ANNO XVIII. Capodistria, 1 Aprile 1884. N. 7. LA PROVINCIA DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 1(! d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Sedazione. Articoli comunicati d'interesse generale li stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Sedazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. 0i Gian Domenico Strafico Vescovo di Cittanova (Continuazione ; vedi N. 6, e fine) Lo Stratico quale vescovo fu zelante nell' a-dempimento de'suoi doveri; solo che uomo di moudo qual' era, e nei pubblici e nei privati discorsi lasciò sempre trasparire, senza offesa della sua dignità, una certa scioltezza di modi e larghezza di vedute che parve a non pochi nuova e strana sulla cattedra vescovile. Conoscitore degli uomini e dei tempi intese la grande potenza del cristianesimo e 1* efficacia anche negl'interessi civili; quindi sua missione fu, mi si passi la frase,'-— umanizzare la religione, e rendere il prete nel villaggio, non solo maestro di dottrinerà, ma benefico consigliere ed amico del povero contadino. E per intendere la sua opera benefica giova ricordare in quali deplorabili condizioni si trovassero allora i contadini slavi nell' Istria, e non già per colpa del governo o prepotenza degl' Italiani ; ma perchè questa era la condizione generale dei poveri villici. Sotto questo aspetto fece più bene lo Strafico, vescovo italiano, con una sola omelia che tutte le Nase-sloge e compagni. Ma udiamo lo Stratico medesimo. „ I preti sono medici delle anime e non dei corpi. Ma siccome nelle ville non ci sono medici, o dei chirurghi carnefici, così i contadini, resistendo di chiamare questi ministri della salute o della morte, che si pagano egualmente o facciano gli affari dell' una o dell' altra, invocano il parroco che debba suggerir loro le opportune medicine. Il prete, nulla di ciò istruito, è sovente in necessità di suggerire delle cose almeno tanto spropositate, quanto le direbbe il vicino modico, o altro uomo ipotecato ad Esculapio, con non lieve rischio e danno di quelle vite. Io, per rimediare a tale disordine, essendo vescovo in Istria, nel mio Sinodo eccitai i parrochi ed altri preti di villa a legger molto il Tissot — Avvisi al popolo intorno la sua salute — libro aureo scritto perciò apposta da quel grand'uomo senza medica patina, onde potessero i parrochi nella necessità consigliare a ragione conosciuta. Molti credettero, provvidero quasi tutti il libro, ed in pochi anni ebbi molti preti capaci di dare un buon consiglio, e me ne compiacqui. Che dovrò dire però ? Tutte queste bestie vestite con la livrea di Galeno gridarono ad alta voce contro quel decreto poiché fu stampato, temendo che la medicina dei preti non danneggiasse il loro interesse; ed anche, quello che è peggio, molti ecclesiastici della Dalmazia si scandalizzarono, perchè si fosse citato in un sinodo e posto in mano a preti il libro d' un eretico calvinista. Io disprezzai al solito quello scandalo, usando di valutare le censure solo quando sono ragionevoli. " Segue il vescovo ad indicare i mezzi che riteneva più adatti a diffondere non solo la religione nella sua parte dommatica, ma la cultura e la morale fra il popolo. E così si capisce come e perchè quella letterata pinzochera potesse accusare d' eresia un tal uomo e a que' tempi ! Tra questi mezzi lo Sratico addita la poesia; vorrebbe che i preti diffondessero canti morali e patriottici nel popolo. „ Un parroco del territorio di Città Nuova, scrive lo Stratico, bramoso d' istruire i suoi popolani con facilità e fermezza nella morale, avea composto una canzone, in cui in verità era malmenata la poetica di Aristotile e d'Orazio, ma contenevansi molto pianamente tutti i documenti pratici per formare un cristiano ed un galantuomo. Egli la faceva cantare iu un' aria piacevole, e tutti i suoi giovanetti ne erano dottori. Io ne conservo una copia a stampa come cosa carissima (') che ') C' è memoria in provincia di queste canzoncine ? E si potrebbe scovar fuori il nome del bravo parroco? 11 territorio di Cittanova non è tanto vasto e le indagini non saranno difficili. U-tilissime sarebbero poi anche oggi queste canzoncine, meglio di mi ricorda il diletto che io prendeva interrogando I quei putti e quelle giovinette, e sentendomi citar la strofa per testo della risposta. Verbigrazia, chiedevasi ad un fanciullo, perchè non si ha a rubare e rispondeva : Perchè dice la canzone del curato : L' altrui roba lascia stare Chè buon prò nou ti può fare, Nè alla fin ti può mancare Una galera. Ed insistendoli che non tutti vanno in galera, rispondeva il fanciullo : E se scampi la giustizia, Tanto è egual la tua nequizia, Perchè guida la malizia A tristo fine. Frattanto ho voluto azzardare un esempio in una Canzone sagra, in cui tra i documenti morali si mescolauo delle regole di seminagione, tradotta in illirico dal canonico dott. Marco Dobrossich mio soavissimo condiscepolo ne' studi glacolitici, ma assai di me più provetto, che il grazioso amico dottr. Giulio Bajamonti ha corredata di musica.» Questa canzoncina, leggesi negli — Opuscoli economicoagrari dello Stratico. Venezia 1790. Ecco alcune strofe riguardanti la sementa del grano La tua semente monda Nella calce si infonda Ben stemprata. Fa che la terra sia Con buon letame pria Bene ingrassata. Pianta in buche mezzane I grani del tuo pane Ad uno, ad uno. Non perderai giornata Nè da insetto mangiata 0 verme alcuno. Nè ruberan gli uccelli Dalle buche i granelli Con tuo danno : Sparmiando seme assai Compensato sarai Di quell' affanno. certi canti tradotti dal tedesco con spropositi di lingua, e gravi errori dominatici, come nei seguenti versi: Quest' è il divin vangelo Che fu di Dio parola ; Quest' è la base sola Di nostra santa fè E la tradizione dove la lasciano? Pure, così si cantava, venti anni or sono, nelle chiese di Trieste e credo si canti tuttora. Tieni a mente cultore Quando Marzo vien fuore Il campo netta Dall' erba che vien fuori : Farà questi lavori Ogni donnetta. E tocca via in questo stile, che rammenta i trattati latini d' agricoltura in versi. Ognuno vedrà pure come la canzoncina sia scritta sul metro delle sequenze latine, e di molte composizioni del Giusti, come -- il Papato di Prete Pero, — ed altre che levarono un gran rumore, e si credettero una novità. Certo, non a tutti piacevano queste novità ; non ai zelanti, non ai dottrinari casuistici, e n'ebbe non poche noje. Piacquero però ai superiori ; e perciò lo vediamo nel 1784, dopo otto anni di dimora a Cittanova, trasmutato alla sede più importante di Lesina e Brazza in Dalmazia. Nel lasciare 1' Istria il Vescovo dettava le seguenti parole, degne, dice il Tommaseo, che le venture età le rammentino. „ Io mi sono studiato di non portare a questa episcopale sede nè fasto, nè avarizia, nè personalità, nè spirito d'interesse o di vendetta. Non mi risovvengo di aver fatto volontario male a nessuno, se pure per male non vogliasi con falso giudizio intendere il negare all' altrui demerito le non meritate compiacenze, genere di mali da tutti i buoni applaudito. Io sono stato amico di tutti, ed ho procurato di meritarmi la vostra confidenza. La mia casa a tutti fu aperta ; il mio tempo a tutti fu consacrato ; la mia povera assistenza fu a ciascuno esibita. Questo è 1' animo che io ho portato, e questo è quello che io riporto meco, e che conserverò a vostro riguardo fino alla fine de'giorni miei." E nessuno potrà dire che le siano frasi fatte anche queste, e reminiscenza delle lettere di San Paolo ; perchè non si sfida così senza sicura coscienza la pubblica opinione, quando può sorgere ognuno a dire: amico caro, tu mentisci. Successore allo Stratico a Cittanova fu il nobiluomo Balbi ; e se era necessario acquistare gli scrupoli farisaici e le ire di qualche raro teologo, quello fu l'uomo. Lo Stratico conservò ottima memoria dell' Istria e de' suoi preti ; e ricordando la canzone del curato del territorio di Città Nuova, scriveva da Lesina:" Dolcissime ricordanze per me che con troppo improvvido consiglio abbandonai que' luoghi, dove era taluno di sì fatti maestri. " Bellissimo attestato al clero istriano allora indigeno. Non è compito nostro occuparci dello Stratico come vescovo di Lesina : basti dire che vi portò il medesimo spirito, fu presidente perpetuo della società georgica dei Castelli di Traù, e lesse in quell' accademia quattro luoghi discorsi. Non perciò trascurò i suoi doveri di vescovo, e gli studi teologici: perchè nel 1787 lo vediamo gettarsi a capo fitto nello stagno ardente delle disquisizioni teologiche, e a spada tratta difendere 1' ortodossia degli armeni, nonostante la diversità e le omissioni nelle forme del culto, in un opuscolo stampato a Venezia — Lettera di un teologo pacifico ad un teologo amicone. E 1' uomo come stava dentro ? si domanderà. Ahi ! la mitra e il pastorale non bastano a riempiere i vuoti del cuore ; se gli onori mutano i costumi, e impediscono trascorrere oltre a certi confini, non valgono a vincere sempre inveterate abitudini ; i miracoli non si ripetono così facilmente; ai tempi eroici succedono i prosaici : ed anche la teologia deve cedere qualche volta alla biologia. In alcune lettere scritte da Cittanova e poi da Lesina, lo Strafico non fa che rimpiangere il soggiorno di Pisa e di Siena, città dove ritornò e si trattenne più volte, rannodando con disinvolta dignità e prudenza le vecchie amicizie. A Pisa nel 1785 ritrovò la sua vecchia conoscenza, Maria Fortuna, la quale di lui scrive al Chiaccheri: "Vidi Stratico, il quale mi dimostrò molta amicizia a dispetto della mitra." E da Lesina scriveva nel 1792 al Bandini : „Se ella ama un poliglotto vecchio, potrei io esibirmele tale e quale sono : ed oh come volentieri abbandonerei una dignità che mi pesa e per l'indole e per il luogo, per rifugiarmi e morire in seno della Chiesa dalla quale sono stato allevato.„ Parole di profonda malinconia che rilevano un uomo sempre agitato, perchè non si trova sulla sua strada. Pure all' esterno, e nella conversazione e ne' suoi scritti si dimostra spesso lepido : soliti misteri di quel guazzabuglio che è il cuore umano ; se pur non si voglia dire che fu un riso che non passava la gola. All' Alfieri parve invece invidiabile l'indole dello Stratico. Si conobbero nel 1785 a Pisa, ed ecco come ne scrive 1' Alfieri. ,.Ho visto Monsignor Stratico : 1' altra sera feci veglia da lui ; e oggi 10 doveva portare ai bagni . . . Mi piace assai pel poco che l'ho visto : ha molta naturalezza e disinvoltura; niente del frate, niente del pedante, niente del vescovo ; ed una felice indole d'allegria che gl'invidio." „Un giorno a Siena, Vittorio Alfieri, scrive Mario Pieri nel suo Diario, conduceva seco lui in carrozza Monsignor Stratico, degno fratello al professore di fisica sperimentale, e nel passare da un sito assai scabroso, il Monsignore cominciò ad impallidire : l'Alfieri se ne avvide e il dimandò 11 che temea. Il passo è assai difficile, rispose il monsignore. — Non sapete, disse 1' Alfieri che io sono miglior conduttore dei cavalli che delle muse? — Dunque andiamo, soggiunse il vescovo." Ma dopo queste brevi escursioni in Toscana, 10 Stratico tornava a suoi doveri di vescovo, e vi si dedicava con maggiore alacrità — „Gli ultimi lavori della sua penna, scrive il Fabianich, sono le orazioni omeletiche tenute al suo popolo in gravi circostanze alla fine del secolo preceduto. In quelle manifesta sommo dolore pei rovesci avvenuti in Italia, che gli fu madre e nutrice del sapere. * Celebre tra le sue omelie quella che indice nel 1797 una processione e messa votiva per la felicità del serenissimo dominio veneto nelle attuali urgenze d'Italia. La perorazione calda d'affetto è un capolavoro; e un brano stupendo, esempio al clero cattolico di virtù religiose e cittadine, di quell'ammirabile armonia tra il cristiano e il cittadino, ahi tanto oggi dimenticata! „Sappia, conchiude il vescovo, tutto il mondo che quando ancora essere dovessimo soli, Iddio, il veneto nome, il patrio onore saranno i nostri trofei in vita, e ci accompagneranno intrepidi a portarne la fama fino alla regione dell' ombre ! Fu questo come il canto del cigno dell'illustre prelato: nel 1799 morì, dopo aver veduto Campo-formio e le conseguenti mutazioni: Ma se il vescovo, 11 patriotta era morto, non così il poeta, 1' uomo. Rimangono di lui „ Diciotto sonetti scritti nelle poche notti che precedettero gli ultimi giorni di sua vita. Questi diciotto sonetti in articulo mortis se, come lavoro letterario non sono una gran cosa, rimangono quale un curioso documento umano, gettano una viva luce sul suo carattere, e destano un sentimento di profonda pietà in ogni cuore ben fatto. Fino all'ultimo si lamenta dell' infratamento forzato : In ignobile patria ebbi la cuna, Fur sciocchezza e ignoranza il mio retaggio ; Con queste guide rinuuziai 1' omaggio All' imperio d' amore e di fortuna. Ed altrove : Per non mie strade nella prima etade Me trasse il fato della vita al varco. E ribatte : Son lustri assai, che col destin m' adiro Che per strade non mie me tragge a forza, E di beni e di onor sotto la scorza La mia perduta libertà sospiro. Ma quale sarebbe dunque stata la sua strada? domanda un critico moderno. Egli non lo dice, nè il congetturarlo è possibile. „ Domando scusa, la congettura è facilissima. Una famiglia, una casetta, un orticello, dove attendere a' suoi studi letterari, e trovare i conforti della vita intima, ecco il desiderio, ecco il sogno del povero uomo. Per aver questo, avrebbe rinunziato non ad uua, ma a cento mitre. Così è spiegata la disarmonia e la contraddizione nelle sue azioni e no' suoi scritti. Perchè in questi ora egli appare ortodosso perfetto e crede alla resurrezione finale : Svegliati, e a morte i corti istanti ruba ! Dormirai, dormirai secoli eterni. Finché li desti l' angelica tuba. Via si direbbe, aggiunge il critico, un materialista convinto. Sciolgasi pure, e in atomi vaganti Questa massa vivente al suo fin rieda, Al folle vaneggiar di pochi istanti Profondo oblio d' eternità succeda. Sono frasi, reminiscenze poetiche, coscienza letteraria, non morale. Abbiano pace le sue ossa, riposo e luce 1* anima sua, e la fama di lui si rinfreschi nel nostro popolo che tanto egli ha amato. Crudeli spesso i giudizi del mondo, e più crudeli in coloro che presumono di poter agli altri far dimenticare le colpe proprie con la ostentata severità. Ma vi ha un giudizio supremo che vede le attenuanti, tieu conto delle segrete battaglie del cuore, spiega le contraddizioni apparenti, e alla fragile creta volentieri perdona. P. I. ILsT o t e. Per quante ricerche abbiamo fatto, qui, a Capodistria, intorno a mons. Strafico, non ci fu modo d.i rinvenire altro che brevi e aride notiziette biografiche ed una lettera autografa dello stesso. Rechiamo qui questo pochissimo, — valga ciò che può valere. Giandomenico Stratico da Zara (sec. XVIII) fu dell' Ordine de' Predicatori, Dottore in Sacra teologia, teologo della Sapienza di Firenze e dell' Università di Siena, Conte di San Lori uzo iu Daila d'Istria, vescovo di Cittanova in Istria poi di Lesina e Brazza iu Dalmazia. Tenne nella nostra proviucia l'ultima sinodo diocesana, della quale si ha memoria stampata, col seguente titolo: Synodus dioecesana Aemoniensishabitain Ecclesia cathedrali, Deo in honorem S.S. Martyrum Massimi et Pelagii dedicata, diebus 27, 28, 29 Augusti anni 1780 sub illus. et rev. D. D. Fr. Ioanne Domiuico Stratico ex ord. praed. ecc. in 4. — Patavii, typis Seminarli, 1781. Nel Saggio di bibliografia istriana, classe Chiesa, è registrata la stampa di questa Sinodo al N. 1596, ed al N. 1792 leggesi il titolo dei seguenti lavori dello Stratico: Collezione di opuscoli sacri e pastorali di Giovanni Domenico Stratico, vescovo di Lesina. Un volume in 8, di pag. 204 — Venezia, 1790. E sotto lo stesso titolo trovasi la seguente nota dell'autore del citato Saggio: Vi è lettera (nella Collezione) del pubblico di Cittanova nella circostanza della translazione di lui (di mons. Stratico) a Lesina, colla risposta dello stesso, pag. 188-195: poi Ragionamento di congedo al clero, parrochi e corpo nobile di Parenzo, pag. 196-204. Ed ecco la lettera autografa dello Stratico, indirizzata a signore di Capodistria. lllmo. Sig. Pue. Colmo. Accludo a V. S. Illma. una mia ragionata lettera sul bel Libro dell' illustre Sig. Presid. Carli. Voleva prima rispondere e ringraziarla della gentilezza usata iu trasmetterlo, ma bramando di far l'uno e l'altro assieme, ho fin' ora temporeggiato per quelle infinite distrazioni che mi rubbano, mio malgrado, al mio Studiolo. Ella vorrà perdonarmi, e gradire in questa un atto del mio rispetto. Le trasmetto la sua bella Dissertazione su i confini dell' Antico Illirico, seuza lettera, perchè fu improvvisa la opportunità. Anche in quella m' ero preso la libertà di far noto, ma non posso più ritrovarle. La nostra città dà ora divertimenti jemali serj e faceti ; tali quali possono sperarsi dalla vecchia Emonia. Io non ardirei invitarla a sì poca cosa; ma sarebbemi oltre modo grato, che i bellissimi tempi la inchinassero a volerue profittare. Gradirei così un momento della dotta Sua compagnia ed avrei 1' onore di dirmele iu presenza, quale pieno di stima mi seguo di V. S. Illma. Città Nuova 20 Genn. 1789 Dvmo. Obblmo. Sre. F. Gio. D. Vesc. di Città N. Non abbiamo potuto trovare la ragionata lettera, di cui parla monsignore Strafico. Il bel libro dell'illustre sig. Presid. Carli sarà forse stato la prima parte delle Americane, composta nel 1777, e che girava I' Istria scritta di mano dell' autore. Ora 1' autografo intero è conservato con reverente affetto dagli eredi del march. G. P. Polesini in Parenzo. La stampa delle Americane cominciò nel 1780 inFireiize, e s'ebbe tale accoglimento che fu poi tradotta in francese ed in tedesco. L'edizione francese, in due voi. in 8, porta la data di Boston, tuttoché verisiinil-inente sia stata fatta a Parigi. Così il Bossi nM'Elogio storico di Gian Rinaldo Carli e Io Stancovich nella Biografia. Il titolo poi esatto della bella Dissertazione, di cui parla lo Stratico, sarà Esame critico dell' Illirico forojuliese. il quale tratta precisamente dei confini dek VAntico Illirio. Questa dissertazione, manoscritta nel 1779, fu pubblicata per le stampe nel 1789 iu Udine, come rilevasi dallo Stancovich stesso, dal Saggio di bibliografia istriana, classe Geografia e materiali corografici N. 138; e dagli Atti del Ginnasio Superiore di Capodistria, au. 1867-68. Aggiungiamo ancora, che il fratello di mons. Stratico, Conte Simone, (1783-1824), distinto matematico, idraulico, naturalista e medico fu iu corrispondenza scientifica — letteraria con parecchi nostri istriani, e amicissimo a Gian' Rinaldo Carli. — Queste le aride notiziette che abbiamo potuto pescare; nella speranza che altri conterranei, più pazieuti e fortunati di noi, sapranno aggiuugere nuovi particolari intorno al benemerito vescovo di Cittanova. Il quale, alieno da stolti pregiudizi, e conscio del vero indirizzo da darsi al suo gregge, seppe coli'esempio e colla molta dottrina rendersi proficuo alla sua diocesi, e lasciare fama in tutta 1' Istria di ottimo vescovo, degnissimo d'imitazione. Nel momento di porre in macchina ci arriva da Buje il seguente comunicato: Mancandomi il tempo per compilare una relazione tale che arrivi ad essere stampata nel prossimo numero del suo riputato giornale, trovo di notificarle intanto che il ritratto di Mons. Giaud. Stratico esiste in una chiesa di Buje; e che ho potuto avere una copia del libro intitolato Synodus Dioecesana Aemoniensis ecc. sopra i accenuato. Tanto per sua norma. G. B. B. Ad un altro numero dunque nuovi particolari intorno a questo distinto prelato. Red. STORIA PATRIA Il doge Obelerio e la città di Veglia (Continuazione e fine; vedi n. 3, 5 e 6 a. c.) Ritornando dunque al mio argomento, visto che Veglia dipendeva allora dai Bizantini, (o se si vuole dai Franchi), in ogni modo non dai Veneti, anche dando alle parole "in Veneciam, il significato di "Dominio veneto, nou puossi concludere che il fatto di Obelerio avvenne a Veglia. Ma c' è di più. Giovanni Partecipalo, dopo la diserzione dei Malamocchesi, abbandonò l'assedio di Vigilia, e si portò col resto dell' esercito a Malamocco, e dopo averlo incendiato, ritornò all' assedio di Vigilia. E giacche il nostro Cronista non accenna neppure alla lontana ad una spedizione navale — che sarebbe pur stata necessaria per recarsi da Veglia a Malamocco e viceversa, — devesi conchiudere che Vigilia era vicina a Malamocco, e quindi nel Veneto, come lo si pioverà. II. La nostra città di Veglia, seppure da Vigilia deriva, così però nei documenti non si scrisse mai, sì bene Vecla, Vegla. Ho detto "seppure„ perchè, la prima forma essendo più antica, Veglia può derivare anche dal latino popolare "vetulus" — vef lus = veclus che originò: vecchio ed il poetico veglio. Trovo di fatto nell' Arch. veneto "dosso veglo„ (1068) e "Pado veclo„ (1122). E si fu proprio quel Vigilia, supposto nome di Veglia, che originò 1' equivoco. Il primo a dirlo ci pare si fosse il Sabellico nel libro "Desitu Urb. —eh' 10 però non ho potuto procurarmi. Ma è evidente eh' egli fu indotto a questa credenza dall'analogia del nome, che scrivendo in latino, chiamò Vigilia la nostra città, la quale a' suoi tempi si chiamava italianamente Veglia. Non gli si può però perdonare la leggerezza colla quale asserì un fatto senza esaminare più che tanto se era esatto. Del resto si sa, che il Sabellico, scrittore tardo, non veneto, poco accurato, stipendiato della Republica, molte cose intruse nelle sue Cronache dei Veneti, le quali nelle Cronache veneziane non sono dette, per cui fu giustamente censurato da M. Foscarini nel libro "Della letterat. venez. (p. 232 e segg.) Io non potei avere il testo latino, ma la versione italiana del Sabellico, e qui trovo (Decal, 1. III.)^Obelerio passò in Cuiitta insula, qual adesso (sec. XV) se chiama Vegia.„ Nuova imperdonabile confusione del nome della città con quello dell'isola! Gli diede sulla voce già il Lucio: De regnis Dalm. Croat.„ . . . ecc. 1. II. 59 — ove anche emesse 1' opinione che Vigilia doveva essere esistita nel Veneto. Vigilia nell' Apulia diede Bisceglia ma questa non c' è neppur da pensare. III. Mi resta ora a provare che Vigilia era realmente una città nel territorio veneto, e per far ciò mi servirò del Filiasi " Veneti primi e seeondi„ Venezia, 1796. — 11 dotto Filiasi adunque, con argomenti convincenti ci parla della questione in più luoghi. Ed in primis: nel T. III. p. 211, prova che tra il V — XII sec. sul margine tra Chioggia e Fusina, vi esisteva una città dal nome Abondia, vicinissima a S. Ilario, in vista dei lidi di Malamocco, incendiata da Giov. Partecipazio, perchè dichiaratasi in favore del deposto doge Obelerio, circa nell'833. La crede fosse situata, ove oggi giace Bondante, che ha qualche somiglianza con Abondia, al piede del margine di S. Ilario, vedremo egli dice a p. 212, che Abondia portava anche il nome di Vigilia, varii luoghi delle maremme (veneziane) avendo avuti più nomi nei secoli passati. Si vedrà pure che fino dal IX secolo i documenti ricordano il luogo Curiclum presso S. Ilario, ed un altro detto Aurelia, da non confondere con Aureliacus (Oriago). Forse Curiclum e Curano furono un sol luogo poco distante da S. Ilario, e sullo stesso margine situato. — Apro una noteiella. Nè G. Diaconi', nè il Dandolo dicono che Vigilia venisse incendiata da G. Partecipazio, 1' anno poi è 1' 829. È però probabile che fosce distrutta in odio ad Obelerio, epperò rimase ignota agli scrittori dei secoli posteriori. — Di Curano trovo memoria del 1444 . . . "diversione del Brenta a Mira verso Curano, indi a Malamocco.„ (Arch. vendo T. Vili. P. II p. 305.) Sebbene non corrisponda esattamente alla località, per Curiclo cito dallo stesso Arch. ven. T. VI. P. I. p. 28. da Annali niss. dei sec. XV. "Hinc defluente Pado (presso Crespino) statini occurrit canalis Curichiorum„ .. e p. 34: "Presso Adria, comune di Bottrighe, frazione Curichi . . correva omonimo canale chiuso verso il 1480 — ... ostio nuuc ipso clauso ad Corichios dicto. Ripeto, sebbene la località è diversa, tuttavia abbiamo in ciò una prova che nel Veneto vi esisteva un Curico, ove si accettino le varianti "apud Curidum « Curiclum,,. — Ritorniamo al Filiasi — T. VI. P. II. p. 108 e. segg. Pare che non lungi da S. Ilario vi esistesse uua volta una città detta Vigilia e fors' anco Abondia, distrutta probabilmente prima della fine del IX secolo, e perciò essa rimase incognita agli storici dei tempi posteriori, oppure ne parlarono erroneamente. — E parlando del ritorno di Obelerio, dice che tanto il Sagomino (G. Diacono) quanto il Dandolo e le Cronache volgari hanno "Vigilia presso di Curiclo, — al più qualcuna ha Aurilia invece di Vigilia, e Aurialo per Curiolo (Curiclo ?) Così quella (veduta anche dal Lucio e dal Foscarini) citata a p. 109. ha: "Obelerio ... in la Venezia ritorna, e in la città Vigilia appuo Aurialo se serra, — E qui il Filiasi ripete le circostanze del fatto che noi già conosciamo, insistendo che Vigilia doveva essere nel Veneto. Ma ecco che a p. 111. Filiasi cita da Cronache manoscritte, in margine, fra altri luoghi del Veneto . . . Vigilia . . dunque ora siamo certi che vi esisteva. Ma dove? Probabilmente verso S. Ilario ... su quei bassi ed ora perduti terreni . . . esistiti di sotto al margine nel luogo detto Volpego . . . nelle di cui vicinanze v' è il luogo di Bondante che molto assomiglia ad Abondia, altro nome usato a designare la stessa città. P. 112. Curielo fu forse Torre di Curano. —Nel testamento del doge Partecipazio si nomina "curtem qui dicitnr Curcliani. — P. 113. Aurialo fu forse Oriago (Aureliacus), ma poteva anche essere Aurilia, Aurelia, Laurelia dei documeuti (819 - 1150); sennonché dallo Statuto di Padova del 1255 sembra che Aureliaco fosse un luogo diverso da Aurilia. Infine se Vigilia in qualche Cronaca apparisce col nome di Utilia, ciò può ascriversi a sbaglio di aroma? nuense. P. 114. Le acque che sommersero i lidi esterni di Malamocco e Pelestrina posero sotto la marea, anche comune, il suolo ove sorgeva la città di Vigilia, per cui più non esiste orma di essa. Nel T. VII. il Filiasi ritorna siili'argomento, ove parla del ritorno deli' esiliato Obelerio, e a p. 298 ci dice che Vigilia era a portata del Padovano posseduto dai Franchi, oltre il quale probabilmente passò Obelerio per chiudersi poi iu Vigilia, nou arrischiandosi egli di farlo per via di mare. E vi si chiuse perchè Vigilia stava di fronte a Malamocco (donde era Obelerio) sperando così di essere aiutato nella sua impresa dai concittadini e da'suoi partigiani. P.299. Dopo la presa di Vigilia e la decollazione di Obelerio, il suo teschio fu prima esposto sul lido di Malamocco, indi fu esposto, sospeso ad un palo, sul margiue esterno di Campalto, vicino a Mestre, su territorio franco, a scorno dei Franchi che favorirono 1' impresa di Obelerio. E a p. 300 il Filiasi soggiunge, che il popolo infuriato, pare trucidasse anche la moglie di Obelerio, eh' era una franca. Dal fin qui detto, spero, sarà per riuscire evidente a chiunque abbia fior di senno, che, vuoi per le circostanze in cui avvenne il fatto, vuoi perchè Vigilia esisteva nel Veneto, come esistevano ed esistono auche oggidì, i luoghi delle varianti "presso Curido - Curiclo -Aurialo„ vuoi infine perchè la nostra Veglia non si scrisse mai Vigilia ecc. — il fatto di Obelerio non avvenne qui, ma nel Veueto. E se avrò la fortuna di venir letto da chi iu avvenire potrà parlare di questo fatto, voglio sperare non ripeterà lo stesso errore, malgrado l'autorità incontrastata dell'illustre Gfrorer, cui allusi, del resto colla debita riverenza, col verso di Orazio posto in testa al presente articoletto. Pure, ritornando colla mente al detto di Niebhur, mi rimane il dubbio, che la mia debole voce non sia per essere "clamantis in deserto„ come del resto si fu quella dei Lucio, del Filiasi (op. citate) — quella del Cappelletti " Storia della re/;. venez.„ I, 175 e segg. — quella del Romania "Storia documentata di Venezia„ I. 170 e segg. — e quella di chi sa quanti! Sarò io più fortunato di loro? — Lo dubito! — Trieste, Decembre 1883. G. V. Nel chiudere la stampa di questo articolo pur troppo sminuzzato per 1' angustia dello spazio, facciamo voti che altri giovani studiosi, ad esempio dell' egregio sig. G. V., trattino singoli punti della storia istriana con pari erudizione, unita a così paziente indagine e scrupolosa esattezza. E 1' Istria, grazie al Cielo, non difetta di bellissimi ingegni. La Red. CASSETTA ANTICA Neil' Istria del Kandler, an. II, 22 maggio 1847, n. 33-34 leggesi in una lunga lettera diretta dallo stesso a mons. Giovanni de Fa vento-Apollonio la descrizione della cassetta d' avorio di opera romana, che si conserva nella coucattedrale di Capodistria, e precisamente nella tomba di San Nazario. Gli amanti di cose antiche gradiranno di veder ripetuto qui il brauo che le si riferisce. Fatta la descrizione della preziosa cassetta di Pirano, prosegue il Kandler così : Non ho però riguardo a confessarle, che non mi attendeva di vederne una seconda in Capodistria; non già perchè io mi pensassi che i dotti, i quali illustrarono con tanto sapere quelle antichità, abbiano voluto dispensare i posteri dal fare altre ricerche ed altri studi, ed avessero dessi potuto vedere e risapere tutto; ma perchè nei rifacimenti di quel duomo nel secolo precedente, si pensò piuttosto ridurre assai cose alla moderna, anziché conservare le antiche testimonianze della preesistente basilica, novazioni che si compirono poi in questo secolo. Non le faccia quindi sorpresa, mio reverendo signore, se cercando altri oggetti non meno antichi, che sperava vedere chiusi nell'arca di Santo Nazario, la vista inattesa della preziosa custodia, mi animasse a segno di non poter contenere le manifestazioni di sorpresa e di giubilo. Ecco la seconda, e non sarà, come spero, l'ultima ; ecco novella prova come siffatti utensili pagani venissero usati nel culto cristiano. La custodia di Giustinopoli è simile alla piranese, egualmente lunga undici oncie e mezza, alta quattro e mezza, larga sei ; lo stesso ornamento marginale a rosettoni ; se non che le facciate maggiori sono ripartite a specchi ; le rappresentazioni sono all' invece scene, come mi parve, di gladiatori. Le dico, come mi parve, perchè il tempo fu scarso, troppo assorto l'animo dalla sorpresa ; mi parve vedere monomachie, pugnatori in atto di trionfo. Ella che ne ha 1' agio, veda con più attenzione, e se non le è grave, me ne dia parte. Nè v' era opportunità di verificare cosa si contenga in quella custodia, e se sia vero il sospetto che vi stieno reliquie minute di corpi santi, non reliquie di S. Nazario, bensì d' altri, che difatti sono separate dal recipiente nel quale stanno gli avanzi del Santo Patrono. 2>T o tizi e Annunciamo l'immensa sciagura toccata all' Italia nella morte di Quintino Sella, a soli ciu-quantott' anni. Domenico Berti riassume così nelle concise ma eloquenti parole di un telegramma, diretto alla inconsolabile vedova, la perdita dell' uomo insigne : Non vi è cosa utile e grande, che siasi fatta nel Regno in questi ultimi anni, di cui non sia stato il Sella caldissimo fautore. La sua inesauribile operosità era del continuo volta alla patria, alla scienza, alla umanità. Dimenticava sè stesso in questi nobilissimi suoi amori. Nulla sfuggiva all'ingegno suo vasto, coltissimo, profondo. Apprezzava ogni manifestazione dell' attività morale; economica, industriale, militare della nazione. I suoi svariati scritti, i suoi discorsi prò- 1 nunciati nel Parlamento e ne' pubblici convegni faranno fede di tutta la grandezza dell' animo suo. Ei fu uno de' più caldi e de' più fervidi promotori dell' unità italiana in Roma. Non cessava per un istante dal pensare a nuovi modi di aggiungere alla gloria antica di questa città la nuova, che le deve venire dalle scienze e dalle rinovate condizioni della società moderna. Con queste calde e patriottiche espressioni, 1' illustre Berti, interpretò il vivissimo dolore degl' italiani per la morte di Quintino Sella; morte che assunse le proporzioni di una vera disgrazia nazionale ; ed anche fuori d' Italia fu sentita con generale cordoglio. Ci scrivono : Momiano, 18 marzo Gli è ancora dall'agosto dell'anno scorso, che io mi son chiuso nel silenzio, aspettando che altri giovani maestri istriani sviluppassero „sotto aspetti nuovi e popolari il fecondissimo argomento dell'istruzione primaria." E queste ultime parole furono da codesta On. Eed. poste in nota ad un mio articolo, che trattava sulle generali „una questione sempre importantissima," la questione dell' istruzione primaria. Oggi, con questi tepori che annunziano la primavera, perdo la pazienza e domando posto per continuare sull' argomento, che bisogna ora prendere, un po' alla volta, da singoli lati. E mi prefiggo discorrere per primo della imaginazione e della sua razionale coltura. E senz' altro dò la prima parola al Reudù. „E l'imaginazione che crea gli artisti ed i poeti, gli scrittori di genio e gli spiriti in delirio che corrompono la letteratura e le arti. È l'imaginazione che forma gli entusiasti ed i fanatici, gli eroi ed i pazzi, i veri religiosi ed i superstiziosi ; è 1' imaginazione che spesse fiate dà ardore alla gioventù pel bene, che la precipita in deplorabili conseguenze. Con qual cura deve quindi il maestro sorvegliarla, frenarla e dirigerla nei fanciulli, la cui condotta gli viene affidata! Quale utilità potrà egli nel tempo stesso ritrarre da questa preziosa facoltà, che aiuta a trionfare nelle difficili contingenze, che sbandisce la noia, lo scoraggiamento, e che a sollievo dei mali temporali si presenta colle attrattive della speranza." Infatti è assunto precipuo della scuola primaria il bene indirizzare la fantasia — che alcuni chiamano la pazza di casa —; perchè se essa dà profondità al pensiero, calore ai sentimenti, forza e vita alla volontà, quando è bene diretta ; viceversa essa potrebbe impedire il pensiero, originare i pregiudizi e le passioni selvaggie. Ancor prima che il fanciullo venga affidato alla scuola, la sua fantasia è in piena attività. Dice a proposito Mad. Necker de Saussure : „Il piacere che procura a'fanciulli la narrazione delle più semplici storie tiene alla vivacità deile rappresentazioni nel loro spirito. Le pitture, che nel loro interno si suscitano, brillano forse di più e son più colorite degli oggetti reali ; un racconto fa lor vedere la lanterna magica. Non è mestieri fare scialacquo d' invenzioni per divertirli. Pigliate un fanciullo per protagonista, aggiuugetevi un gatto, un cavallo, 'qualche accessorio insomma che componga 1' imagine e mettete del calore nella recita : il vostro uditore vi porgerà aperti avidamente gli orecchi : 1' interesse che voi gli eccitate ha della passione." E il Rosmiui prosegue: „Non passano però molti anni, che le novelle vostre non gli piacciono più : voi dovete acconciarle con più industria, acciocché gli riescano interessanti : vien ben presto il tempo che egli vuol delle vere storie." Iu poche parole, dapprincipio il fanciullo non conosce le leggi della verisimiglianza, ma poi a poco a poco viene a conoscerle. Ecco del resto compendiata brevemente la storia della umanità: i tempi favolosi trovansi in tutte le storie di popoli: agli storici son preceduti i poeti. E qui siamo giunti al tempo delle „vere storie," ossia quando è mestieii di far che il fanciullo intuisca le cose nella loro realtà ; epoca in cui incomincia a frequentare la scuolf. E il maestro segue fedelmente la sentenza di Giovenale: „Maxima debetur puero reverentia; epperciò si studia di educare la imaginazione armonicamente alle facoltà e forze spirituali dell'allievo. E affinchè tutte queste cure si conoscano auche da chi non ha il tempo di dedicarsi a tali discipline, io verrò qui appresso enumerandole. Chiedo venia per la forma alquruto cattedratica. A non irritare la fantasia de'fanciulli giova mantenere in essi la serenità dell' animo, allontanando tut-tociò che potesse cagionare turbamento nel corso delle sue idee e de' suoi riposi ; come, per esempio, la narrazione di cose strane ed inverosimili ; storie di fantasmi, di spiriti, apparizione dei morii. Acciò la fantasia non diventi ardita, fa mestieri promovere nella giovinezza la modestia e la verecondii, il rispetto all' autorità de' maggiori e la fede alla loro espetienza. E perchè non cresca sregolata, si dee allontanare quanto potrebbe impurificare L imaginazione; ed invece dirigerla a trattenersi sul ve.o, sul bello e sul buono. La giovane fantasia non va accesa colla lettura de' romanzi, coli' incauta frequentazione de' trattenimenti teatrali ; e nou si dee permettere che i fanciulli compariscano in pubblico come declamatori ed esecutori di musica, uè che prendano parte a balli fanciulleschi : ne va di mezzo la formazione del loro carattere. Sappiamo che le sensazioni sensitive influiscono sulla fantasia. Appunto queste sensazioni facevano fare quel-1' orribile sogno a don Rodrigo, la notte prima di essere trasportato al lazzeretto. Perciò i fanciulli vanno allevati secondo i dettami della igiene. Nel trattato Degli studi 1' abate Fleury vorrebbe che la chiesa ove si porta il fanciullo fosse la più bella, la più elegante, la più magnifica ; che lo s' istruisse più volentieri in un bel giardino, ed alla vista d' una deliziosa campagna, quando il t.empe fosse più sereno ed egli più gaio. Che i libri sieno ben legati e stampati, il maestro sia gentile della persona, dotato di bella voce, di fisionomia affettuosa, garbato di modi; vorrebbe almeno che nulla avesse ai ributtante. Se tutto questo è a' giorni nostri ancora impossibile, che la uipggior parte de' locali scolastici lasciano molto a desiderare non so'o della parte estetica, ma — quel che più importa — della più elementare igiene; il maestro procura almeno di abituare i fanciulli alla contemplazione e osservazione delle bellezze della natura e dell' arte in modo, che le comprendano e ammirino. Egli approfitta di un improvviso fenomeno della natura per tenere un piccolo discorso, fa con essi delle passeggiate, e nella scuola s'intrattiene a ragionare coi fanciulli delle cose osservate. Così il materiale che si accumola nella memoria de' fanciulli, il quale servirà poi alla imaginazione, è tutto formato da vere ed esatte rappresentazioni. Poiché la scienza è fonte di bellezze artistiche, e, come dice il Balbo nella Vita di Dante: „La scienza non è nè sarà mai se nou il culmine onde 1' arte spicca il volo poi; e quanto quello sarà più alto, tanto questo sarà più sublime." La natura parla alla mente e al cuore, e vuoisi perciò discernere i rapporti che sono tra le cose e avvezzare così i fanciulli „a salire e discendere per quella scala ideale che cougiunge la terra col cielo." Sappia il maestro, insegna il Tommaseo, far osservare le analogie fra la natura corporea e la morale, che rendono P una simbolo eloquente dell'altra. Queste analogie deve studiare primieramente egli medesimo e raccogliere tutti i dì uua messe. E quando parla al bambino della vaghezza de' fiori parlargli insieme della fiorente bellezza della virtù, quando gli rammenta le gioie della luce paragonarle all' eterna luce del vero che illumina le nostre menti . . . ." Perciò 1' Overberg per ispiegare ai giovinetti della divina bontà recava nella scuola un fiore, una spiga o una mela. Giova anche richiamare spesso le rappresentazioni acquistate, prima colle sole note essenziali, poi colle accessorie raggruppate e in un tutto ordinate. Le narrazioni fatinosi colla più possibile inteutività e calore, dopo averne fatto buona scelta. Nelle descrizioni si dipingono le cose coi colori più vivi, evitando però di diventar falsi o esagerati. Fiualmeute l'educazione della fantasia si effettua anche col potente mezzo della virtù. Dice a questo punto il Rayueri : „ La sacra fiamma dell'entusiasmo essenziale condizione dell' invenz'one poetica e di tutti i nobili concepimenti dell' ingegno, non riceve altronde vitale e perenne alimento che dalla virtù. Il vizio è sempre egoistico, cioè, freddo ;o se arde, consuma; non illumina, ma accieca; non conforta, ma strugge; non vivifica, ma uccide. " Dal fiu qui detto si vede, che la coltu,a della imaginazione avviene quasi sempre indirettamente, seguendo il naturale suo sviluppo, che coi fanciulli di debole fantasia occorre una ponderata influenza, méntre con quelli d'imaginazione focosa, irritabile, ardita bisogna stare attenti agli argini, come coi fiumi che minacciano straripare. Bacone dà questa sentenza: Alla fantasia si dee aggiungere piombo, non penne." Vi sono però anche dei mezzi speciali alla sua coltura: la composizione, il disegno e la calligrafia, la poesit- e la musica ; ma sarebbe troppo lungo il dirne parti tameute. Un' altra volta, se codesta onorevole Redazione mi concederà spazio, prenderò a trattare altro argomento, ove si farà menzione delle medesime. L G. PUBBLICAZIONI La Biografia degli uomini distinti dell' Istria di Pietro Stancovich. Il tipografo Carlo Priora della nostra città ha stabilito di fare una seconda edi- zione di quest' opera tanto ricercata in provincia e fuori. Verrà stampata in un volume in 8.° grande, di circa 600 pagine, con caratteri appositamente acquistati; e costerà f. 3 Fesemplare, più le spese postali. Si pregia inoltre di avvertire, che darà mano alla predetta edizione subito che raggiungerà il numero di almeno quattrocento firme. Volge quindi preghiera a quei P. T. Signori che hanno | ricevuto la circolare d'invito coli' unita | scheda di associazione, a volergliela mandare il più presto possibile. = ss > MOLINA MA DON IZZA - POLESINI soccombeva a settant' anni, dopo lunghissima malattia, contro cui non valsero le cure affettuose de' congiunti e quelle della scienza. Ella era amorosa, provida, benefica; il suo corpo gentile racchiudeva un' anima forte così da lottare impavida col morbo insidioso, che da più anni Le minava 1' esistenza. Visse esemplare e morì compianta ; lasciando eredità di affetti e di memorie. Capodistria, 24 marzo 1884. D. V. RINGRAZIAMENTO Il sottoscritto a nome anche dei figli, commosso ringrazia con vivo sentimento di riconoscenza i congiunti, gli amici e conoscenti, le autorità cittadine e associazioni per le onoranze e tutte le dimostrazioni di stima e di affetto, tributate alla sua cara estinta Nicotina Madonizza - Polesini assistendo al funebre accompagnamento. Capodistria, 26 marzo 1884. Nicolò de Madonizza Pietro àludoui^za — Ante<^rnIvTsieTit!er*^ CAi'ODlSTBlA, Tipografia di Carlo Priora.