LINGÜISTICA XXVI Ljubljana 1986 LINGÜISTICA XXVI Ljubljana 1986 Revijo sta ustanovila t Stanko Škerlj in t Milan Grošelj Revue fondée par t Stanko Škerlj et t Milan Grošelj Uredniški odbor — Comité de rédaction Bojan Čop — Janez Orešnik — Mitja Skubic Momčilo Savič (Beograd) — Pavao Tekavčič (Zagreb) Natis letnika je omogočila RAZISKOVALNA SKUPNOST SLOVENIJE Sous les auspices du CENTRE NATIONAL DE RECHERCHES DE SLOVÉNIE G. Battista Moretti Perugia Universitá per stranieri CDU 805.0 = 801.56 PER UNA DIDATTICA DELLE PROPOSIZIONI COMPLETIVE NELL 'ITALIANO CONTEMPORANEO PREMESSA Quale insegnante di lingua italiana a stranieri, mi sono deciso a questo lavoro col desiderio non solo di descrivere le strutture in argomento, ma, soprattutto, di daré al tempo stesso ragione (a chi affronta lo studio dell'italiano come lingua seconda) delle varietá dei loro usi odierni anche piü particolari. A tale scopo, ho cercato di avvalermi di strumenti di analisi di volta in volta of-fertimi dalla sintassi, dalla semantica e dalla pragmatica. Ámbito di osservazione, i vasti spogli che vengo facendo giá da lungo tempo (le date di riferimento lo attestano) di testi prevalentememnte scritti1. Scritti, dico, sia perché una trascrizione (e come si potrebbe non trascrivere?) priverebbe qualsiasi testo órale di ció che piü vivo e proprio possiede del suo significare (i tratti sopraseg-mentali e cinesici), sia perché sono anch'io convinto, come altri, che, nonostante tutto il discutiere che si fa a contrario, "Grazie a un livello di alfabetizzazione e di ac-culturazione popolare inimmaginabile anche solo in un passato recente, l'italiano scritto rappresenta un organismo compatto — e oggi piü compatto che ieri — e continua a costituire un punto di riferimento per la coscienza lingüistica del parlante contemporáneo".2 Si trattava, casomai, di fare una scelta, e, in base alia loro diffusione, tenere piü in conto certi testi che altri. E io, pur dando largo spazio a testi di narrativa e di sag-gistica piü recenti, e di autori piü seguiti, ho tuttavia ritenuto opportuno di daré ampia considerazione alia pubblicistica quotidiana e periódica; come quella che, aven-do un maggior numero di lettori, é indubbiamente piü capace di modellarne (quan-do non anche di condizionarne3) il linguaggio. 1 Dico "prevalentemente" perché quando si é trattato di produrre frasi-modello costruite, mi sono sfor-zato di "ritagliarle" da situazioni che la memoria ha cercato di richiamare dalla realtá. 2 L. Serianni: "II problema della norma lingüistica;" in "Gli annali del'universitá italiana per stranieri di Perugia", gennaio 1986, p.66. Cfr. anche: I. Baldelli: "Norma e grammatica dell'italiano di oggi"; Perugia 1986, p.10. 3 Mi riferisco, ad esempio, alia larga influenza che ha fra il pubblico di ogni ceto il linguaggio dello sport (in certi periodi di intensa attivitá sportiva il giornale sportivo piü diffuso il lunedi mattina supera di gran lunga il milione di copie vendute), e a quella che ha la lingua di fonti politiche e sindacali presso coloro che negli stessi ambiti lavorano alia periferia. 5 Le esemplificazioni abbastanza numeróse che fornisco, e che ho tratto special-mente da certi giornali4 e da ambiti linguistici precipuamente riguardanti la política, il costume, lo sport, i fatti di cronaca (anche strettamente locale), starino qui a di-monstrare (spero) la ragionevolezza della scelta di cui ho detto. 1 IL COSTRUTTO COMPLETIVO 1.1 In un rapporto di tipo subordinativo, la proposizione dipendente svolge per lo più funzione accessoria, non indispensabile alia reggente 5. Quest'ultima, infatti, anche in assenza della dipendente, conserverebbe una propria autonomia sia fórmale che semantica.6 Tutt'al più, per l'aspetto semántico, potrebbe risultare generica; ma certamente non incompleta. La proposizione subordinata, a sua volta, in cambio di questo ruolo di indispensabile completamento, mutua dalla reggente gli elementi necessari a definire il suo contenuto grammaticale e semántico (ellissi, modalità, riferimenti deittici, ri-chiami morfologici, interpretazione di struttura implícita, ecc.)7 Una proposizione definibile "completiva" svolge invece una funzione assoluta-mente indispensabile alia frase matrice, la quale, in sua assenza, risulterebbe gram-maticalmente e semánticamente incompleta. 4 II quotidiano "la Repubblica", ad esempio, é stato per me una fonte ricchissima di esemplificazioni. Non poteva succedere diversamente, se é vero che si avvia ad essere il quotidiano piü diffuso in Italia, con tiratura. media giornaliera superiore alie 800 mila copie. Anche a questo proposito, é ormai un fatto acquisito che l'italiano letterario non ha piü il predominio che aveva in passato neppure in molte scuole. Anche gli utenti colti hanno definitivamente accolto elementi linguistici una volta riservati alie varietá medie e popolari. Si sono ormai affermate nuove "fonti di linguaggio" e "nuove aree di signi-ficato" con conseguente "superamento di antiche abitudini e tabú". (Cfr.: Poggi-Salahi: "Sulla defi-nizione di italiano regionale", in Aa. Vv.: "La lingua italiana in movimento", Accademia della Crus-ca, 1982, pp: 113—134; R. Simone: "Parlare di sé"; in Aa. Vv: "II trionfo del privato" Roma—Bari, 1980, pp. 191—230; M. Dardano: "Dialetti e lingua standard in Italia"; in "il Veltro", 1—2 Gennaio—Aprile 1986, pp. 155—173). A questo proposito, la lingua dei quotidiani é "uno dei princi-pali luoghi di scambio fra lingua parlata e lingua scritta" (B. Migliorini, Lingua contemporánea, Fi-renze 1963, p.6). E, tra gli altri, "la República" contiene "in modo piü accentuato quella pluralitá di livelli espressivi che appare come il principale carattere innovativo dei quotidiani degli anni Ottanta (...). All'approfondita documentazione e all' impiego culturale si accompagna un discorso brillante, ricco di umori caustici e di espedienti verbali (...)." (M. Dardano, II linguaggio dei giornali italiani, Bari 1981, pp. 473—474). 5 Si parla di non indispensabilitá della proposizione subordinata ésclusivamente nell'ambito di una considerazione puramente fórmale della lingua, avulsa da ogni riferimento a concreti fattori situazio-nali, nei cui confini invece tutto torna ad essere indispensabile; niente che sia utile alia definitezza del messaggio risulta accessorio. 6 Ci si riferisce a una "autonomia" in relazione alia frase reggente. Sicché, se la reggente stessa risulta a sua volta subordinata, tale autonomia la possiede in virtü dell'apporto che le viene dalla sua diretta sovraordinata. II concetto di subordinazione, insomma, ha come punto di riferimento le proposizioni dipendenti. 7 Si rifletta su frasi del tipo: Ho scritto a mió padre (che mi mandi soldi). — Resterb con te (finché non sarai guaríto). — (Prima di partiré) ti telefonero. — Cario si é messo a piangere (perché non sapeva ri-solvere il problema). Non sará difficile notare il ruolo accessorio delle sequenze in parentesi sia per l'aspetto grammaticale, sia per quello semántico. 6 Il ruolo délia completiva infatti non è tanto di proposizione subordinata comu-nemente intesa, quanto piuttosto di costituente primario (soggetto, oggetto, o elemento predicativo) délia frase matrice che ne è priva, e délia quale al tempo stesso completa il significato. In questo genere di struttura sintattica, insomma, la frase reggente risulta essa stessa in qualche modo dipendente dalla sua subordinata. Talché questo rapporto, piuttosto che il carattere délia "subordinazione", ha più propriamente quello délia "interdipendenza". Per esemplificare. In una espressione del tipo Carlo sostiene che sia inutile aiu-tare Luigi, pretesa assurda sarebbe selezionare la sequenza matrice Carlo sostiene attribuendole completezza lógica e grammaticale. Completezza che invece acquista solo per l'apporto delPaltra sequenza, che sia inutile aiutare Luigi, che le funge da constituente primario (oggetto diretto) e insieme alla quale stabilisce un tutto fórmale e logico inscindibile. Sarebbe assurdo alio stesso modo che sosténere la completezza di una sequenza del tipo Luigi coglie, priva com'è dell'oggetto che la conclude nella forma e nel con-tenuto (ad esempio: i fiori)8. Si puô dunque definire 'completiva' una struttura proposizionale che, all'interno di un rapporto ipotattico, svolge funzioni analoghe a un costituente primario sul piano tanto formale che contenutistico: funge, cioè, da soggetto, oggetto o elemento predicativo alla proposizione in cui è incassata.9 Naturalmente, fra le due sequenze componenti (frase matrice e frase incassata), al di là di qüesto particolare rapporto di reciproca dipendenza di cui si è detto, per-mane il legame sintattico típico della subordinazione, segnatamente per ció che ri-guarda gli elementi di concordanza.10 Valutate per la funzione semantica, le completive possono essere 'dichiarative' (o 'esplicative-eventive') e 'interrogative indirette'. Valutate invece per il ruolo strut-turale o grammaticale, possono essere 'soggettive', 'oggettive', 'predicative', 'attributive'11. Inoltre, per richiamo alia funzione di costituenti primari di frase 8 Ci si riferisce, naturalmente, alla generalità dei casi. E si dà per scontato che, in determinati, pur rari contesti, sequenze del tipo Luigi coglie possono assumere precisi significati: ad esempio, in specie di gara che potrebbe accendersi fra persone in un momento in cui fosse necessario cogliere più fiori pos-sibile, una frase del genere sarebbe più che adatta a indicare il migliore. Certo è comunque che per certi verbi predicativi il nome oggetto e la clausola nominale realizzano un elemento obbligatorio (insistíanlo), non facoltativo. In proposito, cfr. P.H. Matthews: "Sintassi"; Bologna, 1982, p. 137 e sgg. 9 Cfr. J. Dubois et Alii: Dizionario di lingüistica; Bologna, 1979. 10 Parlando di 'concordanza', ci si riferisce tanto alie varie costrizioni formali esercitate (o esercitabili) da ciascun membro della proposizione reggente sui vari membri della subordinata, quanto alie norme regolanti il rapporto dei modi e dei tempi. 11 Se si pone mente al ruolo che svolgono di indispensabile completamento, con la loro funzione modificante o attributiva, anche le proposizioni relative sono riconducibili a questo gruppo. 7 (soggetto, oggetto, ecc.J, che piü di frequente é propria di elementi nominali, le completive sono anche denomínate 'frasi sostaritive' (o 'sostantivate' o 'nominali' o 'nominalizzate').12 II costrutto completivo é ampiamente ricorrente nella lingua scritta e parlata in tutte le varietá funzionali-contestuali e sociali. E ció in particolare a causa di questa sua funzione (cui si é piü volte accennato) latamente esplicativa. Per queste ragioni, aderisce con naturalezza anche agli schemi comunicativi piü immediati, elementan e meno argomentativi.13 Sono schemi che hanno immediata corrispondenza con il libero e creativo flus-so dell'umano pensare, il quale tende a procedere da generiche asserzioni a successive correzioni, precisazioni, esplicazioni. E ció, nello sforzo di mettere a fuoco volta a volta i suoi particolari e irripetibili rapporti, fra i tanti possibili, col mondo dalle mütevoli situazioni ed esperienze. Di qui l'uso frequente di costrutti coordinativi, giustappositivi, e di quelli su-bordinativi che risultino altrettanto lineari ed elementari. E'questo il caso del costrutto 'completivo' che si collega in sequenza lineare alia frase matrice avvalendosi di operatori monofunzionali e polisemici quali 'che' e 'di'; operatori capaci di segnalare un'unica funzione base latamente esplicativa, ma al tempo stesso relativa al particolare significato di volta in volta indicato dal termine frastico da cui il costrutto dipende, e da quelli fra i quali si inserisce.14. 1.2 Come si vedrá meglio in seguito, il problema della individuazione del modo verbale particolare per ciascuna completiva coinvolge il significato e si collega nei costrutti espliciti a necessarie differenze di concordanze. 12 La funzione nomínale tipica di questi costrutti é anche confermata dal fatto che la forma implícita si ha esclusivamente mediante un infinito: che é modo nomínale per eccelenza. Funzione soggetto: (Arribare presto) é spesso un vaníaggio. Funzione oggetto: Spero (di arrivare presto). — Funzione predicativa: In molti casi il rischio é (non sapere sfruttare le occasioni). Funzione attributiva o appositiva: Bisogna imparare presto l'arte (di arrangiarsi nella vita). 13 Torna alia mente la "mesta cantilena siciliana" de "I Malavoglia" di G. Verga, e la "ritrosia" con cui il grande critico F. Flora le si avvicinó per lungo tempo. Ritrosia causata da quella "povertá sintattica (...) governata dal 'che' e dal tempo imperfetto", che secondo il critico doveva corrispondere a povertá di ispirazione. II 'che' (esplicativo) gli appariva un ben povero artificio stilistico che serviva al Verga "in sostituzione d'ogni altro piü complesso legame sintattico, per dar tono d'ingenuitá o schiettez-za popolare al racconto". Ma poi, lentamente, la "ritrosia" si fará confidenza e la "mésta cantilena siciliana", in tutte le sue sommesse (o pudiche?) risonanze, conquisterá l'animo di quell'appassionato lettore: che alia fine dovette ammetere che "la povertá sintattica del Verga risponde alia elementaritá del mondo da lui cantato", cui solo si confá "quel tono ricco di allusioni e rispondenze, la 'cantilena' aperta e infinita in cui le parole si pronunziano". (F. Flora, "Letteratura italiana", Milano, 1946, pp. 526—527). 14 Si vuol diré che in relazione ai particolari significad frastici la funzione esplicativa del costrutto completivo si puntualizza in base a valori piü specifici, che possono essere, di volta in volta, di tipo finale, consecutivo, caúsale, e cosi vía. Ma di ció si parlera in un paragrafo apposito. 8 L'uso di un modo verbale piuttosto che di un altro dipende dalla funzione lógica e grammaticale (talvolta solo da quest'ultima) che una proposizione svolge all'interno di un enunciato, e che per ció va individuata caso per caso. In generale si puô dire che il congiuntivo (pur con forti oscillazioni verso l'indicativo, segnatamente nei registri linguistici meno sorvegliati) è assai frequente nelle completive, per il carattere di soggettività che ficorre spesso, tanto nei signifi-cati (predicati volitivi, affettivi, eventivi, ...), quanto nelle forme (costrutti imperso-nali, negativi, restrittivi).15 La completive implicite, dato il loro carattere sostantivale, richiedono il modo infinito. Si tratterà solo di vedere quando la forma implícita è possibile. 1.3 A conclusione del paragrafo e (se ce n'è bisogno) a sostegno di quanto si è affer-mato sulla notevole frequenza dei costrutti completivi nella lingua sia scritta che parlata, si riportano qui i risultati di alcune verifiche di passata, fra le tante che episódicamente veniamo facendo su testi di vario genere. In un articolo di F. Damato sul quotidiano 'La nazione' del 27-2-1984 risulta-vano 68 proposizioni subordinate, di cui 38 completive (fra le quali abbiamo compreso anche le relative) con prevalenza di implicite. In un articolo di G. Galli nei set-timanale 'Panorama' del 5-3-1984, pag. 33, di 54 proposizioni subordinate, 24 risul-tavano completive, in maggioranza implicite. In 'la República' del 17-7-1986 un articolo di B. Placido aveva 9 completive con 'che'; sullo stesso quotidiano del 23-81986 un articolo di E. Scalfari aveva 11 completive con 'che'. In un articolo di I. Môntanelli sul "Giornale" del 14-8-1986 c'erano 11 completive con 'che'. Ne "Il nome délia rosa" di U. Eco, alla pagina 123 aperta a casó, su un totale di 30 proposizioni subordinate, 13 sono completive; e di queste, 7 sono introdotte da 'che'. Ancora: in un articolo di E. Scalfari su "la Repubblica" del 5-2-1987 risultavano 229 proposizioni, di cui 97 principali e 132 secondarie; di queste ultime, le completive erano 48 (23 esplicite e 25 implicite). Ma un numero consistente di questo genere di costrutti risulta anche là dove l'andamento stilistico è caratterizzato da frasi brevi, spesso nominali, a mo' di annotazioni. E' il caso degli articoli di Môntanelli e di Placido già citati. Di quest'ultimo abbiamo anche i dati di un altro articolo apparso 15 E ció non pare tanto in accordo con certe perentorie affermazioni che si vanno facendo su una presunta profonda crisi, o morte, del congiuntivo, da tanti anni a questa parte: cfr., ad esempio: E. Pe-ruzzi, „Problemi di grammatica italiana", Roma, 1959, pp. 132 sgg.; C. Marchi, „Impariamo 1'italianoV Milano, 1984 (cap. IX: 'Morte del congiuntivo'); si veda, per contro, L. Serianni, cit.: "Completive. Ottima la resistenza del congiuntivo in ogni tipo di testo": fumetti, fotoromanzi e ro-manzi rosa compresi. A proposito dell'uso in genere del congiuntivo, lo stesso Serianni opportuna-mente osserva: "La lamentata 'morte del congiuntivo' richiederebbe un discorso molto complesso, in cui entri in gioco sia la maggiore o minore antichitá dell'uso indicativale per vari tipi di subordinate, sia la sostanziale vitalitá di questo modo verbale nei cosiddetto italiano popolare, sia le oscillazioni proprie dei vari italiani regionali". (p.59) 9 in 'la Repubblica' del 5-2-1987, in cui su un totale di 96 proposizioni, 58 risultavano principali (molte nominali) e 38 subordinate; di queste ultime 16 erano completive. Insomma, la percentuale di frequenza delle completive é veramente alta; spesso anche oltre il 50%. E se questo accade nella lingua scritta, si puó immaginare l'ampia ricorrenza nella lingua parlata in cui il costrutto completivo é facilitato della genericjta dei va-lori esplicativi introdotti dai polisemici 'che' e 'di'. 1.4 Si passerá ora a parlare dettagliatamente delle varie completive, avvertendo pero che le interrogative indirette non saranno trattate. 2 LA PROPOSIZIONE SOGGETTIVA 2.1 E' una completiva che funge da soggetto alia frase matrice. Si ha in dipendenza da predicati impersonali o costruiti impersonalmente16 che possono esprimere: A — dichiarazione, conoscenza, percezione, ricordo: dire, affermare, dichiara-re, scommettere, asserire, ammettere, negare, prometiere, giurare, narrare, raccon-tare, comunicare, rispondere, riferire, osservare, notare, constatare, vedere, udire, sentire, riconoscere, sapere, capire, comprendere, avvedersi, accorgersi, appurare, apprendere, intendere, percepire, ricordare, rammentare, dimenticare, scordare, trascurare, fingere, figurare, ecc. A questivannoaggiunti: a) verbi che possono solo reggere una soggettiva: rimanere, restare, sfuggire, scappare (nel senso di 'sfuggire inavvertitamente'); b) locuzioni contenenti nomi corrispondenti nel significato ai verbi suddetti: fare finta, prendere atto, rendersi conto, dare favere, ricevere) noti-zia (comunicazione, risposta...), dare a vedere (a intendere), tenere presente, tenere in mente, venire in mente, ecc.; c) locuzioni con essere piü un aggettivo o un sostantivo di significato analogo ai verbi suddetti: essere un fatto (un dato), essere chiaro, palese, noto, certo, sicuro, vero, indiscutibile, accertato, appurato, ecc.); d) le locuzioni: va da sé che, fatto sta che, fatto (si) é che.''7 16 Naturalmente, ciascuno dei verbi che saranno elencati, se non é.giá originariamente impersonale, puó costruirsi impersonalmente, e avere dunque un costrutto soggettivo. Resta pero che nella realtá degli atti linguistici la forma impersonale con piü di uno di questi verbi non gode di largo uso. Solo la prati-ca puó orientare. Occorre comunque ricordare che l'impersonalitá di cui si parla dai punto di vista grammaticale e impropria, se é vero che proprio il costrutto completivo ha funzione soggetto: di qui la 3° persona sing. 17 Queste ultime, hanno il significato di 'é ovvio', 'é scontato'; sono cristallizzate col verbo componente sempre al presente, e possono introdurre solo una completiva esplicita con 'che' e l'indicativo: —Fatto sta che é stato prima evirato e poi ammazzato. (L. Sciascia: A ciascuno il suo, 36). 10 B — volontä (nei vari gradi del comando, del divieto, della concessione, della speranza, del timore, dell'attesa, del desiderio, dell'augurio, ecc.): volere, pretendere, ordinäre, comandare, imporre, intimare, disporre, decidere, stabilire, chiedere, richiedere, dire, rispondere''8, concedere, permettere, sopportare, tollerare, lasciare, accettare, ammettere, consentire, escludere, proporre, suggerire, consigliare, preferire, vietare, proibire, desiderare, ambire, augurare, augurarsi, sperare, confidare, illudérsi, attendere, attendersi, aspettare, aspettarsi, fernere, ecc.; locuzioni conte-nenti nomi corrispondenti nel significato: essere in (nell') atiesa, avere voglia, non vedere l'ora, avere lapretesa (l'ambizione, il desiderio, la speranza, il timore, paura; l'illusione...), mettersi in testa, essere in pensiero (in ansia), fare segno, avere Interesse, ecc. Vanno anche aggiunti verbi e locuzioni che possono solo essere imperso-nali, a perciö avere soltanto una completiva soggettiva, con taluni solo esplicita: premere, Stare a cuore, preoccupare, fare paura, entrarci, mancare poco, poco mancare, non mancare molto, per poco, non potere non succedere (essere, accadere), non esserci verso, non entrarci ecc.19; essere piü un sostantivo o un aggettivo per locuzioni di significato volitivo: essere ora (tempo, il momento, un caso, il/un destino, una fatalita, un'illusione,...), inevitabile (sperabile, auspicabile, augurabile. preferibile,...). ~ C — giudizio di convenienza, necessitá, sufficienza, valutazione (sono verbi e locuzioni che solo se in forma impersonale possono avere una completiva; di tipo, dunque, soggettivo): convenire, importare, occorrere, necessitare, volerci, bisogna-re, bastare, contare, valere la pena, doversi a, ecc.; locuzioni con essere piü aggettivo, sostantivo o avverbio dal significato corrispondente: essere necessario (opportu-no, inopportuno, conveniente, sconveniente, indecente, importante, sufficiente, utile, mutile, facile, difficile, giusto, ingiusto..., bene, meglio, male, peggio, ... il caso,...); D — partecipazione affettiva: godere, rallegrarsi, compiacersi, meravigliarsi, stupirsi, rammaricarsi, dolersi, sdegnarsi, preoccuparsi, lamentarsi,...; a questi van-no aggiunti: a) locuzioni fórmate con aggettivi e sostantivi di corrispondente significato: essere felice (lieto, contento, sorpreso, meravigliato, deluso, dispiaciuto, pre-occupato, ...), avere piacere (fastidio, rabbia,...);20 b) verbi e locuzioni da cui puó dipendere solo una soggettiva: piacere, rallegrare, dispiacere, rincrescere, garbare2'1, meravigliare, amareggiare, addolorare, angosciare, angustiare, rattristare, seccare, 18 'Dire' e 'rispondere': con significato volitivo, si intende, altrimenti si riconducono al significato precedente. 19 Poiché i significati subiscono spesso delle oscillazioni (anche in relazione agli stati d'animo dei par-lanti), non é sempre agevole assegnare un predicato a un gruppo piuttosto che a un altro. Ma, tant'é: una scelta bisogna pur farla! II predicato 'entrarci', costruito per lo piü in forma negativa o interrogativa, esprime il non gradi-mento del parlante a proposito dei fatti espressi nella completiva: — Che c'entrava adesso che lo rim-proverassi? 20 Va precisato che quelli fin qui elencati sono verbi e locuzioni che preferiscono il costrutto personale (forse perché affettivamete molto marcati) con una oggettiva. 21 'Garbare' si usa per lo piü in espressioni negative: — Non mi garba che tu esca tutte le sere! 11 sorprendere, stupire, indignare, stizzire, sconcertare, deludere,..., fare (destare)pia-cere (dispiacere), rabbia, senso, meraviglia,...), essere un peccato (una vergogna, una delusione, una meraviglia, una sorpresa, un guaio,...); c) talune locuzioni abbreviate quali: meno male che, (per) fortuna che?2 E — opinione (nei vari gradi della valutazione e della percezione soggettiva, della intuizione, del dubbio, del sospetto, ecc.): pensare, credere, reputare, ritenere, ipotizzare, supporre, immaginare, figurarsi, dubitare, sospettare, giudicare, valutare, stimare, trovare23...; vanno aggiunti: a) locuzioni con nomi o aggettivi corri-spondenti di significato: metiere in dubbio, tenere conto, fare conto, essere certo (si-curo, convinto, ...; dell'opinione, del parere, dell'avviso, dell'idea,...), avere per certo (la certezza, la convinzione, il sospetto, il dubbio, la sensazione,...), avere idea, avere per la mente (in mente, in idea,...)-, b) locuzioni che possono essere co-struite solo impersonalmente (con cui é dunque possibile soltanto un costrutto sog-gettivo): essere verosimile (possibile, plausibile, pensabile, probabile, capace, ovvio,... una favola, una fola, una storia, una voce,...), esserci il sospetto (il dubbio, la possibilitá, la probabilitá,...); c) altre locuzioni impersonali: correre voce, potere essere (darsi), venire il dubbio (il sospetto), venire in mente, passare per la mente (per la testa), daré per certo (per scontato, per vero, per probabile,...), avere senso (significato)2*, mi sa che25, chissa (chi sa) che,... F — apparenza (i cosiddetti verbi 'effettivi'): sembrare, parere, risultare, appa- rire. G — accadimento: accadere, succedere, avvenire, capitare, essere, darsi il caso, volere il caso (il caso volere); a questi vanno aggiunte le locuzioni abbreviate: mai che, non che,26 22 Queste due ultime locuzioni si usano un frasi esclamative con l'indicativo: —Meno mate che queila volta mi sono impuntata... (G. Arpiño: L'ombra delle colime, 119) — Per fortuna che riesco a con-trollarmi (G. Ledda: Padre padrone, 215). 23 Questo verbo, nell'accezione di 'pensare', 'ritenere', ma molto vicina a 'constatare', da qualche anno a questa parte gode di alta frequenza nella lingua parlata: — Trovo che e/sia giusto punirlo. 24 'Avere senso (significato)' é locuzione per lo piíi usata in forma negativa o interrogativa con significato negativo: — Non ha senso che tu ¡o faccia. — Ma che senso ha che tu lo faccia? 25 'Mi sa che': é locuzione ormai cristallizzata, anche nel riferimento al parlante ('mi'); salvo le rare volte che potrebbe essere usata in forma interrogativa nei confronti dell'interlocutore (77 sa anche a te che...? — Visa anche a voi che...'!) Puó reggere sia l'indicativo che il congiuntivo: Mi sa che sia pau-roso. (M. Tobino: II clandestino, 300) — Misa che hannopreso un granchio. (C. Cassóla: 11 cacciato-re, 123) 26 'Mai che', 'non che': sono locuzioni enfatiche al cui costrutto completivo succede un altro oppositivo. Piü in particolare: a) 'Mai che' (abbreviazione di 'non succedere mai che') rivela stati d'animo di par-ticolare carica affettiva e richiede il congiuntivo: — Mai mai che un medico dopo un'accurata carica cidica (...). (D. Buzzati: Siamospiacentidi..., 147) — b) 'Non che' (abbreviazione di 'non essere/non accadere che') introduce in genere una dichiarazione in opposizione a un'altra: — Per avere consigli si rivolgeva a Cosimo (...); non che glifacesse delle domande, ma portava il discorso (...). (I. Calvino, II barone rómpante, 180) 12 2.2 LA FORMA ESPLICITA 2.2.1 I segni funzionali. Il costrutto esplicito puô essere introdotto da: a) "che": indicatore per eccellenza di valori molto latamente esplicativi, introduce costrutti per lo più posposti alla frase matrice. Il modo verbale (indicativo, condizionale o congiuntivo) puô dipendere dal significato generale o dal registro lingüístico. — Ho visto che Carlo era con Luigi ierisera. — Mi risulta che Cario sarebbe stato volentieri con Luigi ieri sera. — Mi risulta che Cario era / fosse con Luigi ieri sera. b) "il fatto che"27: si puô avere in presenza di verbi e locuzioni che possono solo reggere una soggettiva (e perciô già impersonali di per sé), e che, in particolare, fan-no parte dei gruppo A, C, D, E, F. La completiva è per lo più ánticipata alia frase matrice, perché marcata enfáticamente. Il modo verbale prevalente è il congiuntivo. L'indicativo si ha per lo più in casi di posticipazione della completiva. Non manca-no, comunque, forti oscillázioni dovute a scelte personali. II fatto che se nestessero ñ come dei tonti era già una prova. (I. Calvino: Il barone rampante, 62) — L 'única cosa che mi dispiacque in quel momento fu il fatto che non avevo fatto in tempo a salutare il "mió capo". (G. Ledda: Padre padrone, 158) — Ora conta il fatto che la richiesta sia stata fatta, che il problema sia stato posto, che la sfida sia stata lancia-ta. (E. Scalfari, in: la Repubblica, 23-12-1986)™ c) "come": si puô usare in dipendenza da predicati in A e D. E' di preferenza se-guito dal congiuntivo, se (come accade per lo più con i verbi in A) richiama valori dell'ordine affettivo-dubitativo ("come" = "in quale modo"). Si accompagna inve-ce itendenzialmente all 'indicativo se marca semplicemente il modo di svolgimento dei fatti ("come" = "il modo in cui")29 — La novità sta nell'aver mostrato come l'amicizia femminile sia incredibilmente ricca (...). (F. Alberoni, in: la Repubblica, 15-3-1984) — Era strano come tutto fosse cambiato. (C. Pavese: La luna e i falo, 27) 27 'II fatto che' è espressione non ancora definitivamente cristallizzata in unità grammaticale inscindibi-le. Per ció non di rado, segnatamente per la completiva posposta alia reggente, i suoi membri compo-nenti tendono a recuperare ciascuno la sua funzione: di elemento nominale il primo ('il fatto'), di elemento relativo il secondo ('che') introduttivo di proposizione attributiva. Non si ha unità grammaticale: a) se fra i due membri si incunea un altro elemento: — Il fatto è che per uno di questi parametri (...) c'era stata unastoria (...). (A. Cianciullo, in: la Repubblica, 28-8-1986); b) l'elemento nominale è preceduto da preposizione: — (...) non sembra assolutamente che questo derivi dal fatto che ñ i sacer-doti cattolici vivono a contatto (...). (F. Negro, in: La nazione, 25-8-1986), — Dobbiamo discutere (...) sul fatto che Remigio ne fosse ¡atore. (U. Eco: Il nome della rosa, 383). — Si noti nel seguente esempio la tendenza alla cristallizzazione: E che non si tratti di sogni campati in aria lo dimostra il fatto che un programma (...) èpartito quest'anno dagli Stati Uniti. (in: la Repubblica, 27-2-1987) 28 Pare evidente, in questo esempio, la tendenza di ciascun componente la locuzione 'il fatto che' a ri-prendere la propria autonomía funzionale anche per la presenza di altre due completive con'che'. 29 'Come' preceduto da preposizione ripropone il suo significato originario di composto con elemento relativo ( = 'il modo di cui'); — Dentro questi documenti (,..)c'è la storia esemplare di come il crimine organizzato si sia poluto infiltrare (...). (P. Buongiorno, in: Panorama, 16-4-1984, p.47) 13 — Mi piaceva anche come il nonno si presentaba al suo contadino. (R. Bilenchi: Racconti, 46). d) "se": si usa in dipendenza da taluni verbi (importare, bastare, contare) e lo-cuzioni in C, e da quelli in D. Puô segnalare valori dell'ordine temporale ("se" = "quando"), ammissivo, condizionale o causale, stabilendo un rapporto grammaticale e semántico non cosi stretto come quello introdotto da "che". Infatti, mentre il costrutto introdotto da quest'ultimo ha il carattere, di cui si è detto, della indispen-sabilità (e per ció non è, o non è considerato, dal parlante, sottacibile), quello introdotto da "se" recupera il carattere accessorio proprio di un costrutto subordinato. Per questa ragione, l'indicativo è il modo consueto30. Solo in presenza di valori ipo-tetici (allorché torna anche a prevalere la interdipendenza dei costrutti in relazione), il congiuntivo si rende indispensabile. — Non mipiace se fai sempre cosí. (V. Prato-lini: Un eroe del nostro tempo, 58) — E si deve ad alcuni incidenti mai spiegati (...) se nel corso dell'ultima decade il segreto (...) ha subito qualche incrinatura. (R. Brancoli, in: la Repubblica, 23-8-1986) — Già sarebbe molto se la parola del Papa fosse accettata. (G.B. Bozzo, in: la Repubblica, 8-10-1986) 2.2.2 L'uso del modo verbale. — Oltre ai cenni già fatti, si puô dire che la scelta del modo verbale puô dipendere: a) da esigenze semantiche; b) da ragioni stilistiche, anche in coerenza con determinati registri linguistici; c) più raramente, da necessità prevalentemente grammaticali. In linea generale, si puô tranquillamente affermare che il congiuntivo gode ancora oggi di alta frequenza d'uso, sia perché è la marca verbale tradizionale dei costrutti restrittivi, come è quello completivo, sia perché, nel caso specifico della fun-zione soggettiva, la forma impersonale della frase matrice riconduce a significati marcatamente soggettivi (e la soggettività è propria del congiuntivo) soprattutto se espressi da predicati riguardanti la sfera della volontà e della opinione (cfr. nota 15). Per tutto ció, si puô concludere che, alla fin fine, è la ragione semantica a prevalere per quanto riguarda la scelta del modo verbale. Al punto che, quanto più il costrutto si riconduce a significati della sfera della volontà (per taluni verbi in parti-colare richiamata dalla forma negativa)31, tanto più il congiuntivo è frequente, anche nei registri linguistici meno sorvegliati. II condizionale ricorre riei casi, che gli sono propri, della eventuàlità. 30 Si rifletta sui due esempi seguenti, in cui anche il modo verbale (congiuntivo /vs/ indicativo) è in coerenza con la differenza semantica e grammaticale accennata: — Mi displace che Carlo non si sia di-vertito ieri da noi. /vs/ Mi displace se Carlo non si è divertito ieri da noi. 31 Per quanto riguarda i vari gradi della sfera della volontà cfr. anche: R.L. Palmer: La lingua latina, Torino, 1977, p. 397. 14 I pochi esempi che seguono sono comunque abbastanza significativi per ció che riguarda le oscillazioni possibili fra indicativo e congiuntivo. — (...) si diceva che 'i compagni che contano'a mala pena gli rivolgessero la parola. (L. Granello, in: la Repubblica, 9-12-1983) — Si direbbe che la memoria, più perde la capacité di trattenere il presente e il passato prossimo, più tesaurizza gelosamente (...). (I. Calvino, in: la Repubblica, 63-1984) — Si capiva che nella sua portineria non stava volentieri. (C. Pavese: La bella estáte, 18) — Mi sembrava che fossi veramente io a guidare il somaro (...). (G. Ledda: Padre padrone, 62) — Sembra che i russi hanno evitato volutamente (...). (D. Pilic, in: la Repubblica, 4-3-1984) — C'è da augurarsi che funzioni anche stasera. (in: la Repubblica, 4-3-1984) — lo avrei voglia che si confondesse (...). (I. Calvino: Il visconte dimezzato, 86) — (...) si constata (...) come molti partiti italiani si regolino nello scegliere (...). (G. Pansa, in: la Repubblica, 12-2-1987) — Si pensi (...) che gli incentivi pubblici avrebbero riequilibrato le convenienze ad investire (...). (M. Pirani, in: la Repubblica, 29-9-1986) — (...) è evidente che il sostegno dovrebbe cementarsi (...). (Y. Visco, in: la Repubblica, 11-2-1987) 2.2.2.1 Ma forse è utile scendere più nei particolari: a) In dipendenza dai predicati in A l'indicativo è di prammatica solo nei casi, non molto ricorrenti, di indiscutibile realtà. Per il resto indicativo e congiuntivo si alternano con prevalenza di quest'ultimo nei registri linguistici più controllati, richiamato dal suo carattere di soggettività propria délia forma impersonale, e di non realtà in presenza di forma negativa. Gli esempi che seguono, segnatamente quelli tratti da un medesimo autore, sembrano abbastanza dimostrativi di questo alterno uso di indicativo e congiuntivo: — Si diceva che lui non fosse più abile del suo maestro e che fosse solo un intrigante. (U. Eco: Il nome délia rosa, 122) — (...) si diceva che malgrado questo Malachia confabulava troppo spesso con Jorghe (...). (U. Eco, cit., 423) — Si sarebbe detto che, morta lei, volesse prenderne il posto. (C. Pavese: Feria d'agosto, 63) — (...) c'era intanto da scoprire che fosse stata una frase detta per scherzo o per caso (...). (M. Prisco: Una spirale di nebbia, 177) — E' stato scritto che moite saranno le agitazioni (...). (U. Eco cit., 404) 15 — (...) non é vero che viva come un mendicante (...). (G. Basilico, in: La nazione, 19-1-1987) — (...) non é vero che le opinioni giuste, le discussioni giuste non servono a milla. (B. Placido, in: la Repubblica, 17-1-1987) — Se non é vero, infatti, che adesso é la Williams la "riscoperta" della formula 1, non é neppure vero che le McLaren abbiano fatto fiasco (...). (C. Marihcovich, in: la Repubblica [sport] , 10-7-1984) — (...) sfuggi al ministro (...) che in tal modo si realizzava una grave e fondamentale discriminazione (...). (G. Ferrara, in: la Repubblica, 18-10-1986) Ragioni stilistiche giustificano anche l'alternarsi di congiuntivo (che puré sem-bra prevalere) e indicativo in dipendenza da costrutti interrogativi di significato negativo. — Quando si é mai visto che un sistema sociale cambi, diventi un'altra cosa, se (...)? (G. Bocca, in: la Repubblica, 24-9-1981) — E' proprio sicuro che queste immagini sono educative? (E. Biagi, in: la Repubblica, 4-9-1986) — Ma é proprio sicuro che quella sera il bel Nicola le sia entrato veramente in casa (...)? (M. Cancogni: Allegri, gioventú, 137) b) II congiuntivo é di prammatica in dipendenza da quasi tutti i predicati in B: che esprimono significati riconducibili ai vari gradi della sfera della volontá. — Iniquo era pretendere che (...) i brocchi diventassero campioni (...) (G. Bre-ra, in: la Repubblica [sport], 14-10-1986) — (...) si chiedeva che il PCI come mínimo esprimesse rispetto (...). (A. Jaco-viello, in: la Repubblica, 5-10-1986) — (...) si spera che questa mediocre classe política (...) provveda anche ai casi del paese (...). (E. Scalfari, in: la Repubblica, 4-2-1987) — Era scritto dunque che la bella e sbolinata Udinese perdesse la partita (...). (G. Brera, in: la Repubblica [sport], 22-4-1984) — Si propone che sia una sola camera ad approvare le leggi. (S. Rodotá, in: la Repubblica, 19-3-1986) — (...) c'é da augurarsi che questa sospirata 'interconnessione' non venga mai. (B. Placido, in: la Repubblica, 4-10-1986) — E' tempo che ve ne andiate via. (C. Alvaro: Gente in Aspromonte, 108) — E' auspicabile che (...) si proweda (...). (F. Damato, in: La nazione, 2-2-1986) — Poco é mancato che non venisse approvato. (F. Cangini: La nazione, 2-21977) — (...) non c'é pericolo che ci vedano. (C. Cassola: Una relazione, 59) — (...) che c'entrava che ci si mettesse anche lui, Cosimo, a millantarsi duca? (I. Calvino: II barone rampante, 41) — Non é escluso che Vicini abbia inventato questo giochino per (...). (G. Smor-to, in: la República [sport], 14-2-1987) 16 Eccezione a quanto si é appena affermato é la possibilitá di impiego dell'indica-tivo futuro (o presente pro futuro) e il condizionale passato (o, in sostituzione, l'indicativo imperfetto32) per il futuro riel passato in dipendenza da predicati espri-menti speranza e timore. Ció, naturalmente, allorché i fatti della completiva siano proiettati in un momento posteriore rispetto a quelli della reggente, e al momento della parola non si ravvisino ostacoli alia loro possibile realizzazione33. D'altro canto, il futuro, con l'incertezza che implícitamente reca in sé sulla realizzabilitá dei fatti espressi, non é molto lontano dall'area sémantica del congiuntivo. Si awerte tut-tavia che la forma impersonale del predicato reggente fa preferire quest'ultimo. — Si teme che sará un finanziamento del tipo inflazionistico. (in: La nazione, 9-10-1976) — Si spera che la decisione sortirá gli effetti desiderati — Si sperava che la decisione avrebbe sortito gli effetti desiderati. In dipendenza da talune locuzioni fórmate con essere piü aggettivo o sostantivo o avverbio, nella lingua piü colloquiale non é raro trovare l'indicativo. L'atto lingüístico piü seiriplice e spontaneo punta direttamente al suo scopo comunicativo, avva-lendosi (quando, naturalmentente, non insorgano problemi di comprensione) degli strumenti lessicali e grammaticali piü pratici e comuni. — Era ora che venivi. (C. Castellaneta: Anni beati, 234) — Era ora che smettevano di fare i nuovi ricchi e imparavano il fair-play. (in: Panorama, 7-4-1985, p. 210) — E' inutile che insistí. (C. Castellaneta: Viaggio col padre, 137) — Peccato che non trova mai l'attimo giusto per smistare la palla. (E. Bussini, in: La nazione [sport], 21-5-1984) c) Anche i predicati elencati in C si riconducono alia sfera della volontá, e ri-chiedono piü spesso il congiuntivo. 32 Quest'ultimo, in particolare nella lingua colloquiale: — Si sperava che l'incontro di calcio finiva (=sarebbe finito) almeno in parità. 33 Si rifletta sui seguenti esempi, la cui frase matrice, per maggiore naturalezza espressiva e più fréquente uso, si è resa personale: — a) Spero che verrai al mió matrimonio, b) Spero che tu venga al mió matrimonio. Nel primo, il parlante sulla realizzabilitá della sua speranza non sembra avere altra incertez-za che quella relativa alia volontá dell'interlocutore: di qui un tono sicuro di sollecitazione, quasi di rimprovero per una punta di sospetto che l'interlocutore abbia qualche titubanza. Nel secondo, il parlante sembra implicitamente daré per scontata una possibile presenza di qualche impedimento obietti-vo che spera possa essere rimosso: di qui un tono sommesso e di preghiera. Insomma, il futuro (o il condizionale passato) focalizza l'enunciazione sul parlante; diversa angolatura, con focalizzazione sull'interlocutore, è segnalata invece dal congiuntivo. Si rifletta anche su quest'altro esempio, in cui sono presentí i due modi verbali: — Spero che altri mi seguiranno e soprattutto spero che il partito approvi questa linea e si impegni a rispettarla fino in fondo. (B. Zaccagnini, in: La nazione, 19-31977). II seguente esempio presenta invece un congiuntivo là dove ci si aspetterebbe un condizionale passato come futuro nel passato, secondo un uso più corrente. Ma anche qui, proprio il congiuntivo sembra marcare più l'incertezza dovuta a circostanze obiettive che rendono maggiormente labile la speranza: Lo sforzo era durissimo. E quantunque sperassi, si capisce, che presto o tardi trovasse qualche compromesso, la mia restava una speranza. vaga. (O. Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini, 246) 17 — (...) bisogna che tutti gli elementi di giudizio vengano messi sul tavolo e valutati. (E. Scalfari, in: la Repubblica, 23-8-1986) — Occorreva ora che tutta la comunità préparasse (...). (U. Eco: Il nome délia rosa, 400) — Cosa contava che il prof essor Ermanno (...) si limitasse a coprirsi gli occhi (...)? (G. Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini, 40) — Che importava a lui che in una casa di un villaggio qualunque esistesse una donna innocente (...)? (C. Alvaro: Vent'anni, 96) — (...) era inevitabile che fosse cosi. (N. Ginzburg: Lessico famigliare, 124) — Forse sarebbe bene che a questo modo la leggesse anche lei. (L. Sciascia: A ciascuno il suo, 16) Non mancano tuttavia casi di uso dell'indicativo: nei registri linguistici meno formali, o quando il funzionale introduttore sia "se", il quale, come si è ricordato, comporta una attenuazione del legame grammaticale e semántico délia completiva con la frase matrice: — E' meglio che ti dai una pettinata. (B. Fenoglio: La paga del sabato, 71) — Basta che hai voglia di lavorare. (C. Pavese; La luna e i falô, 33) — Poco importa che il paesino è già stato dichiarato trasferibile sin dal terremoto del 1908 e che vi sono tutta una serie di perizie (...). (A. Stabile, in: la Repubblica, 16-10-1986) — Ció che importa è che le donne di tutto il mondo hanno trovato nell' 8 marzo un segno di identità (...). (E. Forcella, in: la Repubblica, 11-3-1987) — Che me ne importa se mi perdonano? (I. Calvino: Il barone rampante, 51) — (...) sarà fortuna se vorrà salire la strada insieme a lui. (G.T. di Lampedusa: Il Gattopardo, 157) d) Anche i predicati elencati in D sono riconducibili alla sfera semantica délia volontà. Tuttavia il valore causale délia completiva che ne dipende li differenzia da quelli in B e C che si ricollegano invece a un valore finale o consecutivo-finale. Per questa ragione, in presenza degli operatori "che" e "il fatto che" si puô avéré: 1) il congiuntivo in caso di forma accurata, e per valori di tipo esplicativo-restrittivo; 2) l'indicativo in espressioni più colloquiali in cui è il valore latamente causale a prevalere ("che" = "perché"). L'indicativo sarà anche richiesto per valori dell'ordine (3) ammissivo34 e (4) modale, introdotti da "se" e da "come" ( = "il modo in cui"). 34 Non é forse inutile ribadire che I'indicativo in presenza di "se" é giustificato dal significato prevalen-temente ammissivo e di eventualitá apportato al contenuto della completiva; contenuto, che invece l'operatore "che" riferisce alia realtá. Si confrontino i seguenti due esempi: —Mi displace se Cario é partito / vs / Mi dispiace che Cario sia partito: "se" introduce un fatto ammesso come eventuale, per cui eventuale é anche il dispiacere che ne consegue; "che" introduce un fatto reale, che é reale causa del dispiacere conseguente. In questo secondo caso il congiuntivo trova piü di una giustificazione: a) a 18 — E ci dispiace che ei abbia lasciati magari con il dubbio che anche noi gli aves-simo voltato le spalle (...). (B. Brunori, in: La nazione, 18-2-1987) — (...) ci sorprende che (...) i mezzi di comunicazione per primi diano poco ri-lievo ai nostri problemi. (in: la Repubblica, 18-1-1987) — Non mi piace (...) che ritardino. (A. Moravia: I racconti, 207) — (...) gli faceva piacere ehe fosse una bella giornata (...). (C. Cassola: Una re-lazione, 8) — Non stupisce (...) che l'iniziativa reaganiana (...) abbia suscitato echi pro-fondi. (E. Scalfári, in: la Repubblica, 23-8-1986) — (...) egli si lamentó che il bagno fosse troppo freddo (...). (U. Eco: II nome della rosa, 140) — Spiace e sconcerta anche il fatto che Nilde Iotti (...) abbia accreditato il com-portamento (...). (F. Damato, in: La nazione, 5-9-1984) — Fu (...) un sollievo che si accorse che don Calogero stava per parlare. (G.T. di Lampedusa: II Gattopardo, 151) — Peccato che si é messo coi tedeschi (...). (N. Ginzburg: Lessico famigliare, 73) — Mi piaceva specialemente che potevo andarmene quando volevo (...). (C. Páyese: Feria d'agosto, 167) — (...) la cosa piü assurda era che il fuoco divampava (...). (G. Ledda: Padre padrone, 193) — Non mi piace se fai sempre cosí. (V. Pratolini: Un eroe del nostro tempo, 58) — Mi piaceva anche come il nonno si presentava al suo contadino. (R. Bilen-chi: Racconti, 46)35 e) Con i "verbi dell' opinione" elencati in E, l'uso dell'indicativo o del congiun-tivo puó dipendere, oltre che dal significato (realtá, certezza /vs/ non realtá, incer-tezza) anche da esigenze stilistiche o, piü spesso, contestuali-funzionali. II congiunti-vo, come si é ormai tante volte sottolineato, ricorre piü spesso dell'indicativo in testi formalmente piü controllati. Ma non c'é dubbio che in dipendenza da certi particolari verbi esprimenti giá di per sé incertezza ("pensare", "supporre", "immaginare", ...), l'incertezza espressa anche mediante il congiuntivo, a una lógica pragmatica ed elementare puó apparire semplicemente ridondante. Un'espressione del tipo Pensó che Cario non stia bene36 equivale a Forse Cario livello superficiale: risulta svolgere una funzione grammaticale, come modo della stretta dipendenza ("congiunzione") tra la frase matrice e la completiva; b) a livello profondo: appare semánticamente il modo tipico del desiderio (grado della volontá); se infatti ció che si dice nella completiva é ragione di dispiacere, questo vuol diré che é in contrasto con le attese di chi parla o scrive. Per questo argomen-to, cfr. in particolare: G.B. Moretti — G.R. Orvieto: Grammatica italiana, il verbo, vol. I, p. 77, sgg., Perugia, 1984. 35 In questo esempio, "come" introduce una completiva di origine relativa ("come" = "il modo in cui") e I'attenzione dell'interlocutore piü che sul fatto in sé é richiamata sulla modalitá di svolgimento. 36 Si fa dipendere la completiva da un predicato ("Pensó") personale per riferimento a usi piu correnti. 19 non sta bene o Carlo non sta bene, forse. Lo stesso grado di incertezza è infatti se-gnalato sia da "forse", sia da "penso", ambedue riferiti al giudizio soggettivo del parlante. La differenza del modo verbale nasce dunque non da diversità di significa-to, ma da struttura sintattica: complessa l'una, semplice Paîtra. E l'uso del congiun-tivo è possibile soltanto in una struttura del primo tipo. Struttura che, pur complessa, ma diversamente organizzata, con inciso, richiederebbe comunque ['indicativo: Carlo non sta bene, penso. Insomma, nessuna lógica che non sia grammaticale (che tenga cioè prevalente-mente conto délia subordinazione délia completiva) puô considerare errato l'indicativo: Penso che Carlo non sta bene. E proprio in casi analoghi a questo, dove non sorgono dubbi di comprensione, l'indicativo trova spazi sempre più ampi, e non solo in situazioni meno formali. Va comunque ribadito çhe nell'italiano contemporáneo il congiuntivo continua a godere di largo uso, allorché i fatti riferiti risultano privi délia certezza délia fonte, tanto più se collocati nella sfera délia non realtà: e cioè quando la frase completiva dipende da costrutti impersonali (è il caso délia soggettiva), tanto più se in forma negativa. Le esemplificazioni qui sotto riportate dovrebbero dare probante testimonian- za: — Si riteneva che la bomba atómica (...) avesse reso pressoché impossibili le grandi guerre. (D. Buzzati: Siamo spiacenti di..., 201) — Si credette (...) che questo sistema fosse indispensabile (...). (M, Pirani, in: la Repubblica 28-9-1986) — (...) poteva anche darsi che (...) volesse allontanarci (...). (U. Eco: Il nome délia rosa, 123) — (...) non avrebbe senso che il Congresso si concludesse (...). (in: La nazione, 27-2-1984) — (...) era tutta una storia che lui conoscesse il fondo dei nidi (...). (I. Calvino: Il sentiero dei nidi di ragno, 141) — (...) gli venne il dubbio che quelle due fossero Nelly e la madre. (C. Cassola: Il cacciatore, 127) — Presto cominciô a correre voce che una certa Checchina, di là dalla valle, fosse la sua amante. (I. Calvino: Il barone rampante, 159) — Chissà che non incontri (...) il povero dottor (...). (G. Pansa, in: la Repubblica, 12-2-1987) — E' assai che tu oggi non l'abbia incontrato. (C. Cassola: Un uomo solo, 20) — Pensavo che non c'era fretta di sapere le cose (...). (C. Sgorlon: Il trono di legno, 126) — Credo che avevo da poco imparato a camminare (...). (E. Morante: L'isola di Arturo, 40) — (...) suppongo che già sapeva (...). (G. Berto: II male oscuro, 18) 20 — Correva voce che per questo bombardamento ci s'era impiegati diecimila ap-parecchi (...). (E. Morante: La storia, 171) — E' (...) verosimile che la parte piü impegnativa é quella che si svolgerá in Italia. (Andreoli, in: La nazione, 17-3-1977) — Se tuo padre ti vede (...) é capace che te lo prende. (C. Pavese: La luna e i fa-ló, 77) — (...) bisogna assolutamente supporre che i "saggi" chiedono e ottengono un mandato (...). (G. Ricci, in: La nazione, 6-2-1987) La forma interrogativa puó avere significato negativo, come si é giá ricordato. — (...) com'é possibile che non si trovino (...)? (V. Zucconi, in: La nazione, 12-2-1987) f) Discorso non dissimile va fatto per i predicati elencati in F (gli "effettivi"); con una sola precisazione: il congiuntivo gode di frequenza molto alta in qualsiasi registro lingüístico, scritto e parlato. E ció forse anche per il carattere di marcata soggettivitá che questi verbi ricevono dall'essere sempre impersonali in presenza di completiva.?7 L'indicativo in genere compare (ma non tanto frequentemente) solo in casi di accentuata colloquialitá di "capriccio" stilistico. — (...) sembrava che tutto fosse nascosto (...). (I. Calvino: II visconte dimezza-to, 21) — Pareva che s'avvicinasse di notte, lasciasse esche infuocate sui tetti e poi scappasse a cavallo (...). (I. Calvino: ivi, 39) — Mi risulta che il Ministro delle Finanze (...) abbia risposto negativamente, (in: la Repubblica, 22-9-1986) — (...) non risulta che Mosca sia pronta (...). (D. Pilic, in: la Repubblica, 1-3-1984) — (...) puó apparire, a prima vista, che sia stato Reagan (...) (V. Zucconi, in: la Repubblica, 1-10-1986) — Certe volte mi sembra che lo fai per mettermi in soggezione. (A. Bevilacqua: II viaggio misterioso: 36) — Ti pare che io vado nei ristoranti di lusso. (C. Cassola: Una relazione, 111) — Pare che tuo padre e tua madre devono ancora scegliere tra me e lui. (F. To-mizza: L'amicizia, 106) — Mi pare che non hai molta stima del nuovo sindaco. (I. Silone: II segreto di Luca, 52) — (...) ti pare che ti lascerei qui sola? (C. Cassola: ivi 36)38 — (...) sembra che il proprio destino sia fuggire di vallata in vallata (...) e che la guerra non finirá mai. (I. Calvino: II sentiero dei nidi di ragno, 128) 37 Salvo il caso di cui si parlerá nel paragrafo relativo al "costrutto predicativo". 38 Per espriraere il valore di eventualitá, come in questo caso, serve il condizionale. 21 Il discorso vale anche se il verbo "effettivo" corregge, nel significato, un infinito. — Ma è sembrato ogni tanto di capire che certe tentazioni elettorali della DC derivassero anche dalla volontà (...), (F. Damato, in: La nazione, 19-2-1987) Questi verbi possono funzionare da copulativi e accompagnarsi a un predicativo. — Sembra assai probabile, ormai, che la commissione finirá con l'approvare quel famoso "tavolo istituzionale" (...). (A. Stabile, in: la Repubblica, 8-3-1984) I verbi "risultare" e "apparire", se costruiti affermativamente, preferiscono I'indicativo, in particolare per il significato di "manifestarsi", "essere evidente" con cui vengono più spesso impiegati. — Mi risulta che nelle distillerie lavorano 60 opérai. (A. Arbasino: La piccole vacanze, 89) — Apparve che il vaporetto partiva assai presto nel pomeriggio. (A. Moravia: I racconti, 499) E' ovvio che se i verbi in questione sono in posizione incidentale, non c'è co-strutto cpmpletivo — (...) in RAI, mi sembra, c'è un'eccessiva esaltazione dei salotti (...). (E. Bia-gi, in: la Repubblica, 20-11-1986) g) Con i predicati di "accadimento", in G, si puó dire che indicativo e congiun-tivo ricorrano con equilibrata alternanza: spesso nello stesso autore. L'indicativo sembra essere preferito, come è ovvio in situazioni di non formalité.39 Con la forma negativa si preferisce comunque il congiuntivo. Con "essere": costruito affermativamente, si ha I'indicativo; negativamente, è preferito il congiuntivo. — (...) talvolta accadeva che noi pastorelli ci si incontrasse. (G. Ledda: Padre padrone, 53) — Succedeva che la benzina si esauriva, la crusca avvelenata finiva, ma le ca-vallette aumentavano sempre (...). (G. Ledda: ivi, 59) — Spesso anzi capitava che si desse, volutamente, una falsa confidenza. (L. Sciascia: A ciascuno il suo, 47) — Fu durante una di queste evasioni che mi aggregai (...). (G. Ledda: ivi, 19) — (...) è che vi compare qualche crepa. (L. Sciascia: Todo modo, 34) 39 L'alternanza di indicativo e congiuntivo sembra continuare un-uso già frequente nella lingua latina. La conservazione del congiuntivo puô avere la sua spiegazione nel fatto che il significato di questi verbi è riconducibile alia sfera della volontà. (Cfr. anche: R.L. Palmer, cit., p. 377) 22 — Non che sia stato un successo (...). (I. Bignardi, in: la Repubblica, 21-1-1987) — (...) mai una volta che si sia assistito alie riunioni (....). (S. Viola, in: la Repubblica, 14-9-1986) — (...) non che gli facesse delle domande, ma portava il discorso sulla agricol-tura. (I. Calvino: II barone rampante, 180) A questa area semantica puó essere ricondotto "ecco" seguito da una soggettiva con 1'indicativo: — Ma qualunque cosa leggesse o ascoltasse, ecco che súbito precipitava stec-chita contro il suo silenzio di pietra. (G. Arpiño: L'ombra delle colline, 119) Dai verbi "accadere", "succedere", "awenire", "capitare", "essere" puó dipen-dere un costrutto anteposto introdotto da "se" ammissivo con l'indicativo il con-giuntivo nei valori ipotetici non di rado richiamato da elementi anaforici, quali, "ció" e "questo". — Se martedi sera abbiamo visto in ritardo il telegiornale é perché Baudo si era intrattenuto anche con "Rambo". (B. Placido, in: la Repubblica, 11-10-1986) — Se cosi fosse, sarebbe molto bello, ma permettetemi di non crederci. (A. Pe-tacco, in: La nazione, 29-1-1987)40 — Se non sono stato promosso, ció (questo) é successo perché sono stato male. h) II congiuntivo é richiesto anche nel caso in cui un costrutto completivo, anche se in relazione con un predicato esprimente certezza, venga a questo anteposto. Per cui, ad esempio, una frase quale: E' noto a tutti che la térra gira intorno al solé, per anticipazione della soggettiva si trasforma in: Che la térra giri intorno al solé é noto a tutti. Dove il congiuntivo (lungi dal ricondursi a ragioni dell'ordine semántico, che richiederebbero invece l'indicativo) svolge la sua funzione originaria di segnale di un rapporto sintattico subordinativo (di modo della "congiunzione")41. Tale rapporto non sarebbe sufficientemente chiarito dal "che", il quale a inizio di frase é sólitamente segno di interrogazione o, tutt'al piü, di esclamazione.42 E' tuttavia fácilmente intuibile che nell'uso sempre piü allargato del costrutto anche in registri linguistici piü comuni trovi spazi probanti anche l'indicativo. Come al solito, la pratica funzionalitá della lingua mira diritta ai suoi piü immediati scopi comunicativi, e non indugia in ricercatezze. 40 In costrutti ipotetici di questo genere é facile notare come la stretta interdipendenza fra apodosi e pro-tasi sia (se é possibile diré) rafforzata dal fatto che l'apodosi é anche frase matrice della protasi che le funge da soggetto. 41 Su questo argomento della funzione originaria del congiuntivo, cfr. L.R. Palmer cit. p. 396. 42 Con "il fatto che" (il quale comunque non é sempre usabile) l'equivoco non sorgerebbe. 23 Naturalmente, anche una completiva puô anticipare un predicato che puô ri-chiedere di per sé stesso il congiuntivo. II condizionale serve, naturalmente, alla eventualità. — Che fosse stanca si vedeva. (C. Cassola: Una relazione, 89) — Che la diplomazia economica internazionale si dia da fare è un fatto. (M. Riva, in: la Repubblica, 27-9-1986) — Che dopo l'armistizio (...) buona parte degli italiani catturati dai tedeschi (...) siano stati deportati (...) è autorevolmente confermato (...). (M. Massara, in: Panorama, 22-2-1987, p. 63) — (...) che le promesse di Craxi a Berlusconi non siano proprio come quelle dei marinai, è cosa arcinota. (P. Martini, in: Panorama 18-1-1987, p. 58) — Che a Torino minacciano la sua famiglia, non sarà vero, ma è verosimile (...). (G. Mura, in: la Repubblica, 8-12-1985) — Che l'attenzione sulla canzone "Re" non ci sia stata è un fatto, ed è anche un fatto che è difficile trovare un collegamento (...). (M.P. Fusco, in: la Repubblica, 15-2-1986) — Che Vicini l'abbia richiamato in azzurro mi ha fatto molto piacere. (G. Bre-ra, in: la Repubblica [sport], 29-9-1987) — Che quella di ieri sera sarebbe stata una giornata storica in tutti i sensi per il Consiglio lo si avverte fin dal mattino (...). (F. Coppola, in: la Repubblica, 5-12--1985)43 i) Proprio per questa sua funzione grammaticale di modo tipico délia subordi-nazione, il congiuntivo puô dar luogo (e non di rado questo avviene) alla cancella-zione dell'indicatore "che"44. E ciô specialmente in presenza di verbi significanti "sembrare", "bisognare", "credere", "temere", "pregare", "volere". In una frase quale: Si crede che sia successo per caso, tanto "che" quanto "sia" segnalano un rapporto ipotattico. Perianto uno dei due puô essere cancellato: a) Si crede che è successo per caso (cancellazione del congiuntivo); b) Si crede sia successo per caso (cancellazione del "che"). 43 Da notare in questo esempio il "presente storico" ("si avverte") concordato con una certa forzatura stilistica al condizionale passato. Molto usuale invece il pronome anafórico ("lo") in casi, come questo, di dislocazione a sinistra della completiva per motivi di enfasi. 44 Questo fatto di tacere il morfema "che", mentre nella lingua piü pratica e spontanea sembra risponde- re a una esigenza di brevitá, di eliminazione di ridondanze, in taluni scrittori invece puó anche appari- re piuttosto una nota stilistica. Ad esempio, in una rapida verifica che abbiamo fatto in "II visconte dimezzato" di I. Calvino, abbiamo trovato 3 completive dipendenti da "sembrare", di cui 2 senza "che", una con "che"; e 6 dipendenti da "parere" di cui 4 con "che" e 2 senza: per un totale di 4 can- cellazioni di "che" su 9 costrutti. Si tratta comunque di un uso che, anche a prescindere da usi analo- ghi nella lingua latina (soppressione di UT, ad es.), risale lontano nel tempo. Ad esempio, nelle prime 50 pagine del "Comento sopra alcuni de' suoi sonetti" (Milano, 1958) Lorenzo de'Medici offre 25 completive dipendenti da "parere", e di queste, 10 sono prive del morfema che-, 8 dipendenti da "bisognare" di cui 6 senza che-, 12 dipendenti da "credere" di cui 7 senza che. E' insomma un uso che non convincentemente si spiega come "prodotto d'uno spontaneo discorso affettivo", Rohlfs, III, p. 200. 24 Costrutti con cancellazione del "che" godono di sempre piü largo uso nell'italiano contemporáneo, a patto che il congiuntivo si trovi il piü vicino possibile al punto di congiunzione (il punto che sarebbe occupato da "che"): al massimo, immediatamente dopo il pronome soggetto della completiva: Sembra sia stato lui — Si spera tu non l'abbia fatto apposta45. — Peccato non siano in molti (...)• (P- Calabrese, in: II messaggero, 7-2-1987) — (...) che cosa siano disposti a concedere coloro che formano la pubblica opi-nione che non é detto sia sempre la migliore? (E. Biagi, in: la Repubblica, 19-9--1986)46 — Possibile tu mi debba svegliare tutte le mattine per dirmi addio? (V. Pratoli-ni: Un eroe del nostro tempo, 23) — (...) basta diano un'occhiata ai disegni (...). (E. Biagi, in: la Repubblica, 25-9-1986) — (...) finora non pare abbiano fatto fin in fondo il dover loro (E. Scalfari, in: la Repubblica, 13-9-1986) — Conviene parli il risultato. (G. Brera, in: la Repubblica [sport], 14-9-1986) La soppressione del "che", per analogia, puó anche avvenire in presenza di al-tro modo verbale: fenomeno che si verifica sempre con maggiore frequenza. — (...) pare sarebbero giá emerse delle responsabilitá (...). (in: la Repubblica, 11-10-1986) 2.2.3 Un tipo particolare di frase matrice, alla cui base sembrano stare ragioni di immediatezza e spontanéité espressiva tipiche di particolari stati d'animo (meravi-glia, dispiacere, ironía, risentimento, sdegno, irritazione, ...), è quello costruito da semplice aggettivo, o sostantivo, o avverbio, o interiezione o locuzione, con verbo inespresso. La scelta del modo verbale rientra nei casi descritti. — Peccato che (...) il (...) decreto verrà impallinato per manifesta incostituzio-nalità. (M. Riva, in: Panorama, 13-9-1984, p. 79) — Strano che il maresciallo non abbia detto niente. (L. Sciascia: A ciascuno il suo, 46) — Possibile che l'autonomia dell'Europa debba cominciare con un rimescola-mento delle carte (...). (G. Spinelli, in: la Repubblica, 1-3-1984) 45 Casi di soggetto non espresso da pronome e preposto al congiuntivo tuttavia non mancano: risultato, un costrutto stilisticamente faticoso, come é il caso dell' esempio che riportiamo, pur con predicato reggente personale: — Spero nessuno vinca (titolo, in: la Repubblica, 22-1-1987). I! soggetto potrebbe anche venire anteposto al verbo reggente: — L'idea pare siapartita da G. Napolitano (...). (A. Min-zolini, in: Panorama, 3-5-1987, p. 53) 46 In questo caso la cancellazione di "che" appare anche opportuna, ad evitare un caso fastidioso di cacofonía derivante dalla presenza di un altro "che" (relativo). 25 — Va là che non ti parrebbe vero di restare a letto col marito. (C. Cassola: Un uomo solo, 89) — Diamine che è fidato. (C. Cassola: ivi, 108) — Insomma, vivaddio che Damiani ci faccia vedere (...). (P.F. Listri, in: La nazione [sport], 16-2-1987) 2.3. LA FORMA IMPLICITA La proposizione soggettiva si rende implícita col verbo all'infinito presente (per fatti contemporanei o posteriori a quelli délia frase matrice) o passato (per fatti anterior i). Ciô è possibile: a) se è essa stessa impersonale —E' difficile (che si riesca a ripo-sare con questo chiasso ~" riuscire a riposare con questo chiasso); b (con taluni verbi in B, C, D, F, G, se il suo soggetto ha funzione di complemento preposizionale nella frase matrice — Mi secca (che non posso venire -* di non potere venire).47 2.3.1 Dal momento che non tutti i verbi e le locuzioni in precedenza elencati per gruppi semantici possono reggere una soggettiva tanto esplicita che implícita, è forse opportuna qualche precisazione: a) con i verbi "sembrare", "parere", "risultare" la completiva puô essere solo esplicita se il suo soggetto non e preannunciato come complemento indiretto nella frase matrice: Sembra che Luigi non possa venire. /vs/ Mi sembra (che non potro venire di non poter venire). b) non possono avere una soggettiva implícita: 1) le locuzioni formate con essere più un aggettivo, ed esprimenti asserzione, constatazione, possibilità (essere vero, certo, evidente, possibile, probabile,...); 2) le locuzioni del tipo: potere darsi, stare di fat to, fatto sta, restare (rimanere) (il fatto), essere che, non che, meno maie che, non essere detto; 3) le locuzioni impersonali contenenti un sostantivo elencate nel gruppo D ("verbi délia partecipazione affettiva"). Ciô perché in queste locuzioni è impossibile preannunciare il soggetto délia completiva.48 c) Il verbo "volere" forma con l'infinito a cui si accompagna una unità sintatti-ca (perifrasi verbale) di aspetto modale: Voglio andaré in Italia. 47 Accade talvolta di trovare qualche soggettiva implícita con suo proprio soggetto espresso, non preannunciato nella frase matrice. E' costrutto certamente dotato di particolare efficacia espressiva propria del parlato perché coinvolge come soggetti logici il parlante, l'interlocutore o (come nel nostro esem-pio) ambedue. Tuttavia reca in sé una non trascurabile nota di letterarietá: Forseépiu opportuno non paríame né tu né io. (V. Pratolini: Un eroe dei nostro tempo, 158) 48 Per le esemplificazioni, si rinvia a quelle giá riportate durante la trattazione del costrutto esplicito. 26 La stessa cosa si puó diré di "desiderare", "preferire" e "intendere" che sempre . piü raramente accettano il funzonale "di": Desidero andaré in Italia. — Desideravo di essere solo (...). (R. Bilenchi: Racconti, 104) "Sapere", con significato di "essere capace", ha funzione fraseológica e si accompagna direttamente all'infinito; con significato di "essere a conoscenza", regge una completiva con "di" e l'infinito: — (...) üper ñ non seppi tacere. (C. Pavese: Feria d'agosto, 103) /vs/ — Sapevo di correre. (G. Arpiño: L'ombra delle colline, 8) "Amare", "usare", e "essere sólito", pur preferendo accompagnarsi direttamente all'infinito, tuttavia talvolta si trovano con "di", quasi a recuperare autonomía funzionale di reggenti una completiva: — (...) non osavano difarsi troppo vede-re. (E. Morante: La storia, 287) — (.. Jper qualche tempo Agata usó di guardarsi alio specchio. (R. Bacchelli: Una passione coniugale, 65) d) possono avere solo una soggettiva implícita taluni predicati, quali: "spetta-re", "toccare", "stare" (= "spettare"), "riuscire" (nel caso in cui sia costruito con la persona soggetto logico in caso indiretto: "mi, ti, a lui, a Luigi,..."), "venire, "venire fatto", "trattarsi", "tentare", "sforzarsi", e pochi altri. L'infinito dipendente dai primi tre verbi suddetti puó essere preceduto o non dal funzionale "di". "Riuscire" preferisce l'infinito con "di". "Venire fatto e "trattarsi" richiedono "di", "tentare" e "sforzarsi" lo preferiscono. "Venire" puó prendere "di" o "da". — Non spetta a noi giudicarlo. (I. Silone: Una manciata di more, 39) — (...) sta alia stampa di educare (...). (in: II giornale, 29-9-1986) — Mi tocca andaré a trovarlo. (N. Ginzburg: Lessico famigliare, 70) — Ma a me tocca di moriré (...). (R. Bacchelli: Una passione coniugale, 94) — (...) si trattava di capire (...). (U. Eco: II nome della rosa, 89) — Stupito che (...) gli fosse riuscito d'esser pronto gli ho chiesto (...). (E. Vittorini: II garofano rosso, 49) — (...) ma non gli riusci trovare le parole. (C. Cassola: Una relazione, 126) — Mi é venuto di ricordare (...) questo libro. (G. Ferrara, in: P. Chiara: Le corna del diavolo, VIII) 2.3.2 II segno funzionale — L'infinito puó essere preceduto o non dal funzionale "di". Fornire in proposito elenchi esaurienti non sarebbe facile. In linea generale (e tenendo conto delle non poche oscillazioni legittimate dall'uso, non di rado riconducibili a varietá regionali difficilmente classificabi- 27 1¡49), si puô dire che la presenza dell'indicatore "di" sembra marcare la funzione délia completiva (che, non si dimentichi, è per lo più posposta), ed è perciô richiesto dalla maggior parte dei predicati reggenti, segnatamente se si riconducono ai signifi-cati dell' asserzione, délia dichiarazione, délia volontà e délia affettività.50 2.3.2.1 Ció premesso, e nel tentativo, di entrare più nel particolare (scopo, del resto, di questo lavoro), si puô dire: a) richiedono "di" le soggettive dipendenti dai predicati elencati in A, B, C, E, F, G (fatte, naturalmente, le eccezioni di cui ci siamo occupati poco sopra in a), b), c)). — (...) non è possibile (...) pensare di risolvere (...) tutti i complessi problemi (...). (V. Visco, in: la Repubblica, 12-2-1987) — Varrà la pena di ripetere (...). (S. Viola, in: la Repubblica, 14-9-1986) — (...) non gli andava di fare altro che lo scrivano. (G. Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini, 234) — (...) mi accadde di trovarmi in disparte (...). (G. Bassani: ivi, 103) — Mi pareva di vederlo (...). (G. Bassani: ivi, 48) b) i verbi délia apparenza (segnatamente "parere") se formano predicato con un aggettivo o un avverbio, possono avere cancellato "di".51 — Gli parve opportuno prendersi qualche giorno di vacanza. — (...) non gli pareva saggio prendere a modello gli africani. (U. Eco: Il nome délia rosa, 120) c) taluni verbi délia "partecipazione affettiva" (in D), quali: "piacere", "dispia-cere", "garbare", "rincrescere", "seccare", "sorprendere", "stupire", "mera-vigliare", "indignare", "stizzire" e pochi altri possono reggere un infinito con o sen-za "di". La tendenza per tutti gli altri predicati di questo gruppo è la cancellazione del funzionale. — Non mi piaceva più di assistere a questa scena. (S. Strati: I cari parenti, 156) 49 E' ad esempio il caso dei seguenti enunciati: — (...) non mi riescepiù a immaginare corne siamo state amiche. (V. Pratolini: Cronache di poveri amanti, 114) (Dove il costrutto con "a" più l'infinito è in analogía con la costruzione personale del verbo reggente), — (...) non gli riuscî trovare le parole. (C. Cassola: Una relazione, 126) 50 Un esempio indicativo in proposito è offerto da "bastare" che quando esprime un giudizio di suffi-cienza, tende a reggere l'infinito semplice (Per arrivare in tempo, basta prendere il treno delle 7); quando invece esprime avvertimento o ferma risoluzione a porre termine a qualche fatto (significati délia sfera délia volontà), tende ad avere l'infinito con "di" (Basta di far chiasso — Adesso basta di giocarel). Ma "bastare" è un caso limite; e non tutto, come è naturale, puô essere sempre cosi chiaro e-definito. 51 Poco oltre ci occuperemo di un particolare costrutto predicativo in presenza di questi verbi costruiti personalmente. 28 — (...) non gli piace finiré i suoi giorni all'ospedale. (S. Strati: ivi, 8) — mi faceva piacere di sapere (...)• (S. Strati: ivi, 155) d) L'infinito, per lo piü semplice, si ha anche in dipendenza da predicati espri-menti un giudizio di valutazione e formati da un verbo ("giudicare", "ritenere", "sti-mare", ... "essere") piü un aggettivo; con "essere" puó anche accompagnarsi un av-verbio. — (...) non é possibile né ipotizzabile pensare di risolvere (...), (V. Visco, in: la Repubblica, 11-2-1987) — E' bene comunque assumere due atteggiamenti (...). (G. Brera, in: la Repubblica [sport] 14-9-1986) — Ritenne opportuno non intervenire — Era triste e imbarazzante mangiare da soli. (S. Strati: I cari parenti, 87) — Peccato non poter dare un'occhiata alie lettere. (L. Sciascia: A ciascuno il suo, 38) — Manco cercare qualche parola facile. (I. Calvino: II sentiero dei nidi di ra-gno, 31)52 Non mancano casi di introduttore diverso da "di": a) in dipendenza da particolari locuzioni dell'ordine valutativo-affettivo, qua-li: "venire a noia", "essere una vergogna" ("un peccato", "una fortuna",...), l'infinito puó avere l'indicatore "a", il quale fa emergere piü ristretti valori semantici (caúsale, finale, o condizionale). Un tale costrutto si trova spesso anticipato alia reg-gente. — (...) anche a stare con me gli venne súbito a noia. (C. Cassola: II cacciatore, 87) — "Come ti chiami?" "Sergio": senza guardarmi; tanto a essere guardato toc-cava a lui (...). (G. Manzini: Ritratto in piedi, 141) — Eppure, ad averia perduta mi dispiace. (C. Alvaro: 75 racconti, 129) — Ho paura adesso a chiedere. (C. Castellaneta: Viaggio col padre, 75) — Hai vergogna a chiamarti, ladro legittimo? (A. Bevilacqua: L'occhio del gatto, 93) — (...) gli mette addosso un sottile piacere maneggiare le armi. (I. Calvino: II sentiero dei nidi di ragno, 105) b) In presenza di particolari verbi esprimenti moti spontanei ("venire", "scap-pare", "sfuggire") o riconducibili a significati di valutazione dei fatti ("restare", "ri-manere", "esserci"), e capaci di reggere solo un costrutto implícito, l'infinito richie- 52 Negli ultimi due esempi il predicato reggente é abbreviato da cancellazione di un elemento: "é", il primo, "non era possibile" (o altro analogo) il secondo. 29 de "da": talvolta per comporre unità sostantivale col valore délia necessità. Mi viene da ridere), tal'altra per introdurre una frase completiva, sempre col significato délia necessità (Rimane da fare ancora parecchio). —Resta da dire qualcosa sul comportamento dei mezzi di informazione. (S. Viola, in: la Repubblica, 14-8-1986) — A Mara venne da piangere. (C. Cassola: La ragazza di Bube, 118) — (...) vi era da sedersi (...). (G.T. di Lampedusa: Il Gattopardo) — Ci sarà da fidarsi? (G. Bassani: Cinque storie ferraresi, 35) — (...) alla ragazza restava da convincere un paese intero (...). (L. Sciascia: A ciascuno il suo, 26) — (...) viene da essere un po' pessimisti sul futuro del pugilato, (in: La nazione, 18-2-1978) 2.3.3 La funzione nominale délia completiva puô essere sottolineata dall'articolo premesso all'infinito. — Come sempre, il vederlo lo rianimô. (G.T. di Lampedusa: Il Gattopardo, 279) — Il saperlo non sarebbe indifférente per il paese. (M. Riva, in: la Repubblica, 1-10-1980) — (...) aiuta molto ad essere se stessi il potere avere la benedizione pubblica e solenne del presidente délia Camera (...). (V. Zucconi, in: la Repubblica, 20-9-1986) 2.3.4 Nel caso in cui il predicato délia frase matrice è provvisto di complemento og-getto diretto, in una eventuale trasformazione al passivo, il valore agentivo délia completiva passerebbe regolarmente dalla funzione soggetto a quella di causa efficiente, con "da" come introduttore dell'infinito. — (L') avere saputo certe cose irritó profondamente Carlo. -* Carlo fu profon-damente irritato dall'aver saputo certe cose. 2.3.5 Anche il posto del costrutto implícito è normalmente successivo alla frase matrice. Non sono rari tuttavia, per ragioni di enfasi, casi di anticipazione. — Di piacersi non poteva essergli accaduto quasi mai (...). (G. Manzini: Ritrat-to in piedi, 112) — Prendere in giro il marinaio tedesco è facile (...). (I. Calvino: Il sentiero dei nidi di ragno, 31) — Perô anche parlarne non sarebbe maie. (G. Pansa, in: la Repubblica, 12-2-1987) 30 2.3.6 Da un medesimo predicato possono dipendere in coordinazione sia il costrut-to esplicito che quello implícito. — (...) gli venne in mente d'essere il primo a dare Tallarme e che Martina fosse stata destinata proprio da lui a diventare (...). (C. Alvaro: Vent'anni, 94) — Mi pareva che tutto gridasse e di sentir chiamare. (C. Pavese: Feria d'agosto, 83) 2.4 Qualche nota conclusiva sulla frequenza d'uso del costrutto soggettivo, esplicito o implícito che sia. E' intuibile come la sua ricorrenza sia direttamente proporzionale a quella dei predicati da cui dipende. E abbastanza frequenti sono i predicati impersonali di per sé. Si pensi ai verbi della apparenza, quali "sembrare" e "parere", ai verbi di giudi-zio, di necessitá, convenienza e simili ("importare", "convenire", "bastare", ...) e alie innumerevoli locuzioni comprendenti un elemento nomínale o averbiale; e cosi vía. Meno frequenti sono invece i predicati costruiti impersonalmente, fatte eccezio-ni non numeróse (ad esempio, per taluni verbi della "dichiarazione" e della "opinio-ne"). Non va dimenticato infatti che la forma impersonale in presenza di un costrutto soggettivo, con questi verbi va fatta mediante trasformazione al passivo (con "si" passivante o no). E la cosa, pur grammaticalmente possibile, nella realtá dell'uso, senza costituire una raritá, é tuttavia per lo piü circoscritta a varietá linguistiche formali. 3 LA PROPOSIZIONE OGGETTIVA 3.1 E' un costrutto completivo che funge da oggetto al predicato della frase matrice. Tale predicato puà essere o un verbo transitivo, o pronominale, o una locuzione con significato corrispondente, tra quelli elencati per il costrutto soggettivo in A, B, D, E.53 53 Per taluni grammatici, sono definibili "proprie" le oggettive dipendenti da predicati transitivi, "im-proprie" quelle dipendenti da verbi pronominali o da locuzioni corrispondenti. (Cfr., ad esempio: M.C. Dore: Analisi lógica della proposizione e del periodo, Bologna, 1961, p. 170-171). Resta co-munque il fatto che tutte svolgono funzioni di oggetto: che rispondano alia domanda "che cosa?" o "di che cosa?". Sono numeróse le locuzioni predicative che, se giá provviste di soggetto, richiedono di essere complétate da un costrutto oggettivo. L'esempio che segue puó rendere chiara testimonianza di come possa essere naturale corrispondere coi fatti linguistici ai fatti logici "Rendersi conto di" é stato mutato nel piü pratico "rendersi conto" (sinonimo di "capire") con richiesta di oggetto diretto: — Sié reso conto qual e la via che ha la forza di percorrere. (R. Giardina, in: La nazione, 2-8-1987) 31 — (...) io capii che ne avevo incontrato il fantasma. (U. Eco: Il nome délia rosa, 123) — Scommetto che è sempre la stessa. (L. Sciascia: Todo modo, 41) — M'avvidi che era cieco. (U. Eco: ivi, 86) — (...) quasi non s'accorgevano che ci fosse Anselmo. (M. Tobino: Il clandestino, 132) — Forse reputava che (...) per forza Blitz dovesse rispuntare (...). (E. Morante: La storia, 171) — (...) ma io sono convinto che dietro il guizzo délia comicità si cela una punta di sorridente malinconia (P.E. Poesio, in: La nazione, 20-2-1984) — Nessuno credo che sia comunista (...). (L. Sciasca: ivi, 46) — C'è perfino chi sostiene che da molto tempo il governo sia monopolio (...). (D. Buzzati: Siamo spiacenti di..., 201) — (...) erano sicuri che la spuntasse. (in: La nazione, 5-3-1984) — Un naturale ritegno impone che si tengano separate (...). (S. Viola, in: la Re-pubblica, 14-9-1986) — (...) si stupiva che ci fossero tanti uomini soddisfatti délia vita (...). (D. Buzzati: ivi, 152) — Ella temé che tornasse (...). (V. Pratolini: Un eroe del nostro tempo, 69) — (...) i colleghi fiorentini si dicevano sicuri che i viola potessero legittimamen-te puntare alio scudetto. (G. Brera, in: la Repubblica (sport) 27-3-1984)54 — (...) anche i verdi più oltranzisti mi davano atto che sarebbe stato un errore (...). (in: la Repubblica, 31-1-1987) 3.2 LA FORMA ESPLICITA 3.2.1 I funzionali introduttivi — II costrutto esplicito puó essere introdotto da "che", "come" (ambedue con funzione e frequenza analoghe al costrutto soggettivo), "dal fatto che" (con valore marcatamente caúsale; e per ció in dipen-denza da particolari verbi come quelli della "partecipazione affettiva"), "quanto" (piuttosto raro, per marcare la valutazione quantitativa del fatto introdotto), "se" (per valori concessivi e ipotetici). — La novitá stava nell' (...) aver mostrato come l'amicizia femminile sia incre-dibilmente ricca. (F. Alberoni, in: la Repubblica, 15-7-1984) — Come sia cominciata questa guerra, nessuno lo ricorda esattamente. (E. Franceschini, in: la Repubblica, 3-1-1983) — Gli raccontai come Pieretto era stato in convento (...). (C. Pavese: La bella estáte, 124) — Erano decenni che sentiva come il fluido vitale, le facoltá di esistere (...) an-dassero uscendo da lui lentamente (...). (G.T. di Lampedusa: II Gattopardo, 283) 54 Si noti in questo esempio la locuzione formata da un verbo copulativo e da un aggettivo ("si dicevano sicuri") 32 — Dubitô che egli se ne fosse andato (...)• (V. Pratolini: Un eroe del nostro tempo, 24) — (...) ha detto (...) dolendosi del fatto che nessuno avesse (...) telefonato (...). (F. Damato, in: La nazione, 16-2-1987) — Il sindaco (...) giudica che i pericoli si sono fatti troppi. (S. Viola, in: la Re-pubblica, 4-10-1986) — (...) non vedo perché il ministro délia difesa (...) debba compiacersi del fatto che sia nato o stia nascendo nel nostro paese "un nuovo tipo di ufficiale spregiudica-to" (...). (F. Damato, in: La nazione, 13-9-1986) — Personalmente, non sarei affatto sorpreso se le affermazioni (...) risultasse-ro (...). (A. Petacco, in: La nazione, 29-1-1987) — (...) sono tra quelli che avrebbero piacere se (...) si presentassero (...). (E. Biagi, in: la Repubblica, 29-1-1987) — A volte pensava quanto era disgraziato (...). (C. Cassola: La ragazza di Bube, 29) — (...) dovrebbero avvertire un certo disagio (...) nel constatare quanto fertili siano i motivi (...). (F. Damato, in: La nazione, 16-2-1987) — Si accorge subito di quanto possa essere difficile il rapporto (...). (P. Buon-giorno, in: Panorama, 22-2-1987, p. 51) 3.2.2 L'uso del modo verbale — Quanto all'uso del modo verbale, aile ragioni dell'ordine semántico, grammaticale e pratico già richiamate per il costrutto sogget-tivo si aggiunge il fatto che, in casi di oscillazione fra indicativo e congiuntivo, con il costrutto oggettivo non c'è il predicato impersonale a tendere a far prevalere il se-condo. Ciô perô toglie poco al già considerevole spazio che il congiuntivo ha nelle completive in generale e nelle oggettive in particolare. La radio, la televisione nazionale e locale, la stampa quotidiana e periodica, anche di evasione, il cinema (tanto per uscire dalla ovvietà del riferimento alla produ-zione letteraria) offrono in proposito quotidiane ripetute testimonianze a tutti i li-velli di argomenti e di utenti délia lingua (la alfabetizzazione generale degli italiani non è avvenuta invano).55 E proprio perché "La distinzione classica tra congiuntivo arduo sentiero per esprimere il dubbio, la possibilità, l'irrealtà, l'esortazione, cioè la sfera delle opinio-ni soggettive, delle azioni non certe; e l'indicativo, strada maestra délia realtà ogget-tiva, delle azioni certe, va scomparendo"56; proprio per questo il congiuntivo è an- 55 Fanno parte ormai delta vita quotidiana le interniste, le indagini di opinione, i dibattiti con la parteci-pazione di persone di varia estrazione sociale, culturóle, professionale (gente comune, sportivi, politi-ci, operatori industriali e commerciali, addetti al mondo della cultura,...) che usano senza particolare imbarazzo e con buona competenza la lingua comune in tutte le sue strutture piú ricorrenti, delle qua-li il congiuntivo é parte non trascurabile per i suoi specifici significati. 56 C. Marchi, cit. p. 88. 33 dato rafforzando, se non anche acquisendo, certi impieghi piü ampi e funzional-mente probanti dell'ordine pragmático e stilistico. Forse non si é riflettuto abbastanza, ad esempio, sull'uso che da sempre si fa (e che vieppiü va diffondendosi) del congiuntivo in dipendenza da predicati esprimenti opinione, dubbio, incertezza, e cosi via, da parte del parlante proprio nel momento in cui riferisce fatti reali. In simili casi, tanto il congiuntivo, quanto i predicati che lo reggono, riconducendosi a valori dell'ordine soggettivo, sembrano fungere da stru-menti di mediazione nel rapporto tra parlante e interlocutore. A chi parla o scrive non di rado é dato di ritrovarsi in contesti situazionali e lin-guistici in cui l'asserzione o l'esposizione dei fatti nella loro nuda obiettivitá potreb-be risultare troppo brusca e indiscreta, non rispettosa delle opportune norme com-portamentali. Di qui la necessitá di un discorso sfumato nei toni e nei contorni con-tenutistici, trasferito nella sfera dei valori soggettivi mediante gli strumenti accenna-ti. Per esemplificare. Ci é capitato recentemente di sentire alia radio un parlamentare proponitore di una certa legge rispondere a una specifica domanda nei seguenti termini: "Credo che nella mia proposta ci sia un articolo (...)•" — "Credo che ci sia": eppure nessuno piü di lui poteva essere sicuro della presenza dell'articolo in questione. Piü realistico sarebbe stato diré: "Nella mia proposta c'é un articolo (...)"• Piü realistico, si, ma non certamente adeguato alia situazione e al ruolo sociale dei presentí al dibattito; di fronte ai quali piü opportuno appariva attenuare ogni dato reale in termini di personale valutazione57. E' forse in ambiti situazionali anche di questo genere che piü si lega l'uso alternato del congiuntivo e dell'indicativo anche in dipendenza dallo stesso predicato (come si puó notare in taluni esempi qui sotto riportati). Resta comunque incontestabile che nei piü comuni momenti degli atti linguistici l'indicativo é tramite di pragmatica, efficace immediatezza. — Poco fa ti ho detto che stamattina mi era venuto il dubbio che l'avvocato sapesse. (L. Sciascia: Todo modo, 83)58 — Non capisce che queste donne (...) non hanno niente a che fare con il delitto (...)? (L. Sciascia: ivi, 93)59 — Non direi che vadano sterminati, anche perché non credo che si tratti di let-tori meno intelligenti (...). (N. Aiello, in: la Repubblica, 29-8-1986) 57 Per tutto ció cfr. G.B. Moretti — G.R. Orvieto, cit., e S. Battaglia — V. Pernicone: La grammatica italiana, Tormo, 1968, p. 534) 58 In questo enunciato sono presentí in subordinazione una oggettiva (indicativo) e una soggettiva (congiuntivo). 59 La negazione in forma di domanda ha il significato di una affermazione ( = queste donne non hanno...): anche da ció forse la perentorietà dell'indicativo. 34 — Ció non toglie che abbia ragione (...). (G. Galli, in: Panorama, 5-3-1984, p. 33) — Mettiamo che sia stato il prodotto di un'epoca (...). (G. Bocca, in: la Repub-blica, 9-2-1987) — (...) insinuava che pericolose venature mafiose potessero essere ravvisate anche negli organismi (...). (A. Petacco, in: La nazione, 29-1-1987) — (...) dispone che venga chiesta l'estradizione (...). (L. Bonsanti, in: la Re-pubblica, 5-10-1986) — Scommetto che non ti sentiresti di giurare. (D. Buzzati: Siamo spiacenti di..., 218) — (...) io neppure mi meraviglierei se un giorno si scoprisse (...). (A. Petacco, in: La nazione, 29-1-1987) — Naturalmente non sapeva né che Calvi era un membro attivo délia P2, né che fosse sull'orlo del fallimento, né che la banca d'Italia indagava su di lui fin dal 1979, né che Bagnasco avesse anche lui i suoi guai (...). (E. Scalfari, in: la Repubbli-ca, 25-11-1984) — Se non è vero, infatti, che adesso è la Williams la "riscoperta" délia formula 1, non è neppure vero che le McLaren abbiano fatto fiasco (...). (C. Marincovich, injja Repubblica [sport], 10-7-1984) " — Quando lei tornó mostró di meravigliarsi non del fatto che ero stato via tutta la notte, ma che fossi già a casa. (C. Sgorlon: II trono di legno, 41) — Pensó che quattro anni di carcere, in atiesa di un giudizio, sono in ogni caso una vergogna, e pensó che Negri abbia provocato delle vittime (...). (E. Biagi, in: Panorama, 3-10-1983, p. 75) — (...) vediamo la televisione (...) per rassicurarci che non sia accaduto nulla. Che nessun rapimento, nessun dirottamento è intervenuto a insidiarci (...). (B. Placido, in: la Repubblica, 5-2-1987)60 — Tu sai com'è triste l'inverno, com'è fredda la casa, come il cuore abbia bi-sogno d'amore. (M. Moretti: Mia madre, 221) In presenza di identità di soggetto tra frase matrice e completiva, la tendenza è a preferire Vindicativo nella forma esplicita o, più comunemente, a scegliere la forma implícita. Comunque il congiuntivo è evitato se i fatti della completiva sono de-cisamente posteriori a quelli della frase matrice: in tal caso si avrà o il futuro indicativo o il condizionale passato (futuro del passato). — Pensó (che partiró / di partiré) domani. — (...) credo che andró a fargli visita. (C. Pavese: Feria d'agosto, 57) — Credo che stasera rimarró a cena là. (G. Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini, 91) — Credo che avevo da poco imparato a camminare. (E. Morante: L'isola di Arturo, 40) 60 In questo enunciato, in cui é inequivocabile il richiamo alia sfera volitiva, Tuso alterno del congiuntivo e dell'indicativo é quantomeno insolito. 35 3.2.3. Alt re analogie con il costrutto soggettivo a) il posto usuale dell'oggettiva é (come per l'oggetto diretto) dopo il predicato reggente. In casi di anticipazione per ragioni di enfasi, vale ció che si é detto per il costrutto soggettivo: l'indicazione di proposizione subordinata, piü che all'indicatore "che" viene affidata al congiuntivo, che, dunque, é presente anche nei casi di non utilitá semantica. Tuttavia, in registri linguistici meno sorvegliati, non é infrequente l'indicativo: ne sono buona testimonianza taluni esempi qui sotto riportati. II condizionale serve al valore dell'eventualitá. — Che si chiamasse Simona lo sapevo soltanto da un giorno (...). (C. Castella-neta: Anni beati, 28) — Ma che la perennitá di un vescovo incarni l'impunitá dei poteri é veramente il segno dei poteri sulla cittá. (G.B. Bozzo, in: la Repubblica, 12-2-1984) — Che mió marito sia stato un grande musicista lo sanno tutti, ma pochi sanno che era pieno di interessi. (da un' intervista in: Gente, 21-3-1986) — Che a Torino minacciano la sua famiglia non sará vero, ma é verosimile (...). (G. Mura, in: la Repubblica, 8-12-1985) — Che Italia e Ciña sono in ottimi rapporti é testimoniato dalle cifre (...). (V. Sivo, in: la Repubblica, 5-4-1986) — Che ero escluso da Sanremo l'ho letto nella "Notte" (da un' intervista in: la Repubblica, 3-2-1987) — Che Ciotti avrebbe presentato con fare leggero, da estimatore, Bruno Martino, ci avremmo giurato. (G. Masieri, in: La nazione, 16-9-1986) b) alio scopo di evitare fastidiosi casi di cacofonía (ripetizione del morfema "che": ad es.: Mario dice che vorrebbe che tu...), o di ridondanza (tanto il morfema "che" quanto il congiuntivo segnalano la presenza di una struttura ipotattica), il "che" puó essere cancellato, per lasciare campo al congiuntivo. Anche in questo caso tuttavia non é raro l'uso dell'indicativo (specie futuro) e del condizionale, puré in assenza del "che"61 — (...) si é figurato ci fossero dentro chissá che complotti (...). (D. Buzzati: Siamo spiacenti di..., 127) — (...) pensa si stia per fare un regalo troppo grande (...). (M. Fuccillo, in: la Repubblica, 20-9-1986) 61 L'uso del futuro indicativo e del condizionale é tuttavia spiegabile anche semanticaménte, se é vero che per questo aspetto non sono poi cosi lontani dal congiuntivo. 36 — (...) Giordano aspetta il pallonetto scenda (...). (G. Brera, in: la Repubblica [sport], 6-10-1983) — Ne ha visto i limiti e a quelli ha voluto si attenessero i suoi prodi. (G. Brera, in: la Repubblica [sport], 12-2-1987) — Spero me li lascerai esaminare uno di questi giorni (...). (U. Eco: Il nome délia rosa, 95) — (...) credo non sarà un piacere per lui. (L. Sciascia: Todo modo, 8) — Scommetto starebbe sempre a lisciare quelli del fascio. (C. Cassola: Un uo-mo solo, 69) — Credo non gli sarebbe dispiaciuta la conduttrice délia trasmissione. (B. Placido, in: la Repubblica, 2-11-1986) — Alla lunga ho pensato che molti ce l'avessero con Tortora per incoercibile invidia. Pensó debba capitare a tutti coloro che godono di troppo durevole fortuna. (G. Brera, in: la Repubblica, 27-2-1987) In presenza di un predicato imperativale, il morfema "che" potrebbe essere gráficamente sostituito da due punti; oralmente, da una pausa. In tal caso, il costrutto, pur conservando la sua funzione esplicativa, dal punto di vista grammaticale recupera pressoché in tutto la sua autonomía. — Vedi: io mi sono fatta una precisa opinione di questi delitti. (L. Sciascia: Todo modo, 94) — Ma mi creda: non fanno gli oracoli perché sanno e non vogliono dire (...). (L. Sciascia: ivi, 96)62 c) il predicato reggente puô essere costituito semplicemente da un elemento nominale: sostantivo (anche preceduto da preposizione) o aggettivo. — Egli si guardó attorno in attesa che il sindaco smentisse quel dubbio pessimi-stico (...). (I. Silone: Il segreto di Luca, 60) — (...) lo sapemmo (...) dalle frasi laconiche che buttava là ogni tanto, sbuf-fando e alzando le spalle, quasi irritato che non sapessimo nulla. (N. Ginzburg: Les-sico famigliare, 140) — Stupito che in mezz'ora gli fosse riuscito d'esser pronto gli ho chiesto (...). (E. Vittorini: Il garofano rosso, 497 3.2.4 Un tipo particolare di completiva è quello dipendente da un predicato gram-maticalmente personale alla 2a persona singolare o alla 3a plurale), ma dal soggetto logico generico. 62 Questo tipo di struttura ricorre molto spesso nell'opera di L. Sciascia: quasi da costituirne una carat-teristica stilistica. 37 — Avresti detto che (...) fosse il lavoro che le tirava (...). (A. Palazzeschi: So-relle Materassi, 51) — Mi dicono che nel Cataio un saggio ha distillato una polvere (...). (U. Eco: Il nome délia rosa, 96) — Dicevano che lo facesse per avarizia. (C. Cassola: Un uomo solo 86) — Le voci dicono che sia un dissidio (...). (in: la Repubblica, 6-3-1984) 3.3. LA FORMA IMPLICITA 3.3.1 II costrutto oggettivo si puô avere con l'infinito presente o passato, a condi-zione che il suo soggetto: sia lo stesso délia frase matrice o, per i predicati in B, funga in questa da oggetto o da complemento preposizionale; oppure sia generico. — Ma d'improvviso sopraggiunsero i sergenti ordinando subito di rivestirsi e di rientrare nelPaccampamento. (G. Comisso: Giorni di guerra 68) — (...) ti domando d'essere come loro. (G. Piovene: Le stelle fredde, 28) — (...) temevo di non arrivare a dire in una volta quello che volevo (...). (C. Alvaro: 75 racconti, 112) — (...) il peccato ci persuade d'essere nascosti a Dio. (R. Bacchelli: Una passio-ne coniugale, 105) 3.3.2 In certi casi di lingua ricercata o amministrativa puô trovarsi l'infinito con soggetto diverso dalla frase matrice, e in questa non preannunciato. — Venne chiamato il medico il quale (...) dichiarô trattarsi di polmonite. (G. Bassani: Cinque storie ferraresi, 38) — Gli spiegô non trattarsi di gagliardetto délia sua Juventus (...). (A. Bevilac-qua: L'occhio del gatto, 93) — (...) questo impegno aveva uno scopo materiale opposto a quello astratto cui credeva tendere quello del Principe (...). (G.T. di Lampedusa: II Gattopardo, 124) 3.3.3 Come nella soggettiva, l'infinito è per lo più introdotto da "di" — Si ricordö di avere un po' di vino nella borraccia (...). (C. Alvaro: Vent'anni, 161) — Non sa che io rimpiango di non avere fatto il professore di lettere? (L. Scis-cia: A ciascuno il suo, 59) — Ordinai di svegliarmi presto (...). (G. Piovene: Le stelle fredde, 43) 3.3.4 La cancellazione del funzionale "di" è ancora oggi rara e suona insólita (o capriccio stilistico, o varietà regionale). 38 — Creciendo avere una tavola dinanzi a sé, menó un gran pugno sul proprio gi-nocchio. (G.T. di Lampedusa: II Gattopardo, 124)63 — (...) la manina con guanto di merletto ñero che il contino aveva sperato vede-re, rimase in grembo a Concetta. (G. T. di Lamperdusa: ivi, 75) — Ci sará ancora Platini: il non ancora diciassettenne Buso confida averne lan-ci da favola. (G. Brera, in: la Repubblica [sport], 19-10-1986) 3.3.5 Certi particolari verbi esprimenti "tendenza", "aspirazione", "tentativo" (provare, provarsi, arrischiarsi, azzardare, azzardarsiambire, agognare, anelare, aspirare, tendere, teneré, tenerci,...) richiedono l'infinito preceduto da "a" con valore finale.64 — Provo anch'io a chiudere gli occhi (...). (C. Castellaneta): Viaggio col padre, 31) — (...) non s'arrischiava ad ascoltarlo (...). (R. Bacchelli: Una passione coniu-gale, 64) — Quella gente pensa soltanto a comprare e a tenere per sé. (G. Manzini: Ri-tratto in piedi, 28) — (...) ci tenevi ad andaré in trattoria (...). (C. Cassola: Una relazione, 120) — Anelavano a vederci (...). (C. Pavese: Feria d'agosto, 54)65 3.3.6 Alcuni verbi, come "rifiutare", "ricusare" come quelli di cui ci siamo occupati qui sopra e nella nota 64 possono avere solo il costrutto implícito. — Si rifiutô di rispondere. 3.3 .7 Come awiene per il costrutto esplicito, anche il predicato reggente quello implícito puó essere costituito da semplice elemento nomínale (sostantivo, anche con preposizione, e aggettivo). — Alia loro morte l'appartamento era stato chiuso in attesa di essere rinnovato (...). (P. Chiara: I giovedi della signora Giulia, 17) — Quasi timoroso di aver detto troppo, questo angelo gobbo mi salutô bruscamente e mi lasciô. (C. Levi: Cristo si è fermato a Eboli, 44) 63 E' interessante notare che questo raro costrutto (che torna piü volte in G.T. di Lampedusa, come si vede dal successivo esempio) si trova nella stessa pagina (124) del precedente poco prima riportato (in 3.3.2). Talvolta le raritá stilistiche sembrano coincidere con lo stesso momento creativo. 64 Questi verbi, in genere, rifiutano la completiva esplicita. E ció fa pensare a una loro funzione di frase-ologici aspettuali, e percio a una loro tendenza a formare perifrasi verbale con l'infinito dipendente: come "volere", "desiderare", e simili di cui ci siamo giá occupati; del resto, sono, anche questi, tutti verbi della sfera volitiva. 65 Si noti, per contro, lo stesso verbo insólitamente costruito con "di": — (...) anelavo di tenergli dietro. (A. Manzini: Ritratto in piedi, 38) 39 3.3.8 Anche l'infinito del costrutto oggettivo puó essere determinato da articolo. — (...) Andrea, nel parco, gustava l'aver completamente annullata la memoria di Luigi (...). (N. Lisi: Racconti, 38) 3.3.9 Da un medesimo predicato possono dipendere, in coordinazione, costrutti og-gettivi espliciti e impliciti. — Ho paura che tutto vada male e di finiré in miseria, (dal film: II povero ric-co, 1983) 4. LA PROPOSIZIONE PREDICATIVA 4.1 La non frequente ricorrenza di questo costrutto completivo deriva dalla rigidità (e perció povertà) dello schéma sintattico e semántico di cui puó essere parte: con la copula "essere" (e talvolta con verbo copulativo) funge da predicato nominale a un soggetto costituito da sostantivo (o elemento sostantivato) preceduto da articolo determinativo.66 Ne nasce comunque una sequenza piuttosto marcata enfáticamente, assai frequente in situazioni comunicative più immediate e spontanee. 4.2. LA FORMA ESPLICITA a) I funzionali introduttivi possono essere: "che" (il piü ricorrente per la sua funzione genericamente esplicativa), e "se" (non molto frequente, data la specificitá del suo valore dell'ordine dubitativo). — La conseguenza di tale errore infatti é stata che la piü alta Magistratura dello Stato si é trovata scoperta (...). (E. Scalfari, in: la Repubblica, 20-7-1986) — La sua "ideología" era che la malattia andava maltrattata (...). (in: la Repubblica, 24-8-1986) 66 La funzione sintattica e semantica del costrutto é chiaramente indicata dal tipo di articolo che determina il sostantivo. L'articolo indeterminativo, infatti, affida al sostantivo la funzione di complemento predicativo, e porta in primo piano la completiva con funzione di soggetto. L'articolo determinativo sortisce l'effetto opposto, portando in primo piano il sostantivo, a fungere da soggetto, e lascian-do alia completiva il ruolo di predicato: — Una vera pena era (pred.) vivere insieme a lui (sog.) (= Vi-vere insieme a lui era una vera pena) — /vs/ La vera pena (sog.) era vivere insieme a lui (pred.). — II guaio é dovere aspettare tanto, /vs/ E' un guaio dovere aspettare tanto. L'assenza dell'articolo equivale a una non determinazione: — Mérito delgoverno éd'aver accompagnato questisviluppi (...). (E. Scalfari, in: la Repubblica, 1-3-1987) 40 — Il punto non è se io scriva ancora sull'industria culturale (...). (U. Eco, in: L'espresso, 9-11-1986, p. 274) b) Quanto all'uso del modo verbale, si rinvia a ció che è stato già detto per i co-strutti precedenti, ma dopo avere richiamato l'attenzione sul fatto che i contenuti se-mantici che possono regolare la scelta sono proposti dal sintagma soggetto. — La mia impressione è che oggi molti conoscano soprattutto l'arte di vender-si. (S. Fortuna, in: La nazione, 2-2-1987) — Il bello fu che il Márchese gli diede retta (...)• (I- Calvino: Il barone rampante, 84) — (...) le motivazioni sarebbero che il presidente pensa alla RAI nel suo insie-me e cerca un rilancio (...). (A.M. Mori, in: la Repubblica, 17-2-1987) — Il curioso fu che nostra madre non si fece alcuna illusione (...). (I. Calvino: ivi, 41) — (...) noi abbiamo solo due modi di riconoscere un pentito come tale. Uno è che si penta prima di délinquere (...). L'altro è che (...) il pentito chiede un inaspri-mento di pena. (U. Eco, in: L'espresso, 5-10-1986, p. 221)67 — La ragione per cui queste bellissime case si possono avere per tanto poco, è che la loro offerta continua ogni giorno a crescere. (S. Viola, in: la Repubblica, 142-1987) 4.3. LA FORMA IMPLICITA Si puó avere solo quando il costrutto sia impersonale. Richiede l'infinito presente o passato con "di" (piü di frequente se il soggetto é costituito da sostantivo), o senza (per lo piü, se il soggetto é costituito da elemento sostantivato). — L'intento é di sottoporre la gestione vita alia perdita della gestione danni (...). (in: la Repubblica, 13-3-1983) — In simili frangenti, la soluzione é (di) non prendersela. — Con cosí pochi soldi, il bello sarebbe vincere miliardi! — Per lui il crepuscolarismo (...) é stato il rimirare alio specchio l'immagine esangue (...). (S. Giovanardi, in: la Repubblica, 11-3-1987) 4.3.1 — Funge da predicativo del soggetto il costrutto infinitivo in presenza di verbi con funzione copulativa, quali "sembrare", "parere", "risultare", "rivelarsi", e pochi altri. L'infinito é senza funzionale introduttivo.68 67 In questo caso il pronome soggetto "uno" ( = "il primo") non ha articolo perché già di per sé è deter-minato. 68 II costrutto ricorre più spesso nello stile letterario. 41 — (...) si rivela ormai essere una tigre di carta (...). (E. Scalfari, in: la Repub-blica, 13-9-1986) — (...) i pastori sembrano muoversi daVvero nella penombra. (C. Castellaneta: Viaggio col padre, 17) — Tutti sembrano essere d'accordo (...). (A. Asor Rosa, in: la Repubblica, 3-21987) — I ricercatori (...) sembravano essere i favoriti (...). (E. Gatta, in: La nazione, 12-2-1987) — (...) "il compagno presidente" é parso rinviare giudizi e proposte definitivi. (da un sottotitolo, in: la Repubblica, 14-2-1987) 5 LA PROPOSIZIONE ATTRIBUTIVA O APPOSITIVA 5.1 Ha la funzione di determinare o descrivere un pronome dimostrativo o un sostantivo, costituenti della frase matrice, ai quali si pospone. Dal punto di vista sintattico, appare dunque un elemento aggiuntivo, non primario, della frase matrice. E ció ne fa un costrutto particolarmente duttile sul piano anche espressivo e stilistico. Ad esempio, a livello orale, puô essere diviso dalla frase matrice da una pausa più o meno marcata, che, a livello gráfico, puô identificarsi con una virgola, un punto e virgola, due punti, o, addirittura, con un punto fermo. Pausa, che puô assegnare al costrutto, a seconda della necessità, il significato di una restrizione, o precisazione, o spiegazione che il parlante/scrivente, riflettendo, ritie-ne necessario apportare. — Il dubbio che dicesse la verità e che fosse tutt'a un tratto diventato buono m'attraversô la mente. (I. Calvino: Il visconte dimezzato, 65) — Lo afferma (...) respingendo il sospetto che sia stato lui a consegnare (...). (in: Il corriere della sera, 7-2-1987) — Tu puoi ridarci la speranza che c'è ancora (...) una certezza del diritto. (E. Biagi, in: Panorama, 26-3-1984, p. 91) — (...) sta dunque dicendo la verità: che qualcuno ha manovrato in modo da spostarsi (...). (L. Sciascia: Todo modo, 69) — Il bello era questo. Che nei libri, nei film, sui giornali, eccetera, la generazio-ne dei padri (...) dà corda a questi giovani arrabbiati (...). (D. Buzzati: Siamo spia-centi di..., 209) 5.2 LA FORMA ESPLICITA 5.2.1 II funzionale più ricorrente è ancora l'esplicativo "che". Altri legamenti ricorrenti, ma con conseguente attenuazione del rapporto su-bordinativo, sono: "(e) cioè che", "vale a dire che". 42 Detta attenuazione deriva dal fatto che Pelemento reggente è indeterminato. La scelta del modo verbale segue i criteri più volte analizzati; il significato dell'elemento che viene determinato è, comunque, fortemente condizionante. — Concordarono tutti, comunque, nel giudizio che la lettera fosse da prendere come uno scherzo (...)• (L- Sciascia: A ciascuno il suo, 15) — E ci dispiace che ci abbia lasciati magari con il dubbio che anche noi gli aves-simo voltato le spalle (...). (B. Brunori, in: La nazione, 18-2-1987) — Altre radici del fenomeno risiedono poi nel dato che l'Italia è una democra-zia anómala. (A. Ronchey: Accadde in Italia, 98) — E nella sua vera essenza questo è il cristianesimo: che tutto ci è permesso. (U. Eco: Il nome délia rosa, 76) — L'idea che a Severino fosse piaciuta Amelia, che se lo fossero detto o magari si vedessero, le guastô la giornata. (C. Pavese: La bella estáte, 27) — Il brutto di noi vecchi è la certezza che non si possa affermare nulla in asso-luto (...). (G. Brera, in: la Repubblica [sport], 26-9-1986) — (...) il motivo è uno solo: che le cose non vanno proprio a gonfie vele (...). (D. Buzzati: Siamo spiacenti di..., 118) ~ — Allora ecco che cosa è capitato di assurdo. Che per me non c'è stato il tempo di provare un dolore vero (...). (A. Bevilacqua: Umana avventura, 136) — (...) negli ultimi tempi (...) è diventata molto più precisa quella che un tempo era solo un'ipotesi di lavoro, e cioè che il vero potere di Gelli sia consistito (...) nei suoi rapporti con i servizi segreti (...). (in: la Repubblica, 26-4-1984) — (...) la Chiesa che vive in Italia parte precisamente da questa realística con-statazione: cioè che il fenomeno délia "scristianizzazione" si va sistemáticamente diffondendo. (in: la Repubblica, 20-9-1986) — Quello che non sopporto è che gli stupidi mi ridano dietro. (A. Arbasino: Le piccole vacanze, 137) — E' una soluzione tattica molto intéressante, ma a un patto: che si abbiano a disposizione gli uomini (...). (L. Granello, in: la Repubblica, 5-10-1986)69 — Storicamente non c'è nessuna prova che la Gioconda sia stata toccata (...) nel senso che siano stati operati sul capolavoro restauri e manipolazioni (...). (in: La nazione, 19-2-1987) — In cambio (...) aveva chiesto una garanzia: e cioè che il nuovo governo non fosse un governo elettorale (...). (in: la Repubblica, 21-2-1987) 5.2.2 In analogía con altri tipi di completiva, l'introduttore "che" puó essere cancel-lato. 69 L'esempio mostra quanto possa essere vicina una cristallizzazione dell'elemento determinato ("a un patto") e del funzionale esplicativo ("che") in una locuzione condizionale ("a patto che") molto ricor-rente. 43 — La informiamo — nella speranza possa interessarle — che il Ministero di Grazia e Giustizia (...) ha pubblicato (...). (da una lettera circolare del 3-8-1985) 5.2.3 Al limite fra coordinato e subordinato sta il costrutto che sostituisce l'introduttore "che" con una pausa, gráficamente rappresentata in genere da due punti. — E ancor piü strano é questo: mentre un tempo si diffidava delle sentenze (...), oggi ci si guarda bene dal manifestare (...). (G. Ferrara, in: la Repubblica, 18-9-1986) — Un solo fatto é certo: giá venerdi mattina la Borsa aveva "annusato" che qualcosa stava bollendo in pentola (...). (in: La nazione, 22-9-1986) 5.3 LA FORMA IMPLICITA 5.3.1 La forma impersonale della completiva o l'identità di soggetto con la frase matrice permette il costrutto implícito con l'infinito presente o passato introdotto da "di".70 Anche in questo caso, a precisare il significato, possono concorerre pause tonali o, corrispondentemente, grafiche. — Adesso è già cominciata la grande fatica di vivere. (I. Silone: Una manciata di more, 219) — Questi aveva preso l'abitudine (...) di rimproverare alia moglie l'indole della figlia. (R. Bacchelli: Una passione coniugale, 61) — Mi sta crescendo una gran paura: di non vederla più (...). (G. Arpiño: La suo-ra giovane, 98) — (...) il suo compito principale è quello di sorvegliare i confini del paese. (C. Levi: Cristo si è fermato a Eboli, 13) — (..) ha sottolineato l'importanza di aver realizzato principi fondamentali (...). (in: la Repubblica, 14-2-1987) 5.3.2 Svolge funzione di carattere attributivo un particolare costrutto formato da un infinito presente in unione con "da". Serve a specificare in termini consequenziali dell'ordine qualitativo o quantitativo un elemento avverbiale o nomínale (nome o aggettivo) di per sé indefinito, o a precisare la destinazione di un elemento sostanti-vale. Spesso l'infinito attivo assume senso passivo. 70 Nel seguente esempio si puö notare la tendenza a cristallizzarsi in locuzione finale deü'elemento reg-gente ("con il fine") e "di": — (...) il cumulo elimina la possibilitä di ripartire tra i coniugi il patrimonio familiare con il fine di eludere ¡'imposta progressiva (...). (V. Visco, in: la Repubblica, 11-2-1987) 44 — Stalin non é mica tipo da aver tanti scrupoli. (G. Bassani: II giardino dei Finzi-Contini, 138) — Messina mi sembra un buco da non poterci respirare piü. (D. Buzzati: Siamo spiacenti di..., 136) — Un profumo ... un profumo da perdere la testa. (G. Manzini: Ritratto in piedi, 100) — (...) mi consegnó un figurino di mode da riportare alia vedova. (R. Bilenchi: Racconti, 133) — Anche voi vorreste un pezzo di térra da dissodare? (I. Silone: Una manciata di inore, 241) — (...) non c'era altro da mangiare. (C. Levi: Cristo si é fermato a Eboli, 29) — Era diventata una veritá impossibile da ignorare. (V. Pratolini: Un eroe del nostro tempo, 159) 6 LA PROPOSIZIONE INFINITIVA 6.1. E' un particolare costrutto completivo con l'infinito avente a soggetto un elemento che nella frase matrice funge da oggetto (diretto o indiretto). — Sentó gli uccelli cantare. (Li sentó cantare.) — Faccio fumare Luigi. (Lo faccio fumare.) — Faccio fumare una sigaretta a Luigi. (Gliela faccio fumare.) 6.1.1. II termine che designa questo costrutto é dell'ordine morfologico e lascia la questione della sua funzione semantica. Infatti la forma esplicita corrispondente puó avere: a) funzione completiva, atta a sottolineare il fatto: — Sentó che gli uccelli cantano. b) funzione relativa-attributiva, atta a richiamare l'attenzione sull'agente: — Sentó gli uccelli che cantano. c) (con i verbi "fare" e "lasciare") funzione consecutiva-finale, o solamente finale. — Faccio si che Luigi fumi una sigaretta. — Lascio che Luigi fumi una sigaretta. 6.2. I predicati reggenti possono essere: a) verbi che esprimono "percezione dei sen-si e della mente" (udire, sentire, ascoltare, percepire, vedere, osservare, guardare, notare, indicare, scorgere, seguire (con lo sguardo, con l'udito o con lo pensiero), pensare, immaginare, ricordare, sapere ...); b) i verbi "fare" (col significato di "cer- 45 care di conseguiré un certo risultato tramite altri") e "lasciare" (col significato di "per-mettere che venga compiuta una certa azione o che si verifichi una determinata si-tuazione"). — Odo le scarpe della mamma cadere leggere sul pavimento (...)• (C. Castella-neta: Viaggio col padre, 33) — Le ricordo quel gruppo di giovani maschi correre via insieme (...). (G. Savia-ne: II mare verticale, 24) — Ti faro vedere la piazza (...) (C. Pavese: Feria d'agosto, 92) 6.2.1. Talvolta l'infinito si trova introdotto da "a". In tal caso il costrutto assume un aspetto durativo-intensivo, insieme a un valore di carattere temporale, corrispon-dente a una proposizione esplicita introdotta da "mentre". — Per carita, Antonietta, che non ti sentano a diré queste baggianate. (D. Buz-zati: Siamo spiacenti di..., 41) — (...) spesso l'avevo sorpresa a rimproverare la nonna (...). (R. Bilenchi: Rac-conti, 102) — (...) essi giá vedevano i loro bambini a riscaldarsi le mani e i piedi. (N. Lisi: Racconti, 22) 6.3. Per quanto riguarda il soggetó dell'infinito, occorre ricórdare che esso funge al tempo stesso da complemento della frase matrice. Perció: a) se esso é espresso da un pronome átono, in caso diretto o indiretto, o da un pronome relativo, si antepone al verbo reggente; fatti salvi i casi (con imperativo, infinito, participio e gerundio) in cui assume posizione enclítica. — (...) costrinse anche me a giocare súbito la carta che sapevo essere Túnica (...). (V. Pratolini: Un eroe del nostro tempo: 120) — Non lo lasciava commentare. (M. Tobino: Per le antiche scale, 31) — Mi affacciai alia finestra per guardarli giocare. — Li guarda giocare. b) se é oggetto diretto della frase reggente ed é espresso con nome o pronome tonico, puó precedere o seguire l'infinito, a seconda dell'accento d'enfasi. — Gli indicavo i Toni e i Frane accendersi nella grottesca competizione. (F. To-mizza: L'albero dei sogni, 164) — Ho sentito rientrare papá. — Ho sentito rientrare lei. c) in presenza di "fare" e "lasciare", l'oggetto diretto espresso mediante sostantivo o pronome tonico si pospone all'infinito. 46 — Lascio (faccio) fumare Giorgio (lui, voi, te,...). d) con questi stessi verbi, se l'infinito é giá prowisto di oggetto diretto, l'agente: o é espresso con pronome átono indiretto (come si é detto in a), appure, se é nome o pronome tonico, si pospone71 all'infinito facendolo precedere da "a" o "da".72 In tali casi, l'infinito in forma attiva puó assumere senso passivo. — (...) era stata ansiosa di far vedere la bambola alie sue amiche (...). (V. Pra-tolini: Un eroe del nostro tempo; 22) — (...) mi avrebbe fatto accompagnare dal ñipóte con le chiavi. (C. Levi: Cristo si é fermato a Eboli, 41)73 — Facciamo fare ad Achille un bel pacchetto (...). (M. Tobino: Per le antiche scale, 31) — (...) un trapestio di passi ci fece volgere il capo (...). (C. Castellaneta: Viag-gio col padre, 33) — (...) Giovanni glielo avrebbe fatto rimangiare con un pugno sui denti falsi. (V. Brancati: Don Giovanni in Sicilia, 152) e) l'infinito puó risultare anche impersonale, naturalmente. — (...) udii sotto la finestra gridare in fretta il mió nome, piü volte. (R. Bilen-chi: Racconti, 110) — (...) fece fare un armadietto a vetrina (...). (N. Ginzburg: Lessico famiglia-re,79) 6.4. II construtto infinitivo sin qui descritto ha funzione oggettiva. Perché possa avere funzione soggettiva, occorre construiré impersonalmente il predicato reggen-te, secondo le modalitá seguenti: a) se é un verbo della "percezione": 1) in presenza del pronome proclitico, si rende impersonale con la particella "si"; — mi (ti, ci, vi, lo, la, li, le) si vede giocare. Ma anche: li (le) si vedono giocare. 71 L'agente puó anche essere preposto al predicato reggente: — Da un soldato minuscolo mifeci indicare (...). (G. Comisso: Giorni di guerra, 94) 72 Non mancano casi in cui, pur in presenza di un complemento oggetto dell'infinito, l'agente dell'infinitiva continua a funzionare da oggetto diretto alia reggente: — E i braccianti dicevano a me ch'ero come loro, che li lasciassi fumare in pace la cicca. (C. Pavese: La luna e i falo, 62) 73 II senso passivo si puó cogliere volgendo in forma esplicita: "avrebbe fatto si che fossi accompagnato dal ñipóte". Senso passivo puó assumere anche l'infinito retto da un verbo di percezione: — Vedermi accusare di anticonformismo (...): ecco un 'eventualità alla guale non ero preparato. (N. Ajello, in: la Reppublica, 17-3-1987) 47 2) in presenza di un nome o di un pronome tonico diretto, che fungeranno da soggetto, si rende, per lo più, passivo ç:on o senza la particella "si"; — Si vede (si è vista, viene vista, è stata vista) passare Lucia. — Si vedono (si sono visti, vengono visti, sono stati visti) correre i ragazzi, (Meno comune) b) se è "fare" o "lasciare": 1) per i casi previsti sopra in 1) e 2) si procede alio stesso modo; — Mi (ti, ci, vi, lo, la, li, le) si fa (lascia) fumare. Ma anche: li (le) si fanno (si lasciano) fumare. — Si fa (si è fatta, viene fatta, è stata fatta) uscire Lucia. — Si fanno (si sono fatti, si lasciano, si sono lasciati, vengono fatti, vengono lasciati, sono stati fatti, sono stati lasciati) fumare i ragazzi. (Meno comune) 2) se è presente un oggetto diretto dell'infinito, questo, naturalmente, diventa il soggetto del predicato reggente pur restando posposto all'infinito; — Si fanno (si lasciano, vengono fatti, vengono lasciati, si sono fatti, si sono lasciati, sono stati fatti, sono stati lasciati) copiare gli esercizi a Luigi. — Si poteva immaginare l'ape tornante alla sua celia con le due borse ai lati ri-porre il carico (...). (C. Alvaro: 75 racconti, 167) — (...) le felci, le ortiche, i cardi, i papaveri erano stati lasciati avanzare e inva-dere con licenza sempre maggiore. (G. Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini,15) 6.5. Accade a volte che, senza un preciso contesto situazionale o lingüístico di rife-rimento, il costrutto risulti di significato ambiguo. E ció perché all'infinito di alcuni particolari verbi è data la possibilité di conservare (come si è già detto in precedenza) la forma attiva e di assumere senso passivo.74 E' il caso dei due esempi seguenti, nei quali, avulsi come sono da un contesto determinato, è impossibile stabilire la funzione grammaticale e lógica di "li" e "Luigi": funzione, che potrebbe essere tanto di soggetto (se l'infinito ha senso passivo) quanto di oggetto (se l'infinito ha invece senso attivo). — Li ho visti uccidere. (titolo, in: la Repubblica, 8-2-1987) — Ho sentito salutare Luigi. 74 Possibilité che deriva loro dall'essere transitivi e dal possedere particolari tratti semantici. 48 7 COSTRUTTI CON LORO PROPRIO RUOLO SEMANTICO, MA IN QUALCHE MODO RICOLLEGABILI A UNA GENERICA FUNZIONE COMPLETIVA DI BASE 7.1 A precisare un costrutto completivo genericamente esplicativo75 soccorrono ogni volta, al di lá della struttura, opportuni significati lessicali. Non di rado accade pero che la precisazione é talmente definita che (come é ca-pitato anche a noi piü volte nel corso di questo lavoro) si puó parlare di valori ag-giuntivi particolari di vario tipo: finale, caúsale, consecutivo, modale, temporale, e cosi via. Proprio da costrutti completivi cosi precisati hanno avuto origine numerosi se-gni funzionali (congiunzioni e locuzioni congiuntive), di cui i morfemi "che" e "di" sono diventati parte integrante grazie a un processo di piü o meno lenta e definitiva cristallizzazione, che li ha visti perdere la loro propria autonomía funzionale (dopo/prima che, dopo/prima/avanti di, in modo che, in modo di, di modo che, di-módoché, ben che, benché, poi che, poiché, dato che, visto che, purché, pur che, pur di, a patío che, a patto di,...). Primariamente, infatti, i suddetti morfemi servivano a introdurre un costrutto atto a determinare (esplicare) un elemento frastico (nomínale, verbale, avverbiale o preposizionale) troppo generico. Di quel ruolo, trasferita ormai l'indicázione di funzione lógica piü specifica al significato lessicale del termine nel cui ámbito sono stati inglobati, e che erano chia-mati a determinare, conservano tuttavia una funzione di ordine fórmale: "che" pre-annuncia infatti una proposizione esplicita, "di„ implícita. Áncora oggi, lá dove la cristallizzazione non risulta definitiva, "che" e "di" re-cuperano piü volte la loro autonomía funzionale.76 7.2 Poiché ci sembra che in presenza di "che" (dichiarativo) 77e "di" la originaria funzione completiva, pur con maggiore o minore evidenza, permane anche all'interno di queste unitá grammaticali, riteniamo utile (nonostante il rischio di 75 In fin dei conti, ogni elemento del discorso svo'lge una sua funzione esplicativa rispetto agli altri. 76 Cfr., ad esempio, note 14, 26, 27 e 69. Si rifletta anche sul seguente esempio: — (...) non resta (...) che (...) fargli intravedere la possibilitá di formare il governo alia sola condizione che i referendum si celebrino (...). (E. Scalfari, in: la Repubblica, 15-3-1987); in cui la preposizione articolata (alia) e l'attributo (sola) rendono al sostantivo (condizione) la sua autonomía e al morfema (che) il suo ruolo di operatore grammaticale. 77 Da un nostro conteggio affrettato, condotto in un lavoro che veniamo facendo, ci risultano non meno di 180 segni funzionali (congiunzioni composte o locuzioni congiuntive) comprendenti l'elemento "che". Taluni sono ormai in unitá chiuse e cristallizzate (poi che, poiché, ben che, benché, perché...), tali altri fanno parte di un sistema ancora aperto a possibili ulteriori arricchimenti (al fine che, alio scopo che, coll'intenzione che,...). 49 qualche forzatura) farne almeno un cenno, elencando i possibili valori specifici in ordine alfabético e con qualche esemplificazione. 1) valore caúsale: introdotto da "che" e "di", questo valore é particolarmente evidente in dipendenza dai verbi in D, della "partecipazione affettiva". In altri casi, "che,, concorre alia formazione di numeróse locuzioni e congiunzioni con questo valore: perché, poiché, giacché, dal momento che, dato che,... — (...) dovresti rallegrarti che non legge solo romanzi francesi (R. Bacchelli: Una passione coniugale, 76) — E molto si stizziva e si arrovellava di dover parlargli e ascoltarlo. (A. Moravia: I racconti, 98) — Giá che era a Taormina ha voluto vedere il teatro greco. (G. Mura, in: la Repubblica, 23-5-1982) 2) valore concessivo: puó essere introdotto da "che" e da numerosi suoi com-posti: benché, ancorché, posto che, ammesso che,... — (...) bene che vada, si diventa pezzi da museo. (G. Liuti, in: La nazione, 9-21987) — (...) malgrado che lo paventasse da mesi, la rottura era arrivata, anche per Stella (...). (I. Silone: Una manciata di more, 137) 3) valore condizionale: ha numerosi introduttori composti da "che" e da "di": purché, pur che, pur di, apatto che / di, a condizione che/ di,... — Voleva curare la gente, ma solo a patto che non chiedessero di farsi curare. (N. Ginzburg: Lessico famigliare, 70) — (...) é disposto ad arrestare l'ingegnere, ma a condizione di sorprendere i due (...). (I. Silone: ivi, 239) 4) valore consecutivo: puó éssere introdotto da "che", da numerosi suoi composti e da composti con "di": di modo che, in modo di, cosi che, cosicché,... — Va riconosciuto che (...) é un funambolo, un equilibrista che quelli del circo di Pechino, al confronto, risultano dei dilettanti. (E. Biagi, in: la Repubblica, 26-21987) — Tanto poco mi aspettava che aveva portato il bambino a letto con sé. (C. Cassola: Una relazione, 91) — (...) aveva appunto agito in modo che il capitolo di Perugia (...) facesse proprie le istanze dei bruciati. (U. Eco: II nome della rosa, 293)78 — Gli fece capire che era tempo di parlar chiaro. (P. Chiara: I giovedi della si-gnora Giulia, 108) 78 In questo caso, insieme al valore consecutivo c'é anche quello finale. 50 5) valore eccettuativo: puó essere introdotto da un buon numero di composti di "che": tranne che, eccetto che, salvo che,... C'é anche qualche composto con "di". — Non era possibile che fuori si potesse vedere, a meno che non si accostasse (...) (E. Patti: Le donne, 16) — Ma non era vero nemmeno questo, a meno di non voler daré alia parola anar-chico un significato molto vago (...). (G. Dessí: II disertore, 132) 6) valore esclusivo: il "che" compone: senza che, non che. — E' una cosa bellissima stare a parlare cosí col Dritto a bassa voce, senza che l'uno né l'altro dicano cose dispettose. (I. Calvino: II sentieri dei nidi di ragno, 128) 7) valore finale: gli esplicativi "che" e "di" molte volte recano questo valore; inoltre entrano frequentemente in composizione: affinché, al fine di, a cid che, ac-ciocché, a che... — (...) aspettó che il ragazzo facesse preparativi (...). (C. Cassola: Una relazio-ne, 15) — (...) chiede e ottiene di sostituirlo. (C. Levi: Cristo si é fermato a Eboli, 24) — Lei é contrario a che si tassino i capitali (...)? (in: la Repubblica, 22-9-1986) 8) valore limitativo: puó essere introdotto da "che" per costrutto incidentale. — Ma Roma, che si sappia, non ha súbito una fuga (...). (A. Ronchey: Accad-de in Italia, 116) 9) valore locativo: é introdotto, talvolta, in registri linguistici meno sorvegliati dal pronome relativo "che" cristallizzato nella forma della congiunzione corrispon-dente. — Paese che vai, usanza che trovi. (proverbio) 10) valore modale: puó essere introdotto da "che", in dipendenza da certi par-ticolari verbi ("finiré", "cominciare",...) e da qualche suo composto: quasiche, ase-conda che, secondo che,... — Allora finisce che Yul Brinner scappa (...). (N. Ginzburg: Le voci della sera, 27) — Lo dicono con una punta di ansietá quasi che quel vuoto renda piü rischioso (...) l'avvenire (...). (E. Scalfari, in: la Repubblica, 10-6-1984) 11) valore sostitutivo: puó essere introdotto da composti di "che" e "di": anzi-ché, invece che, invece di, al posto di,... Tutte con l'infinito.79 79 E' questo uno dei rari casi in cui il morfema "che" é seguito da un infinito, anziché da un modo finito. 51 — (...) anziché costringere, dilatava l'essere tuo. (G. Manzini: Ritratto in piedi, 126) — Invece di abbassare il ricevitore (...) stette in ascolto. (C. Alvaro: 75 raccon-ti, 242) 12) valore strumentale: puô essere introdotto da composti con "di": a furia di, a forza di. — S'è rovinato la salute a furia di vivere. (N. Ginzburg: Lessico famigliare, 71) 13) valore temporale: come, e più che per il valore locativo, il pronome relativo "che" si è identificato con la congiunzione corrispondente, la quale compone anche, insieme con "di", un buon numero di funzionali con questo valore: prima che, prima di, nel momento che, nel momento di,... "Che" puô anche equivalere a "quan-do" e funzionare da esplicativo temporale, per dir cosi. — Esco dunque prestissimo che è ancora buio (...). (E. Patti: Le donne, 159) — (...) all'indomani mattina che mi levai presto (...) il messaggio era sparito (...). (F. Tomizza: L'amicizia, 125) — lo era la prima volta che fumavo. (I. Calvino: II visconte dimezzato, 45) — (...) accese la sigaretta e aspiró varie volte prima di rispondere. (I. Silone, Una manciata di more, 155) — Il giorno che fossi convinto, mi alzerei, chiederei la parola e lo direi. (da un'intervista, in: la Repubblica, 18-2-1987)80 80 In questo esempio, il "che", oltre a richiamarsi alia sua originaria natura di pronome relativo (= cui"), aggiunge anche un valore di ipotesi a quello temporale. 52 FONTI PER LE ESEMPLIFICAZIONI C. Alvaro, 75 Racconti, Bompiani 1975. C. Alvaro, Vent'anni, Bompiani, 1963. C. Alvaro, Gente in Aspromonte, Garzanti, 1978. A. Arbasino, Le piccole vaeanze, Einaudi, 1973. G. Arpiño, La suora giovane, Einaudi, 1972. G. Arpiño, L'ombra delle colline, Mondadori, 1974. R. Bacchelli, Una passione coniugale, Mondadori, 1957. G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Mondadori, 1976. G. Bassani, Cinque storie ferraresi, Mondadori, 1974. G. Berto, Il maie oscuro, Rizzoli, 1964. A. Bevilacqua, L'occhio del gatto, Rizzoli, 1968. A. Bevilacqua, Il viaggio misterioso, Rizzoli, 1979. R. Bilenchi, Racconti, Vallecchi, 1963. V. Brancati, Don Giovanni in Sicilia, Bompiani, 1942. D. Buzzati, Siamo spiacenti di..., Mondadori, 1975. I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi, 1973. I. Calvino, Il visconte dimezzato, Einaudi, 1972. I. Calvino, Il barone rampante, Einaudi, 1965. C. Cassola, Una relazione, Einaudi, 1964. C. Cassola, La ragazza di Bube, Mondadori, 1965. C. Cassola, Il cacciatore, Mondadori, 1976. C. Cassola, Un uomo solo, Rizzoli, 1968. M. Cancogni: Allegri, gioventù, Rizzoli, 1980. C. Castellaneta, Viaggio col padre, Mondadori, 1975. C. Castellaneta, Anni beati, Rizzoli, 1982. P. Chiara, I giovedi délia signora Giulia, Mondadori, 1974. G. Comisso, Giorni di guerra, Longanesi, 1970. U. 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Periodici: "Panorama", "L'espresso". Tutti, in particolare,tra l'annó 1983 e il 1987. 54 BIBLIOGRAFIA T. Alisova, "Strutture semantiche e sintattiche della proposizione semplice in italiano", Firenze, 1972. I. Baldelli, "Norma e grammatica dell'italiano di oggi", (premessa al Corso di Lingua Italiana Contemporánea, Università italiana per stranieri) Perugia, 1986. S. Battaglia — Y. Pernicone, "La grammatica italiana", Torino, 1968. G.L. Beccaria, "I linguaggi settoriali in Italia", Torino, 1977. G.L. Beccaria, "Quadro sociolinguistico dell'Italia di oggi", in: "Il Veltro", gennaio- -aprile, 1986, pp. 131—154. G. Brown — G. Yule, "Analisi del discorso", Bologna, 1986. G. Berruto, "La sociolinguistica", Bologna, 1974. G. Berruto, "La semantica", Bologna, 1976. F. Brambilla Ageno, cfr. le voci: "Congiuntivo", "Condizionale" e "Accusativo e infinito", in: "Enciclopedia dantesca", Appendice, Roma, 1978. A. 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Svoje nagnjenje do časopisnega jezika utemeljuje tudi s tem, da časopisje močneje vpliva na razvoj jezika kot pa resnična literatura: časopisni jezik se hitreje prilagaja spremembam v jeziku, poleg tega pa mu ne gre odrekati magične moči, saj berejo časopise, ali vsaj dele časopisa (vzemimo kot primer športne strani) tudi tisti, ki sicer knjig ne odpirajo pogosto. Tako ta jezik laže vpliva celo na jezikovni razvoj. Avtor loči odvisnike, ki so samo formalno prigodni od tistih, kjer je odvisnik bitno dopolnilo k nad-rednemu stavku: V teh primerih se mu zdi bolje kot o podrednosti govoriti o sovisnosti. Dopolnilnih odvisnikov je veliko število; površne statistike kažejo, da jih je v besedilih z ne prevelikimi literarnimi težnjami do polovice vseh odvisnikov; gotovo je vzrok take pogostnosti glavna lastnost takega načina gradnje povedi: neposrednost. Statistika pogovornega jezika bi odstotek njihove rabe gotovo še povečala. Avtor uvršča med dopolnilne odvisnike tiste, kjer bi glavni stavek (v avtorjevi terminologiji "frase matrice") brez odvisnika ne imel nobenega pomena, ker bi bil pomanjkljiv pomensko in skladenjsko, saj bi bil obsekan za svoj bitni del. Dopolnilni odvisnik predstavlja bitno dopolnilo (osebek, predmet, celo po-vedek) h glavnemu stavku. Zmeraj pa obstaja skladenjski odnos med obema stavkoma, med obema deloma povedi, in ta je podredni. S semantičnega vidika pa so dopolnilni odvisniki izjavni, predmetni ali tudi zavisno vprašalni. Dopolnilni odvisniki postavljajo tudi vprašanje izbire naklona, še celo v italijanščini. Iz gradiva, ki ga avtor razčlenjuje, ni vidno, da bi se bil konjunktiv, ta specifična romanska paradigma, izgubil; gotovo pa je res, da se v nekaterih svojih funkcijah izgublja. Avtor skuša te različne rabe analizirati, obenem pa opozarja, da rabe včasih ni mogoče trezno utemeljiti: lahko gre čisto enostavno za različne registre v izražanju, pa potemtakem nobena racionalna razlaga ne drži. Celo pri istem avtorju. Drugod paje izbira naklona pomensko razločevalna; na prvi pogled se zdi, da je slovenščina, ki konjunktiva ne pozna, za vsako tako razlikovanje prikrajšana, pa vendar čutimo razliko v pomenskem odtenku v uporabi veznika, na pr., Žal mije, da/če se Karel pri nas ni kratkočasil. Zmeraj so odločilni semantični, včasih tudi stilistični kriteriji; zelo redko zgolj slovnični. Iz romanistike je znan primer, pri katerem samo izbira indikativa ali konjunktiva odloči ali gre za znano knjigo ali ne; slovenščina bi te pomenske razlike torej ne mogla izraziti, in vendar naredi misel popolnoma jasno uporaba različnega nedoločnega zaimka: iščem neko/kako knjigo, ki govori o živalih. V prvem primeru je knjiga govorcu znana, v drugem pa ne. Seveda bi v slovenščini pogojnik močneje izrazil dejstvo, da je knjiga neznana. V opoziciji sta tudi konjunktiv in futur: spero che verrai / spero che tu venga. Avtor misli, da je pri uporabi konjunktiva prisotna ideja o neki oviri, za katero pa se upa, da ne bo odločilna. Avtor vseskozi opozarja, da pomena nikjer ni moč čisto izločiti. Zgolj skladenjski razlogi naj bi bili odločilni pri odvisnikih, ki stoje pred glavnimi stavki; in vendar, izbiro konjunktiva nalaga zavest negotovosti, ali bo dejanje realizirano ali ne. Italijanščina, ali vsaj literarna italijanščina ima dokajšnje možnosti, da se zateče k neosebnim glagolskim oblikam (nedoločnik, deležnik, glagolnik); redki glagoli, n. pr. rifiutare 'odkloniti' osebne konstrukcije ne prenesejo, pa je tako konstrukcija z nedoločnikom edina mogoča. Seveda uče slovnice, da je neosebni odvisnik z nedoločnikom mogoč samo takrat, kadar se dopolnilni stavek, ali njegov osebek, pojavlja v glavnem stavku kot indirektni objekt, pa seveda takrat, ko sta osebka identična; vendar kažejo zbrani primeri, da je enaka konstrukcija mogoča, kadar je subjekt posplošen, na pr., il peccato ci persuade d'esser nascosti. Povedkov dopolnilnik je manj številen; avtor misli, daje vzrok za to nekaka togost konstrukcije; veznika sta che in se, vendar je ta redek, ker zmeraj izraža tudi dvom (prim. slov. da in če). Prilastkov odvisnik, ali tudi apozicijski (po terminologiji španskega jezikoslovca Gili y Gaye "odvisnik kot pridevnik") je v sodobnem italijanskem knjižnem jeziku uporabljen dokaj svobodno: formalno je ločen celo z dvopičjem ali piko. Avtor opozarja na težnje, ki se kažejo v sodobnem italijanskem jeziku, tako na odpadanje predloga di pred infinitivom, razen seveda tam, kjer je uporaba nujna zaradi različne psihične podstave: so tacere proti so di tacere. V prvem zgledu je glagol sapere modalen, v drugem polnopomenski, ki ima kot dopolnilo predmetni odvisnik. 57 Mitja Skubic Ljubljana CDU 805.0 = 801.56 INTERFERENZE LINGUISTICHE SLAVO-ROMANZE: LA LINGUA DI "NOVI MATAJUR" 1. La lingua di un giornale è una lingua scritta; in generale, è lingua senza prete-se letterarie. Il NOVI MATAJUR, la cui lingua è l'oggeto di queste pagine, è di per sé attraente, giacché si tratta di un settimanale sloveno, pubblicato a Cividale, vale a dire in un ambiente friulano; è destinato alla popolazione slovena che vive nell'estre-mo Nord-Est dell'Italia. Il corpus esaminato è cronológicamente limitato (novembre '86 — maggio '87); inoltre, lingüísticamente il settimanale si articola in tre parti: ci sono contributi in italiano, in sloveno Ietterario e in sloveno regionale; a noi intéressa appunto la lingua di questi ultimi.1 2. Questa tríplice unità sembra avere la sua giustificazione nella storia degli slo-veni del territorio: dal 1420 e fino ai.tempi napoleonici le alte valli del Natisone ("Slavia Veneta"), la Resia slovena e Val Canale furono, assieme al Friuli, sotto la Signoria di Venezia; poi, fino al 1866, fecero parte dell'Austria, col Regno Lombardo-Veneto quindi. Dopo il plebiscito di quell'anno furono annessi, come il Friuli, al Regno d'Italia. Salvo pochi tentativi, non ci furono scuole in lingua slovena né sotto l'Austria né sotto l'Italia (la scuola bilingue, nata con la prima elementare nell'anno scolastico 1986/87 come scuola privata a San Pietro al Natisone è da considerarsi un atto "rivoluzionario"). Di conseguenza, nell'opposizione diglossica o addirittura triglossica l'italiano è stato sempre la lingua alta: rispetto all'italiano, lingua accessibile a tutti coloro che avevario fatto la scuola in italiano, il friulano e lo sloveno costituiscono, ciascuno per sé, il registro basso. Sono redatti perciô in italiano e in sloveno Ietterario gli articoli di interesse generale, su problemi politici, so-ciali, culturali, economici, quelli che riguardano la vita sociale dell'etnia slovena. A volte, è il tema moderno che impone la scelta della lingua; cosi, la pagina sportiva è di regola esclusivamente in italiano: ai giovani che leggono la "Gazzetta dello sport" e che seguono le vicende sportive attraverso le fonti d'informazione italiane risulta più congeniale leggere un articolo di tale tematica in italiano. 1 IL NOVI MATAJUR è l'erede del MATAJUR (1950—1973) il quale, pero, pubblicava nello sloveno Ietterario e in dialetto. La direzione del NOVI MATAJUR, net riprendere l'eredità nel 1974, cosi spiegava le ragioni della sua scelta: — E' noto a tutti che nella Slavia italiana non abbiarao mai avuto scuole slovene. Sebbene la popolazione intera parli lo sloveno, sono di meno quelli che sanno leggere. Al-cune famiglie leggono il dialetto, il quale è comunque considerato un patrimonio della comunità (. . .) Anche fra gli sloveni della Slavia italiana vi sono persone che sono state istruite ed edúcate es-elusivamente nella lingua e cultura italiana. (. . .) Per questi motivi noi cercheremo di soddisfare tutti. Perciô scriveremo in dialetto, in sloveno ed in italiano, perché tutti possano capire il nostro lavoro ed i nostri problemi. 59 3. L'impiego del dialetto regionale è ovviamente limitato aile cronache, a nasci-te, matrimoni, morti, alie notizie dall' estero do ve vivono e lavorano gli emigranti, ai ricordi dei tempi passati, alie riflessioni sulla vita, sulla situazione sociale dell'etnia slovena, sulla condizione umana di uno sloveno in Friuli, dove, evidentemente, non è cittadino italiano a pieno diritto.2 Come se sopra il racconto vi fosse steso un velo melancólico. Ed è proprio questa parte del settimanale che attira la nostra attenzio-ne: con tutte le riserve, e ben sapendo che la lingua scritta non puô mai essere il ri-flesso fedele di quella parlata, possiamo considerare questi scritti uno specimen delle paríate locali, o almeno dire che i presunti romanismi, proprio per il fatto che si tro-vano nel periodico sono in buona parte patrimonio délia lingua parlata nella Slavia Veneta, dei, nella terminología di Ramovš, beneško-slovenski dialekti3. Qua e là, in-flussi romanzi si scoprono anche nei contributi redatti in sloveno letterario; sono pero pochi, come se l'articolista, conscio del pericolo, cercasse con cura di evitare l'in-flusso di un ambiente, lingüísticamente, straniero che pur tanto peso ha nella sua parlata quotidiana. 4. Dato per scontato che la parola scritta non puô essere il riflesso fedele dello sloveno parlato, bisogna tener presente che l'influsso romanzo non è unitario. Si tratta, si, dell'apporto dell'italiano letterario appreso a scuola, ma anche di quello friulano; con la mediazione di Gorizia si espande poi da Trieste il veneto che si dif-fonde anche tramite i grandi centri friulani, sempre più venetizzati, a cominciare da Udine.4 Non c'è dubbio, pero, che gli influssi più importanti vengono dal friulano parlato, dai contatti diretti tra le due etnie, visibili soprattutto nella fonética e nel lessico. La veste fónica, appunto, è decisiva per scartare l'eventuale influsso italiano e, a volte, anche veneto, quando, ad esempio, constatiamo l'apocope delle vocali finali: t ont, forest, partit-, quando troviamo conservato il gruppo consonantico FL-: belgolar in plavi flok 'collare blanco e fiocco azzuro'; quando appaiono nella grafía segni dell'avvenuta (pre)palatalizzazione: preža 'presa'; fresko; vošt 'agosto'; quando troviamo il dittongo ie nei proparossitoni: miedih frl. 'miedi, miedic'; quando la consonante sorda latina subisce addirittura la lenizione; quando troviamo conserva-ta la palatale jušto 'giusto'; quando si ha la palatalizzazione della velare davanti alia vocale a: čantat. Ci sono poi elementi romanzi ma peraltro non riducibili a una provenienza italiana: bargeške frl. 'braghesse, pl. braghéssis'; gajufa frl. 'gajufe' contro l'it. 'tasca' e ven. 'scarsela'; vilja frl. 'vilie', it. 'veglia'; brovada frl. 'brovade' (specie di piatto popolare); feca frl. 'fezze', it. 'feccia'; čikera frl. 'cicare', it. 'chicchera'; štanjada frl. 'stagnade'. Sono di provenienza fríulana i nomi dei mesi dell'anno: tenar, luj, vošt, dičember. 2 Cfr. S. Salvi, Le lingue tagliate, Milano 1975, pp. 217 ss. 3 F. Ramovš, Historična gramatika slovenskega jezika, Ljubljana 1935, pp. 51 ss. 4 Cfr. G. Francescato, Dialettologia friulana, Udine 1966, p. 7 ss. e G. Frau, I dialetti del Friuli, Udine 1984, pagg. 7—14. 60 5. I prestiti sono di regola adattati; quelli detti crudi appaiono solo nei nomi di istituzioni, imprese, o anche nei cognomi che difficilmente sopporterebbero d'esser immessi nei sistema morfologico, soprattutto flessionale: la Italcementi; laDanieli; nei toponimi si constatano esitazioni: so si ogledali Mosco an Leningrado 'hanno vi-sitato Mosca e Leningrado'; Velika nuoč v Moški 'Pasqua a Mosca'; naš Dorič v Moskvi 'il nostro Dore a Mosca'. 5.11 prestiti adattati fanno ormai parte del lessico sloveno regionale e s'inseris-cono — il che rappresenta la caratteristica del contatto diretto tra due etnie — nei sistema morfologico, conoscono, cioé, la flessione nomínale oltre che quella verbale; cosí il verbo frl. paré: mi gre na jok, četudi vse pari veselo 'mi viene da piangere, anche se tutto pare allegro'; donas imaju an vesel obraz, parijo nadužni an puni ljubezni 'oggi hanno faccia lieta, paiono innocenti e pieni d'amore'; cosi i sostanti-vi e gliaggettivirso ga obsodili na leto paražona l'hanno condannato a un uno anno di prigione'. 5.2 Un caso particolare é 1'inserimento nei sistema morfologico sloveno dei so-stantivi in -ion(e) che, per quanto moderni e di conseguenza venuti tramite l'italia-no, sono di chiara matrice friulana; come in friulano e in italiano, tali sostantivi sono anche in sloveno prevalentemente di genere femminile: po nekaterih regionah 'in alcune regioni'; je organizóla lepo kulturno manifestacjon 'ha organizzato una bella manifestazione culturale'; tale novica je nardila veliko imprešjon 'la novella fece una grande impressione'; za žensko emancipación 'per l'emancipazione della donna'. Tuttavia, un paio di sostantivi in -ion(e) diventano maschili; sará stata la ten-denza della lingua slovena di considerare maschili i prestiti terminanti in consonante: deželne konference o migracjonu 'conferenze regionali sulla migrazione'; pre-miacjon Giorgia je bil posebnost letošnjega Našega športnika 'la premiazione di Giorgio é stata una particolaritá della Festa del Nostro sportivo di quest'anno'; Jaz se troštam samu ano rieč, da ne buom muoru obednemu plačjuvat proteciona za ostat Slovenec 'mi auguro una sola cosa: di non dover pagar a nessuno la protezione per rimanere sloveno'. 5.3 Nei campo semántico della parentela sono prestiti dal romanzo: nono, nona, kunjado, kunjada; navuod, navuoda. Quest'ultimo termine, al maschile, é anche alPorigine del malinteso, provocato dal duplice significato del frl. e it. nevot, ñipóte: noni e none (dedki in babice) veselo poslušajo nečake 'i nonni e nonne ascol-tano, lieti, i nipotini' (lo sloveno nečak é legato solo alio zio e non al nonnó). Un caso analogo presenta l'impiego del termine štipendjo; in sloveno štipendija, sempre al femminile, significa 'borsa di studio', mai 'retribuzione di un salaríate'. 6. I caichi semantici sono piü importanti dai prestiti poiché dimostrano una stretta simbiosi tra le due etnie. Consideriamo caichi semantici le traduzioni del termine straniero e cosi pure di sintagmi, quando si constata un uso semántico, poco 61 comune; quando, invece, un termine o un sintagma rappresentano un'imitazione della struttura sintattica straniera, anche solo parziale, considereremo tale fenómeno un calco sintattico, benché il significato, vale a diré Pelemento semántico, non possa essere mai sottaciuto. Sarebbero caichi dunque le traduzioni del singoli termini e, a rigor di lógica, caichi sintattici solo le imitazioni delle strutture, o dell'ordine degli elementi nella proposizione o nel periodo. Tra i due estremi c'é un vasto campo di caichi semantici e sintattici. 7. Si riscontra il significato traslato, vale a diré la probabile influenza romanza, friulana o italiana, in quei termini che nello sloveno letterario e nei dialetti sloveni centrali non conoscono tale significato. II verbo vprašati é noto col significato di 'chieder per sapere qualcosa'; si tratta di conseguenza di un uso insolito se lo trovia-mo nella frase na Dnevu emigranta smo vprašal naše pravice 'in occasione della Giornata dell'emigrante abbiamo chiesto i nostri diritti'; il verbo iti 'iré' non significa 'finiré, concludersi': perció, il suo uso in na koncu je bila votacjon, kije takole šla 'alia fine c'é stata la votazione che é andata cosi'; stati in sloveno non puó significare 'sentirsi': é dunque un romanismo usarlo in /ji je bilo sporočeno/ da nje tata ne stoji dobro 'le fu comunicato che il suo babbo non stava bene'; najti se non significa 'trovarsi': perció, é lecito considerare calco l'uso di questo verbo in frasi qüali Potem sem se najdu lepuo 'poi mi son trovato bene'. I sintagmi in sloveno regionale trovano corrispondenti in italiano e anche in friulano: stá ben; stá mal; mi ciati be-non. 8. Un caso particolare, e frequente, che interessa il processo semántico e sintattico nello stesso tempo ci é offerto dai sintagmi verbo piü sostantivo dove scorgiamo un calco semantico-sintattico: non che la struttura in sé sia inconcepibile in sloveno (e pensiamo sempre alio sloveno standard), é che il sintagma sarebbe incomprensibi-le se non lo accostassimo semánticamente a quello romanzo. Tra i molti valgano come esempi i seguenti: imeti/avere Ja san miela mraz avevo freddo delati/fare vsako nedeljo jo pejam dielat no pašegiado tu host la conduco ogni domenica a fare una passeggiata nel bosco vsi te mladi, ki djelajo šport, igrajo balon tutti i giovani che fanno sport, giocano al pallone hoteti/volere An če kaku voltu me pokrega („muoj nono"), jest ga čen rada e anche se mi sgrida, talvolta, gli voglio bene Scorgiamo lo stesso calco semántico nella copia storiti/fare piü l'infinito, dove il verbo sloveno storiti, oltre che factitivo, é perfettivo: l'aspetto verbale, nel sintagma italiano, non é pereepibile: 62 puno, dima, kadiža, ki mi je stuoru potočit puno suzi molto fumo che mi ha fatto versare molte lagrime je ženica, ki se stuor rada imet una vecchia che si fa voler bene stati/stare ne stuojte se ustraši non state a spaventarvi Il verbo stare, in sloveno regionale ormai elemento del costrutto con Pinfinito, non solo ha perso del tutto il valore originario ma puô addirittura formare un costrutto con un verbo perfettivo il che testimonia délia sua funzione grammaticale. vzeti /prendere (. . .) oblasti, kar vzamejo take odločitve le autorità quando prendono tali decisioni 9. Consideriamo caichi sintattici i fenomeni linguistici estranei alio sloveno standard e ai dialetti centrali dove l'influsso romanzo, immediato, diretto, è da es-cludere: Pesistenza di una struttura o l'impiego di una forma o di una struttura in un valore sconosciuto allo sloveno standard quando il fenomeno analogo si verifica in friulano o in italiano fa pensare all'influsso dell'adstrato. Di più: taie influsso sin-tattico dà un'idea circa il peso che queste due lingue romanze hanno sui dialetti slo-venî occidentali. 10. Il nome pone qualche problema nelle catégorie del genere, del numero, délia flessione. 10.1 Sono di genere femminile i nomi di società, imprese, istituzioni, giacché in italiano si suppone avvenga Pelissi di un sostantivo di genere femminile: Italcementi se je rodila (. . .) so dielale za njo dve cave 'la Italcementi è nata. . . lavoravano per essa due cave'. Vičer al femminile sarà per l'associazione semantica con it. sera, frl. sere. Sono invece di genere maschile, come in italiano, alcune unità di peso, come kilo, di danaro, na tavžente milijardu lir 'a migliaia di miliardi di lire'. Presentano forti oscillazioni i sostantivi in -ion(e). 10.2 Quanto al numero del nome (e delle altre catégorie grammaticali che lo di-stinguono in sloveno), ci chiediamo se davvero la parlata regionale conosca il duale, questa spécificité dello sloveno. II problema è meno scottante al femminile dove il duale è meno sentito anche nei dialetti centrali (cfr. il passo ora citato sulle due cave della Italcementi). Al maschile, invece, anche per via della forte opposizione fónica, il duale col caratteristico morfema -a è di regola presente anche nel NOVI MATA-JUR: mene me brigata sada samuo dva moža, ki trpita mraz dol par Mostu 'a me mi preoccupano adesso solo i due uomini che soffrono il freddo laggiù, presso il Ponte'. Pero, i testi genuini che, crediamo, rifflettono abbastanza bene il parlato non ne tengono molto conto; cosi tra i consigli della pagina culinaria si legge: Se ne smie kuhat grah an kompjer kupe z brovado, zak ostanejo tardi, se na skuhajo 'non 63 cuocere i piselli e le patate assiemë alla brovada, perché rimangono crudi, non cucinati'.5 Una notevole violazione, di certo genuina, della norma grammaticale slo-vena si trova nell'intervista con due ostacolisti di grido: Franco e Giorgio Rucli, mislim da maloman usijih poznajo, so dva brata, so se rodili u Ošnjem (. . .) Mormo reč, de so dva od narbuojš ostacolistov v Italiji. La versione in italiano non puô daré la ben minima idea degli ostacoli grammaticali nel testo che vede accostato, e non concordato, il duale nel nome col plurale nel verbo: '(. . .) pensó che quasi tutti li conoscono, sono due fratelli, nati a Gretto (. . .) Dobbiamo dire che sono due dei migliori ostacolisti in Italia'. 10.3 Nella morfología del nome, il mondo romanzo e slavo si distinguono nel fatto che il primo non conosce la flessione. Di qui l'uso delle forme non flessionali, quando si tratta di nomi non sloveni e, inoltre, di un certo disagio nell'impiego delle preposizioni; siccome nelle lingue romanze queste hanno sostituito i morfemi della flessione, il loro impiego in un testo sloveno è, a volte, ridondante, a volte non corri-sponde alla norma sintattica valida per lo sloveno: se zapreju vrata od moje hiše 'si chiude la porta della mia casa'; s pomočjo od žendarjev 'con l'aiuto dei carabinieri'; gospodarji od Tovarne Danieli 'i padroni della fabbrica Danieli'. Crediamo di sco-prire l'influsso romanzo, e potremmo dire addirittura la reggenza di tipo romanzo, nella scelta della preposizione: na časopisu, na Gazzetti 'sul gornale', 'sulla Gazzet-ta';sta separbližala na atletiko 'si sono awicinati all'atletica'; letat 400 metru na oš-tacole, na 400 metru na oviere, dove lo sloveno vuole 'z ovirami'. Un calco sintattico sarà la reggenza dell'aggettivo zadovoljen 'contento' che ri-chiede in sloveno la preposizione s/z più l'ablativo; in un brano del settimanale si legge: Prisotni na srečanju so bili izredno zadovoljni žlahtnih zvokov 'i partecipanti alPincontro furono contentissimi dei nobili suoni'; Kaso guoril? Od vsega (. . .) Tako so guoril o šuoli an mensi 'Di che cosa hanno parlato? Di tutto . . . Cosi hanno parlato della scuola e della mensa'; od vsega è calcato su 'di tutto'. Alla debole sensibilità per la flessione nominale va attribuito l'uso del participio passato, parte del predicato, nella forma neutrale, cioè senza flessione, senza ac-cordo con l'antecedente al quale si riferisce: /bakalà/ an ga diet odpuščat tu uodu. Če ga ušafate že odpuščen, ga muarte kupit 1/2 kila 'il baccalà bisogna metterlo in acqua a mollo. Se pero lo tróvate già rammollito, dovete prenderne mezzo kilo'. In sloveno ci si aspetterebbe della forma flessionale že odpuščenega, l'accusativo, concordante con il pronome personale antecedente. Sarà lo stesso fenomeno l'impiego del pronome relativo ki, corrispondente all'italiano 'che'; nella forma fissa, cioë senza flessione vediamo calco sintattico: ime telovadnice (palestre), ki so tele dni odparli v Špetre 'il nome della palestra che 5 La versione italiana, ovviamente, non rende l'idea: grah in krompir sono in sloveno nomi collettivi al singolare e, usati quali soggetti, richiedono nella subordinata il predicato, appunto perché due, nel duale. 64 in questi giorni hanno aperto a S. Pietro'; lepepurtone (. . .) kiso vaščani napravili za njihovo poroko 'i bei portoni che i paesani hanno fatto per il loro matrimonio': 10 sloveno richiede qui l'accusativo del pronome relativo kiso jo, kiso jih. La coin-cidenza fónica tra la congiuzione e il pronome relativo, it., frl. che, é all'origine dell'impiego del ki come congiunzione in sloveno regionale: Vsi tisti, ki sta bli gore ste vidli, ki dost ljudi se je zbieralo vsako vičer na športnem igrišču 'Tutti che c'era-vate avete visto che ogni sera si riuniva parecchia gente sul campo sportivo'. La su-bordinata oggettiva viene introdotta in sloveno dalla congiunzione da. Troviamo alcuni altri caichi sintattici nel campo del pronome. Da ribadire che é del tutto assente una delle caratteristiche del pronome friulano. L'uso del pronome átono — soggetto é in friulano largamente diffuso: é obbligatorio per tutte le persone della coniugazione verbale, anche nella forma interrogativa: lui al rit, lui ñdial? Nessuna traccia di tale uso nella lingua del NOVI MATAJUR. L'interferenza romanza sará pero da notare nella non-esistenza della forma femminile al plurale: muo-ramo mi žene napriej hodit po naši poti 'dobbiamo noi donne proseguiré per la no-stra strada'. Inoltre, non é nello spirito della lingua slovena riprendere il pronome tonico con quello átono (cfr. mene me brigata cit. in 10.2), né la ripresa, sempre per mezzo del pronome personale átono, di un oggetto messo in rilievo: (. . .) srečen oče Emilio. Emilia ga pozna puno judi v naših dolinah 'il felice papá Emilio. Emilio lo conoscono in molti nelle nostre valli'; Prestora ga je še 'di spazio ce n'é ancora'. 11. Non sembra, invece, interferenza romanza l'impiego del pronome dimo-strativo ta 'questo' che appare solo davantiall'aggettivoed é un procedimento stili-stico noto alio sloveno parlato: ta naša meja; ta naš konfin 'il nostro confine'; pod te pravo zviezdo 'sotto la buona stella'6. 12. Nell'aggettivo ho trovato due soli passi dove non é stata rispettata l'opposi-zione, propria alio sloveno, di determinativo vs. indeterminativo: Za njim je vzel be-siedo miad David Simonetaiz Opčin pri Trstu 'dopo di lui ha preso la parola il gio-vane David Simoneta di Opcine presso Trieste'; srečan tata pa je Emilio 'il felice papá /sulla foto/ é Emilio'. In sloveno é d'obbligo la forma determinativa dell'aggetti-vo, cioé mladi, srečni, come ci vuole l'articolo determinativo in italiano. Va notato nondimeno che in tutto il materiale i passi sono due: troppo pochi per poter affer-mare che si tratta di un uso proprio del parlato. La comparazione dell'aggettivo é concorde al sistema nello sloveno letterario. Pure, qua e la il comparativo e il superlativo risentono dell'influsso romanzo: "Franco, ker je biu tuoj te pravi an buj important rižultat?" 'Franco, quale é stato 11 tuo vero e piü importante risultato?' Kajšan te malih je čaku medajo, ku kajšan brat buj velik 'qualcuno dei piccoli aspettava una medaglia come il fratello piü grande'. Dietro il sintagma buj velik s'intravede la struttura del comparativo italiano; non é nello spirito dello sloveno nemmeno la sua posizione. Pellegrini vi vede l'influsso friulano; cfr. G. B. Pellegrini, Contatti tinguistici slavo-friulani in: Saggi sul ladino dolomitica e sul friulano, Bari 1972, pag. 433. 65 La reggenza dell'aggettivo radodaren 'generoso' mostra l'influsso italiano: ste takou radodaren z mano 'é cosi generoso con me'. L'aggettivo in sloveno non ha al-cun tipo di reggenza. 13. II verbo offre alcune particolaritá che discordano con la situazione nei dia-letti sloveni centrali e nella lingua letteraria e per le quali, concordando esse con l'uso friulano o italiano, é lecito pensare all'interferenza dell'adstrato. Ñon tutto é pero da attribuire a tale influsso; cosi, ad es., l'uso del piuccheperfetto quasi scono-sciuto alio sloveno standard. Secondo Pellegrini, loco cit., l'impiego del pronome to in espressioni che si riferiscono ai fenomeni atmosferici del tipo to lampa sarebbe un calco sul friulano al lampe; spiegazione possibile, benché rimanga qualche dubbio giacché il procedimento non é sconosciuto ai dialetti sloveni centrali, nondimeno, gli esempi sono davvero pochi. 13.1 Sara da vedere l'influsso friulano o italiano nel frequente impiego del presente per il futuro: an lietos Zveza beneških žen se potrudi za vam stuort preživet an liep 8. marec 'anche quest'anno l'Unione delle donne della Slavia Veneta s'impegna per farvi passare un piacevole 8 marzo'; /za 8. marec/ v Beneški galeriji odprejo razstavo slovienskega kiparja, skultorja Negovana Nemca '/per 1'8 maržo/ nella "Beneška galerija" aprono la mostra dello scultore sloveno Negovan Nemec'. 13.2 A volte la reggenza del verbo non concorda con quella valida per lo sloveno, trova invece riscontri in friulano e in italiano: Nadiške doline jočejo smrt mladega puoba 'le valli del Natisone piangono la morte di un giovane', cfr. anche frl. vaiil muart\ tiste tarplive oči, ke jočejo njih nadužnost, so tu mene 'quegli occhi pieni di pena che piangono la loro innocenza sono in me'; druga riečpa je, če čakaš in groziš prijatelje tvojih otrok s pištolo 'é un altro discorso se aspetti e minacci gli amici dei tuoi figli con una pistola'; do zadnjega decembra lahko podjetniki zaprosijo zmanjšanje teh dajatev 'entro dicembre gli imprenditori possono chiedere la riduzione di tali imposte'; žihar Jezita se z „arbitram" 'potete prendervela con 1'arbitro'; za-hvalu je vse žene 'ha ringraziato tutte le donne'. I verbi jokati 'piangere', groziti 'minacciare', zaprositi 'chiedere' non conoscono in sloveno la reggenza con 1'ogget-to diretto ma richiedono un oggeto indiretto, come groziti, oppure ricorrono ad un oggetto preposizionale. Per il concetto di 'ringraziare' ésiste un riflessivo zahvaliti se che richiede un oggetto indiretto; jeziti se si esaurisce nella sfera della direzione, ri-chiede perció Paccusativo preposizionale, na koga, non certo Pablativo. Sara un calco sintattico anche il riflessivo nel verbo pozabiti: za vse zastopit smo se pozabil, kako se guori s sarcem 'per capirli completamente, ci siamo dimenticati di come si parla dal cuore'. 13.3 La negazione accompagna il verbo per rendere Pidea della non-realizzazione: in italiano la particella non non appare dopo un'altra espressione negativa, in sloveno si; ed é perció da ritenere calco sintattico un costrutto del genere nella lingua del settimanale sloveno: malo pred petu uro je že zazvonila „sveglia". Če po navadi nobeden rad posluša tistega zvona 'poco prima delle cinque suonó la sveglia. Se di solito a nessuno piace sentirla . . .' 66 13.4 Nel periodo ipotetico (ipotesi irreale) l'influsso romanzo s'iritravede nell'impiego del preterito indicativo, mentre il paradigma abituale é in sloveno il condizionale nelle due parti: More bit, da je blo raíalo an če sta bla živela v kajšnem velikam miesíe 'é possibile che succedeva anche se i due stavano in una grande cittá'; deželni ašešor Francescuto je biu obljubu, da če Italcementi je bla kieki nardila za osíaí v Čedadu, je bla íudi dobila kako pomuoč 'Passesore regionale Francescuto aveva promesso che se l'Italcementi faceva qualcosa per rimanere a Cividale, riceve-va anche un aiuto'. 13.5 Frequenti caichi sintattici si tro vano nei sintagmi preposizione piü infinito. I valori che essi assumono possono essere di finalitá, modalitá, temporalitá. Di gran lunga i piü numerosi sono i costrutti za 'per' + infinito: so /emigranti/ muče, živi silili pod zemljo samuo za pravično zaslužit kruh za svoje družine 'i quali, silenziosi, andavano a lavorare sotto térra per guadagnare onestamente il pane per le loro fa-miglie'; za zapriet pa vam moram povedaí 'per concludere devo dirvi'. Al costrutto con 1'infinito puó sostituirsi una subordinata esplicita che ricalca, per conseguenza, l'italiano perché, frl. parce: za de vaši oíroci bojo prieí zasíopili vse tuole 'perché i vostri figli possano capire tutto questo per tempo'. - II costrutto brez 'senza' + infinito sostituisce una subordinata modale: vičku 60 sort íorí an drugih sladčin, brez štiet gubane an šlruklju 'piu di 60 specie di torte ed altri dolci, senza contare gubane e struccoli'; brez nič tiet za Ion so napravle vse íisíe dobre jedila 'senza chiedere nulla, senza un ricompenso hanno preparato tutte quelle pietanze'. II costrutto preden 'prima di' + infiniío puó sostituirsi a una subordinata temporale: none zvičer su pravle oírokan pravee od slrašil, prieí ku jih diet prestrašene spat su jih stuorle molií 'la sera le nonne raccontavano ai bambini fiabe sugli spau-racčhi; prima di metterli, tutti spaventati, a dormiré gli facevano fare la preghiera'. 14.1 Saranno caichi sintattici anche le deviazioni nel costruire la proposizione semplice oppure il periodo. La proposizione semplice conosce anche in sloveno un ordine di parole abba-stanza fisso vale a diré soggelto-verbo-oggetío, anche se, per essere lo sloveno una lingua a flessione nomínale, la costruzione della proposizione vi é molto piü libera che in una lingua romanza. Premettendo un avverbio o una locuzione avverbiale si provoca, in sloveno, una diversa disposizione degli elementi; e in italiano no. La discrepanza nella lingua del settimanale sloveno va dunque attribuita all'interferen-za del friulano o dell'italiano: Takua šlrudel se bo lepua laščeu an se na zasmodi 'cosi, lo strudel si cuocerá bene e non si brucera'; Uslužbenci banke so sicer sprožili alarmni sisíem (. . .) vendar bandiía sía odhiíela, preden . . . 'Gli impiegati della banca hanno azionato il sistema d'allarme, ma i banditi se la sono svignata prima che . . .'Un altro influsso romanzo sará da vedere nella struttura dei paradigmi ver- 67 bali composti: sem pisal, se je zgodilo risentono la maniera di costruire italiana o friulana 'ho scritto', 'è successo'; 'ó ài scrit', 'al à passai'. In un sintagma nominale, l'aggettivo in sloveno precede il sostantivo; una sola volta ho constatato nel materiale esaminato la violazione di questa norma, perciô non sarebbe prudente pensare a un uso dello sloveno parlato. Il passo, tolto da con-sigli culinari, nu veliko štanjado uode slane 'stagnata d'acqua salata' sarà piuttosto una scorrettezza, una svista individúale, provocata indubbiamente dal modello italiano. 14.2 Infine, nel periodo, la subordinata nei testi che più o meno fedelmente ri-flettono lo sloveno veneto, vale a dire il parlato délia Slavia Veneta, conserva l'ordi-ne delle parole che avrebbe se fosse indipendente; cosi costruisce l'italiano, cosi il friulano, mentre in sloveno l'ordine viene invertito; il soggetto non occupa più la posizione iniziale: vse se je takuo spremenilo, da sami predstavniki občine Sambre-ville so se čudili 'tutto è cambiato, di modo che gli stessi rappresentanti del comune di Sambreville si sono meravigliati'; podčrtu je velik kontribut, ki vsi minatori so dal naši deželi 'ha sottolineato il grande contributo che tutti i minatori hanno dato alia nostra regione'. Le interferenze sintattiche sono di conseguenza parecchie, tuttavia la struttura sintattica rimane ben salda; non c'è, ad esempio, nessun caso di concordanza dei tempi alla latina. 15. La lingua che troviamo nel settimanale NOVI MATAJUR — e ripetiamo che sono state prese in esame solo le pagine scritte nel dialetto sloveno regionale, nello sloveno della Slavia Veneta — è intriso di elementi romanzi. A volte è facile ri-conoscervi il friulano, soprattutto nel lessico e nella fonética, altrove potrebbe trat-tarsi dell'italiano standard. Oltre ai prestiti, anche di antica data, abbiamo rinvenu-to una quantità di caichi, ancora più preziosi perché ribadiscono la stretta simbiosi tra le due etnie; oltre ai caichi semantici non mancano quelli sintattici: gli influssi romanzi sono penetrati addirittura nel campo morfosintattico. Povzetek SLOVENSKO-ROMANSKI MEDSEBOJNI JEZIKOVNI VPLIVI: JEZIK „NOVEGA MATAJURJA" Avtor skuša dognati jezikovna vplivanja romanskega adstrata na slovenski narečni jezik, kot ga najdemo v čedajskem Novem Matajurju, tedniku beneških Slovencev; v pretres so vzeti samo prispevki, ki so pisani v pokrajinskem narečju. Romanski vpliv nikakor ni presenetljiv, saj je to skrajno zahodno slovensko narečje že stoletja v stiku s furlanščino, v manjši meri pa vpliva nanje tudi beneščina. Zelo močan je v moderni dobi seveda vpliv italijanščine, saj so vsi, ki pišejo, hodili v italijanske šole. Avtor šteje za romanski jezikovni vpliv tiste izraze, tiste pomenske in skladenjske pojave, ki niso razložljivi iz slovenskega knjižnega jezika in jih ne poznajo osrednja slovenska narečja. 68 Pavao Tekavčič, Zagreb 802/809-3 ISTRA NEOLOGISMI TECNICI ED AFFINI NELLA PROSA ROVIGNESE ATTUALE 1. La lingua delle opere in rovignese, apparse sulle pagine dell'antología Istria Nobilissima, offre materiali ricchi e svariati per diversi tipi di studi linguistici, fra i quali quello del livello lessicale é uno dei piü importanti. Si sa, infatti, che proprio nel lessico, meglio che nei livelli fonologico e morfosintattico, si riflettono le vicende di un idioma e della comunitá che lo parla. Dopo avere studiato il lessico della prosa rovignese nella citata antología da vari punti di vista (Tekavcic 1983a, 1983b, 1984a, 1984b, Elemento tedesco, Tekavcic Riflessi), abbiamo deciso di aggiungere qualche pagina su un aspetto forse minore, ma certamente non privo di importanza, del patrimonio lessicale del rovignese: i neologismi, prevalentemente nel settore técnico ma anche in certi altri settori affini. Poiché la lingüistica attuale non si limita, come quella di un tempo, ai settori ritenuti «genuini», «puri», «conservatori» ecc., ma studia l'idioma tutto quanto, tale quale funziona nella sua comunitá in tutte le occa-sioni e a tutti i fini, é logico che anche i neologismi vi trovino posto; anzi, sono proprio essi che provano la capacitá creativa, innovativa, di un idioma e con ció anche la sua vitalitá. Si confrontino recentemente i contributi di E. Diekmann sulla terminología dell'automobilismo e dei settori lessicali connessi (Diekmann (1983, 1984). 2. II nostro argomento impone di restringere il corpus alia produzione in prosa, che si trova nei volumi III, VI, VII, X, XI, XII, XIV, XV e XVI dell'antologia Istria Nobilissima1, mentre solo in via del tutto eccezionale vi abbiamo aggiunto brani ver-seggiati (praticamente, soltanto la poesía La farata di G. Curto, vol. IV, pp. 244—245). Abbiamo ottenuto cosí un corpus di 280 pagine cca, in cui sono stati ris-contrati una ventina di neologismi (prevalentemente tecnici, alcuni appartenenti alio sport e agli armamenti). I testi sono opera di tre autori (Giusto Curto, Giovanni Pel-lizzer, Giovanni Santin); la maggioranza ne sono dialogati (essendo destinati alia scena: bozzetti, brevi commedie ecc.), solo alcuni sono in prosa, di carattere narrativo (ricordi, novelline, storielle ecc.) e l'argomento é vario; insomma, possono essere considerati rappresentativi del dialetto istroromanzo rovignese (nella misura, owia-mente, in cui un testo letterario puó mai essere rappresentativo del linguaggio spon- 1 Abbiamo spogliato gli stessi testi come negli studi precedenti, e cioé: vol. III: G. Pellizzer, Elspacio da sa Bunita (pp. 199—215); vol. VI: G. Curto, Zi muorta sa Batalita (pp. 63—78); vol. VII: G. Santin, Leggende e novelle antiche (pp. 151—201), G. e A. Pellizzer, Sango nusento (pp. 209—225, solo parzialmente in rovignese); vol. X: G. Curto, El spuzaleisio in fumo da sa Mareta fumiera (pp. 129—158); vol. XI: G. Curto, Meinguele [sic; = Meingule] ingrumade (pp. 143—152); vol. XII: G. Pellizzer, Chei fa carta in veita, moro in sufeita (pp. 239—261), G. Curto, El bateizo (pp. 263—318); vol. XIV: G. Pellizzer, Stuorie dapascaduri da cuntaghe ai nevi (pp. 111—138); vol. XV: G. Curto, Quil malagnazo viazo da Tristi (pp. 153—191); vol. XVI: G. Curto, Meile nuo pioün melle (pp. 131—158). 69 taneo). Il numero relativemente scarso dei neologismi è in rapporto con il contenuto ed il carattere generale dei testi: essi tendono ad illustrare l'ambiente familiare di un tempo, le tradizioni, gli usi di una volta, la vita nella Rovigno di molti anni fa ecc., sicché poco si prestano all'uso dei neologismi. Il nostro studio dei neologismi in rovignese si articola nei seguenti tre punti: esempi (tradotti e ove occorre commentati), esame semántico, esame fórmale (adat-tamenti fonetici). 3. Esempi:2 3.1 auto 'auto': (1) tu mare Marioûsa la zi zeîda a la curiera a vidi sa ti reîvi [...]. — Invise cume ch'i vadî siemo vignoûdi eu l'auto. (XV, 167) 'tua madre Mariuccia è andata alla corriera a vedere se arrivi [. . .]. — Invece, come vedete, siamo venuti con la macchina. ' (2) pruopio in quil mumento a gira riva l'urdane da rinvià i lavuri, e cuseî [...] i vemo ciapà l'auto e isa la vemo mucada. (XV, 169) 'proprio in quel momento era arrivato l'ordine di rinviare i lavori, e cosi [. . .] abbiamo preso la macchina e ce la siamo svignata. ' 3.2 bapur 'pentola a pressione in ghisa usata in passato'.3 (3) Dame qua el bapur ca nu zî tenpo da mignulasala. (XII, 218) 'Dami qua la pentola [con l'acqua bóllente], ché non c'è tempo per indugiare'. (4) (un vecchio pescatore, che crede nelle streghe, racconta di esse) tri da lure li fi feîde in sulier [...] quile altre [...] il uo ruto doûti ipiati e, cume sa nu bastiso, in oûltima li uo pisà in bapur. (XIV, 133) 'tre di esse andarono in sof-fitta [. . .] quelle altre ruppero tutti i piatti e, come se ciô non bastasse, in fine pisciarono nella pentola a pressione. ' 3.3 binario 'binario': (5) Zista ligreîa, mapioûn calvario/su 7 tuovo oûnico binario. (IV, 245)'C'è sta-ta allegria, ma più calvario sul tuo único binario' (traduzione dell'autore). (6) Feîlapar el tuovo binario, Latansia, ca meîo la scola i la iè fata dapeîcia [. . .] ca nù ma euro maiestre [. . .] (XII, 273) 'Fila per il tuo binario, Lattanzia, ché io la scuola l'ho fatta da piccola [. . .] sicché non mi occorrono maestre [...]' (7) Nu sta farmate mita binario, spoûda el'oûso . . . Ch'i zilo? (XV, 164) 'Non fermarti a metà binario, sputa l'osso . . . Che cosa c'è?' 2 Gli esempi vengono citati nella grafia originale, e i nostri interventi (tra parentesi quadre) sono limitati aile correzioni e spiegazioni indispensabili; inoltre, abbiamo corretto errori tipografici evidenti. Gli accenti usati dagli autori (quasi sempre in modo arbitrario ed impressionistico) vengono riprodotti nelle citazioni, non nelle analisi ulteriori. L'accento tonico viene indicato solo là dove ci potrebbero essere dubbi sulla sua posizione, e únicamente con l'accento gráfico acuto. — Gli esempi vengono se-guiti dall'indicazione del volume di Istria Nobilissima (in cifre romane) e délia pagina (in cifre arabe). 3 Spegazione dell'autore G. Pellizzer, XIV 133, nota 13. 70 3.4 bulitur 'bollitore': (7a) In quila ticia [. . .] la cuziniva el magna da zura d'oun bulitur a gaz [. . .] (VII, 169) 'In quel tegame [. . .] essa cucinava il mangiare su un bollitore a gas [. . .]' 3.5 cine 'cinema': (8) (ricordi della vita d'un tempo) E cine? I vularávi vidi ca cagnara, duopo el preimo ato [. . .] (VII, 178) 'E il cinema? Vorrei vedere che cagnara, dopo il primo tempo [...]' 3.6 curiera 'corriera, pullman di linea': (9) tifarié tardi a la curiera, lapol rivá in anteícipo a logo. — Da guando in qua li curiere reiva in anteícipo [. . .] (XV, 165) 'farai tardi alia corriera, essa puó anche arrivare in anticipo. — Da quando in qua le corriere arrivano in anticipo [. . ■]' 3.7 farata '(strada) ferrata, ferrovia': (10) Farata . . . quando ch'i ta uó inagurada / ti giri maistuza e doüta inbandara-da [. . .] (IV, 244) 'Strada ferrata . . . quando t'hanno inaugurata / eri mae-stosa, tutta imbandierata [. . .]' (traduzione dell'autore) (11) ti sufi cume la farata ca va soün parMarbuoi [. . .] (XII, 267) 'sbuffi come la ferrovia che sale per Marbuoi [. . .]' (12) (parole rivolte ad una vecchia che critica il mondo moderno e specialmente la gioventü) Sa Cucalita, el mondo caméina, cameina la farata, el nutunobile [. . .] e sa vantagia anche la zuvintoü [. . .] (XII, 303) 'Sora Cocaletta, il mondo cammina (= progredisce), cammina la ferrovia, l'automobile [. . .] e ne approfitta anche la gioventü [. . .]' (13) oüna [delle due figlie] la zi a Zagabria spuzada c'oün machinetsta da lijarate [. . .] (XV, 187) 'una é a Zagabria, sposata con un macchinista delle ferrovie [. . .]' 3.8 futubal 'calcio': (14) (anche qui: descrizione della vita passata, come nell'es. 8): Poupi epinicule ta-jade cui arteisti del cine o zugaduri del futubal [. . .] (VII, 178) 'Puppi e pelli-cole (= film) tagliate con artisti del cinema o giocatori di calcio [. . .]' 3.9 lavatreice 'lavatrice' (elettrodomestico): (15) Ca biancareia candada, ch'ipulvare ti duopri? ... — Par deite la vertía i nu lu sié, ma lava ma feia Piareina cu la lavatreíce [. . .] (XVI, 144) 'Che bian-cheria candida, che polvere [ = detersivo] adoperi? ... — Per dirti la veritá, non lo so, mi lava mia figlia Pierina con la lavatrice [. . .]' 71 3.10 lietrico 'casco dei parrucchieri' (es. 16); 'energía elettrica' (es. 17): (16) Là paron Giuvani [il parrucchiere] /. . .] el fiva el su'master culi fimane incapalade dazuta del liètrico [...] (VII, 162) 'Là padrón Giovanni [...] faceva il suo mestier'e con le donne incappellate sotto il casco [...]' (17) Douta quila ruoba mudierna ca va vanti a lietrico iè pagoûra ca scupio . . . (XVI, 144) 'Tutta quella roba moderna che funziona ad elettricità ho paura che scoppi . . .' 3.11 masinegaver, masinigaver 'mitragliatrice' (< ted. Maschinengewehr): (18) (detto irónicamente di una pettegola): Ara ca la zi cume oûna masinigaver: nu la faleîso un culpo [. . .] (XV, 161) 'Guarda che [essa] è come un mitra: non fallisce un colpo' (19) par gangade e fraîte el gira oûn masinegaver [. . .] (XVI, 148) 'per le feste e le baldorie egli era un mitra [...]' 3.12 machinado 'macchina, motore' (es. 20); 'apparecchio (es. 21): (20) Ouu [. . .\farmi el machinarlo, ch'i dievo zmuntà. (XI, 150) 'Ehi [. . .] fermate la macchina, ché devo sbarcare.' (21) A f ilo machinari sigoûri, f asile da duparali. (XVI, 144) 'Sono apparecchii si-curi, facile da adoperarli [= 'facili da adoperare' o 'è facile adoperarli'] 3.13 machineîsta 'macchinista': v. l'es (13). 3.14 mascara 'maschera' (per la pesca subacquea): (22) A gira rivà là oun tureista [. . .] cum mascara e dardi par pasca zuta fondo. (VII, 190) 'Era venuto là un turista [. . .] con maschera e dardi per pescare sott'acqua'. 3.15 muturein 'motoscafo': (23) i zièmi [. . .] al mulito del laruojo, par spatà el muturein chel 'nda purtisso sul scujo da Santandrîa. (VII, 189) 'andavamo [. . .] al moletto dell'orologio ad aspettare il motoscafo che ci portasse sullo scoglio di Sant'Andrea.' 3.16 natunobile 'automobile': (24) quando el sabo sento li sone dei natunobili cui spugi [...]« ma sa spalanca el cuordagiuoia . . . (XV, 161) 'quando il sabato sento i clacson delle macchine con gli sposi [...] mi si spalanca il cuore di gioia [...].'. 3.17 nutunobile 'automobile': v. l'es (12). 72 3.18 pineicula 'pellicola, film': (25) (nel cinema di un tempo) oun ciapo da muriedi[. . .] isa cassutiva [. . .] e . . . pache vire meinga par posta, cume intuía pineicula! (VII, 178) 'una folla di ra-gazzi [. . .] si scazzottavano [. . .] e . . . botte vere, mica finte come nei film!' (26) Sa in quil tenpo fuoso sta la tilivifion, i saravo vignoüdi a fa la pineicula. (XIV, 114) 'Se in quei tempi ci fosse stata la televisione, sarebbero venuti a girare il film.' 3.19 pinicula 'pellicola, film': v. l'es. (14). 3.20 saparnein 'shrapnel': (27) (un vecchio pescatore si arrabbia contro un suo giovane collega) Quila granata ca nun ta vuo ciantrá in Galetsia, quil saparnein ca nun ta vub zgnaca veia el cavo [. . .] / (XI, 146) 'Quella granata che non ti ha centrato in Galizia, quello shrapnel che non ti ha portato via la testa [...]!' 3.21 sipilein 'zeppelin': (28) (un po' dopo la scena precedente, il giovane marinaio, cacciato in térra dal vecchio, inveisce a sua volta contro Rovigno): Quil gianará d'oün can da Sipilein giarmanico, ca nun uo bunbardá Ruveigno [. . .] ! (XI, 147) 'Quel fi-gliod'un cañe dello zeppelin germánico che non ha bombardato Rovigno [• • •]!' 3.22 taüefano, taliefono 'telefono': (29) Basta [. . .] adieso el mieio sacratario batarub el taliefano a Ruveigno [. . .]. Matate [ = Metate] coücio santa la, e sta bon fein ca vein la batoüda da taliefano da Ruveigno. (XI, 152) 'Basta [. . .] adesso il mió segretario dará un colpo di telefono a Rovigno [. . .]. Mettiti a sedere la e sta fermo finché viene il colpo di telefono da Rovigno'. (30) La murieda uo razón, quanto sa stiva daghe oün culpo da taliefono [. . .] (XV, 167) 'La ragazza ha ragione, quanto ci si stava per darle un colpo di telefono [. . .]' (31) ¡ti [sic!; = Sti] poür sierti ch'i nun bato taliefono puorta per puorta . . . (XVI, 147) 'State sicuri che io non faccio telefónate porta per porta . . .' (parole di una vecchia pettegola che, invece, delle «telefónate» ne fa, e come, sul-le «porte» di tutto il vicinato . . .) 3.23 tilifon 'telefono': (32) ara ca quile patreisie el suovo tilifon el reiva fein in seima al campaneil. (XV, 184) 'Guarda che quelle patrizie il loro telefono arriva in cima al campanile.' 73 4.24 tilifuñada 'telefonata': (33) sa duviva daghe oüna tilifunada [. . .] par nu fala stá cun travaio. (XV, 167) 'le si doveva fare una telefonata [. . .] per non farla stare in pena.' 3.25 tilivifion 'televisione': v. l'es. (26). 3.26 utumobile 'automobile': (34) gila [. . .] la abata in veila [. . .] i vuó l'utumobile [. . .] (XVI, 144)'essa [. . .] abita in villa [. . .] hanno l'automobile [...]' (35) cume i uo pusioü fa quila biela veila cun l'utumobile [. . .] Cume? (XVI, 145) 'come si sono potuti fare quella bella villa con l'automobile [. . .] Come?' 3.27 utunobile 'automobile': (36) lou. uo l'utunobile [. . .] siemo capeidi? (XV, 164) 'Egli ha la macchina [. . .] ci siamo capiti?' (37) Lurenso ti son zetciula cu l'utunobile? (XV, 167) 'Lorenzo, sei andato a prenderla con la macchina?' (38) Ah, ah, la foüga d'Agito cu l'utunobile [. . .] puovara muradola. (XV, 173) 'Ah, ah, la fuga d'Egitto in macchina [. . .] povera ragazzina.' 3.28 vagón 'vagone': (39) El cundutier su 7 vagón, inpira cume oüna suvita, / ogni tanto el diva oüna sunada da trunbita. (IV, 244) 'II conducente sul vagone, impettito come una civetta / ogni tanto suonava la trombetta.' (traduzione dell'autore) 4. Esame semántico4 4.1 Come si é detto nell'introduzione, tutte le parole qui esaminate sono con-traddistinte dal sema [moderno] (equivalente, nel nostro caso, su per giü agli ultimi cento anni o poco piü), sicché esso non verrá piü ripetuto nelle analisi e suddivisioni che seguono. In tutto il corpus dei nostri neologismi una prima distinzione separerá machineista, afetto dal tratto [ + umano], da tutto il resto, per il quale é allora valido [—umano]; in questo gruppo, caratterizzato dal sema [—umano], possiamo in-trodurre una seconda distinzione, basata sull'alternativa azione + /—: tilifunada ri-sponde con +, tutte le altre parole con — ('meno').5 Le altre distinzioni che proponíanlo sono queste: l'alternativa tecnica/sport (la risposta destra ¡solerá le voci futu-bal e mascara, per cui si puó introdurre un'alternativa speciale attivita/requisito; la 4 Adottiamo, con determínate modifiche, il procedimento di M. Alinei (1974). 5 II derivato tilifunada ha un sinonimo in batoüda da taliefano, nell'esempio (29). 74 risposta sinistra va suddivisa ulteriormente); la seguente alternativa potra essere energía/applicazione, per separare lietricoz (esempio 17) 'energia elettrica, corrente elettrica' da lietrico-\ (esempio 16) ed altri vocaboli; l'applicazione della [técnica] si suddivide a sua volta in base all'alternativa destinazione pacifica/bellica, che consente di opporre masinigaver (-egaver) e saparneín (risposta destra) agli altri termini (risposta sinistra). A questo punto abbiamo enucleato su per giü il gruppo di 'mac-chine, apparecchi, utensili ecc.' in senso piü stretto, ma diverse alternative sono ancora necessarie: un'apposita alternativa, formulabile come specificato + /— divide-rá il termine machinario (risposta destra) dagli altri, le cui funzioni sono maggior-mente specificate: l'alternativa macchine (ecc.) per locomozione/per altri scopi ¡solerá tutte le denominazioni dei mezzi di trasporto (risposta sinistra) dalle altre (risposta destra); i termini per i mezzi di trasporto si dividono in quelli su superficie terrestre (divisione ulteriore: a terra/su acqua, di cui la risposta destra vale per mu-turein, mentre la risposta sinistra richiede un'ulteriore distinzione, a seconda che si tratti di mezzi di trasporto a marcia guidata (binario, farata, vagone, divisibili in base ad alternative in cui non ci addentreremo piü) o a marcia libera (auto e varianti)) e quelli in aria, rappresentati nel nostro corpus soltanto da sipiletn. Infine, le denominazioni delle macchine destínate ad altri scopi ammettono un'ultima alternativa: utensili, (elettro)domestici ecc./mezzi di comunicazione e/o di massa; la risposta sinistra raggruppa le voci bapur, bulitur, lavatreice e lietñco^, quella destra racchiude invece cine, pineicula (-icula), taliefano (e varianti)e tilivision (divisibili in mezzi di comunicazione (taliefano) e mass media {cine, pineicula, tilivision). 4.2 Per rendere piü chiara l'analisi semantica, la formuliamo nel seguente «al-bero rovesciato»: 75 1. UM ANO/NON UMANO machineista 2. AZIONE/NON AZIONE tilifunada 3. TECNICA/SPORT 5. ENERGIA/APPLICAZIONE 4. ATTIVITÀ/REQUISITI I lietricoz I futubal 6. DESTINAZIONE PACIF./BELL. 7. SPECIFICATO/ NON SPECIFICATO masinigaver e var. saparnein -1 machinarlo 8. PER LOCOMOZIONE/ PER ALTRI SCOPI _i_ 10. IN SUPERFICIE TERRESTRE/ IN ARIA sipilein 9. UTENSILI, (ELETTRO)DOMESTICI/ MEZZI DI COMUNICAZ., MASS MEDIA 12. IN TERRA/SU ACQUA muturein 13. MARCI A GUIDATA/LIBERA bapur bulitur lavatreice lietricoi 11. MEZZI DI COMUNIC./ MASS MEDIA binario farata vagon auto e var. taliefano e var. pineicula e var. tilivision .76 4.3 Da questo gráfico si possono desuniere le formule della composizione semántica delle singóle parole. Le diamo qui in forma alquanto semplificata: machineista: tilifunada: futubal: mascara-, lietricor. masinigaver: e var. saparnein: machinarlo: bapur: bulitur. lavatreice: lie tricot : taliefano: e var. cine: pineicula: e var. tilivision: sipilein: muturein: auto e var. farata: [umano] (specificabile poi come [nome d'agente]), [non umano] [azione] [non umano] [non azione] [sport] [attività] [non umano] [non azione] [sport] [requisito] [non umano] [non azione] [técnica] [energia] [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destin, bellica] come il precedente6 [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destin, pacifica] [non specificato] [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destinazione pacifica] [specificato] [non per locomozione] [utensili, (elettro)domestici] come il precedente come i due precedenti come i tre precedenti7 [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destin, pacifica] [non per locomozione] [mezzo di comunicazione] [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destin, pacifica] [specificato] [non per locomozione] [mezzo di massa — mass médium] come il precedente come i due precedenti8 [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destin, pacifica] [specificato] [per locomozione] [in aria] [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destin, pacifica] [specificato] [per locomozione] [a livello della superficie terrestre] [su acqua] [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destin, pacifica] [specificato] [per locomozione] [a livello della superficie terrestre] [in terra] [marcia libera] [non umano] [non azione] [técnica] [applicazione] [destinaz. pacifica] [specificato] [per locomozione] [a livello della superficie terrestre] [in terra] [marcia guidata] Per distinguere i due termini bellici si puó introdurre un'apposita alternativa pezzo d'artiglieria 7 proiettile, di cui pero prescindiamo per non sovraccaricare l'analisi. Anche qui si possono introdurre alternative inferiori: a corrente elettrica 7 a gas (o altro fuoco), per separare lavatreice e lietrico dagli altri due (per ciascuno dei due gruppi ci saranno alternative ulterio-ri ecc.). Con suddivisioni anche qui. Aggiungiamo per completare che il rapporto frapineicula e cine (o pineicula e tilivision) é analogo a quello tra binario e farata ('parte': 'tutto', sineddoche). 77 binario: come il precedente (v. la nota 8) vagón: come i due precedenti. 4.4 Due parole ancora sulla vecchia ma a nostro avviso tuttora utile distinzione tra senso proprio e senso figurato (distinzione che ci pare utile soprattuto nell'analisi semantica di opere letterarie). A questo proposito si constata subito che tutte le iio-stre parole compaiono nei loro rispettivi sensi propri, e che soltanto due di esse, binario e masinegaver (e precisamente in questa forma, non masinigaver), hanno anche significati figurativi: binario negli esempi (6) e (7), masinegaver nell'esempio (19). Questa netta prevalenza dei sensi propri su quelli figurativi concorda con il se-mantismo dei termini tecnici in genere. 5. Esame fórmale (adattamenti fonetici) 5.1 Quello che in certi studi precedenti abbiamo constatato a proposito del trat-tamento degli elementi alloglotti in rovignese (e istroromanzo in genere) (cfr. Teka-vcic 1984a, 1984b, Elemento tedescó) vale anche per i neologismi di significato técnico e affine: anch'essi vengono «rovignizzati» mediante introduzione, spesso iper-coretta (ai fini dell'ipercaratterizzazione), delle caratteristiche fonetiche rovignesi. Gli adattamenti più importanti riposano tutti sulle evoluzioni fonetiche ben note nella grammatica storica istroromanza, in particolare rovignese. Si tratta dei se-guenti processi. 5.2. Dittongamento dei fonemi romanzi /e 9/ in /ye wo/, dittonghi che ci con-servano in sillaba chiusa, mentre tendono a monottongarsi in /i u/ in sillaba aperta (accrescendo cosi la frequenza dei fonemi vocalici chiusi, v. av.): PERDIT > pierdo, FESTA > fiesta, FORTE > fuorto, FOSSA > fuosa; LEVAT > //va, DE-CE(M) > gize, NO VU > nuvo, MODU > mudo ecc. I due dittonghi ascendenti vengono in seguito estesi anche ai contesti storicamente non giustificati: mieno 'meno', muona 'cretino' ecc. II primo dei dittonghi appare nei nostri neologismi: lietri-co, taliefano,-fono. 5.3 Ugualmente caratteristici per il rovignese sono i due dittonghi discendenti, /ey, ow/, provenienti dai fonemi romanzi /i u/ (< class. /Tu/), originariamente in sillaba libera: FILAT > feila, -IRE > -ei, UNA > ouna, MURU > mouro ecc. Anche questi dittonghi vengono in seguito estesi ad altri contesti, ad esempio ai ve-netismi Dio e duto (acc. a tuto), da dove i rov. Deio, douto, nonché ai neologismi (ad es. i molti nomi moderni in -eista < -ista) e, nei testi contemporanei, anche ai fonemi /i u/ provenienti dai romanzi /e 0/ (< class. /1 ë; ü o/) per generalizzazione degli esiti originariamente metafonici (cosi ME(N)SE diventa regolarmente miz, per «iperdittongare» in meiz, e FLORE, attraverso il reg. fiur diventa fiour). II primo dei due dittonghi è bene rappresentato nei nostro corpus: lavatreice, machineista, muturein, pineicula, saparnein, sipilein.9 9 II fatto che di ambedue le coppie di dittonghi ricorra nei nostro corpus soltanto il membro contenente vocale e semivocale anteriori non puó essere dovuto che ad un puro caso. 78 5.4 Nell'evoluzione delle vocali protoniche si constata la coesistenza di due ten-denze contrastanti: 1) la chiusura delle vocali romanze /e o/ in /i u/ (fenomeno ben noto dalla fonética storica dell'italiano letterario e di numerosi dialetti italiani): SENTIRE > sintei, MEDIETATE > mita, it. vestito > visteito, ven. Betina > Bi-teina; POTERE > pudí, VOLERE > vulí, CORONA > kurona, it. dottore > du-tur, ven. Tonin,-a > Tunein,-a ecc.; 2) l'apertura delle stesse due vocali e la loro convergenza in /a/, frequente soprattutto per la /e/, meno per la /o/: VITELLU > vadiel, PEDUCLU > paduco, ME VIDET > ma vido ecc.; PROPINQUI > pra-kueinti, ven. procazar > prakasá ecc.10 Questa seconda tendenza agisce anche nell'intertonica postonica: FEMINA > fimana, FULMINE > foulmano, TURBI-DU > turbado, DIABOLU > giavo ma anche diavalo, ven. nonzolo > nonsalo 'sagrestaño' ecc. I nostri neologismi illustrano entrambe queste tendenze: /e o > i u/: pineicula, -icula (< pellicola), sipilein (< zeppelin), tilifon (se < telefona v. anche av.), tilivision (< televisione); bulitur (< bollitore), muturein (< motorin(o)), utumobile, -nobile (< automobile, ma v. anche un po' av.); /e o > a/: farata (< ferratà), taliefano, -fono (< telefono-, la prima forma illustra /e < a/ protonico e postonico). 5.5 Altri fenomeni fonetici minori nei neologismi: — il betacismo: bapur(< vapore) (cfr. VOCE > buz, VULPE > bulpo ecc.); — l'anaptissi: futubal (< football)-, — assimilazione vocalica: nutunobile, utuno-, utumo- (/au — u > u — u/); — dissimilazione vocalica: natunobile (/au — u > a — u/);11 — dissimilazione consonantica: -nobile < -mobile (/m — b > n — b/) pineicula, -icula < pellicola (1 — 1 > n — 1); — concrezione délia /n/ (probabilmente la /n/ dell'articolo indefinito): natunobile, nutunobile. 5.6 Non essendoci nel sistema istroromanzo i fonemi /s z ts dz/, essi vengono sostituiti da /s/ risp. /z/: lasa 'lasciare', Rouzisa soprannome (dign.) < croato 10 Mentre /e o > i u/ vale anche per altri dialetti istroromanzi (soprattutto per il dignanense), /e o > a/ sembra limitato quasi esclusivamente al rovignese, assai raro e sporadico altrove. II comune, in entrambe le tendenze, è la riduzione tendenziale del vocalismo átono alie tre vocali estreme, /i a u/. Per l'evoluzione del vocalismo tonico e átono del rovignese rimandiamo a Deanovič 1954, per tutti i dialetti istroromanzi a Ive 1900, per il dignanese (ma anche altri dialetti istroromanzi odierni) a Tekavčič 1970 e 1972—1973. 11 Sia in natunobile che in nutunobile (utumobile, utunobile) la riduzione del dittongo (ad /a/ risp. /u/) postulerebbe una /u/ seguente, dunque la chiusura previa di auto- in autu-, ma riteniamo che i mede-simi due fenomeni (assimilazione, dissimilazione) sarebbero immaginabili anche con la /o/ seguente (in tal caso, ovviamente, /o > u/ sarebbe posteriore alla riduzione di /aw/). 79 Ruziccr, seio 'zio', miezo 'mezzo'. Nei nostri neologismi: saparnein, masinigaver, si-pilein. 5.7 Infine, vogliamo raggruppare le parole che compaiono in due o più varianti e ricapitolare i fenomeni fonetici che in esse si possono ¡Ilustrare: 1. masinigaver, masinegaver: la prima forma esemplifica /e > i/ in protonia; 2. natunobile: chiusura /o > u/ in protonia, concrezione della /n/, dissimilazione del dittongo /aw/, dissimilazione della /m/ in /n/ nutunobile: chiusura /o > u/ in protonia, concrezione della /n/, assimilazione del dittongo /aw/, dissimilazione della /m/ in /n/ utumobile: chiusura /o > u/ in protonia, assimilazione del dittongo /aw/ utunobile: come il precedente + dissimilazione della /m/ in /n/; 3. pineicula: chiusura /e > i/ in protonia e /e > u/ in postonia, dittongo /ey/ iper-corretto, dissimilazione della prima /1/ in /n/, pinicula: come il precedente, meno il dittongo /ey/; 4. taliefano: dittongo ipercorretto /ye/, apertura /e > a/ sia in protonia che in postonia taliefono: dittongo ipercorretto /ye/, apertura /e > a/ solo in protonia tilifon: chiusura /e > i/ in entrambe le sillabe protoniche, se l'accento è su /o/; chiusura nella sola sillaba iniziale, /i/ ipercorretta nella tónica, se l'accento è su di essa. 5.8 A differenza di tutti i fenomeni fin qui analizzati, la caratteristica sostitu-zione /e -* o/ in posizione finale (CARNE > karno, GRANDE m. sg. > grando, VENDIT > vendo, -MENTE > ment(r)o, SEMPER > SEMPRE > sempro ecc.),12 documentata praticamente in tutto il dominio istroromanzo, non appare nel nostro corpus: i termini per 'automobile' conservano tutti la -e lo stesso vale anche per cine (che non presenta, ad. es., neppure il dittongo ipercorretto /ey/). 6. In grandi linee, gli adattamenti formali e il contenuto semántico dei nostri neologismi confermano quanto stabilito già prima per altre componenti alloglotte o comunque non genuine nel rovignese: i neologismi non sono corpi estranei nell'idio-ma vivo, ma vengono assimilati e sottoposti alie tendenze del sistema ancora vive ed operanti. Essi sono perciô una parte costitutiva dell'istroromanzo vivo, e l'estensio-ne dello studio ad altri domini ed altri periodi — altrettanti argomenti per ricerche future — fornirà senza dubbio un quadro sostanzialmente idéntico. 12 Da questa sostituzione sono immuni i termini di riguardo per i genitori (.¿arpare 'signor padre', ñamare o dunamare 'signora madre'), i numerali penetrati evidentemente per via della scuola (seinkue, siete / sete, nuove / nove, gize), e certe voci di carattere piü o meno letterario, come grave, (im)puseibile ecc. V. per tutto il problema Tekavíic 1974. 80 7. Elenco delle parole analizzate: auto (v. natunobile, nutunobile, utumobile, utunobile) bapur binario bulitur cine curiera farata futubal lavatreice lietrico masinegaver (v. masinigaver) masinigaver (v. masinegaver) machinario machineista mascara muturein natunobile (v. auto, nutunobile, utumobile, utunobile) nutunobile (v. auto, natunobile, utumobile, utunobile) pineicula (v. pinicula) pinicula (v. pineicula) saparnein sipilein taliefano (v. taliefono, tilifori) taliefono (v. taliefano, tilifori) tilifon (v. taliefano, taliefono) tilifunada tilivision utumobile (v. auto, natunobile, nutunobile, utunobile) utunobile (v. auto, natunobile, nutunobile, utumobile) LETTERATURA: Alinei 1974: M. Alinei, La struttura del lessico, Bologna. Deanovic 1954: M. Deanovic, Avviamento allo studio del dialetto di Rovigno d'Istria, Zagreb. Diekmann 1983: E. Diekmann, Zur sprachlichen Situation des Rätoromanischen in Graübunden, «Ladinia» VII, pp. 193—209. Diekmann 1984: E. Diekmann, Zu lexikalischen Problemen des Bündnerromani-schen, in: Das Romanische in den Ostalpen (ed. D. Messner), Wien, pp. 309 328. 81 Istria Nobilissima: Antología delle opere premíate, Trieste: Primo concorso d'Arte e di, Cultura «Istria Nobilissima», vol. I (1968) — Sedicesimo Concorso d'Arte e di Cultura «Istria Nobilissima», vol. XVI (1983). Ive 1900: A. Ive, I dialetti ladino-veneti dell'Istria, Strasbourg. Tekavčič 1970: P. Tekavčič, Sulla molteplicità dei riflessi delle vocali latine nei dialetti istroromanzi, «Revue Roumaine de Linguistique» 15, pp. 223—240. Tekavčič 1972—1973: P. Tekavčič, Il comune e lo specifico nel dominio istro-romanzo, «Studia Romanica et Anglica Zagrabiensia» 33—36, pp. 639—678. Tekavčič 1974: P. Tekavčič, Interferenze linguistiche istroromanzo-venete: sulle vocali finali nell'istroromanzo, in: Atti del XIV Congresso Internazionale di Lingüistica e Filología Romanza (Napoli 1974), pp. 447—467. Tekavčič 1983: P. 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Tekavčič Riflessi: Tekavčič, Riflessi di lingue, popoli, culture nella lingua della prosa rovignese contemporánea, uscirà in «Bollettino dell'Atlante Lingüístico Mediterráneo» (numero in memoriam di Mirko Deanovič). Sažetak TEHNIČKI I SRODNI NEOLOGIZMI U SUVREMENOJ ROVINJSKOJ PROZI Ovaj se rad nadovezuje na prethodne leksikološke študije pojedinih inojezičnih komponenata u suv-remenim književnim tekstovima na rovinjskom dijalektu, objavljenim u antologiji Istria Nobilissima. Dio jezika čine i neologizmi, koje suvremena lingvistikaproučava jednako kao i tzv. »čiste«, tj. arhaične, konzervativne sektore jezičnog blaga; dapače, baš neologizmi dokazuju vitalnost jezika. Ovdje se proučava dvadesetak neologizama u zadnjih stotinu godina, s područja prometnih sredstava, različitih sprava, a dijelom i športa i rata. Nakon analize primjerS (v. popis u § 7) študira se semantički sadržaj tih riječi (primejenjujuči, uz neke preinake, postupak proveden u knjiži M. Alinei, La struttura del lessico), a zatim fonetske adaptacije neologizama, prema fonetskim procesima i pojavama u rovinjskoj (i uopče istroromanskoj) historijskoj fonetici. I te adaptacije dokazuju sa svoje strane da neologizmi nisu strana tijela u današnjem jeziku nego njegov sastavni dio, koji živi zajedno s njim pa ima i odredene vrijednosti i funkcije u književnim tekstovima. 82 Hans Goebl Salzburg CDU 805.99 CONSIDÉRATIONS DIALECTOMÉTRIQUES SUR LE PROBLÈME DE „L'UNITÉ RHÉTOROMANE (LADINE)" O. Dans un rapport de recherche récemment paru (Holtus/Kramer 1986), et qui se propose de faire le point des travaux relatifs au domaine rhétoroman (d'après le terme scientifique allemand „Rätoromanisch" forgé par Th. Gartner en 1883) ou ladin (d'après le terme scientifique italien „ladino" forgé par G. I. Ascoli en 1873) parus entre 1976 et 1985, il est question, entre autres, aussi du problème de „l'unité rhétoromane (ladine)". Les auteurs manifestent, en traitant ce problème et les apports scientifiques y ayant trait, non seulement une certaine propension à nier catégoriquement la théorie ascolienne de l'unité (typologique voire classificatoire) du rhétoroman (ladin) (et s'insèrent par là ouvertement dans la tradition anti-unitariste inaugurée et âprement défendue par Carlo Battisti), mais révèlent aussi — ce qui me semble être plus inquiétant encore — une insouciance voire ignorance surprenante vis-à-vis de l'outillage conceptuel, terminologique, méthodique et méthodologique de la pensée classificatoire telle qu'elle a cours dans beaucoup de secteurs de la linguistique contemporaine, parmi lesquels figure aussi — depuis Jean Séguy et Henri Guiter — la géolinguistique quantifiante ou dialectométrie. Dans le rapport de recherche en question, mes propres travaux dialectométri-ques, effectués sur les données de l'AIS (vol. I, II, IV) depuis 1977, sont ou bien mal interprétés voire mal compris (cf. Holtus/Kramer 1986, 2: quant à Goebl 1977, 69) ou bien passés tout simplement sous silence. Si, dans les lignes qui suivent, je m'efforcerai de porter remède à cette omission quelque peu curieuse, ce ne sera point pour faire étalage de mérites personnels, mais bien plûtot pour faire voir, une fois de plus, la nature et les vertus profondément classificatoires voire typologiques (ou typodiagnostiques) de la dialectométrie tout en passant en revue les jalons les plus importants de n'importe quelle démarche classificatoire. Malgré toutes les déficiences méthodiques dont souffre la dialectométrie à l'heure actuelle par rapport à d'autres sciences tant humaines que naturelles méthodologiquement plus avancées, et en dépit des limitations empiriques inévitables qu'impose le recours aux données forcément réduites et/ou réductionnistes d'un atlas linguistique (qu'il soit l'AIS, l'ALI ou n'importe quel autre atlas), la dialectométrie constitue néanmoins, en ce qui concerne les côtés intralinguistique, systématique et synchronique du problème de l'unité du rhétoroman (ladin), un excellent — sinon le meilleur — outil pour le traitement d'une des questions classificatoires les plus débattues de la romanistique entière. 83 1. L'HÉRITAGE ASCOLIEN — UN DÉFI MÉTHODIQUE À RELEVER Beaucoup de prises de position relatives à l'unité rhétoromane (ladine) semblent admettre l'existence d'une réponse apodictique et binaire à la question de savoir s'il existe — oui ou non — l'unité classificatoire du rhétoroman (ladin). Face à cette simplicité carrément anti-scientifique — ou faudrait-il dire naïve? — deux choses sont à dire: a) que toute question classificatoire dépend en tant que problème heuristique de présuppositions à choisir au préalable; et b) que, partant, l'issue de questions classificatoires est par définition ouverte. Toute critique soulevée en matière de classification doit être finement nuancée et méthodiquement avisée. On ne peut critiquer un résultat classificatoire sans critiquer — en pleine connaissance de cause — la constitution de la chaîne classificatoire à la fin de laquelle figure le résultat classificatoire en tant que dernier maillon. Face aux scories tant conceptuelles que terminologiques qui ont été accumulées autour du problème de l'unité du rhétoroman (ladin) depuis plus d'un siècle, il est bon de se désaltérer à la fraîcheur et à la clarté des textes originaux. En 1873, G. I. Ascoli définit, dans la première phrase du „Cenno preliminare" des „Saggi ladini", le propos de son livre de la manière suivante: „Comprendo sotto la denominazione generica di favella ladina, o dialetti ladini, quella serie d'idiomi romanzi, stretti fra di loro per vincoli di affinità peculiare, la quale, seguendo la curva delle Alpi, va dalle sorgenti del Reno-anteriore in sino al mare Adriatico; e chiamo zona ladina il territorio di questi idiomi occupato." (Ascoli 1873a, 1). Il faut cependant comparer cette définition avec celle que le Maître milanais donne d'une autre „unité" linguistique, à savoir du francoprovençal: „Chiamo franco-provenzale un tipo idioma-tico, il quale insieme riunisce, con alcuni suoi caratteri specifici, più altri caratteri, che parte son comuni al francese, parte lo sono al provenzale, e non proviene già da una tarda confluenza di elementi diversi, ma bensi attesta la sua propria indipen-denza istorica, non guari dissimile da quella per cui fra di loro si distinguono gli altri tipi neolatini." (Ascoli 1873b, 61). La position méthodologique de G. I. Ascoli ressort mieux encore de ce qu'il écrit, en 1876, dans sa réponse à la critique typophobe que Paul Meyer avait formulée à l'égard des „Schizzi franco-provenzali": „Un tipo qualunque, — e sia un tipo di un dialetto, di una lingua, di un complesso di dialetti o di lingue, di piante, di animali e via dicendo, — un tipo qualunque si ottiene mercè un determinato complesso di caratteri, che viene a distinguerlo dagli altri tipi. [...] I singoli caratteri di un dato tipo si ritrovano naturalmente, o tutti o per la maggior parte, ripartiti in varia misura fra i tipi congeneri; ma il distintivo necessa-rio del determinato tipo sta appunto nella simultanea presenza o nella particolar combinazione di quei caratteri." (Ascoli 1876, 387). Des citations alléguées ci-dessus il ressort clairement qu'Ascoli était déjà pleine- 84 ment conscient des trois piliers conceptuels de toute classification, à savoir: des objets, des attributs et des relations: objets: idiomi romanzi, dialetti ladini, dialetti, lingua attributs: caratteri relations: tipo idiomatico, il quale insieme riunisce [...]; stretti fra di loro per vincoli di affinità peculiare; [...] determinato complesso di caratteri; [...] simultanea presenza o nella particolar combinazione di quei caratteri. Les définitions ascoliennes s'insèrent dans ce que j'ai appelé à plusieurs reprises (cf. Goebl 1982a, 8; 1983a, 195; 1983b, 383; 1984a I, 13—15 et surtout 1986) le courant typophile de la recherche comparatiste du XIXe siècle. Pour vagues et inopérantes qu'elles aient pu paraître à l'époque, ces définitions se sont avérées, après coup et à la distance de plus d'un siècle, comme étant admirablement précises et logiquement complètes voire cohérentes. Forts des acquis théoriques et des expériences pratiques de beaucoup de sciences tant intégratives (logique, philosophie, mathématiques etc.) qu'empiriques (psychologie, sociologie, biologie, géographie etc.) nous sommes à même, de nos jours, de mieux apprécier la clairvoyance d'Ascoli en matière de classification ou typologie. Objets, attributs, relations: ce n'est qu'à travers la maîtrise parfaite de ces trois concepts qu'une entreprise classificatoire devient scientifiquement opérante et, par conséquent, critiquable. Or, la dialectométrie, telle qu'elle est définie p. ex. dans Goebl 1984a I, en est pleinement consciente, et ceci en accord avec tous les grands courants de la taxono-mie numérique (taxométrie) moderne. Il semble pourtant que beaucoup de linguistes qui se prononcent sur le problème de l'unité du rhétoroman (ladin) dans un sens ou dans un autre, soient peu enclins à accepter la plénitude méthodique et méthodologique dont dispose le dernier quart du vingtième siècle, et préfèrent se cantonner dans un immobilisme méthodique inquiétant. Résumons: l'héritage d'Ascoli en matière de classification est complexe. L'usure qui en a été faite de la part de ses héritiers est tout autre que salutaire. Bien que de nos jours les fondements méthodiques d'une classification vraiment scientifique soient universellement reconnus et répertoirés dans force manuels et introductions de tout genre, il est difficile sinon impossible de dégager les enjeus de l'héritage typophile de G. I. Ascoli. Ce fait est dû à la prédominance d'un conservatorisme méthodique, endémique, hélas, tout particulièrement en matière de rhétoromanisti-que. 3. LE RÔLE NÉFASTE DE SYSTÉMATISATIONS A-RELATIONNELLES Le procédé suivant est normal en rhétoromanistique qu'ailleurs. Pour juger de 85 la cohérence typologique d'un domaine dialectal donné, l'on dresse des listes de mots (ou de traits phonétiques voire morphosyntaxiques) pour voir dans quelle mesure les occurrences respectives de ces mots couvrent soit une partie soit la totalité du domaine considéré. On finit par conclure, la liste des mots une fois terminée, à l'existence ou la non-existence d'une „unité" au sein du domaine dialectal en question. Mis à part le fait que l'on confond, dans ce contexte, le plus souvent le concept typologique de l'unité avec le concept phénoménologique de Vunitariété, le plus grand défaut méthodique de ce procédé réside dans l'omission complète du concept de la relation. Certes, le domaine dialectal est considéré, le plus souvent, comme un ensemble de N parlers dont chacun se caractérise par un nombre p (le plus souvent fort réduit) d'attributs linguistiques. Mais ce qui manque, dans l'établissement de ces listes de correspondances (ou de non-correspondances), c'est la prise en compte explicite du concept de la relation ou de la „particolar combinazione", comme disait Ascoli en 1876 (387). Je passe sous silence un autre facteur non moins important dont Ascoli était pleinement conscient et qui est complètement absent dans les listes mentionnées ci-dessus: à savoir le contexte pan-roman. Chez Ascoli, l'ensemble des parlers ladins (ou rhétoromans dans la terminologie gartnérienne) constitue, à l'instar de l'ensemble des parlers francoprovençaux, une „unité" (classe, groupement) classifi-catoire particulière (particulier) au sein de la Romania entière et figure ainsi à côté d'autres unités classificatoires, comme p. ex. le galloroman, Yibéroman, Vitaloroman etc. Vouloir juger du rang classificatoire des parlers rhétoromans (ladins) en recourant uniquement à des listes d'équivalences lexicales (ou autres) valables pour, disons, les franges septentrionales du domaine lombard, trentin et vénitien, est donc carrément impossible voire méthodiquement erroné. Néanmois de telles tentatives sont (et ont toujours été) très nombreuses (cf. p. ex. Iliescu 1978). Elles se retrouvent fréquemment, en guise de conclusion „systématique", à la fin d'études étymologiques ou autres (d'inspiration le plus souvent diachronique). Une fois de plus, il s'avère que la mise en place de faits linguistiques „positifs", c'est-à-dire isolés et dégagés d'un contexte majeur, et leur systématisation voire ordonnance consécutives sont deux choses méthodiquement bien différentes. Mes propos critiques ne nient en aucune manière la valeur et l'utilité scientifique de telles recherches „positives". Mais de la recherche étymologique ou du dégagement de filiations géolinguistiques à plus ou moins courte distance (eu égard à l'échelle pan-romane) à la classification secundum artis classificatoriae praecepta d'un grand nombre de faits „positifs", il y a loin. 4. L'IMPORTANCE DE LA „PARTICOLAR COMBINAZIONE" D'ASCOLI OU DU CONCEPT DE LA RELATION EN MATIÈRE DE CLASSIFICATION Quant au caractère quantitatif de la classification qu'il envisageait, les propos d'Ascoli étaient nets: la typologie qu'il envisageait, ne pouvait se faire qu'à l'aide 86 d'une synthèse de beaucoup d'attributs. De nos jours — c'est-à-dire après une période de maturation épistémologique de plus de 100 ans — il n'y a, pour aboutir à de telles synthèses globalisantes, qu'une seule voie royale: à savoir celle de la synthèse par voie quantitative. Que ce fait déplaise ou non aux rhétoromanistes „métropho-bes" de nos jours: pour faire justice au programme classificatoire défini par Ascoli il y a plus d'un siècle, il faut se plier aux exigences de la classification synthétique (ou polythétique) contemporaine. Considérons, pour jeter un peu de lumière sur les exigences conceptuelles de cette réorientation, les problèmes suivants: soit un champ d'observation constitué de Nparlers caractérisés, chacun, par p attributs linguistiques (de tout genre et en grand nombre). Pour opérer une classification dans ce champ d'observation, il faut tout d'abord s'entendre sur le concept de „classe". Soit dit entre parenthèses, un tel concept doit reposer sur les repères suivants: cohérence (homogénéité) interne de la classe-, disparité (hétérogénéité) de l'espace environnant; écart de la variabilité globale (c'est-à-dire mesurable à l'intérieur du champ d'observation) tant de la cohérence que de la disparité régnant et à l'intérieur des classes (relation intra-group) et entre les classes (relation inter-group). Cette mise au point une fois faite, il faut ensuite se mettre d'accord, entre autres, sur les questions suivantes: a) Combien de classes faut-il prévoir? b) Comment faut-il hiérarchiser les classes: hiérarchisation arborescente, étoilée, linéaire? c) Quels critères faut-il choisir pour déterminer les limites des classes à générer (problème de Vinter-group-distance/inter-group-similarityP. d) Quel sera le maximum (et/ou le minimum) de l'homogénéité (ou — par ricochet — de l'hétérogénéité) interne des classes à prévoir (problème de Yintra-group-distance/intra-group-similarity)? Voir à ce sujet mon bref aperçu introductif de 1983 (a), rédigé à l'intention des spécialistes de la variabilité géolinguistique. A condition que le champ d'observation en question corresponde à la Romanía entière, il en résulte les conséquences pratiques suivantes: ad a) En combien de classes („langues") la nappe de la Romanía entière sera-t-elle partagée? Faut-il fixer d'avance le nombre des classes à générer ou faut-il s'en remettre au mécanisme (algorithme) de classification utilisé? ad b) Les possibilités mentionnées par la suite doivent être en accord avec les dispositions psychophysiologiques de l'homme, capable de discerner aisément les trois dimensions de l'espace euclidien. 87 Les différentes classes (groupes, sous-divisions etc.) peuvent se distribuer sur la carte géographique de la Romania comme les billes sur une table de billard. Les classes en question peuvent être arrangées sous la forme soit d'un arbre généalogique (en 2 dimensions), soit d'une constellation spatiale en nuages (en 3 dimensions) ou, tout simplement, le long d'un bâton de longueur détérminée, où elles seront fixées, l'une à côté de l'autre, à des distances plus ou moins grandes (classification en 1 dimension). ad c) Les limites des classes en question correspondent ou bien à des bourrelets d'isoglosses traditionnels (dont il faudrait d'ailleurs définir le pouvoir discriminatoire) et constituent, par là-même, des zones de passage finement graduées, ou bien à des ruptures catégorielles péremptoires engendrées par des algorithmes opérant „dans les coulisses". Bien que la seconde des deux possibilités soit méthodiquement plus avancée, il semble néanmoins indiqué de s'en tenir, en matière de géolinguistique, au concept de la délimitation graduée. ad d) Utilisera-t-on la variabilité interne de tous les parlers romans pour juger de la classification des parlers — disons — italo- ou ibéroromans, ou s'en remettra-t-on, pour une classification à échelle non-panromane, à une espèce de variabilité moyenne calculée à partir d'un seul des grands sous-ensembles importants? Ou plus précisément: établira-t-on la classification des dialectes rhétoromans (ladins) en ayant recours à des critères valables seulement pour l'espace rhéto- et italoroman (selon p. ex. l'AIS), ou préférera-t-on, pour ce faire, des critères géographiquement plus universels? Ces quelques propos permettent de faire voir la complexité du sujet à traiter. On est vraiment bien loin des réponses simplistes que nous donne, à l'égard du problème de l'unité typologique du domaine rhétoroman (ladin), le rapport de recherche de Holtus/Kramer 1986 (cf. surtout 1—13). La variabilité interne du domaine rhétoroman (ladin) peut être décrite (ou mesurée), tout comme celle de n'importe quel autre domaine (ou diasystème) dialectal, en termes d'homogénéité et en termes d'hétérogénéité interponctuelles; La question de savoir si le degré de variabilité en question est suffisant pour justifier le découpage du domaine rhétoroman (ladin) en plusieurs lambeaux d'un côté (variabilité „intra-class") ou la distanciation classificatoire des parlers rhétoromans (ladins) face aux parlers lombards, trentins et vénitiens de l'autre (variabilité „inter-class"), ne pourra être résolue, en bonne méthode, qu'en recourant à toutes les variabilités (tant „intra-class" que „inter-class") d'une partie aussi grande que possible de la Romania entière. Confiner le débat autour de l'unité rhétoromane (ladine) à l'intersection de l'espace italo- et rhétoroman (ladin) est nettement insuffisant bien que, dans la pratique de la recherche variationnelle, de telles limitations s'imposent pour des raisons carrément extra-scientifiques. Il en résulte le paradoxe apparent que le degré de similarité qui existe entre les 88 parlers ligures et toscans et la variabilité interne („intra-class") du domaine — disons — piémontais doivent être prises en considération pour juger de l'importance des différences (ou similarités) linguistiques qui séparent (ou unissent) les parlers romanches d'une part et les parlers lombards de l'autre. 5. VERS UNE MAÎTRISE DU RELATIF: LA CONSIDÉRATION QUANTIFIÉE DE SIMILARITÉS ET DE DISTANCES LINGUISTIQUES La considération de similarités et de distances requiert, tant en dialectométrie que dans toutes les autres disciplines classificatoires, la mise au point d'un certain nombre d'options facultatives. Ce sont, avant tout, le choix des données de départ, la mise au point du procédé métrologique (c'est-à-dire le mode de mensuration appliqué aux données de départ) et la définition d'un indice de comparaison, en l'occurrence d'un indice de similarité ou de dissimilarité (distance). N'oublions pas que toute comparaison équivaut à une relativisation. L'analyse systématique de relations au sein d'un diasystème doublement articulé (en N objets /parlers locaux et p attributs/traits linguistiques) permet donc — après plus d'un siècle d'errements méthodiques de tout aloi — de reprendre le concept ascolien de la „particolar combinazione di quei caratteri" (Ascoli 1876, 387) et de le définir en termes rigoureusement scientifiques empruntés à la classification numérique (taxonomie numerique, taxométrie, classification automatique, analyse des données etc.). Le recours à la classification numérique semble être „révolutionnaire" au sein d'une discipline qui, telle la rhétoromanistique, est peu accueillante à des innovations méthodiques et méthodologiques (et quantifiantes de surcroît). Il n'en est rien cependant dans d'autres secteurs tant de la linguistique que des sciences humaines tout court, où des procédés numériques de classification constituent depuis longtemps un outillage heuristique habituel. L'analyse des similarités et des distances peut se faire de deux manières: par non-contiguïté spatiale (cf. 5.1 et 5.2) et par contiguïté spatiale (cf. 5.3 et 5.4). 5.1. Analyse des similarités par non-contiguïté spatiale La considération des similarités sjj, par non-contiguïté spatiale, présuppose que les deux parlers comparés (j et k) ne soient pas forcément géographiquement contigus. En dialectométrie, ce schéma aboutit à l'établissement de cartes de similarité. Chaque carte de similarité dispose d'un parler (ou point) de référence (j) si bien que, pour N parlers (ou points) analysés, la mesure des similarités sjk aboutit à N-l scores de similarité utilisables à des fins classificatoires. N'oublions pas que le score de similarité réflexif (Sjj), calculé pour le parler de référence par rapport à lui-même, n'a aucune valeur classificatoire. En bonne méthode, les N-l scores de similarité 89 doivent être réunis, par la suite, en classes (ou groupes) dont le nombre est à la discrétion du classificateur. Sans perdre trop de temps sur les mobiles de ce choix (dont les détails ont été exposés plus d'une fois dans mes écrits dialectométriques parus depuis 1977), disons rapidement que le nombre des classes utilisées pour l'établissement de nos cartes de similarité est toujours 6, et que la répartition des N-l scores de similarité dans les 6 classes en question est l'affaire d'un algorithme d'intervallisation bien défini. Les cartes de similarité permettent dorénavant de faire voir les „vincoli di affinité peculiare" postulés par Ascoli en 1873a (1). Evidemment, ce sont des liens d'affinité non pas diachroniques ou ayant trait à quelque substrat préhistorique mal connu (et, partant, inapte à être mesuré secundum artis classificatoriae praecepta), mais résolument synchroniques, intralinguistiques (et partant non-sociolinguisti-ques) et se référant à la réalité dialectale répertoriée dans l'AIS. Pour pouvoir juger des „vincoli di affinité peculiare" qui unissent certains par-lers du domaine rhétoroman (ladin) avec le reste d'un vaste diasystème-AIS comprenant en tout 251 parlers, le lecteur intéressé est invité à recourir aux cartes de similarité suivantes: 5.1.1 Parlers romanches des Grisons points-AIS de référence: cartes de similarité publiées dans: De la structuration iconique de toutes ces cartes il ressort clairement que les parlers romanches en question disposent tous de liens d'affinité „particuliers" (symbolisés le plus souvent par l'appartenance à la classe d'intervallisation 4) avec la majorité des parlers de la Ladinie dolomitique et du Frioul, et que ces liens l'emportent sur ceux qui existent entre les parlers romanches en question et d'autres zones du champ d'observation. Sur toutes les cartes mentionnées ci-dessus l'on reconnaît aisément — le plus souvent par l'agglomération de polygones répertoriés dans les classes d'intervallisation 6, 5 et 4 — la formation d'une frange périphérique cohérente dont les contours correspondent, grosso modo et à quelques exceptions près, au domaine rhétoroman (ladin) tel qu'il a été défini tant par G. I. Ascoli que par Th. Gartner. 5 9 10 13 15 17 25 29 1977, Beilage 3 1984a III, carte 3.11 1982a, Fig. 8; 1984a III, carte 3.5 1984a III, cartes 3.3 et 3.4 1981a, Fig. 9 1984a III, carte 3.6 1984a III, carte 3.7 1980, Fig. 7 90 Je recommande vivement la consultation attentive de ces cartes de similarité à tous ceux qui, soit pleins d'aigreur comme G. B. Pellegrini (1986, 371—372), soit avec une sérénité objective comme G. Francescato (1985, 79—80), se prononcent contre la conception ascolienne de l'existence d'une classe de parlers alpins et préalpins „stretti fra di loro per vincoli di affinité peculiare" (appelée ladin par Ascoli et rhétoroman par Gartner). Evidemment, pour mener ce débat en termes vraiment scientifiques, l'on doit toujours avoir présent à l'esprit le fait que, pour obtenir des jugements classificatoi-res synthétiques — et le concept ascolien vise exactement cet objectif —, il faut se plier aux règles d'un jeu méthodique méticuleux. 5.1.2 Parlers de la Ladinie dolomitique (définis en tant que ,,ladins"selon Vautoévaluation des locuteurs: points-AIS 305, 312, 313, 314, 315, 316) points-AIS de référence: cartes de similarité publiées dans: Les cartes en question offrent une perspective différente, la „particolar combi-nazione dei caratteri" n'étant plus celle d'auparavant. Le groupement pan-rhétoroman (ladin) ne se fait plus voir. En revanche, l'affinité particulière qui réunit les parlers de la Ladinie dolomitique avec le frioulan et aussi avec les franges septentrionales du vénitien continental ressort clairement. Au vu de ces cartes, il serait absurde de vouloir nier l'importance relative des liens de similarité (Sj^) linguistiques qui existent entre la Ladinie dolomitique (j) et le Frioul (k). La constatation suivante, pour apodictique qu'elle puisse paraître, devrait être modifiée à plus d'un égard: „1 rapporti (du frioulan, H. G.) col ladino atesino e grigionese sono secondari e sul piano lessicale essi sono di minimo rilievo poiché vi mancano le concordanze specifi-che (tranne in due o tre casi)." (Pellegrini 1982, 37). Les rapports d'affinité (Sj^) entre la Ladinie dolomitique 0) et le Frioul (k) sont relativement plus importants que ceux qui s'instaurent entre la Ladinie dolomitique 0) et la Vénétie centrale ou méridionale (kj) ou l'Engadine orientale (k2). L'importance relative de ces rapports ladino-frioulans est typique des parlers de la Ladinie. Ces rapports ne se font plus voir dès que l'on déplace le point de référence en territoire (sociolinguistiquement) non-ladin: voir à cela le contraste entre les cartes 1 et 2 ainsi que 3 et 4 dans Goebl 1986b. La consultation courante d'un grand nombre de cartes de similarité et l'analyse concomitante des profils choroplèthes respectifs fait voir en outre l'étonnante varia- 305 312 313 1977, Beilage 5 1984a III, carte 3.12 1986b, cartes 1 et 3 91 bilité des scores de similarité en fonction de la distance et de la direction spatiale. Il va de soi que l'interprétation de cette variabilité ne devrait se faire qu'avec une connaissance discrète des mécanismes mathématiques mis en oeuvre. Encore une mise au point: par rapport à d'autres groupements dialectaux (p. ex. les domaines lombard, vénitien ou toscan) et qui ressortent avec beaucoup de netteté sur n'importe quelle carte de similarité (voir surtout Goebl 1984a III, passim), le groupement (ou „chorème") pan-rhétoroman (pan-ladin) mentionné ci-dessus (5.1.1) constitue une entité classificatoire relativement fragile. Il est bon toutefois de ne pas confondre arbitrairement fragilité et non-existence. 5.1.3 Parlers du Frioul points-AIS de référence: cartes de similarité publiées dans: Le type iconique des cartes de similarité établies à partir d'un point-AIS de référence situé en territoire frioulan, met en évidence deux choses: a) que les liens d'affinité (Sj^) qui existent entre le Frioul (j) et la Ladinie dolo-mitique (kj) sont plus intenses que ceux qui unissent le Frioul (j) et les parlers des Grisons (k2): sjkj >8^. On constate en outre une diminution progressive de ces liens de similarité en se déplaçant d'Est en Ouest. b) que les rapports friulano-dolomitiques (s».) sont moins importants que les rapports du frioulan avec, p. ex., les parlers de la vénétie (v) et du Trentin (t) (sf , Cette situation n'a rien de surprenant étant donné le fait qu'elle constitue la continuation logique et directe des tendances évoquées dans les paragraphes précédents (5.1.2 et 5.1.1). L'utilisation de cartes de similarité est de mise dès qu'il s'agit de définir, en termes précis, la position (linguistique) d'un certain parler face aux autres parlers d'un champ d'observation donné. La raison en est le fait que la meilleure définition (ou modélisation) de la position d'une chose face à d'autres est, en dernière analyse, un problème de la géométrie tridimensionnelle. Or, les fondements théoriques des mé- 328 339 357 359 1984a III, carte 3.13 1977, Beilage 7 1982, Fig. 15; 1984c, Fig. 8 1982a, Fig. 14, 1984c, Fig. 9 sft): sfd < sfy; sfd < sft. 'ft'" fd 92 thodes classificatoires utilisées en dialectométrie (et en classification numérique tout court), reposent entièrement sur les principes de l'espace euclidien. Il est donc bien évident que l'utilisation de l'espace tridimensionnel pour la définition exacte de la position (relative) d'un dialecte face à d'autres, constitue, du point de vue méthodologique, une excellente solution et correspond de surcroît pleinement aux aptitudes psychophysiologiques de la vue humaine. 5.2 Analyse des distances par non-contiguïté spatiale Ici, il faudrait établir la distance (dissemblance, dissimilarité: djj,) entre un parler de référence j et tous les autres parlers (kj...k^ j ) d'un champ d'observation (diasystème) donné. Théoriquement, de telles réflexions ne sont pas absurdes. Comme les cartes de distance que j'ai fait élaborer n'ont pas encore été publiées, je me passe d'autres commentaires relatifs à ce problème. 5.3 Analyse des similarités par contiguïté spatiale L'analyse des similarités (ou des distances) par contiguïté spatiale présuppose une définition exacte du concept de „contiguïté". Par contiguïté (spatiale ou interponctuelle) nous entendons une relation de voisinage immédiat, établie par les moyens de la géométrie de Thiessen dont nous avons exposé les principes plus d'une fois (en français-. 1981a, 363s; 1983b, 358—359; en italien-. 1984c, 19—20; en allemand: 1982a, 27—28; 1984a I, 90—92). Par le recours à la géométrie de Thiessen, l'on obtient, pour un réseau de 251 points-AIS, un total de 670 relations de voisinage immédiat, appelées aussi „interpoints", vu leur position entre deux points d'atlas contigus. La considération des similarités interponctuelles aboutit, d'un point de vue cartographique, à l'établissement d'une „carte à rayons" (ou: „carte à interpoints en fonction communicative"; en ail. „Strahlenkarte"). Pour les données de l'AIS (vol. I, II et IV, corpus réduit), une telle carte à rayons n'a été publiée, jusqu'alors, qu'une seule fois: 1983b, Fig. 9 (349—395). Les relations de similarité que l'on peut discerner à travers le jeu alternatif de 670 connexions interponctuelles à épaisseur et tonalité variables, servent à l'analyse de relations linguistiques (en l'occurence: lexi-cologiques) à très courte distance. Une carte à rayons répond donc à des besoins classificatoires très précis, qui, eux, se distinguent nettement de ceux qui avaient abouti à l'établissement des cartes de similarité (cf. 5.1). La finalité première d'une carte à rayons est de faire ressortir, par la variabilité des épaisseurs des connexions interponctuelles, les agglomérations des points d'atlas et — par contre-coup — les dépressions (ou fossés) qui se creusent entre eux. A cet égard, la carte à rayons publiée dans Goebl 1983b, 394—395, est très éloquente. On 93 y discerne non seulement tous les grands domaines dialectaux situés au nord d'une ligne allant de Florence à Ancône, mais aussi les vallées voire les dépressions qui les entourent. Bien entendu, ceci vaut également pour le passage du romanche au lombard, du ladin dolomitique au vénitien septentrional et du frioulan au vénitien oriental. C'est ainsi que les plis et les replis dé ces passages (ou clivages) deviennent reconnaissables voire saisissables au premier coup d'oeil, si bien que les avatars sémantiques de la description purement verbale d'une situation extrêmement complexe peuvent être facilement écartés. Précisons, en guise de conclusion de ce paragraphe, que les phénomènes linguistiques saisis par la carte à rayons s'inscrivent dans le cadre des problèmes suivants: flux de paroles d'une localité à l'autre, échanges lexicaux entre parlers contigus, pénétration et rejet d'innovations etc. 5.4 Analyse des distances par contiguïté spatiale L'analyse des distances par contiguïté spatiale constitue l'inverse ou le complément logique et, partant, indispensable de l'analyse des similarités par contiguïté. Elle correspond en outre parfaitement à une autre méthode géolinguistique universellement utilisée dans toutes les philologies modernes, à savoir à la synthèse (ou synopse) d'isoglosses. L'instrument cartographique de l'analyse des distances par contiguïté est la „carte à cloisons" (ou: „carte à interpoints en fonction discriminatoire"; en ail. „Wabenkarte"). La structuration du fond de la carte à cloisons correspond à celle de la carte à rayons, à la différence cependant que les interpoints de la carte à cloisons — qui marquent non plus des relations de similarité mais bien plutôt des relations de distance — prennent l'aspect de côtés de surfaces polygonales qui, elles, entourent chaque point d'atlas d'une façon hermétique. La carte à cloisons est l'instrument classique pour le traitement méthodique du problème des frontières linguistiques. La carte à cloisons relative aux données de l'AIS (moitié-nord du réseau, vol. I, II et IV; corpus réduit) a été publiée à plusieurs reprises et sous des formes cartographiques différentes: 1981b, Fig. 7a et 7b; 1982a, Fig. 40; 1983b, Fig. 8 et 1984a III, cartes 3.69a — 3.69d. Les cartes reproduites dans Goebl 1984a III ont été imprimées en deux couleurs (bleu et rouge), alors que les cartes publiées plus tôt utilisent deux tonalités différentes de grisé. Toujours est-il que le compartimentage variable de la carte à cloisons montre fort bien l'importance et la fréquence des cloisons qui séparent le romanche du lombard, le ladin dolomitique du vénitien septentrional et le frioulan du vénitien oriental. En considérant la carte à cloisons, l'on constate en outre que l'intensité du cloisonnement interponctuel du romanche face au lombard, est nettement plus grande que celle du cloisonnement entre le ladin dolomitique et le vénitien septentrional d'une part et entre le frioulan et le vénitien oriental de l'autre. Ici encore, le raffinement et la subtilité du langage iconique de la carte dialecto- 94 métrique l'emportent de loin sur l'imprécision et le flou de n'importe quelle description purement verbale des mêmes faits. Quant aux problèmes débattus dans le cadre de la „questione ladina" il eût été très avantageux, tant hier qu'avant-hier que de nos jours, de confier les arguments relatifs à la délimitation voire la classification spatiale des parlers en question plutôt à des schémas iconiques qu'à des descriptions verbales forcément moins précises et plus équivoques à la fois. 6. Epilogue Arrivé au terme de ce cette présentation quelque peu apologétique de la valeur de la dialectométrie pour la rhétoromanistique, je me permets de citer un passage très éloquent d'un article récent de G. B. Pellegrini (1986, 363): „[...] (anche se, per esser sincero, scrivere ancora di codesti temi comincia davvero a mettermi l'uggia; e chi ti legge o, a volte, chi ti comprende? Chi prende nota di quanto scrivi??)" Evidemment, il y a, entre le Maître padouan et l'auteur de ces lignes plus de parallélismes qu'il n'en a l'air au premier coup d'oeil. L'incompréhension mutuelle, supposée ou réelle, semble être l'apanage de la rhétoromanistique actuelle. Un examen attentif — et qui devrait se faire loin de fétichismes terminologiques (cf. la stratégie des guillemets: „retoromanzo" vs. ladino etc.) — des controverses les plus importantes révélerait cependant tout de suite l'existence d'un large consensus in rébus quamvis non in nominibus parmi les rhétoromanistes. Dans ce consensus de fait tant la dialectométrie qu'une pensée classificatoire venue à maturité doivent avoir leur place. 7. Références bibliographiques Ascoli, G. I.: Saggi ladini, in: Archivio glottologico italiano 1 (1873a) LVI, 1—556. Ascoli, G. I.: Schizzi franco-provenzali [1873b], in: Archivio glottologico italiano 3 (1878) 61—120. Ascoli, G. I.: P. Meyer e il franco-provenzale, in: Archivio glottologico italiano 2 (1876) 358—395. Francescato, G.: Ascoli, la „questione ladina"e gli studi recenti, in: Studi gorizi-ani 62 (1985) 71—80. 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Zu zwei problembeladenen Argumentationstraditionen innerhalb der Questione ladina, in: Raetia antiqua et moderna. W. Th. Elwert zum 80. Geburstag, eds. G. Holtus/K. Ringger, Tubingue 1986a, 513—536. id.: Muster, Strukturen und Systeme in der Sprachgeographie. Explikationen zur Dialektometrie, in: Plangg/Chiocchetti 1986b, 41—71. Holtus, G./J. Kramer: „Rätoromanisch" in der Diskusion: 1976—1985, in: Raetia antiqua et moderna. W. Th. Elwert zum 80. Geburstag, eds. G. Holtus/K. Ringger, Tubingue 1986, 1—88. Iliescu, M.: Contribution lexicale au problème de „l'unité ladine". Les ornithony-mes en rhéto-roman, in: Revue de linguistique romane 42 (1978) 355—383. Pellegrini, G. B.: Alcune osservazioni sul „retoromanzo", in: Linguistica 22 (1982) 3—56. Pellegrini, G. B.: Considerazioni sui rapporti lessicali del fassano, in: Plangg/Chiocchetti 1986, 359—372. Plangg, G. A./F. Chiocchetti eds.: Studi ladini in onore di L. Heilmann nel suo 75° compleanno, Vich/Vigo di Fassa 1986 ( = Mondo ladino 10, 1986). 96 Povzetek POGLEDI DIALEKTOMETRIJE NA VPRAŠANJE „RETOROMANSKE (LADINSKE) ENOTNOSTI" Avtor načenja eno od žgočih vprašanj romanistike, ki že dolgo, pravzaprav od začetka našega stoletja, vznemirja in razdvaja romaniste: gre za vprašanje enotnosti ali neenotnosti tistega jezikovnega prostora, ki ga je italijanski jezikoslovec G. I. Ascoli poimenoval ladino (AGI I, 1873), deset let kasneje pa avstrijski romanist Th. Gärtner rätoromanisch. Avtor nasprotuje klasifikacijam, ki izhajajo iz Battistije-vega koncepta, po katerem ni govora o kaki enotnosti romanskega alpskega prostora, saj naj bi šlo zgolj za skrajne severne podaljške severnoitalijanskih narečij; predvsem pa misli, eden prvoborcev načel dia-lektometrije kot je, da romanistika zanemarja kvantitativno analizo, to pa v dokaj dobri meri omogoča gradivo, zbrano v lingvističnih atlasih. Avtor nadalje očita delu romanistov, da preveč upošteva in vrednoti posamična jezikovna dejstva, in vidi pravilno pot samo v upoštevanju širšega jezikovnega prostora. Podčrtuje tudi metodo plastičnega, skoro bi rekli prostorskega predstavljanja, saj je to v dialektometriji edina možna metoda: kakršen koli verbalni opis istih jezikovnih dejstev bi bil nujno manj natančen, negotov, impresionističen. 97 Dieter Kattenbusch Regensburg CDU 808.87 = 808.62 OSSERVAZIONI IN OCCASIONE DI UNA VISITA AI CROATI DEL MOLISE (ITALIA) Chi venendo da Vasto, città situata sulla costa adriatica, dopo circa venti chilo-metri lascia la strada per Isernia in direzione sud, per fare una scappata a San Feiice del Molise si accorgerà difficilmente di una qualche particolarità che distingua que-sto paese di circa 900 abitanti da altre località meridionali. Puô darsi che, quando va a passegio per il paese, in Via Roma attiri la sua at-tenzione un cartello sulla facciata di una casa e che porta l'iscrizione Società cooperativa s r 1 LA NOSTRA TERRA NASA ZEMLJA Azienda vitícola conduzione unita. Leggendo la terza riga forse rimane sorpreso: due parole che né sono italiane né possono essere annoverate ai dialetti molisani vicini. Nasa zemlja, la traduzione letterale di la nostra terra, è serbo-croato. Se si chiede il significato di questa iscrizione slava, gli abitanti spiegano volon-tieri allo straniero, che San Felice (o Sti Filie, come viene ancora chiamato dagli an-ziani) è uno di quei paesi, dove nei secoli 15. e 16. dei Croati si stabilirono dopo la fuga davanti ai Turchi. A Montelungo, Mafalda, S. Biave e Tavenna1 già da molto tempo non si parla più croato; diversamente a S. Felice, Acquaviva Collecroce e Montemitro — tutta-via si deve prendere atto del fatto che le popolazioni di queste tre località molisane restaño fedeli al dialetto originario in diversa misura. A Montemitro (nome croato Mundimitaf) praticamente tutti i 550 abitanti (po-polazione presente, 25 ottobre 1985)2 parlano ancora croato in tutte le situazioni delia vita comune, eccezion fatta delle persone immigrate per matrimonio. Per i bambini la prima lingua — quindi la lingua madre — è come sempre, il croato. Nel paese si trovano diversi segnali d'indicazione bilingui3. 1 Nel dialetto di Tavenna si trovano ancora sporadici lessemi croati, p. e. bátsa 'fratello maggiore', só-sa 'sorella'. Nel 1864 a Tavenna 60 persone anziane parlavano ancora croato, mentre la lingua si era spenta a S. Biave verso l'anno 1850 e a Mafalda prima del 1780. A Montelungo già nel 1790 non ci si ricordava più dell'origme slava del paese. Cf. G. Buratti, „Die Kroaten des Molise (Italien)", in: M. Straka (ed.), Handbuch der europäischen Volksgruppen, Wien/Stuttgart 1970, pp. 493—495. 2 Cf. appendice 2. Secondo un censimento privato del 1954 4.036 dei 4.504 abitanti delle tre località dovrebbero essere stati ancora slavofoni. Cf. Buratti, op. cit., p. 494. 3 P. e.: cappellas. lucia (kapelasv. tuca); municipio (opcina); scuola elementare (skola); centro — cen-tar. 99 Ad Acquaviva Collecroce4 (popolazione presente 1981: 984) si puó constatare, che la maggior parte della popolazione nella comunicazione quotidiana usa il croa-to. Potei sincerarmi che durante una partita di calcio della squadra di San Felice contro la squadra di un paese vicino che fu disputata ad Acquaviva, i giovani tifosi non solo chiacchieravano e bestemmiavano ma anche incitavano la squadra di S. Felice in croato (accanto alie bandiere italiane sventolavano delle bandiere jugoslave al vento). Lo stesso vale per la conversazione sulla strada, al bar, durante la partita di carte ecc. Tuttavia si troveranno appena bambini con meno di dieci anni che parlano croato, anche se lo capiscono! Del tutto diversa la situazione a San Felice. Qui di regola solo la generazione anziana parla ancora croato. Le generazioni giovane e media hanno giá adottato il dialetto molisano, anche se per lo piü possiedono ancora conoscienze passive (se-condo etá) del croato. A Montemitro invece il dialetto regionale é praticamente sco-nosciuto. Una causa particolare per il fatto che San Felice si é dimostrato il meno resistente contro influssi dialettali forestieri si puó trovare nello stabilirsi di circa 150 abitanti di Casoli (circa 30 chilometri al sud di Chieti) alia fine degli anni 20 sul territorio del comune (pero alcuni chilometri fuori del centro abitato) — cosi la popolazione di S. Felice entró in contatto con il loro dialetto. Recentemente alcuni di questi Casolani hanno aperto dei negozi nel paese. In contrasto con Acquaviva e Montemitro a S. Felice pero il serbo-croato viene insegnato nelle classi 2 a 5 della scuola elementare, in seguito a una iniziativa personale dell'insegnante Angelo Genova. Nei 120 anni passati tutt'e tre i paesi hanno dovuto registrare delle cifre abba-stanza forti di emigranti: Numero di abitanti5 1863 1911 1981 Acquaviva 3.291 2.243 984 San Felice 2.337 1.681 915 Montemitro 1.663 1.017 550 totale 7.291 4.941 2.449 4 II paese viene chiamato in croato Zivavoda Brdodokriz o brevemente Kruc. Sulla facciata di una casa nel centro del paese si trova un cartello (perô non ufficiale), lungo circa 4 m. e alto circa 60 cm, che accanto al nome italiano del paese mostra l'iscrizione DOBRO DOSLI U KRUÍ (benvenuti a Kruc). L'unico indizio scritto per il croato è la scrittura MESNIZ (MESNIZ sarebbe corretto) sopra l'insegna luminosa di una MACELLERIA. 5 Cifre degli anni 1863 e 1911 secondo G. Masciotta, II Molise dalle origini ai nostri giorni, vol. I: La provincia di Molise, ristampa: Campobasso 1981 (Napoli 1915), pp. 178 e 181; perl'anno 1981 cf. appendice 2. 100 La problemática délia disoccupazione nel Mezzogiorno è conosciuta ed è stata descritta sufficientemente. Chi oggidi visita questi tre paesi durante i mesi d'estate, trova bastanti macchi-ne con targhe tedesche, belghe, svizzere per comprendere le connessioni6. Dopo che nel 1971 a Termoli fu aperto uno stabilimento délia FIAT, molti uo-mini hanno trovato un posto di lavoro in questa fabbrica, cosa che rallentô per il momento il ritmo di emigrazione. A lungo termine perô questi preferiscono un trasloco (a Termoli dove la ditta ha fatto impiantare delle case prefabbricate per i lavoratori) al tragitto quotidiano (distanza Acquaviva — Termoli 40 km, San Felice — Termoli circa 50 km, con in parte cattive condizioni stradali). Da Acquaviva circa 20 impegiati délia FIAT con le loro famiglie sono emigranti! Siccome per lo più delle famiglie giovani emigrano, il quoziente di natalità nei tre paesi croati è bassissimo. Montemitro ha potuto registrare solo quattro nascite nei primi otto mesi del 1985. Questa bassa natalità si rispecchia anche nel numero degli alunni. Nel 1985 solo dieci bambini hanno frequentato la scuola materna di Montemitro (nel 1981 erano 14); per l'anno scolastico 1985/86 cinque scolari si sono icritti per la prima classe délia scuola elementare. Il numero di iscrizioni alla prima classe da aspettarsi per l'anno scolastico 1986/87 era già conosciuto nel 1985: sono due. Nelle 5 classi délia scuola elementare in tutto venti scolari sono istruiti (di volta in volta due classi sono riunite). Ad Acquaviva sono state regístrate quattro iscrizioni per la prima elementare, a San Felice il numero è relativamente alto, cioè 12. Anche la struttura di età in questo contesto lascia riconoscere una situazione piuttosto precaria (riferito al 1981; cf. tavola 4 A dell'appendice 2). Ad Acquaviva il numero delle persone appartenenti a una classe d'età (sempre cinque annate unité) è senza eccezione sopra 60 (non contate le persone dai 35 ai 39 anni e quelle dai 40 ai 44 anni, il cui numero è ridotto a causa délia guerra). Solo il gruppo dei bambini con meno di 5 anni (0 — 4 anni: 48) e dai 5 ai 9 anni (53) è minore. A San Felice la tendenza a una denatalità sembra essere incominciata molto prima. A prescindere dalla classe dai 5 ai 9 anni (59!), tutte le classi di età con meno di 6 Molte persone sono emigrate oltremare (soprattutto Australia); normalmente non tornano piü (al massimo una o due volte per passare le vacanze nel luogo natio). Ma anche i rimpatriati da altri paesi europei spesso preferiscono stabilirsi in localitá che dispongono di infrastrutture migliori, come pos-sibilitá d'istruzione per i bambini (p. e. Termoli). 101 25 anni hanno meno di 50 membri, la classe delle persone dai 25 ai 29 anni ne ha esattamente 50. Tenendo conto del fatto che gli anni délia guerra hanno mostrato una denatali-tà abbastanza forte e che i gruppi con più di 55 anni sono stati decimati a causa délia guerra, si deve constatare che le classi sopra menzionate sono inferiori alla media. Valutando la situazione in un modo alquanto realístico si puô osservare che in tutt'e tre i paesi complessivamente 2.000 persone parlano ancora croato nelle normali situazioni di comunicazione. Appena è presente un forestiero, il gruppo parla italiano o dialetto regionale. Tra persone croatofone di provenienza diversa, già og-gi non è più sicuro che la comunicazione si sviluppi in croato. Quali prognosi si possono fare per il futuro? Con qualche probabilità si puô dire che a Montemitro e forse anche ad Acquaviva si parlerà croato fino al 21. secolo avanzato. Per quanto riguarda San Felice le prospettive sono piuttosto tristi; con la generazione anziana muore anche il croato, tanto più che i giovani sollevano sempre la questione deH'„utilità"7. Finché i Croati del Molise non sono riconosciuti dallo Stato italiano cone mino-ranza étnica e lingüistica8, non si avrà un insegnamento regolare délia lingua e nella lingua9. A San Felice la lingua non mi sembra possa più essere salvata. Per Acquaviva le prospettive sono ancora buone, ma il tempo stringe. Montemitro non è — almeno finora — minacciato. E' vero che una proposta di legge è stata presentata al parlamento, ma è dubbio se verrà votata (cf. appendice 1). Momentáneamente esiste soltanto la possibilità per 30 giovani di partecipare a corsi di lingua a Zagabria (le spese insorgenti vengono assunte dalla Jugoslavia). Nel 1983 solo 12 giovani sfruttarono l'occasione, 30 nel 1984 e 23 nel 1985 (tuttavia ri-mane dubbio, se l'apprendimento del serbo-croato moderno possa contribuiré al 7 P. Piccoli di Acquaviva (intervista del 1. 9. 1985): „Uno è interessato in proporzione a quanto la lingua puô essere utile per il lavoro, per i rapporti con gli altri. Per il lavoro la lingua attualmente non serve, non dà nessuna possibilità di lavoro in più. Nei rapporti sociali parliamo sempre in croato, sempre che non sia necessario sostituire l'italiano per mancanza di termini. Con gente di Montemitro si parla in croato." 8 „Non venendo riconosciuta come minoranza, non creandosi delle prospettive economiche, attualmente si tende a emigrare, sia da parte di coloro che studiano che sia da parte dei figli di agricoltori ... Se queste nuove generazioni vanno via, è normale che la lingua avrà meno possibilità di sviluppare." (P. Piccoli, 1. 9. 1985). 9 I nuovi programmi délia scuola elementare, approvati nel 1985 prevedono l'insegnamento di una seconda lingua nella scuola elementare. Questa potrebbe essere l'occasione per insegnare il croato, se i genitori lo chiedono; perô è quasi sicuro che i genitori chiederanno ['inglese o il francese come lingue più a diffusione internazionale. Un altro problema sarebbe la mancanza di persone capaci di insegnare la madrelingua, la mancanza di una grafía ecc. Inoltre manca un vocabolario, mancano termini astratti, tecnici ecc. 102 mantenimento délia lingua madre). Oltre questa ci sono poche iniziative per la con-servazione délia lingua. Nel marzo del 1985 il „Periodico dei Paesi del Molise" (Glasnik molizanskih hrvata) NAS JESIK (la nostra lingua) fu pubblicato per prima volta dopo una pausa di molti anni (la rivista era uscita dal 1967—1970). Fu curato dall'Associazione culturale „Nas Grad" (Via S. Angelo, N. 74,1-86030 Acquaviva Collecrocce, Provincia di Campobasso). Speriamo che NAS JESIK ridiventi una impresa fissa e alla memoria délia popolazione di Sti Filie, Mundimitar e Kruc si vorrebbero richiamare le parole di N. Neri (1761—1799) di Acquaviva, morto nella Rivoluzione Napoletana: „Nomo ta zabit nas lipi jesik!" — „Non dimenticate la nostra bella lingua!" (NAS JESIK, marzo 1985, p. I)10. Appendice 1 Disegno di legge „tutela delle minoranze linguistiche", testo approvato il 17 aprile 1985 dalla Commissione Affari Costituzionali délia Camera (in tutto 19 articoli; ab-breviato considerevolmente) Art. 1 La Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni di origine albanese, catalana, germanica, greca, slava e zingara e di quelle parlanti il ladino, il franco-provenzale e l'occitano. La Repubblica tutela, altresi, la lingua e la cultura delle popolazioni friulane e sarde. Art.3 Nelle scuole materne ed elementan dei comuni indicati nel decreto del Presidente délia Giunta regionale . . ., l'educazione lingüistica prevede l'apprendimento délia lingua locale e l'uso délia stessa, in via strumentale, al fine délia migliore cogni-zione delle materie, nonché l'insegnamento delle forme espressive dell'infanzia, la lettura e le esercitazioni relative agli argomenti concernenti gli usi, i costumi e le tra-dizioni delle comunità locali. Nelle scuole medie dell'obbligo degli stessi comuni è previsto l'insegnamento délia lingua locale a richiesta degli interessati. I programmi e gli orari relativi all'educazione lingüistica saranno fissati con decreto del Ministro délia Pubblica Istruzione, sentito il Consiglio nazionale délia Pubblica Istruzione e tenuto conto dei criteri di gradualità in relazione alla disponi-biliità di personale insegnante e di materiale didattico. io Un altro „numero único in attesa di autorizzazione" di NAS JEZIK (questa volta con z) usci nell'ottobre 1985. 103 Art. 4 Nelle scuole elementan e medie dei comuni indicati nel decreto del Presidente délia Giunta regionale . . la cultura e le tradizioni locali costituiscono materia di insegnamento obbligatorio nell'ambito degli insegnamenti di storia, geografía, edu-cazione musicale, artística e técnica. La disposizione di cui al primo cómma si applica ai corsi dello stesso livello svolti per i lavoratori presso le scuole statali nonché ai corsi di educazione permanente. Art. 7 ... i membri dei consigli comunali e circoscrizionali e degli organi circiscrizio-nali délia scuola possono usare la lingua locale nell'attività degli organi medesimi. Quando non sia possibile disporre di un servizio di traduzione, sono prive di ef-feti giuridici le dichiarazioni che non siano espresse anche in lingua italiana. Art. 9 Nei comuni indicati nel decreto del Presidente délia Giunta regionale . . ., al fine di agevolare il rapporto dei cittadini, è consentito l'uso orale délia lingua ammes-sa a tutela negli uffici d'amministrazione pubblica. Art. 10 Nei comuni indicati nel decreto del Presidente délia Giunta regionale . . ., in aggiunta ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di toponimi conformi aile tradizioni e agli usi locali, secondo modalità stabilité con legge regionale. Per il testo integrale cf. NA§ JEZIK, ottobre 1985, pp. 4—5. 104 Appendice2: 12° censimento délia popolazione, 25 ottobre 1981, Volume II: dati sulle caratteristiche strutturali délia popolazione e delle abitazioni, Tomo I — Fascicoli provinciali, 70 — Campobasso, Istitutto Centrale di Statistiea, Roma 1983. Tavola 1 : Superficie territoriale e densità — Popolazione residente e popolazione presente, per sesso (pp. 2—3) Superficie Densità Popolazione residente Popolazione Presente Totale territoriale abitanti/km! Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Acquaviva N. * Collecroce 28,50 km! Montemitro 16,o5 km2 San Felice del Molise 24,24 km2 36 488 529 1.017 469 515 984 3 39 311 313 624 266 284 550 8 38 447 464 911 438 477 915 57 * di cui temporáneamente presente Tavola 2: Popolazione residente temporáneamente assente per sesso, luogo di presenza e motivo delPassenza (pp.4—5) Totale in altri comuni di cui per motivi dilavoro all'estero Totale di cui per motivi dilavoro Totale Aquaviva Collecroce Montemitro San Felice del Molise 28 41 13 22 26 21 16 4 13 41 12 7 27 7 39 7 26 36 82 20 49 Tavola 4 A: Popolazione residente per sesso e classe di età (pp. 8—9) meno di 5 5—9 10—14 15—19 20—24 25—29 30—34 35—39 40—44 45—49 50—54 55—59 60—64 65—69 70—74 75 e piu totale A. 48 53 71 61 70 63 61 28 46 69 64 63 72 79 79 90 1.017 M. 28 36 35 53 43 35 37 15 39 49 54 41 49 41 35 36 624 SF. 46 59 44 47 44 50 59 33 47 54 63 73 61 71 74 86 911 Tavola 7: Popolazione residente attiva e non attiva per sesso (pp.28—31) popolazione popolazione popolazione attiva popolazione attiva non attiva non attiva maschi femmine maschi femmine Acquaviva Collecroce 359 658 211 148 277 381 Montemitro 274 377 147 100 164 213 San Felice del Molise 298 612 185 113 262 350 Tavola 15: Abitazioni in complesso (occupate e non occupate) (pp. 76—79) Acquaviva Collecroce Montemitro San Felice del Molise abitazioni occupate 353 216 323 abitazioni non occupate 140 94 150 493 310 473 Povzetek OB OBISKU PRI HRVATIH V POKRAJINI MOLISE (ITALIJA) Avtor daje statistične podatke, ki zadevajo hrvaško etnijo v treh vaseh južnoitalijanske pokrajine Molise; gre za danes številčno majhen ostanek vala beguncev, ki so se pred turško nevarnostjo v 15. in 16. stoletju zatekli v Južno Italijo in svoj govor še obdržali. Upošteva statistične podatke zadnjega štetja v Italiji, leta 1981; ceni število tistih, ki v družini še govorijo srbohrvaško, na kakih dva tisoč. 106 Fernando V. Peixoto da Fonseca Lisboa CDU 806.90-3 À PROPOS DE L'INFLUENCE DE LA LANGUE PORTUGAISE Sur lès mots castillans d'origine portugaise, le Prof. Rodrigo de Sá Noguiera écrit: "Il y a une série de mots castillans d'origine claire ou probable portugaise, que le Dictionnaire de l'Académie Espagnole dans la plupart des cas ou omet, ou considère comme d'origine différente".1 Ceux d'origine claire portugaise, ajoute cet éty-mologiste, sont ceux qui phonétiquement n'auraient pu avoir en espagnol la forme qu'ils revêtent dans cette langue, tandis qu'ils sont d'accord avec les règles de notre phonétique historique, existant, en outre, sous la même forme (p. ex. chato) ou semblable (p. qx. follaje) dans la langue portugaise. Les suivants se trouvent dans ce cas: achantarse, achubascarse, afeitar, aldorta, brinco, barroco, canela, caramelo, cariño, chamada, chapa, chato, chaveta, chinela, chocallo, chocho, chopa, choza, chubasco, chumacera, chus, chusma, cobra, conchabar, cortiña, desvaído, desvergoñadamente, fado, follaje, fuera, macho, malla, mermelada, morriña, nonio, pintada, vaivén, vergoña. Les vocables d'origine probable (et souvent sûre) sont les exotiques, lesquels, dans l'opinion de Sá Nogueira, citée plus haut, ont pénétré dans l'espagnol à travers le portugais. Cet auteur en étudie les suivants: abada, albino, almadía, ananas, bambú, banana, bengala, betel, biombo, bonzo, cacatúa, cachimbo, cacimba, cafre, carcunda, carimbo, catinga, cha, coco, cobra, cornaca, fetiche, jangada, junco, macaco, malagueta, mandarín, mandinga, mandioca, manga, marimba, monzón, naire, pagoda et palanquín. Il est certain qu'ils sont beaucoup plus nombreux, ainsi que l'on s'en rend compte par les ouvrages de Monseigneur Sebastiâo Rodolfo Dalgado2 et Georg Friederici3. Quant au mot chapéu, dit le Prof. Sá Nogueira, il est difficile de garantir si l'espagnol l'a reçu du portugais, ou si le contraire a eu lieu, et c'est également compliqué le problème du mot castillan jeito, à acception differénte de la nôtre, raison pour laquelle ils n'entrent ni dans l'une ni dans l'autre des deux catégories, c'est-à-dire, ni dans ceux d'origine claire portugaise, ni dans ceux d'à peine probable. Rafael Lapesa4 mentionne encore quelques emprunts au portugais, parmi lesquels ceux de l'espagnol employé par Colomb, les vocables brinquiño (bijou), payo, sarao et menino, les deux derniers ayant rapport à la vie de la cour. De la vie sentimentale il signale le fait que soledad a fréquemment pris la signification du portugais saudade, sous l'influence de ce mot. Il indique encore l'expression echar 1 Crítica Etimológica, vol. I, Lisbonne, 1949, p. 110 2 Glossário Luso-Asiático, 2 vols., Coïmbre, 1919—1921, et Influenciado Vocabulario Portugués em Línguas Asiáticas, Cóimbre, 1913 (traduction anglaise); Portuguese Vocables in Asiatic Languages, Baroda, 1936). 3 Amerikanistisches Wörterbuch, Hambourg, 1947. 4 Historia de la Lengua Española, 2e éd., Madrid, 1950, pp. 173, 189, 254-5, 315, 336. 107 de menos, avant echar menos, du portugais achar menos "remarquer le manque de quelqu'un ou de quelque chose" (en castillan on disait auparavant fallar menos, que l'on trouve dans le Mió Cid-, de fallar provient l'actuel hallar = port, achar). Lapesa écrit encore que dans les Canaries, sur la route des navigations portugaises, il est probable que des gens de l'occident de la Péninsule ibérique se sont établis; les termes d'origine gallicienne ou portugaise y foisonnent, tels que fechar, ferruje, magua, garruja (port, dialectal caruja), cachimba, nuevo (jeune). Au nombre des termes d'origine gallicienne ou portugaise il inclut également bosta, cardumen, laja, tout comme très probablement botar, soturno (tous les deux existant aussi dans les Canaries), fundo, buraco, pararse ( = ètre debout). D'origine guarani il cite tapioca, ñandú, mucama et bagual ( = canard sauvage), mais si nous consultons l'ouvrage de Friederici nous trouvons de très nombreux autres, ainsi que nous l'avons déjà dit. Concernant l'italien, Bruno Migliorini5 confirme que cette langue a reçu quelques mots des langues indiennes modernes par l'intermédiaire du portugais (et aussi de l'anglais). Et il ajoute qu'il en a été de même des vocables d'autres langues indigènes de l'Amérique, de l'Afrique et de l'Asie, ainsi que de l'Océanie, en éclaircissant que malgré la part des Italiens dans les Découvertes, en règle les mots provenant des peuples primitifs sont arrivés à l'italien après avoir été recuillis par l'espagnol, le portugais et l'anglais, et plus récemment le français et le hollandais. Du livre de Migliorini nous extrayons, en exemplifiant, autodafé, caravella, cobra, cocco, palanchino, tifone, tucano, veranda, etc.; dans le Glossaire de Dalgado apparaissent, parmi beaucoup d'autres, aciara, adibe, adicari, agati, águila, aitan, albacore, alias, aloe, amargoseira, ambale, amida, anacco, ananas, ancasio, andor, anfione, anail, cueillis suelement dans la lettre A de cet ouvrage monumental. De tous les mots portugais qui sont passés à l'anglais on conclut également que l'influence du portugais a été importante, surtout dans le domaine pratique, ainsi que nous l'avons déjà vu vis-à-vis d'autres langues. Presque tous les vocables anglais d'origine portugaise ou importés à travers le portugais sont donc concrets, ceux qui désignent des êtres vivants se faisant remarquer, d'abord, par la moitié de la totalité. Dans quelque cent vocables étudiés par nous dans un article6, refonte d'un autre7 basé fondamentalement sur des travaux de Mary S. Serjeantson8 et de M. A. Hedwig Fitzler9, nous avons donc cinquante appartenant au domaine de la biologie. 5 B. Migliorini et A. Duro, Prontuario Etimologico delta Lingua Italiana, Turin, 1953, introduction. 6 Pequeño Vocabulario Inglés de Origem Portuguesa, in Boletim Mensal da Sociedade de Lingua Portuguesa, V, pp. 470—478, Lisbonne, 1954. 7 As palavras inglesas de origem portuguesa ou importadas através do portugués, in Revista da Facul-dade de Letras, XII, 2e série, N.os 1—2, Lisbonne, 1946, pp. 74—86. 8 A History of foreign words in English, Londres, 1935. 9 Algumas notas acerca da influéncia portuguesa na linguagem comercial dos povos da Europa, in Lingua Portuguesa, vol. I, fase. V, Lisbonne. 108 Comme on s'en doute, l'introduction de mots portugais en anglais a presque exclusivement été le résultat de rapports commerciaux, pas toujours amicaux. Il n'y a pratiquement pas de mots empruntés au portugais avant le XVIe siècle, tout comme il n'y en a pas importés d'Espagne; la seule exception semble être marmalade, affirme Mme Serjeantson, dans son histoire des mots étrangers en anglais, dont nous traduisons le passage suivant: "C'était dans les régions où les Portugais avaient établi des colonies et des factoreries que des marins et des marchands anglais, à partir du règne d'Elisabeth, et, dans les derniers temps, des officiers et des soldats, ont importé le plus grand nombre de mots existant aujourd'hui en anglais, quoique quelques-uns en soient venus du Portugal lui-même, et d'autres encore de l'Amérique, spécialement des établissements portugais au Brésil et en Guyane. Peu nombreux sont ceux des Indes occidentales. En effet, la ligne de démarcation aux XVIe et XVIle siècles entre l'aire espagnole de trafic et la colonisation à l'ouest, et celle du Portugal à l'est, se reflète clairement dans les mots que leurs rivaux anglais ont adoptés de chacune d'elles." Et plus loin: "L'an 1600 est d'une importance considérable dans l'histoire des mots portugais en anglais, parce que c'est le 31 décembre de cette année-là que la reine Elisabeth a accordé une charte à la Compagnie de Marchandises du Trafic Londonien avec les Indes Orientales. Le trafic régulier organisé de la Compagnie de l'Inde Orientale a effectué des rapports plus intimes avec les commerçants portugais en Orient, et les noms d'articles de commerce et de choses se rapportant à la vie européenne dans l'Inde et en Extrême-Orient ont été importés plus librement qu'auparavant." De cette centaine de vocables mentionnons pour exemplifier: albatross, ananas, assagai, auto-da-fé, ayah, banana, baroque, batata, bayadère, bêche-de-mer, bonze, buffalo, cang(u)e, caravel, caste, chaa, cobra, comprador, copra, fetish, flamingo, gong(o), guarûna, guinea, ipecacuanha, jacaranda, jaguar, lorcha, macaco, mandarin, margosa, molasses, padre, pagoda, palanquin, palaver, pareira, port, sargasso, tank, typhoon, verandah, zébra. Postérieurement nous avons trouvé beaucoup d'autres termes d'origine portugaise, tels que bambos, almadia, piccaninny, abada, nonius, alligator, cockatoo, corge, albino, cabaya, etc. L'allemand, comme les autres langues européennes, n'a pas échappé à l'influence du vocabulaire portugais, notamment, bien sûr, en ce qui concerne les mots exotiques. D'après Mme Carolina Michaëlis de Vasconcelos, peu de termes portugais sont passés à la langue allemande; ce professeur cite, dans sa précieuse édition du Cancioneiro da Ajuda10, les suivants vocables allemands d'origine portugaise: Bayadere (de bailhadeira), Auto de Fé, Botocudo, Chamada, Feitiço, Costa, Mandarin, Rugemuge. Ôn peut ajouter beaucoup d'autres, comme on s'en doute et l'on s'en rend compte en parcourant les auteurs de traités, au nombre desquels on ne fait jamais remarquer de trop Georg Friederici, le grand américaniste germanique déjà cité. 10 Vol. II, p. 644, note 8. 109 Rappelons seulement, pour mémoire, Bambus (de bambu), Marmelade ( = Quittengelee ou Quittenmarmelade), peut-être à travers le français, suivant Sá Nogueira11, Albinos, Ananas, Adlerholz (correspondant à pau de águila), Kommando, Fetisch (reproduction de la forme française fétiche, du portugais feitiço, antérieurement indiquée), Dschunke (de junco), Cato (d'égal terme portugais, au sens de 'caoutchouc'), Topinambour; probablement sont d'origine portugaise, entre autres, les vocables Atlas (satin), Tomate, Flamingo, Tamarinde et le verbe massieren ( = masser). À Hambourg, chez les Juifs d'origine portugaise, selon José Leite de Vasconcelos12, on employait aussi en certains actes religieux des formules en portugais: Boa semana! Que tenha melhoradas festas! Que Deus o escreva em livro de vidas! À une femme enceinte on dit: Que faça boa parida, e que veja de seu filho recém-nascido muito gosto! Le livre de prières s'appelle Rezabuch, mot formé du portugais reza 'prière' et de l'allemand Buch 'livre', réunis selon les lois de la composition germanique. Certains comestibles reçoivent des noms portugais, tels que bolo ou volo 'gâteau'. La synagogue s'appelle esnoga, comme en ancien portugais. Des mots portugais usités encore dans les obsèques: tumba 'tombe', mortalha 'linceul', mêlés avec des mots allemands. Dans les cimetières, on lit sur les pierres sépulcrales: Sepultura do B.A. ( = Bem-aventurado). Pour en finir avec les langues européennes, car il serait possible de nous arrêter à toutes puisque, directement de nous ou à travers le français et d'autres idiomes, elles possèdent de nombreux mots portugais, spécialement exotiques, comme c'est naturel, mentionnons encore le hollandais. Sir James Emerson Tenent, dans son ouvrage Ceylan, cité par Monseigneur Dalgado13, rapporte que les Cingalais ont vite fait d'oublier la domination hollandaise, mais perpétuent avec orgueil le titre honorifique de dom qui leur a été accordé avant par les Portugais, et préposent encore à leurs anciens patronymes nos prénoms chrétiens. Heyligers, dans Traces de portugais dans les principales langues des Indes Orientales Néerlandaises14, écrit: "Aussitôt que le Portugal, et surtout Lisbonne, est devenu l'entiepôt central des produits de l'Inde, les négociants hollandais ont commencé et maintenu avec cette capitale un commerce très actif et toujours en développement, de sorte que c'était par l'intermédiaire d'eux que l'on faisait la vente de ces marchandises dans les autres pays de l'Europe." Dalgado15 signale que les Hollandais ont laissé peu de traces de leur langue, et 11 Ouvrage cité, p. 107. 12 Esquisse d'une Dialectologie Portugaise, Paris, 1901. 13 Glossdrio, I, pp. XIV—XV. 14 La Haye, 1889, p. 5, cité par Dalgado. 15 Influência, p. XXVII. 110 celles-ci presque exclusivement dans le cingalais; leur influence n'est pas grande même sur les langues malaises, nonobstant leur longue domination. De l'ouvrage du Dr. Haan consacré aux mots portugais dans le hollandais de la Compagnie des Indes Orientales, cité par David Lopes16, ce remarquable arabiste portugais a extrait une liste de deux cents mots ou locutions d'origine portugaise, dont nous signalons les suivants: adjude (port, ajuda), alcanseeren (de alcansar), al-fandigo (alfândega), almadie {almadia), barra ( = ), bandees {bandeja), bastant {bastante), basteren {bastar), brocado ( = ), cabriet {cabrito), capas {capaz), cargeeren {carregar), casie {casa), casta ( = ), cento ( = ), clérigo ( = ), conquesteeren {conquistar), a contento ( = ), despence {despensa), doceren {descer), fetor (feitor), filhado {afilhado), gastos ( = ), golpho {golfo), gouverno {governo), intrageeren {entregar), karen {caro), leij {lei), mainctementos {mantimentos), marinjo {marinho), mateeren {matar), merce {mercê), mili {milho), misquit {mesquitá), moradoor {morador), morisma {mourisma), mosquyt {mosquito), negros ( = ), de-novo ( = ), odie {odio), offresseeren {oferecer), padre { = ), procure {procura), recade {recadó), recief {recife), refresco ( = ), resgatto {resgate), seguro { = ) sobrinho ( = ), tardance {tardançà), tra-valjos {trabalhos), treidor {traidor), valianton {valentào), vendeeren {vender), per via de { = ), viador ( = ), vigiador { = ). En résumant ou en paraphrasant ladite oeuvre, David Lopes conclut "que la langue parlée par les agents de la 'Compagnie' avait beaucoup de mots portugais qui, involontairement, sont passés dans la langue écrite ... En outre, les guerres des Pays-Bas avec le Portugal et le commerce entre le Portugal et l'Orient ont fait entrer dans l'usage commun un certain nombre de ces vocables." Le rôle des juifs portugais qui sont allés aux Pays-Bas a dû aussi être important; ils avaient été chassés du Portugal par Dom Emmanuel I. Le portugais est aujourd'hui à Amsterdam une langue morte; cependant certains actes officiels de la communauté juive étaient encore au commencement de ce siècle rédigés en portugais, des prières et des phrases du culte étant récitées dans cette langue à la synagogue, telles que: Bôç noitec! Boaç entrada do Sábado! Boaç feçtaç melhôradaç! Boaç entrada de jejum! Morrer havemos! Saude perfeitaP7. Cela va de soi que le hollandais a reçu beaucoup d'autres mots portugais, spécialement exotiques. Signalons, parmi les vernaculaires, karviel (de caravela) et, des exotiques, cabaia "très répandu en hollandais à cause de son large usage à Java."18 L'influence de notre langue en Orient a été étudiée, entre autres, par H. Schu-chardt, Yule et Burnell, Murakami19, des étrangers, A. R. Gonçalves Viana, Monseigneur Dalgado et David Lopes, des Portugais. On se rend compte par les livres de 16 A Expansâo da Lingua Portuguesa no Oriente nos Séculos XVI, XVII e XVIII, Barcelos, 1936. 17 D'après Leite de Vasconcelos, ouvrage cité. 18 Cf. José Pedro Machado, Comentarios a Alguns Arabismos do Dicionário de Nascentes, Lisbonne, 1940, p. 72. 19 The influence of early intercourse with Europe on the Japanese language, Tokyo, 1906. Ill ces savants que la langue portugaise a été, pendant plus de trois siècles, le moyen de communication entre les peuples orientaux et les Européens, ainsi qu'entre les premiers, lorsqu'ils parlaient des idiomes différents, et entre les seconds, lorsque, dans le même cas, ils voyageaient en Orient ou s'y établissaient. Monseigneur Dalgado a étudié l'influence du vocabulaire portugais sur environ cinquante langues asiatiques, dans un ouvrage pas encore surpassé, quoique David Lopes ait corrigé ses données sur l'un ou l'autre point. Auparavant, Gonçalves Viana20 avait étudié l'influence portugaise sur quelques langues, comme le japonais et, surtout, le malais. Schuchardt21 avait traité spécialement des créoles portugais et Yule et Burnell22 de l'indo-anglais, où ils ont montré une remarquable influence portugaise. D'après Dalgado23, la matière où cette influence s'est fait le plus sentir et les motifs qui ont le plus agi sur son admission peuvent se réduire aux catégories suivantes: 1. La religion chrétienne (des termes comme cruz 'croix', igreja 'église', papa 'pape'). 2. La nouvelle civilisation (botâo 'bouton', camisa 'chemise', cadeira 'chaise'). 3. L'introduction de nouvelles plantes (ananás 'ananas', papaia 'papaye', tabaco 'tabac'). 4. L'ennoblissement de personnes et de choses (mestre 'maître', louvado 'expert',pâo 'pain'). 5. L'énonciation simple (ama 'nourrice', bacia 'cuvette', leilâo 'enchères'). 6. La fascination de certains mots (buraco 'trou', paga 'paye', ponta 'pointe'). 7. Vocables asiatiques introduits de l'indo-portugais (chita 'indienne', pires 'soucoupe', rota 'canne). D'accord avec l'oeuvre de Monseigneur Dalgado, sont passés dans les langues asiatiques les quantités de vocables portugais ci-dessous indiquées, en excluant les douteux: achinois (Sumatra), 41; annamite, 11; arabe, 47; assamais (Assam, dans la vallée du Brahmapoutre), 32; balinais, 13; batave, 9; bate (Sumatra), 19; bengali, 67; birman, 5; bugui (Gélèbes), 101; cambodgien, 24; kanara, 84; chinois, 2; conca-ni, 1752; dayak (Borneo), 29; galoli (Timor), 427; garo (partie de la vallée d'Assam), 26; guzarate, 96; hindi, 46; hindoustani, 98; indo-français, 62; indo-anglais, 172; japonais, 80; javanais, 82; cachemirien, 4; cassi (frontière sud de la vallée d'Assam), 30; lascari-hindoustani, 82; macassar (Célèbes), 78; madourais (Madoura), 39; malais, 396; malayala (Inde), 20; marate, 105; moluquois, 16; népalais, 11; nicobarais, 24; oria (Inde), 25; pendjabi, 23; persan, 14; pidgin-English, 11; rabbin, 4; siamois, 21; sindhi (Inde), 26; cingalais (Ceylan), 98; sondanais (Java), 89; tamoul (Inde), 20 Palestras Filolójicas, 2e éd., Lisbonne, 1931, pp. 190—194, et Vocabulario malaio derivado do portugués, in Revista Lusitana, VIII, pp. 4—28. 21 A ¡gemeines über das Indoportugiesische (Ve de ses Beiträge zur Kenntnis des Kreolischen romanisch), in Zeitschrift für romanische Philologie, XIII, 1889, pp. 476—524, et Kreolischen Studien, 1—3, Vienne, 1882—1891. 22 Hobson-Jobson, A Glossary of Colloquial Anglo-Indian words and phrases, and of Kindred terms, etymological historical, geographical and discursive by Col. Henry Yule [...] and A. C. Bu'rnell. New Edition edited by William Crooke [...], Londres, 1903. 23 Influencia, pp. XVIII—XXIX. 112 168; télegu (Inde), 76; tète (Timor), 773; tibétain, 1; tonkinois, 3; toulou (district de Canara), 83; turc, 4. Dalgado inclut également le malgache (Madagascar), avec 21 vocables, quoiqu'il soit parlé en Afrique. Si l'on excepte le concani, langue de Goa, le galoli et le tète, langues de Timor, donc ex- provinces portugaises d'outremer, la langue orientale qui est allée chercher le plus de mots au portugais c'est le malais. David Lopes remarque que quelques-unes de ces langues de l'Inde, telles que le hindi, le pendjabi, le népali, l'assamais, et, hors de l'Inde, le tibétain, n'ont pas reçu directement le vocabulaire portugais, parce qu'elles sont parlées loin de la côte et, partant, de l'action portugaise. C'est donc, ajoute-t-il, par l'intermédiaire d'autres langues que les vocables portugais y sont arrivés. D'autre part, il montre que ces chiffres ne méritent pas toujours confiance, quoiqu'ils puissent servir de base à des études spécialisées de l'influence portugaise sur chaque langue séparément. Le japonais, par exemple, langue dont nous nous sommes nous-mêmes déjà occupés, a emprunté plus de cent mots au portugais.24 Dalgado écrit encore que la généralité des mots empruntés par les Orientaux à la langue portugaise est constituée par des noms; les verbes sont peu adaptables, mais on en trouve beaucoup en concani et dans la famille malaise; quelques adjectifs apparaissent aussi, parfois adverbialement, tandis que les mots invariables ne sont entrés que dans le groupe malais, à l'exception de contra 'contre' en concani. Il est évident que les transformations phonétiques subies par le vocabulaire portugais dans les différentes langues asiatiques rendent cette étude très difficile et, par conséquent, méconnaissables de nombreux mots portugais pour qui ne soit pas au courant de ces phénomènes propres à chaque idiome. Gonçalves Viana a étudié soigneusement le passage des termes portugais dans le malais, et aussi un peu dans le japonais. 24 L'influence de la Langue Portugaise sur le Vocabulaire Japonais, in Actes du Xe Congrès des Linguistes, Bucarest, 1970. 113 Povzetek LEKSIKALNI VPLIVI PORTUGALŠČINE Avtor daje pregled portugalskih besedi, ki so postale last evropskih in nekaterih neevropskih besednjakov. Večinoma gre za kulturne tujke, znane tudi slovensščini; nekaj jih je res portugalskih, takih, ki so zaradi aktualnosti v neki dobi prodrle na tuje, kot npr. barok, bajadera, kobra, avtodafe; druge so iz Novega sveta, pri čigar odkrivanju je Portugalska bitno sodelovala, zato ne preseneča, da je portugalščina iz amerindijskih jezikov posredovala izraze kot atlas 'satin', banana, bambus, topinambur. Največ portugalskih izrazov je seveda v španščini. Ponajvečkrat gre za latinske besede, ki pa s svojo glasovno podobo kažejo, da ne morejo biti španske: šp. afeitar, lat. AFECTARE ni razložljivo iz španske fonetike; tam doživlja soglasniška skupina -KT- svojsko palatizacijo (prim. lat. OCTO, pt. oito, šp. [očo]); glagol achubascarse 'z deževnimi oblaki prevleči', (za nebo): lat. PLUVIA je šp. lluvia neposreden vir za glagol pa je nedvomno pt. chuva [šuva]. Večkrat gre za pomenske premike: pt. menina je v šp. pomensko zožena v 'spletično, princesino družico'; šp. soledad 'samota' poprime melanholično-romantični pomen pod vplivom pt. saudad 'tiha bol, svetobolje'. Jezikovno zanimivi so tudi portugalski vplivi na jezik evropskih Judov: pred zadnjo vojno so v se-vernonemških mestih registrirali hibridni Rezabuch 'molitvenik' (rezar 'moliti'); tudi tvorba ni romanska. 114 Muhamed Nezirovic, Sarajevo 806.0/914.971.5 EL CANCIONERO DE LOS ROMANCES JUDEO-ESPAÑOLES DE SARAJEVO DE LAURA PAPO-BOJORETA Los autores e investigadores europeos e americanos que se han ocupado desde principios de este siglo hasta nuestros días del fenómeno de los romances sefardíes de Bosnia, país en el cual vivía antes de la última Guerra Mundial una población judía muy activa y muy importante que Manuel Ortega, en esta época presidente de la Federación de las Asociaciones Sefardíes de Marruecos, caracterizaba en 1930 en estos términos: "Precisamente el grupo de Sefardíes de Sarajevo es uno de los que nos ha preocupado en todo momento por su situación privilegiada en el eje de las corrientes culturales del Oriente europeo, donde tan alto colocan el pabellón de la cultura hispana que ellos formaron en su mayor parte''1, citan entre los colectores de esta poesía bien a los judíos originarios de Bosnia como Dan S. Albachary, Maurice Levi o Kalmi Baruch, bien a los extranjeros como Leo Wiener, Manuel Manrique de Lara o Cynthia Crews. Ellos, sin embargo, omiten el nombre de una mujer bosníaca, Laura Papo-Bojoreta, que tiene un lugar destacado en la literatura judeo-española de Yugoslavia no solamente como autora de unas obras literarias de gran valor, sino también como coleccionadora de los romances judíos de su país natal. Esta omisión de su nombre por parte de los eruditos y críticos modernos se debe principalmente a dos razones. La primera es que su pequeño Cancionero quedó en su mayor parte inédito — solamente seis de estos romances recogidos fueron publicados en 1933 por Kalmi Baruch en su artículo redactado en serbo-croata2 — y por 1 Estas palabras se hallan en una carta dirigida a Alberto Atias de Sarajevo y publicada en el periódico Jevrejski glas (La Voz Judía) del 7 marzo 1930. 2 Este artículo de Kalmi Baruch titulado Spanske romanse bosanskih Jevreja (Los romances españoles de los judíos bosníacos) se halla en el Godisnjak Benevolencije i Potpore (Anuario de la Benevolencia y del Socorro), Sarajevo-Belgrado 5694-1933, págs. 272—288. Este artículo fue reimprimido dos veces después de la Segunda Guerra Mundial, la primera, en el libro, Kalmi Baruch Eseji i clanci (Ensayos y artículos), Sarajevo 1952, págs. 183—204; la segunda, Idem, Izbrana djela (Obras escogidas), Sarajevo 1972, pags. 300—322. El artículo fue traducido en inglés bajo el titulo Spanish Ballads of the Bosnians Jews y publicado en el libro Judeo-Spanish Ballads from Bosnia de S. G. Armistead y J. H. Silverman (Philadelphia 1971), pags. 35—58. K. Baruch menciona dos veces el nombre de nuestra colectora, al principio de su artículo, cuando dice: —llevamos aquí la traducción inglesa de su texto — "I would like to stress that this material was generously presented to me by Mrs. Laura Papo, a wellknown figure in the community and undoubtedly one of the outstanding conoisseurs of the Sephardic oral tradition in Bosnia." y al final, cuando concluye: ''/ have used, as already mentioned, the materials that I myself own, as well as those provided for me by Mrs. Laura Papo. Once more I thank her for her cooperation and kind assistance." Págs, 35 y 58 del libro de S. G. Armistead y J. H. Silverman. K.Baruch ha insertado en su artículo seis de los diez romances que Laura Papo-Bojoreta habiá puesto en su Cancionero (Lavrando estaba la reyna,-Don Vergile, Silvana, Morenica, Mauricos, los mis Mauricos, Segadores). Estimamos que en adelante se debe hablar del Cancionero de Sarajevo de Laura Papo-Bojoreta como de un manantial muy importante del Romancero sefardí de Bosnia, y dar de esta manera a esta mujer el lugar que merece con razón. 115 tanto fue ignorado tanto por el gran público como por los investigadores del romancero judeo-español. La segunda razón radica en el hecho de que todos los que han escrito sobre la vida y obra literaria de Laura Papo-Boj oreta han impreso sus artículos en serbo-croata, haciéndolos así difícilmente accesibles, a causa de la escasa difusión de este idioma entre la mayoría de los que se interesaban en esta materia. Laura Papo-Boj oreta nació el quince de marzo de 1891 en Sarajevo y murió trágicamente en 1941 en su ciudad natal durante las persecuciones nazis. Pasó una parte de su niñez en Estambul y se formó bajo la influencia de la cultura francesa — terminó la escuela de l'Alliance Française en 1928 en Paris — pero, profundamente bosníaca, es la mejor descriptora de la vida y de los costumbres de los judíos sefardíes de Bosnia. Fue conocida en la época entre las dos Guerras Mundiales, sobre todo en el ambiente judío, como la autora de unas obras teatrales que habían conocido un gran éxito entre el publico sefardí de Sarajevo y Belgrado y de algunos cuentos, impresos de vez en cuando en los dos periódicos sefardíes de este tiempo publicados en Sarajevo en serbo-croata pero que llevaban algunas veces artículos escritos en judeo-español de Bosnia.3 Laura Papo-Boj oreta fue en su juventud una colectora apasionada de los romances judeo-españoles de Bosnia y como todos los compiladores de esta materia se había entregado con mucha paciencia y gran amor a su trabajo. Se estima que nuestra colectora recogió en 1917 un total de diez romances que había oído de cuatro mujeres sefardíes de su ciudad natal (Flora Abinum, Señora Eskenazy, Esther Levi, Gioia Theodorus Levi). Esta opinión sobre el número de romances anotados por Laura Papo-Bojoreta debe ser como veremos dentro de poco revisada. Este pequeño Cancionero no fue jamas íntegramente publicado4 y con más razón quedó desconocido en los círculos científicos extranjeros. Recientemente Samuel G. Armi-stead y Joseph H. Silverman han llevado a cabo esta tarea.5 Parece que después del final de la Primera Guerra Mundial Laura Papo-Bojoreta no coleccionó más estos romances, con excepción de un solo caso que podemos fechar en agosto del año 1928, cuando nuestra autora, en este momento alumna de l'Alliance Française en París, transcribió en una carta el romance de Amadil, con la intención de enviarlo a alguien en la capital francesa cuyo nombre no menciona. La carta de que hablamos, conservada hoy en el Archivo de la ciudad de Sarajevo muestra bien que Laura Papo-Bojoreta no se desinteresaba de ningún modo del romancero. Ella escribe en este pliego destinado sin ninguna duda a uno de sus profesores parisienses: 3 Se trata de dos periódicos Jevrejski život (La-Vida Judía) Sarajevo, 1924—1927 y Jevrejski glas (La Voz Judía) Sarajevo 1928—1941. 4 Veáse nuestra nota n° 2. 5 Se trata de la traducción inglesa del artículo de K. Baruch en el cual son insertados seis romances recogidos por Laura Papo-Bojoreta. 116 Mi muy Señor mío Deseo comunicar a Usted este facto, que onde nosotros se cantan romances de la idat media. A uno de sus colegas tengo de remeter mi chico romancero que recoge en mis dias jobenes, porque onde nosotros durmen estos tresores defolklor. Sé muy bien que, en Francia uno tiene senso entendimiento para todo loque es hermoso. Si a Usted le pueden gustar estos cantares anticos, volveré a mi casa le envierra a Usted mis romances. Agradesca Usted saludos respetuosos de su alumna Laura Papo La herencia de Laura Papo-Boj oreta es conservada en el Archivo de la ciudad de Sarajevo. Su hermana, la señora Blanca Papo de Kujic, ha cedido después de la Segunda Guerra Mundial todas las obras de la Boj oreta a esta institución de su ciudad natal. En esta herencia se halla precisamente este pequeño Cancionero de diez romances de que hemos hablado. Como acabamos de decir algunos de estos rom-nances no fueron jamás publicados, pero los títulos de todos los romances del Cancionero eran conocidos y citados por algunos de los investigadores y autores. Estos diez textos serán impresos en el libro El Romancero judeo-español de Samuel Ela-zar, que aparecerá dentro de poco en las ediciones de la casa editorial Svjetlost de Sarajevo. Una nueva circunstancia — felix casus — nos permitió hallar otros seis nuevos romances anotados por Laura Papo-Boj oreta y enriquecer de este modo su pequeño Cancionero. A saber la señora Gordana Kujic, escritora también, hija de la primera donadora Doña Blanca Papo de Kujic, hizo a través de Doña Rikiza Ovadia, una nueva donación al Archivo de la ciudad de Sarajevo, que consiste en dos cuadernos escritos por la mano de Laura Papo-Boj oreta que hemos leído recientemente. Uno contiene algunos capítulos de su obra también inédita La Mujer sefardí de Bosna y otro que nos interesa mucho más en este momento, escrito en 1917 parcialmente en judeo-español, parcialmente en alemán. Este cuaderno engloba entre otras anotaciones y artículos estos romances inéditos cuyas versiones fueron completamente desconocidas hasta nuestra reciente lectura (La Hermosica, Paseándose Róndale, El Raptor perdiosero, Cabalgata de Peranzules, Don Beso y su hermana y Hermanas reina y cautiva (otra versión). El cuaderno representa la primera anotación escrita al dictado no solamente de los romances que hemos descubierto, sino también de los ya conocidos por lo menos de nombre o editados por Kalmi Baruch (Pasease hija Silvana, Labrando estaba la reyna, Morenica me yamarí). La libreta contiene, como acabamos de decir, otros seis romances anotados al mismo tiempo por Laura Papo-Boj oreta, pero que no han entrado por alguna razón que nos queda desconocida en la selección de la colectora. 117 Cuatro de esos seis romances fueron recitados o cantados por Gioia Theodorus Levi, recitadora más frecuente de la Bojoreta, mientras los otros dos quedaron sin nombre de las informadoras. Los romances del Cancionero de Laura Papo-Bojoreta son, como testigos del pasado de la comunidad judía de Bosnia, a nuestro juicio, de gran valor artístico y de gran intéres científico no solamente a causa de su longitud — algunos también de su rareza — sino también y ante todo de su bellezza. Por estos motivos nos llevamos estos romances reunidos por primera vez y se los ofrecemos al público científico, siguiendo así la pauta del gran maestro de la Romanística Don Ramón Menéndez Pi-dal, que subraya la necesidad de colectar estos romances en los términos siguientes: ''Promover y facilitar la búsqueda y publicación de nuevas variantes que vengan a completar el conocimiento de la tradición de los judíos españoles, antigua y venerable más que la cualquier región donde se habla nuestro idioma, y, por lo tanto, valiosa como ninguna para la compilación del Romancero general español."* Al mismo tiempo nos inclinamos ante la figura de esta mujer trágicamente desparecida, a la cual debe tanto la cultura y la literatura sefardíes de Yugoslavia. Estamos seguros de que este pequeño Cancionero de los romances judeoespañoles de Sarajevo recogido por Laura Papo-Boj oreta puede representar una nueva contribución al fondo ya existente de los romances judeo-españoles, una nueva piedra, si bien modesta, en el precioso mosaico del Romancero sefardí mundial. EL CANCIONERO DE SARAJEVO DE LAURA PAPO-BOJORETA a) Los romances que Laura Papo-Boj oreta ha insertado en su Cancionero Sarajevo 29. I. 1917. LABRANDO ESTABA LA REYNA [Catálogo Menéndez Pidal 83] Labrando estaba la reyna, labrando en su vergel Agujica d'oro en mano, ecribanica de marphyl. Sintió batir a la puerta, dejo todo y hue a abrir. Media puerta dejó abierta y media dejó por abrir. 5 A l'entrada de la puerta l'amataba el candil. Lo que es esto el peligrino, non cale que hagas ansi. — A mi me guelen los ojíeos non los so cadir de arbir. Tomólo mano por mano y ariba lo subió, Le labóle pies y manos con agua de turundji 6 R. Menéndez Pidal, Los Romances de América y otros estudios, Coléccion Austral, Espasa-Calpe, Madrid 1972, p. 114. 118 10 Metióle mesa de oro onde el rey hue a comer, Hácele cama de pluma y onde el rey hue a dormir. Ya pasó de la media noche, non se abolta para qui. — Lo que esto el peligrino, non cale que agas ansi, Si tienes miedo del rey, lonje él esta de aquí. — 15 Ahi lo maten los leones y las nueVas nos venga aquí. — — Ah, si llegaré hasta la mañana te cortare un buen vestir. La gargantera de kermezín...................... Yamaréis al pelegrino que escape de él a ti, Yamaréis a padre y madre que te escapen de aquí. 20 Ya llegó a la mañana y le cortó un buen vestir. Flora Abinum, 46 años, de Sarajevo DON VERGILE Catálogo Menéndez Pidal 46 Mal grado se iya don Virgile, por los palacios del Rey, Por amar a una muchacha que se llamaba Záide. Ni más alta ni mas baja, subrina era del rey. Tanto era el mal que hacia que oidos del rey hue. 5 Aquí, aquí la mi gente los que del mi pan coméis, Tomaldo a don Virgile a la cárcel lo metéis, Ni le daréis de comer ni le daréis agua beber Y las yabis de la cárcel a mi mi las trayirés. — Pasan días vienin días ninguno dimanda por él, 10 Su madre la disdichada cada día lo ia a ver. I un día di los días a la mesa se hue el rey. Diciendo estaba el rey la messa vidu vinir una mujer Vestida ia di pretu di caveza hasta los pies. Preguntó el rey a su gente, quien era esta mujer. 15 Madre es di don Virgile que a la cárcel lo tenéis. 'Presto digamos la messa y vamos a comer Y dumpués que ya comemos a don Virgile iremos a ver. — Saltó la reina y dijó: — Yo non comiré sin él, — Pues que a la reyna le place y a la mi gente también. — 20 — Buenos días, don Virgile. — Buenos días, señor rey. — — ¿Qué te parece, don Virgile por las cárceles del rey? — Bien me parece, señor rey, bien me parece y bien es, Cuando yo entrí en la cárcel barva me empesó a crecer. Ahora, por mis pecados me se empesó a enblanquecer. 25 Siete años que esto en la cárcel, tres manca para dies Pues que al señor rey le place, los cumpliré todos tres. — — Por esta palabra don Virgile, de la cárcel saliréis. Aquí, aquí la mi gente, los que de mi pan coméis, 119 30 Tumaldo a don Virgile, de la cárcel lo quitaréis Lavaldo, arapaldo, vistilde paños de rey, Duspués que lo vistieréis con Zai'dé lo casaréis. Señora Eskenazy, 35 años SILVANA /Catálogo Menéndez Pidal 98/ Pasearse ía Silvana por el vergel que él tenía, Si te place hija Silvana, si te place de ser esta noche mía. Bien me place el rey, mi padre, mi place y me es cortesía. Grito da hija Silvana que el cielo aborracaba. 5 Oió la reyna, su madre, de altas tores ahi arriba. — ¿Qué es esto hija Silvana, qué es esto la hija mía? — — Vergüensa del rey mi padre, vergüensa que yo tenía. — — Non llores hija Silvana, non llores hija mía, Trocaremos los vistidos de sayo hasta carniza. — 10 Ya pasó de la media noche . ..................... Non es ésta la hija Silvana, non es ésta la hija mía. Flora Abinum M O R E N I C A Tres hermanicas eran, tres hermanicas son. Las dos eran casadas, la chica a la perdición Ah, morenica y sabrosica y mi cara de flor. Su padre por vergüensa a Francia la mandó, 5 En medio de mares, castillos le fraguó. Ah, morenica, ah, morenica y sabrosica Y mi cara de flor. En medio de mares, castillos le fraguó De piedra y de cal, ventanas al deredor. 10 Morenica, morenica y sabrosica Y mi cara de flor. Varón que esto sintía a dañar se hecho Danando y navigando yamando cara de flor. Morenica, morenica y sabrosica 15 Y mi cara de flor. Morena durmiendo, la boz le coneció, Le echó sus trensados arriva lo asubió. Ah, morenica, ah, morenica sabrosica Y ma cara de flor. Esther Levi, 46 años DON BESO /Catálogo Menéndez Pidal 68/ Quien madre no tiene Mucho la desea, Yo que la tenía Por tierras ajenas. 5 Sola se vistía Sola se calzaba Sola y asolada El parto le tomaba. Alevantéis mi conté, don Beso. 10 Alevantéis don Beso, Que a la madre vuestra A llamar la vayas, Que a la Luz-del-día El parto le tomaría. 15 Ya se alabanta el conde Ya se alebanta y se iva A la media noche Onde su madre batía. — ¿Quien es este malo, 20 Quien es este pero, Que a talas horas A mi puerta bate? — — Non soy ningún pero Non soy ningún malo, 25 Si non soy su hijo que a yamar la vengo Que a la Luz-del- día El parto le tomaría. — Esto que sintió su madre 30 Hue a la salera Ensombró sal Por la su nuera: — Cuando esta sal Hechara hojas 35 Estonces mi nuera Este entre las dichosas. Cuando esta sal Va hechar hijos Estonces mi nuera 40 Ella para el hijo — — Aunque mi sos madre 121 Si mi eras madrasta Con la espada que tengo La cabeza vos cortaba. — 45 — Pari vos, mi alma Parí vos, mi vista Que la madre mia Vinir non puedia. — — Si la madre vuestra 50 Vinir non quería Vanda onde la mia Luego ya venia. — Ya se alevanta el conde, Ya se alevanta y se iba 55 Al amanecer del día Onde su shuegra batía. — ¿Quien es este rey, Quien es este conde que a talas horas 60 A mi puerta bate? — — Non soy ningún rey, Non soy ningún conde Que soy vuestro yerno Que a yamar vos vengo 65 Que a la Luz-del-Día El parto le tomaría. — Esto que sintió su madre Se hue al gallinero — Como apañó presto esta gallina 70 Ansina para mi hija! — En medio del' camino Asuviendo una montaña, Sintió una campana Que por muerto sonaba. 75 ¿ Campañero, campanero, Por quien esta campanella? — — Por una manseba Que de parto moriría. — Esto que sintió su madre 80 De la montaña se hecharía. La madre y la hija Murieron en un día. Esther Levi [HERMANAS REINA Y CAUTIVA] /Catálogo Menéndez Pidal 48/ Mauricos, los mis Mauricos, los que para Francia iban, eos buscan una esciaba, una esciaba captiva. Ni queren de vanda grande, ni queren de via y via. Ya se llevan una esciaba y al rey se la trayían. 5 Ya se llevan una esciaba asigun demandarían. En medio de camino el rey y reina escontrarían. La reina estaba meldando y el rey estava escuchando A el rey la matarían, la rena se tomarían. La reyna come pichones y la esciaba macarones, 10 La reyna come gallinas, la esciaba taraínas, La reyna durme en plumas y la esciaba en las tavlas. Vinó tiempo, pasó tiempo, la reyna queda preñada, La reyna quedó preñada y la esciaba mejorada. La reyna parió una hija y la esciaba parió un hijo. 15 Las comadres hueron agudas trocaron las criaturas. — A la, nana y a la buba se durme esta criatura. Tu criada de mis pechos non nacida de mi tripa. Si eras mi criatura ¿que nombre yo te nombrava? Yo te nombrava Marqueta, nombre de una hermana mía, 20 Que es reyna d'Algeria........................ Un día de estos días pasó la rena por la cusina Le sintió esta cantica. Ven aquí tú, la mi esciaba, la mi esciaba captiva, Torna y canta me esta cantica que mucho me agradaría. 25 A las seas que tú dieras, tu eres hermana mía. Non llores tu la mi hermana, la mi hermana querida. Si al rey tú perderías yo a duques te daría. — As la nana, as la buba ya se trocan las criaturas. La reina se toma la hija y la esciaba a el hijo. Gioia Theodorus Levi, 65 años, de Sarajevo MORENA ME YAMAN Morena me yaman, yo blanca nací De pasear galana, mi color perdí. Morena me yama el hijo del rey Si otra ves mi yama, con él me iré. 5 Abajéis mi dama, si habéis de abajar Que la nave tengo sola me quero andar. 123 Y de aguica vanda, aronjan flechas Si son de amores, vengan derechas! /Esther Levi/ SEGADORES Catálogo Menéndez Pidal 108 El buen rey tiene una hija, una hija regalada Metióla en altas tores, metióla en altas tores Por tenelda, por tenelda bien guardada. Un día de las calores, un día de las calores, 5 Aparóse, aparóse a la ventana Tomó cuchiyo d'oro en su mano Por mundar, pur mundar una mansana. Por ahí pasaron segadores, por ahí pasaron segadores Que segan, que segan trigo y sebada. 10 Que me acogéis el mi trigo, el mi trigo y mi sevada. Si por aquí, non por debajo ahí, si por ahí de mis ventanas. Segador que esto sentía, ahi tomó la morada. Mandóle el rey yamar su padre con una, con una de sus esciabas Camino de ocho días, lo hico, lo hico en tres semanas. Gioia Theodorus Levi LA DONCELLA DE MARSILLA Catálogo Menéndez Pidal 139 En la ciudat de Marsilla ay una linda hermosica Se peñava, se afetava,......... Asubi, avri mansevico. Bevremos, gozaremos. Beva, sola asolada. Me dejo servir, yo con mi galana yir Que yo con la de Francia me quero yir. 5 Si tu vias las mis caras, masapan y almendradas En el huego serán quamadas Me dejo servir — que yo con mi galana me quero yir que yo con la de Francia me quero jir. Si tu vias mis cabellos a tan largos que los tengo 10 con eos seas enforcada. Me dejo servir — que yo con mi galana me quero yir Que yo con la de Francia me quero yir. 124 Si tu vias los mis pechos, mansanas asucaradas Con eas seas aogada. 15 Me dejo servir — que yo con mi galana me puedo yir Que yo con la de Francia me quero yir. Vate, vate mansevico, que te coman los leones Maldición de puta vieja, non me alcanza a mi. Que yo con mi galana me quero a yir. 20 Que yo con la de Francia me vo a yir. El ganado topes muerto, tu mujer topes con otro, Palavras de puta vieja non mié alcanzan a mi. Que yo con la de Francia, me quero a yir. Aya hue el mansebico, todo topó al través 25 Al ganado topó muerto. Palabras de puta vieja hueren de creer Que yo con mi galana me vo a yir. Su mujer topó con otro, a sus hijicos al menester. Palabras de puta vieja hueron de creer. 30 Que yo a mi galana no puedo ver Que yo a la de Francia muerta quero ver.* /Gioia Theodorus Levi/ Sarajevo 31. Januar 1917. CARCELERO Carcelero por tu vida Que me quites de esta tore Y me lleves onde mi madre Que ondas tengo de muerte 5 Que me querían matar. Carcelero por piadat Cadenas le hue a quitar Pensó que hue por su bien Amá le hue por su mal * Además de ésta existe una oltra versión anotada en el cuaderno de Laura Papo-Bojoreta y la diferencia entre ellas reside únicamente en la primera estrofa: En la sivdat de Marsilja Ay una lind[a] hermosica Se peñava, se afetava Se asentava en la ventana Irme dejo servir Yo quon mi galana jir Que yo con la de Francia. 125 10 Metiólo en altas tores Más altas que la ciudat Siete portas ay a las tores bis Todas siete a un andaré bis La más chiquita de eas 15 Dava enriva del marí. Vidó vinir una gallera Navigando por el marí. Las velas que la velavan Eran d'un rico sandalia. 20 La piedra de la sevorna* Era d'un rico cristallí. Capitan que los guiyava Va cantando un bel cantarí. Asi bivas capitano 25 Que me quites de esta tore Y me yeves onde mi madre. Estas palabras diciendo La nave se hue a ondare. Mas vale fortuna en tiera 30 Que non bonansa en marí.7 Gioia Theodorus Levi b.) Los romances que hemos descubierto recientemente anotados por Laura Papo-Bojoreta que ella no ha insertado por alguna razón en su Cancionero: [LA HERMOSICA] Ayi arriva, mas arriva un pokitiko mas aya Ahi, ay una hermozica, hermoza en cantidat. Asi biva la nona vieza que me diga la verdat. Esta hermozica ke esta aqui enfrente 5 Es kazada o por kazar? Kazada es del buen rey. El marido non tiene aqui. Hue a trokar esa por plata i moneta en kantidat. Se hue a trokar una muía kosa por un kavajo gjogat.** /Sin nombre de la recitadora/ * Laura Papo dice en su nota en bajo de pagina que sevorna quiere decir: eine Art kleiner Schiffe in Spanien = serení. **Gjogat, palabra turca "caballo blanco". 7 K. Baruch en su edición de los romances anotados por Laura Papo-Bojoreta ha castellanizado la grafía de la anotacíon de la colectora. Restituimos los textos de estos romances siguiendo la grafía originaria de Laura Papo-Bojoreta. 126 [PASEANDO SE RONDALE] Paseando se Róndale Róndale por su vergel Que tenía, tenía. Falcon yeva en su mano 5 Falcon, falcon de la prima pluma Falcon de la prima pluma, la pluma. Diciendo, ija diciendo Diciendo, quien tuviera mi ayuda. Matar yo al rey de Francia, de Francia. 10 Con toda la gente suya, la mucha. Saltó la reyna y dijo, y dijo Yo staré en tu ayuda, ayuda. Yo en tu ayuda, ayuda. La reyna de Constantina, Constantina. Gioia Theodorus Levi [EL RAPTOR PORDIOSERO] Catálogo Menendez Pidal 92 Siete años anduve por la linda dama Non me la desan ver ni por oro ni por plata. Hiceme rumero de la Rumelia Hue le a su puerta limosna la petlia. 5 — Alevantes, mi hija, la mas chiquitica A dadle la limosna que de vos la petlia. — — Nunqua vide, madre, ansi un mal rumero Al dalde la limosna,me apretó el dedo.— — Siego esto, señora, que no veo gota 10 A palpos y palpones tomi la limosna. Mostré mes, señora, puertas del castillo.— Tomólo por la mano, mania de oro en brazo. El que se le vidó sola en el campo Besóla, abrasóla, la hecho en su cavállo. 15 — De dukus i condes yo hue demandada De un mal rumelo yo hue engañada. — — Yo no soy rumero de la rumelia Hijo soy de rey de Francia, de rey de peligra. — Vites, mis visinas, vites, que mancilla. 20 Vino un mal rumero me yevó a la hija. — Viniera uno, sovrina te jevará Que izo es di rey de Francia, de rey de peligra. Gioia Theodorus Levi 127 [CABALGATA DE PERANZULES] Catálogo Menéndez Pidal 54 Caminí por altas tores, navigi por las fortunas, Mirando guertas del rey como van enfloreciendo. Del envierno al envierno...................... Entre Sevilla y Segolle vide vinir un gran guerero 5 Que siete captivos traye, uno al otro travan remo; Los seis eran sus ermanos, su padre a la delantera. — Dami, tú, padri y ermanos y pésatelos a ducados. Dami, tú, padri y ermanos, pésatelos a dineros. Y si non me los queres dar, a las armas caballeros! — 10 A las armas, dijo el Moro, el guerero bien mas quere.— Tanto eran las espadas, sintillas salen por los sielos. Tanto eran la sangrari, rios van por la tiera. Abasta, abasta, el Maurico, el Maurico y el guerero. Darte yo padre y hermanos, pésartelos a ducados. Darte yo padre y hermanos pésartelos a dineros. 15 Darte yo el mi cavallo, para que vuygas legero, Para que digan la gente, biva, biva tal Maurico El Maurico y el guerero ....................... Pues que tan chico Maurico venció un tan gran guerero. /Sin nombre de la recitadora/ [DON BUESO Y SU HERMANA] Catálogo Menéndez Pidal 49 Alevantéis mi madre una de mañana Cuando alvoreiava y amanecía A lavar mi cara onde el sol salía. A lavar mi cara con agua jelada. 5 Por ahí pasó un mal Moro me cativaría. Tomedes, señora, esta linda cativa, Que esa en vuestro renado non hay mas garrida. Tomedes señora esta linda esclava Que en vuestro renado non hay más galana. 10 — Por loke yo quero esta linda cativa, El rey es mansevo, la tomará por amiga. Para que yo quero esta linda esclava El rey es mansevo, la tomará por amada.— — Mandalela, señora, a lavar al rio, Perderá colores, medrará sospiro. Guitalde, señora, al bever del vino 15 Perderá colores, medrará suspiros.— Cuanto más la güito al bever del vino Más se la resjende su color garrido. Ainda no es día, asi amanecía, Cuando la iza blanca hace la lisia. 20 Ainda non es dia, ni alvoreava Cuando la niña blanca ensugue la kulada. — Ayudedemes, el Dio alto y la madre que me paría De que piernas blancas en el agua yelada. Por ahi pasó un caballero que amores le prometía. 25 — Si ti place, la niña, haceme compañía? — — Bien me place, caballero, me place, y me convenía. Los paños del rey onde los dejaría? — — Los de seda y plata del rio abajo Los de perla y oro enriva mi cavajo.— 30 Ay campos, ay campos, campos de oliva Vos dejí chiquitos, vos topí crecidos. Ay campos de Granada! — Cuenta la buena gente, que llevas captivada, ¿La niña de onde conoces campos de oliva?— 35 Cuenta la buena gente que llevas captivada, ¿La niña de onde conoches campos de oliva? — Cuando el rey mi padre ensombró la oliva, Entonces los Mauros me cativarían. — ¿De onde conoces, la niña, campos de Granada? — 40 Estonces los Moros a mi me cativavan. — A las señas que tu dieras, tu sos la mi ermana. Avrades, mi padre, puertas del castillo Que en lugar de nuera hija vos aji traído. Avrad me, mi madre, puertas del palacio 45 Que en lugar de nuera hija yo vos traigo. — Si es la mi nuera, aji está el palacio Si es la mi iza venga a mi lado! Ya se abrasan, ya se bezan, ya quedan dezmayadas. Gioia Theodorus Levi 129 [HERMANAS REINA Y CAUTIVA] (otra versión) /Catálogo Menéndez Pidal 48/ No quieren de vanda baja, ni quieren de via en via Sino queren de dukes, que ducques, condes, ..................quen a duques seviría. Por eso medio del camino, un rey y rena escontrarían. 5 La reina estava meldando, el rey estava escuchando. Al el rey le matarían, a la rena se tomarían. La rena estava prenjada, y la esclava cativa. Ya le nace a la rena, ya le nace una hijica. Ya le nace a la esclava cativa, ya le nace un hijico. 10 Las comadres eran agudas.................... A la rena le dieron el ižo, a la esclava la hija. Ya la echan a la rena, cama en alto de parida. Ya la echan a la esclava en la sofá de la kusina. Ya le davan a la rena caldo de gordos pichones 15 Ya le davan kaldo de gordos makarones. — A la nana y a la buba, se durme esta kriatura. Kriada de los mis pechos, non nacida de mi tripa. Si tu eras mi hijica qué nombre yo te metía? Mitiola te yo Marketa, nombre de una ermana mia 20 ......................de una ermana muy querida. Un día de estos días, pasó la rena por la kusina, ......................le sentió esta kantika. — Ven aquí tú, la mi esclava, tú, la mi esclava kativa. Tome y cante esta cantica, que mucho me agradaría. 25 A las señas que tú dieras, tú eras ermana mia. — No yores tú, la mi hermana, la mi hermanica querida. Si al rey tu perderías, yo a dukes te daría. A la nana, a la buba, ya se trokan la kriatura. La rena se toma la iža y la esclava el ižo.8 Gioia Theodorus Levi EL CANCIONERO JUDOVSKO-ŠPANSKIH ROMANC IZ SARAJEVA LAURE PAPO-BOJORETA Laura Papo-Bojoreta, tragično preminula v letu 1941 kot žrtev nacističnega nasilja, je še pred prvo vojno zbrala nekaj deset romanc v judovski španščini svojega sefarditskega okolja v Bosni. Samo šest jih je bilo objavljenih pred drugo vojno. Njena zapuščina je ohranjena v Mestnem muzeju v Sarajevu in tam je bilo najdenih še nekaj nepoznanih romanc, oziroma variant že znanih. Za poznavanje judovske španščine, se pravi, kastiljščine pred klasično dobo 16. stoletja, je jezik romanc izjemnega pomena. Laura Papo-Bojoreta ha anotado los romances recogidos sin signos diacríticos. Anotamos estos signos en nuestro texto allí donde mancan. 130 Roxana Iordache Université de Bucarest CDU 807.35 MAMERTUS TENDANCES ORIGINALES DANS L'EMPLOI DE CERTAINS ÉLÉMENTS DU LATIN SCIENTIFIQUE ET DE CHANCELLERIE À LA BASSE ÉPOQUE, CHEZ CLAUDIEN MAMERTUS In memoriam optimae matris, Dominae Oîtiliae Iordache. Presbytérien à Vienne (en Gaule), dans la moitié du V-e siècle, Claudien Mamertus est bien connu par ses préoccupations de philosophe et d'orateur. Ses ouvrages en prose conservés (il s'agit des ouvrages sûrs de Claudien Mamertus: De statu animae, en trois livres, et des deux Epistulae, d'après l'édition d'Auguste G. Engelbrecht1) ont en général un style soigné, souvent emphatique, propre à l'éloquence et à la poésie. L'influence de Cicéron, de Lucrèce, de Virgile et surtout d'Apulée, mais aussi de nombreux autres écrivains contemporains ou bien éloignés y est assez évidente. À ce propos, une caractérisation correcte du vocabulaire de Claudien Mamertus se trouve dans A. Ebert, Geschichte der christlichlateinischen Literatur: „Das Werk {De statu animae) offenbart sich auch in der Kühnheit, womit Claudian aus dem Sprachschatz der fernen Vorzeit wie der Gegenwart schöpft, allerdings mit Verzicht auf Eleganz des Ausdrucks."2. Voici d'ailleurs les propres mots de Claudien Mamertus (dans sa lettre au rhéteur Sapaudus) au sujet des modèles stylistiques conseillés à son époque: „Naeuius et Plautus tibi ad elegan-tiam, Cato ad grauitatem, Varro ad peritiam, Gracchus ad acrimoniam, Chrysippus ad disciplinam, Fronto ad pompam, Cicero ad eloquentiam capessendam usui sint... illi ergo reuentilandi memoriaeque mandandi sunt, de quibus isti potuerepro-ficere, quos miramur." Cependant, bien que destinés aux catégories de gens cultivés, les ouvrages de Claudien Mamertus comportent de nombreux éléments de latin vulgaire, notamment dans les domaines de la syntaxe et du vocabulaire. Rappelons en ce sens (et ce à titre de dette contractée par Claudien Mamertus à l'endroit du latin vivant de son 1 Dans la collection „Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum", vol. XI, Vienne, 1885 (édition anastatique: New York, Johnson, 1966, XLIX). A propos de la paternité des ouvrages, voir la Préface d'Auguste Engelbrecht de l'édition citée, p. 48—49. 2 op. cit., Leipzig, 1874, p. 452. Pour d'autres précisions sur le style de Claudien Mamertus, voir Aug. Engelbrecht, Untersuchungen über die Sprache des Claudianus Mamertus, dans „Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in Wien", Vienne, 1885, pp. 431—32; ibid., pp. 435—36 etc. 131 époque) la construction de l'interrogative indirecte avec l'indicatif, l'emploi fréquent de la conjonction quia causale, l'usage des locutions in quantum et in tantum. Nous allons nous limiter, dans ce qui suit, à l'examen de l'emploi que fait Clau-dien Mamertus de l'adverbe tenus et de ses composés3. Précisons d'abord que tenus autant que sa famille comptent pour des mots importants dans le style scientifique et de chancellerie, de la Basse Latinité. Deux de ses composés, hactenus et serotinus, fréquents également dans le latin vulgaire, se sont conservés dans les langues romanes. Cela étant, l'étude de l'usage de tenus et de sa famille nous aide à mieux définir la latinité de Claudien Mamertus, en tant qu'écrivain et ecclésiastique.4 Prenons, pour commencer, la postposition tenvs, qui apparaît dans quatre exemples accompagnant un substantif à l'ablatif, selon la règle classique. Dans deux cas, tenus indique un sens spatial concret: „jusqu'à" (voir Stat. an., p. 144, 17 — II, 12: ,,iaere tenus... est"; ibid., p. 176, 1 — III, 11: „latere tenus adstrepuerit". Cfr Virg., Aen., X, 210: „laterum tenus"). Dans d'autres cas, tenus comporte un sens figuré, instrumental-restrictif: „pas plus loin que", „seulement d'après..." (emploi rare et plutôt prétentieux de cette postposition5). Voir Claudien Mamertus, Stat. an., p. 99, 3 — I, 27: „aliquibus (quaestionibus) superficie tenus adtactis"; ibid., p. 117, 1 — II, 5: „uerbo tenus" (ce dernier syntagme est d'ailleurs copié sur Cicéron, Leg., III, 14). Dans deux autres cas, tenus èst employé avec l'accusatif, construction fautive sur le modèle de ad, usque ad et usque. Le premier exemple de ce genre est postclassique, voir Valère Flaccus, I, 538, la construction avec l'accusatif demeurant d'ailleurs rare tout au long de la latinité6. Voici les exemples de Claudien Mamertus: a) Stat. an., p. 73, 6 — I, 21 : Jabrum tenus prolabitur" (Cfr Lucrèce: „labrorum tenus", Rer. nat., I, 940; le même exemple chez Lucrèce, IV, 15), b) Stat. an., p. 95, 1 3 Nous utilisons l'édition d'Auguste Engelbrecht, citée dans la note 1. 4 ii nous faut préciser que, dans l'étude, remarquable par ailleurs, d'Äug. Engelbrecht, Untersuchungen über die Sprache des Claudianus Mamertus (op. cit.), ne sont abordées que certaines innovations sur le plan de la formation de mots (tels eotenus, huccinetenus, adeotenus, itatenus) et cela d'une manière plus qu'incomplète (voir pp. 520—21). D'autres composés n'y sont que mentionnés (tels eate-nus, hactenus, nullatenus, ullatenus, aliquatenus) — op. cit., p. 521 — sans qu'il y ait nulle référence au contexte, à la valeur sémantique, syntaxique et stylistique, à leur fréquence chez Claudien Mamertus et chez d'autres auteurs de l'époque, voire aux raisons ayant conduit à l'usage plus ou moins large de tenus ou de tel autre compoie chez un auteur, dans un courant ou une époque. La conjonction quatenus, aux emplois divers autant qu'intéressants chez notre auteur, n'y est même pas mentionnée. Ajoutons encore que l'Index des mots qui clôt l'édition (citée note 1) d'Aug. Engelbrecht est incomplet. Pour l'adverbe ullatenus on indique deux exemples seulement au lieu de trois, etc. Précisons aussi que les composés de tenus, sauf la conjonction quatenus, composés et formations appartenant à divers auteurs et époques, n'ont été traités que de manière fort sporadique et insatisfaisante dans les divers traités de grammaire et dans les dictionnaires. C'est précisément Ces lacunes que nous tâchons de combler par nos études portant sur l'usage de tenus et de ses composés chez Cicéron, Jordanès et divers auteurs de la basse époque. 5 Voir R. Kühner — C. Stegmann, Ausführliche Grammatik der lateinischen Sprache, Hannovre, 1971, II — 1, p. 517, par. 96, point 2, c. 6 Voir J. B. Hofmann — A. Szantyr, Lateinische Grammatik, II (München, 1965), p. 2681; R. Kühner — C. Stegmann, op. cit., II — 1, p. 517", par 96, 3°. 132 — I, 26: „aurem tenus méat". Dans ces exemples, tenus indique le sens spatial concert „jusqu'à". D'ailleurs cela ressemble plutôt à une règle valant tout le long de la latinité et qui veut que tenus accompagnant un accusatif n'ait d'autre sens que spatial7. En tout cas, les deux exemples où tenus est construit avec l'accusatif se trouvent dans le premier livre de De statu animae. Tenus en postposition apparaît donc six fois, en tout, dans De statu animae (alors qu'il fait défaut dans Epistulae). L'emploi de tenus témoigne de l'aspiration de l'écrivain à un style élevé. En outre, six exemples c'est déjà beaucoup, par rapport aux auteurs classiques et tardifs (à comparer, naturellement, en termes absolus, ou relatifs, suivant l'étendue de chaque oeuvre concernée). Il est à remarquer que Cicéron lui-même use fort rarement de cette postposition: quatre exemples seulement dans tous ses ouvrages8. Quant à Lucrèce, il n'emploie tenus que deux fois, et chaque fois dans la même expression: „labrorum tenus" (voir les exemples cités ci-dessus)9. Chez César, tenus n'apparaît point10, alors que chez Quintillien on le rencontre une seule fois11. Bon nombre d'auteurs de l'époque tardive l'emploient rarement ou fort rarement, tels Lactance, Optace de Milève, Orose, Cassien etc., alors que chez bien d'autres, tel Turranius Rufin, tenus fait complètement défaut. Pour clore ce paragraphe consacré à la postposition tenus, rappelons que celle-ci indique parfois un sens figuré, instrumental — ce qui témoigne de la préciosité de l'auteur en question. Tenus apparaît encore dans une autre hypostase, à savoir celle où il accompagne un adverbe. En voici un exemple dans De statu animae: „Huccine tenus est humani uisus animi?" (p. 173, 20 — III, 11). L'effet stylistique du syntagme se trouve d'ailleurs renforcé par la formation expressive, à consonne géminée, huccine12. Un autre exemple du même genre apparaît toujours dans De statu animae: ,,...id est dicere: adeo tenus non est corpus anima, ut sit imago diuina." (p. 141, 910, ou II, 10). 7 Cfr. J. B. Hofmann — A. Szantyr, op. cit., II, p. 2681. 8 Pour ce qui est de la fréquence et des valeurs de tenus chez Cicéron, voir notre ouvrage El uso del adverbio „quatenus" en las obras de Cicéron, dans „Helmantica", vol. XXXVII (Salamanque, 1986), no 114, p. 12. 9 Voir Joh. Paulson, Index Lucretianus (Goetheburg — Leipzig, 1926. 2-éd.), p. 160. 10 Voir R. Kühner — C. Stegmann, Ausführliche Grammatik der lateinischen Sprache, op. cit., II — 1, p.517, par. 96, 2°. 11 Voir Ed. Bonnellus, Lexicon Quintilianeum (Hildesheim, 1962), p. 894. 12 Chez Claudien Mamertus on rencontre également haeccine — voir p. 48, 3. 133 Les expressions sont, sans doute, dans les deux cas pléonastiques, car hue, autant qu\adeo (notamment ce dernier) présentaient en clair le sens figure „à ce point", à un tel point". Les formules de ce genre sont fréquentes à la basse époque dans le latin vulgaire (mais aussi chez les auteurs cultivés, influencés par le latin vulgaire), voir, par exemple, l'emploi de la locution usque hactenus chez Jordanès (.Romana, 84 et Getica, 273), ou bien Itinerarium Antonini Placentini, p. 188; 17, ibid., p. 189, 8 (édition „C.S.E.L.", vol. XXXIX, Leipzig, 1898)13; voir encore la locution hactenus hue usque dans Servius, Aen., VI, 62, etc.14. Naturellement, pour rendre le sens „jusqu'à ce point", Claudien Mamertus pouvait toujours se servir des adverbes anciens: hue, eo, adeo, cependant, les formations en question ont, par rapport aux adverbes anciens (mono-, dis- et trisyllabi-ques) l'avantage non seulement d'une précision sémantique évidente, mais encore d'une expressivité artistique supérieure. Rappelons que huccine tenus, autant que adeo tenus apparaissent une seule fois. Adeo tenus est, selon toute probabilité, un a/rtag Aeyovievov ,création de Claudien Mamertus15. La nouvelle création suit, naturellement, le modèle de eo usque. Huccine tenus est elle aussi une innovation de Claudien Mamertus, et qui demeure une formation isolée, utilisée seulement par cet auteur16. Elle est formée sur le modèle de hue usque et hoc usque17. Il n'est point exclu que Claudien Mamertus ait tenté de créer une série de syntagmes: adeo tenus, huccine tenus, sur le modèle de la série qui existait déjà: adeo usque, hue usque, hoc usque. On se demande pourtant, en toute légitimité, pourquoi Claudien Mamertus s'attache à l'emploi de huccine tenus et de adeo tenus, alors que formations telles que eatenus18 et eo usque19 lui étaient bien familières? C'est, sans doute, par souci d'un style varié, Claudien Mamertus étant un inlassable chercheur de mots et d'expressions hautement suggestifs. D'autre part, une formation nouvelle (notamment avec tenus) était de nature à toucher davantage les lecteurs (ou les auditeurs). 13 Pour d'autres exemples de usque hactenus à la basse époque, voir Thesaurus linguae Latinae, VI — 3, fasc. 15 (Leipzig, Teubner, 1938), p. 2749, 80—84. 14 Voir Thesaurus linguae Latinae, VI — 3, fasc. 17 (Leipzig, 1942), p. 3071, 58—59. 15 Voir K. Georges — H. Georges, Ausführliches lateinisch-deutsches Handwörterbuch, I (Hannover — Leipzig, 1913; édition anastatique: Basel, 1962), p.114. Voir aussi Aug. Engelbrecht, Untersuchungen über die Sprache des Claudianus Mamertus, op. cit., p. 477. 16 Voir Thesaurus linguae Latinae, VI — 3, fasc. 17, op.cit., p. 3073, 82—83. 17 Pour hue usque et hoc usque, voir Thesaurus linguae Latinae, VI — 3, fasc. 17, op. cit., p. 3072, 27 sqq. et p. 3074, 4 sqq. 18 Pour eatenus, voir le propos qui suit immédiatement. 19 Pour eo usque, voir les exemples suivants chez Claudien Mamertus: Stat. an., p. 123, 3—4; ibid., p. 134, 10—12; p. 136, 12—13; p. 161, 6—8; p.187, 17 (donc, cinq exemples). 134 Voir, par ailleurs, l'emploi assez particulier de adeo tenus: au début d'une phrase qui frappe avec la force d'une sentence (voir l'exemple cité à la page précédente). Il est à remarquer à ce propos que, pour le sens de „jusqu'à ce point", on voit apparaître chez Claudien Mamertus d'autres formations nouvelles aussi: eotenus et itatenus (avec la variante ita tenus). Parmi ses innovations, un puissant relief stylistique semble comporter les formations de deux mots (où tenus ne fait pas corps avec l'adverbe antérieur). C'est pourquoi Claudien Mamertus crée et utilise, plus ou moins fréquemment, adeo tenus, huccine tenus et ita tenus. Cfr la graphie quando quidem — p. 44, 13, ou I, 6 (De statu animae). Nous allons aborder maintenant les composés proprement dits de tenus, rappelant d'abord le groupe formé de EATENVS et EOTENVS. Eatenus et eotenus n'apparaissent qu'avec le sens figuré: ,,â tel point", „tellement". Eatenus est assez fréquent chez Claudien Mamertus: on en compte dix exemples. D'ailleurs il y est deux fois plus frequent que eo usque (dont on trouve cinq exemples, voir note 19), la locution qui, chez Claudien Mamertus, fait principalement concurrence à eatenus pour le sens de „jusqu'à tel point" (car itatenus apparaît parfois avec le sens „ainsi"). D'ailleurs eo usque est bien répandu chez les auteurs tardifs20 et il s'est conservé en logoudorien21. On rencontre surtout eatenus en corrélation avec ut consécutif (dont quatre exemples, dans Stat. an., p. 63, 3—5, ou I, 17; ibid.., p. 85, 26 — p. 86, 1, ou I, 24; p. 123, 7—10, ou II, 7; p. 175, 16—17, ou III, 11). Eatenus apparaît ensuite en corrélation avec ut comparatif (deux exemples, dans De statu animae: p. 32,16—19, ou I, 3 et p. 115, 18—19, ou II, 5), avec quoad usque, avec le sens „dans la mesure où" (un seul exemple, Stat. an., p. 135, 7—9, ou II, 9) et enfin, avec si (un exemple, Stat. an., p. 47, 18—19, ou I, 8). Il est rare que eatenus apparaisse tout seul, sans être en corrélation avec une conjonction de subordination (voir Stat. an., 113, 9, ou II, 4; ibid., p. 141, 14, ou 10). Certaines corrélations de Claudien Mamertus semblent être inspirées de Cicé-ron, à savoir: „eatenus — ut consécutif" (Cicéron, Opt. gen., 23), ou bien „eatenus — quoad" (Cicéron, Leg., I, 14; ad Q. fr., I, 1, 11).22 Eotenus n'apparaît que deux fois et seulement en corrélation avec ut consécutif. Les deux exemples se trouvent dans De statu animae: 20 Quant à la fréquence de eo usque à la basse époque, voir Thesaurus linguae Latinae, VII — 2, fasc. 4 (Leipzig, 1967), p. 488, 69 sqq. 21 Voir Wilh. Meyer — Liibke, Romanisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, 1935, no. 2877. 22 Voir Thesaurus linguae Latinae, vol. V — 2 (Leipzig, 1910), p. 2, 51—52; ibid., p. 3, 4—6. 135 1. „... eotenus inplicatur23 errore, ut tamquam absens sibi se quaerat...", p. 84, 14 - I, 24; 2. „... eotenus religio conclamata est, ut... scientiae fructum capessat...", p. 122, 8—11, ou II, 7. Si eatenus est déjà attesté chez Cicéron24 et apparaît fréquemment à la basse époque25, eotenus est une création de Claudien Mamertus, étant d'un emploi extrêmement rare chez les auteurs postérieurs26. Eotenus apparaît chez Claudien Mamertus sur le modèle de eatenus et même de eo usque. Eotenus est bien peu utilisé par rapport à eatenus, étant cinq fois plus rare que ce dernier. En outre, Claudien Mamertus ne l'emploie qu'en corrélation avec ut consécutif. Mais pourquoi Claudien Mamertus a-t-il recours à eatenus et eotenus? Sans doute, pour gagner en preécision sémantique, autant qu'en expressivité artistique. En plus, il est à remarquer que, déjà lourds d'une force stylistique spéciale, ces adverbes bénéficient de positions privilégiées au niveau de la proposition ou de la phrase. Ainsi, eatenus est placé d'habitude au début de la proposition principale, ou au moins avant le verbe principal. Pour la position au début de la proposition principale, voir Stat. an., p.63, 3—5: „..., eatenus inest corpori, ut, sicut aqua utrem, minore sui parte minores partes eius inpleat27 et maiore maiores..."; voir aussi Stat. an., p. 135, 7—9. Il y a un exemple où eatenus est souligné au point de vue sémantique et stylistique par l'adverbe equidem, et cela dans une phrase faisant office de conclusion à la suite de démonstrations antérieures: ,JEatenus equidem ratio ponderis eo quod pendi potest cessante non interit et numerus finito numerabili non finitur." (Stat. an., p.113, 9—11). Pour ce qui est de la position de eotenus dans la phrase et dans sa propre proposition voir les exemples ci-dessus. Nous concluons ce paragraphe en précisant que les diverses formations de Claudien Mamertus significant „jusqu'à ce point", étrangères à la l'usage classique, 23 inplicatur pour implicatur. Conserver le préfixe in- sous sa forme de base est un souci constant chez Claudien ¡Mamertus (voir inplicabere — p. 199, 5, ou —Ep. I; inplebat — p. 162, 12, ou Stat. an., III, 6; inluminabile — p. 103, 19, ou Stat. an., II, 2, etc.). 24 Voir Thesaurus linguae Latinae, V — 2, op.cit., p. 2, 27 etc. 25 Voir Thesaurus linguae Latinae, V — 2, op. cit., p.3, 41 sqq.; ibid., p. 3, 59 sqq. etc. 26 Un seul exemple dans Jordanès, Getica, 30, et qui est, d'ailleurs, écrit en deux mots: eo tenus (d'après l'édition de Th. Mommsen, dans „Monumenta Germaniae histórica", V — 1, Hannovre, 1882; édition anastatique — Berlin, 1961). Au sujet des deux exemples de Claudien Mamertus et de l'unique exemple de eo tenus dans Jordanès, voir aussi Thesaurus linguae Latinae, V — 2, op. cit., p.651. 27 pour inpleat, voir note 23. 136 finissent par exclure totalement les adverbes hue et eo. Quant à l'adverbe adeo, celui-ci n'apparaît que dans un seul exemple (voir Stat. an., p. 54, 4). Nombreuses et utilisées alternativement, les formations significant „jusqu'à tel point", étrangères à l'usage classique, confèrent au texte un caractère fort varié. C'est dans les pages 122 et 123 de De statu animae qu'apparaissent eotenus (p. 122, 8), eo usque (p.123, 3) et eatenus (p. 123, 8). Un autre composé de tenus, présent chez Claudien Mamertus, c'est itatenvs. Innovation du même Claudien Mamertus, itatenus est relativement fréquent, il apparaît cinq fois. Il indique les sens suivants: „jusqu'à ce point", „tellement", „ainsi", „exactement ainsi". Itatenus est employé tantôt comme corrélatif de ut (ou uti2B) consécutif, tantôt comme corrélatif de sicut (ou sicuti) comparatif. Tous les exemples où apparaissent itatenus se trouvent dans De statu animae. Itatenus — corrélatif pour la proposition consécutive apparaît trois fois (p. 140, 13—14; p. 143, 15—19; p.171, 3—4), seulement dans les livres II et III, alors que itatenus — corrélatif pour la proposition comparative n'apparaît que deux fois (p. 149, 14—17; p. 151, 21—22), dans le chapitre 12 du deuxième livre. La graphie de itatenus est parfois ita tenus, par exemple dans les deux phrases où cet adverbe sert de corrélatif pour sicut comparatif. Voir, par exemple: ,,Ac per hoc ita tenus corporeum caelum... terra dicitur, sicut aquarum et aeris corpora... terra dicuntur..." (Stat. an., p. 149, 14—17, ou II, 12). On y remarque le sens de „exactement ainsi". Parmi les exemples où itatenus est corrélatif pour ut consécutif on compte un cas où celui-là est écrit en deux mots: ita tenus, alors que dans les autres cas tenus fait corps avec ita. Ecrit en deux mots et corrélatif de ut consécutif, ita tenus apparaît en fait en début de chapitre, assumant alors un rôle stylistique particulier: „Sana quippe catholicae fidei doctrina ita tenus... a mediis ad summa conscendit, ut ... in tertium caelum Pauli pedissequos rapiat..." (livre II, chap. 12 — p.143, 15—19). Ita tenus, écrit en deux mots, apparaît donc trois fois. Cependant, itatenus, en un seul mot, ne manque point d'expressivité artistique. Voici son emploi dans une principale d'exhortation de De statu animae-. „ ... duoque 28 Des graphies archaïsantes apparaissent fréquemment chez Claudien Mamertus, voir uti pour ut à la page 140, 14; p: 185, 5; voir ueluti pour uelut — p. 109, 1; 159, 13; 185, 6; 205, 13 etc.; sicuti pour sicut — p. 121, 2; 166, 7; 178, 9; 178, 21; 184, 6 etc. ista (spiritus et anima) itatenus uniantur, uti sint et sensu et uerbo indiscriminabilia..." (II, 10, ou p. 140, 13—14). Itatenus (ou ita tenus) est formé sur le modèle de illatenus (présent chez Marc Aurèle et Apulée29, ce dernier étant d'ailleurs l'un des principaux modèles de Clau-dien Mamertus) et de illactenus (employé par Aulu-Gelle)30, mais également sur le modèle de la série nullatenus et ullatenus (voir, pour ces derniers, notre propos qui suit immédiatement). D'ailleurs, compte tenu de la graphie de illatenus, nullatenus etc., nous sommes portée à croire que notre auteur a conçu itatenus comme un composé, plutôt que comme une formation en deux mots. Et, c'est pour des raisons de style que Claudien Mamertus se plaît parfois à l'écrire en deux mots (cfr. chez Clau-dien Mamertus, la graphie: quando quidem). Sans doute, l'emploi de itatenus est-il une tentative pour éviter les adverbes et les locutions ordinaires: adeo, tantum, in tantum (ce dernier, vulgaire), ita, sic, lesquels étaient fort nécessaires dans un ouvrage d'éloquence théologique (à savoir de théologie dogmatique). Signalons que itatenus est relativement fréquent chez Claudien Mamertus, par rapport à l'étendue de l'ouvrage De statu animae. Il y est même plus fréquent que d'autres formations en -tenus de son groupe d'adverbes composés indiquant le mode, tels que: nullatenus et ullatenus, bien que ces derniers soient plus anciens et assez répandus à l'epoque tardive. ' Claudien Mamertus a vraisemblablement voulu imposer aux langages scientifique, ecclésiastique, juridique et administratif aussi bien itatenus que d'autres formations adverbiales ou substantives. Cela étant, itatenus demeure une formation prétentieuse, en fait une complication inutile du langage, qui n 'a été reprise par aucun autre écrivain31. L'insuccès qui frappe itatenus tient principalement au fait que le latin vulgaire disposait d'adverbes et de locutions adverbiales bien vigoureux (voir, à ce titre, tantum et in tantum, hoc modo, isto modo) concurremment avec l'adverbe monosyllabique sic, lesquels s'imposeront aux auteurs de la Basse Latinité (Claudien Mamertus y compris). Peu fréquents chez Claudien Mamertus, nvllatenvs et vllatenvs y apparaissent, le premier quatre fois et le second, trois fois. 29 Voir Thesaurus linguae Latinae, VII — 1, fasc. 3 (Leipzig, 1936), p. 338, 56—60; voir aussi K. Georges — H. Georges, Ausführliches lateinisch-deutsches Handwörterbuch, II (Leipzig, 1918), p. 44 30 Voir Thesaurus linguae Latinae, VII — I, fasc. 3, op. cit., p. 336,4—6. Voir aussi J. B. Hofmann — A. Szantyr, Lateinische Grammatik, II, op. cit., p. 6412. 31 Voir Thesaurus linguae Latinae, VII — 2, fasc. 4 (Leipzig, Teubner, 1967), p. 532, 19—24, voir aussi Aug. Engelbrecht, Untersuchungen, op. cit., p. 479. 138 Vllatenus, composé plus récent de tenus (par rapport à nullatenus) et rarement employé à la basse époque (toujours par rapport à nullatenus)32, n'apparaît que dans le premier livre de De statu animae (voir 1,4 — p. 36,26; 1,21 — p. 78, 6—7; I, 25 — p. 92, 15—16), alors que les occurrences de nullatenus se trouvent dans les premier et deuxième livres et dans l'Epilogue de l'ouvrage De statu animae (voir 1,8 — p. 48, 2—3; I, 14 — p. 58, 2; II, 10 — p. 139, 19; Epilog. — p. 195, 2—3). Nullatenus présente chez Claudien Mamertus le sens usuel du bas latin, à savoir: „de nulle manière", „nullement". Quant à ullatenus, il apparaît d'habitude dans des propositions negatives, selon l'usage élégant des grands auteurs ecclésiastiques et des personnalités politiques de la basse époque, voir, à titre d'exemples: ,„ip-sam uero castam non dici ullatenus castitatem. " (p. 92, 15—16); voir, également, l'exemple de la page 78, 6—7. Il y a cependant une occurrence de ullatenus en proposition affirmative (p. 36, 26). Vllatenus, autant que nullatenus remplissent un rôle stylistique majeur dans les passages en question (voir l'occurrence de ullatenus ci-dessus, p. 92, 15—16), où apparaît une adnomination rhétorique33. Nullatenus apparaît dans le titre même d'un chapitre (I, 14), conférant à celui-ci un ton solennel: J^ullatenus spiritualia corporeis oculis uideri posse." Nullatenus et ullatenus demeurent cependant rares chez Claudien Mamertus. D'ailleurs ces composés n'apparaissent point dans les Lettres de notre écrivain, ce qui révèle une fois encore leur caractère prétentieux, artificiel. Tout enclin qu'il soit à la préciosité, Claudien Mamertus a pourtant recours, plus d'une fois, pour les sens en question, à d'autres adverbes ou locutions adverbiales. C'est ainsi que nullatenus subit la concurence de nullo modo (Stat. an., p. 178, 16) et surtout de nequaquam (Stat. an., p. 22, 11 etc. etc.). Vllatenus se trouve supplantée parquopacto (Stat. an., p. 25, 7 et 115, 2) et aliquopacto (p. 28, 3), quoquo pacto (Stat an., p. 89, 3) et quoquo modo (Stat. an., 111, 19; ibid., 178, 15) et, enfin, par quodam modo (Stat. an., 37, 7; ibid., p. 81, 5; p. 83, 1; p. 98, 6). Les autres composés de tenus présents chez Claudien Mamertus sont: HAC-TENVS et PROTINVS. Hactenus connaît quatre occurences, qu'on trouve toutes dans De statu animae (p.127, 18—19, ou II, 7; p. 133, 8—9, ou II, 9; p. 137, 14, ou II, 9; p. 172, 12—13, ou III, 11). A la différence d'autres auteurs tardifs34, Claudien Mamertus l'écrit toujours correctement avec aspirée. 32 Voir K. Georges — H. Georges, Ausführliches lateinisch-deutsches Handwörterbuch, II, op. cit., p. 3284; ibid., II, p. 1212; voir également J. B. Hofmann, Lateinische Umgangssprache, Heidelberg, 1926, par 77, p. 81. Voir aussi l'Index des mots des oeuvres de Cassien, dans „C. S. E. L.", XVII1, Prague — Vienne — Leipzig, 1888 etc. 33 L'adnomination est bien fréquente chez Claudien Mamertus. Voir, â ce sujet, l'Index des mots de l'édition d'Auguste Engelbrecht, op. cit., p. 215. 34 Sur huit exemples de hactenus dans les oeuvres de Jordanès y en a trois où hactenus apparaît sans aspirée (voir Romana, 84 et 196 et Getica, 273). 139 Dans tous ces exemples, hactenus indique un sens spatial-temporel: „jusqu'ici — jusqu'à présent (j'ai parlé de..., il a apporté des arguments sur...)", à savoir: ,Jiactenus quidem de animi incorporea atque inlocali uisione disserui...", Stat. an.., p. 172, 12—13. Dans certains cas, hactenus s'avère d'une force stylistique très marquée, se trouvant placé en début de proposition ou même de chapitre. Pour ce qui est de hactenus (renforcé par quidem) placé en début de chapitre, voir l'exemple cité tout à l'heure: Stat. an., p. 172, 12—13. Voici un autre exemple intéressant: „Sed hactenus satis Ambrosius, uel solus profecto sit satis, faxim tamen et aliis testificandi locum." (Stat. an., p. 133, 8—9), où l'on peut remarquer l'absence du verbe-copule argumentari. Claudien Mamertus semble s'inspirer, à propos de cet usage, de Cicé-ron, qui emploie hactenus même comme interjection jouant le rôle d'un verbe (voir Cicéron, Diu., II, 76: „nunc hactenus." — „maintenant, en voilà assez!"; voir également Cicéron, Brut., 52: „sed de Graecis hactenus." — „mais en voilà assez sur les Grecs."). Si le sens „jusqu'ici — jusqu'à present" de hactenus est bien fréquent à la basse époque35, ce qui frappe c'est sa rareté chez Claudien Mamertus. L'explication réside sans doute dans la rare nécessité du sens „jusqu'à présent" dans les oeuvres de Claudien Mamertus. On peut constater également que sens le „jusqu'à tel point" de hactenus, bien fréquent dans le bas latin36, y fait complètement défaut. Cela s'explique partiellement, chez Claudien Mamertus, par l'existence de plusieurs formations et composés nouveaux en -tenus, et cela en plus du vieil eatenus et du syntagme eo usque signifiant „à tel point". Cependant, l'usage peu fréquent de hactenus, par rapport à eatenus, vient à l'encontre de l'usage qu'en font les grands prosateurs latins37 et pourrait être consi- 35 Pour la fréquence de ce sens à l'epoque postclassique, voir F. Gaffiot, Dictionnaire illustré latin-français, Paris, 1934, p. 733; voir aussi K. Georges — H. Georges, Ausführliches lateinisch-deutsches Handwörterbuch, I, op. cit., p. 3001. Pour la fréquence de ce sens à l'époque tardive, voir Itinerarium Antonini Placentini, dans "C.S.E.L.", vol. XXXIX (Leipzig, 1898), p. 189, 8; voir aussi Thesaurus linguae Latinae, VI — 3, fase. 15 (Leipzig, 1938), p. 2749, 66 sqq. D'ailleurs hactenus s'est conservé en logoudorien (voir Wilh. Meyer-Lübke, R.E.W., op. cit., no. 3967). 36 Le sens "jusqu'à tel point" de hactenus est présent chez de nombreux auteurs tardifs, voir Epistulae imperatorum, pontificum, aliorum ab an. 367 usque ad an. 553, dans "C.S.E.L.", XXXV — 1 (Prague-Vienne-Leipzig, 1895), p. 57, 6. Voir aussi Jordanès, Romana, 196. Voir encore Thesaurus linguae Latinae, VI — 3, fase. 15, op. cit., p. 2751, 80 sqq. 37 Nous rappelons que Cicéron emploie, dans ses oeuvres, le composé hactenus 60 fois, tandis que pour eatenus il n'existe que 5 attestations (Sur la fréquence de hactenus et eatenus chez Cicéron voir notre étude:: El uso del adverbio "quatenus"en las obras de Cicerón, op. cit., p. 13). Quintilien utilise hactenus huit fois et eatenus, une seule fois (voir Ed. Bonnellus, Lexicon Quintilianeum, op. cit., p. 376 et 269.) Pline le Jeune et Apulée ignorent l'emploi de eatenus, mais ils utilisent hactenus (voir X. J. J. van Ooteghem, Index de Pline le Jeune, Namur, p. 365; voir Wil. Abbott Oldfather — H. Vernon Canter — B. E. Perry, Index Apuleianus, Middletown, 1934, p. 179). 140 déré comme une tendance novatrice de Claudien Mamertus, à savoir de réduire les sens des deux adverbes (hactenus et eatenus) et de procéder à leur spécialisation sémantique. Protinus, un composé fort ancien de tenus (déjà attesté chez Plaute38) connaît quatre occurrences, dont trois dans De statu animae et une seule dans Estitulae. Claudien Mamertus l'emploie avec le sens d'immédiatement", fort courrant à la basse époque. L'exemple figurant dans Epistulae est particulièrement important, du fait qu'il témoigne une fois de plus de la large diffusion de l'adverbe protinus dans le langage des hommes cultivés de l'epoque tardive. Quant à la position de protinus dans la proposition, il est à remarquer qu'il y bénéficie d'une place privilégiée, comme l'indique précisément cet exemple: „O si mihi de his loqui tecum... proueniret, .. .nonnulla tibi de meo iure concederem ne-que protinus de homine quaererem..." (Stat. an., p. 107, 13—15, ou II, 3). Voici aussi l'exemple tiré des Epistulae: „Quoniam si peccabis ultra reticendo, ego protinus ulciscar scribendo." (Ep., I — p. 199, 20—21). Rappelons encore que protinus, autant que le composé hactenus (examiné plus haut), formaient de parfaits dactyles, fait d'importance majeure pour le rhytme de la proposition en question. L'usage peu fréquent de protinus chez Claudien Mamertus s'explique par la non-nécessité du sens „immédiatement". L'adverbe classique statim, tout comme le vulgaire mox sont extrêmement rares chez Claudien Mamertus (chacun n'apparaissant qu'une seule fois: voir p. 178, ligne 26 pour statim et p. 181, ligne 14 pour mox). Par rapport à ces derniers, protinus est donc relativement frequent. Le dernier composé de tenus présent chez Claudien Mamertus c'est la conjonction qvatenvs. De par ses nombreuses occurrences (par rapport à d'autres composés) et ses différentes hypostases sémantiques-syntaxiques, quatenus est le composé le plus important de la famille de tenus à apparaître dans les ouvrages de Claudien Mamertus et des autres écrivains de la basse époque. Aussitôt la question se pose: Pourquoi Claudien Mamertus a-t-il recours à la conjonction quatenus? C'est que le style scientifique et de chancellerie de l'époque tardive connaissait, sans doute, l'usage de quatenus, usage favorisé par certains facteurs: premièrement quatenus présentait l'avantage d'une plus grande précision sémantique (y compris celui d'un corps phonetique plus large), par rapport à beau- 38 Voir K. Georges — H. Georges, Ausführliches lateinisch-deutsches Handwörterbuch, II, op. cit., p. 2036; voir G. Lodge, Lexicon Plautinum, Hildesheim, 1962, vol. II, p. 398. 141 coup d'autres conjonctions annciennes, surchargées de valeurs, usées et dépourves d'expressivité (tout d'abord par rapport à ut, cum, quoniam, qua et quant). D'autre part, quatenus, conjonction plus récente et ayant un nombre de valeurs sémantiques assez limité (du moins à l'époque classique et postclassique) n'exigeait pas de corrélatif. Quatenus était, parfois, préférée à d'autres conjonctions en raison aussi du caractère solennel qu'elle conférait à des passages contenant des exhortations. En voici un chez Claudien Mamertus: „ ...neque in societate eius (corporis), nisi quatenus ne-cesse est, animum dimittamus." (Stat. an., p. 126, 25—26, ou II, 7). Le fragment est d'ailleurs une traduction d'après Phaedon de Socrate (même préférence pour quatenus face à d'autres conjonctions chez Cicéron, dans ses traductions des philosophes grecs — voir Cicéron, 7ïm., 13, 46). Rappelons aussi que la conjonction quatenus formait un parfait dactyle. Des raisons stylistiques d'importance mineure commandent également le choix de la conjonction quatenus: si, par exemple, tel passage emploie plusieurs fois ut comparatif, consécutif et final, on a alors recours à quatenus (pour introduire une subordonnée comparative, finale ou consécutive), afin d'éviter la répétition de la conjonction ut (tel est le cas d'un passage deDestatu animae, p. 117, lignes 1—8, II, 5). D'autre fois, par l'emploi de la conjonction quatenus, on évite la répétition de la conjonction quantum. Quatenus n'est employé que dans De statu animae (alors que d'autres écrivains ecclésiastiques, tels les évêques Fauste de Riez et Magnus Félix Ennode, à qui quatenus est familier, l'emploient couramment même dans les Épitres39). Il apparaît quatre fois dans le troisième livre, deux fois dans le deuxième et une seule fois dans le premier (avec une valeur habituelle). Ses différentes hypostases sémantico- syntaxiques apparaissant chez Claudien Mamertus se présentent comme suit: a) propositions interrogatives indirectes — quatre exemples (dont trois construits avec le subjonctif: p.159, 18—19, ou III, 3; p. 177, 15—16, ou III, 12; p. 179, 10, ou III, 13; et un autre avec l'indicatif: p. 69, 1, ou I, 19); b) proposition restrictive avec l'indicatif — un seul exemple, p. 126, 25—26, ou II, 7 (voir l'exemple cité plus haut); c) proposition comparative-concessive, avec l'indicatif — un exemple, p. 182, 12—13, ou III, 14. d) proposition finale, avec le subjonctif — un seul exemple, p. 117, 5—8, ou 11, 5. L'influence de Cicéron apparaît évidente dans l'emploi de quatenus introduisant des interrogatives indirectes et des propositions restrictives. Pour ce qui est des interrogatives indirectes, voir Cicéron, De orat., II, 87,355: „Itaque soli, qui memo- 39 Pour Fauste de Riez, voir l'Index des mots dans „C.S.E.L.", vol. XXI, Prague-Vienne-Leipzig, 1891; pour Ennode, voir VIndex des mots, dans "C.S.E.L.", vol. VI, Vienne, 1882. 142 ria uigent, sciunt, quid et quatenus et quomodo dicturi sint...", par rapport à Clau-dien Mamertus, p. 159, 18—19: „nulla quaestionis difficultate iactabere, quatenus anima corpore posito inlocaliter essepossit in mundo...". Pour une subordonnée restrictive, voir Cicéron, Ep.adFam., I, 2, 1: „Quatenus de religione dicebat, cui quidem rei iam obsisti non poterat, Bibulo adsensum est...", par rapport à la restrictive de Claudien Mamertus, p. 126,25—26: „ ...neque in societate eius (corporis), nisi quatenus necesse est, animum dimittamus." Dans le passage en question de Claudien Mamertus, p. 126, lignes 22—28, quatenus restrictif alterne avec in quantum restrictif. D'origine vulgaire, cette locution présentait l'avantage d'une grande précision sémantique. Claudien Mamertus emploie, dans ce fragment, in quantum, pour éviter la répétition de quatenus — rappelons que le passage entier représente une traduction d'après Phaedon de Socrate. Si quatenus introduisant des propositions interrogatives indirectes et restrictives est déjà présent chez Cicéron, son emploi final ne semble attesté qu'au I-er siècle n. e.40, alors que son emploi comparatif-concessif est, selon toute probabilité, une innovation de Claudien Mamertus41. A la différence de son emploi final, l'emploi concessif de quatenus demeure fort sporadique tout au long de la latinité. Quatenus comparatif-concessif apparaît, chez Claudien Mamertus, dans l'exemple auivant: „En quatenus de localitate animae disputauisti, in hoc tamen te-met ignauiae non arcesso." (Stat. an., p. 182, 12—13, ou III, 14). Voyons aussi l'exemple de quatenus final: „ Quatenus igitur numeri ueritatem in anima reperiamus humana, primum debet ipsa sibimet42 actitandi rationem pro uir-tutum parilitate concinere..." (Stat. an., p. 117, 5—8, ou II, 5). Il en ressort que les exemples de quatenus comparatif-concessif et quatenus fi- 40 En ce qui concerne le moment de l'apparition en latin de la subordonnée finale introduite par quatenus, celui-ci est plus ancien que ne le conçoit Ed. Wölfflin et, après lui, toute une série de chercheurs (voir Ed. Wölfflin, Quatenus, dans "Archiv für lateinische Lexicographie und Grammatik", vol. V — 1, Leipzig, 1888, p. 408: "Der finale Gebrauch von quatenus beginnt in der Litteratur mit Tertullian und in der Jurisprudenz gleichzeitig mit Paulus und Ulpian". Voir aussi H. Goelzer, Le latin de Saint Avit, Paris, 1909, p. 350; Fried. Stolz — J. H. Schmalz, Lateinische Gramatik, II — 2, op. cit., p. 656\ par. 358.) La plus ancienne attestation de la construction "quatenus + subjonctif" ayant une nuance finale dont nous disposons est d'un type quelque peu différent: il s'agit d'une proposition sujet à nuance finale — voir Sextus Iulius Frontinus, De aquaed. comm., 1,2 — à la fin du I-er siècle. Mais, à en juger par cet exemple, nous considérons que quatenus final proprement-dit était déjà employé au I-er siècle ap. J. Chr. 41 Dans son étude portant sur quatenus (op. cit.), Ed. Wölfflin ne signale chez aucun des auteurs latins l'usage concessif de cette conjonction. 42 sibimet — le pronom réfléchi et, d'autres fois, le pronom personnel, renforcés de la particule -met sont bien fréquents chez Claudien Mamertus, en accord avec le style emphatique de l'ouvrage De Statu animae. Voir aussi l'exemple cité plus haut: temet (p. 182, 13). Voici, sur une seule page (page 127) les formes: semet (ligne 6), de nouveau semet (ligne 13), egomet (ligne 18). 143 nal apparaissent, chez Claudien Mamertus, uniquement dans les deuxième et troisième livres. Force nous est cependant de préciser que les hypostases sémantiques-syntaxiques courantes chez Claudien Mamertus sont les mêmes qui sont familières à Cicéron: 1. la proposition interrogative indirecte; 2. la proposition comparative. Par l'emploi varié qu'il fait de la conjonction quatenus et, en outre, par l'usage nouveau, comparatif-concessif, qu 'il y confère, Claudien Mamertus se distingue de la plupart des écrivains de la Basse latinité, chez lesquels prédomine, voire est exclusif, l'usage de cette conjonction avec le subjonctif (suppléant ut final, ut consécutif, ou bien ut complétif et subjectif, de nuance finale ou consécutive), comme c'est le cas d'Avit, d'Ennode, de Cassiodore, de Jordanès. Pour ce qui est des propositions interrogatives indirectes introduites par quatenus chez Claudien Mamertus, il faut signaler un écart par rapport aux normes classiques, à savoir la construction du verbe avec l'indicatif (Stat. an., p. 69, 1 — I, 20: „quatenus anima nec quantitati subiacet disseramus..."). Il nous faut préciser que les exemples de ce genre (quatenus introduisant une interrogative indirecte avec l'indicatif) sont rares tout au long de la latinité. En tant qu'élément du style scientifique et de chancellerie, quatenus est, généralment, fort soigneusement construit. L'apparition de l'indicatif chez Claudien Mamertus est due à l'influence du latin vulgaire. L'indicatif est autrement relativement fréquent — dans De statu ani-mae — dans l'interrogative indirecte simple (après quid, quam, quoi etc.) et même dans l'interrogative indirecte double. Quatenus occupe, en général, une position privilégiée dans les passages en question. A part le fait qu'il se trouve, généralement, en premier lieu dans la proposition respective, sa subordonnée précède d'ordinaire la proposition régissante. Voici la proposition comparative-concessive: „En quatenus de localitate animae disputauis-ti, in hoc tamen temet ignauiae non arcesso." (Stat. an., p.182, 12—13). Ajoutons encore que cette phrase est le début même d'un paragraphe du chapitre 14 du livre III. La position de quatenus dans la phrase est bien souvent analogue à celle de quantum, importante conjonction vulgaire de la basse époque. Voir, à ce propos, De statu animae, Epil. : „Ergo duobus modis quantum in hac uita datur omnis rei habetur notitia." (p. 192, 7—8). La proposition comparative connaît une toute autre position, lorsque la proposition régissante comporte le corrélatif itatenus. Voir, en ce sens, De statu animae, p. 151, 21 —22: „ ...ita tenus nesciat, sicuti cum corpore an sine corpore sit raptus ignorât." 144 Voici aussi la position de certaines interrogatives indirectes introduites par qua-tenus: „ ...quatenus dixeris quaero..." (Stat an., p.179, 10); voir également De statu animae, p. 69, 1 (l'exemple cité plus haut, construit avec l'indicatif)- Voir, à titre comparatif, les interrogatives indirectes introduites par quid chez Claudien Mamertus. Quid (avec le sens de „quoi?") est un vocable très affectionné par le latin vulgaire de l'époque tardive. Par exemple: „ ...quidsit sciamus..." (Stat. an., Epil. — p. 193, 14). L'unique proposition finale introduite par quatenus, chez Claudien Mamertus, se trouve toujours placée avant la proposition principale (voir l'exemple cité — Stat. an., p. 117, 5—8). Avant de clore ce paragraphe, nous tenons à préciser que, par rapport à l'usage qu'en font d'autres auteurs de la basse époque et compte tenu des dimensions peu étendues des ouvrages de notre auteur, la conjonction quatenus est fréquente chez Claudien Mamertus, qui en use dans sept cas. On voit apparaître aussi, dans l'ouvrage De statu animae, un composé de quatenus à savoir aliqvatenvs, qui y figure une seule fois, dans le passage suivant: „Igitur si inlocalitas animae uel aliquatenusadparuit, ...quatenus anima nec quanti-tati subiacet disseramus..." (p. 68, 23 — p. 69, 1, ou I, 19). Aliquatenus présente le sens, d'ailleurs usuel à la basse époque, de: „jusqu'à un certain point". Quant à l'adverbe uel, celui-ci supplée de manière erronée saltim43. Déjà présent chez Columelle et Pomponius Mêla44, aliquatenus connaît un usage fréquent à la basse époque45. Son emploi peu fréquent chez Claudien Mamertus s'explique par la concurrence que lui fait la locution quodam modo (pour quodam modo, voir des exemples p. 81, 5; p. 83, 1 etc.). En résume, l'ouvrage De statu animae présente bien des composés de tenus. On y trouve également un composé de quatenus, à savoir aliquatenus. Dans Epistulae n'apparaît queprotinus et une seule fois. Certains composés sont des innovations de Claudien Mamertus, tels que eotenus et itatenus; les syntagmes huccine tenusl et adeo tenus sont eux aussi des innovations. Les formations de deux mots du type adeo tenus semblent avoir un relief stylistique d'une force toute particulière. De là précisément la fréquence relativement élevée de telles formations chez Claudien Mamertus. 43 uel apparaît assez souvent, chez Claudien Mamertus, avec le sens de saltim (pour cette particularité de uel voir Index uerborum et locutionum de l'édition d'Aug. Engelbrecht, op. cit., p. 259). Vel pour saltim apparaît aussi chez d'autres auteurs de la basse époque (voir Jordanès, Romana, 2). 44 Voir Thesaurus linguae Latinae, vol. I (Leipzig, Teubner, 1900), p. 1605, 78 sqq.; ibid., p. 1606, 1 sqq.; voir aussi K. Georges — H. Georges, Ausführliches lateinisch-deutsches Handwörterbuch, vol. I, op. cit., p. 314. 45 Voir Thesaurus linguae Latinae, vol. I, op. cit., p. 1606, 21—41. 145 Certains composés y sont fréquents: eatenus (dont on compte dix exemples), quatenus (sept exemples), alors que d'autres y sont moins employés: hactenus (quatre exemples), protinus (quatre exemples), nullatenus (quatre exemples) etc. La présence, chez Claudien Mamertus, de la postposition tenus rend compte de l'aspiration de l'écrivain à un style élevé. En plus, les six exemples qu'on trouve chez lui font nombre par rapport aux auteurs classiques et tardifs. Il y a, chez Claudien Mamertus, des influences évidentes de Cicéron, telles que: l'emploi de tenus au sens figuré, instrumental-restrictif, l'emploi fréquent de la conjonction quatenus, certaines hypostases sintaxiques de quatenus (celle d'introduire des interrogatives indirectes, puis des propositions comparatives) etc. D'autres innovations propres à Claudien Mamertus résident, par exemple, dans l'adjonction d'une hypostase sémantico-syntaxique à la conjonction quatenus, laquelle introduit, de ce fait, une proposition comparative-concessive. On trouve aussi des erreurs, bien que peu nombreuses, par rapport aux normes du latin cultivé: tenus construit avec l'accusatif, emploi de ullatenus en proposition affirmative, présence de l'indicatif dans une interrogative indirecte. Signalons, en outre, un fait bien intéressant: tous ces écartes apparaissent dans le premier livre de De statu animae. Quant aux deuxième et troisième livres, on y trouve un style prétentieux et compliqué à souhait, parfois inutilement (pour donner un exemple, toutes les propositions contenant itatenus ou ita tenus apparaissent dans les livres II et III). L'emploi de tenus et de sa famille permet, sans doute, de mieux définir la latinité de Claudien Mamertus. On peut affirmer, a juste raison, que l'auteur en question s'avère le plus intéressant de toute la basse époque quant à l'emploi de cette famille de mots. D'abord parce qu'il utilise la plupart des composés de tenus-, ensuite, parce que leur fréquence est, d'ordinaire, élevée (par comparaison, naturellement, à d'autres auteurs de l'époque et aux dimensions de ses ouvrages et, aussi, compte tenu de la nécessité à laquelle répondent certains sens). La postposition elle-même y est assez répandue. Des tendances originales sont à déceler sous d'autres angles encore: la graphie de ita tenus (deux mots), nouvelles hypostases sémantico-syntaxiques pour certains composés: quatenus comparatif-concessif; ita tenus signifiant: „ainsi", „exactement ainsi", corrélatif de sicut comparatif, la réduction des sens du classique hactenus-, la forte présence stylistique des formations en tenus au niveau de la proposition et, bien souvent, de la phrase. Claudien Mamertus se distingue encore des autres auteurs de l'époque par le nombre élevé de formations nouvelles (d'un ou deux mots), lesquelles ne réussirent pas cependant à s'imposer aux prosateurs contemporains ou postérieurs. 146 Quoi qu'il en soit, Claudien Mamertus reste l'un des plus actifs écrivains ecclésiastiques sur le plan des innovations lexicales et syntaxiques. Les formations nouvelles conduisent, conjointement avec les anciennes, à la création de larges séries de synonymes, dont les termes diffèrent autant sous l'aspect de la précision sémantique que de l'expressivité artistique. Voici la série de synonymes pour le sens „jusqu'à tel point": huccine tenus, adeo tenus, eo usque, itatenus (avec la variante ita tenus), eatenus et eotenus. Ajoutons-y le vieil adverbe adeo. L'emploi particulier de tenus et de sa famille, ainsi que d'autres familles de mots, témoignent, chez Claudien Mamertus, de la mise en jeu de toutes les ressources lexicales et syntaxiques, au profit de l'argumentation philosophique et de la délectation artistique. Povzetek ZNANSTVENO IN ADMINISTRATIVNO IZRAZOSLOVJE V POZNI LATINSKI DOBI: SVOJSKOSTI V RABI KLAVDIJANA MAMERTA Kar zadeva uporabo izrazov iz družine TENUS je res mogoče trditi, da je Claudianus Mamertus najbolj zanimiv pisec pozne latinske dobe. Predvsem je tenus kot člen sestavljenk uporabljen dokaj pogosto; poleg tega je visoka tudi frekvenca sestavljenk s tenus. Zmeraj seveda primerjamo njegov jezik z jezikom drugih piscev pozne latinščine; obenem pa je treba upoštevati obsežnost njegovega opusa. Zapostavljanje prislova tenus v sestavljenkah je dokaj pogostno v delu De statu animae. Svojske težnje so vidne tudi sicer: grafija ita tenus (ločeno), drugačni pomeni nekaterih sestavljenk, kot ita tenus v pomenu 'tako', 'prav res tako', kar je korelativno k primerjalnemu sicut, ali guatenus v primerjalno-koncesivnem pomenu. Nadalje omejevanje pomenov klasičnega hactenus in stilistična vrednost sestavljenk v stavku ali celo v povedi. Claudianus Mamertus je različen od drugih avtorjev pozne latinsščine tudi glede na visoko število novih skovank (eno- ali dvobesednih), ki se še niso uveljavile v jeziku njegovih sodobnikov in tudi ne pri poznejših piscih. Kar zadeva semantične in sintaktične inovacije, je Mamertus sploh eden najbolj aktivnih cerkvenih piscev pozne dobe. Način, kako je uporabljen tenus (in njegova pomenska družina), je lep primer, kako Mamertus uporablja vsa sredstva, leksikalna in skladenjska, za poglobljeno filozofsko dokazovanje, obenem pa za resnični umetniški užitek. 147 Varja Cvetko Orešnik Ljubljana CDU 808.63/801.54 ETYMOLOGISCHES ZU EINIGEN SLOWENISCHEN DIALEKT-WÖRTERN Es werden einige slowenische dialektale Wörter etymologisch gedeutet bzw. die schon vorhandenen Deutungen ergänzt. Das Material stammt aus der Sammlung für den Europäischen linguistischen Atlas (ALE), die die dialektologische Sektion bei der Slowenischen Akademie der Wissenschaften und Künste (SAZU, Ljubljana) vorbereitet. Es werden Wörter aus: 1) Solbica, 2 Kneza, 3) Gomilice und 4) dialektale Wörter für "er küsst" und 5) "faul" gedeutet. Die Rekonstruktionen der normierten bzw. Ausgangsformen werden gebildet nach dem Material bzw. mit Hilfe von den Regeln, die unter den einzelnen Punkten in der Publikation "Fonoloski opisi srpskohrvatskih / hrvatskosrpskih, slovenackih i makedonskih govora obuhvacenih opsteslovenskim lingvistickim atlasom", Sarajevo 1981, angegeben werden. 1. Solbica (Resianischer Dialekt) s'kusa "Schale, Rinde" Anscheinend aus dem Friaulischen entlehnt. II nuovo Pirona S. 997 führt an: Sciis "Eierschale", Scussä "schälen" und S. 997f.: Scusse "Rinde, Schale, Haut". Man vergleiche auch ibid. S. 991: Scuarzä "schälen", scuärze "Rinde, Schale". Die angeführten friaul. Bildungen sind offenbar etymologisch mit denjenigen identisch, die Meyer-Lübke S. 639, No. 7742, anführt (it. scorza, friaul. skuarts) und auf scor-tea "lederner Sack, Rinde" zurückführt. Zum lat. scortum "Fell, Tierhaut" u.a. ~ corium, cortex vgl. Walde-Hoffmann II 497 und Ernout-Meillet II 1066. Vgl. auch Skok II 151 s. kbra. sca 'pa "er genest, wird gesund" Entlehnt aus dem Friaulischen. II nuovo Pirona 966 führt an: S'ciapä neben S'ciampä "per Scampare, salvarsi (salvare)". Ähnlich wie für das ital. scampare ist auch für die friaul. Form als Ausgangsbildung *excappare "entwischen" anzunehmen, die Meyer-Lübke S. 261, No. 2952 anführt. zuor'bona "blind" Die Ausgangsform ist wahrscheinlich +zvorba(:)ni. Das Wort ist anscheinend aus dem Friaulischen entlehnt. II nuovo Pirona S. 1145 führt das Verbum 'Suarbä 149 = Accecare-mit den Varianten Svuarbä, uarbä, sorba an. In ASLEF III, Concetto 1545, Tav. 386 werden nach einzelnen Punkten mehrere Varianten in der Bedeutung "blind" angeführt, so u.a.: /orbdt, JorbSt, vuarp, uarp. Meyer-Lübke S. 49, No. 6068, leitet friaul. uarb vom lat. orbus "blind" her. Die slowenische Bildung ist mit -n- Suffix erweitert. Zum z- vgl. z.B. zva 'rina (Solbica) < +zverina (Fonolos-ki opisi S. 36) und ev. Beispiele wie skr. dial zvampiti < ital. svampare (Skok III 690), zvklat < ital. svelto (Skok III 690) usw. Vgl. auch Frau, S. 45, Anm. 37. 'rusouia "Ameisenhaufen" Pletersnik II 445 zitiert rüsec, -sca m. auch in der Bedeutüng "die braune Ameise" und ibid. rusica "die rote bzw. die rötlichgelbe Gertenameise", resian. rüsica. Die Bildung rüsica ist etymologisch unproblematisch, von slaw. +rusz < +rudsz "rot, rotblond" abgeleitet. Vgl. z.B. Trautmann S. 239, Vasmer II 551. Bei 'rusouia ist dagegen das -s- problematisch. Ev. könnte man mit einer analogischen etymologischen Anlehnung rechnen (vielleicht an rusa "Rasen"). Oder körinte man sogar romanischen Einfluss annehmen? Vgl. in diesem Zusammenhang ev. Skok III 176, der skr. rusin = rusin "Ochse rötlicher Farbe" von dem friaul.-ital. Deminuti-vum auf -ino, aus dem Adjektivum rosso, friaul. ros "Benennung eines Ochsen" herleitet. Vgl. auch Strekelj, ASlPh 14, 541. prapa 'lica "Schmetterling" Die Ausgangsform lautet +prepe' lica. Pletersnik II 263 führt s. prepelica sowohl die Bedeutung "Wachtel" als auch "Schmetterling" an. Die Bildung ist ererbt, vgl. z.B. russ. perepel, dial pelepel, ukr. perepet, perepeta, perepetyca, bulg. prepelica, skr. prepelica, cech. krepel, krepelice, slk. prepelica, poln. przepiörka und lit. piepala, lett. paipala, a. preuss. penpalo "Wachtel", lat. päpiliö "Schmetterling" usw. Vgl. Vasmer II 339, Pokorny 798f. {+pel(3)~ "giessen, fliessen, schwimmen, fliessen machen, fliegen, flattern usw."). Nach einer Dissimilation aus +pel-tel- gehörte hierher wahrscheinlich noch lit. petehske, pateüske "Schmetterling, Nachtfalter, kleine Eule", lett. peteligs "flatterhaft". Vgl. Fraenkel S. 581 und Bezlaj II 181 s. metülj. Die Bedeutung "Schmetterling" neben "Wachtel" ist somit wahrscheinlich schon ursprünglich gegeben, auf alle Fälle jedoch von der ursprünglichen Bedeutung der Wurzel herleitbar. p' lonta "Fussballen" Anscheinend aus dem Friaulischen entlehnt. II nuovo Pirona S. 776 führt Plante = Pianta an. 150 plas' tno "Oberschenkel" Pletersnik II 57 zitiertplesmo "der Rist des Fusses", plesna "die Sohle des Fusses" un S. 58: plesno "der Rist am Fusse, der Mittelfuss, der Fussballen". Für das slowen. plesna, russ. plesna "Fussohle usw." geht man gewöhnlich von der Urform +pletsno, -ä aus und vergleicht lit. plesnas, plesna, pläsnas "Mittelfuss, Mittelhand, flache Hand", a.preuss. plasmeno "untere Fläche des Fusses zwischen dessen Mitte und den Zehen", alles aus idg. +plet- "breit und flach, ausbreiten" (Pokorny 833f., Fraenkel 601, Vasmer II 370). Vaillant IV 584 rekonstruiert das Suffix +-sno-. Anhand der Kombination des +-mo- und +-no- / -na- Suffixes einerseits und des altpreussischen Beleges andererseits kann man wahrscheinlich auch für das Slowenische ein +-men- Suffix annehmen. Körperteilbenennungen werden oft auf andere Teile des Körpers übertragen. Vgl. z.B. Pokorny 806 s. +pela -, +plä- "breit und flach, ausbreiten usw.", +pj-ma "flache Hand" (z.B. gr. paläme "flache Hand", lat. palma "flache Hand; auch Gänsefuss usw.", ahd. folma "Hand") und unter der Erweiterung derselben Wurzel: +plat-, +plet- usw. "breit und flach; ausbreiten" (Pokorny 833f.) Formen wie: ai. prthä- "flache Hand", lat. planta "Fusssohle", ahd.flazza "Handfläche", die oben genannten baltoslawischen Bildungen und weiter auch z.B. aksl. pleste "Schulter". Vgl. auch noch z.B. die Bedeutungen s. +bhäghü-s "Ellbogen und Unterarm" (Pokorny 108), so u.a. ai. bähü-h "Arm, bes. Unterarm; bei Tieren Vorderfuss", gr. pekhus "Ellbogen, Unterarm", aisl. bögr "Arm, Schulter", ags. bog "Schulter, Arm; Zweig", ahd. buog "Schulter, Hüfte, Bug des Tieres". 'bo^k "Sarg" Die Ausgangsform ist wahrscheinlich +ba(:)nk. Das Wort ist entlehnt, entweder direkt aus dem Deutschen oder über das Romanische. Entscheidend wäre die Phonetik, wahrscheinlich auch eine nähere Bestimmung bzw. Lokalisierung der Bedeutungsentwicklung, was aber sehr schwierig scheint. Für das Friaulische führt II nuovo Pirona S. 35 an: Banc = Panca, banco /"Sitzbank, Pult; Bank"/. Meyer-Lübke S. 76, No. 933, verzeichnet s. banka "Bank" 2. panka, bank, pank (langob.) die Bedeutung "Sarg" nicht. ASLEF III, Tav. 484, Carta 358, führt in der Bedeutung "Sarg" für zwei Punkte in Resia (34a Oseacco, 34 b Stolvizza) ta mrtvi bank bzw. te mrtvi bank an. Für andere Punkte kommen ibid. Bildungen wie käse, käse di muarti usw. vor. In der Tav. 533, No. 2703 werden in der Bedeutung "Sitzbank" Formen wie bänk'a, bä-nca, pönkh, ponk usw. angeführt. Die Formen mit p- sprechen wahrscheinlich für eine Entlehnung aus dem Deutschen. Trübner I 224f. führt s. Bank eine Bedeutung "Sarg" nicht an, bemerkt jedoch s. Fleisch- bzw. Schlachtbank (S. 225), dass Bank "auch als Bezeichnung der Gebäu- 151 de, in denen sich die betreffenden Verkaufsstände befinden" verwendet wird. Eine Zusammenstellung der Bedeutung "Gebäude" mit dem oben angeführten Casa in käse di muarti scheint möglich, ohne notwendigerweise Zwischenstufen annehmen zu müssen. Interessant ist weiter die Angabe bei M. Hornung, Wb. S. 64, wo sie s. Pank das Deminutivum pe^kz / anführt und bemerkt: "bezieht sich im besonderen auf eine kleine schräge Holzstütze mit dreieckigem Seitenriss, die sich auf der Ofenbank befindet und auf die man beim Ausruhen den Kopf legt. (...) Ital. panca "Ruhebank" ist wie alle anderen roman. Formen aus dem Dt. entlehnt." I. Tominec S. 70f. führt s. +bank: bgnk, banka an in der Bedeutung "einer grossen Truhe ähnliche Anlage für Getreide mit Scheidewänden; Pult im Kaufladen". 1bula "Handtuch" M. Maticetov (mündlich) kennt nur die Bedeutung "Wäsche, Fetzen / Lappen". Ein schwieriges Wort, am wahrscheinlichsten aus dem Deutschen entlehnt. In dieser Richtung kommt vielleicht ein Adjektiv in der Bedeutung "wollen" bzw. Kompositum "Woll(en) — Wäsche /Stoff/ Lappen usw." in Betracht. Zugunsten einer solchen Erklärung spricht m.E. die Angabe bei. M. Hornung, Wb. S. 480: "Wullen, Adj. aus Wolle: bullan; bullaneßtimpfe wollen Strümpfe^ a bulla läibl ein wollenes Leibchen; ana bullanapfät ein wollenes Hemd. Mhd. wullin", die die resia-nische Bildung schön sowohl phonetisch als auch semantisch erläutert. Dass Kleidungsstücke, Wäsche usw. nach dem Material, aus dem sie gemacht sind, benannt werden (bzw., dass eine Ellipse vorliegt), ist bekannt. Man vergleiche z.B. verschiedene Angaben bei Buck S. 399 s. "Cloth", S. 401 s. "Coat" S. 421 s. "Shirt" usw.. Zum Wechsel u > b in den deutschen Dialektwörtern in Friaul vgl. Frau S. 221 (Wolle -> bouls u.a.) und S. 224. ^mauste "Sperling" Anscheinend entlehnt, entweder aus dem Romanischen oder Germanischen. Dafür sprechen schon phonetische Gründe, da nach Logar, Fonoloski opisi S. 36 /a/ in der Stellung vor oder nach /n m/ nicht vorkommt. Im Romanischen kommen zwar Bildungen aus +müseio "kleiner Vogel" vor (vgl. Meyer-Lübke S. 475, No. 5769), dennoch nicht im Italienischen oder Friaulischen. Aus derselben Quelle erscheinen auch Bildungen in deutschen Dialekten, jedoch nicht im Bayerischen (vgl. dazu Kluge-Mitzka S. 724: mnd. usw. müsche und Lexer I 2257 musche "ein kleiner Sperling usw."). 152 Es besteht somit wahrscheinlich die Möglichkeit, von deutsch Meise auszugehen mit einer Labialisierung von -ai- > -au- in der Nähe von /m/, wo auch /a/ normalerweise zu /0/ wird. Problematisch bleibt allerdings -s-. Vgl. zur Meise Kluge-Mitzka S. 471 und zu der ev. Möglichkeit, das -s- analogisch nach z.B. mis "Maus" zu erklären, die Anmerkung ibid. 472: "Engl, coalmouse ist an Maus angeglichen." Dass die Benennungen auf verschiedene Arten der Vögel übertragen werden, darf wahrscheinlich nicht überraschen (mit deutsch. Meise wird z.B. der kelt. Name der Amsel verglichen). Die Herleitung 'maush (bzw. mäwsli) aus Maise hat schon Maticetov, Festschrift Denison S. 130 vorgeschlagen, jedoch ohne sprachhistorische Erläuterungen. Mit 'mausla könnte man vielleicht einige Bildungen verbinden, die in ASLEF II angeführt werden: Tav. 215, Carta 182, kommt in der Bedeutung "Kohlmeise" für Langlesie, San Leopold, die Form mäsalc und ibid. Tav. 216, Carta 183, in der Bedeutung "Tannmeise" mäi f die neben mäj. /d n vor. Diese Gegend hat oft parallele ital./ friaul. — deutsch — slowenische Bildungen, z.B. bacelca — pine — äf "Biene"; stou — ponk — bänca "Sitzbank". 2. Kneza (Jauntaler Dialekt) 'uö.bax "Knoblauch" Die unmittelbar rekonstruierbare bzw. normalisierte Form lautet wahrscheinlich +klo:bux. Das Wort ist aus dem Deutschen übernommen, vgl. deutsch Klob-lauch neben Knoblauch. Bildungen mit anlautendem kl- (vgl. ahd. klobolouc, klobi-louc, klofolouc, mhd. klobelouch) kommen noch im 18 Jhd. vor. Vgl. Lexer, Kärntisches Wb. S. 162; Lexer II 1629; Schmeller 1 1350 (nur Formen mit kn-) und Kluge-Mitzka S. 383. Iü:mp3ca "die Nieren" Bezlaj II 156 führt s. lümpic (m.) "Nierengegend, Niere" auch lümpica (f.) und lümbica (ost-steir.) an. Ähnlich wie Striedter-Temps S. 173 geht er von bair.-österr. Lumpe aus, das — nach Striedter-Temps I.e. — dialektisch meistens "Lunge" bedeutet, neben timpdla "Niere". Ihrer Meinung nach sei die deutsche Bildung Lumpsl wahrscheinlich auf Lungel zurückzuführen (so auch schon Schmeller I 1474). Es scheint jedoch angemessener vom lat. lumbus auszugehen (so schon Lexer I 1981 s. lumbe, lumpe). Sowohl für die in den romanischen Sprachen bezeugten Bildungen als auch für das deutsche Lumpsl kann man direkt vom lat. lumbulus "Lende" ausgehen, womit die formale und die semantische Seite zugleich erklärt sind. Vgl. noch Lexer I 182 s. lumbel, lumbele; Kluge-Mitzka S. 488 s. Lummel und Meyer-Lübke S. 418, No. 5159. 153 з. Gomilice (Panonische Dialektalgruppe) str' menu "Getreide" Das Wort gehört wahrscheinlich etymologisch zu den Wörtern, die Bezlaj, Lingüistica VIII, 1, S. 74ff., anführt und von der Wurzel +ster- "starr, fester Gegenstand, Pflanzenstengel, stolpern" herleitet. Unter anderem zitiert er slowen. strželj "Maiskolben" (< +ster(d)g-) weiter aus der o-Stufe und ohne die erwartete Liquidametathese storž "Zapfen, Maiskolben, Kohlstrunk, Krautstengel", weiter slowen. strémelj, strémelj, Strómelj "Baumstock, Baumstumpf, in der Erde steckender Rest des Krautstengels; Rest eines abgebrochenen Zahnes", stromice "Art Strümpfe ohne Socken", ström "Dach" mit den Parallelen in anderen slawischen Sprachen. Bei str' menu liegt wahrscheinlich eine + -men- Bildung vor, die anscheinend keine direkte Parallelen in anderen Sprachen hat. Pokorny jedoch (S. 1029) führt bei der homonymen Wurzel +ster(3)~ "ausbreiten, ausstreuen usw." -men- Bildungen an (so и.a. gr. stroma n. "Streu, Lager, Teppich, Decke", lat. stramen "Streu", ai. stáriman- "Ausbreitung, Ausstreuung"). 4. "erküsst" a) bd' sa:va (Komen — Karst — Dialekt) b) ' beska (Hrusica — Innerkrain — Dialekt) c) bus' nuua (Solbica — Resianischer Dialekt) Da das -e- in 'beska aus -u- entstehen konnte (vgl. Fonoloski opisi S. 115), kann man in allen drei Fällen von einer Ausgangsform +bus/s- ausgehen. Pletersnik I 72 zitiert büsati, -am "küssen" und geht vom baier. bussen aus. II nuovo Pirona S. 85 führt für das Friaulische das Verbum Bussä = Baciare an und ebenso Meyer-Lübke S. 131, no. 1421 s. buss, butsch (nhd.) "Kuss", mit folgender ' Bemerkung zur Entstehung bzw. zum Ursprung der romanischen Bildungen: "Wie weit Entlehnung, wie weit Urschöpfung vorliegt, ist schwer zu sagen, doch spricht der Wechsel von b und p und die geographische Verbreitung eher für jene, kat. put-xa für diese". Skok I 244 zitiert busati, -am (Istra); busovati, -ujem (Hrv. Primorje) und auch büsnuti (Hrv. Primorje, Krasica), bhsnut (Insel Cres) = busnuti "küssen" mit der Bemerkung, dass es sich vielleicht um eine Entlehnung aus dem friaul. bussä handele. Er erwähnt jedoch auch die Möglichkeit, dass eine Onomatopöie vorliegt und zitiert dabei deutsch bussen, arab. bus und alb. buze. Angesichts der Lokalisierung scheint für die erwähnten slowenischen dialektischen Bildungen die Annahme wahrscheinlich, dass es sich um entlehnte Bildungen aus dem Romanischen / Friaulischen handelt, obwohl auch die andere Möglichkeit — im Sinne der Interpretation von Meyer-Lübke bzw. Skok — offen bleibt. Auch 154 die Möglichkeit einer direkten Entlehnung aus dem Baier. bleibt wahrscheinlich gegeben. Die Bildung 'beska weicht im Suffix ab. Vielleicht liegt ein analogischer Einfluss vor bzw. eine Kontamination mit einem anderen Verb. Es wäre noch denkbar, dass es sich um zwei verschiedene, konkurrierende Suffixe handele oder eine Verstärkung -s- > -sk- vorläge (vgl. z.B. Fälle wie Pletersnik I 72: búskniti, büsknem "mit Geräusch fallen, plumpen" = búsniti, büsnem oder auch búsiti, büsim "mit Gewalt anstossen, anfahren, derb stossen usw.": búskniti, büsknem "(stark) anklopfen", büskati "stossen"). Maticetov, Festschrift Denison S. 126, zitiert resianische Bildungen busnöt / busnüt / busnit, verbindet sie mit friaul. bussä, busssäde und führt sie auf mhd. bussen "baciare" zurück. 5. "faul" t 'rešt (Solbica — Resianischer Dialekt) Anscheinend aus dem Friaulischen entlehnt. II nuovo Pirona S. 1218 zitiert: Trist = Cattivo, malvagio mit der Bemerkung: "Raramente per Tristo, sofferente, meschino". Trotz einer gewissen Verschiedenheit in der Bedeutung handelt es sich wahrscheinlich um das gleiche Wort. Meyer-Lübke S. 741, No. 8918, führt die romanischen Bildungen (samt dem friaul. trist "schlimm") auf tristis bzw. trTstus "traurig" zurück. ut 'ra:glo (Spodnja Ložnica — Staierische Dialektalgruppe) Die Ausgangsform ist wahrscheinlich +ut'ra:gl(i)iu (vgl. Fonološki opisi S. 168f.). Das Wort ist aus dem Deutschen entlehnt. Pleteršnik II 740 zitiert uträga, utrágati "es beliebt mir nicht" und vergleicht mhd. mih betraget "ich habe keine Lust" (mit Lit.). Ibid. führt er auch utraglfiv "träge", utragljivost "die Trägheit" an, was er mit deutsch, träge verbindet. Vgl. dazu noch Miklošič, Etym. Wb. 360; Schmeller (1985) I/l S. 657; Lexer II 1488; Kluge-Mitzka S. 786; Striedter-Temps S. 239 s. trágljiv. Zum Präfix u- in der slowenischen Form vgl. Bildungen wie ubogljiv, upogljiv usw. und zum Suffix z.B. noch pozabljiv, jezljiv u.a. 155 LITERATURVERZEICHNIS ALE = Atlas linguarum Europae. Cartes, Volume I, deuxième fascicule. Van Gorcum, Assen / Maastricht, Pays-Bas, 1986. Commentaires. Volume I, premier fascicule. Van Gorcum, Assen 1983; Volume I, deuxième fascicule. Van Gorcum, Assen / Maastricht, Pays-Bas, 1986. ASLEF = Atlante Storico-Linguistico-Etnografico Friulano, diretto da G. B. Pellegrini, Padova — Udine 1972ff. C.D. 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Meistens stellen diese Arbeiten die Sprache dar, wie sie sein sollte, d. h. normativ, nach einer Norm, die der Forscher sich selbst gesetzt hat oder der sich der Forscher anzupassen versucht. Ein gutes Beispiel für einen derartigen Ansatz sind die Untersuchungen von Björn GuÖfinnsson zu Aussprachevarianten in Island (Gud-finnsson 1946, 1947, 1964), die hier stellvertretend zitiert seien, aber die Beispiele ließen sich vermehren. Die Aufgabe eines Forschers ist nicht die Herstellung einer Norm. Er soll auch nicht die Sprache so beschreiben, wie sie nach seiner Meinung zu sein hat. Er soll beobachten, wie die Sprache in der täglichen Situation verwendet wird, und er soll versuchen zu beschreiben, wie diese Verwendung vor sich geht. Seine Daten müssen möglichst objektiv gesammelt sein, und seine Interpretation darf die Objektivität der Daten nicht verletzen. Es bedarf keines Kommentars, daß dieser Weg sehr schwierig ist. Man ist immer geneigt, die Daten von vornherein so zusammenzutragen, wie sie am besten zu vorgefaßten Meinungen passen. Völlig objektiv, d.h. ganz ungebunden oder unbefangen, kann man wahrscheinlich kaum an ein Forschungsobjekt herangehen, aber der Forscher muß sich darum bemühen, einen möglichst hohen Anteil von Objektivität zu erhalten. Im Falle des modernen Isländischen ist dies ganz besonders schwierig, denn die moderne Sprache wird an dem Maßstab der alten Sprache, welche man Altnordisch zu nennen pflegt, gemessen. Die moderne Sprache wird als Verfall gegenüber der alten Sprache angesehen, und man ist bemüht, z. B. in der Orthographie, sie möglichst nahe dem Ideal der alten Sprache zu betrachten. Deshalb hat kaum jemand den Versuch gewagt, modernes Isländisch so zu beschreiben, wie es wirklich gesprochen wird. Die Zeit war bisher einfach dafür nicht reif, aber das alte Vorurteil, daß in Island ein besonders geringer Abstand zwischen Schriftsprache und gesprochener Sprache vorhanden ist, geringer als sonst irgendwo, lebt weiter und wird häufig in verschiedenen Schriften wiederholt. Das vorliegende Buch von Janez Oresnik (1985) ist das erste, in dem versucht wird, modernes Isländisch rein synchronisch ohne Bezugnahme auf Gegebenheiten der alten Sprache zu beschreiben. Allein dieser Versuch ist ein Ereignis, aber das Ereignis ist in Grunde genommen größer, denn die zwölf in diesem Buch gesammelten 159 Aufsätze stellen nur einen Teil seiner Untersuchungen zum Thema "modernes Isländisch" dar. Man kann die bisher veröffentlichten Arbeiten in drei Gruppen einteilen: (1) Untersuchungen zur Morphologie, (2) Untersuchungen zur Phonologie und (3) Besprechungen von Büchern, die irgendeinen Aspekt des modernen Isländischen zum Gegenstand haben. Das vorliegende Buch enthält eine Auswahl von Arbeiten der beiden ersten Gruppen und dazu kommt auch die Gesamtbibliographie der bis 1983 veröffentlichten Arbeiten zum Thema "modernes Isländisch". KURZER KOMMENTAR ZU DEN EINZELNEN ARBEITEN Im folgenden soll versucht werden, die einzelnen Arbeiten durch stichwortartige Inhaltscharakterisierug kurz zu beschreiben. Anschließend werden wir versuchen, eine Bilanz zu ziehen. Es ist sehr schwierig, ein so gründlich durchdachtes Werk wie das von Janez Oresnik zu charakterisieren. Wenn die Besprechungen mitgezählt werden, handelt es sich um Arbeiten, die über einen Zeitraum von 20 Jahren erschienen sind. Uns ist von vornherein bewußt, daß jeder Versuch einer kurzen Charakterisierung unvollständig bleiben muß. Trotzdem wagen wir diesen Versuch in der Hoffnung, die Aufmerksamkeit auf diese Arbeiten zu lenken, die trotz ihrer Wichtigkeit so wenig diskutiert worden sind, obwohl man gerade das Gegenteil erwartet hätte. Obwohl die Arbeiten Janez Oresniks in morphologische und phonologische Arbeiten eingeteilt werden können, ist die Grenze zwischen diesen Gruppen keineswegs scharf. Die phonologischen Arbeiten sind in den allermeisten Fällen morphophone-misch, d. h. sie haben zum Gegenstand Erscheinungen, die für die morphologische Gestaltung von Bedeutung sind. Trotzdem haben wir es im Rahmen dieses Überblicks für richtig angesehen, die Teilung in zwei Gruppen beizubehalten. Die Besprechungen (1965, 1975c, 1978c, 1978g, 1978h) fügen wir der Liste der Veröffentlichungen nur als bibliographische Angaben ohne weitere Kommentare hinzu. Da die Arbeiten zur Morphologie weniger zahlreich sind, werden wir sie zuerst behandeln. DIE ARBEITEN ZUR MORPHOLOGIE 1. Zeitlich gesehen leitet die Arbeit "A philological miscellany on the Icelandic verbs kef ja, Ijá, cexa, skepja, sysa" (1969) die Liste der Arbeiten zur Morphologie ein. Sie behandelt einige Kuriosa, nicht existente Verbformen, die durch Abschreibe- oder Druckfehler entstanden sind, und von dort in Wörterbücher und Grammatiken hineingewandert sind, aber in der Tat nie existiert haben. 2. "On some weak preterite subjunctives of otherwise strong verbs in modern Icelandic" (1971). Diese ausführliche Arbeit behandelt einige schwache Subjunktiv-formen von Verben, die normalerweise starke Subjunktivformen haben, z. B. deyja "sterben" Subj. Prät. desdi statt der normalen form deei. Es wird zuerst bewiesen, daß diese Formen wirklich existieren. Bis diese Arbeit geschrieben wurde, hatte 160 wohl niemand voll zur Kenntnis genommen, daß die schwachen Subjunktivformen tatsächlich in der modernen Sprache vorhanden sind. Größtenteils sind alle diese Formen wirklich vorkommende Formen der gesprochenen Sprache, obwohl sie nie von der Schulgrammatik als richtig angesehen wurden. 3. Die beiden Arbeiten "Inflection of modern Icelandic nouns, adjectives, and adverbs" (1976b) und "Inflection of modern Icelandic verbs and pronouns" (1978a) enthalten Listen moderner isländischer Substantive, Adjektive, Adverbien, Verben und Pronomina, die nach Stamm und Endungen analysiert werden. Es wird systematisch untersucht, welche phonologische Regeln in jedem einzelnen Fall gelten. Ein neuer Gesichtspunkt ist dabei, daß die Endungen, die in einigen Fällen nicht nur den letzten Segmenten des Stammes zugefügt werden, sondern das letzte Segment des Stammes in einigen Fällen ersetzen können, eine neue Klassifizierung des betreffenden Wortes ermöglichen. Als Beispiel zitieren wir hier: Eine Endung wird zugefügt, wenn sie an das letzte Element des Stammes angehängt wird, z. B. bord "Tisch", Gen. Sing, bord-s. Wenn eine Endung das letzte Segment eines Stammes ersetzt, wird sie als Substitution angesehen, z. B. in stör- "groß" (altisl. störr), Dat. Sing. Fem. störri oder annar "der zweite", Akk. Sing. Mask. annan (*annar + n) (1976b, pp. 98—99). Beide Arbeiten enthalten eine überwältigende Fülle von Material, aber vielleicht werden wegen der Materialmenge allgemeine Tendenzen nicht so deutlich hervorgehoben. 4. "Three modern Icelandic morphophonemic notes" (1977d) hat drei voneinander völlig unabhängige morphologische Bemerkungen zum Inhalt. Die erste Bemerkung betrifft die Subjunktivform seigdi (statt der üblichen form segdi) von segja "sagen". Nach Meinung von Janez Oresnik wird ei aus den Präsensformen des Verbs abgeleitet (aus segi [seiji] "(ich) sage"), was eine interessante Analogie aufweist. Die zweite Bemerkung betrifft die Form fmsest "du seiest" statt der üblichen Form pti sert. Die Form mit -st ist eine analogische Formübertragung von den Verben, in denen die zweite Person Sing, mit -st gebildet wird, wie man besonders gut aus der Form pü serst "du seiest" ersehen kann, die in der gesprochenen Sprache häufig vorkommt. Die Bildung von busest "du seiest" ist demanch ganz regelmäßig: jsü sert > jjü serst > ¡du sest durch Wegfall des r. Die dritte Bemerkung betrifft die Form skininn "verdorren" (Part. Perf.). Im Dativ Singular wäre die zu erwartende Form *skinnu (Dat. Sing.) in Analogie zu gegnu (Dat. Sing, von gegninn "gehorsam"). Das n der Endung bildet mit dem n des Stammes ein langes [n:], das gekürzt wird, vermutlich durch Analogie mit Nominativ und Akkusativ. 5. "The age and importance of the modern Icelandic word type klifr" (1978b). 161 Diese Arbeit enthält eine genaue Liste der auffindbaren Beispiele des isolierten morphologischen Typs klifr. Anhand der Beispiele wird gezeigt, daß die Regel, die ein -u- zwischen einem Konsonanten und einem nachfolgenden -r einschiebt(z. B. im al-tisl. madr mod. isl. maSur) in der modernen Sprache nicht mehr wirksam ist. 6. Die beiden Arbeiten "On the modern Icelandic clipped imperative" (1980a) und "Um styfcian bocihätt i islensku" (1980b) sind der erste Versuch, das Problem des gekappten Imperativs überhaupt zu behandeln. Der isländische Imperativ ist eine sonderbare Erscheinung, da er normalerweise nur mit dem angehängten Pronomen verwendet werden kann. Wenn das Pronomen wegfällt, entsteht der sogenannte gekappte oder apokopierte Imperativ, der für gesprochenes modernes Isländisch typisch ist, z. B.: haltu "halt" > halt > halt ¡du taktu "nimm" > takt >takt pit Der Autor hat eine Reihe alter Beispiele aus der Literatur zusammengetragen. Mit zusätzlichen Beispielen aus der modernen Sprache versucht er die Wege zu rekonstruieren, die zur Bildung der neuen Form geführt haben. Am wahrscheinlichsten ist es, daß die Endung -u nicht mehr als richtiges Pronomen empfunden wurde. Die Verben, die -d oder -t in ihrem Stamm haben wie henda "werfen", halda "halten" und velta "drehen", wurden als Analogiebasis genommen, um für andere Verben einen neuen Stamm zu bilden, der auf -t, -Ö oder -d endete (z. B. takt [statt tak] "nimm", gefd [statt gef\ "gib", semd [statt sem] "verhandele"), an der wieder das Pronomen pü angehängt wurde. So entstehen im Isländischen die gekappten Imperative, die in der gesprochenen Sprache sehr charakteristisch sind, die aber von den Grammatikern niemals als Formen anerkannt worden sind. Sie haben deshalb kaum in Grammatiken oder in Wörterbüchern Eingang gefunden. Oresniks Arbeiten zum gekappten Imperativ haben ein absolutes Neuland in der Erforschung des Isländischen geöffnet. Zum ersten Mal war im Isländischen ein Gebiet für die Forschung erschlossen worden, in dem in der gesprochenen Sprache etwas nachgewiesen werden konnte, was man bisher kaum zu Kenntnis genommen oder nur vage geahnt hatte. 7. Es lag nun nahe, dieses Gebiet weiter zu erforschen. In umfangreichen systematischen Feldforschungen konnte Oresnik in zwei bisher veröffentlichten Arbeiten "On some Icelandic irregulär imperative Singular forms" (1981) und "Icelandic imperative singular: Some innovations" (1984) nachweisen, daß die Wege, die zur Bildung der neuen Form führen, nicht immer so regelmäßig sind, wie es den ersten Arbeiten erschien. Es gibt z. B. die Möglichkeit, die apokopierte Form aus dem Präteritum zu bilden, z. B. attu "sporne an" von etja "anspornen" (Prät. atti) oder auf noch andere Art, z. B. durch Mischen oder Kreuzen der Präsens- oder Präterital-stämme. Diese Wege werden systematisch untersucht und in einigen Fällen sind verblüffende Analogien entdeckt worden. 162 Oresniks Arbeiten zum gekappten oder apokopierten Imperativ haben endgültig den Beweis gebracht, daß die Kluft zwischen gesprochenem und geschriebenem Isländisch viel größer ist als man allgemein annimmt. Aber die wirklich gesprochene Sprache zu untersuchen, gehört zu den schwierigsten Aufgaben linguistischer Forschung. Es ist deshalb zu erwarten, daß noch Zeit vergehen wird, bis über diese Frage einige Klarheit gewonnen werden kann. DIE ARBEITEN ZUR PHONOLOGIE Arbeiten zu Phonologie sind naturgemäß weniger spektakulär als die Arbeiten zur Morphologie, die dem Sprecher normalerweise näher steht, da es sich in der Morphologie um bedeutungstragende Einheiten handelt. Die Phonologie behandelt Einheiten und Prozesse unterhalb der semantischen Ebene und ist deshalb dem Sprecher nicht so unmittelbar bewußt. Oresniks Arbeiten zur isländischen Phonologie sind nicht weniger sorgfältig als seine Arbeiten zur Morphologie. Im folgenden soll versucht werden, einen Gesamtüberblick über diese Arbeiten zu geben, um sie anschließend zu würdigen. Dabei scheint es am besten zu sein, chronologisch vorzugehen, um die Entwicklung deutlicher hervorzuheben: 1. In der chronologisch gesehen ersten Arbeit "On the phonological boundary between constituents of modern Icelandic Compound words" (1971b) wird gezeigt, daß Ansetzen einer Wortgrenze in zusammengesetzten Wörtern eine große Anzahl phonologischer Erscheinungen erklären kann, ohne daß irgendwelche zusätzliche Regeln notwendig sind, um die phonologische Form zu beschreiben. Als Beispiel könnten wir hier zitieren, daß zwischen r und n in störnetla "urtica dioeca" (Pflanzenname) kein -d- eingeschoben wird, obwohl normalerweise in nicht zusammengesetzten Wörtern ein -d- zwischen r und n, z. B. in varla [vardla, vadla] "kaum" und herna [gerdna, gedna] "hier", eingeschoben wird. Die Annahme einer phonologi-schen Wortgrenze vereinfacht in vielen Fällen die Beschreibung. Das bedeutet jedoch nicht, daß eine Wortgrenze immer postuliert werden muß. 2. Die Arbeiten "On the epenthesis rule in modern Icelandic" (1972a) und "The modern Icelandic epenthesis rule revisited" (1981d) behandeln beide das gleiche Thema, die Epenthese-Regel, welche ein -u- zwischen einem Konsonanten und einem nachfolgenden r einsetzt. Im ersten Artikel wird argumentiert, daß die Regel im modernen Isländischen noch wirksam ist. Das epenthetische -u- (phonetisch [Y]) bewirkt im Gegensatz zum ursprünglichen u keinen u-Umlaut (vgl. madur "Mann" vs. fögrum "schönem", Dat. Sing, von fagur "schön"). Aufgrund der Alternanz von Formen wie lifur "Leber" vs. lifrin "die Leber" wird argumentiert, daß die Regel im modernen Isländischen noch wirksam ist. Im zweiten Artikel wird diese Schlußfolgerung zurückgezogen. Es werden neue Argumente dafür gebracht, daß die Regel seit dem 17. Jahrhundert nicht mehr wirksam ist. Danach besteht keine 163 Notwendigkeit für eine besondere Regel für Enkliktika, sondern es scheint besser zu sein, zwischen Artikel und Wortstamm eine Morphemgrenze anzusetzen. Die neuen Daten, die zu dieser Schlußfolgerung führten, wurden bereits unter dem Stichwort "Morphologie" besprochen (Oresnik 1978b). Die Arbeit "Morphophonemic notes on the modern Icelandic imperative Singular" (1972b) behandelt morphophonemische Besonderheiten der kurzen Imperativformen in der 2. P. Sing. Diese Imperativform ist mit dem Verbstamm identisch. Es wird eine Apokoperegel postuliert, und für die 1. P. PI. Konj. Prät. wird die Palata-lisierungsregel ausführlich erläutert. Es werden ebenfalls Argumente für eine Regelordnung gebracht. 4. In "Four modern Icelandic devoicing rules" (1972c) werden die phonologi-schen Regeln, die die Entsonorisierung des Auslautkonsonanten eines Wortstammes vor bestimmten Endungen bewirken, ausführlich erläutert: z. B. die Regel, die /, m und [y] vor t und 5 entsonorisiert: sval-t [svalt] "kühl", skamm-t [skamt] "kurz", dag-s [daxs] "Tages" (gen. Sing, von dagur "Tag"). 5. "Old Icelandic consonant lengthening rule and modern Icelandic infixation of /d/" (1973). Das Altisländische hatte in seiner morphologischen Komponente eine Verlängerungsregel, z. B. Nom. Sing, stöll [sto:l:] "Stuhl". Diese Regel verlängerte -/, -n, -s unter bestimmten morphologischen Bedingungen. Die Fälle werden ausführlich erläutert. Die Regel verschwand vermutlich im 16. Jh. und wurde durch ein neues morphologisches Mittel zur Kennzeichnung der Endungen ersetzt. Dies ist das Infix /d/, das in stöll [stoudl] "Stuhl" und einn [eidn] "ein" die Flexionsform entweder allein oder mit anderen Endungen markieren kann. 6. "Moderne islandsk generativ fonologi — et eksempel" (1975a) diskutiert die phonologische Implikation, die sich aus der Aufnahme vom Auslauts-/- ergibt (z. B. in klifr "(das) Klettern"), das durch das Wirken der Epentheseregel verschwunden war. 7. "The modern Icelandic u-umlaut rule" (1975b). Dies ist eine der originellsten Arbeiten, die Janez Oresnik zum Isländischen geschrieben hat. Sie beschreibt die Wirkung des u-Umlautes in modernen Isländischen, welcher ein [a] zu [ö] oder [Y] vor einem ursprünglichen -u wandelt. Diese Regel ist in der modernen Sprache noch so wirksam, daß sie sogar neue Lehnwörter und Eigennamen erfaßt. Dieser Tatbestand ist besonders interessant, da in allen anderen germanischen Sprachen der Umlaut als historisch abgeschlossener Prozeß zu betrachten ist. Oresnik unterscheidet zwischen phonologischem und morphologischem Umlaut. Zahlreiche Sonderfälle werden diskutiert und die u-Umlaut-Regel wird vorgeschlagen und formalisiert. In "Modern Icelandic u-Umlaut from the descriptive point of view" (1977c) wird das gleiche Problem behandelt. Dort wird gezeigt, daß es für Beschreibungs- 164 zwecke nützlich sein kann, zwischen ein- und mehrsilbigen Wörtern zu unterscheiden. Gewisse Wörter können die beiden in der modernen Sprache vorkommenden Umlautvarianten haben. Diese Fälle werden ausführlich diskutiert. 8. In der Arbeit "Über die Lautalternationen im neuisländischen Typus veggur" (1976a) wird die Alternanz von palatalen und velaren Konsonanten in verschiedenen Flexionsformen des Typus veggur "Wand" diskutiert. Es wird argumentiert, daß eine phonologische Lösung unzureichend ist und daß eine morphologische Lösung vorzuziehen sei. 9. In der Arbeit "On the modern Icelandic palatalisation rule" (1977a) wird die interessante Tatsache diskutiert, daß die Palatalisierungsregel, die g und k vor vorderen Vokalen zu palatalen Konsonanten verwandelt, nur vor [i] wirksam geblieben ist. Zahlreiche Fremdwörter wie z. B. Genf, gcei "Kerl" zeigen, daß die Regel in der modernen Sprache ihren Wirkungsbereich stark eingeschränkt hat. 10. Janez Oresnik und ich selbst haben zusammen die Arbeit "Quantity in modern Icelandic" (1977b) geschrieben. Wir zeigen, daß die Stellung der Quantität im Nord- und Südisländischen unterschiedlich ist. Die südisländische Quantität wird durch morphologische und phonologische Regeln bestimmt; die nordisländische Quantität aber ausschließlich durch phonologische Regeln. Die Resultate sind für diejenigen überraschend, die annehmen, daß Isländisch mit der orthographischen Form fast identisch ist. Es deshalb wichtig zu betonen, daß es sich hier nicht um eine historische Betrachtungsweise handelt, sondern um eine rein synchronische Beschreibung. Daß es Quantitätsunterschiede zwischen Nord- und Südisländisch gibt, ist in der Tat völlig neu, aber nicht unbedingt überraschend. Solche Entwicklungen in unterschiedlichen Stadien sind aus den übrigen skandinavischen Sprachgebieten bekannt. 11. Die Arbeit "On the modern Icelandic i-umlaut rule" (1978e) bringt Argumente dafür, daß im modernen Isländischen keine i-Umlaut-Regel mehr wirksam ist. Die i-Umlaut-Erscheinungen gehören in der modernen Sprachen zu den Ablauterscheinungen. Die gegenteiligen Meinungen von Stephen R. Anderson und Sigrid Valfells werden ausführlich diskutiert und abgelehnt. 12. In der Arbeit "Modern Icelandic preaspiration from the phonological point of view" (1978f) werden ausführlich die phonetisch/phonologischen Bedingungen der Präaspiration im Isländischen diskutiert. Teilweise ist die Präaspiration lexikali-siert (z. B. bceklingur [baihkli/^kYr] "Pamphlet"), aber teilweise morphologisch 0kaplar [khahplar] "Kabel" PI. von kapall "Kabel", Nom. Sing.). Die Implikationen, die sich aus diesem Tatbestand ergeben, werden diskutiert. Als Anhang zum Artikel wird eine neue und genauere Formulierung der Quantitätsregeln im modernen Isländischen vorgeschlagen (vgl. 1977b). 165 13. "On the pronuncation of modern Icelandic rövl(a) and slafneskur" (1979). Die Aussprache dieser Lehnwörter mit den Lautverbindungen [vi] und [vn] entspricht nicht den isländischen Gepflogenheiten, da man [1?1] und [bn] erwarten würde (wie z. B. in efni [ebnl] "Stoff", efla [ebla] "fördern"). Diesen Widerspruch erklärt Janez Oresnik aufgrund von Kiparskys Universale, nach der phonologische Regeln nur auf abgeleitete Formen angewendet werden können. Aufgrund des Beispiels slafneskur muß diese Universale jedoch ein wenig anders formuliert werden. Eine Neuformulierung wird ebenfalls vorgeschlagen. 14. "On the dental accretion in certain 2nd person sing, verbal forms of Icelandic, Faroese and the old West Germanic languages" (1980c). Die Endung -t in der 2. P. Sg. des Verbs ist häufig als Entlehnung und Analogie des Pronomes ßü, du erklärt worden. Es werden typologische Parallelen zu den westgermanischen Sprachen gezogen. Die Entwicklung des isländischen Imperativs bietet hier ganz neue Wege zur Erklärung, die in dem Artikel genauer untersucht werden. 15. "On the lack of palatalization before -end- in the plural of Icelandic nomi-nalised present particípales such as leikandi" (1980d). In dem isländischen Partizip Präsens wird ein velarer Konsonant vor einem -e- nicht palatalisiert, es heißt also lei-kendur [leirken^Yr] "Schauspieler" (PI.) und nicht *[lei:cendYr]. Janez Oresnik erklärt diese Tatsache aufgrund der Universale Kiparskys, nach der phonologische Regeln nur auf abgeleitete Formen angewendet werden dürfen. Oresnik schlägt vor, daß diejenige segmentale Umgebung einer Morphemgrenze nicht als abgeleitet gelten soll, die ausschließlich durch die Wortbildung motiviert ist. 16. "An old Icelandic dialect feature: ise for ae" (1982). Diese Arbeit untersucht die graphischen Varianten vicenn, vienn statt vcenn "lieb", wie sie hauptsächlich in Manuskripten und Dokumenten aus dem 14. Jh. vorkommen. Die meisten dieser Dokumente stammen aus Nordisland, aber andere aus dem westlichen Teil des Landes aus der Gegend um Breióafjoróur. Es wird gezeigt, daß es sich hier um die Reste einer Lautenwicklung handelt, die nicht verallgemeinert wurde. Nachdem die philologische Seite des Problems erschöpfend behandelt worden ist, folgen historisch-phonologische Betrachtungen zum Thema. VERSUCH EINER BILANZ Wenn wir nun versuchen, eine Bilanz der Arbeiten Janez Oresniks zu ziehen, die er seit 1965 — also über einen Zeitraum von 20 Jahren — der Erforschung des Isländischen gewidmet hat, stehen wir vor keiner leichten Aufgabe. In diesem Zeitraum sind 34 Arbeiten erschienen. Sie behandeln überwiegend die moderne isländische Sprache, obwohl einige auch historischen Fragestellungen nachgehen. Die Erforschung des modernen Isländischen ist bisher stark vernachlässigt worden, weil die Tätigkeit der Forscher sich vorwiegend dem Altnordischen zugewandt hat. Es ist noch nicht richtig ins Bewußtsein der fachlichen Welt eingedrungen, wel- 166 che enorm großen Unterschiede das moderne Isländisch und das Altnordische trennen. Bekannt ist selbstverständlich, daß das Lautsystem des modernen Isländischen völlig anders gestaltet ist. Die Neugestaltung der Quantitätsverhältnisse um 1540 bildet traditionell die Trennlinie zwischen altem und modernem Isländisch. Obwohl die Morphologie sich relativ wenig geändert hat, sind die lautlichen Unterschiede derart groß, daß eine Verständigung mit einem Sprecher des Altnordischen heute nicht möglich wäre, angenommen ein solcher Fall könnte eintreten. Im diesem Sinne ist die Lage des Isländischen ähnlich der des heutigen Griechisch im Verhältnis zum Griechischen des klassischen Altertums. Die Arbeiten Janez Oresniks sind sozusagen die ersten, die der Fachwelt vor Augen geführt haben, wie groß die Unterschiede sind, die das Altnordische und das moderne Isländische trennen. Sie haben gezeigt, wie vielschichtig und wenig einheitlich das moderne Isländisch in seiner gesprochenen Form ist, selbst in der Morphologie, wo man doch den Eindruck hat, daß die Einheitlichkeit besonders groß ist. Es wird noch einige Zeit vergehen, bis diese Einsicht sich in der Fachwelt durchgesetzt hat, aber ein positives Zeichen ist immerhin, daß man beginnt, die gesprochene Sprache zu untersuchen. Der Mythos, daß der Unterschied zwischen gesprochenem und geschriebenem Isländisch besonders gering sei, ist auf keinen Fall aufrechtzuerhalten. Hier haben die Arbeiten Oresniks ein neues Gebiet erschlossen, in dem es noch viel zu erforschen gibt. Eine weitere Eigenschaft Oresniks, die in vielen Arbeiten zum Ausdruck kommt, ist seine ständige Bereitschaft, eigene Meinungen zu modifizieren, und seine Fähigkeit neue Gesichtspunkte zu integrieren. Dies ist besonders deutlich in den Arbeiten zur Morphologie, vielleicht etwas weniger in den phonologischen Arbeiten, da es sich in der Phonologie um Bereiche handelt, die in ihrem Wesen etwas mechanischer gestaltet sind. Die Charakteristik der gesprochenen Sprache ist ihr Dynamis-mus. Eine flexible Haltung, wie sie Janez Oresnik immer vertreten hat, ist sozusagen die Bedingung dafür, daß man ein auf den ersten Blick heterogenes Material überhaupt interpretieren kann. Besonders trifft das für das Material zu, das Oresnik in seinen mit großer Geduld durchgeführten Feldforschungen zusammengetragen hat. Fassen wir unsere Bilanz kurz zusammen: Das neue Buch Janez Oresniks, das etwa ein Drittel seiner Arbeiten zum Thema modernes Isländisch enthält, ist eine äußerst originelle Aufsatzsammlung. Es wird sicher in der Fachwelt beachtet werden, nicht zuletzt wegen der neuen Perspektiven, die es für die Erforschung des modernen Isländischen eröffnet. 167 BIBLIOGRAPHIE DER ARBEITEN JANEZ OREŠNIKS ZUM ISLÄNDISCHEN 1. (1985) Studies in the Phonology and Morphology of Modern Icelandic. A selection of essays. Helmut Buske Verlag, Hamburg 1985. 228 S. Arbeiten zur Morphologie 2. (1969) "A philological miscellany on the Icelandic verbs kefja, Ijá, cexa, skepja, sysa." Lingüistica 9, 1969, pp. 49—52. 3. (1971) "On some weak preterite subjunctives of otherwise strong verbs in modern Icelandic". Arkiv for Nordisk Filologi 86, 1971, pp.139—178. 4. (1976b) "Inflection of modern Icelandic nouns, adjectives, and adverbs". Lingüistica 16, 1976, pp. 97—118. 5. (1977d) "Three modern Icelandic morphophonemic notes". Sjotiu ritgerdir helgadar Jakobi Benediktssyni 20. júlí 1977, pp. 621—626. StofnunÁrna Mag-nússonar á íslandi, Reykjavik 1977. 6. 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Povzetek PRISPEVEK JANEZA OREŠNIKA K RAZISKAVAM ISLANDŠČINE Članek je bil napisan ob izidu nekaterih Orešnikovih islandoloških člankov pod naslovom Studies in the Phonology and Morphology of Modern Icelandic (Hamburg 1985) in obravnava v začetku mesto te knjige v znanosti o islandskem jeziku. V nadaljevanju prikazuje članek dela o islandski fonologiji in oblikoslovju, ki jih je J. Orešnik objavil pred izidom omenjene knjige (ne glede na to,ali so v knjigi ponatisnjena ali ne). V celoti gre za 18 bibliografskih enot pretežno s področja fonologije in za 10 enot pretežno s področja oblikoslovja. Prikazana je vsebina vsake enote, ponekod so dodane drobne kritične opazke in ali namigi na stanje obravnavane problematike pred izidom prikazanega dela. Najugodneje ocenjuje pisec Orešnikova dela o islandskem velelniku. Na koncu članka najde bralec poskus celostne ocene Orešni-kovega prispevka k raziskavam islandščine in bibliografske podatke o njegovih islandoloških delih, objavljenih pred 1985 (vštevši podatke o 5 ocenah/prikazih, ki sicer v članku niso posebej obravnavani). 170 Vladimir E. Orel Moscow 809.198.3-3 ALBANICA PARERGA (Balkan etymologies 101—109) Alb. akull The Albanian word for ice, akull is rather obscure from the etymological point of view. G. Meyer (1883, 66; 1891, 7) related it to Gk. 'oocAOq 'fog', Lat. aquilo 'northwind', Lith. aklas 'blind' and OPruss. agio 'rain'. However, Gk. 'cqcAüc and OPruss. agio (presumbly, an «-stem *aglu) are based on IE *aghlu-and should not be compared with akull for phonetic reasons (cf. Frisk 1966, 55). In spite of Pe-tersson (1921, 116), Lith. aklas has nothing in common with Lat. aquilo and is reasonably derived from ankü, akti 'to become blind', akis 'eye' (Biiga 1922, 268). In the end we are left only with the Latin word which seems rather far-fetched as a semantic parallel. Kamarda (apud Cabej 1976, 32) suggested to compare akull with IE *ak- 'sharp', which is phonetically clumsy. A new approach was adopted by N. Jokl (1923, 267—268), who found in akull a negative particle a (< *n) and root -kull, related to Slav. *kaliti (erroneously translated as 'to be cold', cf. Huid 1983, 38), and manifesting a zero-grade. This etymology, however, should not be trusted (in spite of Tagliavini 1937, 68 and £abej 1976, 33), since *kaliti did not originally refer to the notion of warmth or heat and was connected either with the IE word for 'hard' (Berneker 1908—1913, 476 and many other scholars) or with Slav. *kalh 'dirt' (Brückner 1927, 214; Trubacev 1983, 124). It seems tempting to treat akull as a potential borrowing from Germanic, if one remembers of a specific Germanic term for icicle: *jakulazj*jakilaz, cf.ON. jpkull, OE. gicel, gicela, ises gicel 'icicle of ice'. Indeed, Germanic *jakulaz is strikingly close to akull, and the only difficulty is the inexplicable disappearance of the initial *j- in Albanian. Perhaps, it is due to sandhi shown by Cimochowski (1950) to be an important factor of phonetic development in Albanian. Alb. bashké Alb. bashké has been analyzed many times, but in vain. This enigmatic word for fleece (a full review of outworn and obsolete etymologies of historical interest only see in Cabej 1976, 178—179) is usually related to Lat. fascis 'bundle' and/or Gk. cpaSxoeid. (cf. Mann 1977,197), a comparison not beyond doubt, since bashké should be connected with its synonym, baruké, implying *-r- in the prototype of bashké (Cabej 1976, 179). Cabej himself relates bashké < barshké to Gk. (pápaos 'part', but the semantic side of this etymology should be qualified as essentially superficial. 171 The morphological structure of baruke seems to be of primary importance. Its Proto-Albanian source, *baruktX, contains doubtless traces of an ancient «-stem *baru-, which could be also reconstructed in the case of bashke < PAlb. *barusk5. Now, what could this *baru- possibly mean? This question can be definitely answered now (see my analysis of Alb. berr below): *baru- was a word for sheep and goat in Proto-Albanian, and both terms for fleece, bashke and baruke, are derived from the word for animals producing this precious material. A very close semantic parallel is found in Skt. ajinam 'skin', Slav. *azb no id. derived from the IE word for goat (Skt. aja-, Lith. ozys). From the structural point of view, baruke should be analyzed as an adjective in *-ko-, which bears striking resemblance with Slavonic adjectives in *-ko- derived from u-stems, like *kort~bk~b 'short' or *soldbkrb 'sweet' (cf. Meillet 1905, 324). This morphological resemblance ought to be added to the long list of grammatical correspondences between Albanian and Slavonic. Alb. berk Alb. berk 'bast', known by South Geg only, is explained by Cabej (1976,201) as a Slavonic loan-word. According to Cabej, the possible source of berk has not survived in the South and exists now only in Russian, from where he cites o6epTKa 'cover'. Berk is believed to have been borrowed from Bulgarian or Serbo-Croatian analogs of o6epTKa, reflecting a hypothetical Slav. *obvbrfbka. But the Russian word is a recent formation; moreover, its hypothetical equivalents in South Slavonic could not develop into Alb. berk for phonetic reasons (one should expect something like *oberke in Albanian). To find a more plausible etymology of berk, one should remember of another Albanian term for bast, barme, which Cabej (1976, 170) explains correctly as a derivation of bardhe 'white', cf. Lat. alburnum and many other examples of the same semantic pattern. Barme being the result of the development of PAlb. *bardzma, berk is conveniently explained as PAlb. *bardzika < IE *bhorgh-iko-s, with *a changing to -e- according to the Albanian umlaut. Alb. berr Alb. berr 'sheep, goat' is notorious: a long list of suggested etymologies is perfectly discouraging, and-practically every existing etymology is phonetically (and sometimes, semantically) vulnerable. The most promising theory has been formulated by Meyer (1891, 33), followed by many others: berr is thought to be one of the Alpine (or pan-European) words for sheep, presumably of non-Indo-European origin and/or derived from an interjectional call used to assemble the sheep. From time to time the theory in question assumes a frightening glottogonic appearance (cf. Hubschmidt 1954, 195) and covers various words of similar forms from South Italian bar(a) to Pers. berre. More serious analysis, based on the idea of an interjection 172 developed into a word for sheep (Jokl 1923, 242) lacks substantial evidence of similar semantic changes. As a term for sheep and goat berr shows considerable resemblance with Slav. *borvb, the original meaning of which was not 'boar' (in spite of Trubacev 1975, 215), but more probably 'sheep and goats' in general. The latter is attested in OCS. bravb pecus, pecudes, ORuss. SopoBt pecus, oves, caprae, OCzech. brav id. and the like. Comparing this word with OHG. barug, baruh and ON. borgr, one comes to IE *bhor-u-, thematized in Slavonic as *bhor-u-o. The evolution expected for Alb. berr should be exactly the same. In Proto-Albanian the ancient *bhoru- was thematized and appeared as PAlb. *barwa. The root vowell changed to -e- because of the Albanian umlaut in plural forms, a process, typical of many Albanian nouns, while *-rw-turned into -rr-. Alb. berr is, therefore , an exact equivalent of Slav. *borvi and Germanic forms cited above, while *bhoru- could be postulated as a regional Indo-European word for sheep and/or goats (cf. Trautmann 1923, 27). II-jinskij (apud Trubacev 1975, 215) and Trubacev were hardly right to believe *bhoru-to be a word for a castrated animal, this meaning looking like a result of secondary development. To explain *bhoru- from *bher- 'to cut' is, therefore, not absolutely necesarry, and it is perhaps much more reasonable to compare with *bher-u- in Skt. bharvati '(he) chews, eats', sheep and goats being adequately described as ruminants. Alb. bilonje Alb. bilonje 'pretty girl or young woman' is exclusively Tosk. To explain it, Cabej (1976, 233) adduces Maced. SHJije 'plants, grasses' (cf. also Bulg. 6HJie 'grass' and Scr. bllje 'plants, grasses'). He also cites a concrete meaning of bilonje 'twig, branch'. Evidently enough, the Albanian word cannot be related to Maced. 6HJije either as a borrowing, or as etymological correspondence. Now bilonje contains a well-known Albanian suffix -onje, used in the names of females (ujkonje 'she-wolf' and the like). The root bil- is certainly identified with Alb. bije 'daughter', dial, bil'e id. Bilonje, used in folk songs only, is an obvious deminutive, something like 'little girl' or 'little daughter'. A curious meaning 'twig' (springing from a tree)' is, presumably, of metaphorical origin, as far as in many other cases words for twig or branch are formed from words denoting offsprings (for a detailed study see Trubacev 1984, 32—33 and Skok 1972, 147 on SCr. kbplle). Alb. birq Alb. birq 'heap, heap of sand, sand-dune' and its Tosk variant berq reflect PAlb. *ber(i)ka, -q being a trace of a recent generalization according to the plural form. The Tosk variant makes any connection with pirg 'tower' (Meyer 1981, 398) impossible (cf. Cabej 1976, 242). Comparison with SCr. brc, brca 'copia' (Skok 1971, 204) also does not seem convincing. 173 One of the most frequent ways of forming terms for heap or great amount is the postverbal derivation from verbs denoting the processes of bringing, giving or taking, cf. Russ. yfítMa 'many, a great amount' related to *jbmg or Russ. dial. 6opoHa («eTeñ) 'many (children in a family)' (for the latter see Varbot 1984), derived from *berg. It seems possible, that the same semantic pattern led to the formation of Alb. birq ~ berq. PAlb. *ber(i)ka could be analyzed as a noun, derived from IE *bher- 'to bring' with a suffix *-(iJko-. It is of special interest, that in Albanian there is another form related to *bher- and containing a similar suffix: bark 'belly', implying PAlb. *barka and *bhor-k-o. The same PAlb. *ber(i)ka is found in birko 'good, excellent', which has nothing to do with bir 'son' in spite of Cabej 1976, 242 or with miré 'good' (cf. Meyer 1891, 37). For the semantic development of birko one could adduce, for example, Russ. OTóopHHñ 'exclusive, excellent' or Alb. mbaré 'good' from PAlb. * en-bar a, derived from the IE root *bher-. Alb. bli Alb. bli 'linden' is usually treated as a homonym of bli 'sturgeon' and explained separately. Meyer derived it from Lat *(li)brTnum (Meyer 1891, 40), while Cabej compares it with the Baltic word for Salix caprea — Lith. blindis, blendis. As to bli 'sturgeon', it is related to Gk. 3Xevvo£ , Lat. blennus and suspected of containing a root denoting white colour, as in Russ. 6ejiyra'sturgeon', Ukr. SiJiyra id Cabej 1976, 264—265). The same colour motivation is not immpossible with the word for lime-tree. It is quite probable, therefore, that both bli 'linden' and bli 'sturgeon' reflect IE *bhlen- 'to shine'. To put it more exactly, bli 'linden' could be derived from PAlb. *blenda < *bhlen-d-, while bli 'sturgeon' ought to be equated to OPruss. blingis 'Abramis' Bjoerkna'; the latter reflects IE *bhlen-g-, while bli has developed from PAlb. *blenga (on blingis see Toporov 1975, 235). The phonetic development of bli 'linden' and 'sturgeon' implies a regular change of clusters *-nd-, *-ng- to *-n- and narrowing of the root vowel. Both words belong to the group of Albanian-Baltic exclusive isoglosses. Alb. bram Alb. bram 'residue, scoria, rust, ear-wax' is known only in Geg. Cabej (1976, 300) discusses the word, but leaves it without definite etymology. As far as it is a commonplace knowledge, that the words for rust or earwax are frequently derived from terms for colours (cf. OHG. rost, OE. rust connected with IE *reudh- red'), it is fairly possible to connect bram with Skt. bradhna- 'reddish, yellow', Slav. *bronb (OCS. bronb 'white', Scr. bron 'dark' and the like) from *brodnb . In Proto-Albanian one should expect *bradma. 174 Cabej's attempt to derive bram from *bramull, *bramullak, brumullak 'small ball, ring' as a result of a folk etymology is absolutely incredible, since it operates with a series of unattested Albanian forms and is far from perfection as far as the meaning is concerned. Alb. bruz Alb. bruz 'blue, indigo', bruzte id. is explained by Cabej (1976, 336—337) as a phonetic variant of brunc 'bronze'. This explanation, however, does not seem quite convincing, as far as bronze is rather hard to be qualified as blue. A more attractive possibility is to compare bruz (derived from PAlb. *brudja) with the Slavonic word for dirt *brudi , cf. also *brudbn~b 'dirty', implying IE *bhroudh-. According to Trubacev (1976,44), the latter is related to IE *bhrou-t- in Thrac. (Spouxog 'barley beer' and Illyr. brTsa (< brutja). If this comparison is correct, it is of special interest, since in Albanian bruz has a variant brus, that could reflect *brutja < IE *bhrutios, coinciding with Thracian and Illyrian forms. Another Albanian word, brydh 'weak, pliant, mild', brydhet could be also related to bruz, brus and, furthermore, to Slav. *brydhkh ~ *bridhkb 'disgusting, sharp' (for the reconstruction of *-y- see Sadnik, Aitzetmiiller 1965, 215—216). REFERENCES Berneker 1908—1913 — E. Berneker. Slavisches etymologisches Wörterbuch. Bd. I. Heidelberg. Brückner 1927 — A. Brückner. Slownik etymologiczny jçzyka polskiego. Krakow. Büga 1922 — K.Büga. Kalba ir senove. I dalis. Kaunas. Çabej 1976 — E.Çabej. Studime etimologjike në fushë të shqipes. Bleu II, Tiranë. Cicmochowski 1950 — W. Cicmochovski. Recherches sur l'histoire du sandhi dans la langue albanaise. — Lingua Posnaniensis, t. II, 220—255. Frisk 1966 — H. Frisk. Kleine Schriften zur Indogermanistik und zur griechischen Wortkunde. Göteborg. Hubschmid 1954 — J. 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Povzetek ALBANICA PARERGA (Balkanske etimologije 101—109) Članek vsebuje predloge etimoloških razlag (z delno kritiko ustreznih že objavljenih etimologij) za naslednje albanske slovarske enote: akull 'led', bashké 'runo', berk 'ličje', berr 'ovca, koza', bilonjé 'lepo dekle ali mlada žena', birq 'kup, kup peska, sipina', bram 'ostanek, scoria, rja, ušesno maslo', bruz 'moder, indigo', bli 'lipa'. 176 Pierre Swiggers et Karel Van den Eynde Leuven CDU 802/809-4 L'HARMONIE VOCALIQUE: REMARQUES DESCRIPTIVES ET THEORIQUES La description de l'harmonie vocalique constitue un des problèmes majeurs de la linguistique. Les descriptions qui en ont été fournies — pour les langues les plus diverses (altaïques, polynésiennes, amérindiennes, . . .) — font preuve d'une forte dépendance de ce micro-système à l'égard de la théorie linguistique qui sous-tend sa description. Evidemment, ce lien (de circularité) — que certains épistémologues appellent un lien de T-théoricité, c'est-à-dire de dépendance à l'égard d'une théorie T1 — n'est pas un phénomène isolé, ni en linguistique, ni dans les sciences humaines en général, mais il convient de se demander s'il n'y a pas de contenu objectif à dégager des descriptions divergentes qui ont été proposées de l'harmonie vocalique dans le cadre de la phonologie générative2, dans celui de la phonologie naturelle3 et dans celui de la phonologie autosegmentale4. Il nous semble qu'afin de dégager ce contenu objectif, il faut retourner à une description qui se réclame des principes de la linguistique structurale. Une raison impérieuse nous semble être le fait que les phénomènes d'harmonie vocalique relèvent d'un domaine qui n'est malheureusement pas reconnu comme étant autonome par les théories phonologiques modernes: la morphophonologie5. En effet, il est clair que pour décrire les faits turcs suivants, une distinction doit être faite entre (1) le niveau phonologique (2) le niveau morphophonologique (3) le niveau morphologique. 1 Pour une étude du rapport entre théorie et description des données, voir P. Swiggers, "La méthodologie de l'historiographie de la linguistique", Folia Lingüistica Histórica 4, 1983, pp. 55—79, et "Qu'est-ce qu'une théorie (en) linguistique?", Modèles linguistiques 5, 1983, pp. 3—15. 2 Voir la synthèse de R. Harms, Introduction to Phonological Theory, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1968. 3 Voir surtout les travaux de J. B. Hooper, An Introduction to Natura! Generative Phonology, New York, Academic Press, 1976, et de J. Foley, Foundations of Theoretical Phonology, Cambridge, University Press, 1977. 4 Voir surtout G. N. Clements, Vowel Harmony in Nonlinear Generative Phonology, Bloomington, Indiana University Linguistics Club, 1980, et "Akan Vowel Harmony: A Nonlinear Analysis", Harvard Studies in Phonology 2, 1981, pp. 108—177. Pour une évaluation de la phonologie autosegmentale, voir P. Swiggers, "The Relevance of Autosegmental Phonology for Diachronic Linguistics", Folia Lingüistica Histórica 5, 1984, pp. 305—311. 5 Sur le statut de la morphophonologie, voir A. Martinet, "De la morphophonologie", La linguistique 1, 1965, pp. 15—30; J. Kuryîowicz, "The Notion of Morpho(pho)neme", dans W. Lehmann — Y. Malkiel éds, Directions for Historical Linguistics, Austin, University of Texas Press, 1968, pp. 67—81; P. Swiggers, "Le morphophonème: su place dans ta description linguistique", dans M. Do-minicy éd. Linguistics in Belgium V, Bruxelles, Didier — Hatier, 1982, pp. 171 —185. Pour une application aux langues africaines, voir K. Van den Eynde, Fonologie en morfologie van het Cokwe, Leuven, 1960 (surtout pp. 21—27), et Eléments de grammaire yaka. Phonologie et morphologie flexion-nelles, Kinshasa, Université, 1968. 177 elim "ma main" elimde "dans ma main" evde "dans la maison" evim "ma maison" evlerde "dans les maisons" gôzde "dans l'oeil" gozum "mon oeil" gôzlerim "mes yeux" kuslar "oiseaux" kusum "mon oiseau" kuslarim "mes oiseaux" sut "lait" siitum "mon lait" dost "ami" dostum "mon ami" dostlar "amis" Au niveau phonologique, huit phonèmes vocaliques doivent être posés: ///, /u/, /i/, /u/, /e/, /0/, /a/, et /0/. On peut les ranger dans le tableau suivant6: 1er degré d'aperture Antérieur Postérieur i u i u 2nd degré d'aperture e ô a 0 Non ar. Arr. Non ar. Arr. Au niveau morphologique, il faut établir les morphèmes lexicaux fell, levl, Igôzl, Idostl, Ikusl, et Isiitl, et des morphèmes grammaticaux pour la possession (première personne), pour le pluriel et pour le locatif (Idel). Mais pour décrire de façon systématique la forme de ces derniers, il faut faire appel à un niveau intermédiaire, celui de la morphophonologie. C'est à ce niveau qu'on peut rendre compte de l'harmonie vocalique qui règle le choix des éléments vocaliques dans les morphèmes grammaticaux. Le morphème du pluriel, par exemple, se présente dans notre corpus restreint sous deux formes phonologiques: 1er et lar (cf. evler, kuslar). Par contre, le mor- ù u Abréviations utilisées: cirr. = arrondi; non ar. = non arrondi. Pour une analyse du système turc en traits acoustiques, voir R. Harms, o. c., p. 33; pour une caractérisation typologique, cf. Ch. F. Hockett, A Manual of Phonologv (I.IAL Meraoir 11), Chicago, Univcrsity Press, 1955, p. 84. 178 phème du possessif de la première personne du singulier se présente sous quatre formes phonologiques: im, im, um, et um. Ces faits rendent difficile l'explication de l'harmonie vocalique comme (1) une simple copie (cf. le concept de "copy-rule") de la voyelle précédente (cf. evler vs. gôzler) ou comme (2) une diffusion des traits phonologiques d'un morphème ou d'un partie d'un morphème s'étendant sur les morphèmes qui suivent. Si l'on distribue les phonèmes vocaliques du turc sur une figure en forme de cube, on constate que les morphophonèmes se situent le long d'une arête (cf. 1er — lar), soit sur un plan entier (cf. im, im, um, um). Choisissant l'approche Item-and-Arrangement, on peut représenter le morphème du pluriel comme /\JEx/, avec le morphophonème °/JE/. Ce morphophonème est doublement spécifié: comme un élément vocalique non arrondi du deuxième degré d'aperture (c'est-à-dire plus ouvert). Le morphème du possessif de la première personne du pluriel n'est spécifié que pour un seul trait: celui du degré d'aperture (en l'occurrence le premier degré). Morphophonologiquement on pourra donc représenter cet élément comme II ml ou lUml, etc. C'est en fonction de ces représentations morphophonologiques qu'on peut décrire l'harmonie vocalique en turc. Une forme comme gôzlerim comprend un morphème lexical exhaustivement spécifié au niveau phonologique, et deux morphèmes grammaticaux, dont seulement certains traits phonologiques sont spécifiés. Les autres traits non spécifiés (se rapportant au vocalisme) sont insérés au niveau phonologique par un processus qu'on peut appeler "transmission du trait homologique"7, qui, en turc, se produit de gauche à droite, du morphème lexical au premier morphème grammatical qui suit le monème, et ainsi de suite8. Ceci nous donne le résultat suivant, représenté schématiquement9: gôz IJEr Im 7 Pour la notion de "transmission (d'un trait)", voir P. Swiggers, "Remarques épistémotogiques sur la grammaire générative universelle", Linguisticae investigationes 8, 1984, pp. 429—435. 8 11 n'en va pas de même dans les langues sahaptin, où le vocalisme des suffixes peut modifier, en l'harmonisant, celui de l'élément radical. Voir les études de H. Aoki, "Nez Perce Vowel Harmony and Proto-Sahaptian Vowels", Language 42, 1966, pp. 759—767, et B. Rigsby — M. Silverstein, "Nez Perce Vowels and Proto-Sahaptian Vowel Harmony", Language 45, 1969, pp. 45—59. Pour un aperçu typologique des paramètres à utiliser dans la description de l'harmonie vocalique, voir Th. M. Lightner, "On the Description of Vowel and Consonant Harmony", Word 21, 1965, pp. 244—250, et H. Aoki, "Toward a Typology of Vowel Harmony", International Journal of American Linguistics 34, 1968, pp. 142—145. 9 Les parenthèses contiennent les traits spécifiés pour la voyelle de chaque morphème; la transmission d'un trait à un autre morphème, non spécifié pour le trait en question, est marquée par une flèche. Pour les traits "antérieur" et "postérieur" nous utilisons les abréviations anter. et post. degré 2 antér. arrondi ¡gôzleriml 179 La transmission du trait n'a lieu que si le morphème suivant n'a pas de spécification pour le trait en question; dans tous les autres cas, elle est bloquée. En outre, la transmission ne peut "sauter" un morphème intermédiaire: elle se fait de façon progressive, d'un morphème à l'autre. Pour la forme kuslarim nous avons la représentation suivante: kuš 1 post. arr. IMr 1 In 1 non arr. /kušlarim/ Parmi les avantages de cette analyse structurale de l'harmonie vocalique, il faut mentionner (1) la reconnaissance d'un niveau morphophonologique, qui permet d'aboutir à une économie beaucoup plus grande de la description; (2) la systématisation élégante des relations entre le niveau phonologique et le niveau morphophonologique dans les morphèmes grammaticaux; (3) une appréciation plus adéquate de l'harmonie vocalique, comme un processus de transmission de traits homologiques dans des zones de traits non spécifiés. Il nous semble que la distinction entre traits spécifiés et traits non spécifiés est non seulement indispensable pour une description objective de l'harmonie vocalique, mais qu'elle pourrait également être très utile à d'autres niveaux de l'analyse linguistique. Povzetek UBRANOST SAMOGLASNIKOV: OPOMBE K OPISU IN TEORIJI Avtorja opisujeta proces ubranosti samoglasnikov (vokalna harmonija) na primerih iz turškega jezika. Ugotavljata, da je treba ta pojav zmeraj obravnavati na morfofonološki ravni; le tako je mogoča abstraktna predstavitev, kjer so zajete tudi razlikovalne črte. Avtorja analizirata ubranost samoglasnikov v turšžini kot prenos razlikovalnih črt (na pr. „sprednji samoglasnik"/„nesprednji samoglasnik" ali zaobljenost ustnic pri tvorbi samoglasnika/nezaobljenost): te črte se v turščini prenašajo od leksikalnih mor-femov v gramatikalne. 180 G. Ernst: „Gesprochenes Französisch zu Beginn des 17. Jahrhunderts" Direkte Rede in Jean Héroards "Histoire particulière de Louis XIII" (1605—1610), Beihefte ZRPh, Band 204, Niemeyer, Tübingen 1985, pp. 623. Abituati come siamo alle meraviglie technologiche moderne, fatichiamo un poco a renderci conto che fino a non molti anni fa la diretta registrazione del linguaggio parlato era cosa impossibile e che di conseguenza la riproduzione délia esatta pronuncia degli enunciati linguistici restava affidata, da lunghissimi tempi, esclusiva-mente a fonti grafiche o descrizioni. L'ampio studio di Ernst ci fornisce un esempio, che si puô dire único e straordinario, di un documento del genere, e quindi porta a buon diritto il titolo, „il francese parlato del XVII secolo". Ma bisogna dire subito che se questo è diventato possibile lo si deve anche alla eccezionale prestazione dell'autore, prestazione che, come vedremo, oltre che rendere disponibile un vastis-sirno materiale lingüístico, si manifesta pure in unä impostazione metodologica di primissimo ordine. Il lavoro di Ernst si incentra infatti su una fonte che non era affatto sconosciuta (cf. pp. 22 ss) ma che era stata, ed è tuttavia, utilizzata principalmente ai fini di ri-cerca non lingüistica: si tratta délia „Histoire particulière de Louis XIII" di Jean Héroards, il medico al quale era stata affidata dal re di Francia, Enrico IV, la sorve-glianza sul figlio, il delfino, il quale a sua volta sarebbe diventato nel 1610, in età di appena nove anni, il re Luigi XIII. Dal giorno délia nascita del delfino (24 sett. 1601) H. passô la massima parte del suo tempo in immediato contatto con lui e tenne un particolareggiatissimo diario, nel quale ogni sorta di notizie a proposito del suo protetto sono debitamente annotate. Il diario si chiude con la morte di H. nel 1628: cosi un quarto di secolo délia vita di un personaggio reale del '600 passa da-vanti ai nostri occhi attraverso le accurate annotazioni del suo medico. Ora, fra moite altre informazioni, H. riproduce diligentemente anche le conversazioni che si tenevano nella piccola corte del reale rampollo e, naturalmente, le parole stesse pronuncíate dal delfino. Anzi, a queste riserva un trattamento speciale, in quanto cerca di riprodurne, con gli opportuni artifici grafici (una singolare anticipa-zione dei moderni alfabeti fonetici) persino la pronuncia effettiva. Questo procedi-mento di H. — sia pure non sempre perfettamente coerente e sistemático — consente comunque alio Ernst di analizzare con molta penetrazione i particolari degli enunciati del delfino, e di affrontare cosí nel modo più adeguato i problemi linguistici che si presentano all'interno dei materiali stessi, come pure quelli collegati con altre conoscenze che possediamo sulle particolarità della lingua francese nella prima metà 181 del sec. XVII. In realtà, la massima parte del libro di Ernst (pp. 103—617) è destina-ta ad accogliere gli esempi linguistici, cioè gli enunciati sui quali è fondata l'analisi, con il relativo inquadramento circonstanziale: e si ricordi che, malgrado l'ampiezza del la-voro, si tratta sempre di una selezione di episodi, limitata anche — per ragioni che vedremo subito — ad un periodo relativemente breve délia vita del delfino, cioè gli anni che vanno dal 1605 al 1610 (p. 24). La struttura del lavoro è del resto chiarissima. Oltre alla parte espositiva del testo (di gran lunga la più ampia) troviamo infatti una introduzione (pp. 1—33) e un commento lingüístico (pp. 34—102): queste due parti, anche se diverse, sono intimamente legate fra loro. Nell'introduzione si presenta il testo di H. nel suo insieme, e si danno fra l'altro le ragioni della scelta limitativa già accennata (prima del 1605 il testo ci è noto solo da una copia, e quindi „non ha lo stesso valore come fonte che ha l'originale"; dopo il 1610, invece, diminuisce l'interesse di H. per la riproduzione del „discorso diretto" del delfino, fino al punto che tale riproduzione non si presta più per una analisi adeguata). Altre notizie si riferiscono ai caratteri generali del diario di H., ma soprattutto affrontano la problemática lingüistica, ed è in questa sezione che particolarmente si distingue l'eccellente método di Ernst. Bastí accennare ad alcu-ni dei problemi che egli affronta (particolarità della notazione fonetico-fonologica; universali della lingua parlata; limitazioni dell'autenticità; discorso diretto e indiret-to) per rendersi conto della penetrazione e del rigore con cui è condotto il lavoro. L'accurata distinzione tra fenomeni fonetici, fonologici e grafemi (p. 5—7) conduce ad una ulteriore distinzione dei fatti che si riferiscono: a) all'ortografia in uso nel XVII secolo; b) alia riproduzione di pronunce devianti ma diffuse in quell'época; c) ad abitudini personali (linguaggio infantile) del delfino. Questo consente di identificare correttamente i quattro piani su cui si muove la trascrizione di H.: lingua standard, sub-standard, linguaggio infantile e idioletto. Ernst ne desume anche — a ragione, secondo noi — una prova dell'intenzionalità con cui il medico si sforza di riprodurre „auténticamente" gli enunciati del delfino, a livello fonologico e conseguentemente anche morfologico, sintattico e lessicale. A proposito di quest'ultimo livello il volume è corredato anche di micro-fiches contenenti una con-cordanza del testo (per la discussione di questa importante appendice, si vedano le pp. 31—33). Anche le caratteristiche e i problemi metodologici interni al diario tenu-to da H. sono messi attentamente alia prova, tra l'altro sia con accenni ricavabili dal diario stesso (p. 8) sia con osservazioni di ordine metalinguistico (pp. 9—10). Ovviamente il contributo più significativo di Ernst in quanto lingüista si riscon-tra nelle pagine dedicate al commento lingüístico del testo. In questa parte Ernst si sofferma su numeróse questioni particolari, per le quali stabilisce un raffronto tra i dati ricavabili dal testo di H. e le eventuali nostre conoscenze in proposito, che pro-vengono da altre fonti. Un caso típico (pp. 37—40) è quello rappresentato dalla pronuncia del dittongo wa oppure we (scritti oi), pronuncia sottoposta a un mutamento (legato anche a condizioni sociali) proprio nel corso del secolo XVII e che rappre-senta uno dei fenomeni più studiati nell'evoluzione della lingua francese. Altri esempi di processi fonetici caratterizzati da una problemática analoga riguardano la pronuncia della -e finale (p. 44 ss), della r, della 1, e della l'mouillée(pp. 46—57), della distinzione di sibilante palatale e non palatale (pp. 57—59), ecc. In tutto, sono una 182 ventina di casi, illustrati con ricchezza di particolari, fra i quali figurano perfino i fattori di condizionamento dalle frase (pp. 63—65). Altre osservazioni della stessa natura vengono svolte con riguardo a fatti morfologici e sintattici (per citarne solamente alcuni: l'uso dei pronomi, pp. 68 ss.; la morfología verbale, pp. 75 ss.; la ne-gazione, p. 84; l'ordine dei sintagmi, p. 81). L'abbondanza dei dati proposti da Ernst rende impossibile un approfondimento in questa sede. Mi limiteró a sottoline-are la grande importanza che puô assumere per gli studiosi della storia lingüistica di Francia il fatto di avere a disposizione i materiali selezionati da Ernst, ricordando poi che la sua presentazione — sempre svolta con la massima acribia — consente spesso di seguire anno per anno gli sviluppi che si manifestano nel linguaggio del delfino nel corso dei cinque anni sottoposti all'indagine. Spesso infatti i materiali selezionati da Ernst sono presentati in nitidi schemi e tabelle, utilissimi per consentiré gli opportuni raffronti. D'altronde, accanto ai fenomeni accennati qui sopra, altri ce ne sono, esaminati da Ernst con il solito impegno, che riguardano specialmente i riflessi linguistici di particolari condizioni sociologiche e psicologiche. Cosi il dovu-to spazio (pp. 71—72) viene concesso all'esame delle diverse forme di "Anrede", che devono la loro singolarità al fatto che nelFambiente che circondava il delfino, e nei riguardi dello stesso principe, veniva usato in modo quasi esclusivo il pronome „Vous" (le scarse tracce di „tu" si devono cercare in contesti anomali, come, per esempio, nel rivolgersi a Dio!). Altre pagine sono dedícate per esempio alla „mise en relief" (pp. 89 ss.) oppure all'uso della ipotassi/paratassi (p. 102). NelPinsieme si traita dunque di uno spettro amplissimo di problemi, tutti affrontati con estremo ri-gore metodologico, e in una prospettiva significativamente moderna della lingüistica. Da queste considerazioni scaturisce poi una ulteriore, singolare problemática, della quale Ernst è perfettamente consapevole, ma dalla quale, presumibilmente, non ha voluto lasciarsi prendere la mano, con una precisa intenzione, in quanto ha preferito lasciare agli specialisti il compito di intervenire più a fondo in proposito. Infatti a più riprese sono stati da lui esposti con particolare cura quegli aspetti che ri-flettono l'evoluzione del linguaggio del delfino: ma il delfino è un bambino come gli altri, sorpreso nella sua vicenda umana a partiré dall'età di quattro anni fino a quel-la di nove. Dunque il diario del medico H. rappresenta, fra tante altre cose, anche una descrizione „verticale" di un caso di svolgimento del linguaggio infantile. E infatti gli accenni di Ernst alla „Kindersprache" non sono pochi (fr. pp. 4—10, 24, 29, 46, ecc.): ma forse ancora più numerosi sono quei tratti — opportunamente selezionati — che rispecchiano diversi aspetti del linguaggio infantile, anche se Ernst non lo suggerisce sempre esplicitamente. Prendiamone in considerazione alcuni esempi. La selezione dei materiali co-mincia quando il soggetto è in età di quattro anni: c'è dunque molto da dire a proposito dell'acquisizione fonética. Tuttavia almeno due fatti vanno rimarcati. Primo, la pronuncia del delfino mostra una serie di sostituzioni alPinterno del sistema fonologico (/ invece di r, ecc.) o di semplificazioni (rC >C, ecc.) del tutto regolari se messe al confronto col sistema fonologico di bambini di lingua francese e di pari età; se-condo, tali sostituzioni riflettono non solo la normale evoluzione del sistema fone-matico francese, ma confermano l'universalité di certi processi evolutivi nel corso 183 dell'acquisizione fonética. Il linguaggio del delfino, agli inizi del '600, non si scosta affatto, nei suoi aspetti fonetico-fonematici, da quello di qualsiasi altro bambino. Símilmente si potrebbero investigare gli aspetti morfologici e — più ancora — quelli sintattici che Ernst presenta con abbondanza di particolari, pur senza insistere sui tratti tipici del linguaggio infantile. Si consideri per esempio il caso delle frasi di-pendenti oggettive (completive) introdotte da que (espresso o sottinteso), come negli esempi „Dite leu qu'i mange pu le poulé" (23.11.05), „ne savé vous pas (que) je n'aime pas le brûlé" (25.04.05). Sarebbe senz'altro interessante seguirne gli sviluppi attraverso il tempo, cosi come per le costruzioni negative, interrogative, ecc. Gli esempi schierati di varie congiunzioni (pp. 99—102) sono soltanto un campione délia ricca messe di strutture che si potrebbe ricavarne insistendo nell'indagine già piut-tostó ampia anche se appena abbozzata (per owii motivi) da Ernst. Interessanti sono pure, tra moite altre cose, i numerosi esempi di invenzioni e interpretazioni ,,me-talinguistiche", spesso scherzose, di parole o frasi, con le quali il delfino si diverte (per es. delumer „spegnere", contrapposto ad allumer „aceendere"). In conclusione, si puô sottolineare il fatto che la selezione del diario di H., pre-sentata da Ernst con fini prevalentemente linguistici, offre anche un ampio e interessante quadro che riflette il costume, le mode, i personaggi e i discorsi raccolti nell'ambito délia „piccola corte" che attendeva al delfino di Francia negli anni tra il 1605 e il 1610. Ernst non trascura, per esempio, le canzoni in auge in quel ristretto ambiente, e delle quali, attraverso il diario, ci rimane un ricordo; altri studiosi potrebbero fermare l'attenzione — tanto per citare un altro esempio caratteristico — sulla terminología scatologica e sugli eufemismi che ne fanno parte (a quanto sem-bra, il linguaggio delle persone che accudivano al delfino era piuttosto libero in proposito). Nella sua puntigliosa precisione, Ernst si préoccupa perfino délia qualité del francese da lui usato nella „metalingua", cioè nelle annotazioni che accompagnano il testo. E' forse il caso di aggiungere che — almeno per quei lettori che maneggiano la lingüa tedesca — il commento di Ernst spalanca la porta su un mondo che costi-tuisce una autentica rivelazione, sia per la storia della lingua francese, sia per lo svi-luppo del linguaggio infantile, sia infine per l'intimo legame che siringe i fenomeni linguistici con i fenomeni socioculturali, in un passato che è ormai abbastanza remoto. Giuseppe Francescato 184 Wolfgang U. Dressier. Morphonology: the dynamics of derivation. Ann Arbor, založba Karoma. 1985. — 439 strani. Leto 1985 je prineslo jezikoslovju precej znanstvene bere, dobre in slabe. Med dobro zasluži posebno pozornost knjiga Oblikoglasje dunajskega jezikoslovca Wolfganga U. Dresslerja. V knjigi je zbrano praktično vse, kar se ve o oblikoglasju (= morfonologiji), pregledno in urejeno. Pisec knjige se postavlja na stališče, da ni v opisni slovnici poleg glasnikoslovja ( = fonologije), oblikoslovja, skladnje itd. še posebnega oddelka oblikoglasje, temveč je le-to zgolj prehodno področje med glas-nikoslovjem in oblikoslovjem. Spričo tega je razumljivo, da je v knjigi veliko govora tudi o tem dvojem, zlasti o glasnikoslovju. Nekatere obravnavane zadeve so bolj ali manj že znane, druge so nove. Prikazovati novo v tako obsežnem delu (439 strani) je seveda težka naloga, podpisani sem si jo olajšal tako, da sem za prikaz izbral samo eno vprašanje: kako se dajo nekatere glasnikoslovne (= fonološke) značilnosti izvajati iz znakoslovnih (= semiotičnih) zakonitosti. Pred obravnavo tega vprašanja (v II) je uvod, posvečen tistemu izrazju in tistim pojmom (Ia) glasnikoslovja, oblikoglasja in oblikoslovja ter (Ib) znakoslovja, ki pomagajo razumeti odgovore na navedeno osnovno vprašanje. Ia. Pisec knjige opisuje menjave, ki jih opaža v raznih jezikih, v obliki potekov, poteke pa zapisuje s pravili. Vsako pravilo vsebuje potekovni del in okolje poteka, z obrazcem: X -»■ Y/A_B; tu je X -»• Y potekovni del (X je vhod poteka, Y je izhod poteka), A_B pa okolje poteka. Okolje poteka lahko manjka. Pravilo, v katerem je navedeno tudi okolje poteka, se imenuje okoljeodvisno. Posebno pomembno je razlikovanje med glasnikoslovnimi, oblikoglasnimi in oblikoslovnimi pravili. Glasnikoslovna so tista, v katerih nastopajo samo glasniko-slovni podatki (glasnikoslovni odrezki [ = segmenti], meje ipd.), npr. knjižnoslovensko pravilo [skoraj vsi zgledi pravil bodo iz slovenistične literature] (P 1) „[zveneč, -zvočnik] -* [-zveneč]_=ff=" (tj. nezvočniki so nezveneči na koncu besede pred premorom). Oblikoglasna pravila je težko opredeliti (ker so prehodna med glasnikoslovnimi in oblikoslovnimi, nekatera bolj glasnikoslovna, druga bolj oblikoslovna), sploh pa je prav ta zadeva eno izmed osrednjih vprašanj v Dresslerje- vi knjigi; za naše namene zadošča reči, da so v oblikoglasnih pravilih spremešani glasnikoslovni in oblikoslovni podatki, prevladujejo pa najbrž glasnikoslovni, npr. knjižnoslovensko pravilo (P 2) ,,/o/ /e/ / /c č ž š j/ + _ v nekaterih velikoo-blikoslovnih okoljih". Oblikoslovna pravila zadevajo obličnike ( = morfeme), npr. slovensko pravilo (P 3) ,,/človk/ -* /ljud/ v neednini (z nadaljnjimi omejitvami)". 185 V glavnem delu tega prikaza so omenjene tri podzvrsti glasnikoslovnih pravil: samodejno podglasniška (= intrinsično alofonska), nesamodejno podglasniška ( = ekstrinsično alofonska) in sovpadna ( = nevtralizacijska). Razlaga izrazov. Gla-snikoslovno pravilo je samodejno podglasniško, kadar uvaja povsem samodejen, od okolja odvisen podglasnik ( = alofon), npr. skoraj nezaznavno nosnost samoglasnikov ob nosnikih (izkazano tudi v slovenščini). Glasnikoslovno pravilo je nesamodejno podglasniško, če uvaja podglasnik, ki ni povsem samodejen, npr. v slovenščini mehčanje glasnikov /1, n/ pred /j/: (P 4) „/1, n/ ->■ [ +mehčani] /_/j/". Glasnikoslovno pravilo je sovpadno, kadar briše glasnik ( = fonem; na izraz GLASNIK me je nekoč ustno opozoril Jože Toporišič) ali ga pretvarja v drug glasnik. Zgled: zgoraj že navedeno pravilo P 1 o razzvenitvi pravih soglasnikov m. dr. na koncu besede pred premorom. Ib. Jezikovne enote se dajo kot znano obravnavati tudi kot jezikovni znaki, leti pa sodijo med znake sploh. Z znaki se ukvarja znakoslovje (= semiotika). Ta veda preučuje lastnosti znakov in zakonitosti njihovega vedenja. Iz dosedanjih spoznanj znakoslovja in jezikoslovja se vidi, da so nekatere lastnosti jezikovnih enot in nekatere oblike njihovega vedenja pravzaprav lastnosti in vedenjske oblike znakov. Tako se je odprla možnost, da nekatere lastnosti jezikovnih enot in nekatere oblike njihovega vedenja RAZLAGAMO s sklicevanjem na nauk o znakih. (Rečemo, na primer, da je jezikovni pojav X tak, kot je, zaradi svoje znakovne narave.) To je že pomemben razlog, da morajo jezikoslovci spremljati razvoj znakoslovja. Drug razlog pa je, da se da mogoče skozi znakoslovje vzpostaviti zveza med jezikoslovjem in filozofijo jezika, torej z nadaljnjo vedo, od katere lahko pričakujemo razlage nekaterih jezikovnih pojavov. Od filozofije jezika pa vodi povezava k ostalim delom filozofije. Osnovna enota znakoslovja je kot znano ZNAK. Opredelitvena značilnost znaka je, da je sestavljen iz OZNAČEVALCA in OZNAČENCA. Ta dva imata spet vsak svojo opredelitev. In sicer izhajajo pri opredeljevanju iz izraza „A je namesto B" (prim. znano latinsko različico tega izraza „aliquid stat pro aliquo"): označevalec je opredeljen kot A v izrazu "A je namesto B", označenec pa je opredeljen kot B v istem izrazu. Posebni primeri tega odnosa so med drugim „A zastopa B", „A vteleša B", A izraža B", „A nadomešča B", „A označuje B", „A je posebni primer od B", „A je primerek od B". Odnos „biti namesto" je v nauku o znakih osnovni, a ni opredeljen, temveč po-stuliran. Omeniti moram, da je filozof Wittgenstein v svojem t.i. „poznem" obdobju opozoril, da „biti namesto" pravzaprav ni odnos (relacija), temveč je ta izraz uvrstil med še preprostejše povezave, namreč med t.i. OPERACIJE. Pojem operacije je pri Wittgensteinu opredeljen svojsko. Nihče se še ni ukvarjal z vprašanjem, kakšne posledice ima za znakoslovje okolnost, da „biti namesto" ni odnos, temveč operacija. Vendar je problem temeljen in — kolikor imajo znakoslovne zakonitosti posledice tudi za jezikoslovje — pomemben tudi za to vedo. Vsekakor pa je jasno, da jezikovni izraz „biti namesto", vzet dobesedno, ne prikazuje bistva te operacije v pravi luči, je namreč premalo abstrakten. Kaj s tem mislim, je razvidno npr. iz tega, da lahko sestoji znak iz potekovnega dela jezikoslovnega pravila in iz okolja poteka; 186 tu se ne da trditi, da potekovni del pravila „stoji namesto" okolja ali obratno, zno-trajznakovni odnos med njima pa je vendar podan, namreč v tem smislu, da okolje poteka opozarja na nujno navzočnost poteka. — Ker torej razmerje med označen-cem in označevalcem ni odnos, bom v nadaljnjem uporabljal za to razmerje izraz ZNOTRAJZNAKOVNA POVEZAVA. Dosedanje slovensko strokovno izrazje uporablja za znak poimenovanje ZNAK. (Ker je to prevzeta beseda, nekateri vztrajajo pri domačem ZNAMENJU, zlasti v zvezi JEZIKOVNO ZNAMENJE. SSKJ uporablja v našem pomenu samo ZNAK, npr. v geslu SIGNIFIKANT.) Za opredelitveni sestavini znaka navaja SSKJ SIGNIFIKAT in SIGNIFIKANT (to mednarodno izrazje je gotovo naše najstarejše izrazje za ta pojma), dalje prevoda teh izrazov OZNAČENO in OZNAČUJOČE in končno samostojnejša OZNAČENEC in OZNAČEVALEC. Tu bomo uporabljali zadnje navedeni par. V znakoslovju razlikujejo razne vrste znakov. Ena razdelitev je na LIKE ( = ikone), KAZALCE ( = indekse) in ČISTE ZNAKE ( = simbole). Lik je znak, v katerem vlada med označevalcem A in označencem B neka podobnost (sem spada m. dr. slikovna pisava). Kazalec je znak, ki izkazuje kako tako povezavo med označencem in označevalcem, ki je več kot zgolj znotraj znakovna povezava, hkrati pa ni podobnost. Čisti znak je znak, ki ni lik ali kazalec (npr. med glasovjem konj in pomenom „konj" ni niti podobnosti niti drugačne povezave). Najmanj znani so kazalci. Nejezikpslovni zgled kazalca nam bodi znak, sestavljen iz označenca ogenj in iz označevalca dim: ta znak je kazalec, ker dim opozarja na ogenj, podobna pa si dim in ogenj nista. Jezikoslovni zgled, iz skladnje, je znak, sestoječ iz navezovalnega zaimka in samostalniške zveze, na katero se zaimek navezuje; tak znak je kazalec, ker vsebuje povezavo med označevalcem (= navezovalni zaimek) in označencem ( = ustrezna samostalniška zveza), pri čemer ta povezava ne temelji na podobnosti med označevalcem in označencem. (Kolikor bi kaka podobnost prav tako obstajala, npr. v obliki slovničnega ujemanja med samostalniško zvezo in navezovalnim zaimkom z enako se glasečimi (!) končnicami, bi bila v znaku navzočna tudi prvina likovnosti, in ta bi povečala naravnost in učinkovitost znaka.) — V velikem oblikoslovju spadajo h kazalcem med drugim zveze iz obrazila ali končnice in spremljajočega korena ali osnove: tu označevalec, tj. obrazilo ali končnica, opozarja na nujno navzočnost označenca, tj. spremljajočega korena ali osnove. Znaki so lahko hkrati liki in ali kazalci in ali čisti znaki, odvisno od vidika, s katerega jih opazujemo. V znakoslovju velja naslednja lestvica naravnosti znakov: najnaravnejši znaki so liki, najmanj naravni čisti znaki, kazalci so vmes. Znakoslovna lestvica učinkovitosti znakov je enaka: najučinkovitejši znaki so liki, najmanj učinkoviti čisti znaki, kazalci so vmes. Zvrsti znakov je še več. Tu omenjam samo še eno, pomembno za obravnavano snov. Gre za t.i. LEGISIGNUME. Legisignum je opredeljen kot zakonitost, ki je znak. Predlagam slovenski izraz ZNAK ZAKONITOST (to bodi podredno zložena samostalniška zveza s skladnjo kot pri človek žaba, rodilnik torej znaka zakonitosti). Sem spadajo med drugim vsa pravila oblike „X Y", (v knjižni slovenščini) zgoraj že omenjeno (P 2) Jo/ /e/". Vhod pravila je označenec, izhod 187 pravila pa označevalec, odnos med označencem in označevalcem (= „biti uresničen kot") pa je posebni primer znotrajznakovne povezave. Torej so taka pravila znaki, natančneje znaki zakonitosti. II. Zdaj sledi osrednji del prikaza, namreč kako se dajo nekatere lastnosti naravnih jezikov izpeljati iz nekaterih znakoslovnih zakonitosti. Zaradi kratkosti bodo zgledi samo iz glasnikoslovja. (V točkah, ki sledijo, je vsakič najprej navedena znakoslovna zakonitost, v poševnem tisku.) 1. Učinkoviti označevalci se morajo med sabo razlikovati. Odtod sledi 1.1. razlikovalna služba glasnikov in razločevalnih obeležij. Glasniki in razločevalna obeležja so namreč označevalci, ki tvorijo znake z označencem „drugačnost" (tako po R. Jakobsonu). 1.2. glasnikoslovno načelo kar največjega medsebojnega razlikovanja glasnikov. Načelo pravi, da se glasniki nekega jezika ceteris paribus razlikujejo med sabo, kolikor se le morejo. 1.3. nepriljubljenost skrčenj in izbrisov. Skrčenje namreč povzroči, da so skrčeni glasniki v najboljšem primeru samo delno prepoznavni, izbris pa napravi izbrisano za čutno nezaznavno. (V t.i. hitrem govoru je skrčenj in izbrisov sicer precej, vsekakor precej več kot v počasnem govoru, vendar to ni v nasprotju z zakonitostjo 1, temveč se razlaga tako, da v hitrem govoru prevladajo nad zakonitostjo 1 družbenojezikoslovni razlogi, namreč zmanjšana obzirnost do sogovornika). 2. Učinkoviti označevalci se morajo dati čutno zaznavati. Odtod sledi, da so v glasnikoslovnih izpeljavah nezaželene t.i. vmesne stopnje. Če izvajam zvalnik bože iz globinskega zapisa /bog + e/ in le-tega najprej pretvorim v zaporedni vmesni stopnji /bog'e/ in /bodže/, vzpostavljam s tem vmesne zapise, ki se ne dajo čutno zaznavati. V skladu z zakonitostjo 2 taki čutno nezaznavni znaki niso učinkoviti. Spričo tega jih lahko vzpostavljamo samo, če imamo za to pomembne razloge. Zakonitost 2 govori torej v prid čim večji konkretnosti posameznih (glasnikoslovnih, pa tudi drugih) izpeljav v slovnici. 3. Učinkoviti označevalci morajo biti primerne velikosti. Označevalci namreč ne smejo biti preveliki (tedaj jih je težko proizvajati) ali premajhni (tedaj jih je težko čutno zaznavati). Odtod sledi, da mora biti neka velikost glasnikoslovnih odrezkov „najboljša". Če se postavimo na stališče, da ima „najboljšo" velikost „normalni" enoglasnik, sledi 3.1. da so nadkratki glasovi redki in da radi onemijo (lep zgled sta slovanska jer in jor) 3.2 da so naddolgi glasovi redki in da se radi spreminjajo 3.3 da so enoglasniki pogostnejši kot dvo- in troglasniki, četveroglasnikov pa sploh ni. 188 Če se dalje postavimo na stališče, da je „normalni" soglasnik kratek, sledi 3.4. da so kratki soglasniki pogostnejši kot dolgi. Kakšno je stanje pri samoglasnikih, ne vem. Po slovenščini sodeč je "normalni" naglašeni samoglasnik dolg. 4. Učinkoviti označevalci se zlahka povezujejo drug z drugim. To je pomembno s stališča izgovarjave. 5. Učinkoviti označevalci morajo biti zanesljivi. Odtod sledi težnja po enoznačnosti (= angl. biuniqueness) znotrajznakovne povezave med označencem in označevalcem, tj. da ustreza danemu označencu samo en označevalec in da ustreza temu označevalcu samo en označenec. S tega vidika se dajo primerjati posebna glasnikoslovna pravila hitrega govora z ostalimi glasnikoslovnimi pravili. Glasnikoslovna pravila hitrega govora so manj enoenoznačna kot ostala glasnikoslovna pravila (ker je v hitrem govoru, kot že omenjeno, več skrčenj in izbrisov kot v počasnem govoru). Da bi se enoenoznačnost v skladu z zakonitostjo 5 povečala, se posebna glasnikoslovna pravila hitrega govora rada posplošujejo v glasnikoslovna pravila, ki veljajo ne glede na govorno hitrost. Zgled: v slovenščini se v hitrem govoru dostikrat skrči soglasniška skupina šč v š (zmanjšanje enoenoznačnosti); to skrčenje je neobvezno glasnikoslovno pravilo hitrega govora. V hitrem govoru mnogih se torej reče klešče ali kleše; v nekaterih narečjih (zlasti na Gorenjskem) pa se je to skrčenje posplošilo tudi na počasni govor in se beseda klešče tam redno izgovarja kleše — ne glede na govorno hitrost. 6. Najnaravnejši znaki so liki. Iz zgoraj že omenjenih predpostavk 6.1.1. znak je tem naravnejši, v čim večji meri ima lastnosti lika 6.1.2. pravilo je znak, čigar označenec je vhod poteka in čigar označevalec je izhod poteka in iz predpostavk 6.1.3. glasnikoslovna pravila so bolj likovna kot oblikoglasna in podobličniš-ka, in sicer v tem smislu, da je v glasnikoslovnih pravilih običajno podobnost med vhodom in izhodom pravila večja kot v oblikoglasnih in podobličniških pravilih 6.1.4. znotraj glasnikoslovnih pravil so najbolj likovna samodejno podglasniš-ka, manj likovna nesamodejno podglasniška, še manj likovna sovpadna 6.1.5. večja naravnost ima za posledico večjo pogostnost sledi med drugim 6.2.1. glasnikoslovna pravila morajo biti običajnejša kot oblikoglasna. To napoved dejstva potrjujejo. V jezikih sveta je naslednje razmerje med glasnikoslovnimi in oblikoglasnimi pravili: brezponski ( = izolacijski) jeziki oblikoglasnih pravil sploh nimajo, mnogoponski ( = aglutinacijski) jih imajo malo, v malo-ponskih (= fleksijskih) jezikih je glasnikoslovnih pravil več kot oblikoglasnih. 6.2.2. samodejno podglasniška pravila so najpogostnejša, manj pogostna nesamodejno podglasniška, še manj pogostna sovpadna. 189 6.2.3. znaki, ki nimajo čutno zaznavnega označevalca, so zelo nelikovni, torej zelo nenaravni. Iz tega sledi redkost skrčenj in izbrisov, oz. obvezni izbrisi in skrčenja so z zgodovinskega stališča nestanovitni in se radi pretvarjajo v oblikoglasna pravila. V hitrem govoru je sicer, kot že omenjeno, skrčenj in izbrisov več kot v nehi-trem, a ustrezne označevalce pozna govoreči iz počasnega govora. Zgled: kdor izgovarja šel včasih kot [šu], ve tudi za izgovarjavi [sew] in [sow]. Tako stanje v hitrem govoru ne ugovarja stanju, ki je v jeziku sicer. Celo v oblikoglasju so izbrisi in skrčenja nezaželeni. Tako se razloži npr. to, zakaj je v knjižni francoščini onemitev (predvsem končnega) polglasnika prešla v opisni slovnici v vstavljanje polglasnika. Običajni izgovor od table „miza" je [tabl], pod določenimi pogoji se na koncu doda polglasnik; zgodovinsko je bilo seveda drugače: [tabl] je nastalo iz besede na polglasnik z onemitvijo le-tega. V slovenščini je nekaj podobnega pri nestanovitnem polglasniku v besedah kot ocvirek. Zgodovinsko je ocvirek s polglasnikom starejše kot rodilnik ocvirka brez polglasnika. Opisno pa je mogoče že obratno: da je treba nastaviti koren/osnovo ocvirk- in iz nje izvajati imenovalnik ocvirek z VSTAVLJANJEM polglasnika. 6.2.4. v glasnikoslovnem pravilu, ki deluje na naravni razred (taka pravila se dajo lepo zapisovati z razločevalnimi obeležji), je nakopičene več podobnosti (torej likovnosti) kot v glasnikoslovnem pravilu, ki deluje na posamični glasnikoslovni odrezek. Iz večje likovnosti pa sledi večja naravnost, in tako so glasnikoslovna pravila, ki delujejo na naravne razrede, pogostnejša kot siceršnja glasnikoslovna pravila. Zgled knjižnoslovenskega glasnikoslovnega pravila, ki deluje na naravni razred, je zgoraj omenjeno (P 1) „[zveneč, -zvočnik] -»• [-zveneč]". Zgled knjižnoslovenskega glasnikoslovnega pravila, ki NE delujejo na naravni razred: (P 5) ,,/a/ -»• /e/ /_/j/", npr. daj. Pri oblikoglasnih pravilih, ki so bistveno manj likovna, kot so to glasnikoslovna (ker je pri oblikoglasnih pravilih običajno večji razloček med vhodom in izhodom pravila kot pri glasnikoslovnih pravilih), igrajo tudi naravni razredi prav majhno vlogo. (Oblikoglasna pravila se skoraj vedno laže oz. lepše zapišejo s „celimi" glasniki kakor z razločevalnimi obeležji, glej knjižnoslovensko pravilo (P 2) ,,/o/ /e/" zgoraj.) Nizi glasnikov se uresničujejo v nizih glasov. Taka uresničitev je tudi povezana z likovnostjo, in sicer preko ČRTEŽNOSTI ( = diagramatičnosti). Črtežnost je opredelitvena lastnost t.i. ČRTEŽEV ( = diagramov). Črtež je (znak) lik, v katerem so si povezave med deli označenca in ustreznimi deli označevalca podobne po naliki (so analogne). Zgled za črtež: glasnik podglasnik X -» x Y - y Če si predstavljamo odnos med glasnikom in uresničenim podglasnikom (odnos je „biti uresničen kot") v obliki puščice, ki povezuje glasnik in podglasnik, so si te puščice najbolj podobne, kadar tečejo vzporedno, manj so si podobne, kadar še ob kakem podglasniku stikajo, in še manj so si podobne, kadar se na poti od glasnikov do podglasnikov križajo. Iz tega lahko napovemo, da bodo najpogostnejše ure- 190 sničitve, pri katerih so puščice med sabo vzporedne, manj pogostne bodo uresničitve, pri katerih se puščice ob podglasniku stikajo (to so skrčenja in tisti izbrisi, pri katerih pride kot pri skrčenju do sovpada dveh glasnikov), najmanj pogostne bodo uresničitve, pri katerih se puščice križajo (to so premeti). Dejstva te napovedi potrjujejo, vedeti pa moramo, da je govor zgolj o opisni slovnici, tj. npr. samo o tistih premetih, ki jih je treba omeniti v opisnem glasnikoslovju danega jezika. Nadaljnja skupina napovedi zadeva jezikovne znake kot kazalce. 7. Kazalci so bolj naravni kot čisti znaki. V tej zvezi se da nekaj napovedati o okoljeodvisnih glasnikoslovnih pravilih (eno takih je že omenjeno knjižnoslovensko pravilo P 1 o razzvenitvi pravih sogla-snikov na koncu besede pred premorom). Njihov potekovni del tvori znak skupaj z okoljem poteka: potek je označenec, okolje poteka je označevalec, povezava med njima je v tem, da okolje poteka opozarja na navzočnost poteka. V nasprotju z okoljeodvisnimi glasnikoslovnimi pravili okoljeNEodvisna glasnikoslovna pravila niso kazalci (ker tudi niso liki, so torej čisti znaki). Iz tega in iz zakonitosti 7 sledi 7.1. okoljeodvisna glasnikoslovna pravila so pogostnejša kot okoljeNEodvisna glasnikoslovna pravila. Med okoljeNEodvisnimi glasnikoslovnimi pravili so posebno redki izbrisi glasnikoslovnih odrezkov, kajti pri takih izbrisih manjka tudi likovnost, ki je sicer skoraj vedno navzočna v glasnikoslovnih pravilih. Zgled: če izvajam samostalnik roč iz /rok +i/ in po (po mehčanju) zadnji glas izbrišem z okoljeNEodvisnim pravilom (P 6) ,,/i/ 0", je to redek, če ne kar nemogoč način glasnikoslovne izpeljave. Nekazalci ali slabi kazalci se radi spreminjajo v (boljše) kazalce, četudi za ceno spremembe iz glasnikoslovnega v oblikoglasno ali podobličniško pravilo. (Obliko-glasna in podobličniška pravila so namreč v vsakem primeru kazalci zaradi vsakokratne povezave z nekim oblikoslovnim pomenom.) Zgled: knjižnoslovenski velel-nik teci zahteva pravilo (P 7) "/k/ ->■ /c/ /_/i/", če se izvaja teci iz /tek + i/. To pravilo je kazalec, ker je okoljeodvisno, in je postalo še boljši kazalec s tem, da je bil v okolje prevzet tudi podatek „v velelniku" (ta podatek je potreben zaradi nasprotja z nedoločnikom teči, prav tako iz /tek + i/). 8. Kazalec je tem bolj učinkovit, čim manj sta njegova označenec in označevalec (telesno) oddaljena drug od drugega. Iz te zakonitosti sledi nekaj npr. glede pravil o ubranosti samoglasnikov (o vokalni harmoniji). Ta pravila naj ponazorim s finskim zgledom. V finščini je npr. vprašalna končnica -ko/-ko, torej v dveh različicah. Različica -ko se uporablja, če je samoglasnik predidočega zloga a ali o ali u; v ostalih primerih se uporablja različica -ko. Npr. menet-kd „greš?" proti Saksaan-ko „v Nemčijo?" Pojav velja splošno, ne samo za to končnico. Vplivajoči in vplivani samoglasnik tvorita znak kazalec, vrsta vplivanega samoglasnika namreč opozarja na vrsto vplivajočega. Med samoglasnikoma tega znaka kazalca stoji eden ali več soglasnikov, in to ustvarja razdaljo med barvno ubranima samoglasnikoma znaka kazalca. Taka razdalja pa v skladu z zakonitostjo 8 zmanjšuje učinkovitost znaka. Ustrezno pravilo se je odzvalo na to in si je" povečalo učinkovitost s tem, da si je povečalo kazalčnost, in sicer s privzemom 191 oblikoslovnih podatkov; pravilo se je torej spremenilo iz glasnikoslovnega v bolj učinkovito oblikoglasno in kot táko ima zdaj med drugim (kot je pri oblikoglasnih pravilih običaj) izjeme. Dve znani taki izjemi sta delnostna sklona ( = partitiva) od meri „morje" in veri „kri": mer-ta in ver-ta (ne mer-ta in ver-ta, kot bi pričakovali). 9. Kazalec je tem učinkovitejši, čim bolje čutno zaznaven je njegov označevalec. S tega vidika so najboljši poteki (pravila), pri katerih je velik razloček med vhodom (označencem) in izhodom (označevalcem). Ta težnja je v nasprotju z likovnost-jo, ki daje namreč prednost podobnosti med vhodom in izhodom pravila. Ker so liki naravnejši in učinkovitejši znaki kot kazalci, se tam, kjer poteka tekmovanje med li-kovnostjo in kazalčnostjo (to pa je v glasnikoslovnih pravilih), uveljavi likovnost (prednost ima torej podobnost med vhodom in izhodom pravila). Kjer pa nastopa kazalčnost sama zase, brez likovnosti, ali kjer kazalčnost odločno prevladuje, se bolje uveljavlja zakonitost 9 (prednost ima torej velik razloček med vhodom in izhodom pravila). Tako je pri oblikoglasnih in podobličniških pravilih; pri teh je resnično ponavadi razloček med vhodom in izhodom pravila bolj izrazit kot med vhodom in izhodom glasnikoslovnih pravil. 10. Znaki, katerih sestavnikiso prav tako znaki, imajo prednost pred takimi svojimi sestavniki. To je pomembno za razne vrste odnosov med besedami in obličniki (obličniki so kot znano sestavniki besed) ter med obličniki in glasniki (glasniki so kot znano sestavniki obličnikov). Posebni primer, ki sledi, je, da ima oblikoslovna kazalčnost prednost pred glasnikoslovno. Iz tega spet sledi (zaradi težnje po večji učinkovitosti znaka) obstoj težnje po spreminjanju glasnikoslovnih pravil v oblikoglasna in podo-bličniška, medtem ko obratne težnje ni. Npr. včasih ima okoljeodvisno glasnikoslovno pravilo poleg glasnikoslovnega okolja tudi (odvečno) oblikoslovno okolje; ko se otrok uči takega pravila, da prednost (prej sicer odvečnemu) oblikoslovnemu okolju, torej da prednost oblikoslovni kazalčnosti pred glasnikoslovno, v skladu z zakonitostjo 10. Knjižnoslovenski zgled: že omenjeni preglas (P 2) ,,/o/ /e/" se je dogajal nekoč za vsakim trdonebnim soglasnikom, npr. čoln bi bila takrat nemogoča beseda; zdaj je preglas omejen na položaj za določenimi soglasniki, namreč za /c č ž š j/ (to je posledica izgube mehčanja v slovenščini), in vezan na določene véli-kooblikoslovne enote, npr. na orodnik ednine, na obrazilo /ov/ ipd. Običajni razvoj pravil je naslednji. Če postane podglasniško pravilo glasniško, ■ izgubi svojo likovnost, hkrati pa se poveča njegova kazalčnost. Le-ta teži k prehajanju v oblikoslovno kazalčnost, pravilo postane zato iz glasniškega oblikoglasno in mogoče celo podobličniško. Namen pričujočega prikaza je bil ponovno opozoriti na sicer znano okolnost, da se dajo nekateri jezikovni pojavi osmisliti s sklicevanjem na znakoslovne zakonitosti in da se dajo nekateri jezikovni pojavi osmisliti verjetno SAMO s sklicevanjem na take zakonitosti. Táko je tudi eno izmed sporočil knjige, ki je predmet pričujočega prikaza. Janez Orešnik (Ljubljana) 192 Annibale Elia, Le verbe italien, Les complétives dans les phrases à un complément, Biblioteca délia ricerca, Lingüistica comparata diretta da Annibale Elia e Maurice Gross, vol. 1, Schena (Fasano di Puglia) — A.-G. Nizet (Parigi), 1984, 305 pp. 1 L'opéra recensita costituisce il primo volume dei materiali per la comparazio-ne délia sintassi (nel nostro caso: dell'italiano e del francese) ed appartiene alla serie di ricerche su quello che è definito lexique-grammaire, ricerche che vengono effet-tuate in diversi centri europei (Parigi, Napoli, Bari, Salerno, Palermo, Barcellona, Lisbona, Bremen, e Bochum). Le ricerche sulla sintassi italiana hanno i paralleli nel dominio degli altri idiomi romanzi: il francese (M. Gross), il castigliano (C. Subi-rats) ed il portoghese (De Maceido Oliveira). 2 La concezione teorico-metodologica fondamentale spiega a che livello si situa il presente lavoro: «Après le dévelopement récent de la grammaire transformation-nelle aux Etats-Unis et en Europe, la constitution d'un Lexique-Grammaire d'une langue trouve sa place dans l'élaboration de la théorie d'une langue, en tant que niveau intermédiaire entre théorie de la langue (du langage) et description des données empiriques des langues» (p. 12). 3 L'opéra di A. Elia si propone di studiare le propriété sintattiche dei verbi ri-spetto a quelle delle frasi completive (cioè dipendenti). Più precisamente, vengono classificati in un certo numero di classi i verbi che hanno un solo complemento og-getto diretto. Dunque, si ha «une analyse interne à la langue italienne» (p. 17), che poi potrà servire da base per confronti con gli altri idiomi romanzi sopraccitati, cioè «l'amorce d'un projet de syntaxe comparée des langues romanes» (ib.). Il volume fa dunque parte di un campo di ricerche quanto mai intéressante e prometiente, perché cerca di presentare i dati della lingüistica romanza comparata in chiave della contemporánea teoría generativo-trasformazionale (GT). 4 II volume recensito, il primo, è seguito da due altri: A. Elia — M. Gross (a cura di), Nominalizzazioni col verbo supporto 'essere' e A. De Angelis, Nominalizza-zioni col verbo supporto 'avere' (entrambi 1984). Tutti e tre i volumi fanno parte della serie Lingüistica comparata, la quale, assieme a quattro altre serie {Testi stra-nieri, Cultura straniera, Traduttologia, Puglia europea), tutte dirette da G. Dotoli, fa capo alia Biblioteca della ricerca (sempre diretta da G. Dotoli). 5 II volume recensito si divide in tre parti. La prima parte, intitolata Généralités (pp. 15—79), ci dà l'introduzione, seguita dal capitolo sulla struttura delle frasi completive dei verbi a un complemento; la seconda parte, sotto il titolo Classifica- 193 tion (pp. 81—168), esamina i singoli gruppi di verbi classificati; la terza parte, infine, che reca il titolo Les tables des verbes (pp. 169—289), contiene 9 tabelle di verbi con le relative propriété, un indice italiano-francese ed un altro, complementare, francese-italiano. La bibliografía (pp. 291—300) ed il sommario chiudono il volume. 6 La metodología, la terminología e la notazione (pp. 17 sgg.) sono quelle del Laboratoire d'Automatique Documentaire et Linguistique (L. A. D. L), con alcune modifiche. Il sistema di formalizzazione è abbastanza complicato ed a prima vista crea una certa avversione nei non-iniziati, ma questa non è certamente una caratteri-stica eccezionale dei lavori aderenti alla teoria GT; anzi, ne è piuttosto un tratto «in-erente». 7 Dei 14 mila verbi italiani è stato estratto un elenco di base di 8 mila verbi (con l'eliminazione dei verbi rari e di quelli formati a partiré da altri verbi). In base a que-sto elenco è stata fatta una classificazione dei verbi che ammettono frasi completive in posizione di a) soggetto, b) oggetto diretto, c) oggetto preposizionale,d) secondo complemento. L'autore adotta la posizione di alcuni generativisti (in Italia A. Pu-glielli) che trattano le frasi completive come gruppi nominali. Le diciotto classi (41—58) sono elencate ed illustrate da esempi alie pp. 21—22. L'oggetto di studio nel presente volume sono soltanto le prime sei classi (41—46; completive dei verbi a un complemento), che comprendono cca 1500 verbi. v 8 Alia pagina 23 l'autore affronta un problema importante sia dal punto di vista scientifico che pratico: in che senso si puô parlare di ITALIANO? Data la varie-tà, anche a livello dell'italiano standard, il problema non è certamente soltanto ac-cademico, e l'autore ne è ben cosciente. Le osservazioni si basano sui dizionari e sulla competenza dell'autore, e le propriété sintattiche sono state controllate sulla competenza sia propria (dell'autore) che altrui. L'autore aggiunge che il corpus è co-struito «in laboratorio»; in altre parole, «la notion du système linguistique sous-jacente à notre méthodologie n'est pas 'réalité', autrement dit le niveau de langue atteint est en fait abstrait et éloigné d'une véritable situation communicative où de nombreux facteurs complexes intéragissent, les facteurs sociaux et contextuels par exemple» (p. 23) (Detto di passagio, la nota 2 rimanda, a proposito di questo, a Elia 1978a, ma nell'elenco délia bibliografía i tre titoli contrassegnati dall' anno 1978 non sono ulteriormente distinti sicché il rinvio a 1978a rimane imprecisato.) La co-struzione di esempi per cosi dire «in vitro», cioè inaccettabili, addirittura impossibili dal punto di vista pragmático, logico, extralinguistico, non è un procedimento raro nei lavori di indirizzo GT (ricordiamo, ad esempio, di aver trovato in un manuale di lingüistica GT, per altro ottimo, la frase 'La gente sa che lo scienziato che ama la tra-dizione, dorme', la cui interpretabilitá semantica e pragmatica ci pare pericolosa-mente vicina a quella delle famose incolori idee verdi). Come vedremo più oltre, anche il lavoro del Nostro contiene simili esempi. 9 L'autore studia dunque un italiano piuttosto teorico, non «realistico», cioè effettivamente parlato. D'altra parte, l'esame del lessico in tutta la sua estensione permette di cogliere certi fatti che le teorie anteriori, basate su corpus limitati, non hanno potuto descrivere in modo soddisfacente (p. 24). Con le parole del Nostro:«une sorte de langue italienne 'théorique' représenterait la base pour l'étude des variations» (ib.). E ancora: «Le niveau de langue décrit doit donc être considéré 194 comme abstrait, et comportant la constitution d'un italien 'théorique', c'est-à-dire ni littéraire, ni populaire. Dans cet italien théorique existent simultanément des formes de ces deux niveaux» (ib.). Nei casi dubbi, ammette l'autore, si è cercato di «forzare» le proprietà nel senso dell'accettabilità, soprattutto nei dubbi d'origine purista (nella nota 3 si ammette Voglio che tu vieni, espulso dalle grammatiche sco-lastiche ma vivo nell'uso, e non soltanto a livello popolare). 10 Sarebbe impossibile descrivere ogni classe, ogni proprietà, ogni esempio: in-fatti, nessuna recensione per ampia che sia puô sostituire la lettura dell'opera originale. Perciô ci soffermiamo su alcuni punti soltanto. 11 capitolo più intéressante è il settimo délia II parte, il quale porta il titolo Quelques problèmes de comparaison entre italien et français: anche cosi breve come — purtroppo — è, esso ci fornisce parecchi risultati ed idee interessanti. È un'intro-duzione a quello che si è già detto nella parte introduttiva a tutto il libro, cioè alla futura sintassi comparata delle lingue romanze. Per ora le equivalenze sono in gran parte semantiche ed intuitive (p. 153). Le corrispondenze dovrebbero essere biunivo-che, e lo sono in alcuni esempi, ma più spesso ci sono varie differenze dovute a fat-tori storici e sociali nell'evoluzione romanza. Il capitolo citato si limita a stabilire certe caratteristiche dell'italiano e a confrontarle con le proprietà analoghe del fran-cese, senza costrizioni «formali» adottate nelle parti precedenti. Ci piace riportare per intero la frase finale dell'introduzione al capitolo 7 délia II parte, frase che costi-tuisce un bel contrasto con le formalizzazioni GT. Dice l'autore: «Les résultats [del confronto italiano-francese] nous ont paru stimulants, même s'ils ne doivent être considérés que comme les cerises d'une tarte dont on ne connaît pas encore le goût» (p. 155). Per rimanere nell'immagine, crediamo che la torta non smentirà il gusto delle ciliege, e lo auguriamo all'autore. — Si confrontano cosi la completiva e la frase infinitiva nelle due lingue, la completiva con il complemento oggetto preposizio-nale, le frasi italiane introdotte da a + che (che non hanno paralleli in francese), le frasi con di e da, nonché le corrispondenze e le differenze tra le singole classi di ver-bi. Al termine l'autore dice che «un travail détaillé de comparaison entre les classements italiens et français pourra constituer une base pour une étude du développement de ces deux langues à partir du latin commun» (p. 168), nel quale lavoro ver-ranno isolate quelle sezioni del lessico che malgrado fattori cronologici e areali con-servano un parallelismo sintattico stretto (ib.). Ma, ci pare ovvio, questa non è che una metà del lavoro, l'altra — certo non meno intéressante — essendo lo studio delle differenze tra i due idiomi. 11 Al termine aggiungiamo alcune osservazioni. La prima e la più generale è stata già abbozzata un po' prima: è l'inaccettabilità di parecchi esempi, per i quali sembra semplicemente impossibile costruire un contesto e/o una situazione reale. Aile volte si ha l'impressione che tali esempi siano scelti deliberatamente, perché il medesimo tipo di frasi potrebbe senza dubbio essere illustrato da esempi interpreta-bili con molta più facilità. Dal numéro relativemente alto di simili casi scegliamo una diecina di quelli caratteristici. Sheila distoglie Ena dal fatto che hanno ucciso Max. (p. 21) Ena approva il fatto che Max le baci le ginocchia. (p.49) 195 Ilfatto che altri mangiano peperoni rovina Max. (p. 54) Nelly esige che Max le carezzi i polpacci. (p. 69) Che Ena adori la miseria allarma Max. (p. 91) Emily ottiene che Max le comperi uno schiavo. (109) Questa situazione nuoce alla possibilità che Max resti a casa sua. (p. 125) Max sopravvive al fatto che Ena ami il duca. (p. 126) Max si vergogna çon Pat del fatto che sua moglie sputi. (p. 144) Max ammira Ena di aver saputo spogliare Sheila. (p. 159) Nei corridoi gira [E + la voce] che il papa è un drogato. (p. 160) 12 Ci sono poi nell'opera recensita certi altri punti che necessitano di un commenta, di una critica; oppure, per lo meno, sono lecite delle domande di maggiori chiarimenti. 12.1 Aile pp. 59—60, a proposito dell'uso dei modi (indicativo/congiuntivo) l'autore dice: «On peut donc affirmer que le flottement de mode observé n'est pas lié à des contraintes sémantiques; on pourrait penser à un mécanisme formel qui aurait séparé le lexique d'une façon assez arbitraire à partir du latin et qui aurait donné au mode des fonctions différentes dont on ne connaît pas la nature [. . .]». Come si possono constatare le funzioni di cui si ignora la natura? 12.2 Anche a p. 89 si tratta dei modi verbali: si dice che «dans les constructions où No - : il fatto che F [in parole più semplici: nelle completive introdotte da il fatto che], on est en présence d'un flottement (presque d'un continuum) entre indicatif et subjonctif». Per il flottement, va bene; ma un continuum — almeno nel senso co-mune dato a questo termine — è inconcepibile dato il carattere discreto delle unità funzionali délia lingua. 12. 3 A p. 99 si parla del passivo, e precisamente di una frase in cui ricorre il verbo concernere il quale, come si sa, non ha il participio passato. La frase passiva citata suona: *Iva è (riguardata + «concuta») molto da questa storia (attivo: Questa storia (riguarda + concerne) molto Iva). Ci domandiamo: perché la forma del participio inesistente è concuta e non concernuta? Quest'ultima forma sarebbe per-fettamente motivata ed accettabile (se ci fosse), mentre concuta non dice niente (dato che *concere non esiste). O si è voluto proprio costruire una forma non solo inesistente, ma anche senza alcuna motivazione possibile? 12.4 Aile pp. 133—134 si analizzano le completive introdotte da sul fatto che, possibili anche con i verbi che introducono una completiva con a che + congiunti-vo. I due esempi citati non sono tuttavia a nostro avviso semanticamente equiva-lenti: Ena cede al fatto che si deve partire. Ena cede sul fatto che si deve partire. La prima frase dice a che cosa cede Ena, la seconda ci informa invece che Ena cede su un determinato punto (che, cioè, si deve partire), ma non su eventuali altri punti. 12.5 Alla p. 159 l'autore trova una differenza tra francese ed italiano in frasi come Ena obtient une contribution de Max pour qu'on soigne les linguistes en retraite — Ena ottiene un contributo da Max perché si curino i linguisti in pensione, 196 perché in italiano «il existe seulement une forme avec perché qui introduit de règle un complément circonstanciel». La formula délia struttura francese bNo VPrépN1 Prép. N2 Prép Qu P. Se vediamo bene, l'autore fa una distinzione tra pour que in francese (Prép + Qu P) e perché in italiano: ma in che cosa consiste la differenza? Ció che pour que è in francese, lo è perche in italiano (finale). La grafía probabil-mente non c'entra. Sinceramente, non riusciamo a vedere una differenza tra le due congiunzioni (ci sia permesso di usare questo termine, vecchio e buono). 12.6 In certi punti le discussioni e le formalizzazioni portano a risultati che altro non sono se non le buone vecchie formulazioni («a viso umano», si direbbe), appena mascherate in termini moderni (talvolta lo ammette anche l'autore, expressis verbis). A p. 96, ad esempio, il sintagma con N2 è interpretato come complemento strumentale, mentreperN2 è complemento causale (se non andiamo errati, la gram-matica tradizionale affermava qualcosa di simile a memoria d'uomo . . .). A p. 114 si legge che le differenze dei modi nelle completive, se dipendono da costrizioni sin-tattiche, non sembrano legate a fattori semantici, «ce qui a toujours été affirmé dans la tradition». r 13 Qualche parola ancora sugli errori di stampa (a parte le tabelle che, evidentemente, non abbiamo potuto contrallare). Ci sono anzitutto errori più o meno inno-cui e fácilmente correggibili: a p. 20, riga 9: réfèrent, non référent; a p. 23, riga 18: notre, non nostre; a p. 24, ultima riga: espérons, non espérons-, a p. 37, riga 18: centré notre, non contré notre re; a p. 51, riga 26: introduite, non introduire; a p. 61, riga 1: impersonnels, non impersonnes-, a p. 85, esempi: americanizza, non américa-nizza; américanise, non américanisé-, a p. 104, riga 9: richiamo di nota 1, non 2; a p. 146, nota 1: trattandosi di esempi di frasi infinitive con preposizioni, negli esempi Max arrossisce nel baciare Pat, Rosina impazzisce col bailare il valzer ecc. in vece délia preposizione ne (franc, en) andrebbe restituita la forma in; a p. 157, in fondo alla pagina: deux structures, non deux structure. Accanto a questi ci sono perô certi altri errori non tanto chiari. Si è già detto che nella bibliografía non figura un item Elia 1978a; a p. 36 si cita Colombo 1970, mentre nella bibliografía appaiono Colombo 1971 e Colombo 1969; nella figura a p. 30 spera (2 volte) dovrebbe essere sposta-to sotto F e questo, pure due volte, sotto [ + N, +Pro]; nella bibliografía, s. v. Rosenbaum Constanctions va corretto in Constructions; infine, il nome del recensente è diventato Rekavcic invece del corretto Tekavcic (ma che si tratti di errore «a livello superficiale» è assicurato dalla posizione dopo Rohlfs). A p. 294 ALINERI va corretto in ALINEI e CARBOLI in CALBOLI. 14 In conclusione, il volume di A. Elia qui recensito è un contributo ad un problema tuttora — dopo tanti studi di grammatical — in gran parte poco esplorato. Lo studio del Nostro è un'analisi descrittiva moderna delle importanti propriété che collegano la sintassi e la semantica e costituiscono cosi l'essenza del funzionamento délia lingua. Nel contempo, lo studio recensito è anche contrastivo, dunque comparativo; last but not least, esso contiene le basi per uno studio più vasto su scala romanza, anche di indirizzo diacronico, il che — ci sia consentito di parlare un attimo pro domo nostra — attendiamo con particolare interesse. Pavao Tekavcic 197 Pierre Swiggers, Les Conceptions linguistiques des Encyclopédistes, Etude sur la constitution d'une théorie de la grammaire au siècle des Lumières, Sammlung Groos 21, Julius Groos Verlag-Heidelberg — Leuven University Press, Heidelberg 1984, 165 pp. 1. Le petit livre dont nous présentons ici le compte rendu est l'oeuvre du jeune savant Pierre Swiggers, chercheur qualifié au Fonds national belge de la recherche scientifique, linguiste et philologue qui nous a donné déjà une serie d'études, sur le siècle des Lumières (L'Encyclopédie et la linguistique au XVIIIe siècle, «Linguisti-cae Investigationes» 3/1979; La grammaire dans /'Encyclopédie: Etat actuel des études, «Beiträge zur romanischen Philologie» 20/1981; La théorie syntaxique dans /'Encyclopédie, «Lingua e stile» 18/1983 etc.), sur l'historiographie linguistique (tout récemment: L'article en français: l'histoire d'un problème grammatical, «Revue de Linguistique Romane» 49/1985), sur la linguistique du XVIIe et du XVIIIe siècle en général, etc. L'Auteur est donc bien un spécialiste qualifié pour offrir au public linguistique une synthèse de ses recherches sur les théories grammaticales dans Y Encyclopédie. 2. L'oeuvre de Pierre Swiggers répond à une tendance récente: «Depuis une dizaine d'années se manifeste un regain d'intérêt pour l'histoire des sciences humaines» (p. 2). A notre avis, cette renaissance est liée à l'orientation générale de la linguistique actuelle, que se détourne du côté systématique, structural, pour se pencher sur la langue au service de la communauté, de l'homme (sociolinguistique, pragmatique, standardologie, Varietätenlinguistik). D'autre part, c'est justement dans l'Encyclopédie que «pour la première fois dans son histoire, la grammaire devient l'objet d'une réflexion» (p. 143). L'intérêt de l'étude de l'Auteur est donc autant linguistique que culturel, étant consacré à la théorie grammaticale dans l'une des plus grandes oeuvres de la culture française. 3. Le livre récensé est divisé en huit parties: Introduction (pp. 1—4), Chapitre I: La grammaire. Définition et division (pp. 5—38), Chapitre II: La théorie du mot: Etymologie et valeur (pp. 39—60), Chapitre III: Le matériel des mots: Phonétique et prosodie (pp. 61—105), Chapitre IV: La syntaxe (pp. 106—140), Conclusion (pp. 141—145), Bibliographie (pp. 146—162), Appendices (pp. 163—165: reproduction anastatique de trois tableaux: des parties de la grammaire, des espèces de mots, des consonnes et des voyelles). Les six premiers chapitres sont suivis des Notes. 4. La façon claire et systématique de l'analyse permet de dégager facilement les buts de l'Auteur, ses méthodes et ses jugements sur la doctrine grammaticale des En- 198 cyclopédistes. Le but principal de l'oeuvre de P. Swiggers n'est pas la notion de langue dans Y Encyclopédie, mais la reconstruction de la théorie linguistique (p. 2). «Afin d'étudier le "champ grammatical" dans l'Encyclopédie nous nous sommes basé sur les articles proprement grammaticaux dans VEncyclopédies (ib.) [c'est VEncyclopédie méthodique-, p. 4, note 2]. Sur ces bases l'Auteur présente l'articulation du domaine, en y ajoutant ses réflexions à propos de la théorie et de l'argumentation des grammairiens de Y Encyclopédie. D'après l'auteur (loco ult. cit.), son travail est, du point de vue méthodologique, synchronique et immanent, et l'examen de Y Encyclopédie méthodique «a exigé une lecture "technique", de nature analytico-méthodologique, des articles grammaticaux» (p. 3); «ce sont les résultats, condensés et systématisés, de cette lecture que nous soumettons ici au jugement du lecteur» (loco ult. cit.). L'Auteur a essayé de relever les incohérences dans les exposés des Encyclopédistes, «non pour les prendre en défaut, mais pour rendre compte de la façon dont un lecteur moderne comprend l'argumentation, et la complète là où elle semble trop implicite ou mal formulée» (p. 96, note 15). Nous sommes tout à fait d'accord avec P. Swiggers quand il constate que, pour une description adéquate de la théorie syntaxique des grammairiens de Y Encyclopédie, «il est nécessaire [. . .] d'éviter d'y coller une étiquette a priori» (p. 115): mots valables pour toute recherche linguistique, voire scientifique en général. Et l'Auteur continue: «Par contre, il importe de structurer un ensemble de données explicites et implicites qui constituent les fondements des exposés syntaxiques qu'on trouve dans les articles grammaticaux de Y Encyclopédie» (\oco ult. cit.). En ce qui concerne la terminologie, l'Auteur établit une distinction entre les notions syntaxique et syntactique (pp. 123, 127, 129); à p. 127, par exemple, il distingue «une étude syntaxique (à base sémantique) et une étude syntactique (l'ordre des mots)». Ajoutons, pour compléter, qu'à côté de ces deux termes apparaît aussi le terme (et la notion) syntagmatique, opposé à paradigmatique (les deux termes se réfèrent aux deux axes du langage; p. 142). 5. Une des caractéristiques de l'oeuvre de P. Swiggers est la reformulation du matériel contenu dans Y Encyclopédie, d'après les méthodes formalisées modernes, soit qu'il s'agisse des dérivations au sens delà théorie générativo-transformationnelle (voir les «réécritures» aux pages 65, 72—81, 89, 117—118), des schémas en forme de petits tableaux (pp. 19, 44, 54, 63, 67, 68) ou bien des procédés de la logique symbolique (pp. 17, 84, 110). Ces formalisations sont certes utiles pour les initiés, mais il est indéniable qu'elle ne sont pas autre chose que la présentation — très fréquente aujourd'hui, mais souvent difficile à comprendre — des faits linguistiques qui, à notre avis, pourraient être décrits avec, sit venia verbo, autant d'exactitude et de précision d'une manière discursive. Sincèrement, de telles formalisations n'ajoutent rien ou presque à l'exposition et ne nous aident pas à comprendre les causes, la genèse et l'évolution des faits linguistiques et les liens structuraux entre eux. Mais ces réflexions critiques ne s'appliquent pas a l'oeuvre de P. Swiggers spécialement: c'est bien là un trait caractéristique de toute (ou presque) la linguistique contemporaine. 6. L'auteur a réussi à nous donner un tableaux complet des idées des Encyclopédistes sur la grammaire et le langage humain. En voici les principales. Les Encyclopédistes conçoivent la langue comme le tableau de la pensée (p. 199 107); «le langage est le signe des idées» (p. 141). Les grammairiens de l'Encyclopédie partent «de l'existence de pensées individualisées [. . .] qui ne posent aucun problème d'identification» (p. 17). Selon eux, nous nous exprimons par des entités linguistiques qui ont un sens complet (p. 18), et les «éléments langagiers exprimant une pensée ne sont [. . .] pas des traductions directes d'impressions sensorielles: ils correspondent à des abstractions appliquées à ces impressions (segmentées en unités)» (p. 19). L'opérateur d'abstraction se trouve au niveau des idées, non à celui de l'usage linguistique; «l'abstraction est donc un phénomène prélangagier» (loco ult. cit.). La langue est «la manière dont les hommes se communiquent leurs pensées» (p. 25). L'intérêt des Encyclopédistes se dirige nettement vers le côté philosophique: «la compréhension du processus de la transposition des pensées en langage permet non seulement de construire une théorie de la grammaire, mais également d'élaborer simultanément une théorie concernant la structure de la pensée» (p. 141). Pour ces raisons, comme on le verra ensuite, les grammairiens de Y Encyclopédie négligent l'étude formelle des éléments linguistiques. L'élément central de la description est le mot. En partant du mot, deux mouvements descriptifs sont possibles: un mouvement vers le haut (étude des combinaisons des mots en unités plus larges) et un autre, vers le bas (étude de la composition sonore des mots) (p. 61). A ces deux mouvements correspondent deux modèles grammaticaux: le modèle ascendant (phonétique morphologie syntaxe), propre à la linguistique du XIXe et du début du XXe siècle, et le modèle descendant (syntaxe -* morphologie -»■ phonétique), «assez proche de celui adopté par la grammaire transformationnelle» (p. 27). D'après ce deuxième modèle, qui correspond à la théorie des Encyclopédistes, on part de la pensée, qui est traduite en mots (syntaxe); les mots sont les signes des idées (lexicologie) et ils ont une forme sonore (phonétique + prosodie) (loco ult. cit.). L'Auteur conclut que dans Y Encyclopédie coexistent, «assez implicitement», les deux modèles: le Système figuré des parties de la grammaire suggère le modèle "ascendant", tandis que toute l'orientation «rationaliste et représentationiste (traduction de la pensée en discours) des encyclopédistes aboutit à un modèle "descendant"» (p. 28). En général, les grammairiens de l'Encyclopédie ont développé une théorie du langage qui «concerne le langage en tant que moyen, et non pas les langues en tant que systèmes grammaticaux, en tant que structures formelles» (p. 26). Le modèle grammatical de Y Encyclopédie vise l'examen des unités linguistiques correspondant aux idées et les principes de leur organisation (loco ult. cit.). Dans la theôrie grammaticale des Encyclopédistes la phonétique occupe une position secondaire (v. ci-dessous), l'étymologie n'est pas une science mais un «art» (p. 41), la sémantique appartient à la théorie de la connaissance parce qu'elle concerne nos connaissances des choses, qui se reflètent dans les mots (p. 42), une théorie morphologique n'existe pas et, en général, on constate «la négligence de l'aspect formel des mots, en faveur de l'étude de leur sens» (p. 43). 7. Notre aperçu de la doctrine grammaticale des Encyclopédistes telle qu'elle est présentée ici par l'Auteur, contient déjà quelques observations critiques que P. Swiggers formule à propos de cette théorie; il est temps maintenant de passer en revue ses autres jugements. L'Auteur met très bien en relief ce qui manque à la théorie 200 de la grammaire au XVIIIe siècle: ce siècle ne possède pas encore un algorithme, c'est-à-dire une procédure de découverte permettant d'analyser le discours en syn-tagmes et ensuite en mots (p. 13); les Encyclopédistes ne peuvent pas encore expliquer le langage figuré (qui est aujourd'hui encore une notion très vague, ajoute l'Auteur) et ils ne conçoivent même pas la possibilité de le décrire, ni d'en donner une grammaire (p. 20); la discipline particulièrement négligée est la phonétique (avec la prosodie); une phonologie n'existe pas encore (p. 62); certaines notions comme le degré d'aperture et le point d'articulation des voyelles ne sont pas encore reconnues (pp. 63 et 81); la théorie de la syllabe est défectueuse et inconséquente, et dépend de la théorie des sons (p. 84); l'union des syllabes pour constituer le mot n'est étudiée ni dans l'article Syllabe ni dans l'article Mot (p. 81); la phonétique occupe une place secondaire (p. 93) et une vraie théorie de la prosodie manque elle aussi (p. 85). Il manque enfin une typologie des phrases (p. 122). Mais — inutile de le dire — tout n'est pas noir, et à côté des aspects négatifs il y en a de positifs, tout aussi bien mis en relief par l'Auteur. L'Encyclopédie réserve une place pour la grammaire en tant que discipline autonome (p. 8);comme nous l'avons déjà dit plus haut, dans l'Encyclopédie la grammaire devient l'objet d'une réflexion pour la première fois dans son histoire (p. 143); dans les études des sons, les Encyclopédistes partent d'une physiologie relativement développée (p. 68) et se basent sur une théorie anatomique assez solide (p. 92); la théorie phonétique s'appuie sur des analogies avec la production des sons en musique (p. 92), elle est riche en observations empiriques et très avancée (loco ult. cit.); les Encyclopédistes distinguent les phénomènes segmentaux (phonétique) des phénomènes suprasegmentaux (prosodie); malgré les défauts, la classification des consonnes, surtout celle de Beau-zée, «fait preuve d'un immense effort de systématisation» (p. 77). Voici la conclusion de l'Auteur: «des grammairiens tels que Du Marsais et Beauzée étaient capables de discuter les fondements de la grammaire, d'élaborer une méthodologie grammaticale, de juger de l'utilité des notions grammaticales en vigueur et de séparer la rédaction d'une grammaire de la réflexion épistémologique qui prend celle-ci comme objet» (p. 143). Comme on pouvait s'y attendre, l'impression globale que l'on garde de la lecture du livre de P. Swiggers est que les jugements positifs prévalent sur les négatifs, surtout si l'on tient compte de l'époque (qui est antérieure à l'éclosion de la linguistique scientifique au sens moderne). 8. Le tableau des théories grammaticales des Encyclopédistes que l'Auteur nous offre dans le livre récensé est pondéré et objectif, moderne et complet malgré les dimensions de l'oeuvre. C'est une contribution à l'histoire de la grammaire, à l'évolution de la pensée linguistique et philosophique, et à la connaissance de cet ouvrage fondamental du XVIIIe siècle qu'est l'Encyclopédie. Si l'on y ajoute l'excellent aspect typographique et le nombre insignifiant des fautes d'imprimerie (du reste, toutes faciles à corriger), on aura une idée de ce livre de petites dimensions mais riche d'idées, intéressant et stimulant. Pavao Tekavcic 201 «Ladinia», Sföi cultural dai Ladins dies Dolomites, numm. V. (1981) — VIII (1984), Institut Ladin «Micurä de Rü», San Martin de Tor, Piccolino (Val Badia). 1. La rivista «Ladinia», le cui prime quattro annate sono state recensite in «Lingüistica» 21 (1981), pp. 325—331, continua ad uscire, conservando il suo profilo, la vastitä degli argomenti che concernono il mondo ladino ed arricchendosi anche di rubriche nuove. Offriamo ai lettori la recensione delle annate 1981—1984, concentrandoci anche qui sui contributi linguistici (tanto piü che nei numeri V—VIII, e particolarmente negli ultimi due, i contributi di argomento lingüístico occupano piü spazio di prima). 2. Nel numero V leggiamo al primo posto il breve articolo Rätoromanisch di D. Messner (pp. 5—14), nel quale I'autore passa in rassegna i metodi, discute il concetto di 'retoromanzo' e le diverse tipologie, ma alie tre domande principali a proposito del retoromanzo (1. lingua/dialetto?; 2. l'unita retoromanza esiste o meno?; 3. entra nel sistema italiano o no?) non si danno risposte chiare. Segue una breve rassegna del maestro della lingüistica romanza e italiana, Gerhard Rohlfs, intitolata Die Sonderstellung des Rätoromanischen (pp. 15—21), versione allargata dell'omoni-mo capitolo del manuale Romanische Philologie (vol. 2, Heidelberg 1952), comple-tata soprattutto dei dati dolomitici (p. 15, nota introduttiva). II Rohlfs vi tratta le particolaritä fonetiche, morfologiche, formative e lessicali. Alcune formulazioni ri-chiedono precisazioni o rettifiche: a p. 16, ad esempio, a proposito dei dittonghi «induriti» si dice «Wandel des zweiten Elementes eines älteren ei und ou zu ek (eg) und ok (og)», dove é ovvio che a diventare ek, ok ecc. non é solo il secondo elemento ma tutto il dittongo (oppure, parlando davvero del solo secondo elemento, si dovrebbe dire che i, u si trasformano in k (g). A p. 19 la creazione del romancio mesjamna 'mercoledi' si attribuisce agli «Einflüssen älterer germanischer Zeit», ma lo stesso termine esiste nell'italiano antico (mezzedima) e nel veglioto (misedma). Infine, una svista (che perö ricorre due volte): a p. 18, nota 12, e a p. 20 Emil (come nome di Gamillscheg) va corretto in Ernst. — H. Goebl (.Isoglossen, Distanzen und Zwischenpunkte, Die dialektale Kammerung der Rätoromania und Oberitaliens aus dialektometrischer Sicht, pp. 23—55) continua i suoi studi dialetto-metrici nei quali — come nella nostra recensione precedente — non ci addentriamo. — H. Kuen pubblica la seconda parte dello studio Die Eigenart des Ennebergischen Wortschatzes (pp. 57—99; la prima parte é uscita nel num. IV, pp. 107—138), nella quale si esaminano i vocaboli marebbani da m alia fine, con alcune aggiunte alia prima parte e un interessante rassegna delle differenze lessicali tra il marebbano ed il 202 badiotto (il primo si caratterizza dalla maggiore conservatività délia componente latina, dalla maggiore antichità delle formazioni romanze e dai prestiti dal germánico). — B. Richebuono, nello studio Notizen über die Gerichte der ladini-schen Dolomitentäler (pp. 101—149), esamina l'attività delle istituzioni denomínate cosi, che perö in realtà erano più che tribunali:«Das Gericht war ein zusamenhän-gendes, geschlossenes Gebiet, das eine Verwaltungseinheit des Landes bildete» (p. 101). Infatti, queste istituzioni convocavano riunioni, mantenevano l'ordine pub-blico, eleggevano deputati, riscuotevano i vari tributi feudali ecc. e, nelPámbito dei Processi, c'erano anche quelli alle streghe. II periodo studiato si estende dal Duecen-to all'Ottocento. — Segue il lungo contributo di J. Fontana Die Ladinerfrage in der Zeit 1918 bis 1948 (pp. 151—220), che dà un'esauriente documentazione (illustrata da diverse riproduzioni) della lotta dei Ladini per la coscienza nazionale e l'autono-mia. L'esposizione è semplice, vivace e sempre, beninteso, impegnata, e la tematica coincide in parte con alcuni contributi nel num. VI (di B. Richebuono e di H. Dorsch-Craffonara). — M. Aschenbrenner (Die «wilden» Menschen/La jënt salvaria/in den Sagen der Dolomitenladiner, pp. 221—236) traita le credenze popo-lari negli uomini «selvaggi» (nelle grotte montane; mostri, esseri soprannaturali, streghe ecc.), che sono una parte del folklore ladino nella quäle secondo taluni si nascondono gli ultimi ricordi di un'antichissima popolazione, da tempo estinta. — H. Menardi, nell'articolo intitolato Hof und Haus in Ampezzo, pp. (237—255), descrive la costruzione delle case (con disegni e fotografíe). — Segue il contributo di G. Faggin (Igermanismi nel friulano, Giunte al Pirona, pp. 257—269), in cui, dopo una breve introduzione, si studiano 52 elementi di origine germanica in friulano [alcuni dei quali ritornano in Istria: ad es. befel 'ordine', ma anche 'lavata di capo, ramanzina', che concorda in pieno col rovignese bafiel\. Dall'esame dei germanismi friulani si constata che una gran parte (14 su 52) ne appartiene alla sfera semántica della guerra e dell'esercito [sempre come in istroromanzo], altri rientra-no nel lessico della giustizia e dell'amministrazione, ma anche in altre sfere semanti-che. — L'autore della presente recensione passa in rassegna nel suo contributo (Il soprasilvano, Ritratto lingüístico della maggiore delle varietà romance, pp. 271—291) quelle che ritiene le caratteristiche principali di questa varietà del romancio, dopo di che segue il breve ma interessante articolo Untergegangenes Romanenland in Vorarlberg (p. 293—302) di J. Zehrer, dedicato al tema senz'altro più affas-cinante di tutto il complesso «retoromanzo», cioè alla ricerca di elementi retoro-manzi sommersi e conservati solo in fonti indirette (archivi, toponimi). L'idioma romanzo di Vorarlberg si è estinto troppo presto perché vi si potesse sviluppare una letteratura (p. 294), ma se ne sono consérvate tracce nei documenti latini (ib.). L'elemento più importante sono i toponimi, tanto più numerosi quanto più dalla valle del Reno si progredisce verso sud (pp. 294—296). II top. Fintiona (una sorgente d'acqua solforica), nei monti sopra Dornbirn, proviene secondo lo Zehrer da funtaniola, il che ci pare poco plausibile date le difficoltà fonetiche. Diversi altri toponimi si trovano più a sud: Kalchern (retorom. Calcaires), Fraxern, nel dialetto Fraxnara (< fraxinaria), in cui sorprende il nesso /ks/ conservato, Bofel (< bova-le, retorom. bual 'Viehweide'), poi Kampelon (accanto al suo pendant ted. Langenacker), Paluders (recentemente prosciugato), Quadratscha, Rungelin 'terreno dis- 203 sodato', Vanätscha (retorom. vignatscha) ecc. Fra i topp, troviamo anche Gargellen, dall'autore derivato da gurgella 'gola, passo montano', ma nulla si dice sulla conservazione délia /g/ davanti ad /e/, che non si spiega (il top. non puô essere tanto antico da essere stato imprestato prima délia palatalizzazione davanti a /e, i/ né puô essere stato preso in prestito più tardi, poiché il retoromanzo effettua la detta palatalizzazione). Secondo noi, la conservazione délia /g/ si oppone categóricamente all'étimo proposto. L'injunta literara contiene prosa e poesia, in gardenese e in friulano (con tra-duzioni italiane) e in engadinese (senza traduzione, ma con un glossario, il quale tut-tavia non è sufficiente). L'arredamento gráfico, le fotografíe, vari utili annunci pubblicitari, tutto ciô rimane al livello raggiunto nei primi quattro numeri. 3. Il numero VI si apre con l'annuncio della scomparsa di Carlo Tagliavini, «amich de nosta jënt, da d'ël stimada y respetada; amich de nosc lingaz ch'al á studié cun dediziun; amich de nostes munts, chirides sciöche pâlsa ciamô ince dô la mort». Il primo studio è lavoro di tre autori: B. Bagolini — A. Broglio — R. Lunz, I siti mesolitici delle Dolomiti (pp. 5—40). Gli autori constatano certe analogie materiali con il trentino ed il dominio italiano in genere. Le popolazioni penetravano nel-le Alpi dolomitiche nella stagione propizia, soprattutto come cacciatori; a questa fase, che arriva all'anno 2000 prima della nostra era, segue un'interruzione, dopo la quale si ha una seconda ondata di insediamenti. — U. Kindl fa certe osservazioni critiche alle Dolomitensagen di K. F. Wolff ( Vorbemerkungen zu einer kritischen Lektüre der Dolomitensagen des K. F. Wolff, pp. 41—48); in seguito E. Demetz si occupa dei canti popolari e popolareggianti in Val Gardena (Das Volks- und volkstümliche Liedgut in Groden, pp. 49—94), offrendo ricco materiale (testi e note) su canti ladini tradizionali e nuovi. — I due contributi che seguono trattano la materia che in parte si ricopre con quanto studiato da J. Fontana nel citato contributo al num. V di «Ladinia» (v. sopra): sono gli articoli di B. Richebuono (La presa di coscienza dei Ladini, pp. 95—154) e di. H. Dorsch-Craffonara (Die ersten dolomi-tenladinischen Zeitungen, pp. 155—173). Non potendo entrare in discussioni appro-fondite elenchiamo soltanto i temi trattati nel primo studio: le guerre napoleoniche, la restaurazione, il risveglio della coscienza nazionale dei Ladini, le occasioni mancate nel 1848, l'inizio del Novecento, la I guerra mondiale, il fascismo, le opzioni, i vari movimenti locali dopo la II guerra mondiale, l'accordo De Gasperi — Gruber, gli statuti, le scuole ladine, le associazioni culturali, i congressi, il censimento del 1981 ecc. Tutto questo sfila davanti a noi in una presentazione esauriente e sobria. Nel secondo articolo l'autrice scrive sui primi periodici ladini, toccando in parte la stessa materia come B. Richebuono. — A questi due contributi segue quello di H. Kuen intitolato Der religiöse und kirchliche Wortschatz des Gadertalischen (pp. 175—216), in cui si esamina il badiotto con sguardi sulle altre valíate dolomitiche. Ad un glossario etimologico segue una rassegna delle fonti delle voci esaminate (origine precristiana, latina, greca, italiana ecc.), la classsificazione delle parole, la rassegna dei procedimenti formativi, infine uno sguardo sui caichi semantici, sulle dif-ferenze areali e sulla storia della cristianità in Val Gadera. — L'ultimo contributo è il brevissimo articolo Heinrich Zschokke über die Rätoromanen in Graubünden (pp. 204 217—220) di J. Slizinski, al quale segue la nuova rubrica Rezenjiuns. Nel num. VI sono recensite due opere: una di J. Kramer e una di R. H. Billigmeier. L'opéra del Kramer è il volume Deutsch und Italienisch in Südtirol (Heidelberg 1981), recensito da H. Goebl alle p. 223—249. La recensione del Goebl soddisfa tutti i criteri per es-sere definita un contributo scientifico originale (e contiene anche un ricco elenco bibliográfico); essa è una violenta stroncatura del Kramer (definito battistiano), con decise contestazioni delle sue idee linguistiche ed extralinguistiche. L'opéra del Billigmeier s'intitola A Crisis in Swiss Pluralism. The Romansh and their Relations with the German- and Italian-Swiss in the Perspective of a Millenium (L'Aia 1979), ed il giudizio del recensente (P. Linder, alle pp. 251—253) è in sostanza positivo ma con diverse osservazioni critiche sugli errori e sulle formulazioni poco precise e/o in-utili. L'injunta literara contiene poesie nel ladino badiotto e in quello gardenese, nonché in friulano, e — per la prima volta — un breve testo soprasilvano (di T. Candínas), con la traduzione in tedesco. Quanto detto sul lato tipográfico a proposito del num. V vale immutato anche per il num. VI di «Ladinia». 4. Con il num. VII la nostra rivista entra nel suo settimo anno di vita. All'inizio stanno due contributi non linguistici: R. e M. Frölich (nell'articolo La filigrana di Cortina d'Ampezzo a cavallo del secolo, pp. 5—35) studiano i bellissimi lavori dei filigranisti ampezzani fiorenti nel periodo indicato, mentre V. Staggl (Die bäuerliche Nutzweberei im Gadertal, pp. 37—80) dà una descrizione esauriente del telaio, della tessitura ecc., con l'elenco dei membri delle famiglie dei tessitori e diversi termini ladini. — A questi due lavori di argomento piuttosto etnográfico segue un altro studio di U. Kindl su K. F. Wolff: questa volta è il contributo precipuamente teorico intito-lato Zum Problem der Quellenlage in K. F. Wolffs Dolomitensagen, pp. 81—97. L'autrice, specialista e studiosa dell'opera del Wolff, che già conosciamo, discute qui le fonti dello scrittore e raccoglitore, la differenza tra nacherzählen e umerzählen [rinunciamo a tradurre i due termini tedeschi, tanto motivati e tanto condensati] a proposito dell'opera del Wolff, nonché il valore scientifico delle sue fiabe dolomitiche. — Nell'articolo che segue (Hundert Jahre "Rätoromanische Grammatik": Eine wissenschaftliche Studie zu Theodor Gartner, pp. 99—122) W. N. Mair esamina, in modo assai ponderato ed informativo, la vita, le idee e l'opéra, nonché l'influsso del noto «retoromanzista» (ma anche rumenista) austríaco. Dal molto materiale interessante scegliamo alcuni fatti: la prima fase dedicata aile scien-ze esatte (chimica), un certo strutturalismo ante litteram (dovuto a questa base), la concezione in nuce di quelli che più tardi saranno i tratti distintivi, il contatto col ro-meno, la descrizione sincrónica, l'interesse per la morfología (meno per il lessico), l'interesse sociolinguistico, le inchieste destínate a cogliere la lingua parlata. La descrizione sincrónica ha valso al Gartner la fama — ingiustificata — di mero de-scrittore senza basi teorico-metodologiche proprie e di autore di manuali alquanto superficiali. Il Gartner non ha avuto molti seguaci, ma è mérito suo il costituirsi di studi retoromanzi all'università di Innsbruck, il che fruttö poi nomi quali K. v. Ett-mayer, E. Gamillscheg, A. Kuhn, H. Kuen, e le opere del Gartner restaño anche nei nostri tempi indispensabili per gli studi retoromanzi. — Il breve contributo di H. 205 Kuen (Spuren eines verschwundenen Tempus im Dolomitenladinischen, pp. 123—128) scopre le tracce dell'esistenza del preterito semplice (passato remoto) nel dominio ladino, e precisamente in due punti del sistema verbale: 1) il prêt, sempl. FUI si è «salvato» (all'epoca délia scomparsa di questo paradigma) assumendo le funzioni dell'imperfetto ERAM (p. 125), da dove le forme come fo(v) a 'ero' e cer-te altre interazioni formali tra i due paradigmi; 2) la conservazione délia /b/ di HA-BERE e délia /p/ di SAPERE nei loro participi (abù, albii, sapú, salpü ecc.) si spie-ga solo con l'influsso del prêt, sempl. in cui, grazie alla semivocale /w/ (HABUI, SAPUI), le occlusive si conservano. I contatti tra i vari paradigmi per il passato e tra il prêt, sempl. ed il participio sono infatti frequenti nella morfología verbale romanza (e l'autore ne cita degli esempi). Qualche osservazione si puô tuttavia fare: non crediamo che oggigiorno un termine «pittoresco» come salvarsi vada inteso in sen-so teleologico, ma resta il problema délia scomparsa dell'imperfetto e délia «inva-sione» del suo campo da parte del prêt, semplice («Sog» o «Schub»?); inoltre, perché lo stesso non si verifica in altri verbi? Infine, se l'imperfetto diventa fo(v) 3 ecc., non si puô dire che le sue funzioni siano state assunte dal prêt, semplice, poiché l'imperfetto continua a vivere ed a funzionare come tale, bensi si è prodotta soltan-to una contaminazione, un'immistione fórmale, le cui vere cause rimangono da sco-prire. — Il resto del num. VII è dedicato quasi per intero alla continuazione degli Studi gardenesi di W. Belardi. Essendo gli Studi I—IV usciti nel volume in memoria di A. Pagliaro (Roma 1984), l'autore ci presenta qui il num. V, che occupa le pagine 129—191 e porta il titolo La formazione del plurale nominale in gardenese attraver-so la documentazione scritta. Il periodo esaminato va dalla fonte più antica (del 1807) fino a quella più recente (del 1983) e, pur essendo fondamentalmente sincrónico, consente alcune interessanti constatazioni diacroniche, tanto più che le descri-zioni sincroniche sono di regola accompagnate da «note storiche». L'autore afferma di fare lavoro descrittivo, non normativo (p. 135) e di essere lingüista, che collega ed interpreta i fatti (p. 131). L'elenco delle fonti (Elwert, Gartner, Lardschneider-Ciampac, Minach, Tosi ed altri ancora) è seguito da importanti os-servazioni sulla rapida evoluzione della lingua scritta negli ultimi decenni (p. 135), sui morfemi esprimenti il plurale, sulla coesistenza dei plurali in -i.e in -os come resti della declinazione bicasuale «fin tanto che la grande Ladinia era abbastanza unita» (p. 138). La parte principale è data da una minuziosa descrizione dei vari tipi morfo-logici. Rileviamo inoltre alcune constatazioni interessanti: SCIRE, ad esempio, so-pravvive anche in ladino (nresci 'venire a sapere' < *INDE—RE—SCIRE, nota 20); FUSCU > fosch significa 'ñero' [come in veglioto, P. T.]; esiste anche l'aggettivo scherdëil 'sconnesso, fesso, incrinato' (p. 171), che ha un bel parallelo nell'istroromanzo skridil, -a (detto ad es. di una botte che lascia trapelare). Poche le osservazioni critiche: a proposito dello spostamento d'accento in martedi ecc. si citano anche (nota 22) le forme friulane lïinis, martars, miàrcus, vinars, nelle quali tuttavia non si ha nessuno spostamento d'accento; a p. 168, tra i parossitoni in -ul figura anche baúl, che ovviamente dovrebbe essere ossitono. Interessanti, infine, i casi in cui si constatano evoluzioni: ad esempio /dis/ giorni' nell'Ottocento, /dis/ nel primo Novecento, /di/ forma attuale (p. 150); -es si diffonde sempre più a scapi-to di -5 (p. 173). — E. Diekmann (Zur sprachlichen Situation in Graubünden, pp. 206 193—209) fornisce i risultati di una sua inchiesta sui rapporti fra romancio e tedes-co. L'autore ha studiato la terminología dell'automobilismo, dunque un settore les-sicale in espansione ed atto alio studio dei neologismi. I singoli comuni presentano si situazioni diverse, ma il romancio viene utilizzato in molti comuni in diverse sfere della vita (privata, talvolta anche ufficiale) e si mostra capace di svolgere tutte le funzioni imposte al linguaggio dalla vita moderna. Al termine si esaminano con giu-sta prudenza le prospettive del romancio sopraregionale (il cosiddetto Rumänisch Grischurí). Siamo del parere che sarebbe utile e interessante completare simili ricer-che sociolinguistiche e standardologiche con uno sguardo dal punto di vista della Ausbaukomparatistik di H. Kloss, adottata e sviluppata da Z. Muljacic. La rubrica Rezenjiuns contiene tre recensioni. P. Linder presenta la traduzione tedesca del libro di R. H. Billigmeier (il cui* originale inglese è stato recensito nel num. VI), intitolata Land und Volk der Rätoromanen (pp. 213—214) ed il volume Die Sprachlandschaft Rheintal edito dalla Gesellschaft Schweiz — Liechtenstein (pp. 215—216). La versione tedesca dell'opera del Billigmeier è migliore dell'origi-nale, ma diverse manchevolezze rimangono; comunque, l'eccellente prefazione di L. Camartin rende la traduzione superiore addirittura all'originale. La seconda opera (soprattutto l'articolo di H. Stricker sulla storia lingüistica della valle del Reno e del Liechtenstein) contiene ricco materiale per lo studio dei resti romanci nei dialetti tedeschi e soprattutto per la toponomástica, che è la principale delle fonti. Anche l'altro articolo nella seconda opera, quello del Gabriel, contiene un capitolo sulle «rätoromanische Reliktwörter». — Infine, H. Goebl recensisce (pp. 217—219) il Wörterbuch von Obervaz, Lenzerheide, Valbella di T. Ebneter (Tübingen 1981). Il vocabolario dell'E., frutto delle inchieste personali, vuole illustrare il linguaggio spontaneo degli abitanti anziani; esso contiene anche-molti toponimi e Flurnamen nonché testi, e nella parte principale dà un lessico completo corredato di esempi, spiegazioni semantiche, disegni ecc. La recensione è, insomma, altamente positiva. L'injunta literara (pp. 221—251) offre poesie gardenesi (tradotte in italiano da W. Belardi) e badiotte (purtroppo senza traduzione), alie quali segue la bella presen-tazione del giovane poeta friulano Giacomo Vit, dalla penna di G. Faggin, e una scelta delle sue poesie con la traduzione in italiano. 5. Eccoci giunti al num. VIII. Al primo posto sta la conferenza di B. Cathomas, tenuta a Bolzano, e qui presentata sotto il titolo Minderheiten in der Selbstbesinnung und Selbstbestimmung (pp. 5—15), dunque dedicata ad un argomento di viva attualità in domini come il retoromanzo. Dopo una breve introduzione in romancio, l'articolo espone (in tedesco) varie idee assai interessanti: la Selbstbestimmung in opposizione alla Fremdbestimmung dei Ladini; un certo risveglio e la volontà di rea-lizzare una nuova identité culturale; la necessità di definire ormai i Ladini non solo dal punto di vista di quello che non sono («né italiani né tedeschi») ma mediante quello che sono; la posizione delle minoranze, che devono essere equipárate in tutto al resto della popolazione (niente leggi speciali, posizioni particolari ecc.); né com-plessi di inferiorità né glorificazione esagerata della propria storia; l'uso vivo del retoromanzo, che non deve essere una curiosità, un hobby, o un oggetto di lusso sotto una campana di vetro, ma deve funzionare e vivere; i mass media, una base econo- 207 mica; l'istruzione a tutti i livelli, una cultura ed una norma scritta ecc. Molto è già stato fatto negli ultimi anni (.Rumänisch Grischun), ma non meno resta ancora da fare, e l'autore termina con le finalità e gli auguri, a proposito delle mete comuni dei Ladini e dei Romand = intensificazione dei contatti e degli scambi, informazioni delle larghe masse sullo stato delle minoranze, sensibilizzazione della popolazione per i valori culturali. — All'articolo di Cathomas fa seguito il contributo di R. Rampold di argomento folklorico (Sitte und Brauch in Buchenstein /Fodom/, pp. 17—65), in cui si descrivono — fornendo, purtroppo non sempre, i relativi termini locali — gli usi e i costumi nei vari momenti della vita e per le feste ed occasioni simili, constatando la scomparsa di certi usi antichi ma anche la nascita di alcuni usi nuo-vi (benedizione delle automobili). In questo dominio i rapporti col Tirolo sono più stretti che quelli con 1'Italia. — O. Gsell, nello studio Unpersönliche Konstruktion und Wortstellung im Dolomitenladinischen, (pp. 67—98), esamina i costrutti imper-sonali nei cinque dialetti dolomitici. La parte introduttiva dice in breve i principi generali (topicalizzazione, tema/rema, Satzperspektive, ordine delle parole), dopo di che la descrizione sincrónica analizza le diverse, talvolta complícate, strutture frasa-li. I dialetti meridionali (Fassa, Livinallongo, Ampezzo) si distinguono in certi parti-colari da quelli settentrionali (Val Gardena, Val Gadera). Nella descrizione si discu-tono (o almeno si toccano) alcuni altri problemi, vicini all'argomento: il cosiddetto soggetto grammaticale, le frasi scisse ecc. Molto interessante è il capitolo finale sulla tipología e sulla genesi delle strutture esaminate: il retoromanzo è qualcosa di più di un puro e semplice «Raritätenkabinet» (p. 93); il ladino, pur affine agli idiomi vicini, occupa un posto a sé ed ha la sua individualità; ci sono influssi italiani (sincretismo formale della 3 e 6 persona, sostituente personale obbligatorio); quanto alla genesi, nei gardenese e nei badiotto l'influsso tedesco puô essere stato decisivo, ma puô anche avere soltanto rafforzato le tendenze evolutive già tardolatine. Secondo l'autore, si ha — adattando la celebre formula ascoliana — «materia romanza e te-desca, spirito ladino», ma, dati gli influssi italiani e tedeschi, ci sembra più adeguato parlare di «materia ladina, spirito romanzo e tedesco». Infine, un'ultima osserva-zione: gli esempi ladini sarebbero molto più comprensibili se corredati da traduzioni in italiano o in tedesco. — Dopo la brevissima nota di H. Kuen (pp. 99—100), dedi-cata all'etimo del fassano syésene 'testicoli' (che non sarà di origine latina, come credeva Elwert, ma piuttosto l'adattamento del ted. tirolese siassar 'pallina'), W. Belardi pubblica i numm. VI—VIII dei suoi Studi gardenesi (pp. 101—128): VI: neutralizzazioni sintattiche delle opposizioni dei numeri e dei generi (pp. 101— 105); VII: il trattamento sintattico del participio passato (pp. 107—115); precipuamente la questione dell'accordo, «un settore della grammatica del gardenese, che finora non è stato trattato mai da nessuno» (p. 112); VIII: etimi celtici delle voci tóch 'denso, fitto, grasso' e tucé 'riempire, rimpinzare' (cfr. il ven. tocio e vari altri paralleli). Dal punto di vista della Ausbaukomparatistik è degno di nota che quest'ultimo studio è scritto in gardenese, il quäle si rivela cosi, per la prima volta sulle pagine di «Ladinia», capace anche della prosa scientifica. Ai tre Studi del Belardi fanno seguito le sue Considerazioni in margine a un convegno di studi ladini (pp. 123—128): il convegno è quello di Belluno (giugno 1983), i cui Atti sono stati pubblicati nei 1984 da G. B. Pellegrini e S. Sacco. Mantenendo un atteggiamento equilibrato ed oggettivo, il Belardi non nasconde tuttavia il fondo in sostanza batti- 208 stiano del Coiivegno e dei suoi promotori: infatti, vi si nega l'autonomia del ladino ed i confini tra esso e la zona bellunese; l'italiano viene visto come la sola possibile lingua-tetto per i Ladini (l'alternativa essendo l'abbandono del ladino a vantaggio del tedesco) (p. 124); si afferma anche la mancanza di grandi poeti in dolomitico. Di fronte a questo, il Belardi sottolinea giustamente che il solo fattore autorizzato a sanzionare il diritto all'esistenza di un idioma scritto è la volontà degli utenti (p. 126). Anche il Belardi constata una «crescita del senso dell'autonomia» [. . .] «aumentata con ritmo vertiginoso in questi Ultimi anni» (p. 127), il che concorda con le affermazioni di B. Cathomas (v. sopra). Anche il num. VIII di «Ladinia» contiene tre recensioni: M. Aschenbrenner presenta (pp. 141—143) il libro di U. Kindl Kritische Lektüre der Dolomitensagen (1983), K. P. Linder recensisce (pp. 145—148) il volume di W. Catrina Die Rätoromanen zwischen Resignation und Aufbruch (1983), e H. Goebl, infine, ci offre (pp. 149—150) un breve quadro di un disco di testi romanci (nel dialetto di Heinzenberg, ormai prossimo all'estinzione), accompagnato dal Begleitheft (testi trascritti), a cura del Phonogrammarchiv di Zurigo. Tutte e tre le recensioni sono positive: la Kritische Lektüre è definita un'opera oggettiva e «der Verfasserin gebührt Dank für ihre objektiv kritische, sachkundige und sehr fleissige Untersuchung» (pp. 143); il volume del Catrina, di interesse principalmente sociolinguistico, è al contempo un bilan-cio e un'istantanea della situazione lingüistica del retoromanzo (in base alie conversazioni dell'autore con persone di estrazione sociale svariata e su argomenti diversi) ed offre anche agli specialisti moite informazioni nuove; quanto alia pubblicazione del Phonogrammarchiv di Zurigo, basti citare il giudizio finale: «ein überaus wertvolles Dokument, das zudem in beispielhafter Weise präsentiert ist» (p. 150). La grande novità del num. VIII è la nuova rubrica Quaestiones disputatae, de-stinata ad offrire agli autori recensiti la possibilité di replicare alle critiche e ai recen-senti quella di rispondervi a loro volta (ma il giudizio finale rimane expressis verbis riservato alla redazione). La nuova rubrica è dunque destinata aile polemiche; infatti, nel num. VIII J. Kramer risponde (pp. 153—163) alla recensione del suo libro da parte di H. Goebl (in «Ladinia» VI), a cui segue la replica di quest'ultimo (Postilla, pp. 163—166). Siccome la sola presentazione degli argomenti e controargomenti (senza contare poi la discussione) richiederebbe certamente lo spazio di uno studio a sé, dobbiamo limitarci qui, malgrado il sommo interesse, a quello che riteniamo es-senziale. J. Kramer rimprovera al Goebl la bipolarità, ormai superata, tra ascoliani (stranieri + certi italiani sinceri) e battistiani (nazionalisti italiani + J. Kramer) (p. 153) [a noi quest'alternativa pare invece tuttora valida, v. un po' avanti]; un po' più avanti (p. 154) si sente onorato della qualifica di battistiano ma aggiunge di non sen-tirsene degno perché non ha mai visto [sic! P. T.] di persona il grande Trentino [se la percezione ottica diretta è davvero una condizione essenziale per essere aderenti di qualcuno o di qualcosa, quanti potrebbero essere oggigiorno ascoliani, marxisti, wagneriani ecc.???]. Il Kramer dichiara che le sue idee concordano quasi perfetta-mente con quelle del Battisti [dunque, ci sono pur sempre differenze; quali?], ma è costretto ad ammettere lo sfondo extra-linguistico delle idee battistiane «weil er mit ihnen besonders in den Dreissiger- und Vierziger jähren [dunque, anche prima e/o dopo?] auch politische Forderungen des fascistischen Italiens zu untermauern such- 209 te» (p. 154). A ció si deve osservare che una dottrina che si prefigge tali scopi non puó pretendere di essere bene accolta e giudicata con la necessaria oggettivitá scien-tifica, non negli anni trenta e quaranta cosi come neppure negli anni ottanta! II Kramer é scettico, anzi negativo, anche nei confronti di Ettore Tolomei, definito oppor-tunista e fascista; ma il nostro autore si affretta ad aggiungere che non sentire simpatía per il Tolomei non vuol diré respingere le sue italianizzazioni toponomastiche, giacché ogni stato, conquistando un territorio, cerca di crearvi una toponomástica propria. Vuol diré che, a giudizio di J. Kramer, tali italianizzazioni erano giustifica-te? Come esempi si cita nientemeno che Auschwitz per il polacco Oswigcim ed un al-tro esempio del medesimo dominio: dunque, dobbiamo considerare giustificato anche questo? E perché, fra i mille possibili, appunto quest'esempio, di cosi orribile memoria? Poco piü avanti (p. 157), in un altro excursus político del Kramer, si legge che dopo la II guerra mondiale aH'Austria non sono state concesse estensioni territoriali vista la collaborazione col nazismo, mentre l'Italia, che aveva fatto giu-stamente a tempo per unirsi agli Alleati e che aveva da ingoiare giá abbastanza con la perdita deiristria e della Dalmazia, avrebbe avuto invece questo onore. Quanto all'Austria, lasciamo il giudizio ai colleghi austriaci; ma per quel che riguarda la Iu-goslavia, vorremmo rivolgere al signor J. Kramer la seguente domanda: partendo dal presupposto lapalissiano che si puó perdere soltanto quello che prima si possedeva, come l'Italia ha potuto nel 1945 perdere la Dalmazia, che dal crollo della Re-pubblica di S. Marco non le apparteneva piü e che faceva parte della prima Iugosla-via? J. Kramer conta davvero quei pochi anni di occupazione fascista durante la II guerra mondiale? Come si fa a scrivere simili cose quarant'anni dopo la fine del se-condo conflitto mondiale? — Altre obiezioni del Kramer concernono problemi di prospettiva storica, di norma nel dominio tedesco, del diritto che hanno i parlanti di decidere sullo status del loro idioma [cfr. sopra le affermazioni del Belardi] ecc. La replica di H. Goebl si apre con una frase che — almeno per quanto riguarda lo status del retoromanzo — potremmo fare nostra: «Sehr geehrter Herr Kollege! Es trennen uns in der Tat Welten». II Goebl sottolinea la funzione descrittiva, non prescrit-tiva, della lingüistica, il significato che per i parlanti hanno le Kleinsprachen, esatta-mente come le Grossprachen, per terminare citando con molto spirito il giuramento di Ipocrate primum nihil nocere, valido nella lingüistica come nella medicina. Anche nel num. VIII Uinjunta literara contiene poesie, e precisamente garde-nesi (in parte tradotte in italiano), badiotte (quasi tutte tradotte in tedesco) e bas-soengadinesi (con traduzioni in tedesco, in parte libere). Per la prima volta troviamo in questo numero 1'elenco delle pubblicazioni dell'Institut Ladin «Micurá de Rü» (pp. 196—197), informazione di ovvia utilitá per chi si interessa di ladino e in genere di retoromanzo. Hanno il medesimo scopo gli annunci pubblicitari, presentí negli ultimi due numeri come nei precedenti. Aggiungendo che l'arredamento tipográfico si mantiene costantemente alPim-ponente livello iniziale, terminiamo la recensione dei numeri V—VIII di «Ladinia» con l'augurio di offrirci materiali sempre piü ricchi per lo studio di quella che senz'altro é la regione piü affascinante della Romanía, essendo la sola che combina la Romanía Conservata con la Romanía Perduta. Pavao Tekavcic 210 Estudis Gramaticals 1, amb ponències del Col.loqui Internacional de Lingüística Teórica i Llengües Romàniques, Working Papers in Linguistics; Universität Autónoma de Barcelona, Departament de Filología Hispánica, Barcelona, Bel-laterra 1984, 380 pp. 1. L'Université Autonoma di Barcellona ha inserito fra le sue Publicacions del Departament de Filología Hispánica il volume che reca il titolo citato e che è desti-nato ad avere carattere periodico (p. 6). Nel Prologo (pp. 5—6) i curatori affermano che fino agli anni 70 la lingüistica «en aquest nostre pais» non era arrivata al grado di maturità che permettesse la formazione di una scuola né di un sufficiente numero di ricercatori. Dall'inizio délia scorsa decade le cose sono cominciate ad andaré me-glio: nel giugno del 1983 è stato spedito un invito a collaborare al volume miscella-neo (qui recensito) e a Sitges è stato organizzato un colloquio internazionale dedica-to ai problemi di lingüistica teórica e agli aspetti (sincronici e diacronici) della lingüistica romanza che preséntano interesse teorico. Il volume recensito raccoglie tredici contributi, di cui sei sono stati presentati al colloquio citato. Con le parole dei curatori (collaborator! dell'Université Autonoma di Barcelona /U. A. B./: Joan Mascaré, Anna Bartra, Josep M. Brucart, Josep M. Nadal e Gemma Rigau): «d'aquesta manera volem fer plataforma que contribueixi a la consolidació, al nostre país, d'aquella práctica científica "normal" que esmentàvem abans» (p. 6). Insomma, si cerca, e si riesce, a portare la lingüistica catalana ed ispanica ad un livello internazionale e nel contempo si presentano i suoi risultati al pubblico lingüístico mondiale. 2. Le lingue romanze, al primo posto beninteso quelle iberoromanze, sono l'oggetto di studio di tutti i contributi: 1) Anna Bartra i Kaufman (U. A. B), Alguns sintagmes agents excepcionals (pp. 7-—25); José M. Brucart (U. A. B.), Sobre el carácter anafórico del fenómeno de vaciado (27—76); W. Neil Elliot (M. I. T.), Local Binding and Extraction from NP (77—107); Ma Teresa Espinal (U. A. B.), Analisi interpretativa d'encara / ja (109—148); James W. Harris (M. I. T.), La espirantiza-ción en castellano y la representación fonológica autosegmental (149—167); Paul Hirschbühler — María-Luisa Rivero (Univ. of Ottawa), Non-matching Concealed Questions in Catalan and the Projection Principle (169—196); 7) Joan Mascaré (U. A. B.), Sobre la reducció de les transformacions d'elisió (197—215); M. Carme Pi-callo (C. U. N. Y. / M. I. T.), La interpretado obviativa i la noció "categoría de re-gim" (217—248); 9) Gemma Rigau (U. A. B.), De com si no és conjunció i d'altres elements interrogatius (249—278); Mario Saltarelli (Univ. of Illinois), Italian Syllable Structure (279—294); 11) Jan Schroten (Univ. of Utrecht, Spanish Department), 211 Two Approaches to the Distribution of Spanish Relative Pronouns (295—327); 12) Esther Torrego (Univ. of Massachusetts), Algunas observaciones sobre las oraciones existenciales con 'haber' en español (329—339); 13). Joaquim Viaplana — Janet Ann DeCesaris [senza indicazione del centro universitario], La "vocal neutra" del caíala central: fonema o al.lof on? (341—380). 3. Come risulta dall 'elenco dei contributi, il volume raccoglie lavori dei linguisti catalani e spagnoli, ma anche stranieri (Stati Uniti, Olanda). La grande maggioran-za dei contributi tratta il dominio sintattico: infatti, solo i numm. 5, 7, 10 e 13 sono dedicati alla fonologia. Le lingue studiate sono il catalano (numm. 1, 4, 6—9, 13), 10 spagnolo (numm. 2, 5, 11, 12), il francese (num. 3) e l'italiano (num. 10). Quasi la metà dei testi è redatta in catalano (numm. 1, 4, 7—9, 13), quattro in inglese (numm. 3, 6, 10, 11), tre in spagnolo (numm. 2, 5, 12). 4. Per quel che riguarda le posizioni scientifiche e la metodología, gli autori se-guono gli ultimi sviluppi délia lingüistica generativa di N. Chomsky (Rules and Representations 1980, Lectures on Government and Binding 1981, Some Concepts and Consequences of the Theory of Government and Binding 1982 ecc.) e di altri pro-minenti generativisti attuali (Jackendoff, Kiparsky, Postal, Rizzi, Stowell), ma non mancano nemmeno i nomi dei classici della lingüistica pregenerativista (Badia Mar-garit, Bloomfield, Grammont, Griera, Moll, Navarro Tomás, Trubetzkoy ecc.). II procedimento è quasi únicamente quello della lingüistica formalizzata moderna, con solo pochi riferimenti alla pragmatica, alla semantica, alla soçiolinguistica. Insomnia, si puô dire che la sintassi dell'ultima fase della teoria chomskyana regna incon-testata. 5. A. Bartra i Kaufman studia le strutture passive (su cui si puô ¡Ilustrare bene l'evoluzione della teoria generativo-trasformazionale /GT/ degli ultimi anni), e precisamente dividendo i costrutti passivi in sintattici e lessicali. II tema è dato da certi sintagmi preposizionali agente (SPA) apparentemente eccezionali (in quanto il complemento d'agente è introdotto da de, non da per, ed il SPA non si puô elidere, ad es. dopo 'preceduto', 'seguito' ecc.). L'ipotesi, dall'autrice detta attributiva, è che queste frasi sono passive lessicali. — J. M. Brucart si occupa del cosiddetto 'vuoto' (spagn. vaciado, ingl. gapping) nel suo aspetto anaforico. Partendo dalla distinzio-ne tra rególe di frase e rególe del discorso, nonché dal superamento della frase come unità limite, l'autore fa risaltare che nei modelli recenti della teoria GT «por primera vez se vislumbra la posibilidad de dar cabida, bien que de forma un tanto periférica, a factores de tipo pragmático y discursivo» (p. 28) (è uno dei menzionati rari ac-cenni alla pragmalinguistica). Il 'vuoto' ha un ámbito superiore a quello di frase (p. 33). Segue la discussione di certi problemi teorici, dei resti del 'vuoto', dei comple-menti, delle funzioni tematiche ecc., e nelle conclusioni si chiarisce anche perché cer-te elisioni sono ammesse e certe altre no. — W. Neil Elliot parte dalla teoria standard estesa del Chomsky ed esamina (su materiale francese) il principio della categoría vuota, la generale regola del movimento di a e certe restrizioni. In particolare vengono studiati il clitico en ed il relativo dont. Con le parole finali dell'autore a p. 100 «the paper does provide a detailed discussion of how binding and government interact to impose conditions of locality which correctly characterize the facts». — 11 più vicino alia semantica e alia pragmatica (naturalmente, con elementi della logi- 212 ca simbólica) è l'articolo di M. T. Espinal. L'autrice analizza gli avverbi [nella sua terminología] 'ancora' e 'già', in base alla semantica di Montague e alla pragmatica di Grice, ma fa riferimento anche a certi altri studi, ad esempio quello di E. Kônig sui corrispondenti tedeschi noch e schon (di cui si adotta anche il sistema di notazio-ne simbólica). Dopo un capitolo introduttivo si distingue l'uso temporale dei due avverbi (nel quale c'entrano anche il valore aspettuale del verbo e la negazione) dall'uso non-temporale (in cui le due parole sono operatori quantitativi, con la di-stinzione ulteriore dei significati evaluativo e additivo). Infine si analizzano il posto, l'ambito e le implicazioni pragmatiche dei due avverbi. —J. W. Harris constata una grande variazione dialettale e stilistica del noto fenomeno délia spirantizzazione spagnola. La teoria adottata è quella délia fonología autosegmentale ed il contributo è destinato appunto a fornire un appoggio a questa teoria. L'autore si occupa di due problemi: la non-spirantizzazione in posizione iniziale e la differenza degli esiti dopo /1/: [fi], [y] ma [d]. La soluzione proposta si serve delle rególe lessicali e post-lessicali. — È dedicato alla sintassi anche lo studio di P. Hirschbühler e M.-L. Rive-ro. Gli autori analizzano le propriété dei complementi dei verbi di percezione e di sa-pere in catalano, assieme aile cosiddette frasi relative libere, e trattano la specifica possibilità catalana di spostare la preposizione davanti ail'antecedente (observa en les dificultáis que ens vam posar, all'incirca 'guarda in che difficoltà ci siamo trovad', p. 171). Le frasi qui discusse si oppongono alie rególe generali del Projection Principie, ma allora intervengono delle rególe specifiche (language specific rules) che conferiscono loro la forma corretta. Al termine gli autori toccano pure il problema dell'apprendimento di Li e con ció i mutamenti storici (secondo loro, i due ordi-ni di fatti sono una cosa sola). Si abbozza il sistema con il quale il bambino genera la grammatica in base alla lingua degli adulti, e nel corso di questo processo nascono anche frasi scorrette [le quali, se non andiamo errati, non sono altro che una delle manifestazioni, in forma modernizzata, délia buona vecchia analogía]. — J. Mascará, anche lui su basi fonologiche autosegmentali, esamina l'elisione nel catalano, assieme alla fusione di vocali e di consonanti. Ponendo il principio dell'elisione segmentale ristretta (limitata cioè a certe condizioni), si chiarisce l'elisione delle consonanti e délia vocale / a /. Ci sono poi diversi problemi minori, come l'elisione délia /n/ e /r/ finali. — M. Carme Picallo si occupa di determínate strutture sintattiche assumendo le medesime posizioni teoriche come gli altri autori (teoria del caso, teoria dell'anafora, binding ecc.). Vengono studiate in particolare le condizioni dell'an-afora, i complementi dell'infinito, certi elementi pronominali, gli operatori di frase ecc., e si propone anche una ridefinizione del concetto di 'categoría délia reggenza' (con la quale si spiegano i fenomeni sopraccitati). — G. Rigau prova che la parola si (nelle domande indirette) non è congiunzione ma operatore modale, e precisamente di modalità né positiva né negativa bensi non specificata [ovviamente, una domanda indiretta introdotta da si non anticipa la risposta]. Accanto a si, nelle frasi interrogative anche l'intonazione funziona nello stesso senso. L'autrice adotta diverse teo-rie, discute i vari sottotipi di frasi interrogative, il loro carattere di «isole» (impossi-bilità o meno di estrarre delle parti dalle frase introdotte da si); infine tratta anche délia «traccia» degli elementi interrogativi e relativi (i due tipi di sintagmi condivido-no certe caratteristiche, ma presentano anche differenze). — M. Saltarelli è l'unico 213 autore che studia l'italiano, e precisamente il noto problema délia rilevanza delle vo-cali o delle consonanti (includendo anche l'accento). Constatando l'inadeguatezza delle teorie fonologiche tassonomica e generativa lineare, egli adotta la multilevel phonology e studia i diversi tipi di combinazioni sillabiche. Non soddisfatto del ritmo superficiale basato sulla durata (duration rhythm), il Saltarelli stabilisce un livel-lo di organizzazione più alto, che opera con i valori moraici. Nell'ambito dei problemi citati si abbozza brevemente anche l'evoluzione che dai quattro tipi quantitativi latini (vTÍIam, fidem, büccam, vlñum [visto che, secondo noi, le forme nominali romanze non provengono dal solo accusativo ma da un caso obliquo generale, scrive-remmo villa, fide, bücca, vTnu]) porta ai due soli tipi italiani [lunga — breve / breve — lunga]. Notiamo con una certa perplessità che l'autore ammette il cosiddetto raf-forzamento sintatico dopo a, ma non dopo da. Nel testo del contributo ci sono diversi errori di stampa e due nomi citati nel testo (Ingria, Prince) mancano nella bibliografía. — J. Schroten si dedica alio studio delle frasi relative spagnole comparando due approcci: quello della teoría dei casi (che non accetta) e quello della teoría del government (che adotta). Le frasi relative spagnole vengono in parte comparate con quelle francesi (lo Schroten si bassa infatti sullo studio di R. Kayne su queste ultime). Fra le due lingue ci sono paralleli ma anche notevoli differenze. Una delle tesi fondamentali (alla stregua di Kayne) è la distinzione tra elementi relativi veri e pro-pri e quelli che non sono relativi (in francese que, e qui per il [-animato]). Secondo l'autore anche in spagnolo il que introduttore di frasi relative è diverso dall'omofo-no que in funzione del cosiddetto complementizer. Per risolvere alcuni problemi lo Schroten adotta anche la teoría del legame (binding), poi discute pure la distribuzio-ne di que e dei relativi, delle frasi relative libere e di quelle con l'infinito. Nell'ultima sezione tratta anche l'anaforà. Una delle caratteristiche dei relativi spagnoli è di comportarsi come morfemi anaforici. È peccato che pure questo testo sia abbastan-za scorretto; in molti casi poi si trova in fin di riga il trattino, del tutto inutile. — E. Torrego, nel suo contributo che ha carattere introduttivo e preliminare (p. 329 e nota 5), studia la cosiddette frasi esistenziali in spagnolo (con haber, a cui corrisponde in italiano esserci: ad es. hay muchos turistas 'ci sono molti turisti'). Oltre a Chomsky (citato qui, come in quasi tutti gli studi del volume) l'autrice cita i lavori di L. Burzio e soprattutto di K. Safir (1982) per la cosiddetta Definiteness Restriction (cioè, il sintagma nominale con tali verbi non deve essere definito). Tra lo spagnolo e l'inglese ci sono certe differenze. Il caso del SN viene assegnato direttamente dal verbo: in spagnolo haber assegna la funzione tematica alla posizione di soggetto, mentre in inglese con there non succédé lo stesso. Una caratteristica delle frasi con haber è di non ammettere la passivizzazione. — Il volume si chiude con lo studio di J. Viaplana e J. A. DeCesaris sullo status fonologico della vocale a nel catalano centrale. Dopo l'analisi critica degli studi precedenti (A. M. Badia Margarit, la cui interpretazione è la più complessa, considera a in parte fonema; E. Alacros Llo-rach vi vede soltanto un allofono; R. Cerdà e A. Avram tendono a prendere posizio-ni intermedie; C. Lleó, J. Mascaré, M. W. Wheeler, nell'ambito della fonología generativa, interpretano anch'essi 3 come allofono) gli autori danno la propria interpretazione. Constatando che non soddisfa né la semplificazione di Alarcos LIorach (perché diminuisce la capacité esplicativa) né la descrizione complessa di Badia Mar- 214 garit (che lascia essa pure diversi fatti senza spiegazione soddisfacente), gli autori discutono anche le idee di R. Jakobson (sviluppate da M. Halle e N. Chomsky) sulla marcatezza, ma non accettano il suo punto di vista secondo il quale la /a/ è la vocale meno marcata di tutte (perché presente in tutte le lingue del mondo). Per il catalano, a parere di Viaplana e DeCesaris, la vocale non marcata e appunto la a .La tesi principale degli autori è lo status fonematico di a, dunque /a/, d'accordo con l'interpretazione di Badia Margarit (a cui, del resto, lo studio è dedicato). Ció implica l'aggiunta dell'ottavo fonema vocálico ai sette indiscussi (/i e s a D o u/), dunque un aumento dell'inventario fonologico [preferiamo parlare di sistema fonologico, riservando il termine di inventario per il livello fonético]. Questo non è tutta-via uno svantaggio, perché nulla di sostanziale si ottiene riducendo 1'inventario ed aumentando in compenso il numero delle rególe o delle loro applicazioni (p. 361). Gli autori forniscono vari argomenti per mostrare che la loro interpretazione (la quale non opera con un solo livello fonologico ma con più livelli, cioè con un con-junt del component fonolàgic, p. 359) è superiore aile precedenti, essendo «més económica, menys abstracta i més explicativa» di quelle (p. 366). 6. Il volume che abbiamo cercato di presentare soddisfa le esigenze dei curatori e offre un quadro intéressante del lavoro lingüístico in quell'affascinante parte délia Romània che è il catalano. I collaboratori sono al corrente dei metodi più moderni e il volume si presenta bene (su alcuni refusi si è parlato nel precedente paragrafo; nel-la grande maggioranza dei casi non sono errori pericolosi). Il pubblico lingüístico attende con interesse e fiducia i volumi successivi. Pavao Tekavcic 215 Novi lingvistički časopis: SOL — Lingvistički časopis, godina I, broj 1, Zagreb, str. 1—108, Izdavač: Filozofski fakultet Zagreb, OOUR Humanističke i društvene znanosti. 1. Naša ne suviše bogata lingvistička periodika obogatila se odnedavna novim časopisom, prvi broj kojega namjeravamo ovdje prikazati. U vrijeme nagloga razvoja lingvistike, koegzistencije različitih znanstvenih smjerova i dodira lingvistike s nizom drugih disciplina, pojavu takva časopisa možemo naravno pozdraviti, to više što fizionomija SOL-a, kako je začrtana u uvodu prvom broju, točno odgovara onome što je upravo rečeno. Novi časopis, koji kao naslov nosi kraticu SOL (Študij odnosno Študenti Odsjeka za Opču Lingvistiku), namijenjen je opčoj lingvistici, suvremenim disciplinama sociolingvistici, pragmalingvistici, komunikologiji, se-miotici (koja zapravo prožima cijeli prvi broj), kao i susjednim naukama (u prvom redu filozofiji jezika), bez kojih se danas študij lingvistike teško može zamisliti. Prema riječima uredništva, SOL je otvoren svima, predstavlja na neki način točku sus-reta i interferencije več afirmiranih lingvista i stremljenja mladih, a pratit če našu i svjetsku znanost o jeziku u raznim suvremenim oblicima suradnje: študijama i kra-čim člancima, intervjuima, prikazima, bibliografijom (što je vrlo korisno) i prijevo-dima. Predvideni su i posebni tematski blokovi. 2. Sadržaj prvoga bloka ostvaruje sve te smjernice: u njemu nalazimo razgovor sa zagrebačkim romanistom Augustom Kovačecom (Četiri pitanja profesoru Augu-stu Kovačecu, str. 3—11), študiju komunikologa Dubravka Škiljana O autonomiji lingvistike (13—23), radove o pojedinim pitanjima Vladislave Petrič (O glagolima s eksplicitnim načinskim determinatorima, 25—32) i Marina Andrijaševiča (Jezični varijeteti i civilizacijski kontekst, 33—37), veči rad Milorada Pupovca, u rubrici Istraživanja, pod naslovom Komunikacijske i jezične karakteristike članova SKJ u Zagrebu u usporedbi s istim karakteristikama nečlanova (39—59); nakon toga slije-de kratki priloži mladih znanstvenih radnika s područja semiotike (filma, kazališta, reklame itd.; 61—90), te na kraju prikazi domačih i stranih djela (91—104) i bibliografija (kratki prikazi dvadesetak domačih i stranih publikacija; 105—108). 3. Uredništvo SOL-a postavilo je Augustu Kovačecu četiri pitanja: novi lingvistički pravci i strukturalizam; današnji oblici jezične interferencije; odnos lingvistike i nauke o književnosti; jezične prilike u SFRJ. U odgovoru na prvo pitanje Kova-čec daje pregled lingvistike u 19. i 20. stolječu s konstatacijom daje funkcionalizam najpogodniji pravac, s osvrtom na poststrukturalne smjerove i na „krah" generativno-transformacijske gramatike. S time se potpuno slažemo, samo bismo 216 dodali da je „bježanje lingvista od GT teorije u rubna područja lingvistike", što ga spominje Kovačec, po našem mišljenju u znatnoj mjeri uvjetovano nepotrebnom formalizacijom, koja ne donosi nista novo, i diskusijama koje su često same sebi svrha, pa bismo citirali i največega talijanskoga strukturalista Luigija Heilmanna, koji u svojoj knjiži Lingua, linguaggio, culture (Bologna 1983) na str. 27. izvršno primječuje da GT postupak i suviše često ostavlja dojam obična „preispisivanja" prethodnih modela. Odgovor na drugo pitanje ističe dijalektičku suprotnost neizbježivih jezičnih dodira s jedne strane i svjesna suzbijanja stranih utjecaja s druge strane, a govori i o kompleksnosti faktorá koji litječu na primanje tudica (jedan je od faktora i morfološka struktura, jer se razvijena morfologija i derivacija uglav-nom opiru posudivanju i obratno; no ako je tako, ne vidimo kako se u to uklapa ru-munjski jezik, koji je, kako je dobro poznato, pun aloglotskih elemenata, a ipak mu ni morfologija ni derivacija nisu nipošto siromašne). U odgovoru na treče pitanje Kovačec ističe da su lingvistika i znanost o književnosti usko povezane, ali da su ipak dvije zasebne nauke, pa se metodologija jedne ne može automatski prenositi na drugu. Napokon, što se tiče zadnjegapitanja, naš poznati romanist dobro primječuje da jezičnu situaciju u Jugoslaviji karakterizira potpuna ravnopravnost jezika na planu prakse, dok se na teoretsko-znanstvenom planu osječa normativna orijentaci-ja. Uz to, pomanjkanje inozemne literature velika je smetnja lingvističkim študijama. 4. Škiljanov rad o autonomiji lingvistike najprije razgraničuje dva zahtjeva: za autonomijom lingvistike od drugih nauka i za autonomijom jezika kao njezina objekta. Disfcutirajuči zatim četiri poznate Saussureove dihotomije, autor prelazi na razmatranje poststrukturalizma (koji obuhvača vrlo heterogena učenja) i konstatira da je svim tim smjerovima zajednički cilj ukinuti autonomiju lingvistike i povezati je s konkretnim okolnostima jezične djelatnosti (a to su uglavnom tri u uvodu ovoga prikaza spomenute discipline). Dopuštajuči da su, unatoč teoretskim prednostima, rezultati poststrukturalističkih radova često ipak trivijalni, Škiljan ističe kako je potrebno da se lingvistika poveže sa študijem ostalih ljudskih djelatnosti (jer je i jezik jedna od njih, društveno-historijski uvjetovana) i da se jezične strukture promatraju kao dinamične kategorije. Lingvistika je u biti samo jedna od znanosti o čovjeku. Te su ideje potpuno u skladu sa suvremenim pogledima medunarodne lingvistike, kako pokazuje ovaj primjer. U svojoj recenziji nekih važnih lingvističkih djela, u časopisu „Archivio Glottologico Italiano" 70 (1985), str. 111—126, talijanski lingvist A. Nocentini konstatira da oživljuju dijakronijske študije pa kaže: „Više nego u unutrašnjoj suvislosti [coerenza], objašnjenje strukture valja tražiti u prilagoda-vanju starih kategorija novim funkcijama, a to znači da treba misliti evolucionistič-ki". Recenzija završava citatom iz Lehmannova uvoda prvom broju časopisa „Folia Lingüistica Histórica" (1980, str. 6): „Jezik ne možemo razumjeti ni adekvatno promatrati, opisati i objasniti, ukoliko na nj ne gledamo kao na ljudsku pojavu podlož-nu vremenu". 5. V. Petrovič proučava glagole odredenih semantičkih kategorija (npr. ponašanja) s obzirom na to jesu li uz njih načinski determinatori obavezni (kao npr. baš uz glagol ponašati se) ili nisu, pa s time u vezi ističe potrebu proučavanja jezika sa seinantičkoga, sintaktičkoga i pragmalingvističkog stanovišta. M. Andrijaševič bavi 217 se vezom jezične djelatnosti s izvanjezičnim sociolingvističkim kodom, što je važno za učenje stranog jezika i usvajanje komunikativne kompetencije (u konkretnom slučaju: pozdravljanje na francuskom, zajedno s rukovanjem, što dodiruje bonton i razne druge društvene norme). Veliki rad M. Pupovca istražuje komunikacijska obilježja, način komunikacije, jezične karakteristike itd. članova SKJ i nečlanova, služeči se uobičajenim sociolingvističkim metodama. Rezultat istraživanja (koje je organizirano i provedeno u suradnji s Centrom za idejno-teorijski rad CKSKH „Dr Vladimir Bakarič") pokazuje da je uslijed povoljnijega sociokomunikativnog statusa komunikacijska kompetencija članova SKJ razvijenija od kompetencije nečlanova, da su članovi SK homogeniji i da imaju vlastiti (birokratski) idiom. To onda dovodi do višeslojnosti i do komunikacijskih barijera. 6. Semiološki „blok" nalazi se u rubrici koja nema posebna naziva nego se zove naprosto SOL, kao i cijeli časopis (svakako bi i tu rubriku valjalo nekako definirati i nazvati). M. Vujasinovič i J. Vukušič-Granič pišu o semiologiji filma, M. Lukšič i A. Nikolič bave se dvama pristupima semiologiji kazališta (E. Souriau: semiologija dramskog teksta; T. Kowžan: semiologija izvedbe), V. Lopina daje pregled veza se-miologije i filozofije jezika (koje se sastaju u semantici), M. Tadič piše o simbolu u raznim učenjima (Cassirer, Eco, Greimas, Hjelmslev, Lévi-Strauss, Todorov i dr.); napokon, M. Francetič raspravlja o semiologiji reklame, promatrajuči dva glavna učenja (R. Barthes, U. Eco) i zaključujuči da je semiologija reklame moguča i da je može obogatiti. 7. Iz ovoga je kratkog osvrta vidljivo da je SOL časopis vrlo široke fizionomije, otvoren suvremenom interdisciplinarnom študiju, pa popunjava jednu prazninu u našoj lingvističkoj periodici. Šteta je da prvi broj ima dosta pogrešaka; one su dodu-še velikom večinom bezopasne, ali ima i takvih koje se ne mogu lako ispraviti ni smatrati običnim tiskarskim pogreškama. Tako npr., na str. 8, 8. red odozdo, treba isključeno mjesto isključivo; na str. 33, l.red, mjesto njenu mogučem utjecaju treba da stoji njenim mogučim utjecajem\ na str. 41. broj od 614 ispitanika ne slaže se sa zbrojem 314 nečlanova SK i 200 članova, pa vjerojatno valja popraviti u 514; na str. 68. dolje četiri je puta otisnuto dinstiktivna mjesto distinktivna, što ne može biti samo tipografska greška; na str. 75 oba puta stoji O^AžLTlJl/ mjesto ispravno-ga Gij/jl&lOV ■ I sažeci na stranim jezicima mogli bi se dotjerati i popraviti. Sve su to ipak sitnice, koje se mogu ispraviti u idučim brojevima i ne umanjuju opči do-jam koji je svakako pozitivan, pa želimo da SOL nastavi izlaziti i postane nezaobi-lazno pomagalo u lingvističkoj znanosti. Pavao Tekavčič, Zagreb 218 VSEBINA — SOMMAIRE G. Battista MORETTI, Per una didattica delle proposizioni completive nell'italiano contemporáneo — Za didaktiko dopolnilnih odvisnikov v sodobni italijanščini--------5 Mitja SKUBIC, Interferenze linguistiche slavo-romanze: la lingua di „Novi Mata- jur" — Slovensko-romanski medsebojni jezikovni vplivi: jezik „Novega Matajurja" 59 Pavao TEKAVČIČ, Neologismi tecnici ed affini nella prosa rovignese attuale — Tehnički i srodni neologizmi u suvremenoj rovinjskoj prozi..................... 69 Hans GOEBL, Considérations dialectométriques sur le problème de „l'unité rhéto-rornane (ladine)" — Pogledi dialektometrije na vprašanje „retoromanske (ladinske) enotnosti"............................................................... 83 Dieter KATTENBUSCH, Osservazioni in occasione di una visita ai croati del Molise (Italia) — Ob obisku pri Hrvatih v pokrajini Molise (Italija)..................... 99 Fernando V. PEIXOTO FONSECA, A propos de l'influence de la langue portugaise — Leksikalni vplivi portugalščine......................................... 107 Muhamed NEZIROVIÍ, El cancionero de los romances judeo-españoles de Sarajevo de Laura Papo Bojoreta — Cancionero judovsko-španskih romane iz Sarajeva Laure Papo-Bojorete..................................................... 115 Roxana IORDACHE, Tendances originales dans l'emploi de certains éléments du latin scientifique et de chancellerie à la basse époque, chez Claudien Mamertus — Znanstveno in administrativno izrazoslovje v pozni latinski dobi: svojskost v rabi Klavdijana Mamerta .. :................................................... 131 * * * Varja CVETKO-OREŠNIK, Etymologisches zu einigen slowenischen Dialekt- Wörtern — Etimološki doneski k nekaj slovenskim narečnim besedam............... 149 Magnus PETURSSON, Janez Orešniks Beitrag zur Erforschung der isländischen Sprache — Prispevek Janeza Orešnika k raziskavam islandščine................. 159 Vladimir E. OREL, Albanica parerga. Balkan etymologies 101—109 — Balkanske etimologije 101—109...................................................... 171 Peter SWIGGERS et Karl VAN DEN EYNDE, L'harmonie vocalique: remarques descriptives et théoriques — Ubranost samoglasnikov: opombe k opisu in teoriji... 177 * * * Poročila, ocene in zapisi — Comptes rendus, récensions, notes Gerhard Ernst, „Gesprochenes Französisch zu Beginn des 17. Jahrhunderts". Direkte Rede in Jean Héroards „Histoire particulière de Louis XIII" (1605—1610), Beihefte Z RPh, Band 204, Niemeyer, Tübingen 1985; pp. 623 /Giuseppe Francescato/ 181 219 Wolfgang U. Dressler, Morphonology: the dynamics of derivation. Ann Arbor, založba Karoma 1985; 439 strani /Janez Orešnik/............................. 185 Annibale Elia, Le verbe italien, Les complétives dans les phrases à un complément, Biblioteca délia ricerca, Lingüistica comparata diretta da Annibale Elia e Maurice Gross, vol. 1, Schena (Fasano di Puglia) — A.-G. Nizet (Parigi), 1984, 305 pp. /Pavao Tekavčič/........................................................ 193 Pierre Swiggers, Les conceptions linguistiques des Encyclopédistes, Etude sur la constitution d'une théorie de la grammaire au siècle des Lumières, Sammlung Groos 21, Julius Groos Verlag — Heidelberg — Leuven University Press, Heidelberg 1984; 165 pp. /Pavao Tekavčič/..................................................... 198 «Ladinia», Sföi cultural dai Ladins dies Dolomites, numm. V. (1981) — VIII (1984), Institut Ladin «Micurà de Rii», San Martin de Tor, Piccolino (Val Badia), /Pavao Tekavčič/................................................................ 202 Estudis Gramaticals 1, amb ponències del Col.loqui Internacional de Lingüistica Teórica i Llengües Romàniques, Working Papers in Linguistics; Universität Autónoma de Barcelona, Departament de Filología Hispánica, Barcelona, Bellaterra 1984, 380 pp. /Pavao Tekavčič/..................................................... 211 Novi lingvistički časopis: SOL — Lingvistički časopis, godina I, broj 1, Zagreb 1986, str. 108. Izdavač: Filozofski fakultet Zagreb, OOUR Humanističke i društvene znanosti /Pavao Tekavčič/................................................... 216 220 LINGÜISTICA XXVI Izdala in založila Filozofska fakulteta Univerze Edvarda Kardelja v Ljubljani Revue publiée et éditée par la Faculté des Lettres et Philosophie de l'Université Edvard Kardelj de Ljubljana Glavni in odgovorni urednik — Rédacteur en chef Mitja Skubic Nasloviti vse dopise na naslov Prière d'adresser toute correspondance à Mitja Skubic, Filozofska fakulteta, Aškerčeva 12, 61000 Ljubljana Razmnoževanje Pleško, Rožna dolina, C. IV/36, Ljubljana