ANNALKS - Ser. hist, socio!. • 10 • 2000 • 2 (22) saggio scientifico originale Ü D C 94(497.1 "1941/43":325.254 ricevuto: 2000-09-23 UNA STORIÀ RiMOSSA. L'ÏNTERNAMENTO DEI CIVILI jUGOSLAVI DA PARTE DELL'iTALIA FASCISTA (1941-'43)* Carlo Spartaco CAPOGRFCO Fondazione internazionale "Ferramonti di Tarsia" par J'Amícizsa (ra i Popoli, il-67100 Cosenza, C. P. 159 e-mail: s.capogreco@tiscalirtet.il' SINTESi Il saggio fa il punto in modo sistemático su una pagina rimossa délia storia italiana - la deportazione fascista di civili dalle zone délia jugoslavia occupate dall'ltalia (Slovenia, entroterra di Fiume col litorale croato e il Gorski Kotar, Daimazia, Montenegro, Macedonia occidentale) dopo l'aprile 1941. Pariendo dalla constatazione che la política di genocidio cultúrale degli sloveni e dei croatí venutisi a trovare dopo ¡I '18 entro i confín i italiani fu ¡'antecedente deli'occupazione con caratteri esplicitamente razzisti dei territori jugoslavi, l'autore presenta numeri, modalité, ¡uoghi, particolarità, campi di concentramento e responsabili delle misure d'internamento e deportazione, nonché gli scopi e i fini dell'operato delie autorità militari e civili italiane. Una particolare attenzione viene prestata alia "bonifica" étnica avviata nella c.d. "Provincia di Lubiana" all'inizio del '42, che avrebbe portato all'internamente del 7.5% de/la popolazione totale di quel territorio. Parole chíave: deportazione, Italia, occupazione, jugoslavia, Slovenia, Daímazia, Croazia, Montenegro, Macedonia, internamente civili THE REMOVED PAGE OF HISTORY. THE INTERNMENT OF YUGOSLAV CIVIL POPULATIONS BY THE FASCIST ITALY (1941-1943) ABSTRACT The article presents a systematic review of the suppressed part of Italian history - the fascist deportation of civil populations from various parts of Yugoslavia (Slovenia, the Rijeka hinterland', the Croatian Littoral, Gorski Kotar, Dalmatia, Montenegro, Western Macedonia) that had been from April 1941 on occupied by Italy. Proceeding from the assessment that the attempt to carry out a cultural genocide of the Slovenes and Grafs, who after 1918 came under the rule of Italy, was a preliminary stage and an announcement of an openly racist. Italian military occupation of Yugoslav territories, the author presents numbers, manners, places, specificities, camps and the people responsible for these internments and deportations, as well as the purposes of the measures taken by the Italian military and civil authorities. Special attention is concentrated to the "ethnic rebate" that, the Italians began to implement in the so- called Ljubljana Province in early 1942 and which led to the internment of 7.5% of the population. Key words: deportations, Italy, occupation, Yugoslavia, Slovenia, Dalmatia, Croatia, Montenegro, Macedonia, internment of civilians 1 IR questo serillo non sono prese in considerazione, di proposito, le vicende degii ebreí (jugoslavi e non) internad dalle autorstá itaüane nelle zorte occupate o anriesse della ¡ugosiavia. 307 ANNALES • Ser. hist, socioi. • 10 - 2000 • 2 (22) Carlo Spartóco CAPOCKECO: UN'A STORiA RIMOSSA. I 'hVTERNAMENTO DF1 CI VILI IUCOSI.AVI DA PARTE DEU.'ITALiÂ~FASCt5ÏA ÍÍS-H-1«}, 307-324" ¡ N T R O D U Z J O N E Se i'attacco alla jugoslavia da parte deíl'Halia, corne ha scritto Piero Calamandrei, "è stato una ripetízsone délia pugnalata nella schiena data alla Francia" (Calamandrei, 1982, 336), inédito quanto a spietaiezza è stato il comportamiento deíle nostre truppe nei con- fronts delle popolazioni civili del paese occupaio. In Jugoslavia, infatti, il soldato italiano, oítre che quel lo del normale combatiente, ha svolto anche il ruoio del- i'aguzzino, non di ráelo facendo ricorso a metodi típi- camente nazisti quali ('incendio dei villaggi, le fuci- lazioni di ostaggi, le deportazioni in massa dei civili e il loro internamente nei campi di concentramento (Les systèmes d'occupation en Vugosiavie, 1963; Moraca, 1964; Vujosevic, 1972; Pacetti, 1981; 2ivkov¡¿, 1991; Collotti, 1997). "L'intreccio tra memoria balcanica e storia nazionale incontra sempre, a mezzo secolo di distanza, reticenze e disorganicità di ricerche...", affermava dieci anni fa Teodoro Sala (Sala, 1990/91). Ed ancor oggi, malgrado l'apprezzabile ripresa di studi avutasi nell'ultimo de- cennio, la storia dell'occupazione italiana délia Jugo- slavia rimane avvolta da tanti silenzi e rimozioni. Cosa partícolarmente evidente per Targomento affrontato in questo saggio - la deportazione e l'internamento dei civíli - che, secondo il giudizio di Milica Kacin Wohinz, "le poche opere reperibili nella storiografia italiana suíle guerre d'aggressione fasciste, tra ti a no nei modo peggiore, quando non passano del tutto sotto silenzio" (Kacin Wohinz, 1999). Le dimenticanze ed i "buchi neri" della nostra guerra nei Baicani, certamente favoriti dallo stereotípo della "bonîà italiana" e dalla "reiatívizzazione" dei crimini tascisti a fronte di quelli generalmente più efferati coro- messi daí nazisti, sono dipesi pure daíl'oggettivo inté- resse degli Alleati a "non colpevolizzare" un'ltalia che, alia fine della guerra, entrava ormai a far parte deíla loro órbita politico-strategica. Ció ha consentito che, dopo ii 1945, cadessero sostanzialmente nei vuoto le accuse di "internamento in condizioni disumane" e quelle relative agli altri crimini di guerra commessi dagli italiani, inoltraíe alie apposite commissioni íntemazionali dai governo jugoslavo e da quelli di altre nazioni aggredite da Mussoiini. E non c !é dubbio che la mancanza di una "Norimberga italiana" sia stata determinante nei far si che le nostre responsabiiitá restassero estranee ai bagaglio culturale degli italiani e, in buona parte, a! campo d'interesse della storiografía nazionale.2 Ne sono conferma, sia puré indirettamente, le pole- miche e le proteste scaturite, nei 1989, dalla messa in onda in Gran Bretagna del documentarlo di Ken Kirby sui crimini di guerra italiani del periodo 1941-45,3 come puré quelle che, nove anni dopo, hanno pre- ceduto e seguito IMncontro avvenuto a Trieste tra Lu- ciano Violante e Gianfranco Finí. "Se c'é una questione di cu i la Repubblica deve farsi carico, e il non aver ¡mai fatto entrare nella propria memoria collettiva i crimini di guerra di cui I'Italia monarchico-fascista sí é macchiata in jugoslavia e non (anche in Etiopia e in Grecia, per esempio), e il non aver mai processato alti ufficiali e gerarchi del regime che emanarono ordini criminali di rappresaglía contro la popolazione civile", si leggeva nella dichiarazione-appello diffusa nei marzo 1998 da un nutriío gruppo di storíci italiani in seguito all'in- contro tra il presidente della Camera e il leader di Alleanza Nazionale.4 I firmatari, futía via, in quanto "ad- detti ai lavorí", probabilmente avrebbero dovuto farsi maggiore carico personale di una tale responsabilitá (Fogar, 1984).5 II comporta mentó duramente repressivo delle truppe italiane in jugoslavia non puó essere compreso piena- 2 Più cii 800 italiani, ira civils e militari, sono stati denunciati per crimini di guerra commessi durante la Seconda guerra mondiale alta Wa r Crimes Commission delt'Orgamzzazione delle Nazioni Unke. Per i crimini commessi in jugoslavia e in Grecia, cfr. S a o peen je, 1946; Les atrocités, 1946. Sulla rimozione dell'internamento civile italiano/fascista cfr. Capogreco, 1999; Saletti, 2.000. 3 Tra le riflessioni più intéressant seguí ¡e alia messa in onda del documentado di Ken Kirby Fascist Legacy, segnato queiía di Siebert, 1992 {in italiano sulla rivista "Daedaius", n. 10, gennaio-giugno 1993). 4 II confronto Fini-Violante (sui tema "Democrazia e ¡den tita nazional: riflessioni da! confine orientale") si è svulto ii 14 marzo 1993 al Teatro Verdi di Trieste, neli'ambito dei seminario universitario su "¡i ruolo deila memoria nella política contemporánea". 1,'appelb ciiato - dei quale hanno ampiamente ríferito tan ti quotídiani nazíonati - a fine marzo era stato sottoscritto da 400 persone: soprattutto studios! e ricerc.atori. ma anche insegnanti, studenti, ex partigiani, semplici cittadini. Tante aitre prese di posizione (cito, una per «Me, la lettera di F. Degni pubbltcate dal setfimanale "Liberal" nei numero dei 16 apciie 1998), sia di storici che "di non addetti ai lavorí", sottolineavano negativamente il fatto che, irs quel dibattito, non si fosse coliegata la "questione délie foibe" a due fondamental; antefattí storici: 1) la "nazionalizzazione forzata" rnesss in atto dall'italia roonarchico-fntscista nei confronti dei 500 000 "allogeni" deíla Venezia Giulia; 2) ta durissíma repressione usata dalle nostre truppe nei confronti cfeiie popolazioni civili in seguito all'occupazione della Jugoslavia dell'aprile 1941. 5 Come è emerso daí convegno su identité e storia deíla RepubbHca, temitosi alia "Sapienza" nei giugno 1997, è ancora assai diffusa la propensione della storiografia italiana ad occuparsi delle "malefatte" alimi, piuttosto che di quelle di casa propria. Se è vero che "a diffondere i! mito delle foibe ha contribuito in misura considerevole la stessa Jugoslavia per avère strenuamente negato ie liquidazioni" •• ha affermato al convegno romano la storica slovena Nevenka Troha -, sarebbe perô opportuno cbiedersi "quando mai l'ltalia democrática abbia pubblicaîo i dati in suo possesso sugfi sloveni deceduti nei campi di concentramento a ¡tes ti ti daile sue autorità". Delta stessa Autrice cfr. Troha, 1997. 308 ANNALES • Ser. hist, socioi. • 10 - 2000 - 2 (22) c.i rio Span KO CAPOCRíCOr UNA STORIA RIMOSSA. L'iNTERN AMENTO DE¡ CIVIL! ¡UCOSIAVI DA PARTE DEt.lTTAUA FASCISTA (1941 -'431 307-32-1 mente se non considerando la ventennale política di violenza e di soprusi messa in atto soprattutto dal "fascismo di frontiera" nei confronti delle minoranze slovena e croata in Italia (circa 500.000 persone, alie quasi fu sempre negata la mínima dignitá etnico-cul- turale), che lo storico Elio Apíh, senza mezzi termini, ha definito di genocidio culturale. Proprio nei provve- dimenti di snazionalizzazione, di "díspersione" e di confino che avevano colpito duramente gií "alíogeni" della Venezia Giulia, possono cogliersi gli antecedenti dell'occupazione militare violenta ed espiiciíameníe razzista avviata in jugoslavia neil'apríle 1941.6 De! resto, l'internamento in massa della popolazione, olíre all'obiettivo di allontanare dalle principáis localita nu- clei consistent! di civili suscettibili di aiutare i partigiani o di prendere ie armi contro l'invasore, perseguiva un al tro non secondario obiettivo, che era quello della "sbaicanizzazione" dei territori occupati. Un vecchio proposito fascista, che oggi pot rem mo definire di pulizia étnica, e che in Slovenia si pensó allora di realizzare aftraverso la "semplice" sostituzione delle popolazioni autoctone con "coloni italiani", provenienti da aitre provincie del Regno.7 L'atEacco alia jugoslavia inízió domenica 6 aprife 1941, quando le truppe tedesche e italiane (bulgari e ungheresi si sarebbero aggregati poco dopo), senza alcuna preventiva dichiarazione di guerra, violarono le frontiere di un paese sovrano. Dopo lo sfaldamento della monarchia deí Karadjordjevic - capitolata il 17 aprile. - la nazione ínvasa venne smembrata, secondo il volere di Hitler, con una ripartizione che díede a Mussolini le nuove "province italiane" di Lubiana, Spalato, e Cattaro; l'íngrandimento di quede gíá esístenti di fiume e di Zara; l'occupazione del Montenegro; l'an- nessione del Kosovo e di alcune porzíoni di territorio macedone ali'Albanta (Jukíc, 1974; Bianchini et al., 1993; USSME, 1978; Sala, 1983). Concíusasi in breve tempo la íase di occupazione, gli italiani ebbero alcuni mesí di relativa tranquil!¡ta, rispetto a¡ camerati tedeschi. Ben presto pero si sarebbero prospettate anche per loro le difficoltá di quello che non sarebbe stato un confÜtto tradizionale, hensi "una guerra sociale e nazionale ai contempo, che coinvolge[va'j masse enormi di uomini e donne d'ogni eta ed estrazione" (Sala, 1980, 90-91). Dopo la rapída disfatta deií'esercito jugoslavo, non tardarono infatti a costituirsi i due poli di quello che sarebbe divenuto il píü combattivo ed eroico fronte di resistenza dell'Europa occupata: da un lato la N O V (NarodnooslobodilaCka Vojska, l'Esercito di Liberazione Popolare) facente capo al partito comunista di josip Broz Tito; dall'altro il Moví mentó ¿étnico (dal Tantico termine cetnik, guer- rigliero) diretto da Dragoljub (DraZa) Mihajlovic (De- akin, 1972; Tomasevich, 1975; Bambara, 1988). Nelí'autunno 1941 Pattivíta dei partigiani jugoslavi andava ormai assumendo bast di massa e le sue azioni erano divenute realmente incisive. In Slovenia le autorità civíli italiane, con a capo f 'Alto commissario" Emilio Grazioli, ritenevano ancora conveniente un'azione re- pressiva "a lento decorso", mentre il comandante delí'XI Corpo d'Armata, generale Mario Robotti, già da tempo richiedeva misure più pronte ed energiche. Analoga situazione si era creata in Dalmazía tra il governatore civile Giuseppe Bastianini ed il generale Quirino Armelíini, comandante del XVIII Corpo d'Armata. Frústrate da una guerra difficile che assumeva un ritmo pressante ed afíannoso, le autorità militari divennero sempre più critiche nei confronti dell'amrnínistrazíone civile (governatori, prefettí, questori, alti commissarí, ecc.), addebitandole la responsabilité della mancata "normalizzazione" e "fascistizzazione" del territorio, e riuscendo ínfine a farsi riconoscere daí governo centrale una smisurata possibilità d'intervento "a dífesa del- l'ordine pubblico" (Sala, 1990/91, 91-92; Ferenc, 1994, 19-121; Piemontese, 1946; Cuzzi, 1998, 141-162). Cosi, dal gennaio 1942 nella Slovenia e nei Rumano il potere dei militari dívenne pressoché assoluto. Li essi indicarono, tra le prime rnisure da adottare, l'inter- namento di massa delle popolazioni locali. In Slovenia, ¡i dissidio tra autorità militari e civili di occupazione veniva di fatto supéralo entro ¡I mese di agosto, con una sostanziale saíclatura avutasi "al livello della política di violenza" (Sala, 1990/91, 92). Anche in Dalmazía, dove maggiori erano la confusione e ¡a sovrapposizione di competenze, ¡1 risuitato fu quello di un aggravamento dell'azione repressiva e políziesca del Regio Esercito, mentre in Montenegro, dopo l'msurrezione popolare dell'estate 1941, era in vigore un ferreo regime militare, non diverso da quello vigente nelie regioni macedoní accorpate alia "Grande Albania" (SepiC, 1963; ¡aukovic!, 1963, 349-375; Todorowski, 1982). SLOVENIA La Slovenia venne divisa in tre zone di occupazione: la tedesca, ¡'italiana e í'ungherese. All'ltaiia tocco la parte sud-occídentale, con la Notranjska, la Dolenjska e la capitale, Lubiana. Fssa comprendeva un territorio vasto circa 4.550 km2, con una popolazione di 339.751 abiíanti (ai quali, presto, si vennero ad aggitingere circa 6 II termine "aliogeno", entraio in uso att'inizio degli anni Ventí, gtá recava in sé un tono di sprezzante emarginazione; cfr. Apíh, 1966; Pacor, 1964; Čermelj, 1974; Vinci, 1997, 247; Kacin Wohinz et al., 1998, 27- 67. 7 Suita "sbaicanizzazione" cfr., in particolare, T. .Sala, 1974; Kacin Wohinz, 1988; Cobo!, 1927; Sombig, 1927 íquesti ullimi due anicoü sono segnalat) in Colioti, 1997, 191). 309 ANNALES • Ser. hist, socioi. • 10 - 2000 • 2 (22) Carlo Spartóco CAPOCKECO: UN'A STORiA RIMOSSA. I 'hVTERNAMENTO DF1 CI VILI IUCOSI.AVI DA PARTE DEU.'ITALiÂ~FASCt5ÏA ÍÍS-H-1«}, 307-324" ¡ N T R O D U Z J O N E Se i'attacco alla jugoslavia da parte deíl'Halia, corne ha scritto Piero Calamandrei, "è stato una ripetízsone délia pugnalata nella schiena data alla Francia" (Calamandrei, 1982, 336), inédito quanto a spietaiezza è stato il comportamiento deíle nostre truppe nei con- fronts delle popolazioni civili del paese occupaio. In Jugoslavia, infatti, il soldato italiano, oítre che quel lo del normale combatiente, ha svolto anche il ruoio del- i'aguzzino, non di ráelo facendo ricorso a metodi típi- camente nazisti quali ('incendio dei villaggi, le fuci- lazioni di ostaggi, le deportazioni in massa dei civili e il loro internamente nei campi di concentramento (Les systèmes d'occupation en Vugosiavie, 1963; Moraca, 1964; Vujosevic, 1972; Pacetti, 1981; 2ivkov¡¿, 1991; Collotti, 1997). "L'intreccio tra memoria balcanica e storia nazionale incontra sempre, a mezzo secolo di distanza, reticenze e disorganicità di ricerche...", affermava dieci anni fa Teodoro Sala (Sala, 1990/91). Ed ancor oggi, malgrado l'apprezzabile ripresa di studi avutasi nell'ultimo de- cennio, la storia dell'occupazione italiana délia Jugo- slavia rimane avvolta da tanti silenzi e rimozioni. Cosa partícolarmente evidente per Targomento affrontato in questo saggio - la deportazione e l'internamento dei civíli - che, secondo il giudizio di Milica Kacin Wohinz, "le poche opere reperibili nella storiografia italiana suíle guerre d'aggressione fasciste, tra ti a no nei modo peggiore, quando non passano del tutto sotto silenzio" (Kacin Wohinz, 1999). Le dimenticanze ed i "buchi neri" della nostra guerra nei Baicani, certamente favoriti dallo stereotípo della "bonîà italiana" e dalla "reiatívizzazione" dei crimini tascisti a fronte di quelli generalmente più efferati coro- messi daí nazisti, sono dipesi pure daíl'oggettivo inté- resse degli Alleati a "non colpevolizzare" un'ltalia che, alia fine della guerra, entrava ormai a far parte deíla loro órbita politico-strategica. Ció ha consentito che, dopo ii 1945, cadessero sostanzialmente nei vuoto le accuse di "internamento in condizioni disumane" e quelle relative agli altri crimini di guerra commessi dagli italiani, inoltraíe alie apposite commissioni íntemazionali dai governo jugoslavo e da quelli di altre nazioni aggredite da Mussoiini. E non c !é dubbio che la mancanza di una "Norimberga italiana" sia stata determinante nei far si che le nostre responsabiiitá restassero estranee ai bagaglio culturale degli italiani e, in buona parte, a! campo d'interesse della storiografía nazionale.2 Ne sono conferma, sia puré indirettamente, le pole- miche e le proteste scaturite, nei 1989, dalla messa in onda in Gran Bretagna del documentarlo di Ken Kirby sui crimini di guerra italiani del periodo 1941-45,3 come puré quelle che, nove anni dopo, hanno pre- ceduto e seguito IMncontro avvenuto a Trieste tra Lu- ciano Violante e Gianfranco Finí. "Se c'é una questione di cu i la Repubblica deve farsi carico, e il non aver ¡mai fatto entrare nella propria memoria collettiva i crimini di guerra di cui I'Italia monarchico-fascista sí é macchiata in jugoslavia e non (anche in Etiopia e in Grecia, per esempio), e il non aver mai processato alti ufficiali e gerarchi del regime che emanarono ordini criminali di rappresaglía contro la popolazione civile", si leggeva nella dichiarazione-appello diffusa nei marzo 1998 da un nutriío gruppo di storíci italiani in seguito all'in- contro tra il presidente della Camera e il leader di Alleanza Nazionale.4 I firmatari, futía via, in quanto "ad- detti ai lavorí", probabilmente avrebbero dovuto farsi maggiore carico personale di una tale responsabilitá (Fogar, 1984).5 II comporta mentó duramente repressivo delle truppe italiane in jugoslavia non puó essere compreso piena- 2 Più cii 800 italiani, ira civils e militari, sono stati denunciati per crimini di guerra commessi durante la Seconda guerra mondiale alta Wa r Crimes Commission delt'Orgamzzazione delle Nazioni Unke. Per i crimini commessi in jugoslavia e in Grecia, cfr. S a o peen je, 1946; Les atrocités, 1946. Sulla rimozione dell'internamento civile italiano/fascista cfr. Capogreco, 1999; Saletti, 2.000. 3 Tra le riflessioni più intéressant seguí ¡e alia messa in onda del documentado di Ken Kirby Fascist Legacy, segnato queiía di Siebert, 1992 {in italiano sulla rivista "Daedaius", n. 10, gennaio-giugno 1993). 4 II confronto Fini-Violante (sui tema "Democrazia e ¡den tita nazional: riflessioni da! confine orientale") si è svulto ii 14 marzo 1993 al Teatro Verdi di Trieste, neli'ambito dei seminario universitario su "¡i ruolo deila memoria nella política contemporánea". 1,'appelb ciiato - dei quale hanno ampiamente ríferito tan ti quotídiani nazíonati - a fine marzo era stato sottoscritto da 400 persone: soprattutto studios! e ricerc.atori. ma anche insegnanti, studenti, ex partigiani, semplici cittadini. Tante aitre prese di posizione (cito, una per «Me, la lettera di F. Degni pubbltcate dal setfimanale "Liberal" nei numero dei 16 apciie 1998), sia di storici che "di non addetti ai lavorí", sottolineavano negativamente il fatto che, irs quel dibattito, non si fosse coliegata la "questione délie foibe" a due fondamental; antefattí storici: 1) la "nazionalizzazione forzata" rnesss in atto dall'italia roonarchico-fntscista nei confronti dei 500 000 "allogeni" deíla Venezia Giulia; 2) ta durissíma repressione usata dalle nostre truppe nei confronti cfeiie popolazioni civili in seguito all'occupazione della Jugoslavia dell'aprile 1941. 5 Come è emerso daí convegno su identité e storia deíla RepubbHca, temitosi alia "Sapienza" nei giugno 1997, è ancora assai diffusa la propensione della storiografia italiana ad occuparsi delle "malefatte" alimi, piuttosto che di quelle di casa propria. Se è vero che "a diffondere i! mito delle foibe ha contribuito in misura considerevole la stessa Jugoslavia per avère strenuamente negato ie liquidazioni" •• ha affermato al convegno romano la storica slovena Nevenka Troha -, sarebbe perô opportuno cbiedersi "quando mai l'ltalia democrática abbia pubblicaîo i dati in suo possesso sugfi sloveni deceduti nei campi di concentramento a ¡tes ti ti daile sue autorità". Delta stessa Autrice cfr. Troha, 1997. 308 ANNALES • Ser. hist, socioi. • 10 - 2000 - 2 (22) c.i rio Span KO CAPOCRíCOr UNA STORIA RIMOSSA. L'iNTERN AMENTO DE¡ CIVIL! ¡UCOSIAVI DA PARTE DEt.lTTAUA FASCISTA (1941 -'431 307-32-1 mente se non considerando la ventennale política di violenza e di soprusi messa in atto soprattutto dal "fascismo di frontiera" nei confronti delle minoranze slovena e croata in Italia (circa 500.000 persone, alie quasi fu sempre negata la mínima dignitá etnico-cul- turale), che lo storico Elio Apíh, senza mezzi termini, ha definito di genocidio culturale. Proprio nei provve- dimenti di snazionalizzazione, di "díspersione" e di confino che avevano colpito duramente gií "alíogeni" della Venezia Giulia, possono cogliersi gli antecedenti dell'occupazione militare violenta ed espiiciíameníe razzista avviata in jugoslavia neil'apríle 1941.6 De! resto, l'internamento in massa della popolazione, olíre all'obiettivo di allontanare dalle principáis localita nu- clei consistent! di civili suscettibili di aiutare i partigiani o di prendere ie armi contro l'invasore, perseguiva un al tro non secondario obiettivo, che era quello della "sbaicanizzazione" dei territori occupati. Un vecchio proposito fascista, che oggi pot rem mo definire di pulizia étnica, e che in Slovenia si pensó allora di realizzare aftraverso la "semplice" sostituzione delle popolazioni autoctone con "coloni italiani", provenienti da aitre provincie del Regno.7 L'atEacco alia jugoslavia inízió domenica 6 aprife 1941, quando le truppe tedesche e italiane (bulgari e ungheresi si sarebbero aggregati poco dopo), senza alcuna preventiva dichiarazione di guerra, violarono le frontiere di un paese sovrano. Dopo lo sfaldamento della monarchia deí Karadjordjevic - capitolata il 17 aprile. - la nazione ínvasa venne smembrata, secondo il volere di Hitler, con una ripartizione che díede a Mussolini le nuove "province italiane" di Lubiana, Spalato, e Cattaro; l'íngrandimento di quede gíá esístenti di fiume e di Zara; l'occupazione del Montenegro; l'an- nessione del Kosovo e di alcune porzíoni di territorio macedone ali'Albanta (Jukíc, 1974; Bianchini et al., 1993; USSME, 1978; Sala, 1983). Concíusasi in breve tempo la íase di occupazione, gli italiani ebbero alcuni mesí di relativa tranquil!¡ta, rispetto a¡ camerati tedeschi. Ben presto pero si sarebbero prospettate anche per loro le difficoltá di quello che non sarebbe stato un confÜtto tradizionale, hensi "una guerra sociale e nazionale ai contempo, che coinvolge[va'j masse enormi di uomini e donne d'ogni eta ed estrazione" (Sala, 1980, 90-91). Dopo la rapída disfatta deií'esercito jugoslavo, non tardarono infatti a costituirsi i due poli di quello che sarebbe divenuto il píü combattivo ed eroico fronte di resistenza dell'Europa occupata: da un lato la N O V (NarodnooslobodilaCka Vojska, l'Esercito di Liberazione Popolare) facente capo al partito comunista di josip Broz Tito; dall'altro il Moví mentó ¿étnico (dal Tantico termine cetnik, guer- rigliero) diretto da Dragoljub (DraZa) Mihajlovic (De- akin, 1972; Tomasevich, 1975; Bambara, 1988). Nelí'autunno 1941 Pattivíta dei partigiani jugoslavi andava ormai assumendo bast di massa e le sue azioni erano divenute realmente incisive. In Slovenia le autorità civíli italiane, con a capo f 'Alto commissario" Emilio Grazioli, ritenevano ancora conveniente un'azione re- pressiva "a lento decorso", mentre il comandante delí'XI Corpo d'Armata, generale Mario Robotti, già da tempo richiedeva misure più pronte ed energiche. Analoga situazione si era creata in Dalmazía tra il governatore civile Giuseppe Bastianini ed il generale Quirino Armelíini, comandante del XVIII Corpo d'Armata. Frústrate da una guerra difficile che assumeva un ritmo pressante ed afíannoso, le autorità militari divennero sempre più critiche nei confronti dell'amrnínistrazíone civile (governatori, prefettí, questori, alti commissarí, ecc.), addebitandole la responsabilité della mancata "normalizzazione" e "fascistizzazione" del territorio, e riuscendo ínfine a farsi riconoscere daí governo centrale una smisurata possibilità d'intervento "a dífesa del- l'ordine pubblico" (Sala, 1990/91, 91-92; Ferenc, 1994, 19-121; Piemontese, 1946; Cuzzi, 1998, 141-162). Cosi, dal gennaio 1942 nella Slovenia e nei Rumano il potere dei militari dívenne pressoché assoluto. Li essi indicarono, tra le prime rnisure da adottare, l'inter- namento di massa delle popolazioni locali. In Slovenia, ¡i dissidio tra autorità militari e civili di occupazione veniva di fatto supéralo entro ¡I mese di agosto, con una sostanziale saíclatura avutasi "al livello della política di violenza" (Sala, 1990/91, 92). Anche in Dalmazía, dove maggiori erano la confusione e ¡a sovrapposizione di competenze, ¡1 risuitato fu quello di un aggravamento dell'azione repressiva e políziesca del Regio Esercito, mentre in Montenegro, dopo l'msurrezione popolare dell'estate 1941, era in vigore un ferreo regime militare, non diverso da quello vigente nelie regioni macedoní accorpate alia "Grande Albania" (SepiC, 1963; ¡aukovic!, 1963, 349-375; Todorowski, 1982). SLOVENIA La Slovenia venne divisa in tre zone di occupazione: la tedesca, ¡'italiana e í'ungherese. All'ltaiia tocco la parte sud-occídentale, con la Notranjska, la Dolenjska e la capitale, Lubiana. Fssa comprendeva un territorio vasto circa 4.550 km2, con una popolazione di 339.751 abiíanti (ai quali, presto, si vennero ad aggitingere circa 6 II termine "aliogeno", entraio in uso att'inizio degli anni Ventí, gtá recava in sé un tono di sprezzante emarginazione; cfr. Apíh, 1966; Pacor, 1964; Čermelj, 1974; Vinci, 1997, 247; Kacin Wohinz et al., 1998, 27- 67. 7 Suita "sbaicanizzazione" cfr., in particolare, T. .Sala, 1974; Kacin Wohinz, 1988; Cobo!, 1927; Sombig, 1927 íquesti ullimi due anicoü sono segnalat) in Colioti, 1997, 191). 309 ANNALES • Ser. hist. socio!. • 10 • 2000 • 2 (22) Carlo Spartaco CAPOGRECO: UNA SÏORIA RIMOSSA L'INTERNAMENTO DE! CIVIU lUGOSLAVI OA PARTE DEU.'ITAIIA FASCISTA (1911 '.Í3>, 3<37-324 17.000 profughí proveníenti daifa zona d'occupazione tedesca), che i! 3 maggio 1941 venne díchiarato "Provincia di Luhiana" in regime di pseudoautonomía.0 Nelia zona di loro competenza, i tedeschi avviarono súbito una política di snazionalizzazione, di depor- tazione e di terrore, mentre gli italianí, per ragioni tat- tiche, inizialmente preferirono mostrare urt voito di- verso, concedenclo agí i siovení una certa autonomía culturale ed amministratíva. Ma, dopo l 'avvio "mor- bido", passarono anch'essi ad un regime di occupazione duro e costellato di atrocíta. Gl i internamentí e le razzie colíettive divennero frequenti a Lubíana e nelle Iocalita minori a partiré da! 19 gennaio 1942, data tn cui Mussolini affidd ail'esercito la "difesa dell'ordíne pub- blico" (Sala, 1966, 88).9 La repressione culmino in un'offensiva alia quale presero parte circa 65.000 soldati, che si protrasse da meta luglio sino all ' ínízio di novembre. Con il ricorso frequente all 'accoppiata "di- struzione dei villaggi/deportazione degli abitanti", essa determino lo spopolamento di intere zone abitate de! 1a Slovenia (Mikuz, 1950; Cuzzi, 1998, 163-182; Ferenc, 1994, 98-102; Ferenc, 1999).10 Progetti razzistici miranti alia deportazione degli sloveni nelle piü lontane provincie de! Regno dital ia o persino nelle colonie d'oltremare, figurano in innu- merevoli documenti e dichíarazioni dell 'epoca: i! 10 giugno 1941 Benito Mussolini affermava che "quando la etnia non va d 'accordo con la geografía, é l'etnia che deve muoversi"; e che, quindi, "gli sc.ambi di po- polazioni e l 'esodo di partí di esse sono provvidenziali, perché portano a far coíncidere i confiní politici con quelli razziali...".11 F cosí Mario Robotti, il 2 agosto 1942: "Le autoritá superior! non sono aliene dal- l' intemare tutti g!i sloveni e mettere ai loro posto degli italianí (...), ¡n altre parole far coincidere i confini razziali con quelli polit ici".12 Non diverse erano le vedute del comandante della M Armata, generale Mar io Roatta, che l'8 settembre 1942 esprirneva il proposito di "trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, insediarle nel Regno e sostituirle in posto con popolazioni italiane" (Z lodni , 1946, 132), e quelle del Mínistero della Guerra, che, "per la soluzione definitiva del problema", nel gennaio '43 proponeva l 'allontanamento dai "distretti slavi" e l ' intemamento in Italia di "tutti i cittadini valídi fino al 55° anno d'etá ed i cíttadiní non valídi ma schedatí di tutte le classi" (ACS, 1) Nel marzo 1943, ancora, l 'Ufficto prigionieri di guerra delf'esercíío invífava la Oirezione Generale del Genio ad "imprimere i! massimo impulso" alia costruzione di nuoví campi per ínternatí civil i al fine di rtsoívere il "problema slavo" (AUSSME , 1). E, per chiudere un elenco che potrebbe essere molto lungo, sí rícorda ínfine che Emilio Grazioli ípotízzó per anni di deportare, a guerra finita, tutti gli siovení in Libia, "sostítuendoli" con contadíní delf'ltalia meridíonaie. Mentre íl triestíno Aldo Vídussoní, segretario del partito fascista, secondo quanío scrítto da Galeazzo Ciano neí suoi diari, neí confronti degli sloveni espresse addirittura proposítí di sterminío. '3 Non é un caso, quindi, se durante íl ventennio i! numero dei condannati e confináis "slavi" sia stato par- ticolarmente elevato, e se dal giugno 1940 al settembre 1943 la maggioranza degli "ospítí" dei campi di con- centramento italianí sia stata costituita da civil i sloveni, fossero essi "aliogeni" della Venezia Q u l í a o - dopo l'aprile 1941- anche cittadini jugoslaví, in tre anni di guerra, proprio per la presenza massiccia di sloveni, croati e montenegrini, il numero totale dei civil i internati dal I'Italia fascista supero di di verse volte quello complessivamente raggiunto dai detenuti e confináis politici antifascisti in tutti i 17 anni neí quali furono in vigore le leggi eccezional i" ,1 4 8 In violazione .il diritto intemazionale che proibiva l'annessione di territori conquistati rnentre sono ancora in corso le operazioni belliche, la "Provincia di Lubiana", veoiva annessa al Regno d'ltalia il 3 maggio 1945. L'11. 9. 194! venivano emanati dall'alto commissario Grazioli i "Provvedimenti per la sicure^a dell'ordíne pubblico"; tuítavia la base "legale" per ia repressione, fu rap- presentata soprattutto dai bandi del duce del 3 e dei 24 ottobre contenenti le "Disposizioni penali per i territori annessi", cui seguiva, il 7 novembre, l'istituzione di una "Sezione speciale" del Tribunale militare di guerra della II Armata. Cfr. Piemontese, 1946, 11-16; Sala, 1966, 76; Ferenc, 1994, 65-66. 9 In data del 19 gennaio 1942, come si dirá, si ebbe anche la nomina del generale Roatta ai vertice délia Seconda armata. 10 Le sofferenze inferte alie popolazioni civils, trovano puntúale nscontro in mokeplici testi moni anze, sia di parte slovena che italiana. Cfr... ad esempio, Terrosi, 1956; Brlgnoli, 1973; Kocbek, 1974; Scalpelli, 1981, 603-617. 11 Discorso alia Camera dei Fasci e delle Corporaziorsi, in Opera Omnia di Benito Mussolini, 1960, 97. 12 Cosí Robotti nell'incontro con i comandan!.! di divisione tenu tos i il 2 agosto 1942 a Kočevje. Cfr. Pieiriontese, 1946, allegato XVI. ! 3 ¡potes! simili a quella di Grazioli sarebbero state prese in considerazione anche dopo la caduta di Mussolini: cfr, l'Appunto per il Duce del 3 luglio 1944 del fascista istriano Italo Sauro, ripreso da Sala, T 976, 32. Per l'affermai ione di Vidussoni, cfr, Ciano, 1960, 578. 14 Degli 8500 fascicoli relativi agiš Internati dall'Autorità civile, conservât! a Roma presse l'ACS, più di mille riguardano "ailogeni" fermati in concom¡tanza con l'invasione della Jugoslavia. Altre diverse migliaia di fascicoli appartengono a sloveni e croati (cittadini italianí e jugoslaví divenuti "italianí per an nés s ione"), arresta t i daii'Autorità civile tra il 1941 ed iï '43. Ma in Jugostavia, a partiré dai primi mesi de! 1942, sloveni e croati furono internati soprattutto manu militari e, molto frequen temen te, senza che a loro carico venissero istruiti dei fascicoli personal!. Cfr. Capogreco, 1996, 550-551. Questo saggio è apparso in lingua slovena (ma con molti refusi) sulla ri vista "Borec", Ijublj'ana 1998, n. 565/566. Suli'alto numero di confinât! "ailogeni" rispetto al resto della popolazione italiana cfr. Čermelj, 1974, 268-269. 310 ANNALES • Ser. hist, sociol. - 10 • 2000 • 2 (22) Carlo Spiirtaco CAPOGRECO; UNA STORIA RIMOSSA. L'INTERNAMENTO DEI C1VIU JUGOSIAVI DA PARTE DEU'ITAUA FASCISTA Ci