 126 v.). Una disposizione molto precisa e severa, che in parte incideva pure sugli assetti giurisdizionali esistenti attraverso l'inserimento della conflittualità locale in un circuito ben più esteso, quello dell'intero stato da ter20. Soprattutto, la legge interveniva su di una prassi diffusa nella terraferma, ma non a Venezia21, influenzando fortemente equilibri e faide locali, dove la possibilità di liberarsi a scapito di altri condannati era parte integrante del sistema vendicatorio. Bisogna tuttavia chiarire come quest'ultima rappresentasse una decisione controversa: cio che si andava a limitare era un sistema che, in quanto sanzio-nato da consuetudini o norme statutarie, aveva una valenza giuridica che la Dominante, nel momento delle pattuizioni con le realtà assoggettate22, si era impegnata a rispettare. In sintesi, la compagine governativa violava uno dei dogmi politici a cui presto sempre par-ticolare attenzione: pacta servanda sunt. Nella misura in cui le comunità della Terraferma avevano in genere ottenuto di mantenere i propri statuti, è difficile stabilire con quale grado e con quanta continuità questa scelta, che incideva pesantemente negli equilibri locali, venne portata avanti dal ceto dirigente. Fu in ogni caso una scelta dal carattere non solo giuridico, ma anche politico, nella misura in cui il Maggior Consiglio intervenne successivamente, nel luglio 1419, per 18 Citata anche in Viggiano (1993, 233). 19 Cioè senza l'aggravante della premeditazione (cfr. Povolo, 2004, 50). 20 Misura che potrebbe tuttavia essere interpretata come un'enfatizzazione della nuova dimensione costituzio-nale in cui si era inserita la città lagunare attraverso l'espansione nella Terraferma. 21 Nella Venezia bassomedievale solo chi era stato bandito dai Cinque Anziani alla Pace per una certa somma poteva essere impunemente ucciso. Tuttavia, nel Trecento, i tribunali della laguna potevano concedere questa facoltà in misura contingente, come osservato in Cozzi (1982, 82-83). 22 Sulle dedizioni a Venezia di inizio XV secolo si veda Menniti Ippolito (1985) e Ortalli (1996). Per un confronto con lo stato da mar, si rinvia a Orlando (2015, 132-134). 265 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 impedire l'attuazione di un'altra modalità a cui si faceva ricorso nelle province soggette per garantirsi la remissione del bando: il servizio nelle armate della Signoria per un certo periodo di tempo23. Nello specifico, si annullava la concessione da poco fatta ai banditi dei territori di Padova, Verona e Vicenza d'essere assolti dopo aver prestato servizio per sei mesi, a condizione di avere la carta della pace dagli offesi24, in quanto la speranza di poter ottenere cos! la grazia fungeva da focolaio per ulteriori omicidi e delitti, come una lettera dei rettori veronesi aveva esplicitato (ASV, MC, 22, 33 r.). La Dominante, nell'immediato volgersi delle campagne d'espansione nella Terraferma, aveva provvedu-to perciô ad arginare alcune forme della conflittualità locale, tentando forse «di imporre sul Dominio una politica del penale che si rifacesse al modello veneziano» (Viggiano, 1993, 234), anche se tali misure vennero presto abbandonate. A fine maggio 1426, infatti, la moltitudine degli individui banditi dai principali centri dello stato da ter25 aveva spinto la classe dirigente a riconsiderare il divieto di guadagnarsi la libertà attraverso il servizio nelle armate della Serenissima ed a riattivare tale meccanismo (ASV, MC, 22, 72 v.). Il sistema, a fine maggio 1438, venne riproposto e rafforzato: a condizione di avere la carta della pace, non solo i banditi per omicidio puro potevano riottenere la libertà servendo per quattro mesi, ma anche i condannati per omicidio pensato avrebbero beneficiato della legge, che garantiva loro la sensibile riduzione del bando da tutti i territori a parte terre a solamente la giurisdizione nella quale avevano commesso i delitto (ASV, S, Misti, 60, 84 v.). Questa e altre delibere emanate poco dopo26 erano motivate dal pericolo che gli esiliati passassero al servizio 23 Un sistema che veniva attivato in momenti di crisi legati a conflitti bellici. La concessione della liberazione tramite servizio militare sembra essere stata sfruttata da Venezia con una certa continuita: ad esempio, in Viggiano (1993, 268-269) si riporta in nota una delibera del Senato, datata 18 ottobre 1413, in cui venne votata la proposta di assolvere dal bando gli esiliati dal trevisano e dal cenedese per omicidio puro in cambio del loro servizio gratuito in armata; poco prima della rotta di Agnadello, il giorno 19 aprile 1509 era stata approvata in Senato una legge che ingiungeva ai rettori a parte terre di proclamare che i banditi per omicidio puro, avendo la carta della pace, avrebbero potuto tornare alle loro patrie permettendo in cambio ai rettori di esaminare i loro patrimoni e, in base ai beni di ciascuno, stabilire un numero di provisionati, non inferiore a cinque, da ingaggiare con i soldi degli stessi banditi, per almeno quattro mesi. I banditi ad tempus invece avrebbero potuto servire per due mesi senza paga o per quattro con mezza paga, personalmente o pagando qualcuno al proprio posto, ed essere assolti (ASV, S, Ter, 16, 116 v.); inoltre, nell'aprile 1616 il Senato aveva dato vita alla commissione dei Deputati alla liberazione dei banditi, istituita per rispondere alle richieste di chi dava la propria disponibilita a servire in armata in cambio dell'assoluzione dal bando (Povolo, 2011, 155). Provvedimenti simili vennero emanati anche per lo stato da mar (si veda ASV, S, Mar, 9, 2 r., e ivi, 10, 105 r.), in cui si denunciava come questa possibilita fosse stata troppo ampiamente sfruttata dai banditi cretesi nel corso del pieno XV secolo. Tuttavia, nel 1500 e nel 1509 vennero promulgate delle nuove parti che attivavano ancora una volta tale meccanismo (ASV, S, Mar, 15, 67 r.-v., e ivi, 17, 95 v., 97 r.). 24 Un documento dal valore legale redatto da un notaio e che aveva un'incisiva influenza in seno alle dina-miche conflittuali, ma anche all'interno del confronto tra le parti in sede processuale, come chiarito da Bellabarba (2001). 25 Piu di milleduecento dal vicentino, piu di mille dal veronese e molti anche dal padovano (ASV, MC, 22, 72 v.). 26 Il 13 giugno il Senato concedeva anche ai condannati per omicidio pensato di potersi presentare ai relativi rettori e produrre le proprie «defensiones probationes declarationes et iura» in modo da dimostrare il grado puro dell omicidio che era stato a loro addebitato. Se avessero avuto successo, avrebbero goduto del beneficio della liberazione completa dal bando, dopo aver servito in armata e aver conseguito la charta pacis. In caso contrario, avrebbero potuto comunque godere della riduzione del bando oppure ritornare al proprio 266 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 di signori nemici, ma anche dal desiderio della Dominante di non permettere l'eccessiva dispersione dei sudditi, a detrimento delle loro famiglie e dei loro beni e pure dell'in-tegrità delle province suddite, che avrebbero sofferto per la scarsità della forza-lavoro. Si delineano cos! i due poli lungo cui vennero articolate le politiche penali del governo veneziano nei confronti della Terraferma all'indomani della conquista: da un lato una ferma disapprovazione dei tratti più violenti della conflittualità locale, espressa attraverso misure repressive, e dall'altro un atteggiamento compromissorio, volto a salvaguardare gli ordini socio-economici esistenti. Anche il provvedimento del 3 luglio 1414 che mirava a stabilire, da un punto di vista giurisdizionale, la dimensione unitaria del dominio di Terraferma come unità territoriale di applicazione della pena del bando nei casi di delitti gravi, seppur ribadito nella so-stanza il 2 settembre 14 3 2 27, venne annullato a metà giugno 143828, perché non rispettata dagli stessi rettori: essi abusavano della possibilità di bandire da tutta la Terraferma, adottandola anche in casi non atroci e causando lo spopolamento dei territori (ASV, S, Misti, 60, 91 r.-v). Il Senato comandava pertanto che i rettori rispettassero quanto dettato da statuti e consuetudini, omettendo tuttavia di ripristinare anche il meccanismo della liberazione dall'esilio tramite uccisione o presentazione di banditi, sospeso dalla legge del 1414. Ció non significava che a Venezia non se ne potesse apprezzare l'efficacia, come dimostro il Senato quando confermo l'operato del podestà di Cittadella il 2 giugno 1442: quest'ultimo aveva promesso l'assoluzione a dei banditi per omicidio puro dal trevisano in cambio della cattura di alcuni sicari e malfattori che da tempo derubavano ed assassinavano mercanti ed altri individui (ASV, S, Ter, 1, 69 v.). Tuttavia, la Dominante si riserbo di usare sporadicamente questo strumento nel corso del Quattrocento (Viggiano, 1993, 237), impedendo fino a metà del secolo che tale prassi si ristabilisse nello stato da ter, quando infine concesse tale privilegio a Vicenza. In alcuni capitoli la comunità berica si lamentava degli omicidi e delle malefatte commessi dai banditi, chiedendo non solo che quest'ultimi potessero essere offesi ed uccisi impunemente, ma pure che illi qui tales bannitos seu condemnatos ad morendum ceperint et presentaverint seu interfecerint in Civitate seu territorio [...] secundum formam statutorum possint eximere de banno unum bannitum per puro homicidio habente cartam pacis cum propinquis offensi et si isti tales essent in banno pro puro homicidio absolvantur a banno suo habendo cartam pacis (ASV, S, Ter, 2, 160 v.). esilio (ASV, S, Misti, 60, 91 r.); il 23 giugno si garantiva il medesimo beneficio anche a quei rapitori di donne che avevano in seguito effettivamente preso per mogli le loro vittime (ivi, 93 r.); infine, il 12 luglio si estendeva questa legislazione anche a condannati e banditi provenienti da Istria e Dalmazia (ivi, 96 r.). 27 Alcuni banditi dal padovano erano tornati in quel territorio, avevano commesso ulteriori azioni criminose e avevano trovato riparo nel trevigiano. Il Senato aveva perció riaffermato la possibilità per i rettori di far catturare i banditi all'interno di tutto lo stato da ter e pure a Venezia e nel Dogado, un potere ora esercitabile anche nei confronti di quei condannati che avessero rotto i confini dei propri bandi per perpetrare nuovi insulti ed offese (ASV, S, Misti, 58, 146 v.). 28 Analizzata anche in Viggiano (1993, 234-235). 267 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 La richiesta, votata il 23 novembre 1450, venne approvata e successivamente mo-dificata il 12 febbraio successivo, quando venne posta la condizione che solo i banditi, sia ad inquirendum29 che non, effettivamente colpevoli e condannati a morte avrebbero garantito l'assoluzione a chi li avesse catturati od uccisi (ASV, S, Ter, 2, 171 v.-172 r.). La precisazione rendeva conto dei motivi alla base della diffidenza delle autorità veneziane: il sistema si prestava ad abusi e poteva fungere da catalizzatore per ulteriore violenza, in quanto simboleggiava una concreta speranza di liberta per coloro che si macchiavano di un grave crimine. Nel solco di questo cambio di indirizzo politico in campo penale da parte della compagine veneziana si inserisce pure la delibera del 4 aprile 1456, che concedeva ai custodes incaricati di garantire l'ordine nella città lagunare30 la facoltà di ferire ed uccidere coloro che, banditi dalla città con pena di morte o di perdita di un membro, fossero stati li trovati e avessero resistito alla cattura (ASV, MC, 23, 12 r.). I problemi legati al rapporto tra banditismo e iuiisdictio scoppiarono con intensità nella seconda meta del secolo. Il 18 aprile 1475 il Maggior Consiglio, facendo riferimento ad una legge del 1443, la quale prescriveva per qualunque condannato l'estensione del bando per quindici miglia oltre i confini delle giurisdizioni31, denunciava come i banditi dai territori di Padova, Treviso e Mestre si radunassero a Gambarare ed in altre località presso i limiti del Dogado, rompendo i confini previsti dai loro esili e rendendo il «distric-tus venetiarum asilum omnium improborum» (ASV, MC, 23, 155 r.). Non era la prima volta che i malfattori sfruttavano la frammentazione giurisdizionale che caratterizzava la Terraferma a proprio vantaggio32, ma le dimensioni del fenomeno ed i problemi che ne scaturivano indussero il Maggior Consiglio a ribadire che i banditi di Padova, Treviso e Mestre dovessero considerarsi tali anche per le quindici miglia oltre i confini delle rispettive giurisdizioni, un'interdizione che comprendeva pure i territori del Dogado, con l'eccezione della stessa città di Venezia. A fine settembre dello stesso anno la parte, con qualche modifica, venne riconfermata (ASV, MC, 23, 159 r.). CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ TRA XV E XVI SECOLO II 1485 rappresenta, come anticipato, un importante momento di cesura, in quanto un nuovo corso di politica penale della Dominante prese avvio in questi anni, pur rifacen-dosi alla propria esperienza pregressa ed a prassi preesistenti nella Terraferma, le quali vennero infine accettate. In particolare, due delibere affrontarono nuovamente i problemi 29 Su questa forma di condanna, diffusa sulla Terraferma ma non a Venezia, e sulla relativa normativa tra XV e XVI secolo, si rinvia a Viggiano (1993, 201, 309-310) e Povolo (1997, 120-121). 30 Sul tema si rinvia a Pezzolo (2010). 31 ASV, S, Ter, 1, 112 r.; se catturati entro tali quindici miglia, i banditi avrebbero súbito la stessa pena come se presi all'interno del territorio a loro proibito. La parte, che rifletteva quanto gia previsto dagli statuti delle varie comunita suddite, era stata emanata perché i malfattori sfruttavano i confini delle giurisdizioni per compiere impunemente le loro azioni criminose. 32 Si pensi alla delibera del 27 giugno 1428, che denunciava come i ladri, compiuto il furto a Venezia, si rifu-giassero senza fatica a Mestre, dove potevano rimanere incolumi (ASV, MC, 22, 79 v.); un problema che venne riaffrontato nel 1451 (ivi, 187 r.). 268 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 connessi al rapporto tra pena del bando, faida e assetti giurisdizionali. La legge del 1475 presa in Maggior Consiglio non aveva sortito gli effetti desiderati, anzi, nelle località di Gambarare, Bottenigo ed Uriago ora si radunavano pure coloro che erano stati banditi da tutte le terre ed i luoghi della Repubblica, favorendosi reciprocamente nel commettere furti, rapine, omicidi, violenze e contrabbandi. Il 24 marzo 1485, allo scopo di evitare questi sediziosi assembramenti, il Consiglio di Dieci decise di accogliere la possibilità per i condannati di redimersi grazie all'uccisione o alla presentazione di altri banditi che fossero stati trovati in tali territori a loro interdetti. L'unica rilevante eccezione era data dal fatto che «exemptio predicta a banno non intelligatur super bannitis de hac civitate nostra Venetiarum» (ASV, CD, Miste, 22, 154 r.-v.): chi non era bandito, o lo era solo da Venezia e Dogado, se avesse presentato od ucciso un altro condannato avrebbe potuto liberare qualcun altro da uno qualunque dei luoghi della Repubblica, a condizione di avere la carta della pace. Questa delibera rappresenta nella sostanza l'istituzionalizzazione di quella consuetudine o norma statutaria, invalsa nello stato da ter, che nel 1414 la Dominante aveva rigettato e poi parzialmente riconcesso alla città di Vicenza a metà Quattrocento dietro l'insistenza di quella comunità33. Anche se la sua applicazione era prevista per dei luoghi momentaneamente circoscritti, il Consiglio di Dieci la faceva propria, indicandola come strumento utile per l'estirpazione di una grave minaccia manifestatasi presso i confini della laguna. Tra gli effetti - indesiderati - che seguirono presto l'adozione di questo meccanismo si possono annoverare le richieste di commutazione o traslazione dei bandi. Dato che il sistema prevedeva la possibilità di liberare non solo se stessi, ma anche altri banditi, presto queste facultates divennero un prezioso mezzo per assicurarsi l'assoluzione, dando l'avvio alla pratica di rivendere quelle che in seguito vennero chiamate voci liberar bandito. Il problema concerneva la frammentazione giurisdizionale della Repubblica nella misura in cui le facoltà concesse erano valide solo per quel territorio da cui era stato inflitto il bando: ad esempio, un bandito dal padovano non avrebbe potuto utilizzare una voce destinata ad assolvere un bandito dal vicentino; l'impasse era superato domandando agli organi centrali veneziani di commutare o traslare la giurisdizione d'applicazione di questi bandi34. Il Senato intervenne pero ripetutamente per contenere gli eccessi di questa novità: il 30 agosto 1499 si vietava l'opportunità ai banditi per omicidio dell'isola di Candia «de redimersi cum el comprar di bandi concessi in le terre nostre de Italia» (ASV, S, Mar, 14, 195 v.), vietando le permutazioni di voci dalla penisola italiana all'isola greca. A fine agosto 1506 lo stesso organo, facendo il punto sulle passate provvisioni in materia di ban- 33 Anche alla comunità di Verona venne concesso di ripristinare tale meccanismo in tale giurisdizione nel febbraio 1502 m.v. (ASV, S, Ter, 14, 135 v.-136 r.); quindi, prima che venissero emanate le disposizioni dal 1514 in poi, con le quali, come a breve si spiegherà, si estese il sistema della liberazione dal bando tramite uccisione o presentazione di banditi a tutta la Repubblica. 34 Cioè il nome sinteticamente dato a tali facultatem et libertatem extrahendi de banno. Il termine bando assunse cosi, tra fine XV e inizio XVI secolo, una doppia valenza semantica: al tempo stesso, sia pena che strumento atto a guadagnare l'annullamento di quest'ultima. Per alcuni esempi di traslazioni a inizio XVI secolo si veda ASV, S, Ter, 20, 22 v. (23 aprile 1517); ivi, 130 r. (26 marzo 1518); ivi, 186 r.-v., (18 gennaio 1518 m.v.); ASV, S, Ter, 21, 19 v. (1 marzo 1519); ivi, 42v.-43 r. (31 maggio 1519). 269 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 ditismo, denunciava, tra l'altro, la liberalita con cui le traslazioni erano concesse; onde evitare che i condannati facessero ritorno troppo facilmente nelle loro patrie si restrinsero le condizioni per concedere sia le «licentia sive facultas extrahendi aliquem bannitum pro puro homicidio tam habentem cartam pacis» che per soddisfare le richieste dei banditi per omicidiopuro di «mutari banna de loco ad locum» (ASV, S, Ter, 15, 134 r.-v.). Ancora il 6 maggio 1520 si constatava pero la semplicita nell'ottenere la «permutazione di bando alcuno di loco a loco» (ASV, S, Ter, 21, 116 r.), per cui si posero criteri ancora piu vinco-lanti. Il problema venne risolto strutturalmente solo in seguito, quando gli organi centrali veneziani iniziarono a concedere facultates che garantissero l'assoluzione per qualunque territorio della Repubblica, senza restrizioni giurisdizionali. Oltre all'adozione del meccanismo delle voci, nel 1485 un'altra misura concernente la relazione tra pena del bando, conflittualita e assetti costituzionali venne emanata, che ripren-deva ancora una volta un aspetto significativo della parte del 1414: il Maggior Consiglio assegno al Senato l'autorita di bandire con taglia i delinquenti per casi piu gravi non solo da citta e luoghi del Dominio, ma anche da Venezia e Dogado (ASV, MC, 24, 69 v.-70 r.). Si ricostituiva cosí il dominio a parte terre come parte integrata di un'unita giurisdizionale presa come punto di riferimento nell'inflizione della pena del bando, a cui ora si aggiungeva il territorio lagunare, spesso considerato come una zona franca, con evidente disappunto della compagine governativa. La difformita rispetto alla disposizione di quasi settant'anni prima si collocava nell'aver definitivamente accentrato nell'organo veneziano qualunque facolta decisionale, mentre in precedenza tale responsabilita era stata delegata ai rettori. Ora il ceto dirigente sentiva con ogni probabilita di disporre della maturita necessaria per valutare caso per caso come gestire la conflittualita che innervava il Dominio. Gli ultimi anni del XV ed i primi del XVI testimoniarono l'emanazione di ulteriori misure atte a circoscrivere alcuni aspetti del banditismo correlati alle dinamiche di faida e vendetta, che vennero spesso revocate dopo poco tempo su insistenza delle comunita soggette, un fenomeno che attesta come si fosse stabilita una dialettica da Dominante e Dominio su tale delicata materia. Le leggi in questione, che vennero estese a tutta la Re-pubblica, sono molteplici: il 29 luglio 1489 si impedí l'uccisione di banditi tramite agguati, insiede e raggruppamenti (ASV, CD, Miste, 24, 129 v.-130 r.), ma la misura fu revocata l'anno successivo (ASV, CD, Miste, 24, 215 r.); il 30 agosto 1531 si cerco di tagliare le reti di protezione ed appoggio di cui godevano i banditi a livello locale (ASV, CD, Comuni, 7, 82 v.-83 r.), un tentativo che, seppur anticipato da una misura dell'agosto 1507, che contem-plava l'imprigionamento per chi avesse dato ricetto in casa a qualunque condannato (ASV, CD, Miste, 31, 195 r.-v.), fu rigettato nel settembre 1532 perché si prestava ad abusi (ASV, CD, Comuni, 8, 82 v.-83 r.); infine, il 29 gennaio 1533 m.v. si imposero almeno cinque anni di attesa prima che un bandito per omicidio puro potesse liberarsi tramite una voce (ASV, CD, Comuni, 9, 158 v.). Tali delibere sono gia state ampiamente analizzate altrove (Cozzi, 1982, 85-86; Basaglia, 1981; Povolo, 1997, 119-120; Viggiano, 1993, 234-236 e passim), pertanto non saranno qui affrontate piu analiticamente. Oltre alla gia presentata questione delle commutationes, il sistema della liberazione dal bando tramite uccisione o presentazione di altri condannati si presto ad ulteriori corruttele: ad esempio, a inizio ottobre 1489 il Senato rilevava che nel vicentino, dove 270 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 in realta il meccanismo era gia stato riattivato da tempo, molte assoluzioni erano state concesse irregolarmente, anche a chi presentava alle forze della Signoria individui che non erano stati affatto condannati o che non soggiacevano alla pena di morte (ASV, S, Ter, 10, 172 r.)35. Nel marzo 1494 il Senato cerco invece di autoregolare se stesso ed anche la Quarantia Criminale: i due organi, quando chiamati ad emettere delle taglie nei confronti di chi si macchiava di crimini gravi, largheggiavano nel concedere facultates che avrebbero permesso ai banditi per omicidio puro di fare ritorno nelle relative patrie, dove avrebbero potuto commettere ulteriori violenze e disordini. Si stabili pertanto che tali consigli non potessero piu concedere voci (ASV, S, Ter, 12, 47 v.-48 r.)36. I timori che i condannati, assuefatti ad una vita di scelleratezze e pravita, una volta liberati potessero commettere ulteriori delitti ed omicidi, con la speranza di poter essere nuovamente as-solti, dovevano essere ben fondati se il Senato emano il 12 maggio 1502 un'altra parte che decretava il bando perpetuo ed irremissibile per chi si fosse macchiato per la seconda volta del reato di omicidio (ASV, S, Ter, 14, 84 r.). Una significativa innovazione relativa al rapporto tra pena del bando e concezione del territorio e dei suoi confini37 e rappresentata dalla delibera del 26 luglio 1503, con la quale il Consiglio di Dieci poneva le basi per contrastare il banditismo all'interno di un piano giurisdizionale piu esteso: il punto di partenza era ancora una volta la questio-ne legata a quelle localita nei pressi dei confini della laguna, Gambarare, Bottenigo e Oriago. Si ordinava pertanto a questi condannati di uscire entro otto giorni dai luoghi a loro interdetti, altrimenti il loro esilio si sarebbe esteso a tutti i domini della Repubblica, Venezia e Dogado inclusi, ed anche ai navigli armati e disarmati; ovunque fossero stati catturati, avrebbero súbito le pene previste dalle loro condanne. Infine, da quel momento in poi, qualunque individuo che avesse rotto i confini del proprio bando avrebbe dovuto intendersi esiliato da Venezia, Dogado e da tutti territori e luoghi soggetti all'autorita della Serenissima (ASV, CD, Miste, Filze, 15, 164 r.). La portata di questa legge venne pero in parte smorzata da altri provvedimenti volti a salvaguardare gli assetti costituzionali vigenti nella Terraferma: una misura presa in Quarantia Criminale a meta maggio 1505 invalidava l'arresto di Giovanni de Rovetis, bandito da Brescia e bresciano, avvenuto entro le quindici miglia da quel territorio, ma all'interno della giurisdizione del podesta di Bergamo, quindi «cum disturbatione iurisdictionis suae» (ASV, Compilazione Leggi, 73, f. 599). Analogamente, una ducale inviata al Luogotenente di Udine nel settembre 1522 ingiungeva al rettore di rilasciare un abitante della Carnia, esiliato da Tolmezzo 35 L'annullamento di queste assoluzioni venne pero repentinamente revocato di fronte alle proteste da parte di chi aveva goduto di tale beneficio, soprattutto di coloro che, tornati in patria, si erano creati una famiglia ed avevano generato prole (ASV, S, Ter, 10, 177 v.); cio rappresenta anche una conferma del fatto che in tale territorio il meccanismo fosse stato riattivato ormai da molto tempo. 36 Questa parte non va pero interpretata come un rifiuto del ceto dirigente veneziano nel permettere la con-tinuazione del meccanismo di liberazione, come suggerito in Basaglia (1981, 74) e Viggiano (1993, 235), quanto piu come un tentativo di ridurre il numero delle voci in circolazione ed evitare quindi che troppi banditi potessero facilmente ottenere l'assoluzione. 37 Per un analisi del rapporto tra banditismo, faida e confini giurisdizionali si veda, anche se in un periodo cronologico successivo, Gioia (2007). 271 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 e catturato all'interno della Patria del Friuli con l'accusa di aver rotto i confini del suo bando. Il rilascio fu motivato dal principio che nella Carnia non c'erano giusdicenti della Repubblica, per cui il bandito di Tolmezzo non doveva considerarsi tale anche nella Patria del Friuli né negli altri territori della Signoria (ASV, Compilazione Leggi, 73, f. 723). Questi decreti di inizio XVI secolo rendono dunque conto della prudenza esercitata dalla compagine governativa nel gestire i delicati equilibri giurisdizionali del Dominio. Un salto di qualità notevole è costituito dalla parte del 28 gennaio 1514, che estendeva il meccanismo della liberazione tramite uccisione o presentazione di banditi anche a Venezia, dove fino a quel momento questa prassi non era stata accettata all'interno del contesto lagunare, se non con la parziale eccezione dei condannati dai Cinque Anziani alla Pace, i quali potevano essere impunemente ammazzati, ma senza che cio garantisse l'assoluzione all'uccisore, se questo era a sua volta stato in precedenza esiliato. L' incipit rilevava pero che, oltre a questa consuetudine, a Venezia «de li banditi (non) fu facta altra menzion, presupponendosse et havendosi per certo in quelli boni tempi non potesse mai ritrovar, come cum effecto non si ritrovava homo di tanta temerarietà che ardisse ne presumesse romper I confini del bando suo, et la obedienza del Stato» (ASV, MC, 25, 115 r.). Per rispondere all'audacia ed alla temerarietà dei banditi vennero prese misure drastiche: tutti i condannati in perpetuo da Venezia e Dogado avrebbero potuto essere impunemente uccisi; un bandito dalla città lagunare per omicidio puro, uccidendo un altro bandito in perpetuo dentro i confini, avrebbe guadagnato la libertà; un bandito da Venezia e Dogado per omicidio premeditato o per assassinamento, eliminandone un altro di pari condizione, sarebbe stato assolto. Per favorire ancora di più l'efficacia di questa misura, nel gennaio 1522 m.v. si stabiliva di assegnare anche una taglia a quei banditi veneziani che ne avessero eliminato un altro, in aggiunta alla concessione della liberazione (ASV, MC, 26, 24 v.-25 r.), un provvedimento che venne presto esteso anche a tutti i territori della Repubblica (ASV, MC, 26, 28 r.). Il ceto dirigente avverti pero una certa insoddisfazione nei confronti di questa materia, di cui se ne riconosceva la rilevanza38, se il 15 marzo 1524 vennero avanzate in Senato ben due differenti riforme intese a correggere le parti già emanate dal 1514 in poi, ma entrambe non vennero approvate dal Maggior Consiglio (ASV, S, Ter, 23, 104 r.-v., 104 v.-105 r.). Solo a fine giugno dello stesso anno fu ratificata una nuova disposizione in materia di banditismo, che sostituiva quelle degli anni precedenti ed era articolata su più punti, alcuni dei quali in-troducevano delle significative novità: si ripeteva innanzitutto la bontà e la generalizzazione del sistema della liberazione dal bando a tutti i territori della Repubblica, inclusi Venezia e Dogado, a cui potevano ricorrere solo i banditi per omicidio puro e non più quelli per furti, omicidi pensati e casi più atroci. Questo beneficio fu perô precluso a «il padre che amazasse il fiol, et il fiol che amazasse il padre, et il fratello che amazasse l'altro fratello, socero et genero. Item barbani in primo gradu, nevodi ex parte si de fratelli, come sorelle et cusini zermani de sangue, marido et moglie» (ASV, MC, 26, 50 v.-51 r.), allo scopo di evitare che il meccanismo fosse sfruttato all'interno di faide intra-familiari. 38 II 5 marzo 1524 veniva dichiarato in Senato che la materia «de legibus bannitorum pro delictis, se invicem interficientium ut liberentur ab exiliis importantissima est» (ASV, S, Ter, 23, 90 r.). 272 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 Si stabilirono anche, forse per la prima volta, dei criteri di natura procedurale da rispettare nella concessione dell'assoluzione: nel caso in cui un bandito fosse stato ucciso, occorreva accertarsi che quest'ultimo fosse effettivamente stato esiliato in perpetuo per i reati sopramenzionati; nel caso in cui un bandito fosse stato presentato alle forze della Signoria, si doveva garantire la remissione del bando solo dopo l'inflizione della pena capitale prevista. Onde evitare di concedere più volte tale beneficio allo stesso individuo, chi avesse commesso più di un omicidio puro o chi, assolto una volta dal proprio bando, avesse ucciso nuovamente, si sarebbe trovato nella condizione di bandito per omicidio pensato e quindi non avrebbe più potuto sperare nell'assoluzione. Chi invece non fosse stato esiliato ed avesse ucciso o presentato un bandito avrebbe incamerato una taglia, ma nulla si specificava in merito alla concessione di una voce. Il 30 ottobre 1534 il Consiglio di Dieci individuó proprio in questo silenzio la causa che spingeva gli ufficiali al servizio della Repubblica a non impegnarsi sufficientemente nella cattura dei banditi, per cui rista-biliva di concedere ad essi una «liberta de trazer uno de bando de una de le cita, et terre nostre per homicidio puro cum la charta de la pace» (ASV, CD, Comuni, 10, 81 v.-82 r.,) per ciascun bandito per omicidio pensato, furto o caso atroce consegnato alla giustizia e si fissava pure la possibilità di far assolvere un bandito ad tempus per ciascun bandito per omicidio puro catturato. Gli anni successivi, tra quarto e quinto decennio del Cinquecento, non testimoniarono altrettanto radicali trasformazioni39 come quelle avvenute tra fine XV e inzio XVI secolo, tuttavia il Consiglio di Dieci intervenne numerose volte in questa materia, in certi casi per regolare alcuni eccessi legati alla presenza dei condannati nei luoghi confinanti la laguna40 e in altri per modificare alcuni aspetti del meccanismo dell'assoluzione tramite uccisione o presentazione di banditi. Nella delibera del 13 febbraio 1534 i due piani si in-trecciarono: dopo aver riassunto le misure prese dallo stesso organo nel 1485 e nel 1503, si decreto che che banditi che ne avessero catturato o ucciso altri condannati in perpetuo nei territori di Gambarare, Oriago e Bottenigo avrebbero beneficiato della libertà; l'eli-minazione di un bandito ad tempus avrebbe garantito l'assoluzione solo a chi si trovava nella medesima condizione, «perché absurdissima cosa è che uno bandito ad tempus sia causa de liberar un bandito diffinitive et in perpetuo, et etiam per caso atroce» (ASV, CD, Comuni, 10, 113 v.-114 r.). Tuttavia, se un condannato ad tempus avesse dimorato in quei 39 Ad eccezione forse della parte del 24 ottobre 1517 che attestava come i banditi, trovato rifugio in luoghi alieni, quindi al di fuori della giurisdizione della Signoria, non temevano né pene né taglie. Pertanto il Se-nato si assumeva la facoltà di ordinare ai rettori, oltre al valore delle taglie da assegnare, anche la confisca dei beni di chi avesse commesso casi atroci ed assassinamenti. I rettori avrebbero dovuto prendere nota dei possessi sia mobili che immobili di chi, convocato a giudizio, non fosse presentato e impegnare questi beni al pagamento delle relative taglie (ASV, S, Ter, 20, 97 v.-98 r.); senza un'analisi più approfondita delle ri-soluzioni quotidianamente adottate dal Senato in questo periodo risulta peró difficile stabilire quanto questa estrema misura fosse utilizzata per scoraggiare la conflittualità locale. 40 Il 9 gennaio 1533 m.v. si denunció la piega presa dalla concessione di benefici a chi avesse eliminato i banditi radunatisi a Gambarare, Oriago, Bottenigo ed ora anche Lizzafusina: i condannati che transitavano solamente per quei luoghi per andare o tornare da Venezia venivano seguiti ed uccisi. Si stabil! pertanto che solo quei banditi che avessero dimorato in tali luoghi avrebero soggiaciuto alle parti che decretavano l'impunità ed il beneficio per gli uccisori (ASV, CD, Comuni, 9, 157 v.-158 r.). 273 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 luoghi, il suo bando sarebbe divenuto perpetuo. Da tale sistema di liberazione il Consiglio di Dieci escluse i banditi dalla citta di Venezia, ai quali era concesso l'assoluzione solo nelle modalitá strettamente previste dalla legge del Maggior Consiglio del 1524. Infine, vennero anche in questo caso stabilite delle procedure di accertamento da espletare prima di garantire il beneficio: era necessario che fosse formato processo per il proveditor nostro delle gambarare circa il prender o amazar de ditti banditi et posta in scrittura la soa opinione, etpoi per parte posta, etpresa nel conseglio della xLtia nostra criminal cum introduttione almen de uno delli avogadori nostri di commun dove si debbi lezer le probatione de prender o amazar di ditti banditi, li loro bandi et la presente parte (ASV, CD, Comuni, 10, 113 v.-114 r.). Il nuovo iter adottato fu pero poco efficace in quanto poche richieste di concessione del beneficio erano effettivamente introdotte e votate in Quarantia, il che scoraggiava la cattura dei banditi, come rilevato nel gennaio 1536 m.v. (ASV, CD, Comuni, 11, 186 v.-187 r.). Dopo aver reiterato a metá aprile 1540 l'ordine di uscire dai confini dei territori a loro preclusi, aver introdotto un'ulteriore taglia nei confronti dei banditi che si fossero recati a Venezia e nel Dogado (ASV, CD, Comuni, 13, 140 v.-141 r.) ed aver imposto nel luglio 1541 ai rettori del Dominio di aggiungere perentoriamente anche il territorio lagunare tra i luoghi interdetti ai condannati (ASV, CD, Comuni, 14, 46 v.-47 r.), il Consiglio di Dieci stabili il 18 dicembre 1540 che i banditi ad tempus, al pari di quelli in perpetuo, avrebbero dovuto attendere un certo periodo di tempo, prima d'essere assolti tramite voci, pari ad almeno sei mesi «da poi che haveranno compiti li Reggimenti soi quelli Rettori, dai qual sono o saranno sta condannati» (ASV, CD, Comuni, 13, 230 v.-231 r.). Si evince da ció che tra gli anni '30 e '40 del Cinquecento la compagine governativa volle affrontare con maggior decisione uno degli effetti secondari della generalizzazione del meccanismo di liberazione dal bando, cioe la facilita e la velocita con cui si poteva ottenere l'assoluzione «con il mezo de quelli che hano voce di cavar di bando» (ASV, CD, Comuni, 14, 75 r.-v.), come denunciava una parte di meta settembre 1541. Questa stessa delibera riconfermava quanto stabilito nel 153341 ed aggiungeva che i banditi ad tempus da Venezia avrebbero ottenuto la liberazione tramite facultatem solamente dopo un terzo del tempo previsto dalle relative condanne, presentando la carta della pace qualora fosse stato sparso del san-gue. Un obbligo che venne esteso, una settimana dopo, il 24 settembre 1541, anche a chi era stato bandito ad tempus da qualunque territorio del Dominio «per casi ove intervengi sangue» (ASV, CD, Comuni, 14, 79 r.). «PRO EXIMENDO SE ET LIBERANDO A BANNO» E possibile ora contestualizzare alcuni episodi conflittuali che ebbero luogo nei primi decenni del Cinquecento e coinvolsero alcuni membri del patriziato veneziano, le cui con- 41 Cioe che i banditi in perpetuo dovessero attendere almeno cinque anni prima d'essere assolti tramite delle voci. 274 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 danne furono annullate grazie all'uccisione o alla presentazione di altri banditi, un sistema che venne introdotto anche nella laguna a partire dal 1514 e successivamente regola to nelle modalita gia presentate. Questi esempi forniscono concreta dimostrazione di quali possibilita fossero messe a disposizione per chi aveva subito la pena del bando e anche dell'iter legale necessario, espletato dall'Avogaria di Comun nei casi in cui a domandare l'assoluzione fosse stato un individuo condannato dagli organi giudiziari veneziani, ad eccezione del Consiglio di Dieci42. Saranno brevemente affrontati sia episodi di violenza inter-cetuale, tra patrizi e populani43 ed anche un membro della Cancelleria Dogale44, sia una vicenda che oppose due diversi gruppi parentali appartenenti alla nobilta lagunare. A fine gennaio 1521 m.v. venne stabilito, in Quarantia Criminale, di far arrestare Giovanni Battista Gradenigo del quodam Taddeo «incolpado aver morto uno a Castello» (Diari, XXXII, 403) ed il giorno 11 marzo 1522 egli fu condannato in absentia e bandito, con una taglia di mille lire, da Venezia e Dogado, Padova e padovano, Treviso e trevi-sano per l'omicidio di Pietro Greco di Nicolo. Il patrizio aveva cercato di avvalersi, nel maggio seguente, della consuetudine che prevedeva l'impunita per l'uccisione di chi era stato bandito dai Cinque Anziani alla Pace45, ma inutilmente. A inizio gennaio 1523 m.v. Giovanni Battista riusci tuttavia ad ottenere l'assoluzione in vigore della parte del 28 gennaio 1514 per aver condotto alle carceri un mese prima Andrea Albaneseto, olim capo di una barca del Dazio del Vino, esiliato in Quarantia Criminale da Venezia, Dogado e dai territori di Terraferma fino al Quarnaro. Prima di concedere la remissione del bando gli Avogadori rilessero le condanne di Giovanni Battista Gradenigo e di Andrea Albaneseto, verificarono l'attestazione fatta da «Joannem custodem camerae dominorum noctis» (ASV, AC, 3664, 189 r.-v.) in merito all'effettiva presentazione del bandito da parte del patrizio in esilio ed infine lessero nuovamente la legge del Maggior Consiglio del 1514. Due giorni dopo, il 4 gennaio, Andrea Albaneseto «presentato a le prexon per sier Zuan Batista Gradenigo qu. sier Tadio etiam bandito, per il che fu asolto dil bando, fo apichato per le cane di la gola a san Marco in mezo le do collone» (Diari, XXXV, 316). Il 7 ottobre 1531 quattro patrizi e tre famigli vennero rinviati a giudizio in Quarantia Criminale per la morte di Carlo de Guarienti, notaio degli Avogadori di Comun. I nobili Andrea e Marco Vendramin, figli di Luca, e Nicolo di Marco Gabriel furono condannati, mentre Giacomo Dandolo di Creta ed i tre famigli furono assolti, per l'uccisione con il lancio di «balotas plumbeas et crucetas» (ASV, AC, 3666, 205 v.-206 v.) del notaio men- 42 Nei quali casi era lo stesso Consiglio di Dieci a garantiré l'assoluzione, ma sempre in virtü delleparti prese in Maggior Consiglio, ed esso interveniva anche qualora solo il bandito ucciso o presentato fosse stato condannato dallo stesso Consiglio di Dieci. Per alcuni esempi, si veda ASV, CD, Criminali, Filze, 5, fasc. 1523, 176 r.-180 r., 193 r.-201 r.; nella liberazione concessa a Vito da Cason de Serravalle gli Avogadori ebbero un ruolo non secondario nell'istruire il procedimento per la liberazione, la quale fu comunque ratificata dai Capi del Consiglio, come appare in ASV, Capi, Notatorio, 6, fasc. 6, 159 v.-160 r. 43 Per un'analisi dei rapporti tra i due ceti si rinvia a Romano (1987). 44 Sull'apparato burocratico della Repubblica, composto dai cittadini originari impiegati nella cancellería, si veda Trebbi (1980; 1986), Casini (1991) e Zannini (1993). 45 «el qual da poi, inteso quello che l' amazo era in bando di Cinque di la paxe, si apresento di Mazo a le preson come homo di 5 di la paxe, qual lo tolseno in protection, et li detono in preson novissima» (Diari, XXXIII, 74-75). 275 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 tre tornava da Murano accompagnato solo da un barcarolo. Andrea Vendramin fu l'unico bandito in perpetuo da Venezia e Dogado in quanto non si era sottoposto a giudizio, ma in meno di un anno aveva già trovato l'opportunità per riguadagnare la libertà: egli aveva presentato agli uomini del reggimento di Montagnana Peregrino di Barbana, bandito «pro homicidio pensato et pro fractione confinium de omnibus terris et locis Illustrissimi domini» (ASV, AC, 3667, 14 v.-15 r.). Tuttavia, la parte posta dagli Avogadori il 4 aprile 1532 in Quarantia Criminale a favore della sua assoluzione, in ottemperanza alla legge del 1524 del Maggior Consiglio, fu respinta. La ragione, ricordata da Marin Sanudo, si collocava nel fatto che «la leze vuol non possi haver el beneficio fin el preso non sia iusticiato» (Diari, LVI, 11-12), per cui si evince che ragioni di natura procedurale avessero impedito la prematura remissione del bando di Andrea46. Ciononostante, il 22 giugno seguente il patrizio riusci a liberarsi dall'esilio perpetuo per aver presentato alle carceri del reggimento di Montagnana un altro condannato, Angelo Tartaria, incolpato di omicidio pensato e bandito da Padova e padovano e per quindici miglia oltre i confini. Gli Avogadori suggerirono, in aggiunta, che Andrea Vendramin versasse ogni anno una certa somma di denaro al figlio di Carlo Guarenti per quindici anni47. La proposta fu accettata e la liberazione del nobile venne garantita (ASV, AC, 3667, 38 v.-39 r.). Due membri della casata patrizia Manolesso, Giacomo Antonio di Lorenzo e Bernardo di Giacomo, vennero assolti nel terzo decennio del Cinquecento grazie alla presentazione di altri banditi. Il primo era stato esiliato per l'omicidio puro di un popolano della contrada di Sant'Antonino ed il suo processo era stato formato dai Signori di Notte. La remissione del bando gli venne garantita a metà novembre 1527 grazie alla sua cattura nel trevisano di Melchiorre Domenico Farfanello, bandito nel 1521 da Venezia e Dogado e da tutti i territori di terra e di mare della Repubblica per l'omicidio pensato di Giovanni Francesco Fontano, figlio di uno spicier. Su proposta degli Avogadori, la Quarantia Criminale aveva perciö approvato la depennazione della sentenza di bando del patrizio dalla raspa dei Signori di Notte (ASV, AC, 3665, 169 v.), in quanto il bandito da lui presentato era morto nelle prigioni (Diari, XLVI, 320). La vicenda di Bernardo Manolesso avrebbe invece potuto prendere una piega differente: il giorno 27 dicembre 1523, nella Scuola di san Giovanni Evangelista48 avvenne uno scontro armato tra i nobili Pietro Trevisan, Bernardo Manolesso e Lauro da Canal, figlio naturale di Giovanni Alvise, il quale mori tre giorni dopo (Diari, XXXV, 302). L'episodio attira l'attenzione del Consiglio di Dieci, che decise, stante la gravità di questo e altri casi successi nei giorni precedenti in alcuni luoghi di culto, di commettere agli Avogadori «per viam inquisitionis [...] de haver cum verita chi siano sta tal audaci et temerarii delinquen-ti» (ASV, CD, Criminali, 3, 187 r.-v.) e, una volta formato processo, tornare dinnanzi al Consiglio di Dieci affinché quest'ultimo decidesse come procedere. Il 15 gennaio 1523 46 La legge infatti dichiarava che nessuno poteva «consequir el beneficio della absolution sua salvo quando lo presentato nelle forze havera sumpto el merito supplicio» (ASV, MC, 26, 50 v.-51 r.). 47 In sostanza, un risarcimento ai familiar della vittima, in accordo con lo spirito di una restorative justice che, integrata con aspetti di una ben diversa retributivejustice, permeava il sistema della risoluzione delle conflittualità in antico regime, come evidenziato in Povolo (2015). 48 Sulle Scuole Grandi e Piccole di Venezia si veda Gramigna, Perissa (1981) e D'Andrea (2013, 424-427). 276 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 m.v. l'organo politico-giudiziario delego agli Avogadori il rinvio a giudizio del processo istruito, evitando di assumere un ruolo più attivo (ASV, CD, Criminali, 3, 188 r.-v.). A inizio marzo 1524 i due patrizi accusati, Pietro Trevisan e Bernardo Manolesso, vennero banditi in absentia da Venezia e Dogado in perpetuo, con una taglia di duemila lire (ASV, AC, 3664, 204 r.), ma il 15 giugno seguente accadde che sier Bernardo Manolesso di sier Jacomo da san Patrinian bandito per homicidio di quel Canal fo ferito in la Scuola di san Zuane Evanzelista, trovó a Castello uno bandito per contrabando, lifo adosso, qual fe 'gran difesa, a la fin lo ateró, li taglió la testa et con quella e lui con la spada nuda vene corando fin a san Zane Polo e intró in chiexia, perché molti castellani con arme lo seguitava. Hor poi la portó a l 'Avogaria rechiedendo per la leze esser absolto (Diari, XXXVI, 405). Tuttavia, la parte posta dagli Avogadori e votata in Quarantia Criminale il 21 gennaio 1524 m.v., che concedeva l'assoluzione al nobile, mostra delle discrepanze con quanto narrato dal diarista: in essa si dichiarava come Bernardo Manolesso avesse presentato il 14 aprile 1524 all'ufficio dei Signori di Notte un individuo, Martinello Zonfo, che era stato bandito per omicidio (ASV, AC, 3664, 265 r.)49. In ogni caso, in accordo con le leggi stabilite dal Maggior Consiglio il 28 gennaio 1514 e 10 gennaio 1522 m.v.50, l'assoluzione gli venne concessa. Nei casi finora presentati i patrizi sottoposti al bando avevano personalmente presentato altri condannati, attraverso i quali, una volta eseguita la pena prevista o morti in carcere, garantirsi la liberta51. Vincenzo di Tommaso Zen ottenne invece la remissione dell'esilio a luí inflitto dalla Qurantia Crimínale nel maggio 1507 per la morte del macellaio Pietro Tramontana, avvenuta nel novembre 1506, e le ferite inferte il mese successivo al nobi-luomo Sebastiano Malipiero (ASV, AC, 3660, 198 r.) senza aver personalmente catturato od ucciso alcun bandito. Il suo bando perpetuo da Venezia e Dogado venne sciolto grazie all'acquisto di una voce liberar bandito per omicidio non premeditato habendo charta pacis, a lui venduta da Giovanni da Salo,provisionato delle barche del Consiglio di Dieci, in qualità di procuratore di Paolo di Giovannino Fazuol52. Mostrata al tribunale veneziano 49 Rísulta pertanto difficile stabílíre con certezza se sí trattí dí un'errore commesso dal diarista oppure se Bernardo Manolesso avesse presentato due diversi banditi, uno nel mese di aprile ed uno nel mese di giugno, uno all'Avogaria ed uno ai Signori di Notte, uno bandito per omicidio e l'altro per contrabbando, allo scopo di assicurarsi l'assoluzione. 50 Venne fatto riferimento a tali leggi e non a quella del giugno 1524 probabilmente perché il bandito era stato presentato da Bernardo prima dell'emanazione di quest'ultima parte. 51 Invece il nobile Domenico di Michele Priuli, condannato il 26 settembre 1524 in absentia all esilio perpetuo da Venezia e Dogado per l'omicidio di Cornelio Barelli con taglia di 500 lire, come si legge in ASV, AC, 3664, 247 v.-248 r., venne assolto il 16 giugno 1526 in Quarantia per aver uccisopropriis manibus Matteo Gotino, bandito da tutti i territori della Serenissima nel 1515; l'uccisione era stata confermata di Andrea Mula, vicegerente di Marostica a nome del podestà Valerio da Mosto, e da altri testimoni (ASV, AC, 3665, 68 r.-v.). 52 Quest'ultimo aveva ottenuta tale facultatem il 5 aprile 1529 su concessione della Quarantia Criminale (ASV, AC, 3666, 99 r.-v.). 277 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 la carta della pace con i parenti di Pietro Tramontana, alla terza votazione il nobile venne infine assolto (ASV, AC, 3666, cc. 99 r.-v.). L'episodio esemplifica una dinamica, quella della compravendita delle facultates, che tra fine Cinquecento e inizio Seicento avrebbe assunto i connotati di un vero e proprio mercato (Povolo, 1997, 413). L'ultimo caso affrontato è quello di Francesco Zen, figlio dello stesso Vincenzo. Egli fu in più occasioni protagonista di episodi di violenza nei confronti di altri patrizi: ad esempio, nel maggio 1522 egli percosse Marco di Piero Corner da San Pantalon «per haver eri quello butato in aqua per causa» (Diari, XXXIII, 216), salvo poi subire due giorni dopo, come ritorsione, una ferita alla testa dallo stesso Marco Corner. A provocare l'esilio di Francesco fu pero l'uccisione di Lorenzo di Girolamo Priuli, il quale venne sventrato il 17 aprile 1526 presso San Cassiano «per causa di femene» (Diari, XLI, 189), cioè per ragioni di gelosia, un sentimento che rinvia alla competizione per l'onore, de-clinato sul piano sessuale maschile (Pitt-Rivers, 1977). Francesco Zen venne condannato per omicidio puro dai Signori di Notte, come appare dalla parte posta a favore della sua liberazione il 24 dicembre del medesimo anno, nella quale si dichiarava come il nobile «pro redimendo et liberando se» (ASV, AC, 3665, 105 v.-106 r.) avesse ucciso Giacomo di Daniele Gombosio, bandito dal Luogotenente di Udine da tutte le terre ed i luoghi della Repubblica. Il bandito si trovava nel trevigiano «et questo sier Francesco con bel modo di notte lo chiamo di caxa, et ligato li taglio la testa et quela porto a sier Alvixe Bragadin podestà et capitanio di Trevixo» (Diari, XLIII, 502), il quale diede fede a Venezia dell'avvenuta uccisione. CONCLUSIONI In osservanza della legge presa in Maggior Consiglio nel 1524, Francesco Zen fu assolto, ma ulteriori dissidi con altri membri della casata patrizia dei Priuli si verificarono il 17 febbraio 1532 m.v., quando egli fer! alla testa nel magazzino della Dogana Marcantonio di Andrea Priuli, dopo lo scambio di alcune offese verbali (Diari, LVII, 526). Il patrizio si presento al processo formato dall'Avogaria e venne condannato ad un mese di prigione, commutabile con il pagamento di una multa di 20 ducati (ASV, AC, 3667, 107 v.). La sua liberazione grazie all'uccisione di un altro condannato rappresento dunque uno dei momenti della più ampia contrapposizione tra i due lignaggi aristocratici, da cui si ricava che a inizio XVI secolo il meccanismo che garantiva l'impunibilità per gli uccisori dei banditi e la conseguente concessione di voci fosse in una fase avanzata di integrazione all'interno del sistema conflittuale diffuso all'interno del ceto lagunare53. Cio non significa che fosse in atto uno stravolgimento di quegli equilibri - tra aspetti consuetudinari e istanze legali dotte - che governavano faida e vendetta all'interno del più ampio contesto europeo (Povolo, 2015), come è pure attestato dalla condizione, rimarcata più volte dalla legislazione dalla fine del Quattrocento in poi, di esibire la chartam pacis ab offensis anche nei casi di presentazione od uccisione di altri banditi, prevista già nella parte del 1485 (ASV, CD, Miste, 22, 154 r.-v.). Tuttavia, mentre dagli anni Trenta del XVI secolo 53 Sul quale si rimanda a Vidali (2015). 278 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 questo vincolo sarà incessantemente ripetuto nelle delibere del Consiglio di Dieci, nelle leggi del 1514, 1522 e 1524, tutte e tre approvate dal Maggior Consiglio, il riferimento alla carta della pace è assente. Fu un'omissione intenzionale, perché ritenuta superflua, oppure si volle cosciente-mente favorire il rientro dei banditi nelle proprie comunità, anche a scapito del raggiun-gimento della pacificazione con i congiunti di chi aveva subito l'offesa? Sembrerebbe che anche il supremo organo politico-giudiziario si fosse posto la medesima domanda, quando il 23 dicembre 1525 i Capi del Consiglio di Dieci risposero alla petizione di Za-netto Guercio, bandito nel 1515 dai Signori di Notte per l'omicidio di un certo Vincenzo Socaleria. Zanetto aveva ucciso Girolamo Claudio, detto Trombetta, condannato dallo stesso Consiglio di Dieci a morire in carcere, e chiedeva ora d'esser liberato. Vista la legge del 26 giugo 1524, i Capi avevano pertanto ingiunto ai Signori di Notte di depen-narlo dalle loro Raspe nel momento in cui Zanetto avesse presentato loro la carta della pace (ASV, Capi, Notatorio, 6, fasc. 7, 57 v.-58 r.). Tuttavia, il 24 maggio successivo, letta ancora una volta la parte del 1524, i Capi osservarono come in essa «nulla requiritur charta pacis ab agnatis primi occisi ad hoc ut absoluntur» (ASV, Capi, Notatorio, 6, fasc. 7, 79 v.), per cui concessero l'assoluzione a Zanetto Guercio dal suo omicidiopuro nella misura in cui tale condizione non era prevista dalla legge. L'episodio presenta più i tratti di un'eccezione ed in ogni caso la stabilità sociale garantita dall'ordine della pace era, a inizio Cinquecento, ancora irrinunciabile per la compagine governativa, sebbene nel corso dei successivi secoli la situazione avrebbe preso una piega diversa54. Complessivamente, in quasi un secolo e mezzo si è potuto osservare un graduale mutamento: da un'iniziale azione incisiva ed invasiva nei confronti degli equilibri giu-risdizionali e conflittuali della Terraferma, nel primo Quattrocento, alla revoca di tali misure, nella metà dello stesso secolo; per poi giungere, in prossimità del Cinquecento, all'assimilazione di modelli tratti dal Dominio e infine, tra terzo e quinto decennio del XVI secolo, ad una loro rielaborazione attraverso una minuziosa regolazione. La fre-quenza dell'emanazione di misure nuove, seguite in certi casi dalla repentina ritrattazione delle stesse, va ascritta all'importanza della materia e dalla necessità avvertita dal ceto dirigente di bilanciare accortamente gli effetti, positivi o negativi, generati dalle leggi ap-provate. Come avvenne nel periodo immediatamente successivo (Povolo, 1997, 117-123; 2017), la relazione tra pena del bando, faida e assetti costituzionali si costrui attraverso un discorso interocutorio, più accentuato a partire dalla metà del Quattrocento in poi, con le controparti della Terraferma, ma anche attraverso un'attenta osservazione delle manifestazioni del banditismo all'interno della stessa laguna. Tra le cause da annoverare alla base di tale lungo processo si colloca il già menzionato confronto tra sistemi e mentalità giuridiche differenti, ma non solo: esso fu probabilmente attribuibile anche in parte a quella nuova accezione, presentata in apertura a questo contributo, che investi la figura del bandito verso la fine del XV secolo e che lo rese, prima ancora di un oppositore interno allo stato, la personificazione di un morbo da debellare. 54 Trasformazione a cui è dedicata l'analisi in Povolo (2007). 279 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 ODNOS MED KAZNIJO IZGONA, FAJDO IN USTAVNIMI VIDIKI: BENETKE IN TERRAFERMA V 15. IN 16. STOLETJU Andrew VIDALI Univerza v Trstu, Oddelek za humanistiko, Via Principe di Montfort 3, 34124 Trst, Italija e-mail: ANDREW.VIDALI@phd.units.it POVZETEK Preko poglobljene raziskave beneškega prava med leti 1410 in 1540, prispevek osvetljuje odnose, ki so povezovali kazen izgona s konfliktno in pravno dimenzijo prevladujočo na območju Terraferme italijanskega polotoka. Ta je namreč igrala odločilno vlogo znotraj sistema maščevanja, ki je bilo razširjeno v času starega režima, zato nam regulacija te kazni razkriva nekatere temeljne značilnosti fajde. V prispevku so prikazane stopnje prava izgona, ki so bile značilne za dve različni pravni realnosti katerih vpliv je odmeval znotraj konfliktnega sistema beneške Lagune, kot prikazujejo nekateri primeri iz začetka 16. stoletja analizirani na koncu prispevka. Analiza številnih odločitev glede primerov razbojništva nam je omogočila ne samo primerjavo različnih pravnih mentalitet Benetk in Terraferme, temveč tudi razumevanje nove podobe razbojnika iz konca 15. stoletja, ki je bil razumljen kot bolezensko stanje, ki ga je potrebno zajeziti v korist družbenega preživetja. Ključne besede: Benetke, Terraferma, kazen izgona, fajda, jurisdikcija, zakonodaja, razbojniki 280 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV, AC - Archivio di Stato di Venezia (ASV), Avogaria di Comun (AC). ASV, CD, Miste - ASV, Consiglio di Dieci, Deliberazioni (CD), Miste, Registri (Miste). ASV, CD, Comuni - ASV, CD, Comuni, Registri (Comuni). ASV, CD, Criminali - ASV, CD, Criminali, Registri (Criminali). ASV, MC - ASV, Maggior Consiglio, Deliberazioni, Registri (MC). ASV, S, Misti - ASV, Senato, Deliberazioni (S), Misti, Registri (Misti). ASV, S, Ter - ASV, S, Terra, Registri (Ter). ASV, S, Mar - ASV, S, Mar, Registri (Mar). ASV, Compilazione Leggi - ASV, Compilazione delle Leggi, Prima Serie (Compilazione Leggi). ASV, Capi, Notatorio - ASV, Capi del Consiglio di Dieci (Capi), Notatorio, Registri (Notatorio). Diari - I diari di Marino Sanudo. Fulin, R. et al. (eds.). Venezia, Visentini, 1879-1903. m.v. - more veneto. Agamben, G. (1995): Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita. Torino, Einaudi. Basaglia, E. (1981): Il controllo della criminalità nella Repubblica di Venezia. Il secolo XVI: un momento di passaggio. In: Tagliaferri, A. (ed.): Venezia e la Terraferma attraverso le relazioni dei Rettori. Trieste, 23-24 ottobre 1980. Milano, Dott. Andrea Giuffrè Editore, 65-78. Bellabarba, M. (2001): Pace pubblica e pace privata: linguaggi e istituzioni processuali nell'Italia moderna. In: Bellabarba, M., G. Schwerhoff & A. Zorzi (eds.): Criminalità e giustizia in Germania e in Italia: pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo Medioevo ed età moderna. Bologna, Il mulino, 189-213. Casini, M. (1991): Realtà e simboli del Cancellier Grande veneziano in età moderna (Secc. XVI-XVII). Studi Veneziani, 22, 195-251. Chojnacki, S. (2015): Patrician Purity and the Female Person in Early Renaissance Venice. Acta Histriae, 23, 1, 1-16. Cozzi, G. (1982): Repubblica di Venezia e Stati italiani. Politica e giustizia dal XVI al secolo XVIII. Torino, Giulio Einaudi Editore. Cozzi, G. & M. Knapton (1986): La Repubblica di Venezia nell'età moderna, I, Dalla Guerra di Chioggia al 1517. Torino, UTET. D'Andrea, D. (2013): Charity and Confraternities. In: Dursteler, E. R. (ed.): A Companion to Venetian History, 1400-1797. Leiden - Boston, Brill, 442-447. Douglas, M. (2002): Purity and danger. An Analysis of concepts of pollution and taboo. London - New York, Routledge. Gallant, T. W. (1999): Brigandage, piracy, capitalism and state-formation: transnational crime from historical world-systems perspective. In: Heyman, J. M. (ed.): States and illegal practices. Oxford - New York, Berg, 25-61. Gioia, C. (2007): Aristocratic Bandits and Outlaws: Stories of Violence and Blood Vendetta on the Border of the Venetian Republic (16th-17th Century). In: Ellis, S. G. & L. 281 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 Klusáková(eds): Imaging Frontiers, Contesting Identities. Pisa, Edizioni Plus - Pisa University Press, 93-107. Gramigna, S. & A. T. Perissa (1981): Scuole di arti mestieri e devozione a Venezia. Venezia, Arsenale Cooperativa. Grossi, P. (2010): A History of European Law. Chicester, John Wiley and Sons Ltd. Guarienti, C. B. (2013): Al governo della montagna: banditi e fazioni nel Cinquecento estense. In: Al Kalak, M. (ed.): Storie di confine. Appunti e ricerche su un territorio montano (Frignano, secoli VIII-XXI). Roma, Viella. Guarienti, C. B. (2014): Il bandito e il governatore. Domenico d'Amorotto e Francesco Guicciardini nell'età delle guerre d'Italia. Roma, Viella. Hespanha, A. M. (2013): La cultura giuridica europea. Bologna, Il Mulino. Hobsbawm, E. J. (1969): Bandits. London, Leinfeld and Nicholson. Knoll, V. & M. Sejvl (2010): Living Dead - Outlaw, Homo Sacer and Werewolf: Legal Consequences of Imposition of Ban. In: Gulczynski, A. (ed.): Leben nach dem tod rechtliche probleme im dualsismus: mensch-rechtssubjekt. Graz, Leykam, 139-153. Lepori, M. (2010): Faide. Nobili e banditi nella Sardegna sabauda del Settecento. Roma, Viella. Manconi, F. (ed.) (2003): Banditismi mediterranei. Secoli XVI-XVII. Roma, Carocci. Menniti Ippolito, A. (1986): Le dedizioni e lo stato regionale. Osservazioni sul caso veneto. Archivio Veneto, 162, 5-3ö. Orlando, E. (2015): Beyond the statutes. The legal and administrative structure between Split and Venice. In: Radie, Ž., M. Trogrlic, M. Meccarelli & L. Steindorff (eds.): Splitski statut iz 1312. godine: povijest i pravo. Povodom 700. obljetnice, Zbornik radova sa medunarodnoga znanstvenog skupa održanog od 24. do 25. rujna 2012. godine u Splitu. Split, Književni krug Split - Filozofski fakultet Sveučilišta u Splitu - Pravni Fakultet Sveučilišta u Splitu, 131-147. Ortalli, G. (ed.) (1986): Bande armate, banditi, banditismo e repressione di giustizia negli stati europei di antico regime. Roma, Jouvence. Ortalli, G. (1996): Le modalità di un passaggio: il Friuli e il domino veneziano. In: AA.VV., Il Quattrocento nel Friuli occidentale. Atti del convegno organizzato dalla Provincia di Pordenone nel mese di dicembre 1993, I. Pordenone, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, 13-33. Pezzolo, L. (2010): Fra potere politico e controllo dell'ordine: il capitan grande del Consiglio dei Dieci. In: Antonielli, L. (ed.): Le polizie informali. Soveria Mannelli, Rubbettino, 91-100. Pitt-Rivers, J. A. (1977): The Fate of Sheschem or The Politics of Sex. Essays in the Anthropology of the Mediterranean. Cambridge, New York, Cambridge University Press. Povolo, C. (1997): L'intrigo dell'onore. Poteri e istituzioni nella Repubblica di Venezia tra Cinque e Seicento. Verona, Cierre Edizioni. Povolo, C. (2004): Retoriche giudiziarie, dimensioni del penale e prassi processuale nella Repubblica di Venezia: da Lorenzo Priori ai pratici settecenteschi. In: Chiodi, G. & C. Povolo (eds.): L'amministrazione della giustizia penale nella Repubblica di Venezia, secoli XVI-XVIII, II, Retoriche, stereotipi, prassi. Verona, Cierre, 19-170. 282 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 Povolo, C. (2006): Un sistema giuridico repubblicano: Venezia e il suo stato territoriale (sec. XV-XVIII). In: Birocchi, I. & A. Mattone (eds.): Il diritto patrio. Tra diritto comune e codificazione (secoli XVI-XIX). Roma, Viella, 297-353. Povolo, C. (2007): Dall'ordine della pace all'ordine pubblico. Uno sguardo da Venezia e il suo stato territoriale (secoli XVI-XVIII). In: Povolo, C. (ed.): Processo e difesa penale in eta moderna. Bologna, Il Mulino, 15-107. Povolo, C. (2011): Zanzanù. Il bandito del lago (1576-1617). Brescia, Comune di Ti-gnale. Povolo, C. (2014): Contaminazioni. Discorsi, Pratiche, Rappresentazioni. Acta Histriae, 22, 4, 821-836. Povolo, C. (2015): Feud and vendetta: customs and trial rites in Medieval and Modern Europe. A legal-anthropological approach. Acta Histriae, 23,2, 195-244. Povolo, C. (2017): La pietra del bando. Vendetta e banditismo in Europa tra Cinque e Seicento. Acta Histriae, 25, 1, 21-56. Raggio, O. (1990): Faide e parentele. Lo stato genovese visto dalla Fontanabuona. Torino, Einaudi. Romano, D. (1987): Patricians and popolani. The Social Foundations of the Venetian Renaissance State. Baltimore, Johns Hopkins University Press. Ruggiero, G. (1982): Patrizi e malfattori. La violenza a Venezia nel primo Rinascimento. Bologna, Il mulino. Ruggiero, G. (1997): Politica e giustizia. In: Arnaldi, G., G. Cracco & A. Tenenti (eds): Storia di Venezia, III, La formazione dello stato patrizio. Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 389-407. Smail, D. L. (1996): Common Violence: Vengeance and Inquisition in Fourteenth-Century Marseille. Past & Present, 151, 28-59. Smail, D. L. (2003): The consumption of justice: emotions, publicity, and legal culture in Marseille, 1264-1423. Ithaca, Cornell University Press. Spiller, P. (2004): La caparbieta di un giudice, Bartolomeo Melchiorri, e il tribunale di Vicenza in un conflitto giurisdizionale della prima metà del Settecento. In: Chiodi, G. & C. Povolo (eds.): L'amministrazione della giustizia penale nella Repubblica di Venezia, secoli XVI-XVIII, II, Retoriche, stereotipi, prassi. Verona, Cierre, 709-723. Tanzini, L. (2013): Costruire e controllare il territorio. Banditi e repressione penale nello stato Fiorentino del Trecento. In: Antonelli, L. & S. Levati (eds.): Controllare il territorio. Norme, corpi e conflitti tra medioevo e prima guerra mondiale. Soveria Mannelli, Rubbettino, 11-29. Trebbi, G. (1980): La cancelleria veneta nei secoli XVI e XVII. Annali della Fondazione Luigi Einaudi, 14, 65-125. Trebbi, G. (1986): Il segretario veneziano. Archivio Storico Italiano, 144, 35-73. Van Caenegem, R. C. (1991): I signori del diritto. Giudici, legislatori e professori nella storia europea. Milano, Giuffrè. Varanini, G. M. (1997): Venezia e l'entroterra (1300 circa - 1420). In: Arnaldi, G., G. Cracco & A. Tenenti (eds): Storia di Venezia, III, La formazione dello stato patrizio. Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 159-236 . 283 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Andrew VIDALI: INTERRELAZIONI TRA PENA DEL BANDO, FAIDA E ASPETTI ..., 261-284 Vidali, A. (2015): Il patriziato tra vendetta, ritualita processuale e amministrazione della giustizia. Venezia, inizio XVI secolo. Acta Histriae, 24, 1, 43-62. Viggiano, A. (1993): Governanti e governati. Legittimita del potere ed esercizio dell'au-torita sovrana nello Stato veneto della prima eta moderna. Treviso, Fondazione Benetton - Edizioni Canova. Zannini, A. (1993): Burocrazia e burocrati a Venezia in eta moderna: i cittadini originari (sec. XVI-XVIII). Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. 284