received: 2006-09-14 UDC 930.25: 343.25(450.25 Milano)"17" original scientific article STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA NELLA LOMBARDIA SETTECENTESCA Maria Gigliola di RENZO VILLATA Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, Istituto di storia del diritto medievale e moderno, IT-20122 Milano, Via Festa del Perdono 7 e-mail: gigliola.direnzovillata@unimi.it SINTESI Si ricostruisce, attraverso i Regisri dei giustiziati, la fisionomia della criminalité lombarda nel Settecento con riguardo ai delitti colpiti da pena capitale. Non solo i più frequenti come le "robberie ed omicidi" ma pure quelli perpetrati più di rado sfilano in successione, in una rappresentazione che mette a nudo una società spesso violenta, poco sensibile alla ferocia dell'apparato repressivo d'ancien régime ancora in piena vitalità. Parole chiave: giustizia criminale, delitti, pena capitale, XVIIIsecolo, Lombardia TALES OF ORDINARY AND EXTRAORDINARY DELINQUENCE IN 18th CENTURY LOMBARDY ABSTRACT The features of delinquence in l8h century Lombardy is reconstructed across the executed persons ' Registers as regards the crimes punished by death. Not only the crimes that happened often as "robberies and homicides " but also those that happened more rarely parade in succession, in a detailed description that lays an often violent society bare, not very sensitive to the ferocity of the repressive apparatus of ancien régime still in force. Key words: criminal justice, crimes, death penalty, 18th century, Lombardy 521 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 UNA PREMESSA "Giustizia è fatta". È La formula ripetitiva, che si trova in esordio degli spesso scarni verbali dei 'Registri dei giustiziati', fonte precipua di questo mio studio. Sono un angolo d'osservazione privilegiato, conosciuto ma tuttora in gran parte inedito, da cui è possibile trarre le notizie delle esecuzioni capitali nel territorio del Milanese lungo tre secoli, dal 1471 agli anni delle riforme teresiano-giuseppine (cfr. BAMi, 1; BAMi, 2; BAMi, 3; BAMi, 4; BAMi, 5; BAMi, 6; BAMi, 7)1 (analogamente a quanto avviene, con forti consonanze, per altre aree italiane2), e comporre un quadro abbastanza preciso sulle tipologie più diffuse della criminalité lombarda. La giustizia si identifica nei registri con una brutale esecuzione, condotta secondo un rituale più o meno macabro, di cui i manoscritti tramandano l'eco. Non si parla per lo più di folla, ma talora si prescrive che l'esecuzione avvenga "nell'ora del maggior concorso del popolo",3 e si ha notizia di una sua partecipazione vibrante, commossa di fronte alla morte (vedasi ad es. BAMi, 2, f. 179r); anche laddove non è evocata, è tuttavia, in pari misura, parte integrante del rituale, intrinseca all'efficacia dell'appa-rato repressivo, fondato com'era sulla forza intimidatoria nei confronti della genera-lità dei consociati. Talaltra il tetro racconto si arricchisce di particolari che conferi-scono colore allo spettacolo: il popolo che assiste coinvolto, il palco con il carnefice, l'abbigliamento del condannato, la sua reazione di fronte alla comunicazione della sentenza e alla successiva fine, tutto contribuisce a porre in risalto la maestosità della cerimonia, a rendere visibile e quasi palpabile il potere di chi è padrone della vita e della morte dei sudditi, dimostrandone l'onnipotenza. Nell'arco di un secolo la ripetitività trasmessa non è di formule ma di sostanza e, accennando alla sostanza, intendo riferirmi al quadro della criminalité 'ordinaria' che ne emerge. Criminalité e 'ordinaria' sono termini che all'uomo dabbene possono sembrare quasi un ossimoro: nella mia sommaria ricostruzione servono solo a mettere l'accento sull'intensa frequenza di certi delitti a confronto di altri, né mi posso nascondere una certa labilità di confini tra l'universo dell' 'ordinario' e la sfera dello straordinario in rapporto ai tempi e ai luoghi. Anche perché la visione offerta dai Registri dei giustiziati è necessariamente par-ziale: si susseguono storie di delitti, segnati da condanne all'estremo supplizio, decretate per lo più dal Senato milanese, eccezionalmente risolte in meglio da provve- 1 Vedasi Benvenuto, 1882, 442-482; sui manoscritti sopra citati cfr., oltre a Cantu, 1862, 319, piu dif-fusamente Massetto, 1994b, 334 ss. Sulla scuola di di S. Giovanni Decollato detto delle Caserotte cfr. Lattuada, 1738/1998, 423 ss.; Biffi, 1864, 95-119; Mereu, 1988. 2 Cfr. per il Regno di Napoli: Panico, 1985; per lo Stato Pontificio: Paglia, 1982, spec. 123-133; per Bologna: Prosperi, 1982, 959-999; Prosperi, 1983a, 87-104; Prosperi, 1989; per il Granducato di To-scana: Luttazzi Gregori, 1991, 25-91. 3 Vedasi ad es. BAMi, 2, ff. 89rv per le due esecuzioni dell'aprile ed agosto 1732. 522 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 dimenti graziosi, talvolta segnate da un epilogo meno fatale e definitivo. Non vi sono comunque a tutt'oggi statistiche (come ce ne saranno nel secolo successivo) (Springer, 1843; Messedaglia, 1866-1867), che documentino, ad esempio, il numero dei casi di "robbarie ed omicidi" nel corso del periodo qui considerato; sappiamo invece che vi furono circa 650 condanne a morte fino al 1767, concentrate soprattutto nel periodo 1730-1770 (Mereu, 1988, appendice post 42), mentre siamo in grado di rico-struire il numero delle condanne per anno (Mereu, 1988, appendice post 42), ma non mi risulta che sia stata condotta un'indagine sulla tipologia dei reati, né sulla loro specifica incidenza e ricorso nel determinare l'atteggiarsi della criminalité settecente-sca lombarda. Sono escluse in ogni caso, estranee per fortuna all'azione della misericordiosa confraternita di S. Giovanni Decollato, parte attiva nella redazione dei Registri, le storie di veramente 'ordinaria' delinquenza, delle quali sembrano conservarsi tra le carte d'archivio lombarde scarsissime tracce, spesso frammentarie ed incomplete, ca-paci di offrire qualche modesto squarcio di una delinquenza 'minore', non valutabile in termini statistici e quantitativi. In tale ambito le raccolte di Allegazioni, conservate presso l'Istituto di storia del diritto medievale e moderno dell'Università degli Studi di Milano, si rivelano prezio-se miniere di materiale, che tuttavia consente di ricostruire qualche profilo, di avere notizie di alcune condotte delittuose perseguite dalla giustizia crimínale coeva: non permettono comunque di delineare una tipologia articolata dei delitti ricorrenti, di minore rilievo, che poco o nulla interessavano, nelle vicende processuali a loro relative, avvocati pronti a difendere i clienti a suon di 'allegazioni' tramandate (Garlati Giugni, 2006). I Registri dei giustiziati, nel loro complesso, rappresentano per contro una testi-monianza sufficientemente fedele ed attendibile, tendenzialmente completa, avvalo-rata com'è dai riscontri possibili tra le diverse redazioni manoscritte dei Registri, congiunti tra loro da forti elementi comuni ma non a tal punto omogenei da non me-ritare ciascuno un esame specifico (Massetto, 1994b, 334 ss). Si ritrovano nelle pagine dei vari Registri gli stessi nomi, gli stessi delitti, lo stes-so rituale, talora non 'omologato' grazie al tocco personale di qualche redattore, a formare una sequela di lugubri litanie, diversificate tra loro per il nome del giusti-ziato e del delitto commesso. Si snoda un discorso continuo nel monotono susseguirsi dei concisi verbali, un discorso intessuto di dolore, rappresentativo di un'umanità dolente fatta di vittime e di rei, forse le une e gli altri soli al mondo ma, più verosimilmente, unite le prime e i secondi da legami di solidarietà, di parentela od amicizia ad altri, anch'essi inevita-bilmente toccati in qualche misura dalla catena di eventi tragici rievocati tra gli atti. I delinquenti condannati sono soprattutto uomini: compare in primo piano dunque una delinquenza maschile largamente prevalente, in sintonia con un dato criminologico 523 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 ben noto. Ma non manca una delinquenza femminile: sono ora amanti, ora madri che si macchiano di orrendi delitti. Se non colpisce la nostra immaginazione il caso, non raro ai tempi - ma nemmeno oggi nonostante l'introduzione del divorzio - di donne adultere, complici del loro amante nell'omicidio del marito, una sensazione di ribrezzo suscita in noi il leggere di donne, probabilmente vittime della propria condizione di miseria, disposte ad armare la propria mano, far uso di una parte del proprio corpo per far violenza, per annientare un'altra parte di se stesse, come succede nell'infanticidio.4 Sono storie d'ordinaria e straordinaria criminalité, di uomini e donne, di gente comune e di nobili, di colpevoli e forse talora innocenti, di giustiziati e talvolta gra-ziati. "Giustizia è fatta" a Milano e dintorni, in luoghi a ció deputati tristemente noti, a partire dal patibolo comune alla Vetra ed, a seguire, in piazza del Duomo o in Piazza della Tosa (per i nobili ma non solo) (Benvenuti, 1882, 444-445, 470-472),5 o sul corso di Porta Vercellina (BAMi, 2, f. 98r)6 o a "Porta di Porta Ticinesa" (Benvenuti, 1882, 458, 460-461),7 talora nei territori teatro dei delitti commessi, per colpevoli (per fare qualche esempio) di "diverse robbarie" accompagnate da omicidio, di "enormi ed esecrandi sacrileghi furti", di parricidio, commesso ai danni di vittime in tenera età, di infanticidio, di uxoricidio, compiuto "barbaramente" o per avvelenamento, di 'assassinio', di tumulto sedizioso, di ribellione, di diserzione, di spionaggio a favore del nemico, di sodomia. Scorrono in sequenza, rappresentati in termini sovente ripetitivi - lo si è detto -ma non privi a volte di espressioni vivaci, indice eloquente dell'efferatezza del crimine punito, i riti della morte 'confortata', non senza che tra le righe, sporadicamente, compaia un sussulto di umanità. Colpisce il lettore, tuttavia, più che la sequela delle attività della Confraternita, volte ad alleviare le sofferenze quanto meno spirituali dei condannati per indurli al pentimento e prepararli al loro viaggio ultraterreno, il rito della morte, non di rado accompagnato da esacerbazioni. Il condannato di robberie ed omicidi veniva trasci-nato al patibolo a coda di cavallo, indi 'arruotato', sospeso al patibolo, eventualmente 4 Sono qualifiche, marchi d'infamia che si ritrovano in Di Bello, Meringolo, 1997; Ferrigni, 1893. V. inoltre Selmini, 1987. Da ultimo v. Garlati Giugni, 2004, CLXVII-CCXII. 5 Cfr. ad es. BAMi, 2, f. 60rv, ma v. anche BAMi, 5, f. 77rv per l'esecuzione del marchese Malaspina. Sul corso di Porta Tosa avvenivano pero anche esecuzioni 'comuni', come quella del 15 novembre 1610, a carico di "un Jacomo Rachetto e Ruggero de Pelati, tutti e due per voler fuggire dalla Pri-gione" (Benvenuti, 1882, 465). 6 Il 3 luglio 1737 venivano 'sospesi' quattro milanesi "sul corso di Porta Vercellina. Risultavano respon-sabili, oltre che di altri misfatti, di "grave insulto con strapazzi, minaccie e scagliamento di sassi" alla casa del marchese Pietro Goldone Vidone; piu stringato nel descrivere i fatti BAMi, 5, ff. 91v-92r. V. comunque infra. 7 Ad es. nel 1527 fu li 'suspeso' per cospirazione uno della compagnia del Signor Conte Lodovico Bel-giojoso; nel 1574, sempre nel medesimo luogo, due subiscono la medesima condanna "per moneta remondata", vale a dire come colpevoli di falso monetario; a dicembre "un don Elvisio Spagnolo per sfroso delle biade"; cosi pure ancora per il falso monetario dal 1575 al 1589. 524 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 mutilato di una od anche di entrambe le mani, indi, ormai cadavere, esposto per un giorno, talora squartato, non senza che talaltra la testa venisse esposta in una gabbia di ferro per un certo tempo: lo scopo preventivo-intimidatorio di un simile 'spettaco-lo', orchestrato con indubbio senso scenografico, era evidente. Non solo, ma poteva capitare che le esacerbazioni colpissero anche un cadavere, "secondo una concezione della pena esclusivamente retributiva", come era decretato dal Senato il 22 settembre 1731 per Carlo Balletta, condannato, cadavere, ad essere tirato a coda di cavallo al luogo solito del patibolo "e che ivi dal carnefice sii appeso alla forca con al collo due pistole e coltello ritrovate al medesimo e che colá debba per tutt'oggi restar appeso": lo stesso era accaduto a Giuseppe Conte, spia, prima "ammazzato" dai soldati e poi sospeso con cartello "accio [...] servi d'esempio agli altri", e ad altri prima di lui (BAMi, 2, f. 87v).8 Le Nuove Costituzioni milanesi del 1541, peraltro all'epoca ancora in vigore, avevano contemplato in termini specifici una parte dell'esecuzione: "Latrones viarum, et hostili more invadentes Territoria Principis, et vias publicas, si homicidium non commiserint, hoc modo puniantur, ut vinctis manibus ad caudam unius equi alli-gentur, et per publica loca illius Civitatis, vel loci, ubi poena imponetur, ducantur ad locum Justitiae vivi, horis, quibus major pars hominum convenire solet, et furcis su-spendantur, laqueorum inibi vitam finiant. Si vero robariam, et homicidium commi-serint, vel homicidium tantum, graviori poena plectendi sunt, nam postquam ad locum Justitiae modo praemisso ducti fuerint, ibi cum textura membrorum quorum in rota lignea intertexi debent" (Constitutiones dominii mediolanensis, 1541, lib. IV de poenis, 131). E il Senato milanese sembrava uniformarsi al dettato normativo, difeso in linea tendenziale "mastinescamente", per dirla con le parole di Adriano Cavanna, non senza che trasparisse nelle modalitá esecutive fissate per qualche condanna l'esercizio di un arbitrium, al massimo consesso ampiamente riconosciuto dalle me-desime Costituzioni e amministrato dai senatori, nell'ambito penale, con determina-zione apparentemente inflessibile e necessaria per reprimere la criminalitá (Cavanna, 2005, 190-193, spec. 192).9 Non e privo di significato che proprio queste immagini raccapriccianti, frammenti di un percorso di sofferenze, piu o meno standardizzato, senza dubbio suggestive, compaiano nella vignetta allegorica, abbozzata da Cesare Beccaria stesso e tradotta 8 V. Benvenuti, 1882, 465, ove si trascrive un'esecuzione del 20 maggio 1564: "fu sospeso un Morto, quale sparó un'archibuggiata[...]"; Massetto, 1994b, 412-413 (è di Massetto il giudizio sulla concezione della pena afilorante: Massetto aggiungeva "quindi rigorosamente antiilluministica". Tuttavia - si puó rilevare, con un giudizio in bonam partem per le feroci condanne di quegli anni - nel 1731 non si erano ancora fatti grandi passi verso un diritto penale umanitario); Cavanna, 1989, 9. Per il caso di Giuseppe Conte v. infra. 9 Per l'attribuzione al Senato di ampi poteri discrezionali, tali da collocarlo in una posizione super legem, cfr. Constitutiones dominii mediolanensis, 1541, lib. I de senatoribus, 5-7. 525 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 in realtá artística nella bella incisione attribuita a Giovanni Lapi, presente in diverse ristampe del capolavoro del marchese milanese a partire dalla terza edizione livorne-se del 1765.10 La descrizione, dovuta alla penna dell'uomo dei lumi destinato all'im-mortalitá, ne coglie alcuni momenti e testimonia la sua aspirazione ad un diverso modo, meno estremo, di punire i colpevoli "Un manigoldo con una mano pendente che tiene un inviluppo di corda da cui pende una taglia ed una sciabola abbassata, e coll'altra mano terrá per la ciocca de' capegli due o tre teste recise grondanti; che le presenta alla Giustizia, la quale, col destro braccio teso in atto quasi di respingere il manigoldo e colla sinistra mano quasi nascondendo per orrore il suo volto dal mede-simo, si rivolge e guarda la sua bilancia, di cui una lance appoggiando sopra di un sasso, l'altra posa piu basso sopra un fascio di vari strumenti di lavoro, come zappe, badili, seghe e martelli pittorescamente intralciate ed avviluppate di catene con manette all'estremitá". Quella stessa vignetta, frutto, nell'ideazione, della 'creativitá' beccariana, compare nel frontespizio dell'edizione italiana, con testo a fronte tedesco, del codice penale giuseppino, che veniva prontamente tradotto e pubblicato tra Vienna e Rovereto nel 1787: un accostamento e un elemento in comune di forte valore simbolico, capace di gettare un ponte tra l'operetta dell'intellettuale lombardo e l'impresa codicistica del grande imperatore asburgico che, ad onta della innegabile crudezza dell'apparato re-pressivo presupposto, diminuirá i casi di pena di morte e si ispirerá per molti aspetti all'ideologia riformista beccariana. Ho fatto non a caso l'esempio delle "robberie ed omicidi" perché tra le carte dei Registri, per i decenni da me studiati, la fattispecie criminosa maggiormente presente e senz'ombra di dubbio quella della 'robbaria'.11 Viste poi le esacerbazioni che facevano da corona all'esecuzione capitale nel caso di specie e in altri, come vedremo, si comprende anche perché l'aggiunto fiscale Luigi Villa potesse affermare, nelle meticolose osservazioni al Codice penale Giuseppino del 1787 svolte a nome della Procura di Sto, che, all'epoca (siamo ormai nel tardo Settecento), lo strascinamento a coda di cavallo fosse ancora largamente "pratica invalsa in questo Paese", e anzi, nella sua 'Rappresentanza', venata talora di aperture 'garantiste' e umanitarie, suggerire di conservarlo per mantenere il suo 10 La lettera di Cesare Beccaria a Giuseppe Aubert s. d., ma verosimilmente scritta secondo le deduzioni fatte da ultimo da Luigi Firpo tra l'8 ed il 9 dicembre, e riprodotta nei punti essenziali in Firpo, 1984, 399-400, ma spec. 412-413 (per la descrizione della vignetta), 419 (per l'incisione, quale venne poi realizzata, e il presunto bravo incisore). La lettera era gia stata pubblicata da Venturi, 1964, 708-710, e ristampata in Venturi, 1970, 118-120, come pure in Lay, 1973, 42-44. 11 Cfr. Garlati Giugni, 1999, spec. 66 per il termine robbaria, allora molto usato, che indica un furto con violenza, usata contro la persona, vale a dire una rapina. Gli Statuta, 1616 facevano impiego di questo termine, che consideravano equivalente a quello di scacco ("In iure nostro municipali Scachum, et robaria idem inteligantur"). V. comunque Manzini, 1912a, 454 nt. 2 e 456; Manzini, 1912b, 729. 526 María Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 effetto altamente intimidatorio ("Fu poi creduto spediente di conservare la pratica invalsa in questo Paese di strascinare i malfattori a coda di cavallo per incutere con questo apparato un piu grave terrore nel Popolo giusta l'esigenza dei casi"). La 'pratica', a cui il 'moderato' Villa si richiamava, corrispondeva - lo si e appena visto -a quanto disponevano le Nuove Costituzioni milanesi al tit. de poenis (cfr. ASMi, 1, spec. f. 72: al riguardo v. Cavanna, 1975, 50 nt. 71, 54-55 nt. 78. V. da ultimo Rondini, 2006, 125-126). STORIE D'ORDINARIA E 'STRAORDINARIA DELINQUENZA: DALL'ID QUOD PLERUMQUE ACCIDIT A CIO CHE RARO EVENIT. E cosi il nuovo secolo, che doveva schiudersi alle prospettive del diritto penale umanitario, si apriva nella Milano di Beccaria con teatrali esecuzioni nella "Piazza Maggiore" di Milano, vale a dire in Piazza del Duomo, come l'esemplare condanna, tramandata per il 13 febbraio 1700 a carico di un certo rapinatore, detto l'Occhialone, che aveva sulla coscienza "molte robbarie commesse alla strada", destinato ad essere "appiccato sopra la Piazza del Duomo di questa Cittá... et che il di lui cadavere debba esser fatto in pezzi et quelli siino esposti nelli siti de' suoi maggiori delitti" (BAMi, 2, f. 60r; si veda anche BAMi, 5, f. 77r). O con quella, seguita il 7 settembre 1700, a distanza di due giorni dalla sentenza definitiva del Senato lombardo, contro tre malvi-venti "rei confessi di diverse robbarie da essi commesse alla strada con mano armata in pregiudizio di diversi e, in particolare detti Soldato e Birba di due omicidi dessi ri-spettivamente commessi con successive robbarie alla strada [...] e inoltre detto Birba di tentata robbaria sopra la strada di Porta Romana con diverse archibugiate nella persona del nobile cavaliere Signor Giuseppe Maretti [...] e Giovanni Glodi suo ca-meriere, dalle quali sono rimasti ambidue mortalmente feriti". L'esecuzione era arti-colata in una sequenza di atti precisati dalla 'relazione', si che i condannati dovevano essere "condotti alla Piazza Maggiore di questa cittá sopra un carro, et [...] essere te-nagliati, il Fachinetto con un sol colpo, il Soldato et il Birba con tre, e che presso il patibolo sia troncata la mano destra al detto Birba, e successivamente ad essere ap-piccati tutti tre e li loro cadaveri fatti in pezzi da esporsi ne' luoghi de' loro delitti, et il capo dello stesso Birba sopra una colonna di marmo in Gabbia di ferro nel luogo della tentata robbaria di detto nobile cavaliere Maretti con un cartello che esprima tal delitto". Il nobile cavaliere Signor Giuseppe Maretti era "luogotenente della Compa-gnia della prima Guardia d'honore di Sua Altezza Reale di Savoia" (BAMi, 2, f. 58rv; si veda anche BAMi, 5, f. 78r). O del 28 agosto dello stesso anno nei confronti di Carlo Ceriani, "tirato a coda di cavallo al patibolo sopra la Piazza del Duomo di questa Cittá per causa d'aver com-messo molti furti e robbarie": vantava al suo attivo diverse "robbarie" aggravate da effrazioni, oltre ad un "homicidio sacrilego" del prevosto di Segrate". Tanta efferatez- 527 María Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 za non poteva che essere sanzionata dalla forca, dallo squartamento del cadavere, dalla esposizione della testa nel luogo della 'robbaria' e dell'omicidio, e dei "quarti appesi nelli siti de' suoi delitti maggiori" (BAMi, 2, f. 61r; si veda anche BAMi, 5, f. 77v). O del successivo 18 novembre contro sei ribaldi, colpevoli di "diverse robbarie alla strada da essi commesse, condannati ad essere "appiccati", indi, cadaveri, star appesi per tutto il giorno, poscia le loro teste si doveranno levare da loro busti, et esporsi ne' luoghi rispettivi di diverse robbarie alla strada da essi commesse". Per uno di loro, Carlo Andrea Mariano di Birago, si prescriveva inoltre, a causa delle maggiori colpe, integrate dall'"omicidio con robbaria alla strada nella persona di Bernardo Ferrarino", il trascinamento a coda di cavallo (BAMi, 2, f. 61rv; si veda anche BAMi, 5, f. 77v). Le "molte robbarie, anco con sbarro di pistolettate, et ferite alla strada" reiterate (doveva avere infestato con le sue imprese criminali molte strade della Lombardia, da Rho ad Oleggio, da Seregno a Monza, dal pavese al lodigiano), accompagnate da omicidi e da altri delitti, erano invece il 9 febbraio 1702 all'origine dell'esecuzione del 'Tortonesino', condannato ad "asser appiccato nel luogo del solito patibolo": il suo cadavere doveva poi tornare utile - come si decretava - "all'Universitá de' stu-denti di Pavia per l'anatomia" (BAMi, 2, f. 59r; si veda anche BAMi, 5, f. 78v). Quanto all'esacerbazione, prevista dopo la morte per l'efferatezza del crimine, svolgeva in tal caso anche una funzione, per cosi dire, di risarcimento del danno sociale poiché era essenziale, per preparare buoni medici nell'ateneo ticinese, avere a disposizione un certo numero di cadaveri per gli esperimenti anatomici, mentre era lamento frequente una loro cronica penuria: nel corso dei decenni una simile pratica - qua e lá vi sará occasione per porlo in rilievo - era osservata con relativa frequenza. Il 9 settembre 1702 il Senato milanese sentenziava l'impiccagione esacerbata per un certo Carlo de Fideli, "appellato il Romagnolo, nativo della cittá di Bologna", col-pevole di molte robbarie et omicidi commessi alla strada... et anco nell'hosteria della Rosetta in questa cittá", oltre che di resistenza alla giustizia: a lui toccava di dover "essere condotto sopra di un carro al luogo solito del patibolo di questa cittá, tre volte tanagliato, et che vicino al detto patibolo gli sii tagliata la mano dritta, et che ivi puoi debba essere appiccato, et il di lui cadavere intieramente appeso con catena di ferro ad una forca sopra la strada di Lodi, nel sito detto il Vallone", forse teatro prevalente della sua attivitá criminosa (BAMi, 2, f. 59v; si veda anche BAMi, 5, f. 78v-79r). Non tutti i delinquenti - e quasi naturale - vengono catturati e puniti: il fenomeno delle bande, vale a dire, nel caso di specie, di una criminalitá organizzata che ha come scopo la commissione di reati contro il patrimonio, non di rado concorrenti con reati contro la persona fino all'omicidio, non si sradica agevolmente e qualcuno rie-sce sempre a sfuggire alle maglie della giustizia: cosi il 16 dicembre 1704 il Senato condannava tre individui colpevoli di "diverse robbarie alla strada da essi et altri la-dri commesse in pregiudizio di diverse persone di quantitá di robbe e danari e fra le 528 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 altre rispetto al Neurone (era uno dei Ire) di robbaria con omicidio nella persona di Bartolomeo Rinaldi... e rispetto a detto Sibilla (un altro dei tre) di robbaria parimenti con l'omicidio nella persona di Monsù l'Epiné condottiere francese sopra la strada del Naviglio Grande in vicinanza della Barbacola...". Ma il giorno dell'esecuzione, fis-sato di consueto a distanza di circa quarantotto ore dalla pronuncia, coincideva con l'inizio delle solennità natalizie e quindi arrivava dal Senato l'ordine di sospensione del provvedimento prima emesso, rinviato alla mattina del sabato 20 (BAMi, 2, f. 64r; si veda anche BAMi, 5, f. 79v-80r). Il 27 febbraio 1710 era invece la volta di altri tre ladri, a cui venivano imputate "due robbarie da medesimi unitamente con altri armati e con precedenza di trattato di notte tempo commesse nei rispettivi mesi di dicembre e gennaio prossimi", aventi ad oggetto la prima denari "e robbe per la somma di trentanove scudi in circa", un'altra la somma di "cinquecento lire circa" e "molte altre robbarie alla strada in pregiudizio di diversi, tra cui quella di trent'otto Filippi di notte tempo commessa nel mese di novembre prossimo scaduto sopra la strada della Santa": non sembravano essere state accompagnate da omicidio, ma la recidiva e le circostanze aggravanti elencate giusti-ficavano, a distanza di pochissimi mesi dall'ultima loro azione, il supplizio capitale sopra la piazza del Duomo, esacerbato dall'esposizione delle loro teste ("e dopo mon-carli li capi da busti per esporli nei luoghi dal medesimo Senato determinati" (BAMi, 2, ff. 65v-66r). Una diversa procedura di esecuzione si svolgeva invece per i militari, soggetti ad un regime di diritto speciale pur se rei di reati comuni della tipologia appena ri-cordata: cosi il 6 maggio 1707 sua Altezza Serenissima pronunciava una sentenza di condanna alla fucilazione a carico di Santo Rossetti di Pandino di Gera d'Adda, "sol-dato d'infanteria italiana del Capitan Medici del Reggimento del Signor Generale Conte Bonesana", detenuto nelle carceri della Torretta di Porta Romana, reo di "omicidio con tentata robbaria alla strada", commessi circa un anno prima nella persona del lavandaio Pio Rossetti, probabilmente un suo parente. Era destinato ad essere "ar-chibuggiato sopra la piazza del Real Castello, in modo che moja, passando per le ar-mi a vista eziandio della Gente del di lui Reggimento Squadronato" (BAMi, 2, ff., 65r). La pubblicità a scopo preventivo - intimidatorio veniva assicurata e addirittura prescritta. Un altro Registro riportava invece una pena di morte diversa, consistente nell'essere "sospeso [...] ed a vista di tutto il suo Reggimento, indi abbrugiato" (BAMi, 5, f. 80v). Accanto ad uomini comuni e militari, che si macchiavano di delitti esecrandi, de-gni di banditi della peggior risma, figurano nella veste di delinquenti i nobili che, al-l'epoca, potevano tenere una condotta da 'bravo' o compiere delitti comuni, alla pari degli altri. Rientra nella prima categoría il comportamento del Marchese Giuseppe Malaspina, "confeudatario del luogo di Pietra Gavina Tortonese", situato nella provincia pa- 529 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 vese, con una discreta carriera crimínale alle spalle, decapitato il 4 marzo 1700 nel "Luogo solito dei Nobili sopra il corso di Porta Tosa di questa città, sopra un palco, conforme il solito, a causa di homicidio con colpo di archibugiata da esso commesso [...] con assistenza, aggiuto e favore cooperativo" di un certo "complice" e per "altro homicidio d'animo deliberato senza proferir parola, in tempo di notte, in insidie, e con precedenza di trattato da esso Marchese e Gio. Battista Prina, dopo morto in que-ste mie Regie Carceri, con colpi d'archibugiata nella persona di Pietro Paolo Zuchino mentre si trovava in propria casa" (chi scriveva era il Capitano di Giustizia Giovan Battista Belcredi); ed ancora per detenzione di armi proibite, e finalmente per "con-travvenzione di bando capitale contro di lui pubblicato nella pena della testa con con-fiscatione de beni atteso il mandato da esso dato a Carl'Antonio Calegaro ad ammaz-zare il Marchese Bartolomeo Malaspina, e da esso Calegaro eseguito" (BAMi, 2, f. 60rv; si veda anche BAMi, 5, f. 77rv; Benvenuti, 1882, 471). Potrebbe trattarsi di quello stesso Giuseppe Malaspina, descritto come il 'Don Rodrigo di Monleale',12 reo di ratti e altri delitti, noto all'epoca per essere circondato da banditi, invano negli anni del tardo Seicento perseguito dalla giustizia finché, forse, al termine di una vita da delinquente e di soprusi ai danni del prossimo, si abbatteva su di lui il supremo casti-g°. Non era il solo nobile, le cui vicende, non commendevoli, erano narrate nei Registri. Qualche anno dopo, il 24 dicembre 1705, un giorno prima di Natale, finiva de-capitato il Conte Galeazzo Boselli, bergamasco (doveva essere di San Giovanni Bianco in Val Brembana): gravavano sul suo capo pesanti imputazioni, da più di un mandato ad uccidere, eseguito, ad omicidi commessi insieme ai suoi sicari, ad un tentativo d'omicidio compiuto assieme ad altri, nottetempo, nella persona del Conte Nicolini Martinone "mediante il sbarro di alcune archibugiate", a un "trattato commesso con Antonio Corona guardiano dell'Offitio della Martesana a permettere la fuga dalle carceri a due detenuti", fino all'invasione "in questo Stato assieme di molti uomini armati nella giurisdizione bergamasca". Pochi giorni prima di consegnare l'anima a Dio, il 1° dicembre 1705, aveva fatto tagliare le orecchie e il naso a Fabio Ghisleri nella giurisdizione cremonese "vicino il luogo di Fontanella", prestando assistenza ed aiuto (BAMi, 2, f. 64v).13 Insomma, anche in questo caso, il Nostro pare-va al centro di un'associazione a delinquere da lui coordinata con diversi successi. Figura di una certa notorietà nel mondo di allora, uomo d'armi, poète maudit e agente segreto al servizio della Serenissima, la quale alla fine si vedeva costretta ad esiliarlo per i misfatti compiuti, o di propria mano o per mezzo di bravi (dal regola-mento di conti con omicidio al sequestro di persona, all'aggressione a mano armata, al saccheggio), destinati ad essere 'vendicati' poi a Milano. Con il suo testamento, prima d'affrontare il boia, stendeva un sonetto che finiva cosi: "Trassi dal mio natal 12 Prendo questa informazione dal sito internet (v. Comune Monleale, 2006-08). 13 V. anche BAMi, 5, f. 80r (molto più conciso). 530 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 spirito gueriero I E tanto vendicai di ogni superbo I Onde fama acquistai di troppo altero: I Pena del mio morir si crudo e acerbo I Gioia per cui mi si apre oggi il sentie-ro I Che al ciel rinasco col natal del Verbo". Il Registro, qui preso a fonte privilegiata, reca a margine una lista di spese fatte per l'esecuzione della sentenza: comprende-vano il vestito nero per il condannato e per il suo servitore di "bajetta", altre erano servite a pagare il palco e la scalinata ed altre ancora non venivano specificate. Un altro conteneva invece l'indicazione del luogo della sepoltura, aggiunta in seguito con diversa mano: "Il cadavere è sepolto nella Chiesa di San Francesco Grande" (BAMi, 5, f. 80r). La spettacolarità della funerea esecuzione, annotata nei dettagli con i quali si puô ricostruire nella nostra fantasia la scena, non puô sfuggire. Tra le condotte 'comuni' si deve annoverare la diserzione del nobile don Enrico Cattaneo, decapitato "all'uso de' nobili, colla confisca dei suoi beni", il 26 luglio 1759 per fuga dal Castello, dove si trovava "obbligato a dare il nome alla milizia", per fe-rimento, dopo la 'diserzione' e la successiva cattura, dell'aiutante del custode del car-cere detto la Stella, omicidio in rissa di un altro aiutante del custode del carcere e "per scandalosa opposizione alla giustizia", con conseguente pericolo di disordini più gravi per l'ordine pubblico: insomma il nobile non sembrava darsi per vinto e tentava con tutti i mezzi, dalle sassate agli "spontoni con ponta sottile e tagliente atti a gravemente ferire", di recuperare la sua libertà (BAMi, 2, ff. 157v-158r; si veda anche BAMi, 5, f. 116rv). O rientra ancora nel medesimo ambito l'azione del Conte di Monastero Francesco Agostino Torrini della città di Torino, decapitato il 3 settembre 1701, sul corso di Porta Tosa, "per causa d'avere più volte propinato il veleno [...] affine di levarli la vita" alla propria consorte Contessa Anna Ginevra Genti: ma evidentemente gli sforzi profusi per giungere a porre termine alla vita della non amata moglie si erano rivelati inutili perché si era visto poi 'costretto' a "proditoriamente strozzarla", cercando poi di nascondere le tracce del suo delitto con un "eccitato incendio nella casa per occul-tare si esecrando delitto" (BAMi, 2, f. 58v; si veda anche BAMi, 5, f. 78r).14 Il conte di Monastero, in questo caso, aveva consumato un delitto passionale, reputato 'tipico' delle categorie sociali elevate, non disdegnato tuttavia - come si ricava dalle fonti qui studiate - da persone di più bassa estrazione. Ne è una testimonianza un altro uxoricidio, commesso ad opera di "Andrea Ga-rillo, altre volte carnefice di questa città", "d'animo deliberato e proditoriamente [...] con percosse e propinatione de' veleni et in particolare di diamante et arsenico nella persona" della moglie Monaca Rebellona, "con la scienza et partecipazione" di Lucia Piazza, sua amante, "rea confessa di tal scienza et partecipazione per poscia sposarsi 14 Monastero di Vasco è ora un comune in provincia di Cuneo. Tra Sei e Settecento si ha notizia di altri 'Conti di Monastero', come Guido Torrini, 1° Conte di Monastero, di Vasco, Nato e Lantosca, che sposava nel 1632 Francesca Thaon, o Gian Giacomo Fontana, 1° Marchese di Cravanzana, 1° Conte di Monastero di Vasco e Signore di Torre d'Ussone, che sposava Maddalena Faussone nel 1700. 531 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 tra loro": a metà ottobre dello stesso 1701 portava colui, che ben conosceva il mestie-re, ad "esser condotto sopra il carro al luogo solito del patibolo, ad esser tenagliato per la strada con tre colpi, e poscia appiccato", mentre alla donna, rea confessa, il destino riservava, anziché nuove desiderate nozze nell'immediato futuro, una sorte ben più macabra, ma non letale, quale era quella di essere "frustata sotto il patibolo, pendente il cadavere dell'uomo amato". Rispetto alle prescrizioni delle Nuove Costitu-zioni ("Occidens dolose dominos, vel personas, cum quibus habitat, et moram trahit, vel uxorem, aut liberos, aut aliquem predictorum, aut alicuius eorum, eadem poena puniantur") al carnefice era stato riservato un trattamento quasi 'privilegiato' (forse grazie all'onorato servizio svolto nel corso della sua vita passata...) poiché non gli era stata inflitta la pena della ruota, prescritta ai colpevoli di "robbarie ed omicidi", ai quali gli omicidi per cosi dire domestici erano assimilati (BAMi, 2, ff. 58v-59r; si veda anche BAMi, 5 f. 78v; Constitutiones dominii mediolanensis, 1541, lib. IV de poenis, 131). Dello stesso segno si rivela un uxoricidio, "barbaro ed atroce omicidio" con mo-dalità esecutive e presupposti in gran parte simili, che 'meritava' analogo epilogo a metà dicembre 1743: il marito, un certo Antonio Maria Rosso, poneva fine all'esi-stenza della moglie, Orsola Galla, "con precedenza di propinazione di veleno, pre-meditazione, e deliberazione di trattato avuto con la [...] Domenica Mora detta la Cameriera, con l'intervento del di lei consiglio scienza e partecipazione e concubina-zione con la suddetta Domenica Mora per il corso di un anno e mezzo" (BAMi, 2, f. 110v; si veda anche BAMi, 5, f. 95v-96r): insomma, ancora una volta si concludeva tragicamente una storia di adulteri, di tradimenti e di convivenze indesiderate. Una storia più complicata, ma dai risvolti poco differenti, con protagonisti e compriman di non nobili natali, era quella che conduceva il 17 settembre 1710 due uomi-ni ed una donna, Maddalena Giussana, alla forca: l'omicidio del marito di Maddale-na, opera di un sicario, chiamato lo Zoppo, si consumava di notte lungo una strada che andava da un'osteria a Montebuono, nei dintorni di Melegnano, luogo del domicilio coniugale, "mediante trattato fra la stessa Maddalena et Perteghone di lei amante con detto Zoppo mandatario, concordato il premio in un Filippo et una cami-cia". La compartecipazione criminosa era punita con la medesima pena per tutti e tre i complici ma ai due uomini toccava, a titolo di esacerbazione, l'esposizione delle ri-spettive teste nel luogo del commesso delitto (BAMi, 2, f. 66r; si veda anche BAMi, 5, f. 81rv). Per tornare all'annus horribilis d'inizio secolo, terminava invece ancora alla forca la sua esistenza, ai primi di luglio, un certo Antonio Molia detto il Ciereghone "del luogo di Compiano altro de' Stati di S. A. il Signor Duca di Parma" per l'"assassinio", nottetempo e alla strada, di due nobili, il Marchese questore Don Fernando Rovinio e don Cesare Brivio, oltre che dei loro servitori: avendo al seguito altri dieci loschi in-dividui, doveva avere teso un agguato al buio ai malcapitati e si meritava dunque un 532 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 trattamento con esacerbazione, fissata nel taglio della testa e nella relativa sua espo-sizione nel luogo del perpetrato delitto (BAMi, 2, f. 60v; ma si veda anche BAMi, 5, f. 77v). Il 29 marzo a soccombere era stato Domenico Maria Santini da Rimini, condan-nato alla forca per "furto qualificato con replicate fratture commesso nella Casa et in pregiudizio del nobile sig. Carlo Cesare Corio", un nome che contava nella Milano d'allora: oggetto del reato "robbe, argenti, suppellettili et mobili del valore di lire sei mille in circa". Sembrerebbe in ultima analisi, pur con gli occhi di un giudice rigoroso d'ancien régime, una pena troppo severa, ma il Santini non doveva essere certo uno stinco di santo se alle sue malefatte ai danni del nobile milanese si potevano aggiungere - a detta del solito Belcredi - "vita oziosa et vagha, et [...] delazione et rettenzione d'un bastone corto, e tre pistole pur corte, con anzino". Andava meglio al suo "compagno", di imprese delittuose dobbiamo intendere, condannato, oltre che ad assistere all'esecuzione del 'socio', ad essere frustato "pubblicamente per questa città" e indi alla "galera perpetua" (BAMi, 2, f. 60v).15 L'8 luglio, invece, toccava a Domenica Ferraria, detta la Marmotta, di essere de-capitata dopo detenzione nell'Officio Pretorio, "per causa d'un infanticidio et d'haver gettato il proprio figlio in una roggia detta la Zecca": una mamma 'cattiva', 'snaturata secondo una pubblica opinione diffusa nel tempo, ma per ordine del Senato l'esecu-zione veniva sospesa (BAMi, 2, f. 60v-61r; si veda anche BAMi, 5, f. 77v).16 L'annegamento dei bambini non era poi cosi raro se il 20 settembre 1704 toccava a Bernardo Antonio Mandelli di "essere tirrato a coda di cavallo, e di poi sospeso" per il parricidio, "barbaramente commesso", nella persona della figliastra di soli cinque anni, mediante l'annegamento in una roggia vicina al fiume Olona (BAMi, 2, f. 63r; si veda anche BAMi, 5, f. 79v). Il 28 gennaio 1708 un analogo delitto portava all'esecuzione di Giovanni Mag-gione della giurisdizione di Vimercate, "a causa d'aver detto Maggione gettato due proprie sue figlie nel Pozzo di sua abitazione, di quale sono restate sommerse"; una volta "appiccato alla forca", il suo cadavere doveva essere consegnato "per l'anatomia di Pavia". Come si è già potuto vedere e si vedrà in seguito, la violenza all'interno delle mura familiari, ispirata da vari motivi, solitamente non resi manifesti nella do-cumentazione conservata, era purtroppo evento pressoché ordinario (BAMi, 2, f. 65v).17 A servire parimenti la scienza medica veniva destinato uno dei due furfanti, da "appiccare" il 30 gennaio 1710 per la "robbaria con rotture di nottetempo nella casa 15 V. anche BAMi, 5, f. 77v, con la sola notizia della 'sospensione "su la Vetra". 16 Sull'infanticidio cfr. Povolo, 1978-1979, 124; Povolo, 1979-1980, 428-430; Carloni-Nobili, 1975; Carloni-Nobili, 2004: ed. ampliata; Selmini, 1987; Magni, 2005. 17 In BAMi, 5 manca il 1708. 533 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 et a pregiudizio" di due sacerdoti ebrei, che erano stati privati di una discreta somma (£ 13.194) sei mesi prima: dal verbale del Registro non si riesce a sapere quale dei due dovesse essere spedito nell'Ateneo ticinese cadavere "per l'anatomia" poiché la scelta sembrava competere al capitano di giustizia, che poteva provvedervi ad arbitrio ("a mio arbitrio") (BAMi, 2, f. 65v; si veda anche BAMi, 5, f. 81v). Nel 1713 vedeva integrata la sua pena con la 'traduzione' del cadavere alla città di Pavia "ad uso dell'anatomia" era un altro reo di "delitti grevi (sic), furti e robbarie", da impiccare "in modo che moja" (BAMi, 2, f. 67r; si veda anche BAMi, 5, f. 82r). L'avvio del secolo, sul versante crimínale, rappresentava comunque nei tratti es-senziali una società spesso sopraffatta dalla violenza, in balia di bande di malfattori, ancora abbandonata all'arbitrio dei 'prepotenti'e dei bravi che li circondavano. Si prenunciano anche condanne per condotte che si possono ricondurre all'area del crimen laesae maiestatis.18 Cosi la notte tra il 21 ed il 22 agosto 1702 un certo Sebastiano Michelino veniva "strozzato prigione... per aver parlato et operato contro il servizio di Sua Maestà / che Iddio conservi/"; indi si procedeva all'esposizione del cadavere (BAMi, 2, ff. 61v-62r).19 Il 15 ottobre 1704, d'ordine di S. E., era la volta di un certo Filippo Vetrari Fara-buto, reo d'"haver servito di spia et guida a nemici del Re Nostro Signore", giusti-ziato fuori del dazio di Porta Romana ed appeso al patibolo per tre giorni con un cartello al collo che recava scritto il delitto consumato (BAMi, 2, f. 63v; si veda anche BAMi, 5, f. 79v).20 Il 26 ottobre, per ordine della Giunta di Guerra, è invece un caporale, Anton Maria Bia, ad "esser passato per le armi sino alla morte a causa di esser fuggito all'inimico in campagna con arme e cavallo" (BAMi, 2, f. 63v): si trattava in sostanza di una diserzione, non solitaria ma in concorso con altri ("in compa-gnia d'altri"), come si apprende da un diverso Registro (BAMi, 5, f. 79v), con l'inten-zione di passare nelle file del nemico, conclusasi in maniera infausta con la cattura ed 'il passaggio per le armi'. Nel 1705 Giuseppe Conte, chiamato il Barbaro, veniva invece "ammazzato attesa la sua pertinace resistenza", in esecuzione dell'ordine impartito ai soldati della guardia perché lo prendessero "vivo o morto": si era reso colpevole di molti delitti, ma soprattutto di "spionaggio e guida alla partita dei nemici, che entró in questo Stato sotto il comando del Colonnello Fifercon". L'esacerbazione, "acció questa dimostra-zione servi d'esempio agli altri", doveva consistere nell'esposizione in Piazza del Duomo per un giorno del cadavere "appiccato", con un cartello appeso indicante il 18 Cfr. Sbriccoli, 1974; Sbriccoli, 2002, 178 ss., ove si pone in luce la centralità del reato politico nello sviluppo della costruzione di un diritto penale moderno. 19 V. anche BAMi, 5, f. 78r: anziché "parlato", nel ms. si legge "sparlato". 20 Era in corso di svolgimento la guerra di successione spagnola (1702-1714), seguita alla morte di Carlo II di Spagna avvenuta il 1° novembre del 1700; la Lombardia era coinvolta nel conflitto, che vedeva schierati da una parte i franco-spagnoli e dall'altra gli austriaci. 534 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 delitto, a cui seguiva il taglio della testa, destinata ad essere trasferita nella città di Cremona per essere posta "sopra una colonna in gabbia di ferro con l'inscrizione sud-detta" (BAMi, 2, f. 64r; si veda anche BAMi, 5, f. 80r). Il 9 dicembre dello stesso 1705 un altro traditore finisce alla forca per "avere cooperate all'ingresso dei nemici di S. M. Cattolica nella città di Cremona", avvenuto il 1° febbraio 1702: a costui toccava di avere poi troncata la testa, che sarebbe stata spedita a Cremona e li posta in una gabbia di ferro sopra una colonna, con l'iscrizione recante il delitto di cui si era macchiato: gli eventi descritti in maniera stringata ri-chiamano alla memoria la guerra di successione spagnola apertasi alla morte di Carlo II di Spagna (BAMi, 2, f. 64rv; si veda anche BAMi, 5, f. 80r). E questa sembra essere sullo sfondo anche nelle "robberie ed omicidi" commessi dal 'Biancone' ed altri, puniti a fine settembre 1704 con la forca e le rituali esacerba-zioni: le vittime di alcuni dei loro delitti sono "soldati francesi", "francesi", derubati e poi uccisi "con omicidio barbaramente commesso" "o con barbaro omicidio proditoriamente commesso la notte del mercoledi santo p.p." (BAMi, 2, f. 63rv).21 Il 29 gennaio 1707 si decretava invece che un certo Leopoldo Marotti fosse "ap-piccato" a causa delle "esecrande e reiterate imposture in materia di lesa maestà (non si specificava in che cosa fosse consistita nei dettagli la condotta criminosa, ma la pertinenza dei delitti all'area della 'lesa maestà'22 aveva indotto senza dubbio i giudici ad una severità maggiore) da esso Marotti fatte in pregiudizio di alcuni nobili, es-pressamente indicati nella persona del Conte Don Giovanni Guasco, di un marchese e di un abate: una volta eseguita la condanna capitale, e l'esposizione del cadavere per tutto il giorno (a titolo d'esacerbazione), si dava ordine di destinarlo "per l'anatomia dell'Università di Pavia" (BAMi, 2, f. 65r; si veda anche BAMi, 5, f. 80v). Una condanna, del conte Giulio Biancani, questore nel 1742 del Magistrate dei redditi ordinari,23 sale agli onori della cronaca: Pietro Verri, assieme a Giuseppe Go-rani, la rievocherà stigmatizzando la vicenda ed elevandola a paradigma di una giu-stizia atroce, prevaricante e corrotta: "Le atrocità, le prepotenze non avevano confine, il Governatore Pallavicini fece andare al patibolo il Conte Biancani sebbene non fosse provato reo di Stato. Maneggio, protezione, riguardi, pecunia questi erano i princi-pali agenti de' correttissimi tribunali che il popolo stolidamente venerava" (AV, 1; Agnesi, 2001, 218).24 In realtà il conte (dal 1738) Giulio Antonio Biancani, "Regio feudatario d'Azzate, questore nel Magistrate ordinario e prima segretario del Senato Ecc.mo, figlio del 21 V. anche BAMi, 5, f. 79v (con minori dettagli). 22 Sull'importanza strategica sul versante politico del delitto di lesa maestà, già qui rilevata, e sul pro-gressivo estendersi del suo raggio di azione cfr. Sbriccoli, 1974; Sbriccoli, 2002, 178 ss, nonché supra nota 18. 23 V. Arese, 1983, 581, ove è indicata la decapitazione al 24 novembre 1746. 24 Ora in Barbarisi, 2003, 561. V. anche Gorani, 1989, 69-73. 535 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 quondam Pietro milanese", pareva avere compiuto nella sua carica delle speculazioni disoneste che, scoperte dal governo, potevano condurlo ad una condanna infamante. Per sfuggire al suo destino aveva preso contatti con il nemico, fornendogli suggeri-menti intorno al modo di sorprendere l'esercito austriaco. Era entrato quindi con il principe Don Filippo in Milano, dove era rimasto fino al momento del ritorno degli Austriaci. Allora incominciavano ovviamente i suoi guai giudiziari per il tradimento consumato, che culminavano nella decapitazione, avvenuta il 26 novembre 1746 con il consueto apparato solenne previsto per i nobili, accompagnata dalla confisca di tutti i beni, tanto feudali quanto allodiali, e dalla cancellazione delle sue insegne gen-tilizie, ovunque si trovassero. Nei Registri dei giustiziati (prendo i sette capi d'imputazione dal ms. Ambros. G 127 suss.) venivano a lui attribuite diverse azioni configuranti un crimen laesae maiestatis: "I. Per avere venduto e trasmessi diversi generi alle Truppe spagnole nimiche in Pavia, in gravissima offesa di S. M. Regia Imperiale la regina d'Ongheria, e di Boemia Maria Teresa d'Austria. II. Per essersi portato dall'inimico in San Columbano, nel tempo che tuttavia questa Città, e la maggior parte dello Stato era per anco sotto il dominio di S.M.R. Imperiale. III. Per aver abbozzati due scritti, e con essi insinuato e tanto che chiamati fossero lui e gli altri compossessori, a prestare inimico giuramento di fedeltà, ed avere inoltre suggeriti e prestati mezzi pel sosten-tamento dell'esercito nemico. IV. Per essere disertato e sottrattosi scandalosamente dal dominio ed obbedienza della detta S.M.R. Imperiale. V. Per avere in seguito co-operato alla sorpresa fattasi da' nemici in Sant'Angelo delle truppe austriache il giorno 11 novembre del prossimo scorso anno 1745, ed a quanto male è accaduto in detta occasione, mediante il perverso consiglio, assistenza, aiuto e favore da lui prestati al corpo delle Truppe nemiche. VI. Per avere impetrato ed ottenuto dall'inimico la carica di assessore e la medesima esercita in disservizio della detta M.S.R. Imperiale, ed a vantaggio dell'esercito nemico. VII. ed ultimo per avere fatta provvista de' grani anche contro l'istituto di suo impiego di assessore nel Lodigiano e Cremasco, e ten-tato di farne nello stato veneto a sostentamento delle truppe nemiche, in gravissimo pregiudizio della medesima Maestà Sua Reale Imperiale, e di questo Stato" (BAMi, 5, ff. 100r-101r; si veda anche BAMi, 2, ff. 126rv; Benvenuti, 1882, 472-474). Non si puó certo affermare che il conte Biancani si fosse comportato con lealtà e correttezza nei confronti degli austriaci, quanto meno prima della diserzione se non dopo, pur con l'ombra gettata da Pietro Verri sulla consistenza del castello probatorio, impiegato dagli inquirenti per supportare le incriminazioni. Quanto al cerimoniale messo in atto per questa occasione, il Registro prima men-zionato attesta la sequenza degli atti compiuti, che avevano avuto come protagonista il condannato. Costui era stato il 24 novembre, quindi due giorni prima dell'esecuzio-ne, 'tradotto' dal Castello alle Carceri pretorie, dove era stato subito "posto in Con-fortatorio" (con la cooperazione, è scontato, dei membri della Compagnia di S. Gio- 536 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 vanni Decollato), quindi il 26, "essendo il paziente vestito, in abito talare e gran cappa a lutto, essendone lo struscino sostenuto da Paggio pure a scoruccio", era stato "dalla Scuola di S. Giovanni (preceduta e susseguita da quattro squadre militari [...J, due d'Infanteria e due di Cavalleria) condotto sul luogo del supplizio, posto sopra un gran palco coperto in gramaglia", attorniato da una squadra di dragoni già lí sistema-ta. Il cadavere era stato poi trasportato a S. Giovanni alle Case Rotte, nel cui atrio era stato ricevuto da dodici sacerdoti e dai "Signori Scolari" alla porta della Chiesa, con quaranta torce accese somministrate dalla vedova superstite (BAMi, 5, f. 100rv). Se il comportamento del Conte Biancani sfugge alla mia classificazione di 'ordinaria delinquenza' (pur consapevole, come ho già messo in rilievo, che il tradimento non fosse poi evento cosí raro), si poneva come abbastanza raro pure il caso di si-mulazione di status sacerdotale, verificatosi nel 1704. Si mandava cosí al rogo Gian Giacomo Molino, novarese, perché, simulando la sua appartenenza all'ordine sacerdotale, integrava "veemente sospizione d'eresia", essendo inoltre reo di "havere come falsario continuato a celebrare più messe, et a somministrare li Sacramenti della Penitenza ac Eucaristia in diversi luoghi ed a diverse persone" senza esser sacerdote: la condanna si eseguiva il 6 marzo 1704 ad opera dell'autorità secolare, in adempimento di un ordine dell'autorità ecclesiastica, identificata nel "Santo Officio dell'Inquisizione di questa città" (BAMi, 2, f. 62r; si veda anche BAMi, 5, f. 79rv). O - si spera, quanto a straordinarietà - l'altro di un 'insulto', vale a dire nel caso di specie, di atti di violenta aggressione compiuti nei confronti di un nano, protetto da un notabile milanese. L'episodio, tramandato dai Registri unitamente a molti altri dettagli tali da arricchire il profilo criminale dei condannati, aveva colpito la memoria popolare se Pietro Verri (seguito da Francesco Cusani) raccontava in una sua Memoria di "alcuni giovani riscaldati dal vino i quali, avendo insultato a un nano del Senatore Goldone, senza pero nocumento, vennero impiccati per titolo di tumulto se-dizioso" il 3 luglio 1737 sul corso di Porta Vercellina: si trattava di quattro giovani ventenni, Giuseppe Restelli, Francesco Bellone, Carl'Antonio Appiano e Francesco Pirone, che avevano minacciato il 9 maggio 1737 Giuseppe Grassi, soprannominato il Peppone, nano guarda-porte del marchese Pietro Goldoni Vidoni, senatore dal 1711 (Arese, I9S3, 5S7). Tanta velocità nel porre termine con esito letale al processo di-pendeva con buona probabilità dall' "impegno" che il senatore, vittima indiretta della leggera offesa, ci aveva messo per ottenere una pronta punizione di coloro che ave-vano osato offendere lui e il suo entourage (BAMi, 2, ff. 9Sr-99r; anche BAMi, 5, ff. 91v-92r; v. poi AV, 1; Agnesi, 2001, 21S, ora in Barbarisi, 2003, 561. V. anche Cusani, IS6I-IS73, II, 2S6-2S7). O è abbastanza rara in quell'età l'imputazione di fabbricazione e spaccio di mo-nete false che, tra il XVI ed il XVII secolo, aveva condotto alla forca (in un caso ad essere "strangolato ed abbrugiato") parecchi malfattori ma non sembrava altrettanto 537 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ... , 521-564 diffusa nel Settecento:25 nell'epoca qui considerata tocca a Pietro Giovanni de' Ema-nuelli detto il Barcelloneta "del luogo di Gusier della Valle di Barcellona giurisdizio-ne di Nizza di Provenza" di essere "strangolato in modo che moja" come reo confes-so di "molte fabbriche di doppie, doppioni da quattro, e da due false simili a quello del stampo di Spagna, e di filippi falsi in diversi luoghi fuori di questo Stato et anche di simili doppie nel luogo della Torbera fori di Porta Vercellina di questa città" (BAMi, 2, f. 70v). Sono documentati con scarsa frequenza anche reati sessuali, come quelli com-messi da Francesco Maltagliati ai danni della "Persona et honesta di Marta Maietta", poi barbaramente uccisa con colpi di coltello "per non essersi voluta arrendere alle inhoneste di lui voglie" in un bosco, intorno a Nervino, e ancora ai danni della "Persona et honestà di altra donna maritata" perpetrato in altro sito" (BAMi, 2, f. 72v) (sembra che in questo caso vi fosse stato un semplice tentativo): dunque a carico del Maltagliati vi erano gli estremi di uno stupro violento e di un omicidio, cui si ag-giungeva un tentato stupro, si che il violentatore 'meritava', con sentenza pronunciata dal Senato il 2 dicembre 1721, l'impiccagione, esacerbata dal taglio della testa e con-seguente esposizione della stessa in una gabbia sopra la strada pubblica nelle vici-nanze del luogo del commesso delitto. O quelli perpetrati da un certo Antonio Cereghetto, "armato di palosso26 in com-pagnia di altri [...] pure armati"": il ratto violento si era consumato nei confronti di "una figlia nubile", violentemente rapita dalla bottega e casa del proprio padre, "sanabilmente ferito con colpi di palosso in tempo che si opponeva al ratto suddetto" in-vano, cercando di salvare l'onore della propria discendente, che infatti veniva, dopo il ratto, "conosciuta carnalmente non solo ma [...] successivamente esposta alla libidinosa prostituzione d'altre persone": la decapitazione, avvenuta il 13 dicembre 1742, era il naturale epilogo non solo di quella condotta ma quantomeno di "altro insulto armato di palosso con evaginazione del medesimo [...] nella persona di Clara Olzera e successive percosse date alla medesima, per avergli negata la copula da esso con violenza tentata", e d'altro "insulto", un mese dopo, nei confronti della medesima Clara Olzera, accompagnato da furto di denaro ed oggetti di valore (BAMi, 2, ff. 106v-107r; anche BAMi, 5, f. 94v). O ancora le condanne per sodomia, quasi assenti lungo il XVIII secolo (ma più numerose nei secoli precedenti; Benvenuti, 1882, 448, 452-45321) tra le carte dei no- 25 V. Benvenuti, 1882, 459-463, ove sono riportate numerose condanne per falsificazione di monete, a partiré dal 1528 e, a seguire, nel 1546, nel 1562, nel 1563, nel 1574, nel 1575, nel 1580, nel 1581, nel 1589, nel 1594, nel 1602, nel 1603, nel 1615, nel 1616, nel 1617, nel 1619, nel 1623, nel 1647, nel 1652, nel 1659, nel 1667, nel 1669, nel 1676, nel 1678, nel 1685 ed infine nel 1717. 26 Palosso e il nome di una spada larga di lama ad un solo taglio, atta a colpire mortalmente. 27 In Benvenuti, 1882, 448, 452-453 sono riportate condanne al rogo nel 1565, nel 1572, nel 1573, nel 1574, nel 1611, nel 1615. 538 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 stri Registri. Cosi un concorso di reati, che sembra meritare specifiche modalità ese-cutive, è registrato sotto il 29 marzo 1710: un reo confesso di sodomia passiva e con-tinuata per lungo tempo col proprio padrone, poi da lui ucciso con "omicidio proditorio commesso con successiva robbaria ...", colpevole insieme di "delazione di armi dell'una e dell'altra sorte", veniva condannato ad essere "appiccato nel luogo solito et indi ad essergli tagliata la testa et esposta nella strada pubblica vicino a Boschi di Longhignana" (BAMi, 2, f. 66r).28 Più di mezzo secolo dopo, un'altra condanna al rogo per sodomia era polemicamente censurata da un Pietro Verri aperto alle istanze riformistiche dei lumi e pronto ad esecrare con accenti di aspra indignazione il dominio incontrastato dell'autorità dei dottori, causa a suo avviso di una condanna capitale portata ad esecuzione a Milano qualche anno prima: "L'anno 1764 un Pederasta fu in Milano gettato nelle fiamme per sentenza de' nostri dottori". In una Memoria, scritta dopo il suo brusco 'congedo' dai pubblici uffici, l'episodio ritornava con una nota di compassione per lo sventurato, reo di quella sola condotta non meritevole di un simile castigo: "Certo Bartolomeo Luisetti, uomo che non aveva mai in vita sua commesso misfatto, fu strozzato e poi bruciato come sodomita per sentenza del Senato" (AV, 2).29 Non si trattava di un ricordo privo di fondamento: le fonti al centro di queste pagine ci riportano infatti altri particolari di dettaglio, non soffermandosi tuttavia, a dif-ferenza di quanto avviene per la 'registrazione' di altre sentenze capitali, sul titolo del reato. In un manoscritto si legge: "1764. 10 aprile. Bartolomeo Luisetti abbruciato. Sovra Relazione dell'Egregio Signor Dottor Collegiato Don Cesare Lampugnani Giudice al Segno del Gallo è stato questa mattina dal Senato Eccellentissimo con-dannato per titolo nefando Bartolomeo Luisetti figlio del quondam Antonio della Villa Albese Pieve d'Incino di questo ducato ad essere condotto alla Piazza detta del Brolo nanti S. Stefano di questa città, ed ivi primieramente soffocato, ed in appresso abbruciato; e dovendosi la sentenza eseguire la mattina di giovedi 12 corrente aprile si prega perciô V. S. volersi ritrovare all'Oratorio nostro il suddetto giorno alle ore 15. per fare la solita carità di accompagnare il detto condannato dalle Carceri Pretorie alla riferita Piazza, e si prega non mancare.". In quell'anno è l'unica sentenza capitale eseguita a Milano, la cui memoria è tramandata, come si è detto, da più documenti: se pure si nutrissero dubbi sull'identificazione del Luisetti con il condannato ricor-dato da Verri, questi sarebbero tuttavia attenuati da ulteriori concordanti, più significative testimonianze. Un altro testimone manoscritto non lascia infatti dubbi sulla tipologia del reato di cui il soggetto si era macchiato: il discreto "titolo nefando" di- 28 In BAMi, 5, f. 81r si faceva menzione del solo "omicidio proditoriamente commesso [...] con successiva robbaria". 29 V. l'edizione nel saggio di di Renzo Villata, 2003a, 831-923; lo stesso Pietro aveva ricordato l'episo-dio, che sembrava avere colpito nel profondo la sua immaginazione, in Memoria del Conte Pietro Verri; Barbarisi, 2003, 561). 539 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 viene "titolo nefando di sodomía",30 che nel corso dei secoli (nel Cinquecento con particolare intensificarsi negli anni immediatamente successivi al Concilio di Trento) porta al rogo a Milano numerosi colpevoli.31 Le Nuove Costituzioni, del resto, non ammettevano deroghe nella loro portata precettiva imponendo che i sodomiti, "tam agentes quam patientes, igne comburantur".32 l DELlTTl PlÙ RlCORRENTl ATTRAVERSO l DECENNl Già, attraverso la catena di delitti che caratterizzó i primi anni del XVIII secolo, è emerso un dato incontrovertibile, l'assoluta preponderanza, sotto il profilo quantitati-vo, delle robberie ed omicidi: non solo dunque furti violenti, commessi da briganti per le strade manu armata, ma, abbastanza spesso, omicidi compiuti in concorso con le prime o per via delle prime, quasi strumento, probabilmente imprevisto in molti casi, per portarle ad esecuzione. l reati contro il patrimonio - non c'è da meravigliarsi - parevano assorbire l'atten-zione dei giudicanti e della società coeva. Si pensava perció di rimediare e di arginare l'ondata di delinquenza di tal fatta, che sembrava inarrestabile, con pene rigorose, in linea con una tradizione consolidata, vecchia di secoli, diffusa ovunque, in parte ed in qualche area andata in disuso nelle sue punte più esasperate.33 Né sembrava sortire 30 Cfr. BAMi, 3, 356, ove si trova la locandina a stampa che annuncia la prossima esecuzione; in senso conforme ivi, BAMi, 2, f. 168r; con varianti e la precisazione del delitto di sodomia, BAMi, 5, 120: "1764. 12 aprile. Bartolomeo Luisetti [...] è stato [...] soffoccato ed abbrugiato per titolo nefando di sodomia, e ció per sentenza dell'Eccellentissimo Senato 10 corrente sopra relazione del Signor Dottore Collegiato Don Cesare Lampugnani Giudice al Segno del Gallo"; anche analoga indicazione in BAMi 1, s.n. ma (se si vuole numerare) f. 110 v; sul secondo un cenno già in Cantù, 1862, 319; Benvenuti, 1882, 442-482; Cavanna, 1975, 188 ss. (spec. nt. 425 s. e 443); Massetto, 1994a, 110-111; Massetto, 1994b, 335-336. 31 Per altre condanne alla pena capitale a Milano cfr. ad es. "1565. Adi 12 luglio, Giustizia fatta in Bordello, fu abbruggiato un Nicolao da Cerminà, stava a Deso per sodomia" (ed. in Benvenuti, 1882, 448; "1572. 28 agosto: Giustizia fatta come sopra abbrugiato un maestro di scuola [...] per sodomia, qual abbittava nella Contrada..."; "1584. 29 novembre: Giustizia fatta come sopra abbrugiato un Giovanni Borgognone per sodomia; era maestro di Giustizia" (in BAMi, 4, rispettivamente f. 32v e 36r); ve ne sono anche nel 1611, nel 1615: si veda Benvenuti, 1882, 448, 452-453. La storiografia ha rivolto non scarsa attenzione ai reati sessuali negli ultimi decenni: cfr. per il diritto canonico Brundage, 1987; v. poi il volume di Studi Storici, 1986, dedicato alla tematica, di cui fanno parte i saggi di Comba, 529576; Dubuis, 577-607; Mazzi, 609-635; ma cfr. anche Comba, 1991, 33-56 e gli studi di Canosa, 1991; Canosa, 1993. Per la Francia v. da ultimo Otis-Cour, 1996, 335 ss.; e già spec. Carbasse, 1974, 300338. Sui toni di vibrante accusa nei confronti della sodomia cfr. ad es. Bossi, 1562, 339-340. 32 Novae Constitutiones Dominii Mediolanensis, 1541, lib. IV tit. de poenis, § sodomitae, 134. 33 Cfr. ad es. il Regno di Napoli, dove vigeva una disciplina per il furto rigorosissima, a partire dal cap. ad hoc ut nostrorum di Carlo d'Angió, che comminava la pena di morte per il furto superiore all'oncia (fino alle prammatiche de furtis) non applicata dai giudici, censurati poi da Francesco Rapolla per la loro 'disobbedienza' istituzionale: Alessi, 1973, 542 ss., con particolare considerazione della posizione di Rapolla espressa in Rapolla,1744, 63; Rapolla, 1778. Considerava Rapolla un sanguinario Cordero 540 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 molti effetti benefici l'azione del governo di Milano che, ben conscio della situazione, interveniva talora con gride assai severe, come succedeva nel 1741 contro gli oziosi, i vagabondi ed i mendicanti, i "borsaruoli" e i ladroncelli", colpiti da pene aggiuntive ri-spetto alle edittali, in conformità alle Nuove Costituzioni (Massetto, 1994b, 385; v. grida 7 luglio 1741 in ISDMM 1, segn., 67.03.M.6/3.), o nel 1757, quando si prevedeva l'impunità per chi uccidesse talune categorie di malviventi, in particolare pozzolaschi e alessandrini, di tal fama "che altre partite di malviventi fingendo la qualità, e la favella d'alessandrini [...] per le medesime maniere saccheggiano a loro esempio le case di campagna" (Capra-Ciserani, 1991, 5; v. grida 11 agosto 1757 in ISDMM 1, alla data). Come si è osservato, traendo argomento da alcune fonti archivistiche dell'epoca, il Ducato era 'infestato' da criminali delle aree contigue: non di rado infatti, l'origine del condannato, specificata nel verbale o evidente nel soprannome, tradisce la prove-nienza. Cosi il 13 gennaio 1759 si pronunciava sentenza d'impiccagione proprio per tre abitanti "della terra di Pozzolo Formigara Tortonese (del cadavere di uno di essi si fissava la consegna "alla regia Università di Pavia per l'uso anatomico") come "rei costituiti della contravvenzione alli proclama pubblicati in questo Stato di Milano, concernenti il bando degli abitanti della villa di Pozzolo Formigara suddetto e delle ville di Castellazzo e Castel Fè nell'Alessandrino e segnatamente a quello dell'11 agosto 1757". Costoro, oltre all'avere trasgredito il bando raggiungendo il Monte di Brianza (nel Ducato), erano colpevoli di contrabbando di quattordici balle di tabacco "a pregiudizio della Ferma Generale, della scandalosa temeraria opposizione [...] ad una squadra di soldati ussari", uno dei quali, il battitore, era stato da loro ferito mor-talmente, privato dei suoi averi e del cavallo, "anche unitamente ad altri pozzolaschi ed alessandrini parimenti armati" (BAMi, 2, ff. 156v-157r). Accennavo prima che, lungo l'arco di circa ottant'anni,34 le condanne per "robbe-rie ed omicidi", per furti qualificati, sono numerosissime ed assolutamente sover-chianti rispetto alle altre: se ne puó agevolmente ricavare una consistente presenza del fenomeno del brigantaggio (Solavaggione, 1970, 23-49, 374-419; Cavagna, 1984, 288-301), caratteristica costante del periodo, ad onta del minaccioso apparato repressivo, non disposto ad inclinazioni benevole verso simile genia di malfattori. Qualche esempio ulteriore, con particolare ma non esclusivo riguardo al periodo 1730-1770, in cui - come è stato constatato - si verificó il più alto numero di condanne a morte, varrà a dare ancora maggiore fondamento a quanto sono andata af-fermando. (1985), 495. Da ultimo v. le pagine di di Renzo Villata, 2003b, CCLXIII-CCXCIX, con varianti anche di Renzo Villata, 2004. 34 Dal 1700 al 1783 circa. 541 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 Il 24 febbraio 1729 si decideva infine la forca per un ladro, soprannominato il di-sperato, che, condannato a sei anni di galera, da scontare nel "lavorerio" del Reale Castello di Cremona, con successivo perpetuo bando, era di li fuggito nel settembre 1726 ed aveva commesso diverse 'robberie', un "bestiale omicidio" in un'osteria, "concussioni sotto mentito pretesto d'Officiale della Mercanzia", delazione d'armi e "mutazione del nome e cognome" (BAMi, 2, f. 83r).35 Il 20 settembre 1731 la forca attendeva Giovanni Colombo, reo di furti, diverse ruberie e tentate ruberie (BAMi, 2, f. 87r); il 26 novembre Andrea Lachino, reo con-fesso di "vita vaga ed oziosa, di delazione d'armi anche di minor misura, di furti di-ciassette e di sei robbarie" (BAMi, 2, ff. 88v-89r); il 29 novembre Piero Maria Li-boldo, che aveva al suo attivo una 'robbaria alla strada' con tentato omicidio con ben ventidue percosse con badile e falce a pregiudizio della sua vittima (BAMi, 2, f. 89r); a inizio aprile del 1732 Antonio Brancolino, colpevole di diverse "robberie alla strada" (BAMi, 2, f. 89rv). Il 22 novembre 1736 la medesima punizione si irrogava a tre soggetti, "armati di palossi", colpevoli di una ruberia alla strada con minacce di morte, atti tirannici e fe-rite, e di un'altra tentata "ruberia [...] con la qualità proditoria d'essersi li suddetti condannati prima accompagnati e viaggiato con gli stessi cavallanti in figura d'amici e viandanti" (BAMi, 2, f. 98v; anche BAMi, 5, f. 91v). Il 12 giugno 1745 quattro ladri colpevoli di 'robberie' e furti qualificati erano "ap-piccati", di questi due subivano la previa amputazione della mano destra; indi, dopo l'esecuzione, era "appesa allo stesso patibolo la loro rispettiva mano, lasciati li detti quattro cadaveri e le quattro mani troncate appese tutto il giorno al suddetto patibo-lo". Un quinto invece si 'salvava' dall'estremo supplizio ma non dall'amputazione di "amendue le mani sotto il patibolo e queste appese al medesimo": delle quattro mani appena menzionate le altre due dovevano essere quelle di Giuseppe Torre che, dopo la mutilazione, era rimesso in libertà e "tradotto d'indi al Venerando Ospital Maggio-re di questa città" (BAMi, 2, ff. 116v-117r; anche BAMi, 5, ff. 97v-98r). Passano gli anni e le robberie ed omicidi continuano ad intervalli più o meno rav-vicinati: basta scorrere le pagine dei nostri Registri e il dato si rivela in tutta la sua ampiezza. È un flagello che l'autorità pubblica non riesce a debellare, nonostante i provvedimenti via via presi. Nella lista, quasi interminabile, di furti e "robberie", spiccano alcune 'specializza-zioni': quella che ha ad oggetto furti sacrileghi, presenti in folto numero nelle crudeli 'catene' di delitti puniti con la pena capitale, pone anche in evidenza quanto il patrimonio ecclesiastico, ingente per quantità e valore artistico, conservato in luoghi di culto sparsi per il Ducato senza adeguati sistemi di sicurezza, su rotte a volte non fre-quentate, potesse essere allora facile bottino di uomini dediti ai saccheggi. 35 V. anche BAMi, 5, f. 88r, ove il condannato era identificato come Pietro Sperati. 542 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 Il 14 febbraio 1711 finivano impiccati quattro soggetti, dei quali uno aveva com-messo diverse "robbarie alla strada armata mano", tra le quali una in particolare "in vicinanza del Monastero di S. Lucia", nel precedente settembre, "nella persona et a pregiudizio del Reverendo Padre Domenico Bonaventura Domenicano notaro del S. Officio di Pavia con ferite mortali" (BAMi, 2, f. 66v).36 Il 19 settembre 1711 capitava a tre soggetti di essere "appiccati" sopra la Piazza del Duomo "per diverse robbarie da essi commesse in molte Chiese"; anzi per uno dei tre, Carlo Francesco Rosso, forse la mente del gruppo, il 'rito' prevedeva che "fatto cadavere, se gli debbano far tagliare la mano dritta, e la testa, e quelle ponere in gabbia di ferro sopra una colonna al principio del Stradone, che conduce alla Chie-sa della Beata Vergine di Caravaggio": l'amputazione per i ladri della mano destra, di antica origine, un'esacerbazione, rivestiva un'indubbia efficacia di prevenzione generale, mentre si puô dedurre dal luogo scelto per l'esposizione della mano e della testa che una delle chiese, oggetto delle 'attenzioni' dei ladri, fosse stata proprio la Chiesa della Beata Vergine di Caravaggio (BAMi, 2, f. 66v; anche BAMi, 5, f. 81v).37 Era una 'specializzazione' che si accompagnava invece ad altri numerosi reati, commessi da chi pareva esercitare per mestiere il crimine, quella emergente dalla condanna, il 6 luglio 1726, di un "famosissimo ladro ad esser tirato a coda di cavallo da questo Regio Officio al luogo solito della Vedra, et ivi troncatagli la mano destra, appiccato, e restar appeso il cadavere per tutto il giorno, e poscia troncata la testa da esporsi sopra la colonna di legno [...J come reo confesso di sette robbarie alla strada dal medesimo e compagni armati, commesse in diversi tempi [...J e dell'attentato nella seguente notte 17 settembre alla pubblica strada presso Corsico contro li nobili [...J mediante anche cinque archibugiate dal suddetto reo e compagni sbarate, d'altri sette furti, e robbarie sacrileghe con rotture da esso e compagni commesse nell'anno 1719 in diverse chiese, [...J a pregiudizio della parrocchiale di Vermezzo [...J, a pregiudizio della parrocchiale di Belgioioso, altra di tutto l'ornamento d'argento levato dalle sacre suppellettili della Parrocchiale di Lodi vecchio, ed altra [...J a pregiudizio di quella di Mandriano, come pure dell'atroce proditorio omicidio dal suddetto e compagni commesso nella persona di Carlo Agostino Canetta altro loro compagno [...J, d'altre sei robbarie in diversi luoghi e tempi anche con rotture e specialmente di quella effettuata la notte del 23 maggio 1723 nell'osteria di Casal Volone novarese con barbaro e proditorio omicidio di quell'oste [...J e con atti tirannici contro la moglie di detto oste ": erano ben poca cosa in confronto le solite imputazioni aggiuntive di vita oziosa e vagabonda e delazione di armi (BAMi, 2, f. 80v; anche BAMi, 5, f. 87r). Il 1o febbraio 1727 un certo Giovan Battista Sacco di Ponte Longo Pavese terminava i suoi giorni "appiccato" (il suo cadavere veniva spedito a Pavia "per l'anatomia") 36 Si veda anche BAMi, 5, f. 81v, senza l'indicazione dell'omicidio ai danni del frate domenicano. 37 Si veda ad es., per il significato dell'amputazione della mano, Calisse, 1906, 385. 543 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 "a causa di robberia sacrilega con rottura dal suddetto, armato di pistola, e compagni commessa alla notte di Pentecoste dell'anno 1724 di sei tovaglie d'altare, una coperti-na e due pezzi di candele in una chiesa del pavese", integrata da un altro furto com-messo insieme ad altri undici compagni armati, dalla solita imputazione di vita oziosa e vagabonda e delazione d'armi, nonché da altri delitti "de' quali è stato fatto reo dalla Curia Pretoria di Pavia" (BAMi, 2, f. 81v; anche BAMi, 5, f. 87v). Il 14 gennaio 1730 un altro individuo, Gerolamo Bino, appellato il Bresciano, andava incontro alla forca ed alle esacerbazioni consuete per "sacrilega robbaria d'una lampada, croce, turibolo e navicella tutti d'argento, e di denari [...] nella Chiesa Prepositurale del predetto borgo di Trezzo" (BAMi, 2, f. 84r; si veda anche BAMi, 5, f. 88v). Un po' meno ricco l'itinerario criminoso (ma analogo sul versante delle tipologie di reato ricorrenti) che emerge dalla condanna ad essere "appiccati", da eseguire il 30 aprile 1731, a carico di cinque farabutti: uno, "Bartolomeo Colombo detto il Prete, figlio dell'Ospitale di Lodi", era dunque un trovatello. Si aggiungeva un seguito di esacerbazioni, consistente nell'esposizione del loro cadavere per tutto il giorno e per uno di essi un 'preliminare' mediante tiro a coda di cavallo al luogo del patibolo: era-no stati accusati di molteplici fatti, dalle "molte robbarie massime sacrileghe con mano armata di notte da S. Martino prossimo passato sino al giorno della loro decezione 14 marzo prossimo scorso" (in un mese e mezzo si concludeva il processo fino al-l'esito indicato), compiute con strumenti idonei "con anche atti tirannici ed esplosioni contro alcune persone commesse in molte chiese di questo Ducato, del Pavese e del Lodigiano", oltre che per un omicidio commesso nei confronti di un loro compagno, poi spogliato di "denari, armi e robbe", di un'altra "robbaria con altri compagni armati attentata il luglio dell'anno prima contro un certo 'fittabile', colpito si da causar-gli otto ferite "per lo più mortali", mentre alla famiglia, ugualmente bersaglio della violenza dei briganti, sembrava essere andata meglio se nel verbale la si menziona solo come vittima di tre archibugiate. A confronto con simili azioni delittuose quasi scompariva la sequela di altre imputazioni, che andavano dalla vita oziosa e vagabonda alla delazione di armi proibite, dalla concussione ai danni dei 'fittabili' "estor-quendoli armata manu il vitto", sino a atti di "opposizioni contro gli esecutori della giustizia", probabilmente integrati da atti di resistenza alla cattura poi seguita (BAMi, 2, f. 85v; anche BAMi, 5, ff. 88v-89r). Il 14 agosto 1732 chiudeva la sua esistenza 'appiccato' un altro ladro sacrilego, che aveva depredato una chiesa parrocchiale di S. Giulio d'Orta ed un'altra chiesa sul Lago Maggiore, pronto a "sbarrare la pistola contro chiunque fosse capitato" (BAMi, 2, f. 89v). Il 19 gennaio1735 un furto sacrilego di una pistola nella Chiesa di Barzanó, dove "prima di suo pieno consenso era stata appesa in voto", oltre ad altri reati, come le replicate minacce contro un alfiere, ma piuttosto esplosioni di pistola e le ferite mor- 544 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 tali alla gola di una giovane nubile mediante un'archibugiata, erano la causa della de-capitazione di Paolo Canale (BAMi, 2, f. 94v). Nei primi mesi del 1736 si consumava in maniera violenta un'altra vita per "molte robberie", tra le quali "tre furti sacrileghi commessi dal condannato nella Chiesa Collegiata di Corbetta, delle granate, collo di perle, e dell'anello dall'effigie della Beata Vergine e delli denari dalle cassette dell'elemosine, medianti replicate rotture delle medesime, e particolarmente poi per la sommamente grave scandalosa e sacrilega robbaria dell'Ostensorio del valore di Filippi cento con rottura della portina del tabernacolo nella medesima Chiesa Collegiata di Corbetta [...J"; in un altro mano-scritto erano invece indicati quali oggetti delle 'robberie' sette tovaglie ed un fazzo-letto, de quali erano ornati li altari in Santo Salvatore", una chiesa nella pieve di Rosate (BAMi, 2, f. 96r; anche BAMi, 5, f. 91rv). A fine agosto del 1741 un bustocco subiva sulla piazza del Duomo il solito rituale della forca, del taglio della testa e dell'esposizione della stessa, in gabbia di ferro so-pra una colonna di legno con il cartello recante i consueti dati, per ruberia, mentre ad un altro compagno di sventure le cose andavano peggio perché veniva "tanagliato per due volte sopra le spalle nel viaggio, indi appiccato, e poscia troncata la testa e mano sinistra"; seguiva il solito rituale dell'esposizione in gabbia di ferro posta pure su una colonna di legno con cartello al sito della "ruberia seconda". Erano colpevoli il primo della "gravissima e scandalosa robbaria alla strada di centosettanta ongari circa in denari insieme al secondo; il secondo, oltre che della stessa "ruberia", di "mutazione del proprio nome" in quello di Andrea de Luca, di furti ed altre "gravissime e scan-dalose ruberie" "parimente alla strada con eccessivo ardire dal medesimo ed altri compagni" commesse armata manu, in particolare di una ai danni di monsignor Gia-cinto Porporati, vescovo di Saluzzo, del fratello cavaliere e dei loro domestici, "mentre in due sedie di posta venivano in questa città di Milano", dell' "attentata suc-cessiva ruberia", perpetrata nelle stesse circostanze temporali contro "Monsignor de Sales, vescovo d'Agosta", tuttavia meno inerte del primo: costui infatti, "che ritrova-vasi in altra sedia da posta [...J per necessaria difesa della propria vita fu astretto sbarrare una Pistolettata contro detto Castiola qual rimase sanabilmente ferito sotto la clavicola della spalla sinistra". Seguiva un ulteriore resoconto della dinamica dell'in-cidente, che aveva portato l'ecclesiastico a precipitarsi fuori dalla carrozza ed a get-tarsi in un fosso laterale alla strada, ad immergersi nell'acqua per nascondersi alla vista dei delinquenti, fino a che, sicuro del loro allontanamento, aveva potuto, a piedi, riprendere il cammino verso la città (BAMi, 2, ff. 103v-104r; anche BAMi, 5, f. 93rv). Un mese dopo altri venivano 'sospesi' per "diverse ruberie commesse armata manu di robbe e denari anche nelle chiese ed in pregiudizio di molti" (BAMi, 2, ff. 104v-105r; si veda anche BAMi, 5, f. 94r). 545 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 I trasferimenti da un luogo all'altro nelle condizioni ambientali coeve sembravano irti di pericoli: gli assalti erano frequenti ed il bottino relativo poteva essere di ingente valore se le vittime erano persone di riguardo, vale a dire nobili ed ecclesiasti-ci. È il caso di alcuni autori di reiterate ruberie, giustiziati nel settembre 1745. Il primo, un certo Giuseppe Marozza detto il Musella, aveva 'danneggiato', nei diversi momenti della sua carriera criminosa, il prevosto di S. Maria Fulcorina e pochi mesi prima, il 18 maggio, la contessa Donna Elena Alciati Magnana, Donna Giulia Po-sterla Magnana ed il Marchese Don Benedetto Colombo, oltre che il Reverendo Don Bernardo Calchi, Prevosto di S. Ambrogio maggiore: dunque personaggi ragguarde-voli, appartenenti a famiglie illustri della Milano del tempo e rappresentative delle sfere alte e potenti della società di allora. Gli altri delinquenti, un certo Antonio Stevano detto il Piacentino, e Francesco Domenico Ceruto detto Lissandrinetto, "con compagni", se l'erano invece presa niente-meno che con il senatore podestà di Pavia Don Cesare Croce, privato di "ragguarde-vole somma" il precedente 5 luglio, e con il "Venerabile Dottore Capellotti auditore di Monsignor Vescovo di Pavia, Arcivescovo di Amasia". A loro carico, anzi solo di al-cuni pesavano due omicidi, che non avevano risparmiato neppure i complici delle loro imprese (BAMi, 2, ff. 123r-124r; si veda anche BAMi, 5, ff. 98rv-99r). II 30 gennaio del 1744 un Visconti, Andrea detto Andreone, era "appeso al pati-bolo per tutto il giorno per causa di diversi misfatti unitamente con compagni armata manu e specialmente di molte ruberie in diverse chiese ed in diversi luoghi, averten-do che la di lui parentela si è de' Visconti, tacciuta per degni rispetti". Il manoscritto reca accanto ad Andrea un'integrazione interlineare "Visconti": nonostante dunque tutte le precauzioni a cui si faceva cenno nel verbale, sembra anzi che la parentela venisse quasi enfatizzata, comparendo per ben due volte, ad onta del carattere scarno della documentazione fornita dal medesimo Registro; da una fonte diversa si ha noti-zia della successiva destinazione del cadavere "alla Regia Université di Pavia per l'uso dell'anatomia" (BAMi, 5, f. 96r; si veda anche BAMi, 2, ff. 111rv). Nel luglio 1745 tre ladri, colpevoli di "diverse ruberie, omicidi e misfatti anche sacrileghi", descritti analiticamente ed emblematici di un'organizzazione criminosa che imperversava per le terre lombarde (anche in questo caso si trattava dunque di criminali che rubavano dove capitava), venivano condannati a pene differenti: il primo, detto il Milanino, ad essere "tirato a coda di cavallo, e di poi arruotato", il secon-do ad essere "condotto sopra di un carro, tenagliato ed arruotato, indi (per entrambi) alzati li loro cadaveri sopra le ruote, esposti al patibolo per tutto il giorno, e poi ta-gliategli le teste portate in gabbia di ferro poste sopra di una colonna e ruota al sito dell'omicidio commesso...". Quanto al terzo, verosimilmente reputato responsabile in misura inferiore, avrebbe dovuto subire l'amputazione di ambe le mani, da esporre al patibolo per tutto il giorno. Da questo momento il suo percorso di sofferenza sem-brava andare, per cosi dire, in discesa ... perché si prevedeva per lui il riacquisto della 546 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 libertà, il trasporto al Venerando Ospedale Maggiore "per farlo curare e, dopo rissa-nato", la sottoposizione alla pena del bando perpetuo dallo Stato, sotto la minaccia di "essere sospeso" in caso di trasgressione degli obblighi connessi (BAMi, 2, ff. 121r-122vr; si veda anche BAMi, 5, f. 9Sv). Sfuggivano invece nel luglio 1731 ad una fine tragica ed ottenevano la commuta-zione della pena nella galera perpetua, graziati in virtù del privilegio concesso alla Confraternita di S. Giovanni Decollato di chiedere due grazie all'anno, nonostante l'assenza delle dovute remissioni delle parti ma con il loro "sincero pentimento,38 Antonio e Benedetto Bressa, tra loro zio e nipote, che avevano al loro attivo numero-si furti e robbarie commessi, talora armati, ai danni di nobili quali l'abate e barone Gaspare Ravizza o il conte Don Ottavio Terzago, o ancora del parroco di S. Pietro la Vigna, o di altri più o meno illustri personaggi (BAMi, 2, ff. 85v-87r).39 Il Registro tramanda la complessa procedura, contraddistinta da un memoriale, stilato dai mem-bri della Confraternita e rimesso al Gran Cancelliere (nel caso di specie Don Marco Maranon) perché eccitasse il senato a formulare il relativo parere, da un decreto in forma emesso dalla Cancellería Segreta e indi trasmesso al Senato che, per l'impulso del senatore Caroelli, provvedeva a redigere la 'consulta'. Già nel 1709 Ambrogio Zanone, soldato, condannato ad "esser archibugiato", otteneva la grazia mercé l'inter-cessione della Scuola di S. Giovanni, con il consueto corredo della "funzione [...] procisionalmente", mentre la prima notizia di una grazia, concessa dal Governatore di Milano ("giustizia non fatta", secondo la terminologia talora impiegata nei mano-scritti), sembrerebbe risalire al 15S3, cui seguivano diverse altre.40 La "funzione d'andare processionalmente a levare dal Regio Officio del Signor Capitano di Giustizia detto liberato per condurlo alla chiesa di S. Giovanni" era il co-rollario di un'altra grazia, accordata a fine aprile 1712 a Giovanni Lattuada detto Barlassina, colpevole di omicidio "con colpo di archibugiata"; un altro "gravissimo omicidio" godeva del medesimo trattamento nel 1725, ed ancora un altro, compiuto da Giuseppe Canetta "con tre colpi di coltello nel dorso senza proferire parola", nel 1732.41 Cosi pure, nel novembre 1736, otteneva la grazia, tuttavia senza "la solita fonzione", l'omicida di un oste, che avrebbe dovuto essere decapitato se la benevo-lenza della Confraternita non si fosse frapposta all'esecuzione (BAMi, 2, f. 97v; anche BAMi, 5, f. 91v). Il 19 dicembre 1744 la fortuna sorrideva ad un certo Fermo Vi-smara, colpevole di un 'insulto' con pistola alla mano, di due 'ruberie' e di delazione 38 La pratica doveva essere poi sottoposta agli organi competenti a concedere la grazia nel Ducato di Milano, vale a dire il il Senato ed il Governatore: si veda Massetto, 1994c, 229-268. 39 Anche, in forma stringata, BAMi, 5, f. 89r. 40 Uso l'espressione che si ritrova nella scarna notizia di BAMi, 5, ff. 80v-81r. Più diffusamente in Ben-venuti, 1882, 477-478. Quanto alla grazia del 1583 v. BAMi, 5, f. 35v; indi Benvenuti, 1882, 475. 41 V. BAMi, 2, f. 67r per la grazia del 1712; BAMi, 5, f. 85v per la grazia del 1725, al 5 maggio; BAMi, 2, f. 90v per la grazia del 1732. Si veda Benvenuti, 1882, 478, ove peró la grazia del 1725 è registrata al 7 luglio. 547 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 di armi, a far valere il privilegio, questa volta, era il Regio Capitolo della Scala di questa Città" ma la cerimonia consueta si svolgeva poi sotto l'egida della Scuola di S. Giovanni (BAMi, 2, f. 116r). Non si conoscono in questi casi le motivazioni che ave-vano ispirato la scelta. Non altrettanto si puó dire invece per quanto attestano i Registri del 1751, al 17 marzo, due giorni prima della ricorrenza di S. Giuseppe, a proposito di un'analoga procedura per stornare la decapitazione da un giovane omicida, che non lasciava tra-sparire dalle modalità esecutive del delitto, riportate con minuziosa cura, una perico-losa tendenza a delinquere. Suggerivano la clemenza - si diceva nell'annotazione datata 27 marzo (a distanza di nove giorni dalla condanna), in cui si faceva la croni-storia della domanda inoltrata dalla Confraternita - "la puoca età del condannato d'anni appena ventuno, e la casualità del delitto da lui commesso". Si aggiungeva a rafforzare la domanda l'incensuratezza del condannato, "mai stato [...] inquisito per l'addietro di alcun delitto", "degno di tutta la compassione, e per conseguenza capace di muovere gli animi a chiedere la grazia, ed inclinare il cuore del Principe ad usare di sua pietà nel concederla", come pure l' "imminente solennità del Glorioso Patriarca San Giuseppe del di cui nome va fregiato l'Arciduca Primogenito della nostra Padro-na Augustissima" (il futuro Giuseppe II, ispiratore di un Codice penale, illuminista si ma di esemplare severità e rigore, assolveva inconsapevole un ruolo 'umanitario'), oltre al requisito della 'formale' remissione della parte, nel caso di specie sostituito dall'assenso del "Tribunale di provvisione per essere l'ucciso Schliser forestiere senza parente alcuno in questa Città" : Giulio Claro stesso, del resto, indicava alcuni casi in cui si poteva fare a meno della effettiva remissivo partis e, tra questi, vi era l'ipotesi in cui l'erede abitasse "in partibus valde remotis" (BAMi, 2, f. 141r).42 Ma erano soprattutto le circostanze e la dinamica del delitto a reclamare un diverso trattamento punitivo: in effetti Ambrogio Mondino, custode delle "Piante de' Moroni" (bene prezioso per la Lombardia, legata com'era, nella sua economia, alla pro-duzione della seta), aveva colto sul fatto un ladro di una foglia; avendo preteso, "come di ragione", la restituzione del maltolto e il pagamento della pena solita ad esiger-si, ne aveva ricevuto in cambio alcune bastonate sulla testa e sul braccio; reagendo all'aggressione, nel timore di "nuove e più gravi offese", aveva vibrato "un colpo, il quale fu unico, del suo palosso sul capo del Percussore, e fu questo, per disavventura, cosi fatale, che diedegli, non preveduta, dopo giorni cinque, la morte". Si integravano dunque - si puó aggiungere a difesa di Ambrogio - i requisiti della legittima difesa o, al più, si rientrava in un caso di eccesso nella legittima difesa (BAMi, 2, ff. 140r-142v). La grazia veniva infine concessa superando anche gli ostacoli frapposti dall'as-senza temporanea del Presidente del Senato, il Conte Carlo Pertusati (Arese, 1983, 42 Sul requisito stesso si veda Massetto, 1994c, 247 ss. 548 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 593),43 non senza che la Scuola si prodigasse per provvedere alle solite funzioni: il giovane veniva vestito di tutto punto con camicia, colletto, marsina, giubba e calzoni di panno bianco fino con calzette di stame e scarpe bianche con fibbie d'argento, cappello bianco con nastro, corona di orso bianco e medaglia d'argento, a spese del Prefetto della Scuola, il Marchese Don Camillo Castelli, che si faceva carico del costo complessivo della 'cerimonia'; seguiva la processione, con i trombettieri "per festivamente suonare", per andare a prendere in consegna dall'ufficio del Capitano di Giustizia il graziato e condurlo, lungo un percorso nelle vie centrali di Milano, fino alla Chiesa di S. Giovanni, dove si doveva svolgere un'altra fase del rito.44 Quanto invece all'omicidio dell'oste prima citato, si deve rilevare come gli episo-di, che vedevano rispettivamente teatro e vittime delle imprese criminose osterie, osti e ostesse fossero, si potrebbe quasi dire, di 'ordinaria' amministrazione: esattamente un anno dopo la grazia a cui si accennava, un'ostessa ed il suo garzone venivano uc-cisi, la prima "d'animo premeditato proditoriamente con cinque atroci ferite di pon-ta", il secondo "con altre sedici ferite di ponta"; oltre che degli omicidi, il reo risulta-va colpevole "d'aver abbruggiati li libri de crediti" e di "impostura fatta alla giusti-zia": ma questa volta al condannato toccava per l' "enormissimo misfatto" di essere tirato a coda di cavallo ed arruotato, indi esposto al patibolo per tutto il giorno e poi portato sulla strada presso un certo luogo (BAMi, 2, f. 98 bis v; anche BAMi, 5, f. 92r). In effetti gli omicidi per il periodo 1730-1770 non sono pochi: se qui si sono per ora citati alcuni omicidi che avevano goduto della grazia, gli autori di altri non erano stati cosi fortunati e la loro vita si era conclusa più tragicamente. Il 29 gennaio 1733 una pistolettata e due tentativi, l'uno d'"omicidio bestiale mediante esplosione di pistola", l'altro "con precedenza d'odio, inimicizia et animo deliberato" e ferite sanabili, erano all'origine della sentenza di decapitazione per un certo Giovanni Barisetti (BAMi, 2, f. 91r; si veda anche BAMi, 5, f. 90r). Il 16 aprile 1736 un milanese, "reo e in parte confesso di barbaro omicidio con animo deliberato, precedenza d'odio e di trattato con più colpi di maltellina da maestro da muro", di un ulteriore "bestiale e barbaro omicidio senza precedenza di parola, e causa con replicati colpi di coltello di ponta, [...J di ferite bestiali senza precedenza di parole, e di causa con colpi di sabla" e di altri delitti, era "appiccato alla Piazza della Chiesa Metropolitana" (la consueta Piazza del Duomo) (BAMi, 2, f. 96v; ma anche BAMi, 5, f. 91r). Il 27 luglio 1743 si decideva rispettivamente la decapitazione e la forca per due fratelli, Michele e Domenico Marchesoli, colpevoli di avere compiuto diversi atti violenti nei confronti della famiglia Sottocasa: avevano percosso Matteo, proferito 43 Carlo Pertusati diveniva Presidente del Senato nel 1733 e veniva giubilato nel 1753, due anni prima di morire. 44 Maggiori dettagli in BAMi, 2, ff. 141r-142r. 549 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 parole ingiuriose contro la madre e la sorella, compiuto un primo 'insulto', con suc-cessiva percossa con bastone, contro l'altro fratello, il notaio collegiato di Milano, Francesco, il 29 giugno dell'anno precedente, altri due il 24 febbraio del 1743, dei quali l'ultimo "con animo deliberato d'ucciderlo" e con conseguenze letali. Non bastando tanto accanimento contro i membri di quel gruppo familiare, avevano anche tentato di uccidere la madre, prima solo ingiuriata: alla fine, a distanza di pochi mesi dall'ultima loro azione, con un processo celebrato all'insegna della celerità, era giunta la sentenza capitale (BAMi, 2, f. 110r; anche BAMi, 5, f. 95v). Il 17 dicembre veniva decapitato invece il milanese Antonio Bosso detto il Mazzamorti, sulla cui coscienza gravavano "tre bestiali omicidi" e altri delitti di sangue (BAMi, 5, f. 96r).45 La violenza dunque imperversava e i governanti se ne preoccupavano alla ricerca di misure adeguate a raffrenarla. A metà del secolo, se dobbiamo credere alle parole del governatore Harrach, che scriveva una consulta indirizzata a Maria Teresa in data 1° luglio 1749, forniva braccia alla criminalité solo la popolazione di scarsi mezzi: "li delitti presentemente si commettono solo dalla gente povera"; ed ancora rilevava "essere, come ben pondera il Senato, i delitti commessi in oggi dai soli miserabili a dif-ferenza dell'antecedente secolo, in cui prevalevano ne' benestanti le passioni criminose" (cfr. ASMi, 2).46 In effetti le indicazioni fornite dai manoscritti confermano tali giudizi, per lo meno riguardo alla bassa origine cetuale dei criminali. Quanto agli autori di delitti passionali... forse le cose andavano diversamente perché ad esserne autori sembravano ormai persone di ogni ceto, come emerge, ad esempio, dal processo del 1754. Durante la complessa procedura il Signor Dottor Collegiato Don Cesare Lampu-gnani, nel 1754 appunto Protettore dei carcerati, come lo era stato poco prima Pietro Verri e lo sarà all'inizio degli anni '60 Alessandro (Capra, 2002, 104-105),47 che traeva da siffatta esperienza di cosi grande momento motivi e stimoli per ispirare Cesare Beccaria all'elaborazione del suo capolavoro, riusciva a salvare dall'estremo supplizio due carcerati. Si trattava di una donna, Antonia Pirota Ratti, moglie della vittima, e di Carlo Albertini, il presunto omicida su mandato, accusato, oltre che di robberie, soprattutto dell'omicidio del Genovesino, commesso "con animo deliberato [...] in insidie e senza parole con coltello di punta inesivamente al mandato avuto da Onofrio Racco con precedenza d'inimicizia, ed odio a lui dato, e da lui ricevuto, e con successivo sbarro di arma da fuoco, di cui lui appostatamente era armato". La sua strategia difensiva lo conduceva ad ottenere dal Senato, il 20 marzo 1754, la derubricazione dei reati contestati, omicidio e ruberia, entrambi di tale gravità da condurre alla pena capitale, ed addirittura il rilascio dal carcere "rebus stantibus" per 45 Più completa descrizione dell'attività criminosa in BAMi, 2, ff. 110v-11r. 46 Si veda Capra, 2002, 102-103; nonché Capra-Ciserani, 1991, 1-23, spec. 2; si veda ASMi, 3. 47 Sull'ufficio di protettore dei carcerati v., oltre a Capra, 104-105, Biffi, 1884, 134 ss. 550 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 la donna, e per l'uomo la condanna perpetua ai remi,48 attraverso una difesa puntuale, dotta ed efficace, capace di demolire il castello accusatorio costruito sino ad allora per il tramite di testimonianze e di altre prove indiziarie.49 LE ULTIME CONDANNE Con gli anni '70 le condanne sembrano diminuire, pure se il fenomeno del bri-gantaggio è ben lungi dal risultare estirpato: i colpevoli di "robberie", se catturati, vanno incontro alla loro sorte, nella continuità di un rito ancora "in viridi observan-tia", senza apparenti tentennamenti. Del resto Kaunitz, ancora nel rapporto del 13 dicembre 1773, poteva affermare: "Pare che i delitti più frequenti che sono le ruberie, i furti e gli assalti di strada, delitti che sopra ogn'altra cosa turbano la società, non scemano punto nello Stato di Milano, forse per la molteplicità di oziosi, che vi rigurgitano da' paesi forestieri, oltre i nazio-nali, e forse anche perché le pene contro simili delitti non sono abbastanza pronte (Capra-Ciserani, 1991, 12-13; HHSAW, 1). Cosi, sfogliando le carte dei Registri che hanno fatto da guida nel cammino qui percorso, ci si imbatte nella ormai familiare litania nelle sue ultime manifestazioni, con le "robberie", specificate nell'oggetto e nelle vittime, forse con una maggiore cura del dettaglio: al posto delle "diverse", "molte robberie", abbastanza frequenti nei decenni precedenti, cosi vaghe nella loro indeterminatezza, compaiono ora sequenze quasi interminabili di azioni, spesso identificate da una serie di dati cronologici, contenutistici, in ossequio ad una sorta di garantismo, riflesso nell'analitica descri-zione dei capi d'accusa. Né mancano comunque ancora omicidi variamente motivati. Se tra il '70 ed il '72 si susseguono ancora forche per "diverse robberie" (BAMi, 2, ff. 173v-176v) e per il 1773 si ha notizia di una sola condanna alla ruota per tre omicidi e diversi delitti, nel '74 due ladri venivano 'sospesi' l'uno per nove delitti, tra 'rubberie', consumate o solo tentate, e furti domestici, anch'essi consumati o solo ten-tati, l'altro per nove 'rubberie' e un furto: entrambi si vedevano imputata pure la vita oziosa e vagabonda, fattispecie criminosa autonoma punita all'epoca anche in quanto indizio di una pericolosità sociale da combatiere (BAMi, 2, ff. 177r-178v); nel '77 a Giovanni Tettamanzi incombeva analoga fine per due furti sacrileghi, vari furti di denaro, "robbe" e "polleria", oltre che per la vita oziosa e vagabonda; nel '78 ad altri due malviventi, rei convinti e confessi di 'assalti' con percosse e ruberie (BAMi, 2, ff. 187r-189r). 48 Su tale tipo di pena si veda Massetto, 1994b, 372 ss. 49 V. BAMi, 3, III vol., 427-446, con una efficace, articolata ed argomentata difesa riguardo ai reati contestati. La sentenza del Senato è scritta a mano a p. 446 in calce al testo a stampa. 551 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 Spicca tra i tanti comunque il caso di Carlo Sala, ladro sacrilego troppo provetto, quale appare dall'elenco dei trent'otto delitti dallo stesso titolo a lui imputati (il tren-tanovesimo, la falsificazione del proprio nome e cognome, è quasi un'appendice scontata e non rara del suo 'mestiere' illecito), per non meritare qui di essere segna-lato. Condannato il 23 settembre 1775 "ad esser condotto sopra carro al luogo solito e nel viaggio tormentato con tre colpi di tenaglia rovente poscia previa amputazione della mano destra ad esser appiccato sopra forche più alte dovendo rimanere il di lui cadavere appeso tutto il giorno dell'esecuzione", aveva da scontare una carriera criminale di tutto rispetto che, a partire dal giorno della Quaresima del 1765 e fino alla notte del 13 aprile 1774, l'aveva visto imperversare indisturbato per le chiese del Du-cato di Milano, messe, per cosi dire, sotto scacco da questo ladro altamente specializ-zato. Il Registro riporta una monotona lista di 'furti sacrileghi ', variati tra loro, e neanche tanto, solo per quanto riguarda gli oggetti sacri di volta in volta sottratti (sembrava peró avere una spiccata predilezione per gli ostensori e le pissidi) e le Chiese prese di mira: si inanellano cosi nella pagina, vergata con diligenza dall'esten-sore, i nomi di chiese parrocchiali di piccoli luoghi della Lombardia, da Lesmo a Ca-priano ai dintorni di Varese, da Cinisello a Gessate, da Al Serio a Pozzo di Vario, a Castellana a Lambrate, da Carate ad Usmate, da Birago a Missaglia, da Cadorago a Varè, da Corneno a Somma e a Biumo Superiore sopra Varese, da Sovico, da Orse-nigo a Tradate, da Figino a Villapizzone, da Lucino a Caponago, sino al 'canto del cigno' del Sala nella chiesa parrocchiale di Gorla Maggiore, con il solito bottino di un ostensorio, di una coppa e della coperta della pisside d'argento, di altri vasi sacri, per un valore, nel caso di specie, di circa duecento scudi (BAMi, 2, ff. 180r-182v).50 Il Registro si rivela assai generoso nel tramandare il racconto della vicenda e nel-l'annotare la quotidianità straordinaria dei densi giorni che seguono all'emanazione della sentenza di condanna: da un verso riassume la "vera e triste storia" ("che occor-rendo, nel tratto successivo /che Dio non voglia / caso simile, sappia chi presiede alla Scuola regolarsi a misura del caso [...] sempre dirigendosi con la più fina prudenza e carità cristiana [...]") di questo 'eretico', già professo regolare (pare costretto da uno zio per ragioni di eredità) ma poi passato a nozze, grande viaggiatore anche in 'Paesi eretici', dove aveva abiurato "la nostra Santa Fede", studioso di filosofía, seguace delle dottrine di Rousseau e di Voltaire, al cui servizio aveva svolto funzioni da scri-vano ("nello studio e sotto dettatura di Volterre": almeno cosi era scritto nel mano-scritto) e impenitente irriducibile; dall'altro esalta lo sforzo vano della Scuola di S. Giovanni Decollato per ottenerne il ravvedimento attraverso l'intervento pressante di teologi e confratelli, senza tuttavia riuscire a scalfire la fermezza delle sue convinzio-ni. 50 Il caso è ricordato già da Cantù, 1862, 17 s. nt. e da Massetto, 1994b, 356-357. 552 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 In anticipo l' "incredulo ostinatissimo", destinato a morte sicura "per mano del Carnefice", era stato visitato "da Persone dotte, pie e prudenti, ed anche dall'Ecc.mo Signor Conte Reggente Verri" (il senatore Gabriele Verri, padre degli uomini dei lu-mi Pietro ed Alessandro, seguaci di Rousseau e di Voltaire, si era messo in luce per il suo agire in difesa della religione cristiana e per un certo suo 'bigottismo'51). Al momento della comunicazione della sentenza, che seguiva la pubblicazione del processo e l'intervento del difensore, costretto a svolgere il suo compito nel giro di una notte "sino al sabbato in aurora" (erano altri tempi...) (Massetto, 1994b, 344345; Garlati Giugni, 1999, 1SS ss), il Sala era "un uomo apparentemente imperturba-bile ben disposto, di buon colore dell'età di anni 37 circa, mediocremente vestito af-fettando ilarità, sebben aveva sostenuto un anno e più di prigionia". Sottoposto a tortura nella camera della corda per indurlo a confessare i nomi di eventuali complici, resisteva, dichiarando di aver commesso tutti i suoi misfatti in solitudine.52 Incomin-ciava cosí l'auspicato iter di ravvedimento, costellato di colloqui con teologi, sacer-doti e confortatori, compreso il Prefetto della Scuola Gian Galeazzo Serbelloni,53 che usava "le più sorprendenti arti per ridurlo ad una santa conversione" (si diceva che gli avesse offerto la grossa cifra di £ 100.000 per indennizzare le chiese svaligiate e per fornire ai figli mezzi di sostentamento). Lo scopo era di farlo desistere dagli "scan-dalosi, feroci, diabolici suoi errori", ai quali rimaneva saldamente avvinto, senza mostrare segni di conversione, al punto tale che la Scuola doveva affrontare il dramma-tico dilemma se partecipare attivamente alla 'processione' di accompagnamento al patibolo, oppure restare ai margini, come poi veniva deciso. Gli ultimi tentativi per indurlo alla contrizione si ponevano in atto quando già il Sala aveva subito l'amputa-zione della mano destra, poco prima cioè che il carnefice gli ponesse il capestro al collo alla Vetra, ma, ancora una volta, le pressioni si dimostravano inutili, si che "senz'altra dilazione fu appiccato morendo l'incredulo nell'orribile cecità di mente e durezza di cuore, stato deplorabilissimo cui conduce l'incredulità i suoi seguaci [...J". Il redattore terminava il lungo resoconto descrivendo il trasporto del cadavere per la sepoltura in terra sconsacrata, "ad uno dei bastioni esistenti tra Porta Ticinese e Porta Vercellina" (oggi piazza Aquileia), in una profonda fossa coperta di fitta terra, e trascrivendo una 'possibile' iscrizione sulla lapide della tomba: Iacet hic Carolus Sala /Turpiter suspensus in furcis / Vita Moribus ac Religione / Satan" (BAMi, 2, f. 1S6r). Carlo Sala doveva diventare uno dei pochi 'fantasmi' milanesi di cui si favo-leggiava vagasse nei dintorni del luogo di sepoltura senza trovar pace. 51 Sul senatore Gabriele Verri si veda già Venturi, 1969; Petronio, 1977, 9SS; Petronio, 1995, 663, 672673; Capra, 2002, ad indicem di Renzo Villata, 2006. 52 Gabriele Verri nel 176S denuncerà questa pratica di sottoporre il condannato alla pena capitale a tortura per indurlo a fare i nomi dei complici, che era "ricevuta bensi nel Foro criminale ma degenerante in severità" (Massetto, 1994b, 355). 53 Si veda BAMi, 2, f. 1S4v, ove si narra dell'intervento del Prefetto della Scuola, appunto il Marchese Gian Galeazzo Serbelloni, allora soprintendente generale della milizia urbana. 553 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ... , 521-564 Nello stesso 1775 un omicida, destinato alla decapitazione, otteneva invece la grazia in forza dei buoni auspici del Prefetto della Scuola, il già qui nominato Gian Galeazzo Serbelloni che, "avendo preventivamente inteso che da molti anni a questa parte la nostra Nobilissima Scuola non aveva chiesto grazia secondo l'antico privilegio, di cui essa è fornita, cosi cominciô a disporre gli ottimi amici suoi e il Senato Ecc.mo per ottenerla a favore di detto Antonio Croce". A distanza di due giorni dalla condanna, quando ormai il condannato era preparato a morire, confortato dai confra-telli della Scuola, il Governatore, vinte le resistenze, firmava "la grazia libera" (BAMi, 2, f. 186v). Nel 1774, invece, si puniva a Monza con il castigo della ruota ("arruotato cosic-ché muoia") un abitante di Lissone, Cristoforo Fossati, colpevole di "proditorio at-tentato ammazzamento della propria di lui moglie Teresa Sirtori, avendola con repli-cati colpi di Folcino ferita" (BAMi, 2, f. 179v-180r; v. anche Massetto, 1994b, 371, ove si ricorda): dai verbali traspare il disagio della "Veneranda Scuola" monzese, aggregata alla 'Scuola' milanese perché "colà a ricordo di uomini non era seguita giustizia di ruota", e l'aiuto prestato, in termini di risorse umane, dai milanesi, affinché "la giustizia dovesse essere eseguita con quell'ordine e regolamento che più lodevolmente si tiene": le cose si erano poi volte al meglio perché ... il "paziente mori con segni di ottima contrizione, e que' Signori Confratelli di Monza devono le più distinte grazie a detti Signori Nostri Confratelli, che con tanto loro incommodo e spesa si prestarono in opera si esemplare di tanta carità". Quasi al tramonto di un'epoca, segnata da crudeli procedure, i sussulti di un sistema, destinato ad incrinarsi, riflettevano i loro ultimi bagliori anche in una località che non aveva mai sperimentato simili raccapriccianti eventi. Mentre altri (o forse della stessa natura passionale...) erano i presupposti che con-ducevano Giuseppe Orioli ad essere decapitato in Lodi l'ii agosto 1774 per omicidio seguito a rissa e alla diffamazione portata dalla vittima alla moglie dell'omicida (BAMi, 5, f. 121r). Semplice "parricidio", in concorso con altri fatti criminosi, era invece commesso il 7 ottobre 1779 da Caterina Lissi, "armata di scure con animo deliberato", con un suo compare, Domenico Guerinoni, armato di "sciablo e di coltello da punta", previa istigazione" da lei fatta allo stesso Guerinoni e da Giulia Germana ad ambedue": vittima il marito, al termine di uno scontro con ferite ritenute a "giudizio de' Periti" in parte sanabili, in parte mortali, come le "due con strumento contundente e lacerante sopra il capo giudicate mortali e la causa precisa della morte" (di qui si stabiliva per-ciô il nesso causale tra le ferite e la morte). Non solo, ma per nascondere il delitto, i complici avevano anche tentato di disperdere il cadavere "con gettarlo nella Roggia detta de' Molini" (BAMi, 2, ff. 190v-191v). La condanna era proferita il 28 febbraio 1782 e l'esecuzione veniva fissata per il 2 marzo successivo. 554 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 Proprio perché sullo scenario spettrale si muove, protagonista indiscussa della 'rap-presentazione teatrale', spettacolare, dei riti della morte confortata, una donna, il ver-balizzante si rivelava quasi incapace di rimanere freddo 'notaio' di fronte all'atrocità di una morte sempre malvagia: quantunque omicida, anzi uxoricida, Caterina Lissi era sempre una donna 'debole', 'fragile', non poteva che suscitare pietà. Ed ecco che lo scarno resoconto di un'esecuzione si umanizza di piccoli dettagli, che ci aprono spira-gli di luce in un mondo già scosso da fremiti compassionevoli: il difficile rapporto di equilibrio tra l'apparato repressivo-intimidatorio e il consenso della società sembra in crisi e quasi insopportabile appare il dolore infinito provocato dalla giustizia degli uo-mini, pur a confronto con il male procurato dal delitto (Cavanna, 1989, 1-2). Ecco in breve i fatti evocati dalla pena dello scrivano. Su ordine del Marchese Matteo Ordoño de Rosales54 (si veda Arese, 1983, 594) Caterina veniva dunque pre-sentata dal guardiano delle carceri al Confortatorio e il Prefetto Don Nicola Lonati "con la maggior religiosité d'animo gli denunzió la morte a cui era condannata. Essa intesa la condanna alquanto turbossi e diede in un dirotto pianto, indi ripresa lena e confortata dalla Santa rassegnazione prese il Crocifisso, il bació, e si dispose ad ap-profittarsi delle Sante Massime che da Reverendi Padri Cappuccini e Signori Con-fratelli a vicenda le venivano suggerite; la carità della Scuola ha suggerito far venire alla Conforteria una Signora, perché sempre pronta in Conforteria fosse per assistere alla detta condannata nei casi più famigliari e di urgenza, come fece. Essa Cattarina era una giovane dell'età di anni 28 circa piuttosto avvenente e pingue ma l'apprensio-ne della morte a lei vicina l'aveva si compresa che frequenti eran li svenimenti, ed i deliqui che la molestavano, per maniera che fu resa molto lassa, e destituita di forze; non pertanto, resa ben disposta a santamente morire alla mattina del giorno 12 marzo si fece venire una sedia armata portata da due prigionieri, sopra della quale fu posta, avendogli ben coperta la testa, ed il volto mediante un gran fazzoletto dalla Scuola a quest'effetto provvisto, e cosi fu portata al Patibolo, giunta al quale essa di nuovo ri-concigliossi dal [...J Padre Luigi, avuta l'assoluzione e benedizione in articulo mortis datagli dal Nostro M. Reverendo Signor Rettore, fu consegnata al Carnefice che portola alla Scala assistita dal Confratello Confortatore, al quale sempre ottimamente la poverina corrispose con presenza di spirito debole si di forze ma forte nella santa rassegnazione, e con i segni più evidenti di vera contrizione, subi la morte" (BAMi, 2, f. 191r). La circostanza che al centro delle vicende criminose vi fosse una donna, colpe-vole o vittima, o un giovane, destinato ad una breve vita, era cagione di emozione nella folla: ne è una riprova, per entrambe le vittime-omicide, l'omicidio, colpito con la decapitazione dell'autore, Giuseppe Pansechi, "peruchiere d'anni 21" [...J reo con- 54 Era stato capitano di giustizia a partire dal 1774 e diveniva senatore nel 1779. 555 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 vinto e confesso dell'omicidio con animo deliberato da esso mediante due ferite fatte con arma tagliente e da punta "commesso nella persona di una figlia nubile di un suo socio di bottega, verso la quale nutriva una "pura passione amorosa": la gelosia era stata dunque il movente o il fatto di non essere ricambiato nei suoi trasporti senti-mentali? L'esecuzione richiamava il concorso di una gran "quantità del popolo promiscuo d'ogni grado [...] che non potendo capir lungo le contrade per via, e nella gran Piazza della Vetra ivi tutti i tetti vedevansi coperti di Persone. Anzi il popolo medesimo, urtato e ripercorso dalle soverchie onde cagionate dalla calca, penetró fin dentro le sbarre del patibolo a segno che i SS. Confratelli della Nobilissima Scuola ebbero gran fatica a sostenere perché il paziente non fosse disturbato dall'ottima sua rasse-gnazione, abbassamento e vera contrizione con la quale esemplarmente subi la pena di morte in osculo domini, lo che portó in molti de' spettatori gran tenerezza, e com-mozione in veder il fine di un povero onesto giovane per una pura passione amorosa terminar cosi, come giustamente per altro dal Senato Ec.mo fu cosi presto condan-nato" (BAMi, 2, f. 179r). Quanto al caso di Caterina Lissi, non era certo unico: altri coniugi avevano com-piuto all'epoca azioni simili nei confronti del compagno o della compagna di vita: l'espressione "barbaro parricidio" era servita per rubricare l'omicidio perpetrato il 23 maggio 1767 da un marito abitante nei dintorni di Gorgonzola, che aveva abbattuto con "replicati colpi di falce" la moglie. Reo confesso, era condannato dieci giorni do-po, il 4 giugno, con definitiva sentenza del Senato, ad essere "tirato a coda di cavallo alla Piazza Maggiore di questa città et ivi arruotato sopra palco, con che il di lui ca-davere posto sopra una ruota alzata debba rimanere esposto per tutto il giorno del-l'esecuzione della sentenza" (BAMi, 2, f. 171v; n. anche la locandina a stampa in BAMi, 3, vol. IV, f. 9.): un bel monito per i mariti insofferenti della vita coniugale! Nel 1767, il 30 agosto, a Como, si riservava l'impiccagione per un'altra donna, Francesca Nolfi, di Brenno, "rea confessa e convinta del barbaro, pensato ed eseguito ammazzamento del proprio marito Giuseppe Bianchi" di notte, con due colpi di scu-re, mentre giaceva nel letto addormentato (BAMi, 3, f. 9). Nello stesso anno a Milano un marito subiva l'identica pena per avere inferto fe-rite sanabili alla moglie "mediante colpi di palosso" "con precedenza d'odio ed animo d'ucciderla", ed avere invece, con maggiore successo per quanto concerne il suo progetto delittuoso, ucciso con "barbaro omicidio" la suocera "mediante dodici ferite, cinque delle quali mortali col detto palosso, pure con precedenza d'odio" (v. BAMi, 3, f. 11 con locandina a stampa; ma anche BAMi, 2, ff. 171v-172r). Il novembre del 1772 era invece un milanese a commettere parricidio, reo confesso, propinando veleno alla moglie, Maddalena Silvestri: il supplizio della ruota lo attendeva a metà del mese successivo (BAMi, 2, f. 176v-177r). Nel 17S1 era la volta di un soldato boemo, nativo della città di Westhelelm, condannato all'arruotamento 556 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE D'ORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 nel giugno come "costituito reo dell'omicidio" di un suo compagno, commesso "con animo deliberato" lungo la strada da Milano a Como: il Registro riportava fedelmente - sembrerebbe - il contenuto di una perizia medica, tanto erano minuziosi i particola-ri delle ferite causate, "con avere inoltre sbarrato lo schioppo in poca distanza dal detto suo compagno con cui erasi accompagnato partendo da questa Città, dopo d'es-sersi amichevolmente dallo stesso licenziato ed averlo poscia spogliato dopo morto" dei suoi averi, compresi gli abiti. La 'conforteria' messa a punto dalla Confraternita per il 'paziente', poi 'arruotato' nel settembre dopo che la domanda di grazia inoltrata dal suo difensore non aveva incontrato accoglimento, comprendeva, nella fattispecie, anche l'assistenza di un Padre Cappuccino, "che perfettamente sapeva la lingua tede-sca..." (BAMi, 2, f. 190rv).55 Il periodo documentato dai nostri Registri (ma altre condanne successive risultano da diverse fonti56) si conclude con un parricidio punito con l'impiccagione: l'ultima 'cerimonia' si svolge il 5 aprile 1783. I fatti sono succintamente descritti: un genero, tre anni prima, commette, vittima la suocera, un "barbaro parricidio [...J con prece-denza d'odio ed animo deliberato [...J mediante sette ferite [...J fatte con coltello acuminato, altra delle quali giudicata causa della morte della medesima" : un delitto premeditato, esito probabile di rapporti familiari difficili fomite d'odio, degenerato in un progetto delittuoso portato ad esecuzione (BAMi, 2, f. 191v). UNA PICCOLA CONCLUSIONE Queste pagine rispecchiano solo una parte del materiale conservato tra i mano-scritti che furono anche tra le mani di Cesare Beccaria. Mi auguro di aver offerto una visione il più possibile completa ed oggettiva del volto più 'truce' della criminalità lombarda settecentesca, della brutale violenza tra-mandata senza veli alla memoria storica dei Registri dei giustiziati: ho cercato di non farmi fuorviare dall'impressione che suscita in me l'orrenda catena dei delitti annotati, come pure di dominare il raccapriccio che genera la rappresentazione scenografica della morte violenta legalizzata. È difficile trovare una moderata linea d'equilibrio che non faccia torto alla realtà della storia. 55 Il caso è ricordato da Massetto, 1994b, 369. 56 Si veda Massetto, 1994b, 129, ove si dà notizia di altre sentenze capitali pronunciate dal Senato fino al 1785. 557 Maria Gigliola di RENZO VILLATA: STORIE DORDINARIA E STRAORDINARIA DELINQUENZA ..., 521-564 ZGODBE O VSAKDANJEM IN NEVSAKDANJEM KRIMINALU V LOMBARDIJI V 18. STOLETJU Mana Gigliola di RENZO VILLATA Univerza v Milanu, Pravna fakulteta, Inštitut za zgodovino srednjeveškega in novoveškega prava, IT-20122 Milano, Via Festa del Perdono 7 e-mail: gigliola.direnzovillata@unimi.it POVZETEK S preučevanjem večinoma neobjavljenih 'registrov usmrčenih', ki prenašajo vesti o usmrtitvah z milanskega območja skozi dolgo obdobje treh stoletij, tu ponovno, le za 18. stoletje, obujamo spomin na zgodbe običajne in neobičajne kriminalitete, moških in žensk, običajnih ljudi in plemičev, storilcev in včasih morda nedolžnih, usmrčenih in kdaj pomiloščenih. "Pravici je zadoščeno" v Milanu in okolici, v za to namenjenih in žalobno znanih krajih, za storilce, da navedemo kakšen primer, 'raznih ropanj', ki so jih spremljali umori, 'velikanskih podlih bogokletnih tatvin', očeto-morov, storjenih na škodo žrtev v nežni starosti, detomorov, umorov zakoncev, izvršenih 'na barbarski način' ali z zastrupitvijo, ter 'umora', upora, dezertacije in vohunstva v prid sovražnika. Po vrsti si sledijo - v veliki meri predstavljeni s ponavljajočimi se izrazi, vendar zato včasih pospremljeni s strastnimi načini izražanja, zgovornimi znaki okrutnosti kaznovanega zločina, rituali 'potolažene' smrti, v katerih se med vrsticami, navkljub vsemu, občasno pojavi drget humanosti. Ključne besede: kazensko sodstvo, zločini, smrtna kazen, 18. stoletje, Lombardija FONTI E BIBLIOGRAFIA ASMi, 1 - Archivio di Stato Milano (ASMi), Fondo Giustizia punitiva (F. Gp), p. a., cart. 3: Originale codice delle leggi criminali e politiche rassegnato al R. 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