Pregledni znanstveni članek (1.02) UDK 262.5 Vat. II. : 246 BV 65 (2005) 1, Angelo Lameri Sacrosanctum Concilium: una riflessione teologica sulla liturgia e considerazioni a quarantanni dalla promulgazione Introduzione In questi giorni in diverse parti del mondo, presso centri accademici, diocesi, istituti liturgici e pastorali, si stanno susseguendo giornate di studio e di riflessione nel 40° anniversario della prima Costituzione conciliare, la Sacrosanctum Concilium (= SC),1 approvata a larghissima maggioranza dai padri conciliari (2147 placet - 4 non placet) e promulgata da Papa Paolo VI il 4 dicembre 1963. Sembrano ancora rimbalzare da un confine all'altro della terra le parole di viva soddisfazione e di sincero entusiasmo con le quali il Pontefice concludeva il secondo periodo conciliare, annunciando la promulgazione della SC: »Noi vi ravvisiamo l'ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto; la preghiera prima nostra obbligazione; la liturgia prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano, con noi credente e orante, e primo invito al mondo, perché sciolga in preghiera beata e verace la muta sua lingua e senta l'ineffabile potenza rigeneratrice del cantare con noi le lodi divine e le speranze umane, per Cristo Signore e nello Spirito Santo«.2 L'entusiasmo del Papa si è presto diffuso nella Chiesa, soprattutto per alcune affermazioni della SC, che trovarono poi attuazione nella riforma liturgica che ne è seguita: introduzione delle lingue moderne, significativo ruolo affidato alle Conferenze Episcopali, restaurazione della concelebrazione e della Comunione sotto le due specie, semplificazione dei riti e spazio offerto all'adattamento degli stessi all'indole e alle tradizioni dei vari popoli. Più profonde poi le ripercussioni che il nostro documento ha operato nei confronti degli altri testi conciliari e post conciliari, in modo particolare sul versante ecclesiologico e sacramentale e in quello più direttamente pastorale. 1 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, in: Enchiridion Vaticanum (= EV) 1, EDB, Bologna 1979 , pp. 16-95. Paolo VI, Discorso a chiusura del secondo periodo del Concilio, in: EV 1, pp. [127]-[129]. Oggi, a distanza di quarant'anni, la SC fa ancora parlare di sé. Ad essa si appellano coloro che, apprezzando la riforma liturgica che ne è scaturita, desiderano che le profonde intuizioni del Concilio continuino a imprimere slancio innovatore nella Chiesa. Ma, paradossalmente, la SC è invocata anche da coloro che si oppongono alla riforma, ritenendo che essa sia andata al di là delle decisioni conciliari.3 Commemorando il quarantesimo di promulgazione appare quindi importante una serena rilettura della Costituzione e della riforma liturgica, cogliendone luci e ombre, in continuità con quanto il Magistero e autorevoli autori hanno avviato quindici anni fa, a venticinque anni dal 4 dicembre 1963.4 In modo particolare riteniamo importante richiamare le affermazioni di Giovanni Paolo II, che nella VQA si preoccupa di dimostrare come la riforma liturgica conciliare non è nata improvvisamente e in modo arbitrario, ma si è inserita armonicamente, come compimento di un cammino di Chiesa che ha preso origine dalle istanze dei Padri del Concilio di Trento ed è passato attraverso gli interventi riformatori di san Pio X, di Pio XII, del beato Giovanni XXIII. Afferma il Papa: «Tale riforma d'insieme della liturgia rispondeva ad una speranza generale di tutta la Chiesa. Infatti, lo spirito liturgico si era diffuso sempre più in quasi tutti gli ambienti unitamente al desiderio di una «partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa», e all'aspirazione, altresì, di ascoltare la parola di Dio in misura più abbondante ... Questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla tradizione e apertura al legittimo progresso; perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale «secondo i santi padri» (n. 4). 1. Contenuti/originalità proprie di SC Particolarmente significativi sono i contenuti propri della SC in ordine a una comprensione teologica della liturgia. Il tempo che una relazione normalmente offre non consente una trattazione completa ed esaustiva, è quindi necessario operare alcune scelte che delimitino con sufficiente chiarezza l'ambito delle nostre considerazioni. Proponiamo tre aree di indagine, che riteniamo particolarmente rilevanti anche in riferimento agli sviluppi prodotti nei successivi documenti conciliari e nella riflessione teologica. 3 In genere i paragrafi più citati sono il 36 § 1: »L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini«; 114: »Si conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della Musica sacra«; 116: »La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale«. 1.1 Storia della salvezza, Gesù Cristo e liturgia Possiamo constatare con immediata evidenza che l'approccio conciliare alla liturgia si discosta di molto dal tradizionale metodo dei manuali preconciliari che, dalla generale riflessione sulla natura del culto e sulle sue forme di attuazione (interno - esterno; pubblico - privato), giungevano a definire la liturgia come il culto pubblico e ufficiale che la Chiesa rende a Dio.5 SC 5-7 pone come punto di partenza della riflessione teologica sulla liturgia la volontà salvifica universale di Dio, che trova attuazione nella storia dell'uomo e compimento negli eventi pasquali del Cristo morto e risorto, dai quali è scaturito il mirabile sacramento della Chiesa. In questo contesto viene esplicitato il rapporto di continuità-discontinuità tra l'opera salvifica di Cristo e la sua attuazione nell'oggi della Chiesa: «Ideoque, sicut Christus missus est a Patre, ita et ipse Apostolos, repletos Spiritu Sancto, misit, non solum ut, praedicantes Evangelium omni creaturae, annuntiarent Filium Dei morte sua et resurrectione nos a potestate satanae et a morte liberasse et in regnum Patris transtulisse, sed etiam ut, quod annuntiabunt, opus salutis per Sacrificium et Sacramenta, circa quae tota vita liturgica vertit, exercerent» (SC 6). La liturgia della Chiesa appare quindi come celebrazione della salvezza: il piano concepito ab aeterno da Dio si attua «storicamente» nell'AT e nel NT e si ri-attualizza «sacramentalmente» nelle azioni liturgiche della Chiesa fino al definitivo compimento escatologico nel secondo avvento di Cristo. Questa attuazione dell'opus salutis è resa possibile dal fatto che «Christus Ecclesiae suae semper adest, prae-sertim in actionibus liturgicis» (SC 7). Notiamo immediatamente come il ricentramento cristologico della liturgia avviene a partire dalla categoria teologica di «storia della salvezza».6 4 Cfr in modo particolare: Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Vicesimus quintus annus (= VQA), in EV 11, pp. 976-1013; A. G. Martimort, La Constitution Sacrosanctum Concilium 25 ans après, «Notitiae» 25(1989), pp. 51-67; Cfr. anche una prima rassegna bibliografica apparsa nel ventesimo anniversario: M. Sodi, La »Sacrosanctum Concilium« e i suoi commenti dal 1964 ad oggi, «Notitiae» 19 (1983), pp. 571-607. Cfr. alcune definizioni: »La liturgie, dans son acception actuelle qui n'est pas fort ancienne, peut se définir le culte pubblic et officiel que l'Eglise chrétienne rend à Dieu« F. Cabrol, Liturgie, in : Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. IX/I, Paris 1926, p. 787; »La liturgie est le culte extérieur que l'Eglise rend à Dieu« M. Festugiere, Qu'est-ce que la Liturgie?, Paris 1914, p. 28; »Quia omnes functiones sacri ministerii nomine cultus divini comprehendi possunt, Liturgia definiri potest «cultus publicus ab Ecclesia praes-titus» ... Brevissime definitio est : cultus publicus familiae Dei« M. Gatterer, Annus litur-gicus cum introductione in disciplinam liturgicam, Oeniponte 1935, pp. 4-5. Cfr. G. Pasquale, La teologia della storia della salvezza nel secolo XX, EDB, Bologna 2002. Divenuta una delle questioni primarie della teologia biblica alla fine degli anni '50, questo concetto si affermò nell'ambito del dibattito esegetico grazie all'opera di G. von Rad, che ha richiamato l'attenzione sul carattere dell'AT come annuncio della fede di Israele in forma di storia raccontata: «Israele ha parlato di Dio solo all'ombra di determinati fatti storici e una teologia dell'AT deve comunque implicare quei fatti attestati da Israele e anzi da essi procedere».7 In continuità con queste riflessioni in ambito veterotestamentario, anche nell'esegesi del NT si cominciarono a diffondere, negli anni '60, voci a sostegno dell'importanza strutturale di questa visione della storia per la formazione della tradizione e della teologia neotestamentarie. Tra queste, veramente significativa, quella di O. Cullmann, secondo il quale la teologia della storia della salvezza costituisce addirittura il centro della fede neotestamentaria.8 Prima che, alla fine degli anni '60, tale prospettiva biblica incominciasse ad essere messa in discussione, essa, riformulata e riproposta scientificamente alla teologia dogmatica dagli studi biblici, divenne un concetto-chiave che ha contribuito a sviluppare la teologia del Concilio Vaticano II. Proprio la SC, avendo assunto questa prospettiva come chiave ermeneutica della celebrazione della Chiesa, ha avuto il merito di renderla poi familiare anche agli altri documenti conciliari. Afferma L. Girardi: «Dal Vaticano II in poi, la comprensione teologico-biblica della liturgia ha segnato ogni comprensione e rilettura dell'azione liturgica: la liturgia attualizza e comunica la rivelazione divina culminata in Cristo e tale rivelazione è compresa come «storia della salvezza. Il modo di intendere la liturgia presuppone questo modo di intendere la divina rivelazione. Ci sono delle forme di corrispondenza tra rivelazione e liturgia che fanno da sfondo alla svolta conciliare. Con il nuovo concetto di rivelazione come storia della salvezza cambia anche il concetto di liturgia come partecipazione al mistero-evento e non come risposta al mistero-dottrina e fruizione della redenzione. La liturgia diventa celebrazione del mistero».9 Secondo questa prospettiva il piano salvifico di Dio prevede un'attuazione della salvezza che è ad un tempo storia e mistero. E storia in quanto la salvezza diviene realtà nell'evento Cristo; è mistero in quanto la medesima e unica realtà della salvezza continua a essere presente e accessibile nel sacramento di Cristo che è la Chiesa e, in modo specifico, nei segni sacramentali della liturgia. Le 7 G. von Rad, Teologia dell'Antico Testamento. Vol I Teologia delle tradizioni storiche di Israele, Paideia, Brescia 1982 , p. 17. Cfr. O. Cullmann, Il mistero della redenzione nella storia, Il Mulino, Bolonga 1966. L. Girardi, Conferma le parola della nostra fede. Il linguaggio della celebrazione, Edizioni liturgiche, Roma 1998, p. 244. due forme - storia e mistero - non sono separabili, essendo l'evento di salvezza storico ordinato a perpetuarsi nell'atto sacramentale-liturgico e quest'ultimo a consentire, nel tempo e nello spazio, l'accesso al dono della salvezza che da quello è scaturito.10 Non possiamo infine non osservare la stretta relazione tra questa impostazione e il profilo innovatore della dottrina sulla rivelazione della Costituzione dogmatica Dei Verbum.11 Non sfugge infatti l'affinità concettuale tra il «Christus ... Apostolos ... misit, non solum ut ... annuntiarent ... sed etiam ut, quod annuntiabant, opus salutis ... exer-cerent» di SC 6 e quanto dichiarato in DV 2 a proposito della rivelazione che «fit gestis verbisque intrinsece inter se connexis, ita ut opera, in historia salutis a Deo patrata, doctrinam et res verbis significatas manifestent ac corroborent, verba autem opera proclament et mysterium in eis contentum elucident».12 La rivelazione è qui intesa non soltanto come insegnamento sugli eventi salvifici, né colui che la riceve come il semplice destinatario di un'informazione divina; la rivelazione viene vista, piuttosto, come una reale autocomunicazione di Dio, attraverso cui l'uomo, nell'intera sua esistenza, è chiamato a coinvolgersi in una comunione di vita con lui, e che, attraverso fatti e parole, si realizza concretamente nell'ambito della storia.13 Si viene qui a costituire una circolarità tra storia della salvezza, rivelazione, azione liturgica: infatti, se da un lato la liturgia si colloca all'interno della storia della salvezza come momento attuativo in mysterio del coinvolgimento dell'uomo nella comunione con Dio, dall'altro si può dedurre che la storia della salvezza è concepita non come una storia conclusa nel passato, ma come una storia che continua anche attraverso l'azione liturgica. 1.2 Liturgia »epifania della Chiesa« La SC può essere a ragione considerata un chiaro segno anche dell'ecclesiologia conciliare. Da un lato essa è maturata con il fiorire della visione di Chiesa fatta propria dal Concilio, dall'altro la sua pubblicazione ha coinciso con il dibattito appassionato sulla domanda 10 Cfr. A. Pistoia, Storia della salvezza, in: D. Sartore - A. M. Triacca (a cura), Nuovo Dizionario di Liturgia, Edizioni Paoline, Roma 1992 , pp. 1379-1393. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, in EV 1, pp. 488-517. 12 Cfr. anche SC 35: »...in Liturgia ritum et verbum intime coniungi«. Cfr. J. Schmitz, Il cristianesimo come religione-di-rivelazione nella confessione della Chiesa, in: AA. VV., Corso di teologia fondamentale 2. Trattato sulla rivelazione, Queriniana, Brescia 1990, pp. 11-27, qui p. 25. Cfr. anche P. Sequeri, L'idea della fede. Trattato di teologia fondamentale, Glossa, Milano 2002. fondamentale che ha interpellato l'assemblea conciliare: «Chiesa, cosa dici di te stessa?» Le affermazioni dottrinali e le indicazioni della SC hanno costituito le primizie della dottrina emersa poi nella Lumen gentium14 e nei successivi decreti ad essa ispirati. Fin dai suoi primi articoli la SC mostra la consapevolezza dell'impreteribilità del rapporto tra Chiesa e liturgia. Al n. 2, infatti, leggiamo che la liturgia «summe eo confert ut fideles vivendo exprimant et aliis manifestent mysterium Christi et genuinam verae Ecclesiae naturam ... Unde, cum Liturgia eos qui intus sunt cotidie aedificent in templum sanctum in Domino ... et sic Ecclesiam iis qui sunt foris ostendit ut signum leva-tum in nationes, sub quo filii Dei dispersi congregentur in unum quo-usque unum ovile fiat et unus pastor». Così pure il n. 26 dall'affermazione che le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, fa derivare la conseguenza: «Quare ad universum Corpus Ecclesiae pertinent illudque manifestent et affici-unt». Molte sarebbero le considerazioni da sviluppare in seguito a questi due testi ricchi di dottrina liturgica ed ecclesiologica.15 Dal Concilio ad oggi molte riflessioni sono state proposte e il dialogo tra ecclesiologia e liturgia si è notevolmente sviluppato. Tra i liturgisti citiamo in modo particolare Salvatore Marsili, che nella sua proposta di teologia liturgica, dedica pagine molto interessanti al rapporto chiesa-liturgia. Egli afferma che la liturgia, in quanto esercizio del sacerdozio di Cristo attuato nella Chiesa, è azione congiunta di Cristo e della Chiesa. La liturgia è dunque culto della Chiesa non perché eseguita a suo nome, ma perché svolta in persona ecclesiae, cioè da chi, o come comunità o come individuo, impersona la Chiesa. Appare quindi con sufficiente evidenza che il vero soggetto della liturgia è propriamente solo la Chiesa : non esiste una liturgia «in nome della Chiesa», ma solo una «liturgia della Chiesa». Lo stesso Marisili invita però a compiere un passo successivo. Egli non solo evidenzia la dimensione intrinsecamente ecclesiale della liturgia, ma anche la dimensione intrinsecamente cultuale della Chiesa. Proprio partendo dalle affermazioni di SC 2 e 26, egli osserva come «sia giunto il momento di fermarci sull'aspetto liturgico della Chiesa. Mentre infatti la liturgia potrebbe essere ecclesiale anche solo per destinazione e per ordinamento - come del resto s'è visto che è avvenuto -, potremo così invece scoprire che la Chiesa è liturgica per intima costituzione. E quello appunto che ci propongono SC 2 e 26, pre- 14 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, in: EV 1, p5p. 120-263. Cfr. A. Lameri, Liturgia »Epifania della Chiesa«, «Liturgia», 34 (2000), pp. 398-402. sentandoci la liturgia come «rivelatrice della vera natura della Chiesa».16 Nella Costituzione conciliare e nella riflessione che ne è seguita si avverte la necessità di una rinnovata concezione di Chiesa da parte di tutti coloro che ne sono membri. In modo particolare la considerazione della concreta assemblea celebrante, che si riunisce qui ed ora, come luogo proprio del darsi dell'evento liturgico-sacramentale nella storia, ha favorito il concretizzarsi della nozione di Chiesa universale in quella di Chiesa locale, fatta di persone in reciproco contatto in un determinato tempo e luogo. Afferma a questo proposito D. Mosso: «La nozione giuridica di chiesa-società, organizzata attraverso le sue strutture e i suoi gradi gerarchici, deve passare in second'ordine rispetto al concetto di chiesa-comunione di credenti in Cristo. Solo così si può veramente fondare il principio della «piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano (...) ha diritto e dovere in forza del battesimo» (SC 14j.17 Proprio l'attenzione all'assemblea convocata per la celebrazione ha portato da un lato a cogliere il suo essere vero soggetto della celebrazione stessa e dall'altro a leggerne simbolicamente il significato: non una folla, un assembramento di persone che assistono individualisticamente ad un rito, ma una realtà viva, sacramentale, icona della Chiesa orante, corpo mistico di Cristo, organismo articolato e complesso, con molte funzioni e con molti servizi.18 Proprio un'assemblea articolata, composta, gioiosa, ricca di ministerialità riproduce esteriormente il mistero di cui è l'espressione: il mistero della Chiesa di Cristo gerarchicamente ordinata sotto il suo unico Capo e Signore. In questa direzione dobbiamo indirizzare il nostro impegno per l'attuazione della riforma conciliare: per dare, attraverso la concreta assemblea, ogni concreta assemblea celebrante, un'immagine di Chiesa, raccolta attorno al suo Signore, per ascoltare la sua parola e rivivere il mistero della Pasqua, per rinfrancare, nella gioia e nella condivisione dell'unica fede e dell'unico Nutrimento celeste, il proprio cammino nella città degli uomini, allusione e prolessi del Regno di Dio, che si manifesterà alla fine dei tempi in quella città, la nuova Gerusalemme, pronta come sposa adorna per il suo sposo (Ap. 21,2). S. Marsili, La Liturgia, momento storico della salvezza, in: Anamnesis 1, Marietti editori, Casale Monferrato 1974, p. 111. 17 D. Mosso, Liturgia, in: Dizionario teologico interdisciplinare, Marietti editori, Casale Monferrato, 1977, p. 82. Cfr. queste considerazioni in: Consiglio dell'APL, Celebrare in spirito e verità. Sussidio teologico-pastorale per la formazione liturgica, CLV - Edizioni Liturgiche, Roma 1992, pp. 91-96. Sempre la Costituzione liturgica conciliare ci sollecita a cogliere il profondo rapporto di comunione tra i santi, il rapporto tra la liturgia terrena e quella celeste : «In terrena liturgia caelestem illam praegustan-do participamus, quae in sancta civitate Ierusalem, ad quam peregrini tendimus, celebratur, ubi Christus est in dextera Dei sedens, sanctorum minister et tabernaculi veri ...» (SC 8). E Cristo che, assumendo la nostra natura umana, ha introdotto in questa terra quell'inno che viene eternamente cantato nelle sedi celesti ed ha associato a sé tutta la comunità degli uomini nell'elevare al Padre il canto di lode (SC 83). Questa dimensione escatologica, questo carattere dell'unione apocalittica tra cielo e terra, è particolarmente presente nella tradizione orientale, dove spesso i testi ricordano che la liturgia è partecipazione alla lode angelica, è apparizione iconica del Regno di Dio.19 La tradizione liturgica orientale dal carattere iconico della liturgia fa derivare una concezione di Chiesa come comunità già immersa nei «tempi ultimi». Scrive ad esempio J. Corbon: «I tempi della Promessa hanno portato il loro frutto nella Risurrezione di Gesù (At 13,32). La Pienezza della divinità abita ormai tra gli uomini nel Corpo di Cristo; per lui, la nostra umanità è entrata nella Comunione eterna con il Padre. Il nostro tempo è adesso «pieno di Grazia e di Verità» (Gv 1,14). Questa pienezza che è celebrata nella Liturgia celeste è nostra «di già» : sì, in Cristo, noi siamo già nell'Oggi di Dio (Eb 3,13 e 4,7). Il sabato ciclico era il segno del tempo segnato dalla morte, ma con la Risurrezione di Gesù noi entriamo nel Giorno che non conosce sera. E questo Giorno, questa pienezza, che lo Spirito di Cristo fa venire nel nostro vecchio tempo scendendo sui discepoli nel giorno in cui si compì la festa di Pasqua. L'Avvento della Chiesa fa dunque incominciare gli «ultimi tempi». I due avventi coincidono: la Chiesa è essenzialmente «escatologica» vale a dire «negli ultimi tempi»; essa è il sorgere della Pienezza nel profondo del nostro tempo e con ciò, l'inizio della sua Consumazione attraverso la sua attesa».20 1.3 Sacra Scrittura e celebrazione «Maximum est sacrae Scripturae momentum in Liturgia celebranda» (SC 24). Questa affermazione di principio della Costituzione liturgica ha trovato il suo sviluppo sia all'interno dello stesso documento sia, soprattutto, nell'esecuzione della riforma. L'importanza massima della sacra Scrittura ha trovato applicazione in modo particolare nel nuovo Lezio-nario che, per la prima volta nella storia della liturgia, propone 19 Cfr. D. Gelsi, Orientali, liturgie, in: D. Sartore - A. M. Triacca (a cura), Nuovo Dizionario di Liturgia, Edizioni Paoline, Roma 1982, pp. 983-1007. J. Corbon, Liturgia alla sorgente, Edizioni Paoline, Roma 1982, pp. 67-68. un'abbondante mensa della parola di Dio, così che sono stati aperti più largamente ai fedeli i tesori della Bibbia (cfr. SC 51). Questa «importanza massima» della sacra Scrittura non ha però trovato applicazione solo in una più abbondante presenza di pericopi bibliche, ma anche nell'elaborazione di una teologia della proclamazione liturgica della parola di Dio. A questo proposito non possiamo non citare i Praenotanda della seconda edizione tipica dell'Ordo lectionum Missae (= POLM),21 pubblicati nel 1981, che offrono un'organica trattazione dei principi teologici per la celebrazione liturgica della parola di Dio.22 Un'attenta lettura di tale testo ci suggerisce che nell'azione liturgica - specie nell'eucaristia - la parola di Dio non è semplicemente «letta», ma «celebrata»: il rituale che accompagna la sua proclamazione e scandisce i momenti del suo essere proposta all'assemblea la rende un'azione, un «evento». Un evento come la rivelazione (cfr. DV 2). La liturgia della Parola è, quindi, un vero e proprio atto di culto, non preparazione ad esso. Già la nozione di culto nella tradizione biblica vetero e neotestamentaria ci porta a riconoscere un ruolo particolarmente significativo alla parola di Dio, proclamata e ascoltata, in ordine al culto che Dio si aspetta dal suo popolo. L'adesione all'Alleanza, i richiami dei profeti, la letteratura sapienziale sono fatti propri e portati a compimento da Gesù che annuncia la fine del culto sacerdotale-tem-plare, così come era vissuto nella religione israelitica, per proclamare il suo compimento nel culto in »spirito e verità» (Cfr. Gv 4). Gesù infatti è il Verbo, la «Parola» fatta carne, che ha posto la sua tenda in mezzo a noi (Cfr. Gv 1,14). E colui che rivela il Padre (Gv 1,18); il suo sangue, versato per la nuova ed eterna alleanza, è il compimento dei sacrifici antichi; egli è il vero agnello pasquale che toglie il peccato del mondo.23 Il culto spirituale, realizzato da Gesù nel suo corpo, continua oggi nella Chiesa, che diviene «corpo di Cristo» unendosi all'offerta del sacrificio del suo Signore. Tale offerta è innanzitutto l'ascolto - rispos- 21 22 Cfr. il testo in: EV 7, pp. 922-1024. Cfr. A. Lameri, L'anno liturgico come itinerario biblico, Queriniana, Brescia 1998, in modo particolare le pp. 19-30. Cfr. la presentazione che di Gesù fa Giovanni Battista in Gv 1,29.36; la prescrizione sull'agnello pasquale di Es 12,46 applicata a Gesù in Gv 19,36; L'Agnello che fu immolato č ora degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione (Ap 5,12). 24 S. Paolo definisce «liturgia» la fede dei filippesi e su tale offerta č disposto a versare il suo sangue come libagione: »E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull'offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi« (Fil 2,17). Altrove definisce «ufficio sacro» l'annuncio del Vangelo e la conversione dei pagani oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo (Cfr. Rm 15,16). ta di fede24 a Colui che il Padre ha mandato e che invita a rimanere nel suo amore nell'osservanza dei suoi comandamenti per conseguire gioia e pienezza di vita.25 La Chiesa quindi, quando «celebra» la Parola di Dio, si pone in atteggiamento cultuale, perché quella Parola che viene solennemente proclamata è «Cristo che parla» e chiede la nostra risposta, la nostra adesione di fede. Chiede di portare nella vita di ogni giorno ciò che si è ascoltato. Questo atteggiamento di «culto spirituale» si dilata, trova il suo compimento, nell'evento sacramentale, dove la risposta di fede, la fedeltà, nella vita, all'alleanza, che la Parola proclamata ha suscitato nell'oggi, diventa offerta vivente e gradita a Dio, unendosi al sacrificio di Cristo al Padre. La Chiesa, ogni cristiano, celebrando nell'azione di grazie il memoriale della passione - morte - resurrezione del suo Signore, si unisce al sacrificio spirituale del Figlio con il quale diventa un solo corpo. Nella celebrazione dell'eucaristia, quindi, la dinamica: proclamazione della Parola - ascolto - adesione di fede, è parte integrante del «memoriale» perché costituisce la dinamica stessa dell'evento salvifico della Pasqua di Cristo che si attua in noi. Infatti come un tempo il Verbo, nell'assumere la concretezza della carne, segno del suo ascolto-adesione al disegno di Dio, ha attuato una volta per tutte la redenzione dell'uomo, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce, così nella celebrazione dell'eucaristia, la Parola, risuonando nella concretezza del rito, nel memoriale eucaristico si fa salvezza offerta «qui e ora» a chi l'accoglie nell'obbedienza della propria fede. 2. «Per ritus et preces»: solo una questione di metodo? Un aspetto non secondario della riflessione teologica post conciliare, specie in questi ultimi decenni, è costituito dalla maturazione di un interesse per lo studio del rito come tema proprio della teologia. Come afferma A. Grillo, si è passati dalla presupposizione del rito, tipico dell'epoca delle origini cristiane, alla sua rimozione in epoca moderna, per giungere faticosamente alla sua reintegrazione nella fede e nella teologia. Sotto questo profilo «l'opera di P. Sequeri26 è di grande significato anzitutto per la sua natura formale di «trattato di teologia fondamentale», che 25 »Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti el Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena« (Gv 15,9-11). Cfr. P. Sequeri, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1996. formula la propria reintegrazione del rito nel fondamento della fede: credo di non sbagliarmi se ravviso in quest'opera il primo tentativo sistematico di formulazione di una teologia fondamentale che assuma in pieno il rito come «dato» fino ad affermare che «il rito cristiano custodisce formalmente la trascendenza di Dio in seconda battuta».27 Tale processo di reintegrazione del rito nel fondamento della fede, che ha avuto il suo avvio con il movimento liturgico, è stato senz'altro incoraggiato da SC 48, dove, nel contesto della partecipazione all'eucaristia, si invita ad aiutare i fedeli a intus legere il mistero delle fede «per ritus et preces». Ciò ha contribuito a delineare con sufficiente chiarezza che una riflessione sistematica sull'eucaristia «non può svolgersi in modo astratto, prescindendo dal dato antropologico implicito nel fatto rituale (storicamente situato), e non può rimanere distaccata e autonoma rispetto alle concrete forme celebrative che l'eucaristia stessa assume nel tessuto vivo delle comunità ecclesiali, senza tradire se stessa. La prima e fondamentale comprensione dell'eucaristia avviene nella celebrazione e attraverso di essa; ma è per lo stesso motivo che la riflessione teologica deve esercitare una funzione critica nei confronti delle concrete prassi storiche relative all'eucaristia. Fra teologia e celebrazione dell'eucaristia rimane quindi un rapporto dialettico insopprimibile».28 La preoccupazione sopra formulata di cogliere il rapporto tra momento teorico-speculativo e immediatezza simbolica del rito di per sé non riguarda solo il capitolo dell'eucaristia, ma investe tutta la riflessione sui sacramenti. Afferma S. Ubbiali: «Per una lettura appropriata della realtà del sacramento occorre postulare il primato del ricorso alla pratica ecclesiale. Poiché la Chiesa unicamente nella celebrazione conquista e percepisce ciò che il sacramento di sua natura è, la teoria del sacramento deve procedere dal rimando all'atto pratico».29 Quindi, «per ritus et preces», che poteva sembrare semplicemente come una indicazione di metodo catechistico, è divenuta una prospettiva di metodo nell'indagine teologica sui sacramenti, per passare poi alla riflessione teologico-sistematica che sta conoscendo una ripresa di interesse per il dato rituale come elemento fondamentale per il rapporto del cristiano con il suo Signore. 27 Cfr. A. Grillo, Rito, in: G. Barbaglio - G. Bof - S. Dianich, (a cura), Teologia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, pp. 1311-1336, qui p. 1333. D. Mosso, Celebrare l'eucaristia: significato e problemi della dimensione rituale, «Rivista liturgica», 69(1983), p. 583. S. Ubbiali, Liturgia e sacramento, «Rivista liturgica», 75(1988), p. 314. 3. Conclusione Al termine di questa pur incompleta disamina della SC non possiamo che concordare con il giudizio di un liturgista italiano, attivo protagonista nell'opera della riforma: Pelagio Visentin. Egli dichiarava che il primo grande merito della riforma liturgica è quello di esserci stata: dopo tanti secoli di immobilismo aver avuto il coraggio di attuare una riforma così imponente, che ha messo mano a tutto, da capo a fondo, sembra un grandissimo fatto storico.30 Sì, l'evento conciliare, la Costituzione liturgica e la riforma che ne è seguita sono stati grandi fatti storici, che hanno profondamente rinnovato il volto della Chiesa e la sua azione in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Detto questo, senza enfatizzazioni, possiamo affermare che molto si deve proprio al primo documento approvato dall'assise conciliare, che ha costituito un momento di arrivo di una lunga riflessione, ma anche e soprattutto un punto di partenza per nuovi e, in alcuni casi, inaspettati sviluppi. La circolarità e il reciproco rimando tra dottrina della rivelazione e impostazione storico-salvifica della SC; l'ecclesiologia di comunione, attenta alla realtà della Chiesa locale; il fervore di studio e di diffusione della conoscenza della parola di Dio tra il popolo cristiano, grazie anche alla sua abbondante presenza nell'azione celebrativa; la riscoperta del rito, non come «vuote cerimonie», ma come linguaggio per fare esperienza del mistero di Dio e per custodire la priorità dell'agire di Dio sull'agire dell'uomo sono meriti che sicuramente dobbiamo ascrivere alla Costituzione liturgica conciliare e a coloro che in questi quarant'anni ne hanno approfondito la conoscenza e proseguito il cammino. Certo, non tutto ciò che in questi decenni è stato fatto è positivo o ha prodotto quello che ci si aspettava; non sempre la riforma liturgica è stata correttamente applicata; non sempre nei documenti applicativi della SC è possibile trovare la stessa ispirazione e un coerente sviluppo. Riteniamo però che il cammino della riforma vada interpretato e proseguito secondo quanto suggerito dal Card. Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che recentemente, nell'incontro europeo dei Segretari nazionali di liturgia, ha affermato che lo scopo dei documenti normativi pubblicati in questi decenni è per la continuazione del rinnovamento liturgico. Si può dire «che il loro scopo è stato quello di sollecitare il rinnovamento della liturgia, incoraggiando quegli elementi positivi che sono emersi at- 30 Cfr. P. Visentin, Incidenza della riforma liturgica nella nuova impostazione pastorale, «Rivista liturgica», 61(1974), pp. 73-87. traverso l'ispirazione dello Spirito Santo durante il corso dei quarantanni passati e, al tempo stesso, di stabilire i principi chiari, formulati sull'esperienza maturata, che spinge in avanti il cammino per quel rinnovamento liturgico voluto dai Padri del Concilio Vaticano II». Povzetek: Angelo Lameri, Teološko razmišljanje o bogoslužju. Presoje štirideset let po razglasitvi konstitucije o bogoslužju Omenjena razprava ob 40-letnici konstitucije o bogoslužju Sacrosanctum concilium omogoča vnovično branje konstitucije v luči razvoja, ki sta ga teološko razmišljanje in udejanjanje liturgične prenove ustvarila. Vse od razmišljanja cerkvenega učiteljstva in pomembnih strokovnjakov je moč individualizirati nekatere pomembne vsebine v redu kasnejšega razvoja koncilskih dokumentov in teološkega razglabljanja. Med drugim lahko navedemo naslednje: 1.) vzajemno sklicevanje med naukom o razodetju in zgodovinsko-odrešenjsko zasnovo konstitucije o bogoslužju; 2.) razvoj občestvene ekleziologije, pozorne do stvarnosti lokalne Cerkve, začenši od bogoslužnega obhajan-ja, ki ima za subjekt občestvo, ki obhaja; 3.) gorečnost za proučevanje in oznanjevanje Božje besede med krščanskim ljudstvom, kjer gre zahvala bogato pogrnjeni mizi Božje besede v bogoslužju; 4.) odkritje obreda, sicer ne v luči nekih ceremonij, ampak odkritje obreda kot lastnega jezika, ki mi omogoča posebno izkustvo Božje skrivnosti in prednost Božjemu in ne človeškemu delovanju. Skratka, spominjati se tako pomembne obletnice pomeni zavedati se vnovič ključnih principov konstitucije o bogoslužju, ki so nam spodbuda pri prenovi bogoslužja v duhu cerkvenih očetov, ki so si prenove bogoslužja posebej želeli. Ključne besede: koncil, konstitucija, bogoslužje, odrešenjska zgodovina, Cerkev Summary: Angelo Lameri, Theological Reflection on Liturgy. Forty Years after the Promulgation of the Constitution on the Sacred Liturgy The treatise on the occasion of the 40th anniversary of the Constitution Sancro-sanctum Concilium deals with a new reading of the Constitution in the light of the development of the theological thought and the bringing of liturgical renewal into action. On the basis of the Church's Magisterium and the thought of important experts it is possible to establish some emphases in the later development of the documents of the Vatican Council and of theological reflection: 1) the mutual references between the teaching on revelation and the historical-redemptive basis of the constitution on liturgy; 2) the development of community ecclesiology that pays attention to the reality of the local church beginning with the liturgical celebration having the celebrating community as the subject; 3) the eagerness to study and preach God's word among the Christian people, which is largely due to the richly set table of God's word in the liturgy; 4) the discovery of ritual not as a ceremony but as a language of its own, which makes possible a special experience of the Divine mystery and gives God's action priority over the human one. Thus, to remember such an important anniversary means to repeatedly become aware of the key principles of the Constitution on the Sacred Liturgy as an incentive to renew the liturgy in the spirit of the Church Fathers. Key words: Vatican Council, constitution, liturgy, history of redemption, Church