PROGRAMMA DELL’ I. R. &IISASI0 SUPEMOEE DI CAPODISTRIA Anno scol. 1892-93 CAPODISTRIA T1POGRAFIA COBOL-PRIORA PROGRAMMA DELL’ I. R. GOTASIO SUPEEIO&E DI CAPODISTRIA Anno scol. 1892-93 CAPODISTRIA TIPOGRAFIA COBOL-PRIORA 1893 Considerazioni sulla poesia popolare in generale, con ispeeiale riguardo a quella della Grecia moderna. — (Parte II) “Poesia popolare patriottica militare„ del direttore, prof. Giacomo cav. Babuder. Parte Seconda: Notizie intorno al Ginnasio pubblicate dallo stesso. Edit. la Direzione deli’ i. r. Ginnasio CONSIDERAZIONI snlla P O E SIA POPOLARE IN GENERALE con ispeciale ripardo a pella della GRECIA MODERNA PARTE II* Poesia popolare patriottica railitare II riscatto della Grecia dal dominio ottomano avvenuto al prin-cipio del nostro secolo fu 1’ effetto della crociata intrapresa prima dali’ Europa civile, poi dali’ Europa ufficiale, per ridonare a sä stessa una nazione infelice che, come disse il Byron, aveva scon-tato i propri errori con tre secoli di prigionia. II cimento delle armi a cui si lasciö andare la nazione greca in uno scatto di esasperazione lungo tempo repressa non avrebbe approdato ali’ effetto, se fosse stata riraessa alle sole sue forze. L’ Europa — 6 vero — non tre-mava piu delle armi ottomane, ed era giä corso piu di un secolo, dacche la Porta, arrestata nel suo abbrivo ali’ offensiva dalle armi poderose di Eugenio, s’era ristretta in se stessa: ma entro ai limiti dei vasti suoi possessi essa era troppo potente, perche una nazione avvilita e sparpagliata potesse resistere al cozzo delle formidabili sue forze militari di terra e di mare. E noto ehe tra i molti gene-nerosi accorsi in Grecia ali’ appello deli’ umanitä, non vi fu chi piü intensamente amasse il classico paese, deli’ illustre figlio di Al-bione, Lord Bj'ron, che gli consacrö tutto il prestigio della sua illustre posizione sociale, le risorse del suo vistoso patrimonio ed * Vedi Progr. deli’i. r. Ginnasio sup. di Capodistria, anno scol. 1893-91. in fine la vita stessa: ma quali note strappa alla sua musa lo spettacolo della decadenza materiale e morale della nazione greca in quelle terre ricclie di tante gloriose memorie! Egli esclama: Ellade vaga! Di caduto impero Misero avanzo ! Oh ancor che piü non sii Tu rimani immortal: benche caduta Pur grande ancor! Chi i figli tuoi sbandati Al conflitto or trarrä .... Oh vedi ! Degli invitti guerrier ehe si cacciaro Volonterosi ad affrontar la morte Di Termopile al varco, ahi! piü non hanno Sembianza i figli tuoi. — Ov’ ha chi colga Di quei forti il magnanimo ardimento E deli’ Eurota slancisi alle rive E te dal sepoleral sonno rappelli ? Genio di libertä! Quando scorgesti Co’ fidi suoi deli’ erta Pile in vetta Trasibolo, il fatal giorno potevi Antiveder, ehe desolato avria D' Attica visto il bel terren ?„ E della decadenza morale, eome nobilmente si esprime nel suo poemet-to “il giovine Arolcfo, — Oh! tu, Parnaso, ch’ io non nel deliro Di fantastico sogno, o ne’ concetti Di mitica canzon, ma tal ravviso Qual nel terren natio t’ ergi gigante Colla fronte di diacci, e in un di grevi Vapori incoronata, — oh! nella pompa Di tua selvaggia maestä, superbo Monte, che il neme tuo nel canto splenda Chi fia ehe meravigli ? Un sol v’ha forse Viatore, e il piü umil, ehe delle tue Palde intorno s’ aggiri, e non sia vago L’ eco tacente ridestar cantando ? “Benche aleuna non v’ ha delle gentili Muse che 1’erto giogo omai passeggi„ II quadro desolante ehe gli si affacciö al suo primo giungere in Grecia gli mise nell’ aniraa un fremito di commiserazione e di sdegno. Nella foga degli affetti clie lo assalgono inveisce fin anco contro quegli stessi ehe altamente compiange, come nel “Giaurro, — I cor nudriti Entro tue valli, i generosi spirti Che ad alte imprese addur dovrien i figli tuoi, Dalla culla all’avel strisciansi schiavi, Anzi schiavi di schiavi, audaei e sperti Solo al delitto e d’ ogni macchia sozzi Che contamina 1' uom ove del bruto Vive quasi minor, senza tampoco Barbariche virtü, senza franchezza, Senza valor, di porto in porto intesi A trafficar di proverbiali frodi E d’antiche malizie: a questo, ahi! scorno! Riconosciuto fe il sottil Greco, in questo Ed in questo soltanto ha nominanza. Queste parole amare sono dettate, come vedremo, tutt’ altro che da malevolenza, perche altrove, come pentito deli’ invettiva, disfoga il suo umor tetro contro gli autori di cosi fatto esterminio morale e contro 1’ Europa che tarda a riguadagnare al progresso civile una nazione meritevole di sorti migliori. II Byron sembrö in sulle prime sfiduciato, che quel popolo potesse risorgere novellamente a vita. La sua fibra gli parve af-fievolita, la tempra esausta, lo spirito spento, e smarrito in lui ogni sentimento di dignitä e di stima di se stesso. La stessa amara delusione subirono quasi tutti quei generosi filelleni, poeti, artisti, uomini di lettere e di armi, che da ogni stato d’ Europa accorsero in Grecia pieni di entusiasmo e vogliosi di cooperare al riscatto di quel classico paese. — Avvi tra questi anche un poeta celebre deli’ Istria, Besenghi degli Ughi isolano, ehe nell’ anno 1826 lasciö repentinarnente gli agi di un soggiorno tranquillo a Trieste per seguire 1’ impulso del cuore. Nell’illustrazione bellissima delle sue poesie fatta rečen temen te da Osearre de Ilassek, (Trieste, Balestra e G. 1884) sono inserite varie lettere dii'ette dal Besenghi ai suoi parenti ed amici durante il suo soggiorno in Grecia. Egli da loro contezza della sua vita, di ciö ehe fe-e e sofferse, delle sue molteplici impressioni, dei conforti avuti nell’amicizia intima di Colocotronis il vincitore di Calamata, Tripoliza e Corinto, del conte Solomos, il Byron greco, e di altri illustri letterati e patriotti greci. La sua pittura della Grecia e piü desolante ancor di quella del Byron, perche egli vi ando quando gli effetti della guerra avevano reso 1’ aspetto del paese ancor piü triste. In una lettera seritta a suo cognato 1’avvocato Bressan in data degli 8 Ottobre 1828 da Corfu egli si esprime. “E ben altro il parlare della Grecia, come si suol fare chiaccherando nei nostri paesi al camino; altro il venirci a vederla. La guerra ha gettato la Grecia nell’ ultimo della miseria, e di mezzo ad una terra atta ad ogni sorta di produzioni, voi morite di farne. Le case sono spelonche, parte interamente distrutte, parte crollanti e il vento vi passa per cento buchi; talehe e forza lo starsene in tabarro, e quando piove, aprire in camera 1’ ombrello. Immaginatevi solo ehe 1’ uso del letto qui ancora non si conosce, e le piü ragguardevoli persone dormono distese per terra. La Grecia diverrä senza dubbio un beatissimo soggiorno; ma ei vogliono degli anni molti e molti, e senza la concorrenza e il soccorso degli stranieri non basteranno de’ secoli. II paese e in istato di barbarie, ne si e fatto ancor nulla per dar principio al suo incivilimento,,, La guerra lunga e disastrosa ehe la Greccia sostenne fino a ehe coli’ aiuto deli’ Europa risorse a vita civile, dimoströ che i Greci avviliti, depressi e dimenticati, meritavano di venir riammes-si al godimento dei frutti di quella civiltä, cui i loro maggiori aveano potentemente cooperato. Non e compito nostro di seguire lo svplgimento del di’ama sanguinoso, che desolö le terre elassiche della Grecia nella terza decade di questo secolo. Perche potesse prevalere il diritto naturale che avevano i Greci di scuotere i ceppi ond’ era impedito il loro progresso civile, era inevitabile ehe venisse in eollisione con un altro diritto, quello del le armi, che avevano abbattuto 1’ antico im-pero di Bisanzio ed eretta sulle sue covine la potenza ottomana. La vita ehe la nazione greca condusse dopo quello storico avve-nimento e delle piü infelici ehe si possono immaginare. La civiltä. greco-bizantina sviluppatasi sul ceppo deli’ antica classica illanguidi e parve sepolta per non risorgere piü, ma non si spense. Fu come un fuoco latente che doveva per legge di natura divamparö di nuovo, quando la nazione e per impulso proprio e pel sussidio della sua naturale alleata, la civiltä occidentale, fosse giunta al punto di respirare piü liberamente. La storia dimostra il lento e penoso, ma pur continuo lavoro di ricostruzione cui attese la Grecia dal-1’ epoca della sua soggezione agli Ottomani fino al 1821. Vi furono epoche in cui i canti popolari nazionali erano, si puö dire, 1’ unica voce che tradiva 1’ esistenza del popolo greco. Canti popolari accompagnarono pure il movimento di riscossa;ed e di questi ultimi appunto ehe intendiamo di far cenno. Anzi tutto vediamo come nei canti stessi sono aecennate le cause prossime della rivoluzione greca, come da essi si puo desumere, siam per dire, il primo svolgimento storico deli’ importante avvenimento. Siccome la coscienza nazionale non era venuta meno tra gli orrori di una desolata esistenza politica, cosi anehe lo spirito militare, di cui andarono giä famose Sparta ed Atene 11011 ismarri le sue tradizioni. Esso ebbe alimento in aleune istituzioni tollerate non solo, ma anzi favorite dai dominatori. Un incitamento alle armi eb-bero i Greci nelle vieende politiche deli’ impero ottomane volgente di giä all’ oecaso per condizioni somiglianti a quelle deli’ antico regno persiano. Ora il govorno, ora pasciä ribelli, tra cui in modo particolare il feroce’Alidi Giannina, davano ai Greci propizia oc-casione di aguzzare quelle armi, ehe dovevano poi volgersi contro agli Ottomani in generale a difesa della Grecia. Le regioni dell’Epiro, dell’Etolia, deli’Acarnania della Rume-lia montuosa in generale, giä dai tempi di Silla fino addentro al-1’epoca imperiale romana, furono il classico suolo di quel “brigan-tagio„ a tinte politiche, ehe nei tempi moderni s’ inearno nelle figure tipiche dei elefti, lo stato maggiore, si puo dire, della rivoluzione. Gli accennati paesi per la loro configurazione come fatti dalla natura per offrire rifugio e posizioni acconee dl difesa ed offesa a gente battagliera e ardita, erano da secoli il ricovero di comuni banditi non solo, ma anche di patriotti greci, cui una vita di stenti e perigli era preferibile al soggiorno nelle cittä sotto il dominio dei Turchi. L k su quei monti alpestri e rocciosi traevano gita avventurosa in mezzo a stenti e privazioni godendo di una selvag via ma pur semprs gradita libertä; impotenti a grandi imprese, ma intropidi e baldi di loro valentia guerrigliera, contro la quäle si spuntavano le armi di truppe regolari formidabili in campo aperto, ma inefficaci dinanxi ad un nemico sparpagliato e coperto dalle rocche inaecessibili alzate dalla natura. Essi aggredivano improvvisi, sparivano earichi di preda, ricomparivano ali’impensata piombando addosso a drapelli staccati, correndo e ricorrendo i territori attigui. La Porta si avvide di non poter vincere facilmente un nemico, che le sguisciava di mano e si rideva di lei, rifacendosi di qualche parziale rovescio con fiere rappresaglie, e ricorse ad uno spediente politico 11011 inopportuno. Creö uua milizia nazionale, gli armatoli, una specie di gendarmeria paesana, che venne in ogni guisa favorita dal governo, perche oltre a prestare utile servigio contro i clefti, le serviva pure di mezzo efficace a tener in iscacco 1’ influenza cre-scente dei giannizzeri. Gli armatoli diffusi in tutta la Grecia setten-trionale e media, aveano il loro nucleo piü forte sui monti dell’ Agra-fa, il Pindo degli antichi, e sulle montagne della Tessaglia e dell’Epiro. Divisi in 17 compagnie, comandate ciascuna da un capitano eletto da loro, godevano una specie d’ indipendenza dalla Porta, cui pagavano un tributo; del resto si reggevano nei loro paesi a governo comunale con preposti (irpcosaToi) eletti. Era una milizia privilegiata cui incombeva la custodia delle vie provinciali dei passi e dei ponti, nonch& la tutela delle persone e degli averi minacciati dai clefti avversi, com’ era naturale, ai Turchi e a chi parteggiava per loro; ma talora anche ai propri connazionali ricchi, ai preti in partico-lare. Armatoli e clefti rappresentavano la Grecia militare, due forze avverse in origine, che si fusero poi, come vedremo, in un nome solo ed ebbero scopo comune, quello dell’ opposizione armata contro i dominatori. Prima perö che dai Turchi stessi venisse dato l’impulso agli armatoli di fondersi coi clefti, non era raro il caso di vedere armatoli lasciare le insegne e correre ai monti per rinforzare anziche combattere i Clefti. Ve li inducevano asti personali, rivalitä coi camerati, avversione contro i Turchi od altro motivo privato. L’ av-vicinamento di queste due armi, l’una regolare 1’altra rivoluzionaria, cui 1’ interesse assai piü che 1’ avversione teneva disunite, aveva fatto gran passi giä prima dell’anno 1783, quando Ali pascia piü intento al proprio che all’ interesse dello stato venne nominato dal Divano a “dervendgi - bachi, ispettore superiore della polizia provinciale e sorvegliante generale delle strade e passi nel paese. Troppo sagace per non iscorgere con sospetto la crescente influenza degli armatoli e dei clefti, pensö di fiaccare la potenza degli uni e degli altri. L’ effetto portö danno a lui e allo stato. Pochi degli armatoli corrisposero al suo ordine di deporre le armi, ed anche questi non tardarono ad unirsi ai molti che, al momento, si erano tra-mutati da armatoli in clefti, allo scopo eguale di valersi delle loro armi contro il comune nemico. A questo fatto allude il canto a pag. 42 della raccolta Firmenich “HpoataYr] sic todc xXi^tatc toö 5OX6|Mtoo Toüto tö xaXoxatps Kat ty)V avot^tv "Aonpa jrapttä |xä; fpdfouv Maüpa •(p'x\ty.rj-a; „"Oaot vav vjats xXstptat? tä ßouvä, „"OXot vä ,’Alt’ TOV vOXujj.tcov, „Na itpoaxuv^osx’ KXot „T&v naaäv!“ Ali pasciä ordina loro di deporre le armi e di sottomettersi; al ehe rispondono: ’Eirrjpav Ta ToutpExia, Ta Xa[j.itpä arcaöiä, Kai 'o Ta ßouv’ Avaißat'voov, 'i’pE/OÜV ’s TVjV xXecpTta. (Dier di piglio ai fucilij alle lucide spade; corsero ai monti, si unirono ai clefti). E a pag. 24 Toö XzspfLoo. K’ cl.v Ta Sep^svca TOÜpxst}VTav4;, rcaaažs; (JjTfjtpae!. "Oaov )rsovi'Coav Ta ßouvä, Toupy.ouc, (J.T; icpooxt)Vo5[AEV. Iläjiev vä Xcjj.epta^oj(iSv, Kiröu tptu),;ä£ouv Xoy.ot. ’S Tat; 5(iöpa!S axXäßot y.aroixoüv, toö? v-äfiicou? jji tou; Toupy.ou?, Xtüpat? XorptaSia žpvjjuacs s/ouv Ta naXXijxäpta. Ilapä ph Tbupxou?, jji 6vjp;ä xaXvjTEpa vä £oö|j.ev. “Se anehe i passi sono in poter dei Turchi, se li presero gli Albanesi, Stergio e vivo e i pasciä non teme. Finchö la neve veste i monti, ai Turchi non prestiamo omaggio. Andiamo ad accamparci, ove i lupi lian lor tane. Nelle citta e nelle pianure assiem coi Turchi abitano gli schiavi; i pallicari tengono le gole dei monti e i deserti ; piuttosto che coi Turchi, meglio e che abitiamo colle fiere,. Cosi adunque si lusero insieme le due milizie, amendue agguer-rite, addestrate alla vita militare, pronte ad ogni cimento. I Pallicari, soldati nazionali, gli anteriori armatoli, ed i clefti, gente d’ arme irregolare destra oltremodo nella guerra di sorprese formarono in certo modo i quadri deli’ esercito improvvisato che la Grecia oppose alle forze armate della Turchia. L’ opposizione armata sorta in esigue proporzioni gia fino dai primi tempi del dominio ottomano si accrebbe ed estese. La favo-rivano 1’ antagonismo nazionale e religioso fra due popoli troppo disformi d’indole e di costumi; il regime turco in generale che non si confacea colle abitudini civili inveterate dei popolo greco ; lo stato politico miserando dei sudditi (rajä) rimpetto alle classi dominanti; 1’ ineguale distribuzione degli oneri publici e per non dire altro, certe istituzioni che ferivano nella radice dei cuore gli affetti piü sacri di famiglia, cotne qujlla deli’ imposta di fanciulli che si strappavano alle madri, nei tempi del terrore, per farne gianniz-zeri. Allude a questo strappo di cuore il canto inserito nella rac-colta Firmenich a pag. 12 “ÖpYjvo? pjtpaös,, Le- condizioni politiche della Turchia stessa contribuivano a rafforzare le armi cleftiche. II governo di Costantinopoli fiacco, se vuolsi, ma non sempre avverso ad un certo risveglio dei Greci, — di cui rispettava il passato e non isconosceva le attitudini di spirito superiori a quelle di altre genti soggette all’ impero — doveva suo malgrado far dacapro espiatorio degli abusi, delle angherie e violenze di certi pasciä ambiziosi, che al proprio posponevano 1' interesse dello stato. Questi d’ ogni libito si tacevano lecito, irritando talora, secondo loro tornava utile, talora accarezzando pei loro fini le popolazioni greche, per farsene sgabello a salire, senza riflettere ehe i tempi lion comportavano piii cosi fatte arti politiche, da cui non poteva derivare altro che disistima e avversione al potere centrale. L’ avversione crebbe a dismisura. Atti feroci di prepotenza e* di crudeltä di cui furono vittime aleuni capi dei clefti ed il malgenio di Ali accelerarono lo scoppio. Ad allargare 1’ abisso di astiosa separazione fra Turchi e Greci, ad inasprire vieppiü gli animi di questi ultimi di giž, con-citati per la posizione avviliente, a cui si vedevano condannati rim-petto ai loro dominatori, concorsero da ultimo sanguinose provoca-zioni, aeri offese recate agli affetti piü sacri di famiglia. Ce ne offre un esempio il lungo canto inserito dal Firmenich alla pagina 94 della sua raccolta. “Too ioö £-/.aToߧpYa» — La scena truce cantata da un pastore sconosciuto avviene in Greta. Giorgio Sca-toverga figlio di un contadino lascia 1’aratro per brandire le armi. Lotta a lungo e piü di un turco cade sotto ai colpi del poderoso suo braccio. Vien poi afferrato e chiuso in una segreta a Stambul, ove langue sospirando la libertä de’suoi monti e coli’anelo desiderio di rivedere i suoi cari, gli amici, i commilitoni. Arriva al suo orec-cliio la triste nuova della inorte di una sua sorella uccisa da un Arifi Mocoglo, ch’ella aveva furiosamente respinto quando attentava al suo pudore. II prigioniero trova modo di frangere i suoi ceppi, corre alla patria, dissotterra il padre uccisogli poco dopo dallo stesso Arifi, gli estrae la palla di fucile ond’ era stato ucciso, la carica nella sua pištola, e, venutogli il destro, la caccia nel petto al suo nemico. Indi con. in braccio il fratello ferito nel trambusto fugge ratto ai monti a raggiungere i suoi camerati. X tov oj|xov tou tov apitct£s, v.5 an’ v, xč> SoöXt Iloü icoXe[).oüv fuxpä «aižtä, xoptxaia IIoö ito).6|AÖ! TaaßeXatva (iE tö aitaöt ’s xö y^pt, AU to Ttatžl ’s tvjv ayuaXiav, (U xb tootfext ? x’ vX'ko, xä tpuoexia ’s xrjv itoBtäv, x’ ejinpo? ait’ 8X00; jiäyet. “Y’e Suli, il conosciuto, rinomato Suli, dove pugnano piccoli fanciulli e donne e donzelle; dove pugna la Zavella colla spada in mano, il lattante tien sul braccio, il fucile nella sinistra e le cartuccie nel seno; cosi dinanzi a tutti si avanza.» Una serie di eroi, i cui nomi spiccano nei canti successivi, si segnalarono in quella lotta ineguale combattuta con prodigiosa tenacitä e fermezza da poveri pastori di capre contro truppe ag-guerrite e valorose. II Pouqueville nella sua storia del risorgimento della Grecia ci dä i nomi di quei prodi, tra cui emergono Zavella, Mosco sua consorte, il tiglio Fotos Zavella e la figlia Caide, Dirno, lani Zervas, Atanasio Fotomara, Ivitzo Bozzari e tanti altri. Si eleva poi gigante la figura di padre Samuele, monaco di Sau Basilio, cinto di un aureola mistica, terror dei nemici, tenuto da’ suoi come un messo mandato dal cielo a difesa della santa religione contro gl’ infedeli. M-inistro di Dio e intrepido soldato, ora brandisce la croce a benedire i guerrieri, ora la spada per precederli nei piü aspri cimenti. ■ L’ entusiasmo di quei valorosi nella difesa della loro avita autonom ia contro il prepotente pascid, traluce dalle canzoni popolari, ehe ne accompagnano le gesta. Sono canzoni, a seconda dei vari affetti, liete e fiduciose, come p. e. a pag. 82 Mta itarcaStä žtpu>va£sv an ö töv ’Aßapty.ov IIoö ela&e, Aajxitpou tä rcacBiä; noä eiaöe MrcoTOapat&c; IloXXvj [xauptXXa tpytxai, ite£oöpa v.'j). xaßaXXa- E con queste parole che la moglie di un sacerdote greco da 1’ allarme. Densa schiera di Turchi si avanza all’assalto. Non sono un, due, o tre mila; ne son diciotto e forse venti mila. Le si risponde : VA? Spyiovr 01 rcaXaioToupxoi! ttnoxe Sev [xä; y.ajivoov VA; epüouv, Tto’Xejj-ov vä ižouv, xal XoüXudt&v Toutpev-ia’ Koc jia8ouv Aotjiitpou tö aitaOt, Mitotaapyj tö xotxp^x'., T’ äpjxata tiüv SouXcumaoiüv, ttjs 4ay.ooajj.EV7)? Xai8(u;' “Vengano pure i Turchi, nessun danno ci recano; vengano pure, a veder la pugna e i fucili dei Suliotti, assaggino la spada di Lampro, di Bozzari il moschetto, e le armi delle Suliotte, della rinomata Caide ... Or suonano meste, come nel carme popolare che segue: Euyvecpov piaSpov ay.£ttaCe tö EoöXt v.ai ty;v Kia; Ta )(ävouv. ’Axoöote, $ö>tou Ta rcatätä, tou Apay.ou jtaXXvjxoipca, Tö AsXßcvov tö arctaTov npöSaias Ta JtatStä |j.a;. “Nera, nera nube avvolse Suli e Kiafa; piovve tutto il giorno, la notte intera nevicö. E da Sistrani giunse uno svelto e prode guerriero. Da Iannina ei ci porta triste, ben triste novella. Ai pal-licari tramano morte i loro stessi compagni. — Udite, udite, voi figli di Foto e voi soldati di Draco; 1’infedele Del vino tradi i nostri figli, .... Quando l’astro di Sulii impalidi, quando, piü che l’esaurimento delle forze dei misero popolo, il compro tradimento di pochi, come si piange nel canto teste citato, pose fine alla lotta gloriosa, ed Ali piü coli’ oro che colle armi ebbe raggiuuto il sno intento, i Suliotti in massima parte emigrarono. I loro prodi campioni, la-sciato il dolce suoio natio, corsero a rinforzare le file dei clefti nella Livadia, nel Peloponeso e dovunque si combatteva per la Grecia. II canto a pag. 60 “'Yxozwcq toö FapSatoo, assoggettamento di Gar-dichi, tocca deli’ inumana vendetta sfogata da Ali sulla misera citta di Gardichi, situata ai confini deli’ Epiro verso 1’ Albania. Egli aveva promesso con giuramento a sua madre Carnco, di vendicarla dello sfregio avuto ancor nel 1768, quando rimase prigione dei Gardichiotti insieme alla figlia Caniza ed al figlio. Era allora riuscito male un attentato contro quella cittä intrapreso da Ali, il quäle, pella sua indole aggressiva e per aviditä di preda, aveva minacciato di rovina quella gente tranquilla, ehe desiderava unicamente di con-servare la sua autonomia, rispettando 1’ autoritä del Sultano. Nel 1812 quando era pascia di Giannina, mosse le arini contro di lei e, ridottala ad una leale capitolaztone, non appena 1’ebbe in suo potere, ordinö un aspro macello degli ostaggi avuti, ehe furono sgoz-zati da vili servi, perche i suoi soldati, sebbene feroci, si rifiutarono di farsi earnefici di gente in e rine, di vecclii, di donne e fanciulli. La penna rifugge dal de seri vere, dice il Pouqueville, ciö ehe fu perpetrato nell’ infelice cittä per ordine della sorella di Ali. Cristo Bozzaris, il padre del celebre Marco, sfuggito ali’ orrenda strage di Zalongos e di Vrestiniza nel paese dei Suliotti erasi riparato a Corfii e quindi aveva assunto servigio nell’esercito francese, ove era divenuto colonnello. Nel 1813 tratto dali’ardente desiderio di rivedere la sua patria, presto fede imprudentemente alle promešse di Ali ehe lo invitava a ritornare senza tirnore e gli metteva in prospettiva un grado militare. Ritorno e appena giunto ad Arta in casa di un suo ospite fu trucidato, assieme ad aleuni pallicari suoi amici, da soldati di Ali messi in agguato. Allude a questo fatto il canto a pag. 62 “'O Savoro; toö Kttaou Mrc6raap7j„ dettato nel dia-letto dei Greci dimoranti ai piedi del monte Olimpo. Un sacerdote di Turnavo cittadella di quei dintorni diede il canto al Fauriel. La guerra spietata mossa da Ali' ai Suliotti ebbe il duplice effetto d’ inasprire vieppiii gli animi dei Greci contro gli Ottomani e di porgere occasione ai clefti di perfezionarsi nell’ armi e divenire quegli intrepidi e valenti guerriglieri, che piü volte riscossero il plauso di notabilitä militari eui’opee. Si aggiunsero poi alti'e oc-casioni. II nesso di- dipendenza dalla Porta di qualche pascia andava, come dicemmo, allargandosi, e primo a mirare ai propri piü che agli intei’essi dello stato fu lo stesso Ali cui talvolta venne in ac-concio il valore dei clefti e se ne valse pe’ suoi fini, riservandosi, com’ era suo costume, di disfarsene dopo averli adoperati. Un esempio ne abbiamo nel canto popolare a pag. 58 “"AXwan; toö M^spatioö., Ali posposto ad Ibrahim pascia di Berat, da Curd pascia, ehe disposö sua figlia a quest’ ultimo anziclie ad Ali, ehe ne avea chiesto la mano, 11011 istette pago fino a che 11011 si fu vendicato. L’ anno 1810 fu preša d’assalto Berat. La fortezza cadde per opera partico-lare dei Greci al servizio di Ali. “IlatSta (lou, *1 o*o«oveo6*, OTaO^te, itaXXvjxapta! Ti tooov uifAa poveze; tlü^äte TY)V žvžpta oa; ! STaÖTjxe ! twpa t& xXeiSta a«; cpspop.sv to5 xaaxpou., (Figli miei, perche uc.cidete — Cessate o Pallicari — perche versate tanto sangue! risparmiate il vostro valore! Fermate, ecco vi rendiamo le chiavi della fortezza). Dal che si vede che, come dice piü sopra il canto, non soltanto misti a Turchi combattevano cristiani per Ali, ma che questi Ultimi appunto decisero della vittoria. Anche quando Ali volse apertamente le armi ribelli contro il suo legittimo so.vrano ebbe ad alleati potenti i clefti, come un Diaco, un Odisseo, che pugnarono valorosamente contro Omer Brioni nel Peloponeso, come si raccoglie dal canto popolare nella raccolta del Tommaseo a pag. 421 “La morte di Diaco,. E non bastavache pascid di dubbia fede favorissero pei loro scopi i pallicari greci; anche lo stesso governo di Stambul se ne valse e ne accrebbe talvolta l’influenza a tutto suo danno. La poesia popolare inserita nella raccolta del Firmenich a pag. 44 intitolata “0:. ’Apßavt tat? eis zo ’Ava7tXt„ allude al colpo decisivo dato dal valoroso Hassan pascia agli Albanesi nel Peloponeso nell’anno 1779. Quei 20000 Al-banesi o Schipetari mandati dal governo ancor nel 1770 nella Morea per sedare la rivolta ivi scoppiata, la repressero bensi; ma, preso diletto al fertile paese, vi fermarono stanza e lo espilarono, ne ci fu verso di espellerli fino a che Hassan paseiä., fatto appello ai Clefti stessi, non riusci nel suo intento. In questa occasione regnö pieno accordo, come si vede, fra Turchi e clefti, ed al truce trofeo di 4000 teste di Albanesi accatastate a piramide dinanzi alle porte di Tripoliza ebbero il poco ambito onore di partecipare anche i Greci. Piü efficacemente di ogni altra cosa contribuirono ad infiammare i Greci le guerre, che la Turchia ebbe alla fine del secolo scorso colla Russia , la qnale, alla non mentita simpatia pei correligionari greci, aggiungeva il calcolo politico di suscitarli ad insorgere, la-sciandoli poi, a guerra finita, in balia deli’avversario a combattere il quäle le avevano servito di strumento. E naturale che i Greci compromessi scappassero da ogni parte, riparando di preferenza ai monti a rinforzare le file dei clefti: Ne abbiamo un esempio in quel Lambro campione dei Greci nella guerra turco - russa del 1789 - 90, divenuto poi clefta di mare, mentre altri suoi compagni d’ armi fuggirono ai monti. II Byron vi allude nel suo poemetto “la sposa di Abido„ ...................... e tai fra loro Osan auco a maggior pensieri alzarsi Di compagni di Lambro i pochi avanzi, Pregustando colä (sui monti) come una guisa D’ anticipata libertade, e spesso Intorno al foeolar di lor cayerne Agitan fantasie, traman disegni I)i sottragger i raiä al lor servaggio.„ Per questi,fatti i clefti crebbero di numero, di forze e di co-raggio. Allato alla Grecia tranquilla sebbene di sentimento avversa agli Ottomani, sorgeva una Grecia militare pronta ad ogni cimento, gagliarda, agguerrita, piena di fiducia in se stessa pei successi ottenuti lottando assieme ed anche contro le truppe ottomane. Del come sia venuta man mano aumentando la resistenza tenace e lo spirito bellico dei clefti, ci offre un saggio il canto popolare a pag. 32 “Toö rE(opYoG(ö[JLot).B Georgotomo, denominato anche lo spartano, viveva coi suoi pallicari nell’ Acarnania meridionale e per valor militare, forza, rapiditä, destrezza ed ardire era annoverato tra i primi campioni. Molti fatti d’ arme da lui condotti con singolar bravura contro Ali, ne avevano divulgato la fama d’ invincibilitä, e non ci fu mezzo che il pasciä lasciasse intentato, pur di ridurlo all’ impotenza. II canto ci dipinge una lotta accanita di tre giorni e tre notti sostenuta da lui contro Iusuf, l’Arabo, fratello di latte di Ali, che gli aveva dato 1’ordine, pena la testa, di fiaccare la possa del clefta formidabile e di renderglielo vivo o morto. Ferito alla mano destra, ma pur osti-nato a resistere, dal mezzo dei nemici ond’ era cinto grida a suoi compagni: «lloü eiaOe, rcaXXyjxapta jxot>, 6Xiya avžpetfujjisva; Hetite Ta xouipExia aa;, aupETE xä anaötä oa?' l'coupoüai [JiEoa xäjjiETE, rcoipTE [jlou ti xstpaXt, Nä tJ-TjV to Toopxta, ’laoütp äjus 6 oxuXo?.» (“Dove siete guerrieri miei, pochi ed animosi; gettate i fucili, sguainate le spade; precipitatevi sul nemico, spiccatemi il capo dal busto, che nol prenda Iusuf aga, il cane,.) Dal canto citato parrebbe ch’ ei fosse perito in questa fazione; il che starebbe in contraddizione con un’ altra notizia che si ha circa il modo, come Ali sarebbe riuscito a dislarsi dei temuto nemico. Georgotomo sarebbe perito per mano di sgherri appiattati in casa di Ca-raico, suo intimo amico, forzato a prestar mano alla morte di lui, per salvare 1’ unico suo flglio, ostaggio in potere di Ali. Comunque stia la cosa, il fatto d’ armi suaccennato ci fa edotti dei progresso fatto nelle armi dai Clefti, divenuti ormai numerosi e formidabili. E fama, che dopo questa battaglia, Iusuf abbia volto al capitano Atanasio la seguente domanda: Com’e, che dopo ogni mia vittoria le vostre file si accrescono ? Spiegami il segreto! II capitano Atanasio gli rispose: Vedi lä quei cinque giovanotti alla testa dei miei pallicari. Ün pallicare che tu mi uccidesti nell’ ultima fazione, mi ha procu-rato coila morte sua quei cinque. Di questi, due son fratelli dei morto, due suoi eugini ed il quinto, un amico dell’ucciso. Yogliono vendicarlo e son venuti per ciö appunto. Se tu mi ammazzi questi cinque, te ne metto di fronte nella prossima battaglia venticinque, perchö non c’ & Greco che lasci impunita la morte di un suo congiunto. Se voi Turchi ci perseguitate qualche anno ancora, tutta la Grecia bran-dirä le armi assieme con noi.„ Le previsioni dei capitano Atanasio si avverarono. I clefti divenuti in appresso piü poderosi e fidenti nelle proprie forze affrontarono arditi un compito grande, la lotta disperata contro gli Ottomani, affine di liberare la Grecia dal loro dominio. Giä prima ancora dei tentativo infelice fatto da Alesandro Ipsi-lanti nella Valachia, che aperse la rivoluzione dei 1821, i clefti, i quali si erano formati nella dura scuola delle armi lottando con valore e pertinacia contro Ali, dotati di un colpo d’occhio piü sicuro degli etaristi, che ordivano i piani- della riscossa a tavolino senza cono-scere le condizioni del paese, avevano concepito 1’ idea di concentrare i loro sforzi uniti dapprima contro Ali. II loro piano si era di ab-battere la potenza di quel ambizioso e fiero satrapo ribelle, appro-fittando dell’ avversione che aveano per lui molti agä turchi e del sospetto in che lo aveva il sultano stesso, che ne vedeva crescere di giorno in giorno la potenza e ne conosceva la intenzione di erigersi indipendente dalla sublime Porta, non appena gliene fosse venuto il destro. Due sacerdoti, il i'amoso monaco Samuele ed Eutimo Bla-cava, conosciuto sotto il nome di papä. Eutimo, cercarono in ogni guisa di guadagnare gli animi dei clefti e dei pallicari al loro ar-dito disegno. Eutimo unitosi coi due fratelli Demetrio e Paleopolo di Carpenisi, dirigeva il movimento. Fu indetta una raccolta di campioni sull’ Agrafa, fu prešo d‘ assalto Castri, e fatto appello alle armi, da ogni parte si principiava ad accorrere in aiuto delle forze militari che s’ intendeva di dirigere contro Giannina, la resi-denza di Ali. Questi n’ebbe sentore, e mandö contro di loro il figlio Muhtar con buon nerbo di forze, il quäle sventö la trama; ma nella lotta sostenuta da parte greca con valor disperato, subi gravi perdite. Eutimo e i suoi due fratelli Teodoro e Demetrio riscossero 1’ ammirazione degli stessi nemici sbalorditi da prove cotali di valor militare. II solo Eutimo si salvo combattendo da leone e trovö ricetto appresso il Capudan -pasciä, 1’ammiraglio della flotta turca, un nemico personale di Ali. Piü tardi perö venne in mano di Ali, che il fece orrendamente martoriare prima di dargli morte e ne fece a brani il cadavere. A questi fatti allude il canto a pag. 46 “'O Ttcm«? xXeap|j.axyj xat rstopfofoa],, ci presenta giä dei clefti anche tra gli iniziatori della lotta nella Vala-chia nel 1821. Giorgio o Georgachi, fuggito tempo innanzi dalla Tessaglia, erasi rifugiato in Valachia. Nella guerra turco-russa si distinse per ištraordinario valore e dopo la pace di Bucarest scappato nella Serbia, prese ivi pure viva parte alla rivolta contro gli Ottomani. Assieme con Farmachi ei fu il primo a segnalarsi, benche inutilmente, nella Valachia nel movimento intempestivo provocato da Alessandro Ipsilanti cui Giorgio, militare esperto e giusto apprezzatore delle forze avversarie, aveva dissuaso dal cimen-tarsi coi Turchi in aperta campagna. Dopo il rovescio di Dragahan e la precipitosa fuga d’ Ipsilanti che riparö sul territorio austriaco in Transilvania, Giorgio si trincerö con seicento prodi nel chiostro di Chiatra in Möldavia, coli’ intenzione di attirare su di se 1’ at-tenzione del nemico, per lasciar campo ai Greci di agguerrirsi e di concentrare le loro forze. Lasciato quel luogo forte, ove aveva fatto eroiche prove di resistenza, e trasferitosi pel consigiio interes- sato del vescovo de Romano nel chiostro sguernito di Sekko, dopo un mese di resistenza accanita cadde da prode in lotta con forze turche enormemente preponderanti, non senza aver fatto pagaro assai cara al nemico la vittoria. Gli avanzi de’ suoi ripararono sul territorio austriaco; con che ebbe fine l’inconsulto tentativo d' Ip-silanti nei principati danubiani. Le dure vicende di questa lotta ineguale, gli slanci audaci, la furia degli assalti, 1’ intrepidezza delle difese, e la raorte dei due campioni Georgachi e Farmachi sono dipinte in quel lungo canto militare con una vibratezza ed energia di fräse da lasciarne fortemente impressionato 1’ animo del lettore. La chiusa in particolare e molto commovente. Tanto valore sprecato per un errore, senza pur il conforto di vedersi compianti! 'Esst? JtouXtü, «JnrjXa Ttstäte tov «spa, ETSijatv Soors ’<; r)jv 4>payxtäv, xäiv ^ptoxtavJiv tobt totiou?. A'jots rfjv ap|j.otxatvav jjumaxa xoö Saväxou (E voi augelli che vi librate alto per Taria, portatene novella nel paese dei franchi, in tutti i luoghi cristiani. Anche a lei, alla sposa di Farmachi, portate il luttuoso messaggio.) — Fin qui ci siano studiati di seguire colla scorta degli stessi canti lo svolgimento storico degli avvenimenti preparatori della lotta, che comincia nel 1821 e si prolunga aspra, feroce, disastrosa per ambe le parti contendenti. Ripetiamo, che non e nostro compito di tracciare un’esposizione ordinata deli’ andamento di quella guerra, descritta in molte e pregia-te opere storiche che ne offrono un quadro esatto e completo. Noi studiamo il carattere del popolo greco militante, quäle si manifesta nei canti popolari, che rispecchiano il movimento degli animi e lo sviluppo dei latti. Fuse ormai, come vedemmo, tutte le volontä in una sola, unico obbiettivo divenne la guerra di tutti i Greci contro gli Ottomani. Ormai sparisce ogni traccia di odiositä dal nome stesso dei clefti derivata dali’ epoca in cui erano opposti all’ altra parte della popo-lazione armata, gli armatoli. Ormai i piü nobili e puri caratteri militari e patriottici, come un Odisseo, un Diaco, un Bozzari e cento altri non isdegnano di fregiarsi del titolo di clefta, ossia di guerrigliero armato a difesa della patria. Omai'alla vita queta ed agiata delle cittä. si preferiscono dai guerrieri i monti, le soli-tudini, le vette alpestri e rocciose, i cupi anfratti delle selve. I poetici monti decantati dalle muse della Grecia classica, il cui nome evoca memorie gloriose, ispirazioni sublimi a tutto che di bello e di grande onora 1’ umanitä, divengono stabile dimora dei clefti ardenti di sentimento nazionale e religioso, pronti ad ogni cimentto, vigorosi nel fare e nel soffrire. Al vivo afFetto per quei cari monti s’ispirano le canzoni come p. e. a pag. 10, la canzone “Toö nXtoiaxa, — L’ Olimpo era pei clefti il monte sacro per eccellenza, ove la voce popolare diceva, soggiornassero guerrieri nazionali numerosi come i rami degli alberi che lo vestivano. I quattro clefti nominati nella canzone, Nico, Cristos, Tolios e Lazo erano il terrore dei Turchi e degli Albanesi. Un augellino interrogato da un guerriero ferito, s’ ei possa guarir della ferita, risponde: “ITWaxa [j.’ av ösX^s [arpeujia, va tavouv y jtXTjyais aou yEßya (prjXä 'c zbv vOX»j;j.ttov, 3j täv sojiop'fov tov to’icov. 'AvSps'tot ’xel Sev äppu>OT&üv, *’ äüjjuiaxol ävSpeciuvouv.,, (“Pliasca, se trami guarigione, se vuoi, che le ferite tue risanino, ascendi sull’Olimpo, il delizioso luogo, ove i prodi non ammalano mai, e i malati divengono prodi„) Dell’ Olimpo tocca anche la canzone a pag. 38 “toö 5OX6jj.7tooB — Uno strano concetto, la personifieazione dei due monti, 1’ Olimpo ed il Kissavos (1’ Ossa degli antichi) che fan tra loro contesa di premi-nenza. L’ elogio che di se fa 1’ Olimpo non potrebbe essere piü poetico. “Io sono 1’ Olimpo antico, ei dice, famoso in tutto il mondo; ho ses-santa due vette, quaranta chiostri, e quante vette, altrettanti ho templi e sorgenti vive. Ho accampamenti di Clefti, ove svernano i guerrieri. E quando riappar primavera nella sua pompa, e sbocciano i germi dei ramoscelli, allor sulle mie vette un formicolar si scorge di clefti e di prigion di guerra. Un’aquila ho pure dali' auree penne che posa sulla roccia e col sole favella, .... Di armi e di di canzoni di guerra risuonano la Tessaglia, l'Epiro, la Rumelia. Le balze e i dirupi inaccessibili a truppe di linea divengono trincee inespugnabili ove hanno aspro ma sicuro ricetto i clefti e gli armatoli omai fusi assieme, che lasciano le loro dimore (xXscpto-X“P'-a) nei campi ridenti della Tessaglia per brandire l’armi a difesa del loro paese. II Pindo (l’odierna Agrafa) 1’ Oeta, il Parnaso e quante sono le storiche montagne deli’ Acarnania, dell’ Etolia, della Focide, della Beozia, dell’Elide sono occupate da clefti, attorno a cui si aggruppano quanti stimola 1’ amor di patria, 1’ ardente desio di cimenti e di pugne, come p. e. si vede nella canzone a pag. 40 “Tpatpifj twv xXscpTwv xoö BccXtoo, Omai il linguaggio dei Clefti e linguaggio di söda. “Adesso, adesso, vedrete o Turchi, i brandi greci ed i fucili e come gli Elleni sappiano combattere, Son parole di Colocotroni all’ assalto di Tripoliza — Canzone a pag. 64. — Echeggia 1’ aere d’ inni di guerra pieni di fuoco, di entusiasmo, come quello inserito nella raccolta a pag. 90 “0o6pio?s Eccone due strofe : Per la fede di Cristo e per la cara Libertä della patria, Per questi dne tesori io vo pugnare Con questi io voglio vivere. E se ottenerli mai non m’e concesso , Che giova a me la vita? Lampeggia in ciel, cupo rimbomba il tuono, Scroscia la pioggia e rugge L’ aquilon scatenato, ed io dei monti Salgo le alpestri vette.. Sorga la patria mia! Sorga la Grecia! , Evviva la mia spada! Si bandisce la guerra santa. Ai prodi e promesso il paradiso. Toupxot)? jtoXXob? ecxdtiucE, e;/E [leyaXv] ©ä yei x’ et? tov JtapäSeioov otcüvta rr)V (xv^ftT). Canzone, a pag. 93 La Grecia settentrionale e la media divengono il teatro delle gesta lodate nei canti nazionali. Fatti d’arme brillanti, imprese ardite, prove di antico eoraggio, d’ intrepidezza, di sprezzo della rnorte, ci offre pure la campagna navale, ove i Greci, per numero e mezzi di guerra inferiori al nemico, gli sovrastanno perö in valentia, destrezza e perizia marittima, doni particolari della nazione greca fino da tempi remoti dell’antichitä. Anche la Morea, ove ha stanza, nell’antica Laconia la razza forte ed impavida dei Mainotti, fu campo di lotte sanguinose, nelle quali, fra tante stragi, devastazioni ed orrori, rifulsero lampi di valor militare degni di epopea; ma di qualche singolo clefta in fuori, come quel Zaccaria decantato a pag. 30 “toö Zor/ap'.a,, oriundo della Morea, i clefti piü rinomati, i campioni di guerra piü valorosi sono oriundi della Grecia media e settentrionale. La lotta che ora s’ impegna tra le due nazioni, la greca bol-lente di entusiasmo ma siornita di mezzi di guerra, e 1’ ottomana, distinta per imponenza di armi ed innegabili virtü militari, ci offre uno spettacolo, che ha del truce, ma anche del grandioso e del poetico! La musa popolare greca, che nella prima parte di questo lavoro vedemmo toccare la cetra e trarne note or foi'ti e vibrate or tenere e soavi di pašsione amorosa, da fiato ormai alla tromba di guerra e äccompagna il popolo nella palestra delle armi. — E un epopea che si si affaccia, meno splendida dertamente dell’omerica, meno imponente per ampiezza di quadri, per altezza di meravigliosi concetti e per clas-sico splendore di forme; ma piü ledele al vero, perche nella maggior parte dei canti popolari moderni l’assenza dell’artistico pennello lascia spiccare genuina 1’ impronta dei fatti e la figura degli uomini che hanno parte al duro cime'nto delle armi. II Byron deplora il silenzio della musa greca, nella sua splendida apostrofe al Parnaso da noi anteriormente citata; ma la sua pittura non risponde al vero. La musa greca colta, la musa artistica taceva, ma non la popolare, com’ egli stesso h costretto di riconoscere in una delle note declarative al suo “Aroldo„. “I loro canti popolari sono talvolta graziosi e patetici; ma i metri per lo piü sgradevoli alle orecchie di un franco*. Altrimenti li apprezza il Fauriel (citato dal Tommaseo a pag. 358) “Nei canti cleftici, il selvaggio ardimento del concetto e delle immagini risalta piü netto dalla semplice famigliaritä del linguaggio, piü che non farebbe dalle declamazioni rettoriche e dalle adorne eleganze. Gli autori e i narratori di quei fatti, uno spirito comune gl’ispira; si che quelli diresti potevano valentemente cantare e questi valentemente combattere. Non sai se in quei versi o se in quelle imprese sia piü ardente 1’ affetto di patria. Senti in tali armonie 1’ aria delle montagne, e 1’ ispirazione venire continua dalle fonti, dalle foreste, da1 massi. Liete montagne, non velate da nevi perpetue, non lontane di lä, dove spunta la rosa,. • Lo stesso Fauriel tocca altrove dell’ origine di detti canti e si appone al vero osservando: “ La poesia popolare non na nome di autore o l’ha finto; prova, che non per vanitä compongono, ma per bisogno del cuore commosso; ehe il premio piii caro del canto gli e il canto stesso. Versi d’ ispirato concetto e di linguaggio maravi-gliosamente consonante al concetto; non sai se sian opera di un pastore, di un zappatore, di un operaio, d’ una povera vecchierella; ma quasi certo di chi non sapeva leggere, non sapeva misure di verso e cantö perche non ne poteva a meno, perche non sapeva parlare altrimenti. De’ piani, delle isole, delle montagne varia la maniera; qual piü bella non sai. A Giannina i conciatori special-mente fanno quelle canzoni, che poi corrono l'Epiro e piü la. Nei campi segnatamente i pastori. Le donne lamentano sui monti e cantano esse il piü di naestizia affettuosa, Le canzoni guerriere o sono del clefta stesso o dei ciechi che * vanno per tutta la Grecia e come gli antichi rapsodi vivono di armonia. I ciechi specialmente le cantano,. Azione efcanto sono inseparabili cosi tra i Greci, come fra tutti i popoli deli a penisola balcanica eh’ebbero guerre cogli Ot-tomani. — II bardo 6 persona sacra tenuta in pregio superiore pur anco a quello del guerriero. E un figlio del cielo, un essere privile-giato, cui Dio stesso ispira e manda ad istruire e confortare i popoli, a renderli accessibili ali’ impulso degli affetti dolci deli’ amore ed ai forti deli’ entusiasrno di guerra. Della venerazione tributata a questi banditori della voce divina abbiamo esempi anche tra gli Ottomani. Neli’opera grandiosa del Wollheim “Die National-Literatur der Völker des Orients, (Bei’lin, Hempel, 1873) si riportano, tra gli altri dei brani della “biografia di poeti turchi, di Abd-el Latift, che in argomento si esprime cosi: “Nel cuore dei primi poeti ripose il creatore i suoi secreti. II loro canto e ispirazione celeste. Per mezzo loro venne annunziata ai mortali la volontä. deli’ Eterno. Rapiti dal fascino di loro armonie gli uomini si formarono a vita civile, ed e a loro che devesi 1’ origine delle arti e delle scienze Nel cuore del poeta sono ascosi tutti i tesori del mondo, e la loro lin-gua e la chiave per accedervi. La lingua del poeta e la chiave del paradiso..............* (Vol. II pag. 560, 561). Lo stesso concetto sulla missione celeste del poeta, il cantore delle gesta degli uomini, il divino retributore di lode ed infamia; la stessa aureola di santitä, d’ intangibilitä che cinge la sua persona e la rende oggetto di religioso rispetto e di adorazione, e tradizionale fra tutti i popoli nelle epoche coi dette eroiche. I passi ove ricor-rono tali attestazioni di riverente estimazione dei bardi nazionali sono frequentissimi nelle due grandiose epopee 1’Iliade e 1’Odissea. In quest’ultima in particolare si vedono špesso gli“aot§o{, ascoltati con devoto raccoglimento da fieri e prodi campioni, cui intenerisce e affascina la voce ispirata del vate che sa toccare le corde piü sensibili del cuore ed ihiporre silenzio alle tempeste piü furiose dell’ animo. Della santitä di loro persone e dell’ effetto potente della loro voce sugli uomini ne dä, un esempio 1’ Odissea, al canto 22, verso 346 e segg. dove Femio volge supplice preghiera ad Ulisse perche il risparmi da morte. Fouvoujiat a’ ’OSoooeü, ob 8e jj.’ atSeo nat ja’ eXerjoov Ulisse, ascolta queste mie preghiere, E di Femio pieta 1’ alma ti punga. Doglia tu stesso indi ne avrai, se uccidi Uom ehe agli uomini canta ed agli Dei. I)otto io son da me solo, e non giä 1’arte, Ma un Dio mi sernino eanti infiniti Neli’intelletto. Gioirai, quäl Nume, Deila mia voce al suono. (Trad. Pindemonti) Cosi viene di frequente dipinta la missione del vate nell’ Odissea al C. I, v. 345; IV, 17; VIII, G2, 63, 475, 498, e nel canto stesso al verso 575, dove e detto, ehe il ciel manda agli eroi affanni travagli e morte, perche sian oggetto di poetica esaltazione ai posteri (laso-[jižvoio'. aotZri). Allo stesso pensiero s’ inforraa il religioso rispetto tributato alle sacre persone dei vati nazionali appresso i Serbi. Fra le leggende e le canzoni eroiche del popolo serbo ripro-dotte in libera versione tedesca dal Kapper (“Fürst Lazar, epische Dichtung nach serbischen Sagen un Heldengesängen, Leipzig, Herbig. 1853.) ve n’ e una intitolata: “Una caccia in giorno di domenica*. E Dusciano che con Bogdano lug e i dodici figli di lui corre e ricorre le selve in cerca di preda. Muta e deserta e la campagna. Nessuna traccia di fiere. I cacciatori non se ne sanno render ra-gione ; ma il re dice : “Giorno di domenica e oggi. Anche le fiere lo rispettano. Torniamo alla magione, perche il sacro e cieco cantore non dica di noi: “Le fiere stesse onorano il santo giorno, voi soltanto non 1’ osservate, Avvi un altro carme dei piü belli ehe vanti la poesia serbica. La scena ci presenta un convitto nell’ aula di Vucassino, 1’ usurpa-tore del trono di Dusciano. E 11, in inezzo al tripudio dei commen-sali, nell’ebbrezza comune di guerrieri e di donne galanti e libertine, onde si cerca di assopire i sensi magnanimi deli’ erede legittimo Uroš — complice 1’ajo istesso di lui, Milan — che a mezza notte entra nella sala il cantore. L’ a,vvinazzato Milan lo vuol bandire; ma il giovinetto Uroš, come presago degli effetti di quell’ apparizione, il conforta a rimanere. Canta il vate dapprima versi di amore, di ebbrezza sensuale come a secondare 1’ invereconda allegria dei commensali; ma fattosi poi piü da presso al giovane, intuona un canto pieno di nobili pensieri, di. generosi incitamenti a lui diretti, perche seuota il giogo avviüente, ehe il tiene oppresso e dimentico della virtü del padre e degli avi. II giovine si sente balzar il cuore nel petto, accendere la fantasia, risvegliare 1’ ingenita brama di nobili e generöse imprese. Se ne avvede Milan, 1’ aio infedele, e giä stende il braccio per afferrar il cantore; ma questi, come da magica virtu involato, sparisce e dal fitto della campagna, nell’ ombra cupa della notte, manda la sua voce profetica, ehe ai tristi risuona minacciosa e ferale, confortevole e gradita al giovane rampollo. Le sue note forti e vibrate vanno lentamente affievolendo in lonta-nanza, fino a sentirsene come un’eco, che dice: Sorgi, rampollo rigo- glioso di quercia. Mal per te, che le vigorose tue braccia non espandi per l’aere; che il nerbo di tua vigoria lasci languire e sperdersi nel lezzo d’ignobili passioni.... E come dell’antico e moderno aoiSo? greco e del „guzlaro“ serbo giung« rispettata e sacra la voce al suo popolo, non altri-menti risuona solenne e venerata quella del „topzar“ (da „topz“ liuto) ad un altro popolo deli’ Oriente, il rumeno, il cui genio mi-rabilmente si conforma alle melodie forti e soavi della sua musa popolare, di cui si e resa teste celebre interprete la regina di Ru-mfenia conosciuta sotto il nome poetico di „Carmen Sylva“. I canti raccolti dal labbro del popolo dalla dama Elena Vacarescu, tradotti dalla regina in elegante poesia tedesca e publicati sotto il titolo „Der Rhapsode von Dimbovitza“ (Bonna, Strauss, 1889), ci offrono, come vedremo in appresso, delle vere gemme di poesia degne di venir messe a fianco delle piü vag he e sublimi espansioni dell’estro popolare di ogni nazione piü privilegiata da natura del dono poetico. Come dicemmo, il cantore, ispirandosi ai sentimenti del popolo durante le guerre nazionali, ne risveglia le virtü belliche, e tiene viva la face dell’entusiasmo esaltando i campioni che fanno lode-voli opre sui campi deH’onore. Come neila tragedia antica di Grecia il coro assiste con animo intento a!lo svolgimento dell’azione e in versi gravi ed ispirati effonde le sue impressioni, cosi anche nella guerra turco-greca la poesia popolare precede e segue le prove ardite di valore dei combattenti. E come la voce della coscienza popolare, che anima e conforta chi pugna e ne indirizza il pensiero e 1’opera alla meta vagheggiata. Questi canti popolari sono effusioni d'animo acceso di patriot-tismo e di ammirazione entusiastica dei prodi che lottano e soffrono. Sono dettati in istile epico accalorito qua e lä da sfoghi lirici, che rispecchiano la commozione di chi li compose. La figura che sovra ogni altra in essi campeggia & il clefta divenuto, come dicemmo, l’eroe nationale per eccellenza. Ed e di questa figura militare, che torna di vivo interesse il vedere, come la poesia ne tratteggi le fattezze, Io spirito marziale, la tenacia e la forza, nonche certi usi e costumanze, le quali trovano riscontro con tipi ed istituzioni militari ricorrenti nei canti nazionali della Grecia classica, raccolti nei due grandiosi poemi, 1’ Iliade e l’Odissea. Parrebbe incredibile, e pure s’incontrano analogie ed attinenze d’idee di costumi e di fatti non poche tra l’antica e la moderna Grecia ; la quäle siccome nella vita privata e sociale ve-demmo tener molto deh carattere antico, cosi nella militare ci offre campo di raffronti colla vita antica della nazione; senza dire di certi caratteri militari moderni, che non temono il paragone coi giä celebri soldati di Sparta. In questo riguardo ci si affaccia qui un bei tipo di eroe, il Nicozara, le cui gesta sono celebrate nei tre canti a pag. 5-1-58 della raccolta Firmenich. Iniziato fino da suoi primi anni dall’ar-chimandrita Antinoo nello studio dei caratteri militari omerici del- 1’Iliade, n’ebbe incentivo a distinguersi e ad emularne il valore. Egli rasenta il tipo deH’Achille omerico. Elotto capitano dei clefti di Tessaglia dopo la morte del padre caduto sul campo di battaglia, non e fatto d’armi ardito, quasi temerario, cui non si cimenti con un’intr'epidezza da sbalordire gli stessi nemici. II suo quartiere generale era l’Olimpo, donde scese, come giä dicemmo, per dar mano alla rivolta in Valachia. II canto a pag. 55 accenna al brillante fatto d’armi di lui al ponte di Pravi sullo Strimone, ove minacciato da ogni parte, senza viveri, senza munizioui, riusci ad aprirsi il varco colla spada e mettersi in salvo. II fatto ricorda in qualche guisa il passaggio del fiume Centrite nella terra dei Carduchi de-scritto nell’Anabasi di Senofonte. Di un eroe omerico egli rasenta perfino le fattezze. La sua bellezza e straordinaria, vigoroso il braccio, fulminea la spada. II suo nome suoria terrore ai Turchi ed agli Albanesi, che il tengono per un uomo fatato, cui non toccano le palle di moschetto e se ’1 toccano, cadono a terra senza ferirlo. II canto a pag. 58 allude al Nicozara divenuto, non si sa perche, in appresso clefta marinaro, ehe comanda tre galee dalle vele nere, il terrore dei naviganti turchi, ehe al solo udii le nominare si seu-tono correre un brivido per le ossa. Una scena tratteggiata con rilievo di tutti i casi e le vicende di un combattimento accanito, dove ci va di mezzo l’acquisto o la * perdita di nna forte e decisiva posizione, si e quella dipinta nel canto XII deli’Iliade, la Un riscontro, per magnificenza epica, certainente al di sotto della pittura omerica, ma afline per analogia d’incidenti, si e la narrazione epico-lirica dell’assalto di Tripoliza o piü precisamente della cittadella forte ehe la guardava, ove s’era riparato il buono e il meglio delle milizie turche sorprese dalla'rivoluzione nella Morea nel 1821. II contegno del capo greco Colocotroni ricorda 1’impeto irresistibile deli’Ajace omerico, lpxo? ’Ayoe.wv, che nei momenti decisivi e perigliosi anima i suoi colle parole “|jivT;aac36s ÖotipiSo? aXv.~qQ„ che accennano ad impeto, resistenza furiosa, disperata. Di questa appunto avean d’ uopo i Greci, per impossessarsi, come fecero, ad arina bianca deli’ ultimo baluardo di Tripoliza, ove il nemico erasi chiuso e difendeva la posizione valo-rosamente. “MoXSts xd xoutpsxta oa;, aupexs xa anaOia aa?„ („Lasciate i fucili, brandite le spade“) Un tratto caratteristico della cavalleria omerica e, come tutti sanno, il culto degli eroi pel sacro vincolo di ospitalitä, forte tanto da attutire ogni rancore anche nel bollor della mischia. L’episodio di Glauco e Diomede nell'Iliade, ehe stannodper volgersi 1’uno al-l’altro il ferro nel petto e finiscono per ispandersi in accenti di re-ciproco affetto e pei4 iscambiarsi le armi, perche si riconoscono come ospiti aviti, e notorio. Di liete ed affettuosissime accoglienze ospitali, di esuberanti effusioni di tenerezza tra ospiti ricorrono spessi esempi nell’Odissea; p. e. C. I,; v. 124... C. III, 35; C. IV, 30-35; VI, 206, rcpd? A-i? slatv aTtavts? Ssivol xs "Tcoyoi te, Soat; 85 bXtY>J f'-ty T8i XV, 70-75, ove con nobili parole 4 biasimata ogni piü lieve mancanza di cortesia verso 1’ ospite; C. IX, 478, ove Ulisse rimprovera ali’ acciecato Polifemo la scortesia ospitale, ehe gli attirö 1’ira di Giove. La poesia moderna ci offre saggi di questo sentimento caval-leresco perfino tra persone, che per fede e per stirpe sono tra loro giurati nemici. II canto a pag. 16 „toö Xpfotou MrjXiov^“ si chiude con questi tre versi: "Oao V 6 Xpiato? £umavö?, Toopxou; 8£v rcpoaxuväet Mk tä Toutpexia etpslav 6 Iva? itpu; tov äXXov uraav eS&aav ’? tyjv tpiuTtav, v.’ eitsaav et? tov tditov. („Fino a che Cristo Milioni vive, non s’inchina ai Turchi. Coi fucili corserö l’uno contro l’altro, e fuoco diedero sopra fuoco, e caddero morti al suolo“). E un tipo di clefta interessante quel Cristo Milioni, detto cosi dalla lunga carabina ([mjX'gvi), arma, in sua mano, formidabile, di cui oggidi ancora suona la fama nell’Acarnania. In una delle sue ardite spedizioni avea tratto prigioni il „Kadi“ di Arta e due agk turchi, ne occorreva di piü per ispingere all’estrerno 1’ ira del paseiä. Per uno di qüegli ordini, che non ammettono replica, il capo del comune (jtposotw?) ed il comandante di gendarmeria dove-vano conSegnare Cristo Milioni vivo o morto. Nel suo imbarazzo il capo della gendarmeria non seppe trovar spediente migliore che di commettere 1’ uecisione del temuto clefta ad un certo Solimano, un turco amico personale di lui. Accolto siccome amico ed ospite in casa di Milioni e festeggiato, non ebbe cuore di macchiarsi del sangue deli’ospite e gli confessö lealmente 1’ intenzione che l’aveva guidato, suo malgrado, a venir in casa sua. Un duello leale, in cui ambidue caddero fulminati, pose line alla fatale posizione del-1’uno, ehe preferi la morte al tradire 1’amico, e dell’altro che non vide altra via di scampo alla tiera persecuzione del paseiä. Un nobile esempio di religione ospitale diede il famoso Andrea Miauli da Idra, un soldato di tempra antica, inesorabile perfino contro il proprio figlio, che appiattatosi una volta per paura du-rante una zuffa sangainosa, fu dal padre trascinato pei capelli nel posto piü pericoloso. In una rivolta ad Idra il Miauli ospitö in casa sua alcuni turchi inseguiti, e non fu minaceia o violenza di popolo concitatissimo che l’inducesse a dare in mano dei persecutori gli ospiti che avea ricoverato, sebbene il risentimento privato per 1’ uc-cisione di due nipoti avvenuta poco prima per mano dei Turchi, il consigliasse ad ägire altrimenti. „Abbiam cou l’uom noi guerra Morte all’uomo, e salvezza al sesso iinbelle.“ Questo concetto, che il Byron fa esprimere dal suo corsaro, e comune ai clefti, i quali, meno rarissime eccezioni, rispettano la bellezza sventurata ed alle prigioniere di guerra, non torcono un capello; considerando siccome una vigliaccheria indegna di guerrieri ogni atto di vessazione o di soperchieria verso il sesso imbelle. Questo spirito di gentile cavalleria fa riscontro ad esempi che si trovano nell’ Iliade come quello p. e. che ci si affaccia nel canto VI, ove Ettore' furente d’ira contro il fratello imbelle, si placa dinanzi alla vaga Elena piangente, e null’altro oppone alle sue proteste di colpa e di rimordimento pei danni recati a Troja, che queste gentili parole: „Non ti corrucciare o donna! e il destino che ci affligge tutti“. Del resto non sorprende che nulla possano sai guerrieri le attrattive ed i vezzi delle prigioniere di guerra, se delle proprie spose e mogli che amano ardeiitemente paiono dimentichi, quando la voce del dovere li chiama alle armi. Nella raccolta del Tommaseo a pag. 125 e riportata una can- zone che chiude coi versi: “Ora la diana, ora 1’alba s’appressa! Ora gli uccelli gorgheggiano e dicono : Desjtati, amor mio, destati, mio dolce amore, Destati, per goder due occhi fedeli, Occhi della leggiadra, che vive solo per te . . . «Mcmct XtYepvjs ’icoü JJ-ovov fid ’aeva» Cosi una tenera sposa invita a rimanere un guerriero sfinito dalla fatica, che nel fitto della notte pote staccarsi dal carapo vicino per godere un po’ di riposo in famiglia, e desto appena lascia ratto il giaciglio e corre al campo, sordo alle lusinghe d’amore. Lo stesso concetto di amore, proprio della poesia greca e co-mune anche a quella dei Serbi. In una canzone serba intitolata, „Milos in cerca di una sposa“ c’e un brano lirico che contiene questo pensiero »Non e tra i balli che si conquista amore, ma sui campi di battaglia. Amore e premio di prodezza“. I/entusiasrao di guerra fa porre in non cale gli agi e le comoditä della vita, im-pone silenzio alla voce degli affetti piü cari di famiglia. In una canzone tra le raccolte dal Tommaseo, una madre prega il figlio di rimanere a easa ad attendere agli affari domestici: „Basilio mio, statti clieto e diverrai capo di casa; acquisterai pecore, bovi e mucclie“. Egli risponde : ’Efiu, [xavva, xoi0o|ji.ac va ysviu o'txoxipvj? 0ä itapiu tb Tootpexi jiou, 6a t^uiaui tb aitaßt (xou. “Io madre, non istö clieto per esser capo di casa. “Vo’ prendere il mio fucile, vo' cingere la mia spada„. Uno solo e il movente, come tra gli eroi omerici „a[i.6vei6a!. TOpi itätpyj? (II. XII, 124)“. Al ritirarsi con disonore preferiscono la morte onorata coli’armi in pugno, come gli eroi d’Omero. Iliade C. XXII, 108 «vj A/:/.ra xaTaxxEtvaVTt ve’saöac ’He xev aoiä) bXsn6ai euxleiui; itpö nilijoc» Esempi di cosl fatta intrepidezza ricorrono spesso nella poesia popolare moderna. II canto a pag. 22 del Firmenich „toö Tävvvj Sta6ä“ ci pre-senta Gianni, figlio di Stata e genero del celebre Bucovalla di Acar-nania, come capitano di una nave dal vessillo celeste in fiera lotta con un bastimento di guerra turco su cui sventola il vessillo rosso. All’ intimaziüne di arrondersi, il capitano greco grida: fie 0ap£>etTS vsovujjupKjv, vjfitpnjv vä itpoaxuvqaio „Non isperate ehe mi arrenda, pavido come una donzella“. — L’idea istessa trova analogia lieH’espressione omerica ’A/aitSs? oöxst A'/atot. — Con ardita manovra accosta la nave nemica, vi salta entro e .vince. Nel commento al canto a pag. 80 bü6Xs[j.o' toö IoXioo“ ove si ricorda un sanguinoso certame di Suliotti capitanati da Zavella, Lampro ed altri valorosi, v’e cenno di una lettera di Zavella ad Ali che gli teneva prigione il figlio Futos e minacciava di ucci-derlo, se il padre non si arrendeva. „Tu mi vorresti in tua mano insieme a mio figlio per ucciderne entrambi; ma io voglio vivere, non fosse altro che per vendicarlo se 1’ uccidi. Dalla mia consorte avrö altri figli, ne mi spaventa l’idea d’esser chiamato padre sna-turato, che alla propria prepone la rovina del figlio“. L’esito della pugna e dipinto nei quattro ultimi versi del canto a pag. 81, ove i Turchi stessi esaltano il valore dei loro nemici. Che il figlio di Zavella sia stato liberato, si raccoglie dalla parte rilevante cli’ egli ebbe assieme a sua sorella Caidos ed al monaco Samuele negli ul-teriori eventi della guerra tra i Suliotti ed Ali fino alla conven-zione stipulata nel 1803. Fotos esulo, appiccato dapprima il fuoco alla sua casa. Gli altri o perirono o seguirono il monaco Samuele, che si chiuse nel forte di Santa Veranda e secondo Pouqueville die fuoco alle polveri seppellendo se e i nemici nelle rovine. Pare incredibile che un pugno di montanari chiusi, come dice il Byron, nei loro greppi, abbiano potuto sfidare per tanti anni le ire di quel potente paseiä. Non e pero soltanto dei guerrieri nati e cresciuti tra le armi, che si ammira il valore e 1’ intrepidezza. Nelle lotte dei Suliotti combattevano a fianco dei mariti, dei padri, dei fratelli anche le donne e gareggiavano con essi Nella poesia popolare a pag. 83 si dice: „Lasciate pur venir innanzi i Turchi, mila, duemila, ventimila; proveranno di Bozzari il fucile, di Lampro la spada, le armi delle Suliotte e di Caidos, l’eroica sorella di Zavella“. La storia ci narra il fatto di Costanza Zaccarias, che, fre-mente d’ira per l’uccisione di suo padre avvenuta a Tripoliza, si pose alla testa di una schiera di donne animose e respinse un drappello di soldati turchi nella pianura di Sparta. Una bellissima canzone 6 quella a pag. 126 „T/j? *aXvjs ipa-YouBiatpac“, „l’avvenente cantatrice“. — E una donna giovane bellissima, che affretta col desiderio il ritorno del marito güerriero da molti anni assente. Ella canta e col suo canto, assai piü che al dolor dell’assenza, dä. sfogo alla brama che la strugge di riveder lo sposo reduce dalle patrie battaglie con segni d’onore. E nota nella storia della rivoluzione la Bobolina dell’isoladi Spezia, che nel 1821 allesti a sue spese tre navi e vide il figlio cadere a’ suoi piedi all’assedio di Nauplia. La giovane Maurojeni cinse l’armi per vendicare il padre Potrebbe darsi, che questa fosse la vezzosa guerriera in abito mi- litare, la quäle lungo tempo si aggiro sconosciuta fra im drappello di clefti e ne divise disagi e perigli, fino a ehe un di le venne involontariamente a scoprirsi il seno, nell'atto che coi compagni faceva a gara, giuocando di destrezza e di agilitä nel lanciar sassi. Questa . figura di gentile amazzone ci si affaccia in un canto del Tommaseo a pag. 78, e fa riscontro alla giovane guerriera serba, tutta pudore e ardimento, che in isoambio del padre infermo va a militare nell’ esercito del Sultano. “Or dice Dora, la giovinetta, O babbo mio, vecchio Gianni Tagliami un abito guerresco, Qual portano i cavalieri del sire. E dammi lucente armatura E il tuo cavallo chiomato, E dalla spalla il fine moschetto E da fianco la spada occhiuta. Io andrö nell’ imperial oste Senza rnuta nov' anni. Di lei invaghisce perdutamente Omer figlio del visire, che scopreril pietoso inganno. La donzella non e aliena dal corrispondere al suo amore, ma fugge e non si fa piü vedere, alla notizia che il padre di lei e presso a morire. Lo stesso Tommaseo riporta a pag. 136 un’ altra bella canzone, intitolata „la suocera forte, e vi premette questo giudizio: ,canto che vale un libro delle odi di Orazio e dieci canzonieri d’amore.“ Ci presenta il tipo eroico di una donna, che per non cadere in mano degli Albanesi, da di piglio ad un tizzone e volta alle figliuole e alle nuore, grida: Schiave dei Turchi non viviamo. Figliuole, con meco venite!, Ed, accese le cartucce, furono tutte una fiamma. Un’ altra canzone nota in Grecia e prediletta, come dice il Tommaseo, dalle signore di Costantinopoli, s’ intitola “il riscatto, ed esalta una madre, che alla vista del figlio prigioniero, si slancia in mezzo alla scorta, taglia in un lampo le ritorte ond’ era avvinto e lo libera. E quäle e 1’ incentivo a tanta abnegazione, a tanto valore ? quäle la corda sensibile, che fa vibrare potentemente il cuore e lo rende insensibile ad ogni altro affetto, che non sia la brama. di affrontar perigli e la morte? 1 canti stessi ci danno la risposta. Yediamo p. e il canto inserito nella raccolta Firmenich a pag 66 “'0 0ävato? toö At,äxot>„. Diaco guerriero de’ piü valorosi, sopraffatto da forze preponderanti, dopo una lotta che strappö 1' ammirazione allo stes§o nemico, viene invitato dal capitano Omer Brionis e can-giar fede, a farsi turco. «ršveaat Toöpy.oi;, Atäxo |xou, TYjV iuotcv aou v’ a).Xa£'{]?» Diaco risponde: «IIčtTE, v.’ žael; v.’ yi tctoti? oa; p.oupTatat$, va y'/h'r^z. ’Efüi i’pacxö^ ■(Z'jrrfirlv.n, Tpacxo? 8sX(u v’ ajcatöavu»» (“Andate voi e la fede vostra, pagani, andate. Greco son nato e Greco voglio morire,) — Questo canto versa luce anche sull’ indole religiosa della guerra combattuta tra Greci e Ottomani. Gli avvenimenti dimostrano 1’ av-versione che ispirava ai Greci la sola idea di venir meno alla fede dei loro avi, per la quäle non esitavano di correre ogni pericolo e di dare la vita. E questa forza di fede il Greco moderno ha comune coli’antico, come si rileva dai poemi omerici, nei quali l’elemento meraviglioso deli’ epopea e tratto, si puö dire interamente, dalle convinzioni religiöse, dal patrimonio di riti, credenze e cerimonie varie del culto nazionale. L’ eroe omerico e religiosissimo. Per lui un convincimento sincero e forte di religione compendia ogni altro nobile sentjmento di giustizia, di equitä, di umanitä. Esso e asuoi occbi il contras-segno deli’ uomo civilizzato, di confronto al rozzo e selvaggio simbo-lizzato stupendamente nel ciclope Polifemo, che nella sua stupida albagia e nell'orgogliosa baldanza di sue forze sprezza ogni sen-timento religioso e mena vanto di non inchinarsi alla divinitä. II-lustrano questa veritä molti passi nei poemi omerici, com. p.e. nel-1’ Odissea C. VIII, 576; C. XXIV v 351; nell’Uiade C. I 62, ove 1’ indomito Achillej che nulla paventa, trema deli’ ira di Apollo e scongiura i guerrieri a placarlo, ricorrendo all’ intercessione del sacerdote cui on.ora ognuno, quäle ministro del cielo. Nelle epoche eroiche dei popoli, il sentimento religioso e 1’ a-nima del guerriero, il suo conforto, il suo orgoglio, la leva morale potente che ne solleva 1’ animo e ne dirige le aspirazioni al culto costante degli alti ideali di onore e di gloria. Tale concetto si riflette nella poesia eroica in particolare dei popoli nella penisola balcanica; ove il sentimento religioso si fa-ceva piü vivo ed ardente pel contrasto a cui trovavasi esposto colla religione dominante. E vero che il fanatismo religioso dei Musul-mani era sbollito di molto coli’ andar del tempo; ma nei suoi effetti politici perdurava ancora, non fosse altro, escludendo dal pieno godimento dei diritti politici i credenti di altre confessioni. Pei Greci c’era ancora una differenza di trattamento, vuoi pel rispetto che i Turclii avevano ad una nazione sveglia, che vantava un patrimonio storico glorioso, vuoi pel fatto che ogni sforzo di propaganda erasi dimostrato inefficace e n’ era stata smessa affatto 1’ idea: ma con altri popoli, coi Serbi p. e., la lotta fu accanita e la religione ebbe viva parte nel conflitto. II sentimento religioso, che anima le poesie popolari greche, e assai piü caldo e intenso in quelle dei Serbi. Queste ci rendono immagine di un popolo appo cui la fede religiosa strettamente unita col patriottismo contribui a salvare, quanto e forse piü ancora de'1 sentimento nazionale, la loro eSistenza politica. Nessuna differenza vi 6, circa a fervore di fede, tra la timida vecchierella osservatrice vcrupolosa di ogni piü piccolo precetto religioso ed il forte e membruto guerriero irto d’ armi e baldo di sua fierezza e valentia sui campi di battaglia Nel canto serbo intitolato “la croce d’oro, assistiamo ad una scena di mirabile effetto. Una chiesetta nel iitto di una boscaglia, una bara in mezzo ad essa, mesti e piangenti guerrieri d’intorno, preči e salmodie di monaci. Sono gli estremi onori ehe si rendono a Vucassino caduto poc’anzi nella battaglia di Samakov. — Si celebra un ufficio funebre di suffragio anche pei defunti ei’oi Dusciano, Uroš ed altri. Entrano tredici messaggeri turchi e fanno proposte avviüenti. Silenzio profondo. Uno solo si sente rimescolare il san-gue e freme d" indegnazione. E Lazzaro, che sorge e dice: “Vergo-gna! respingiamo 1’onta. Chi vuol le terre nostre, se le venga a prendere,. Uno dei Turchi gli mena un colpo di spada, ehe il co-glie al petto; ma la spada cade spuntata. E il sacro talismano della croce d’ oro avuto dalla madre di Dio al santo sepolero ehe 10 rende invulnerabile. Nel canto “Lazzaro il vincitore, religione e patriottismo rendono la scena oltre modo commovente e sublime. Son le donne ehe 11 di di San Giorgio vanno alla cliiesa. Miliza in mezzo alle due figlie, di cui 1' una somiglia a snella dama, 1’ altra ad innocente colombella, raggianti di bellezza. Si ode uno scalpitio di destriero. E Lazzaro ehe ritorna dal campo ove ha lavato 1’ontadi Samakov. Miliza gli muove incontro sfavillante e il bacia., Deponi, gli dice, le tue armi e andiamo nel tempio. — Oggi e la festa di San Giorgio, — La vittoria di Lazzaro 6 salutata dovunque con giubilo. Lo fe-licitano tutti, i bardi nazionali ne esaltano le gesta. 11 re d’ Un-gheria, le republiche di Venezia, di Ragusa, Arnauti e Albanesi e i popoli della Bosnia e deli’ Erzegovina 1’ onorano e benedicono. Ji sul terzo gradino per entrare in chiesa, quando lo inchina e sa-luta il messo inviato da Teofano patriarca a ribenedire il re e la Serbia giä scomunicati da Callisto. Giubilo generale. Tutti gli si affollano intorno per baciargli la veste ; ma Lazzaro atteggiato a modestia ed umilti, “lodiamo Iddio, dice, io non merito,. Miliza, smesse le gioje, ehe le ornavano la persona, in abito schietto assieme a Lazzaro entra nel tempio. Un altro canto stupendo s’intitola “II testamento di Dusciano, — E il momento storico piii glorioso del regno serbico, ehe compren-de i paesi tra il mare adriatico, il Danubio e la Sava e va giü fino alla Morea. La republica di Ragusa ne riconosce 1’ alto domi-nio. Venezia ne ambisce 1’amicizia. — E una figlia del doge stesso, che in un bellissimo canto serbico vien domandata in isposa da un nobil giovane guerriero, Zernojevid. II regno e vasto e prospero, completa ? 1’ indipendenza politica ed anche ecclesiastica da Costan-tinopoli. E 1’ ora del di ehe volge al tramonto, e una nube di melan-conia, un funesto presagio contrista il re. Egli eslama: Foss’io padrone di “Zarigrad, (Costantinopoli) invece di Cantacuzeno, ehe, a scorno della nostra fede, chia:ma in suo ajuto il nemico di Cristo,! Volge lo sguardo pensoso al declinar del sole e vede simboleg-giato il vicino tramonto del suo regno. Piange la rovina del suo impero, ehe nel suo cuore presago vede imminente; ma piü l’ae-cora il pensiero ehe la mezza luna soppianti il vessillo cristiano. E nel canto “Pane e vino, Lazzaro e in proeinto di venir a sin-golar certame con Murad che gli mandö il libello di sfida. “Non e Costantinopoli, dice, la mira nostra omai! E per la croce e per la patria ehe dobbiamo pugnare e morire,. Come si vede, tra i Serbi religione e patria si unirono in un solo affetto, forte, raagnanirao, eroico, che li spronö a tutto osare e patire nelle dure lotte eh’ ebbero cogli Ottomani. I fatti d’ arme dei Serbi sono decantati in poesie eroiche bellissime. In esse, alla calma maestä dell’epopea si associa il fascino di espansioni liriche, ehe danno sfogo ai teneri sentimenti di amore, di amicizia, di affetto figliale e simili. Le loro guerre coi Turchi sono acca-lorite dal fuoco del sentimento religioso, che dči alle stesse un’ impron-ta come di guerre di religione, di crociate; m en tre in quelle dei Greci 1’elemento religioso spicca bensi, ma divide la sua influenza , col sentimento politico acceso dalle rimembranze di un passato glorioso e dal risentimente di vedersi preclusa la via alla civiita da un ■ popolo troppo disforme d’ indole, di religione e di aspirazioni ideali. 11 popolo rumeno invece, nelle cui vene scorre il sangue ro-mano, non e certarnento irreligioso, ma, come vedremo da qualche saggio, fa risaltare nella sua poesia sopra tutto 1’ idea del dovere, 1’ energia della volontä, il serio proposito di valersi delle armi a tutela dei beni supremi di patria, di famiglia, di onore. Dai titoli stessi di aleune delle sue canzoni si rende manifesto questo suo carattere serio e marziale. Una canzone intitolata “il canto del soldato, ci rappresenta una madre, che benedice il figlio ehe sta per andar alla guerra: “Quando alla guerra moverö, la mano Stringimi madre mia! E benedici il mio fucil, la fronte Seguami col tuo dito, e quella croce Che impressa tu vi avrai, Vegliera su di me, quando le stanche Pupille al sonno chiuderö; piu lieto, Candido allora mi parrä il cammino Che percorrer dovrö. Molte donzelle TJsciran sulle soglie e sorridendo Mi guarderan. Fuor delle nubi il sole Apparirä, stupito Di vedermi giulivo al par di lui, Poiche il suo raggio non oscura il sole AUor che muor, e anch’ io Lieto e raggiante incontrerd la morte„ .... Spira alti sensi di valor militare, misto a mestizia e tenero amore un altro canto “1’addio del soldato,. “Tutto coperto d’ ingiallite foglie I' il sentier ehe conduce alla tua casa, Eppur entro alle soglie Sorride primavera. Tu culli i bimbi al dolce sussurno Del tuo veloce fuso, E ti vedono i flor passar leggera. E quando io šaro morto, amata sposa, Non dar mai posa Al fuso allor. Se i flori Ti chiederan : Che n’ e di lui ? rispondi Egli e sotterra; Ed ora col rumore Del fuso vo’ cullare il suo sopore. Poiche mi reco in guerra, La fronte ti baciai, ch’ e impallidita Sotto il mio bacio, e tu restasti sola A riguardar la fiorida pianura. Io non vedro pivi mai Con te la messe biondeggiar matura, Ma da te lungi scorrerä il mio sangue. Di alla mia soglia: Tornerä; dl ai figli: Egli parti, ma tornerä fra breve. Ma di al tuo cuore: E morto. E il, seguente, ispirato a sensi di spartana devozione alla voce del dovere — “II canto del soldato, — II rieordo degli uomini accompagna Lo spento eroe. II suo morir e sacro Sublime al pari della culla, e puro Come fasce d' infante e il suo vessillo : II bacio della morte e per 1’ eroe Soave al pari del materno bacio. II suo sonno e allietato e benedetto Dal rieordo dei vivi e dai lor canti. E al fuggir deli e nevi, allor ehe tutta Rifiorisce la terra, ognun sospira: Ei piu non vede i fiori, E alla madre diran : Salute o donna, Tu la madre ne sei, ed alla sposa : Tu fosti la sua sposa, e a’ figli: Voi Siete suoi figli, e tutti Recansi alla sua tomba a ringraziarlo Che fu lor figliuolo, e sposo e padre. Egli ascolta i lor detti, e d’ allegrezza Esulta entro la tomba. Aman le stelle il suo tranquillo sonno Ed ama il sol la sua fortezza in guerra„. Per non dilungarci, ne citeremo due ancora “il canto della culla, (La ninna nanna del guerriero) cantata al figlio — 1111’ ef-fusione di tenero affetto misto ad alti sensi di onor militare; Ed ic voglio cantar di quei soldati Che ieri son partiti ali’ imbrunire Ed onorati ci han del lor saluto. Superba era la terra Di sostenere i passi lor, ed era Altero pur d’ illuminarli il sole. Tu pure un giorno diverrai guerriero O mio figliuolo, affin ehe il moudo tutto Ti benedica e t’ami. Quando la pioggia cade. Piri rigoglioso rinverdisce il grano, Ma di sangue puranche ha sete il suolo. E a ciö ti dono a lui. Tu diverai guerrier si valoroso Che il monte togliera per ammirarti La nebbia che lo avvolge. II tuo destino non piangerö giammai Ne i molti di che non avrai vissuto. E splendida šara la sorte tua Come quella deli’ aquila e del sole„. “Io son contento, e il titolo di un’ altra poesia che canta la soddisfazione d’animo del soldato, che cade sul campo di battaglia. Disse il soldato che dovea morire, 10 son contento. Dite alla madre mia cli’e nel villaggio E alla mia sposa, Che preghino per me a mani giunte. * E il soldato e giä morto e madre e sposa Fervidamente. pregano per lui. Sul campo fu scavata a lui la fossa, E di sangue bagnata era la terra Che lo coperse. Allor guardöllo il sole E disse: io son contento. E mille fior spuntaron sulla tomba Ed eran lieti di fiorirvi sopra. Se il vento sibilava nelle fronde Chiedea il soldato dal profondo avello: Forse il vessillo sventolö? No, prode, 11 vento rispondea, tu sei caduto Nella battaglia, ma la tua bandiera Restö vittoriosa; i tuoi compagni La recarono seco: allor l’eroe Dalla tomba diceva; io son contento. Un altro nobilissimo sentimento, che distingue la nazione greca fino dai tempi omerici, ž 1’amor di patria, 1’ attacamento al suolo natio, di cui rimpiangono la perdita o la lontananza con uno strug-giraento di cuore che non possono sanare la piü seducente agiatezza e prosperitä in estraneo paese. Ne abbiamo saggi nelle poesie ome-riche. L’ aspirazione alla patria lontana cui ci legano care memorie, vincoli dolci di affinitä,, di amicizia non potrebbe esprimersi piü nobilmente di queNo ii vediamo fatto dal pennello d’ Omero. Nell’ Odissea, canto 1. v. 58 6 Ulisse che langue di nostalgia e desidera di vedere sorger di lontano il furno soltanto del suo paese natale “Ujievoc xai. xarcvöv vovjaai,. Al verso 204 dello stesso canto protesta che, se ceppi di ferro lo stringeranno, non si terrä dal far ritorno in patria. Nel canto IV. v. 522, Agamennone bacia la terra natale appena vi mette piede al suo ritorno. Nel C. Y. 82, Ulisse lascia furtivamente il palagio di Calipso, ove forzatamente dimora, sebbene ricolmo d’ ogni maniera di delizie, per ire al lido a pian-gere la sua terra, volgendo l’avido sguardo all’orizzonte e al mare che lo separa da lei. Cosi al C. V. 158. «icdvtov etc’ dtpoysTov oe'.xe’oxeto Saxpoa Xstßiuv» Le gioje di famiglia sono 1’ unico bene cui si anela quando si e lontani C. VI. v. 180 — 185. Cosi piange irrorando di lagrime la veste al C. VIII v. 266. Al suo primo toccar il patrio suolo, si china e lo bacia, C. XIII, 354. “Nulla di piü grato al mondo posso vedere, che la patria mia, esclama al v. 28 del C. IX. “Non v’ e esistenza pur confortata da delizie in terra estranea, cui non ama-reggi l’anelo desiderio della patria C. v. IX, 30 — 36. Cosi nel canto XII deli’ Iliade Ettore sgrida Polidamente intento al volo degli uc-celli “Uno solo e 1’augurio, amar la patria e pugnar per essa.„ E la generosa parola ehe Ettore dirige ai suoi nel bollor dejla mi-schia “pugnate per la patria, le consorti, i figli e le terre vostre, Questa tenerezza di sentimentu pei congiunti, questo sviscerato amor di famiglia bril la in piü luoghi degli immortali poemi. Nel Canto XI deli’ Odissea al v. 66. e segg. e Elpenore, o meglio 1' ombra dilui, ehe supplica Ulisse per ciö ch’egli ha di piü caro al mondo, per la consorte, pel figlio, di dar sepoltura alla salma sua inse-polta. Neli’ Iliade c. II v. 292, si accenna al dolor del marinaio, cui 1' onda separa dalla sposa. Ettore nel canto VI, 450 piange sulla rovina imminente di Troja. II pensiero della patria infelice gli stringe il cuore; ma piü ancora della comune sciagura 1’ accora la sorte riservata alla sua consorte, al figlio, ehe privi di appoggio saranno tratti barbaramente in servitü. In generale tutto il canto VI deli’Iliade e un’ lllustrazione deli’affetto di famiglia degli eroi omeriei, cui si annette quello di patria. Questa schietta e tenera affezione ai luoghi cari, dove vide la luce, e pure comune al Greco moderno, cui e crudel sventura ehe nessun’ altra eguaglia, il for-zato soggiorno in altra terra comunque ospitale e larga a lui di allettamenti e vantaggi d’ ogni genere. Nulla riesce a strappargli dal cuore 1’ immagine deli’umile forse anche e gramo abituro nel suo paese natale, cui si sente indissolubilmente legato dai vincoli di sangue, dai conforti schietti e soavi della vita di famiglia. Ne abbiamo un saggio de’ piü splendidi ehe immaginare si possano nel canto a pag. 88 della raccolta Firmenich “TA?^a «rije llap?a;„ Parga, cittž, deli’ Epiro fondata nel tempo del decadimento deli’ impero romano di occidente, fu dal 1401 cittä. libera alleata di Venezia fino alla caduta della republica nel 1797. Quindi passö alla dipendenza dai Francesi fino alla caduta di Bonaparte. Costretta nel 1815 a porsi sotto la pi’otezione degli Inglesi, fu poi ceduta da questi ad Ali pasciä cui tardava 1’ora di venirne in possesso per togliere un asilo ai Greci da lui perseguitati, che colä si ri-paravano protetti dali’ospitalitä dei Pargioti e dal forte inespugna-bile ehe sorgeva in cima ad un monte ehe dominava la cittä. Una gran parte della popolazione preferi 1’ esilio alla sudditanza di Ali paseiä. La scena del distacco dei Pargioti dal suolo natio come la racconta il Pouqueville, non poteva essere piü straziante. Forsennati correvano pel lido prima di partire, in cerca di care memorie. Vi fu ehi disseppelli i suoi morti e ne raccolse le ossa; chi, altro non potendo, preše un pugno di terra, come reliquia da portare seco in esilio. “Addio terra dei padri nostri,, biascicavano i vecchi, “Addio templi venerandi, sacri altari del vero Dio„ sclamavano i sacerdoti. E le donne: “O mare jonio ! sii a noi piü propizio degli uomini e proteggi i figli nostri; e' se ci vuoi ingoiare, non voler portare i nostri corpi sul lido dei nostri nemici„ — E, volto dal mare un ultimo mesto e lungo sguardo alla dolce terra natia se ne allontanarono per non rivederla mai piü. O monti, o fresche valli, o verdeggianti prati O alberi frondosi, o celebrati campi, Piangendo a voi per sempre dono 1’ estremo addio. Oh Parga illustre, ahime troppo vicina ai Turchi! O patria mia si bella, o mia diletta Parga! Gli Inglesi t’ han venduta al piü crudel tiranno. “Fuggite via, coloni del vecchio suol d' Epiro “ Via dalla vostra Parga, voi ultimi infedeli, Ci disse 1’ empio Amano pien d' ira e di veleno. “Lasciate a me le chiese e tutti i vostri beni. Cadranno alfin le croci che hanno finor trionfato E tosto avrä vittoria la legge del Corano, E voi, deboli Greci, andrete intorno erranti E non avrete patria, tempio, nfe re giammai.„ Cosi parlava il barbaro empio e crudele Amano, Che i Cristiani perseguita e la lor santa legge. Deh rintronasse orribile questo mio canto a lui Come il fragor di fulmine e ne rompesse il sonno. . . . E tu bel sol che hai visto la nostra cruda sorte Che ci liai veduti togliere dalle profonde tombe Le sacre ossa inviolate di tutti i padri nostri Deh spegni la tua luce, mostra la tua pietä! E voi figlie del cielo, o bella luna, o stelle Che risplendete fulgide tutta la notte in cielo Deh, ricoprite i volti di densi veli neri, Piangete 1' aspra sorte dei profughi di Parga E insieme a voi la pianga pur 1’ universo intero! LTn argomento di raffronto, dei piü belli, tra le due epopee, ci porge il carattere della donna greca, di cui non si possono dipin-gere meglio di quello il facciano la poesia omerica e la popolare moderna, la tenerezza e la costanza degli affetti di madre, di figlia, di sposa, di moglie. Quic’ö veramente la piü completa illustrazione della sentenza, che il piü buon popolo e quello che ha le donne migliori. L’ elogio che fa della donna casta e fedele con caldi ed entusiastici accenti 1’ ombra di Agamennone nel Tartaro (Odissea Canto XXIY v. 192. ss.), ove felicita Ulisse della sorte toccatagli di possedere in Penelope 1’ esempio di una donna virtuosa, rende il pensiero nazionale genuinamente. Di donzella pudica ed ingenua-mente graziosa ci offre 1’ Odissea un bei tipo nella gio.vane Nausica, figlia di Alcinoo re dei Feaci, che fa coi’e ad Ulisse ramingo e la-cero e lo conforta a seguirla alla casa paterna “da lungi pero, perche, come dice, biasiinevole e la donna che ad un uomo pur innocentemente si accompagna per via ad insaputa del padre e della madre (Odissea C. VI. v. 286 ss.). Arieggia il tipo di Penelope — e per felice combinazione concorre perfino l’identitä del soggiorno nell’isola d’ Itaca — l’amorosa consorte di Caliacuda, il jtpwcouaXXvjxap'. di quel Andrico, che fu padre del celebre Odisseo, il moderno Leonida che come 1’ antico eroicamente difese il passo delle Termopili. Nel canto popolare a pag. 4 “toö KaXiaxooSa, ella ci vien dipinta quasi colle stesse parole come Penelope nell’ Odissea in atteggiamento di sposa desolata per 1’ as-senza del marito. II(ü; xXaiet, luö? |iupiöXoyöt, neu; p.aöpa Säxpoa X^VEti Säv reEpSixoüXa ölißetat, (üoav reatti p-aštEtai, ’S Ta rcapaSupia xäBstai, tä itEXoY’ ÄYvavTE“et K' žaa xapäßta *’ pa naXaßu)Ö7)XE xai itEpjtatEi xat xXaiEt» . . . «K’ EXEt xoutpExca ETtEiptav, xat OXtßE^a ßpovtoöoav . . . «Eäv ?Ev8pov Ep^aYtaOTjxE, oäv xunapiaat 7iE(pxEt» II canto “0pf,vo<; fiyjTpixö?,, a pag. 12 — in cui non sapresti che cosa ammirare di piü, se il soggetto oltremodo commovente, o lo stile poetico, senza studiata proprietä di fräse, assai piü efficace di ogni colta poesia a destare commiserazione e pietä — ci rap-presenta lo straziante dolore di una madre, a cui, — non si sa se al tempo della spedizione degli Albanesi nel Peloponneso sotto Mahmud Bazaklia, o per effetto di quella inumana “razzia, di fan-ciulli che si faceva dai Turchi ogni quinto anno — fu strappato il figlio. llbii; v’ axouaiß xXäfifiaTa, x«l fiaijpa jxuptoXoYia . . . “Chi vuol udir lamenti e pianti amari, percorra le cittä della Morea, dove la madre gerne per il figlio e questi per la madre . . . I capelli si strappa. Come del corvo le penne, sono nere le sue vesti. Volge 1’occhio alle barclie che vengono e, “Avete veduto, dice, il mio Giannino, il mio caro Giannino ? Era bello, di taglia snella, rigoglioso come un cipresso, al dito aveva un anellino ; ma di questo anello lucido e terso, assai piü splendeva la mano!* .... Certamente piü conforme alla maestä dell’ epopea classica, ma psicologicamente non ö piü espressivo il lamento di Ecuba nel Canto XXIV, 747 ss. deli’Iliade. Una pittura di consorte amorosa cui giunge repentina novella della morte del marito sul campo di battaglia, ci offre il cant'o a pag. 34 “%6 rcixpöv {tavtatov, una vera illustrazione della vaga simi-litudine che fa Omero nell’ Odissea nel C. VIII. v, 522 . . . 'Ö? St ruvij xXai^jot f’Xov ndotv äjjufutEooüoa "O5 te Evjs npooÖEV jtoXto? XaÄv te nEO’jioiv 'Aotei xat TEXEsaat äjjuiviov vijXe^; yjfj.otp . . . nella quäle ci viene dipinta la commozione profonda di Ulisse, all’ udir cantare dal vate Demodoco alla corte di Alcinoo le imprese e i casi dolorosi degli eroi greci sui campi trojani. Un altro parallelo ci viene spontaneo, per patente analogia di concetto e di accidenti, nel raffronto di due bellissime canzoni popolari con una scena notissima e delle piü interessanti dell’ Odissea. A pag. 126 la canzone “r/jc tpa^ooStarpai;, ci raffigura con tocchi gentili e movenza loggiadra di pennello poetico una giovane e vaga donna intenta, corae le donne omeriche, a lavare i panni del ma-rito guerriero lungo tempo assente. Canta la vaga donna in tuono soavemente patetico su quella spiaggia beata dal sorriso di natura. L’aura marina 1’ accarezza, e le solleva il lembo della gonnella, mettendo ali’ aprico un piedino elegante. La sua voce melodiosa eccheggia d’intorno e attrae la ciurma di un veliero di guerra, che di lä passa. II capitano rapito dali' incantevole bellezza di lei, le fa core a proseguire il canto, interrotto non appena si fu accorta d’ esser stata veduta. II canto e monco e non si sa come finisca. Da un frammento trovato dal Tommaseo parrebbe ehe fosse appunto il capitano del veliero la persona di cui ella sospirava il ritorno e ehe seguisse il riconoscimento, quand’ ella ebbe indizi sicuri ehe fosse quegli suo marito. A pag. “172, un’altra scena consimile di riconoscimento “'O avaYvwptafAoc., Una giovane donna fulgente di tutti i pregi di orientale bellezza tesse appresso alla finestra di sua casa, e canta. Passa di lä a cavallo un gentiluomo, e la saluta: “KaXvj 'jjipa aou, >t6pyj ;aoo„ A cui la donna: “xaXwc töv £svov, V r|X6s.„ Perche non fai felice un uomo di tue bellezze? Lo sposo, io l’ho, risponde la donna. E ito per ragion di commerci in paesi estranei. Son degli anni dodici, ch’io nol vedo. “Tuo marito io’1 conobbi. E morto. Io ne raccolsi 1’estremo respiro e composi la salma nel sepolero., I)i tutto ti com- Koct«) 'c tov '(laiklv KaTio to HEptYcaXi Kopij euXovs T’ dvžpo? to jj.avT'j/,c K’ iTpaYOuSte Ti 7iapaitdvs().a tt)? . . . Laggiti del inare in riva Stava una giovin donna Lavando i vestimenti Del suo lontano sposo, E in un dolente canto Sfogava il suo dolore. Presca dal mar spirava Una leggera brezza Che sollevava il lembo Della sua bella gonna Cosi che il piede eburneo Fuori apparia. Sul mare Che scintillava azzurro Scorreano molte navi. Anche un naviglio armato S’avvicinö; stupiti Guardavano la donna Tutti, ammirando in lei Una beltä si grande. Li vide lei, dal canto Tosto cessö; il pilota La salutö due volte E la pregö a finire La dolce sua canzone. Ma quella a lui: Di gioia Disse, non e il mio canto Ma pianto sol, lamento Sovra lo sposo mio, Che per salvar la patria M’ abbandonö qui sola. Egli volö alla lotta Colla speranza in core Di ritornare illeso Un di fra le mie braccia, E ch’ io d’ una corona Gli cingerö la fronte. Ma ahime, sono trascorsi Due lustri ormai, ne aleuno Recö di lui novelle. Due anni ancor io voglio Attenderne il ritorno; Poi se non šara giunto Mi chiudero in un chiostro. Ed il pilota a lei: Dimmi quäl’e il suo nome Che forse nell’ armata L’ ho conosciuto anch’ io. penserö, ella dice, s’e vero che tu il pane gli desti e la cera — “Ma un bacio pure diedi allo sposo tuo morente ed ei mi disse che tu mel renderai,. “Questo 11011 farö mai. Se il marito mio e morto, piglio il velo, mi faccio monaca., II forestiero ch’era appunto lo sposo di lei, 11011 regge piü 0 rompe in questi accenti: "KöpTj jj.1, l'/co ’(tat otvSpa? 000, s^co ’jj-ok 6 aou, (Donna, io son il marito tuo, io son il tuo tesoro). La scena che segue, la ritrosia di lei a credergli, gl’ indizi richiesti e dati da chi conosceva ogni minuto particolare della casapropria, e da ultimo la prova infallibile nell’ac-cenno ad alcuni nei sulla persona della consorte, tutto ciö ricorda le scene che precedono il riconoscimento di Ulisse e di Penolope nel canto XXIII dell’Odissea dal verso 85 e seguenti. Qui Penelope si mostra restia a riconoscere nel forestiere il marito che tanto ansiosamente aspettava, a costo d’ irritare il figlio Telemaco presente alla scena, il quäle non sa farsi capace com’ ella esiti tanto ad abbracciare il consorte (v. 97. — 103); al che ella sog- giunse v. 105 Texvov ejAciv, Oojj.6? jxot evt ar/jössot teÖtjjie . . . .......................................Sospesa, Piglio, di stupor sono, ed un sol detto Formar non valgo, una dimanda sola, E ne, quant’io vorrei, mirarlo in faccia, Ma s’ egli e Ulisse e la sua casa il tiene, Nulla piü resta clie il mio stato inforsi. Perö che segni v’ han dal nuziale Eicetto nostro impenetrabil tratti Ch’ esser noti sappiamo a noi due solo. (Vers. Pindemonte) Questi (segni) indica poi Ulisse, descrivendo ogni parti- colare del talamo suo da venti anni abbandonato, 1’artifiziosa strut-tura del letto nuziale, la qualitä del legno, ogni minuto fregio, e tutto 1’ ingegnoso lavoro speso d’ intorno, cose tutte che nessun altro di lui infuori, poteva descrivere, che da abilissimo tornitore avea costruito il letto colle stesse sue mani. E allora appelia che Penelope gli si getta al collo — v. 205. ................................... ed al collo Ambe le bvaccia gli gittava intorno E baciavagli il capo, e gli dicea: Ah ! tu con me non t’ addirare, Ulisse .... Passiamo ad altri raffronti. Nelle grandi epopee popolari na-zionali come nelle epopee letterarie vediamo tratteggiato splendida-mente il sentimento di amicizia che lega tra loro alcuni eroi, fino a renderli insensibili ad ogni altro affetto. Nel canto XVI e seguenti deli’Iliade abbiamo la piü bell’illustrazione di questo nobile sentimento di amicizia fra i due eroi Achille e Patroclo. Ciö che non avean potuto sull’ indomito carattere di Achille 1’ amor di patria, il sentimento d’ onore, le lusinghe, le preghiere, le umiliazioni stesse di Agamennone, il puo la forza dell’ amicizia. Achille si placa, ri-nuncia a tutto, alla vita stessa, per vendicare la morte di Patroclo. L’ episodio di Niso ed Eurialo nel canto IX dell’ Eneide ci offre altro bel saggio di tenera amicizia nella gara accesa tra i due esponendosi a morte per salvare il compagno. . Un esempio consimile di amicizia ci porge 1’ epopea popolare greca moderna nel canto a pag. 50 “toä — Dipia, celebre capitano di Clefti di Acarnania accampava sul monte Agrafa, ove c’ era pure il temuto Catsantoni. Nodi stretti di amicizia legavano tra loro questi due guerrieri, di cui 1’ uno era di scudo ali’ altro nelle battaglie. Da ultimo, Dipla sacrificö la vita per 1’ amico. Assaliti un giorno da forze nemiche preponderanti, si batterono da leoni, finche, stremati di forze e diradate ali’estremo le file dei loro soldati, si videro chiusi da ogni parte con un pugno di prodi, ehe, seguendo il loro esempio, resistevano disperatamente. “Chi 6 Catsantoni, ? gridö il capitano turco. Sono io, eccomi, rispose Catsantoni e rivolse contro di se le armi nemiche. Iiesistette a lungo, ma stava per essere sopraffatto dal numero mag-giore, quando accortosene Dipla, grida: “Chi e quel temerario ehe ardisce di usurpare il mio nome? Io sono Catsantoni. Un Catsantoni non si lascia sopraffare come colui„. Con cio rivolse le armi o- stili contro di se e die scampo ali’ amico. Si batte quindi da vero Achille contro i turchi, che da ogni parte lo stringeano e cadde oppresso dal numero soverchiante, non senza aver fatto pagare al-1’ avversario assai cara la vittoria. Nei poemi omerici vediamo di solito a fianco di ogni eroe, un compagno d’ armi, il suo “rcapaßanje, o Ospouttov,, qualche cosa di piii ehe uno scudiere. Egli gareggia in prodezza coli’ eroe, lo aiuta e difende nei gravi cimenti, divide con lui gioie e dolori ed ha a noia la vita, quando la morte glielo rapisce. Sebbene nei riguardi, diro cosi, della gerarchia militare, il rcapaßanj? tenga aleun ehe del moderno ajutante di campo, non e perö questo il movente, ehe lo induce a consacrare tutto se stesso alla difesa del compagno, ma una devozione affettuosissima, uno schietto sentimento di amicizia. Anche il guerriero greco moderno ha il suo compagno d’ armi, stretto a lui da un vincolo di affetto consacrato pure dalla reli-gione. II Tommaseo ce ne offre un esempio a pag. 410 della sua raccolta. Eado, rado, sparano i Clefti i fucili, Perche i poveretti non son di molti, son pochi i poveretti, O diecisette, o dieciotto o venti persone. E ne Giorgio e qui andö al monastero Ove si battezza un bambino, per aver anch' esso un compare, Per farsi il poveretto un riparo e un amico a cui riparare . . Oltre a queste analogie dei sentimenti nobili dell’anima, si riscontrano ancora nel raffronto delle due epopee nazionali greche, 1’antica e la moderna, molti altri punti di contatto nel carattere, nelle idee, negli usi e costumanze di guerra. Chi per poco conosce gli usi di guerra dei tempi eroici antichi, saprä. che nulla ispira al guerriero orrore piü grande, ehe il pen-siero di cader morto in mani nemiche. Cosi i moderni prima della pugna o nel bollor della stessa, quando cadono e son presso a morire, rivolgono calda preghiera ai compagni, perche recidano loro il capo dal busto e lo portino seco, acciocche il nemico non se ne impos-sessi e ne faccia oggetto di onta e dileggio. Cosi a pag. 12, e Giftaci ehe invoca il fratello. «Fupcoe irtoü), xcape fj.e, nape jjiou to xscpaXt» Cosi Liaco morente (a pag. 22), fa preghiera ai suoi soldati con parole comraoventi, temendo ehe il capo suo mozzo serva ai nemici di trofeo, e lo vegga la madre sua e ne muoia di dolore. A pag. 62, e Chitzo Bozzari, ehe irnplora da’ suoi compagni lo stesso servigio. A pag. 74 nella canzone “'O Odvatog toö 4>ap[xdy.yj xat rscopToavj* ci si affaceia una scena, ehe fa risovvenire le lotte aecanite e furiose, che impegnavano gli eroi omerici attorno al cadavere di un distinto campione. Basta riflettere alla lunga e atroce mischia intorno al cadavere di Patroclo nei canti X\rll e XVIII deli’Iliade. Dalla citata canzone si apprende un costume militare moderno, ehe merita di venir ricordato. Nel calor della lotta, Farmachi grida a’ suoi: «Kal tu oicaSta aa? aupexe, aicaoete ta tpr^xapta» “Sfoderate le spade, spezzate le vagine, il ehe significava “con-vien vincere o morire ».0 si strappava al nemico il cadavere deli’ amico estinto o si restava li sul campo sopra di lui. Quest’atto magnanimo s’ ispirava anche al sentimento di religione. Si abborriva dali’ idea, ehe fosse conteso 1’ onor di religiosa sepoltura a chi avea dato la vita per la patria. II perir lungi dai propri in terra estranea, abbandonato e negletto, senza le lagrime dei con-giunti ed amiei si eonsiderava giä presso gli antichi Greci come alta sventura (Iliade C. XXII. 531); ehe poi al corpo deli’estinto venisse fatta onta o villania e lo si lasciasse in pasto alle fiere, era dolore sommo ehe nessun altro eguagliava. L’ uso di mutilare e deturpare i eadaveri, di farne scempio e strazio a sfogo d’ ire di razza, di religione od anche di risentimenti personali non era dei Turchi soltanto, ma anche di altri popoli, non eselusi i Greci, fino dai tempi antichi. Basta riflettere all’orrido oltraggio ehe fa al cadavere di Ettore il fiero Achille nel canto XXII, 395 e ss. deli’ Iliade, disfogando una rabbia veramente bestiale, come si rac-coglie dali’ apparecchio desei’itto in quei tre versi, quando lo lega al carro, per trascinarlo intorno al rogo deli’ estinto amico. • Queste cieche e furibonde passioni di vendetta si disfogano non solamente sui eadaveri, ma anche sulle persone cadute vive in potere del nemico, come si vede nell’ Odissea al canto XXII v. 475 ss. Ulisse giustamente irritato eontro coloro ehe nella sua assenza ave-vano messa a ruba la sua casa e direttamente od indirettamente favorito le prepotenze dei proei, inferocisce fino a non reeedere da atti barbaramente inumani, com’e ia pena infiitta a Melanzio. Questi viene mutilato vivo cou una crudeltä punto dissimile da quella che legittimamente attirö 1’abbominio d’Europa, inorridita deli’ atroce pena deli’ ammartellamento delle membra ai prigionieri, come si legge nel commento al canto a pag. 54 della raccolta Fir- toenich; o dell’altra pena orribile del segamento della persona stretta fra due assi, o di quella del palo, di cui il Byron descrive 1' orrore coi versi: Pena piü leuta, piü crudel fra quante Für mai trovate, e che la sete aggiunge A 1’ altre angoscie................... ..............................esclama Un gocciol d’acqua, un gocciol d'acqua. II tormentato, e la vendetta il niega„ Di questi atti esecrandi pareva che non avesse la privativa un popolo di confronto all' altro nell’ Oriente, se p. e. degli uomini in sullo stampo di Ali pasciä. si trova il classico modello nella Grecia eroica in quell’ Echeto “vEy yjtcv ßoca’.Xr(a, ßpotwv STjWjfAova rcavtuw,, Odiss. XVIII. 116, che per istrana combinazione dominava su parte di quelle terre nei tempi recenti soggetto ad Ali. Un altro distintivo, com’ e noto, degli eroi omerici, e il vanto che si mena di destrezza, di agilitä, di lena instancabile nella corsa, come si legge nell’Odissea VIII, 247 “jroai xpawrvoist, Ösojxev,. II tipo del “itoSa? (iy.'i?, e frequente nell’epopea moderna e ricorre p. e. nelle persone di Andrico, di Georgotomo, di cui e cenno nel canto a pag. 32; il quäle era rinomato per destrezza, agilitä. e straordinaria rapiditä nella corsa. Le canzoni ci dipingono i clefti come gente di guerra, che al pensiero di cimentarsi col nemico gioivano, quasi avessero ad andare ad una festa. La morte non aveva orrore per loro. La con-sideravano come la loro fine naturale, tanto che il saluto fraterno suonava fra di loro “xaXiv fj.oX6ßt„ “una buona palla,. Come se andassero a nozze, si rassettavano la capigliatura e si acconciavano a festa, non altriinenti di quello si racconta degli antichi Spartani. Nelle poesie moderne ricorrono pure descrizioni di pranzi e banchetti guerreschi, non altrimenti di quello vediamo nell’Iliade p. e. C. I, 465, ove ci avveniamo in una minuta esposizione delle operazioni attinenti all’apparecchio dei cibi. Si scannano gli arieti, si fanno in pezzi, s’infilzano sugli schidioni, si arrostiscono, si di-stribuiscono ai convitati. A pag. 6 della raccolta Firmenich, nella canzone intitolata “toö KaXtaxouSs, la moglie di Caliacuda domanda novella di suo marito e le viene risposto: “l’abbiamo lasciato ieri di lä di Gavrolini; si arrostivano agnelli, infilzavano arieti sugli schidioni, cinque colonelli turchi avevano prigioni, cui incombeva di girar gli spiedi,. Nel canto a pag. 18 “'0 öävato? toö ’lconj,, Gioti ferito mor-talmente esclama: Ah! foss’io sugli alti monti, tra il fitto rezzo, dove son di pingui arieti ricclie gregi., A pag. 3. Scillodimo colla donzella che gli fa da coppiere ri-corda scene consimili, che avvengono nelle tende degli eroi omerici, cui rendono lo stesso servigio donzelle prigioniere. Nella prima parte di questo studio toccammo della passione che i Greci moderni hanno comune cogli antichi per la vita allegra. Essi amano di esilarare lo spirito oppresso dalle eure, seguendo ii genio nazionale proclive a feste, a danze, a gare e canti, allietat: dalla presenza di vati, di rapsodi, od improvvisatori di carmi na-zionali di soggettu ilare o serio, a seconda dell’estro del momento, quando vogliono divertirsi, oppure entusiasmarsi al canto gradito delle gesta dei loro avi. La stessa cosa avviene anche tra le armi, in mezzo alle dure vicende della guerra ehe combattono. Non appena e concesso ai guerrieri di far sosta dal crudo giuoco di Marte e possono adagiarsi un po in quiete, li.in sugli alti monti, tra il fitto delle selve ombrose, sciolgono libero 1’estro alla gioia e si danno al canto e alle danze, deliziandosi come gli eroi omerici amatori di giuochi e danze (Odissea VIII. 250 263), di facezie e motti e lazzi (Odissea VIII. 335-380). Lo stesso costume di rallegrare i banclietti di canti, mušica, e ballo, come vediamo nell’ Odissea I. 162; XXIII, 144, XVII 271 e altrove, ineontriamo tra i militari greci moderni. Nelle canzoni popolari di guerra troviamo di frequente allusioni ad uccelli di buono o mal augurio. Questa e cosa del resto comune a tutti i popoli primitivi 11011 solo, ma anche alla parte men colta di popoli civili, incline a superstizioni, a fole e fantasie liete o pau-rose, a seconda si agitano in lei sensazioni partieolari, di cui non sa o non cura di rendersi una ragione pensata. Tra i Greci pero, popolo immaginoso e poetico, gli uccelli sono considerati come esseri privilegiati del dono profetico, come creature sensibili in particolar modo di tutto ci6 che tocca agli uomini di lieto o di triste., Essi seguono i rivolgimenti e le vicende della vita umana; il movimento delle armi, le sorti prospere od avverse, atteggiandosi a messaggeri, a compagni, a consiglieri deli’ uomo, a censori perfino di tutto ciö che avviene sui campi di battaglia. Si attribuiscono loro e senti-mento e favella e movenze simpatiche di amici dei guerrieri, con cui dividono gioie, dolori, e speranze. Essi significano nella poesia popolare greca qualche cosa di piü tenero ed affettuoso di quello che avviene nella poesia popolare di altri popoli. In aleune regioni della Germania attribuiscono un dono profetico triste e lugubre ad un uccello, che chiamano “LeichenVögelchen, (uccellino dei morti), il quäle fa risonare sui comignoli delle case il suo strido “lich licli, (Leiche); e eosi pure, come appresso altre genti, al gufo civetta, il quäle tratto dal lumicino, ehe arde di notte nelle stanze degli infenni. si posa in sui veroni e sugli stipiti delle porte e delle finestre e manda il suo funereo saluto “komm met* (vieni rneco) . . . “nei regni della morte„ aggiunge il volgo pauroso e impressionato dai casi accidentali di morte seguiti qua e lči a quella voce. Fra i Greci moderni invece sono rare le impressioni paurose destate dagli uccelli; le piü s’ispirano a sentimenti di affetto, di generositä, di patriottismo. Qui pure ci avviene di trovare un punto di contatto della fantasia popolare moderna coli’ antica. Minerva la dea della sapienza apparisce di frequente in sembiante di augello (Odissea I. 319; II. 9; XXII, 239-240). Opportuno riscontro alla scena deseritta nel caiito a pag. 8 della raccolta “Td övetpov toö A^fioo, forma l’appa-rizione improvvisa di due aquile mandate da Giove ad annunziare funesti presagi ai proci ed a raffermare la speranza espressa da Telemaco nell’assemblea degli Itacesi ‘■che il giorno della vendetta e imminente, Odissea I, 146. ss. tpaxo T/j).ejJ.ayos, tü> 8’ aktdi eupuojtat Zeus 'Tt}i66ev &Y. HopDfrfi opeo? npoeTjxe jtetEO0at . . . S'i favellö Telemaco, e dali' alto De! monte due volanti aquile a lui Mandö 1’ eterno onuiveggente Giove. Tra lor vicine, distendendo i vanoi, Fendean la vana region dei venti Ne prima für deli’ assemblea nel mezzo, Che si volsero in giro, e, 1' ali folte Starnazzando, e mirando a tutti in faccia Morte auguraro.............................. Cosi a Dimo dormente un uccello si posa sul capo e l'interroga: perche si mesto e pallido? — Dimo gli narra il sogno funesto ch’egli ebbe, un sogno annunziatore di sciagura. Prode e ardito fino alla temeritä, Dimo non volle mai, ad onta d’ istanti preghiere degli amici, togliersi dali’ armatura un fregio distinto, che lo rendeva facilmente riconoscibile e affrettö la sua morte. A pag. 12 e una madre dolente, che va in cerca di novelle del figlio, e le vien fatto di avvenirsi in persona, che per la coin-cidenza d’ indizi avuti da lei ne sa dare contezza. “Si, il vedemmo dice, io ed i miei compagni di bordo sulla spiaggia di Barberia Era moribondo e a un bianco augello diceva: “Sui vanni tuoi vorrei scrivere tre lettere di lutto; a mia madre una; un’altra a mia sorella; una ahi! e l’ultima per la mia sposa„. Nella canzone a pag. 86 “HoXsfiot toö SooXiou, e un augello che annunzia ai Pargioti il disastro di Sulii, 1’ ultimo atto del drama sanguinoso svoltosi per lo spazio di 140 anni tra i Turchi el’eroico popolo dei Suliotti, cui il fiero Ali da ultimo non riusci altrimenti a soggiogare, che spargendo in mezzo a loro il seme della discordia. Un partito adescato dalle lusinghe e dai doni di Ali, gli agevolö il piano lungamente meditato di esterminare quel pugno di eroi mon-tanari, che affidati al loro valore e protetti dalle insormontabili barriere dei loro monti si ridevano delle sue minacce e piü volte il fecero pentire degli assalti intrapresi contro di loro con buon nerbo di truppe agguerrite e valorose. La caduta di Sulii, le stragi e gli orrori dell’ ultima fase di quella guerra formano il soggetto dei triste annunzio che 1’ alato messaggero reca ai Pargioti nel canto surriförito. IlooXdxc, ’rcss (J.a? ttnote, xavev y.aX6v (xavxärov ! vAj(! xi (iavtaTa vä oä? ’n<«; xi va oa? (AoXof^aiu; . . . (Augello mio, ci annunzia qualche cosa, annunzia una qualche buona novella! Ahi! che cosa devo annunziarvi? che cosa devo riferirvi?) Nel canto a pag. 72 ‘'O öavato; toö apjj,äy.r/„ questo eroe, che lasciö la vita nella difesa dei convento di Sekko, esclama morendo: “Augelli che vi libi’ate per 1’ aere; Ite, e portate novella nelle terre dei Franchi: Anche a lei, alla madre di Farmachi recate 1’ infausto messaggio.„ Nel canto a pag. 78 “IIoXe|j.oi tod XooXu>u„ sono gli augelli che, quali esploratori di guerra, mettono in sull’ avviso i soldati del turbine ehe loro si addensa sul capo. E Ali ehe vuol sorpren-derli alla sprovvista. Altre ancora e non poche sono le costuraanze di guerra iden-tiche od almeno assai somiglianti a quelle che s’ incontrano nei poemi omerici. Nella prima parte di questo studio si fe menzione deli'uso militare moderno di agitare le sorti nel “fezB per iscopi di guerra, non altrimenti di quello vediamo avvenire nell’ Iliade C. III v. 316. Ettore dali’ una parte e Ulisse dali’ altra traggono dall'elmo la sorte, per istabilire a chi dei due, Menelao o Paride, competa il primo colpo di lancia nel duello pattuito. Egualmente nel canto VII deli’Iliade v. 176 si mettono nell’elmo di Agamennone le palle segnate, per trarre il nome del campione da opporsi ad Ettore ehe avea lanciato una slida. Appo gli antichi guerrieri omerici era costume, com’e noto, di trarre auguri e presagi di sorte lieta od avversa dal guizzo delle čarni delle vittime sacrificate alla divinitä, o dalla condizione delle interiora degli animali scann ati. Qualche cosa di simile facevano i guerrieri moderni, quando assisi a mensa traevano pronostici sul buono o mal esito di un’ impresa dali’ osservazione deli’ osso della spalla (nXdzvj) di un agnello o di un capretto. Che quest’uso risalga a tempi antichi, ci fa testimonianza lo storico Pausania “jiavuxrj Zk rj jjiv epttpa>v, y.ai apvwv xai Ix, jraXaioö SfjXr| jcaOčatacja eouv avOpwrcois. „ Nella bellissima opera “Quadri della Grecia moderna* del Dr. Pierviviani Zecchini ed altri, di Nicolö Tommaseo, 2.a ediz. Venezia, Cecchini 1866, troviamo, fra le altre notizie, particolarmente descritti gli usi di guerra dei Greci moderni. Ivi e detto che i Suliotti e piü ancora le Suliotte erano valenti e destre nel lanciar sassi, a tale che venne lor fatto piü di una volta di far indietreggiare qualche drappello nemico, tempestandolo di sassi. Questa particolare destrezza pare ereditata dagli antichi eroi omerici, dei quali come di formidabili lanciatori di sassi, ripetutamente si fa cenno nei poemi d’ Omero. Cosi p. e. nell’Iliade c. III 80 “loiotv ts tiTuaxö-[xsvot, Xdiwl t’ sßaXXov, e nel C. IV, 518; V, 302; VII, 265-268; XII, 261-326; XV, 111 e altrove. Le scene di lutto pegli eroi caduti in battaglia, i rimpianti, le dimostrazioni di cordoglio, gli onori funebri, il ricordo pietoso degli amici e dei congiunti, la cura di metter in serbo armi od altri oggetti cari deli’estinto, a stimolo ed emulazione dei superstiti, le cerimonie e i riti funebri in generale annessi alla sepoltura degli eroi, ricordano le scene commoventi degli onori funebri resi agli antichi eroi. Ne fa menzione p. e. l’ombra di Agamennone a quella di Achille nel Tartaro, come si legge nel canto XXIV, v. 50 ss. dell’ Odissea. Egualmente, sebbene trattisi di un caso non per anco avverato, il vecchio Laerte nel canto stesso al v. 281 e segg. raccontando con cuore straziato la creduta morte di quel U-lisse, che vivo gli stava dinanzi, si scioglie in pianto al pensiero ch’egli abbia chiuso i lumi in terra od in mare lungi da’ suoi cari, senza il dolce conforto della consorte amorosa ehe gli chiuda gli occhi (xaösXoöaa g^0oX[aoqc), senz’aver appresso di se il figlio, cui lasciare ricordi di affetto e di emulazione. Cosi gli eroi modemi lasciano cadendo ereditä di affetti e di esempi, come p. e. quel Nicozara a pag. 56 della raccolta, la cui salma tra pianti e lamenti compongono nel sepolero i suoi soldati, e portano poi alla vedova la spada deli’ estinto, perche la conservi religiosamente e la consegni un giorno al figliuolo. Le somiglianze fin qui accennate non sono le sole. Altre ne verremo ancor toccando nell’ ultima parte del compito ehe ci si am prefissi, raffrontando la vita militare eroica degli antichi Greci con quella dei moderni. Fin qui la figura del guerriero moderno fu disegnata a larghi tratti. C’ incombe ancora di colorirla, di com-pletarla. E certo che per forza d’ animo, per intrepidezza, costanza, pel complesso insomma dei pregi morali deli’ uomo di guerra, il sol-dato moderno non istä al di sotto dell’antico; in una cosa pero scapita al paragone di questo, ed e nella tattica di guerra nobile e cavalleresca deli’ eroe omerico di confronto a quella del clefta, che come suona il nome stesso e soldato di Ventura, piü atto agli agguati, alle sorprese, alla guerriglia in generale, che alle fazioni4*" campali. L’ eroe omerico e anzi la negazione di questo genere di guerra, ch’ egli aborre e ripudia siccome indegno di se, come leggesi p. e. nell’ Iliade C. V, v. 253 ove Diomede risponde a Stenelo, ehe il consiglia di mettersi al coperto combattendo, Oi p |u>t fevvaiov iXoay.aCovTj p.ayea6as Oiže v.axaitTuiaoscv.............. Questa differenza di tattica pei’ö ehe non ha nulla che dire col valor personale, e imposta al guerriero moderno dalle condi-zioni in cui trovasi di fronte ad un avversario di gran lunga su-periore di forze, agguerrito, valoroso e fornito di tutti i mezzi di guerra di cui puö disporre un esereito regolare europeo. I clefti hanno necessitä assoluta di supplire al difetto di mezzi di guerra col vantaggio delle posizioni che conoscono e dominano, e dove per 1’ inaccessibilitä del terreno a truppe regolari, trovano scampo e ri-fugio dali’esterminio, cui con tutto il Toro valore non sarebbero sfuggiti per la prevalenza numerica del nemico. Clefti si chia-marono poi in generale i soldati nazionali, sebbene quel nome in origine non sonasse, come dicemmo, gran fatto onorifico. Quell’ ap-pellativo aveva in se qualche cosa di fantastieo, di misterioso, di simpatieo, non fosse altro per 1’ ammirazione ehe dovea destare ali’ uomo comune una persona, che lascia gli agi del soggiorno pacifico nella famiglia per battere di e notte la campagna, arram-picandosi di balza in balza, fra stenti e privazioni e pericoli, senza altro tetto ehe la volta celeste, libero della libertä delle fiere, ri-messo, nel vero senso, alla lotta piü dura per 1’ esistenza. Che se a cosi fatto guerriero si aggiunge il prestigio del campione nazionale, si capirä facilmente eome si sia formato d’intorno alla sua persona un mito, una leggenda; e come guerrieri nobili e intemerati quali un Liacos, uno Stergios, un Bozzaris, un Zidros, un Zacaria, un Odisseo, un Zavella ed altri simili, non esclusi i prodi marinari come Lambros, Canaris, Miaulis, Ghinis, Apostolos, Papas, Nicolas, Tombazis ed altri, non isdegnassoro di fregiarsi dello stesso nome, ehe veniva dato da prima anche a puri e schietti predoni comunque coloriti da patriotti. Di veri “briganti, frammisti agli integri guer- • rieri si fa cenno anche nelle canzoni popolari, come p. e. in un canto raccolto dal Tommaseo-a pag. 196. Di noi si duole uu prete di Santo Pietro. Un figliuolo gli ammazzai, 1'altro preši schiavo. E ciuque cento duo zecchini riscatto gli preši. Tutti in paga li partii, in paga a’ prodi, Ed io nulla non mi tenni per me. . . . A tal genere di patriotti allude anche la bella poesia popolare raccolta dallo stesso Tommaseo “Voto del pastore derubato., Mi pigliarono 1’ agnello pezzato, Che aveva d’ oro il pelo, D’ argento il corno, E via via via. Oh poverino, oh poveriuo, oh poveriuo! Mannerino mio! Agnellino mio! Se m’ascolta la Vergine E castiga la clefteria E veggo 1’ agnel pezzato Entro di nuovo nell’ ovile; II di di pasqua Cuocerö un agnello Che non istia nello spiedo. . . . Fra i guerrieri di mare di tal genere uno distinto e quel Nicozara di cui giä toccammo; cosi molti altri che, come si rileva dalla storia deli’ epoca, infestarono i mari di levante, mettendo a dura prova la pazienza delle stesse potenze europee tutt’altro ehe avverse alla causa della Grecia. Del resto prescindendo pure dali’ odiositä della parola, che non ha propriamente il significato proveniente dal vocabolo greco y.XsKT(o prešo comunemente per “rubare, mentre vale, agire di nascosto, con avvedutezza e furberia e non sempre per commettere un’ azione delittuosa: prescindendo, dico, dall’odiositä della parola, e un fatto, che il termine si attagliava benissimo a dinotare il genere di guerra, a cui dovevano assolutamente tenersi soldati valorosi, ma per numero e mezzi di guerra troppo inferiori alla lotta con truppe regolari in campo aperto. L’intervento ufflciale europeo dovette por fine a quel drama di sangue, in cui da ultimo era degenerata quella lotta ineguale fra due nazioni troppo dispari di forze II filellenismo europeo prodigo di soccorsi di gen te e di denaro; la direzione stra-tegica di generali ed uomini d’arme famosi, come 1’inglese Church, il francese Fabvier, 1’italiano Santa Rosa, il tedesco Normann e molti altri non avrebbero potuto salvare la Grecia. Essa ebbe un’ linica volta, verso la fine della guerra, raccolto assieme un corpo di 10000 uomini; ma anche questo non era formato. intieramente di truppe regolari. I cosi detti “ tattici „ di Fabvier erano bravi Soldati, ma erano pochi; perche le loro file si diradavano, essendo continuamente esposti al fuoco. Trattandosi di uno studio piü letterario ehe storico ci parve opportuno di statuire il raffronto tra le due epopee, 1’oraerica e la moderna, per dar rilievo alla differenza di tattica dei guerrieri esaltati nelle canzoni nazionali antiche e moderne. Del restc anche astraendo dai tempi omerici, la storia militare della Grecia dimostra 1’ attitudine particolare della nazione non alla guerriglia soltanto, ma ad ogni altro sistema di guerra. 11 suo vanto principala pero fu sempre la valentia nelle guerre di mare. La terra, dice il Tasso, simili a s6 gli abitator produce. La Grecia, il vago paese cinto dal piü bel mare d’ Europa, seminato di molte isole amene e pittoresche, come non poteva altrimenti ehe produrre un popolo sveglio e dotato di attitudini eminenti di pen-siero e di sentimento, cosi dovea destare fra gli abitanti, fino da tempi remoti, un ardente trasporto per la navigazione. Pel suo mare, pei suoi monti il Greco avea sempre un culto. Telemaco nel sog-giorno suo appresso Menelao (canto IV deli’ Odissea v. 594 ss.), encomia si il bel paese dell’ospite, ricco, ubertoso e alimentator di forti e focosi destrieri; ma preferisce pur sempre i monti rocciosi della sua patria. Cosi vediamo prescelti dai Clefti, a loro gradito soggiorno, i classici monti della Tessaglia, deli’ Epiro, dell’Acarna-nia, 1’ Olimpo, il Pelio, 1’ Ossa, il Parnaso, il Pindo non soltanto per ragioni di tattica militare, ma anche per 1’ affetto appassionato che nutrono per quei cari ricordi di gloria, per quei monti, che loro offrono sicuro ricetto ed un ampio orizzonte di deliziosa am-mirazione del suolo patrio ehe idolatrano. Non meno forte e 1’ at-taccamento del Greco al mare, altro elemento di sua vita, veicolo di ricchezza e civiltä. Fin da tempi antichissimi i Greci solcavano i mari in lungo e in largo, sopra agili e svelte navicelle, per ragioni di traffico, per ingenita irrequietezza e bramosia di sapere ed anche, come lo fu nei tempi a noi vicini, per iscopi di piraterie. Le poesie omeriche rispecchiano questa passione dei Greci pel mare, questa smania di sfidarne le ire, di farselo strumento di agiatezza e di progresso. Nel canto YII deli’ Odissea (dal verso 31-36) Minerva munendo Ulisse di utili consigli, come avesse a contenersi nel paese di Alcinoo ove era giunto, sbalestrato dalle onde, tratteggia i co-stumi di quella gente e dipinge la vita marinaresca di quel popolo, aggiungendo : Essi fidando nelle ratte navi, Per favor di Nettuno, il vasto mare In un istante varcano: veloci «Come 1’ale o il pensier sono i lor legni» «T&v vees ooxetat m? el jtrepov tje vovjjia». Nell’ Odissea (Canto XIY, 200. ss.) Ulisse, annaspando un’in-gegnosa favöla per nascondere l’esser suo adEumeo, descrive, non volendo, la sua passione per la vita perigliosa e randagia di mari-naro avido di avventure e di ricchezze ....................Me della pace Non dilettavan 1’ arti o della casa Le molli eure, e della prole. Navi Dilettavano e pugne e rilucenti Dardi o quadrelli acuti. .................ts la fortuna Cosi mi avrise che tra ciö che in sorte Toccommi della preda, e quel ch’io stesso A mio senno eleggea, rapidamente Crehbe il mio stato................... Le istesse allusioni alla vita di mare si riscontrano nell’ Odissea al C. I. v. 177, 183. Nel canto III, Telemaco accolto ospitalmente da Nestoret in Pilo, viene interrogato dall’ospite, chi egli sia e donde venga. E interessante questo passo, perche getta luce sul mestiere, che fin d’allora esercitavano alcuni Greci, solcando i mari coma corsari e pirati. Nestore gli dice: Sei un navigante che veleggia per iscopi di lucro, o siete tu e i compagni tuoi corsari, che vanno in cerca di preda? (Od. III, 72). Di un punto nero nel carattere nazionale greco troviamo in-dizio nelle poesie orneriche. Nel canto XIX dell’ Odissea, Euriclea la vecchia nutrice, inten ta agli apparecchi del bagno per Ulisse da lei non ancora riconosciuto, d’ un tratto scatta di gioia riconoscen-dolo dalla cicatrice che gli vede su di una gamba. Questa cicatrice derivava dal morso di un cinghiale avuto da Ulisse, quando da gio-vinetto ancora visito l’avo suo Autolico. In quel canto al v. 395, circa ad Autolico, il nonno di Ulisse, e detto «Myjtpw; evj«; uaxep5 eoÖXov oc, av6pa>rcous sxsxaaxo KXstitocuvyj G’ opxtü te» .... .... “Del rapir vinse, e del giurar nell’arte,. Autolico, devoto di Mercurio, avea sortito una rara valentia di gabbare il mondo colle arti della finzione e dello spergiuro, e vinceva tutti, come dice il verso, in questa abilita. Lo stesso Byron alluse al motto volgare “graeca fides, col quäle, esaggerando un difetto che non e proprio di una nazione, ma d’ individui che si trovano al postutto dal piü al meno fra tutti i popoli, si vuole de- signare il carattere nazionale dei Greci. II poeta inglese, animo generoso, sebbene di temperamente bizzarro, stizzoso e subitaneo, ammendö in appresso il suo troppo aspro giudizio, difendendo il popolo stesso contro i suoi detrattori, come si raccoglie dalle note declarative al suo poemetto “il giovine Aroldo,. Questa attitudine particolare alla vita marinaresca, questo spirito d’ intraprendenza, se vuolsi anche, di avida speculazione che il greco moderno ha comune coll’antico, fu la causa di quella pre-valenza assoluta, ch’ebbero di confronto agli ottomani nelle cose attinenti alla marina mercantile e di guerra. E noto che i migliori ufficiali e soldati di marina al servizio della Sublime Porta, prima della rivoluzione, erano Greci, e ehe il “Kapudan pascia, incaricato del governo della marina di guerra, appunto perche indi traeva i migliori elementi delle truppe di mare, teneva le isole greche a lui soggette sotto un freno piü mite di quello facessero nei loro territorii i pasciit di terra ferma. Anche in riguardo alla milizia di terra non si spensero le tradizioni gloriose di una nazione nei eui fasti militari figurano le celebri battaglie deli’ antichita classica, quelle deli’epoca macedonica ed anche della bizantina. Le province popolate fino dai tempi antichi da gente fiera e pronta alle armi, come 1’ Epiro, 1’Acarnania, 1’ Etolia, la Tessaglia, la Laconia non potevano esser tenute agevolmente a freno, per la configurazione eminentemente strategica del paese ehe favoriva 1’ opposizione armata. Ora, se sotto il dominio romano stesso, se durante tutto il periodo del governo bizantino, quelle montagne erte, rocciose, piene di nascondigli e di caverne furono ricetto a bande armate; si puö immaginare come sian cresciute di numero sotto il dominio ottomano, pel contingente considerevole di patriotti ehe fuggivano dalle pianu re e dalle cittä, perchö non potevano ac-conciarsi all’ ordine turco di cose, o per atti ostili tramati o com-piuti contro i nuovi padroni. 11 governo ottomano, provata la difficoltä di combattere quella gente armata, ehe le sfuggiva di mano e rendeva quanto mai ma-lagevoli le condizioni della sicurezza publica nell’ interno del paese, creö, come dicemmo, gli armatoli, una specie di gendarmeria pae-sana, cui favori di privilegi. Essa si reggeva nei suoi villaggi a governo municipale nominandosi i propri npcosatol e i propri capi-tani. Aveva il compito di perlustrare il territorio, di vegliare alla sicurezza delle vie, dei passi, dei ponti; un servizio su per giü eguale a quello degli antichi neplnoXoi della republica ateniese, e sot-tostava al “dervendgi-pasciä,, ossia ali’ ispettore militare delle strade. E noto da ciö che a suo luogo narrammo, che questi armatoli si fu-sero in appi’esso coi clefti e formarono il nucleo delle forze militari che la Grecia oppose agli eserciti del Sultano. L’ armata nazionale greca raccolta in appresso si compose di vari elementi. C’entravano volontarii di ogni paese, soldati greci regolari giä in servizio nelle isole jonie, i cosi detti pallicari per eccellenza; ma la fantasia popolare piü di ogni altro esalta il Clefta, ehe si considera come 1’ ideale del campione di guerra, come il tipo piü celebre del soldato nazionale. Gia la sua stessa figura ha deli’ imponente. Bello, aitante della persona, di prodigiosa agilitä e sveltezza di membra, con una ca-pigliatura nera, fitta, ondeggiante, uno sguardo acuto fulmineo, egli rasenta il tipo del guerriero omerico, come ci vien deseritto nei canto XIX v. 245 deli’ Odissea «rup&i; iv ujjAotoiv, fisXavcI/poo;, oöXoxäpvjvo?» o come colla frase ricorrente “5etvw S e ot 6'a^e 'faav9=v„ viene rap-presentato il fuoco dello sguardo. Tale e p. e. il famoso clefta Andrico, ehe milite'» nella Laconia nel 1770 coi Russi, e fuggi per prodigio. Nel 1779 preše 1’armi di nuovo e, terminata la guerra, si rifugiö a Preveša; ma fu conse-gnato e mori in carcere a Costantinopoli. La poesia popolare lo tratteggia come il tipo deli’ eroe. Grande della persona, robusto, leggiadro, terribile nell’ aspetto, con ricca capigliatura e baffi lunghi tanto, ehe se li avvolgeva e gli facevano nodo intoimo al collo; di animo pacato e gentile tra gli amici, quanto formidabile sul campo di battaglia. I Clefti appariscono alla fantasia popolare come altrettanti cavalieri medievali, pronti in ogni istante a morire per un alto ideale, “religione e patria,. Come gli eroi d’Omero non sanno che cosa sia timore (Iliade XXII, 109; XI, 365 ed. Ilocchegg). Gente timorata di Dio e zelante osservatric-e dei precetti religiosi; ossequenti e affezionati verso i propri preti, come gli eroi d’ Omero (lliad. C. I. 61), hanno i loro tabernacolini e chiesuole incavati nei massi rocciosi, ove fanno le loro preghiere, quando non hanno un sacerdote di montagna che loro dica la messa, od un venerando i’omito dalla barba fluente che intuoni le preci. Per istenti e pri-vazioni che soffrano, e per quanto !i stimoli quell’ incentivo forte di guerra che e la fame, come dice Ulisse (Od. XVII, 287), non mettono mano alle loro reliquie, od ai sacri arredi e paramenti; ed hanno in conto di maledetto, degno di turpe morte chiunque si attenti di spogliar i templi, fosse anche per bisogni di guerra. Ad ogni lusinga e promessa, come dinanzi alla truce prospettiva di tormenti, di carcere, di morte, restano indifferenti e impavidi; soffrono, ma non rinnegano la fede' dei loro avi. In questa e nella vigoria del loro braccio ripongono ogni speranza di salute, come si legge degli eroi omerici “tw Iv s, ou uoXsjaow, (Iliade XV, 741). Forte e in loro il sentimento di amicizia, come non puö esser altrimenti tra una gente cui lega un sol pensiero, la difesa della patria, e che trae vita aspra e perigliosa senz’ altra gara che di saper soffrire e morire da valorosi. Tutti unisce un patto di cordiale affra-tellamento: abbominano le guerre fratricide non meno degli eroi d’Omero (Iliade IX, 63). II compagno d’armi e un fratelfo (Odiss. VIII 586) cui si sta da presso nella pugna; non lo si abbandona, se cade ferito, lo si vendica, o si cade a suo fianco; come facevano i guerrieri omerici (Iliade C. V, 275 Hochg). La vita queta e noia per loro, avvezzi alle emozioni forti, alle gioie difficili, ma serie e profonde. II soggiorno loro piü gradito erano i monti, cui abbandona-vano talora nel rigido inverno, riparando qua e 14 sotto la pro-tezione degli amici, i piü nelle isole Jonie, donde faceano ritorno non appena la natura si rivestiva dei suo verde ammanto. Riprendevano allora le loro predilette abitudini, brandendo le armi, messe in serbo entro pelli incatramate nelle fessure delle rocce o nelle ca-verne; e li dall’ alto di quei monti signoreggiavano i prospetti sog-giacenti, esilarando lo spirito, come gli eroi omerici, col suono della cetra e col canto (Iliade C. IX, 189). Raccolti in bande di 50, 100, il piii 300 guerrieri, correvano le montagne, piombando improvvisi sul nemico, taglieggiando terre e villaggi dei nemici, talvolta anche dei propri connazionali ehe sapevanu o sospettavano loro avversi. Bersaglieri valenti sapevano imberciare a distanza un ovo appeso, o far passar la palla attraverso un anello. Per loro le gare di tiro a segno erano scuola 9 diver-timento ad un tempo; simili in ciö agli antichi Greci, di cui vantasi la maestria nel maneggio dell’arco in vari luoghi dei carmi omerici, e piü in particolare nel canto 21 deli’ Odissea, ove Ulisse vince e sbalordisce i proci nella p rova famosa deli’ arco. Avvezzi al disagio, tre di e tre notti reggevano digiuni affatto e senza riposo. Preši, tolleravano le piü atroci pene senza gemiti. Desideravano di morire sul campo per aver il titolo onorifico di afaydpi (vittima) di con-fronto a chi moriva nel letto. Quest’ ultimo appellavano (ca- rogna). Ligi alla massima omerica, Atei otepiov av5pu>v (fpevei; r^pihovzui ()t<; 8' 6 yep«>v ^iiETe^atv, ajxa Ttpdoaio xat orciaato Aeoooet oitu>£ oy’ apicta jxet' a|x^oTEpocct ysvvjtat Iliade III 108-110 avevano pei vecclii lo stesso rispetto ehe pei loro sacerdoti cui tenevano in conto di padri della nazione, di consiglieri della gio-ventü, di retributori di lode o biasimo, a seconda dei meriti o de-meriti dei guerrieri sui campi di battaglia. Di carattere focoso, siccome sentivano fortemente 1’amicizia, altrettanto lasciavansi tra-sportare dali’ira lino a prender feroci vendette di offese recate alle loro famiglie. Baldi di lierezza nativa e gelosi deli’onore, un ol-traggio vero od anche talora immaginato li spingeva a scatti di furore cieco, di cui rimpiangevano poi la vittima, come e p. e. il caso nella poesia a pag. 140 “ cO MavoXy;; 'j ’laviTaapYj?., L’accenno mali-zioso di un giannizzero alle bellezze di una donna bastö a mettere nel marito di lei un fremito tale di bile, ehe corse difilato a casa e l’uc-cise, per piangerla poi amaramente. Fatti di sangue provocati da un sentimento di vendetta ereditaria, come sono in uso tra i banditi corsi, non s’ incontrano nelle poesie nazionali moderne, almeno in quelle che abbiamo avuto sott’ occhio. La vita del bandito corso tiene molto di quella dei Clefta greco. C’e l’analogia dei soggiorno, il pericolo di cattura e di morte; la tempra d’animo eguale; ma il carattere dei Corso, il quäle dopo un atto di vendetta, scappa alla macchia ed apre una lotta a coltello colla forza pubblica che lo ricerca, non regge al confronto col Clefta della guerra d’indi-pendenza greca. 11 movente e diverso. In quello la vendetta privata, in questo l’amore alla sua patria, alla sua fede religiosa, a cui consacra la sua esistenza, lottando non coli’ autoritA di polizia, ma coli’ esercito regolare ottomano. Necessitä lo astringe a valersi dei mezzi di guerra che stanno a sua disposizione, ad appigliarsi al sistema della guerriglia, ch’e al postuto una guerra di montagna e nuH’altro. La differenza e evidente. II Tommaseo nella Collezione dei Canti popolari corsi vol. VII pag. 6 ci da un ritratto fedele dei bandito corso: “Bandito e l’uomo, che, ucciso il nemico, si mette alla macchia, abbandona la moglie, i figliuoli, le abitudini care, si na- sconde alla giustizia pubblica ecl alla privata vendetta; fugge, insegue, ritorna; assalito ferisce ed uccide; affamato, chiede pan«; taglieggia gli avvorsi e i sospotti; non rapisce, non ruba. La sua vita e nelle solitudini; ma vieino dell’abitato -erra come ombra condannata e come fantasima di spavento; ha secreti colloquii coi suoi, ha me-diatori fidati; nessuno odia il bandito, non ehe lo disprezzi, perche nel suo misfatto e coraggio, e, al sentire dei pili, diritto, anzi dovere; nč uorao ehe chiede a mano armata, ehe dorme sulla sua carabina, e sulla sua carabina e pronto a morire, e persona da celie., Al carattere nazionale greco pero non e estranea la passione della vendetta. Le dimostrano le stesse poesie omeriche. L’uecisione di un rnembro della famiglia imponeva 1'obbligo ai superstiti di farne le vendette, come nell’ Odissea XXIII. 120, I. 298 ecc. Senza dub-bio la rara evenienza di sini i 1 i casi in un popolo assai castigato ne’ suoi affetti, e pivi ehe ogni altra cosa 1’ animo volto alla lotta contro i Turchi non porsero argomento a poesie ispirate a sentimenti di vendetta privata, ehe predominano nelle canzoni popolari della Corsica. II Clefta ama le sue armi e reputa sciagura non meno fiera ehe morte il perderle, come si vede nella poesia a pag. 39 “’Ajr.atia roti KaTtstavou, ov’e dipinto un passeggero inorridito alla vista di cadaveri di Greci mozzi il capo, .vittime della ferocia e della fellonia di un capitano, di eui non e detto il nome. L’immaginazione poetica fa dire a quei morti interpellati dal passeggero: “Non ci domandare dove abbiamo i capi; domanda soltanto ove abbiamo le armi nostre; le armi, ce le tolsero i nostri commilitoni, Un capitano — ehe la terra nol consumti nel sepolero! — ci ha tagliato le teste e gettč qui i corpi.„ — E lo spirito guerresco ehe unicamente li domina e li rende insensibili persino all’amore ed alle gioie di famiglia, per le quali pur di solito spasimano, quando vi si possono espandere liberi dalle eure di guerra. Toccammo giž. della canzone “il sonno del prode, dove ci si rappresenta un guerriero ehe si stacea a forza dalla eonsorte che il vuol trattenere, per correre alle armi. “La nostra bionda e la pištola, 1’am ari te nostra, la spada, eselamano i guerrieri nella canzone a pag. 36 “o KajtčTdvos afown-j-tixöc, indignati, ehe il loro capitano, prešo d’amore per una vaga donzella, voglia andar a celebrare i suoi sponsali. II Clefta ama ardentemente la sua patria, la sua religione. I suoi figli stessi gli sono cari, perche pensa che saranno gli eredi del suo valore e della sua coštanza nell" amare e difendere la Greeia. In una canzone della raccolta del Tommaseo a pag. 201 “Zidro e il flgliuölo, e detto: “Non piango la morte, piango, perchö lascio un figlio, il quäle non sa ancora 1’ arte di capitanare i soldati che militano contro il nemico., II Clefta, aggiunge il Tommaseo, muore cöme gli uccelli; dove e come non sai. La verzura, che velö le sue gioie, nasconde le agonie., Un tratto di affinitä della poesia greca popolare moderna colla poesia epico-romanzesca ed anche coli’ epica storica, perche ne ri-corrono esempi anche in Omero, si e 1’ irritazione d’ animo dei guerrieri spinta talora fino allo scherno, alJo sprezzo beffardo, al-J’ insulto triviale del nemico. Ne offrono esempi la canzone a pag. 40 „X=£oov tä Ysvsta toö Kar?;., A pag. 34 “Not [njv tö jräpyj yj Toopaia, 'laoö'f aya? 6 axöXoc, sclama Georgotomo ferito, pregando i suoi di spiccargli il capo dal busto, “acciocche non se ne impossessi Iusuf agä il cane, (1’ omerico xovtot])). Qualche volta i clefti tengono un linguaggio informato a sensi di braveria a la Don Chisciotte, come p. e. nella canzone a pag. 51, dove Dipla dice: “I miei giovanotti sono geilte scelta; mangiano polvere da fucile come pane, e palle come fosse carne; dei Turehi fanno macello, come di arieti e caproni,. Delineata cosi la figura del Clefta e dimostrato il suo carattere, le suo abitudini, la tempra d’ animo, la costanza nei cimenti, le qualitä insomma ed i pregi, che formarono di lui un tipo poetico nelle canzoni popolari, resta che diamo un breve cenno di alcune poesie, ove ci vien dipinto in azione. 11 Byron ci tratteggia con bellissimi versi in uno dei suoi poe-metti il corsaro greco, e la pittura, toi tone il movente della rapina, si attaglia alla persona dei clel'ta, come ci vien rappresentata daf-l’epopea popolare. Egli dipinge cosi la risolutezza dei guerriero: «A morte ir contro e temeraria cosa; Ma 1’ attemlerla e peggio, attender quivi Che sicura il nemico a noi la porti» E la sua vita e 1’ intrepidezza: «Ama il cimento, e del ciraento ei mira Giubilando 1’ istaute avvicinarsi; Quel che argomento di periglio e altrui, Fassi argomento a lui di gioia, e il cerca Con piti ardor che non 1’ eviti il codardo: E lä dov’ altri verria manco, ei sente, Sente svegliar ne 1’ imo cor soltanto La speranza e gli spiriti elevarsi. Jlorte per noi non ha terror, se nosco Pera il nemico. Altro per noi la morte Non e che un sonno piü profondo. Venga Qualor 1’ e in grado. ............................Al vile « Giovi, affisso alle piume, un egro resto D’ anni produr, cui mirar giova il proprio Disfacimento. E i faticosi aneli Suoi densi fiati, e gli vacilli il capo Paralitico. A noi la fresca zolla Concessa e in sorte; a lui le piume aduste Da la febbre»............................. A questa forza d’ animo, a questa abnegazione di se per la causa comune il Clefta deve la sua rinomanza, 1' ammirazione e 1' affetto, di che gode tra il popolo entusiasta dei suo prediletto campione. 11 popolo lo cinge di un serto di gloria, idealizzandone i pregi veri ed anche quelli, ch’egli scorge in lui colla fantasia accesa dal fuoco dell’ entusiasmo. 1 canti che verremo semplicemente sfiorando — perche un esame piü esteso allargherebbe di troppo i limiti di questo studio — soiio r illustrazione della qualitica eroica attribuita dal popolo al suo eroe, che possiede la forza di fare e di pati re “et face re et pati ibrtia„. Nella raccolta del Tommaseo, a pag. 193, la madre di Andrico esclama: D’Agrafa selvagge montagne, degli Agrafa cime, Che faceste del figliuol mio, del capitano Andricu 'i 0 fanciulle del Ladio, a bruno vestitevi; Che Andrico rinehiusero nel raonastero gi'ande; Portano cannoni dali’ Euripo, polvere d'Atene Per tirare e distruggere il monastero grande; Sessanta di combattono Turchi dieci mila. E Andrico combatteva con sessanta valenti. II visire loro grido: Mille florini veneti di regalo darö, Chi d’Andrico portassegli il capo. Or vedrete una volta d’Andrico il fucile. Uccisero, affettarono Turchi quasi due milla, E la notte uscirono prima ehe aggiorni. 1 valenti numerö e gli mancavano cinque. A pag. 230 della stessa raccolta del Tommaseo viene decan-tato Scillodimo, il celebre prigioniero di Ali paseiä. Questi lo tenne eniuso piü mesi in una segreta acquitrinosa. Una lima, una cintura e la sua agilitä lo salvarono in una notte festiva pei Turchi. Non potendo uscire dalla fortezza si gettö nel lago ed ivi appiattato, intirizzito ed affamato se ne stette, mentre le guardie lo cercavano da ogni parte. Dopo tre giorni di patimenti, gli avvenne di trovare ujia barchetta, sulla quäle riusci a salvarsi. A pag. 421 della raccolta del Tommaseo v’e un canto (lo stesso ehe trovasi inserito a pag. 66 della raccolta Firmenich) Omer Brioni calö con deciotto migliaja. Diaco, come l’intese, molto gli sa male. Coraggio, figliuoli, gridö; figliuoli miei non temete! Forti com’Elleni, come Oreci state! Quelli impaurirono, si spersero nelle selve; Riman Diaco al fuoco con diciotto valenti. Tre ore combattono con diciotto migliaia. Ma la spada sua si spezzö sin dal pome. E cadde Diaco vivo nelle mani a' nemici. Mille lo presero dinanzi e due mila dietro. Diaco era un clefta rinomato della Livadia, valoroso, bello, onesto. rivale di Odisseo. Quando Ali ribellossi alla Porta, si valse del-1’ajuto di Odisseo e di Diaco. Questi sopraffatto dal numero cadde in potere di Omer Brioni nel Peloponeso. A pag. 22 della raccolta Firmenich si canta la morte di Liaco. Questi non e da confondersi col sunnominato Diaco. Di Liaco e detto ehe, dali’ alto di un colle, vista la sua consorte prigioniera degli Albanesi, parla all’ orecchio al suo morello ehe ratto come il baleno si slancia per liberarla, — una scena ehe ricorda il dialogo di Achille'coi suoi cavalli nel canto XIX v. 400-423 deli’Iliade. II čanto accenna ad un agguato in cui era caduto il troppo ardito campione. “Arrenditi, Liaco, al Visire; presta omaggio al pasciä* gli si grida; ed egli: “al pasciä non rende omaggio Liaco finche vive — il suo pasciä e la sua spada, il moschetto e il suo visire, Cadde fulminato da tre palle nemiche nell’atto in cui s’era chinato per dissetarsi ad una tonte. Una figura ehe ricorda il Sigifredo dei Nibelungi. II canto apag. 28 “Tajio? z on Ifioö zm ZtSpooB non e di argo-mento militare. E un bel tratto di cuore della moglie di Zidro, ehe mostra affetto ad un figlio adottivo postergato dai convitati nuziali, benche affezionatissimo ai suoi genitori di adozione. II Firmenich riporta pero nel commento un’altra canzone intitolata “la morte di Zidro,. Questi, un clefta tessalo, ehe stanziava sull’Olimpo, era te-muto dai Turchi e dagli Albanesi in guisa, che non volevano muo-vere contro di lui, se non si pagava loro doppio soldo. Fu poi pel suo imprudente valore fatto prigione ed ucciso. Dopo la sua morte, i soldati albanesi non ebbero pili doppio soldo e si lamentavano di aver cooperato alla morte di Zidro, ch’ era stato involontariamente il loro benefattore. A pag. 50 c’e un canto intitolato “O Oavato? toö BsXrjYXsxaÄ. Yeli Ghekas, un capitano albanese al servizio di Ali pasciä, militare distinto, venne sfidato da Cassantoni, ehe gli mand6 uno seritto provocante, aizzandolo a muovergli incontro coi suoi. II Clefta l’aspettö impavido e, vistolo venire da lungi, in tuono canzonatorio gli gridö: “Tu vieni contro di me e vuoi cimentarti meco? Ebbene, abbiti il saluto de’ miei prodi pallicari,. Veli Gheka cadde colpito da tre palle e morendo prega i suoi di mettere in salvo il suo cadavere. Cassantoni, giä pastore di pecore, irritato per le sevizie di Ali contro la sua famiglia, divenne uno dei clefti piii celebri. Piccolo di statura ina con un' anima di fuoeo, prudente e scaltro, secondo i casi, ardito talora fino alla temeritä era divenuto il terrore dei nemici, che il tenevano per un uomo fatato, dopo un fatto di straordinaria intrepidezza che li aveva sbalorditi. Lo rac-conta il Fauriel. Cassantoni era accampato con aleuni de' suoi sopra una vetta rocciosa, cui non si poteva accedere che per due viottoli erti o perigliosi. Probabilmente tradito, si vide d’ improv-viso attorniato dagli Albanesi. Non c’ era scampo che da una parte sola, dove pero la roccia cadeva quasi a perpendicolo. A nessuno poteva venir in mente di evadere da quella parte ed i eompagni di Cassantoni se ne stavano perplessi e scoraggiti, quand’ egli esoi’-tölli a osservare cio ehe avea divisato di fare e ad imitare il suo esempio. Spiccato un grosso ramo di abete eolla spada, e messovisi sopra a cavalcioni, si lasciö andare ružzoloni giü per la roccia e protetto nella vertiginosa discesa dali’ attrito dei rami, giunse in-colume al piano, traendo dietro a s6 gli altri in simil guisa a salvamento. Qü'ando nell’ anno 1805 i capi del clefti radunati nel-1’isola di Santa Maura tenevano consiglio di rivolta, si videro d’im-provviso camparire dinanzi Cassantoni in un’ uniforme raggiante d’ oro e di argento, una vera apparizione portentosa. Nell’anne 1807 colto da fiero morbo fu ricoverato dal fratello Giorgio in una caverna, ove una fida veecliia portava ai fratelli il nutrimento. 11 suo nascondiglio fu, come quello del prode patriotta Andrea Hofer, svelato da un traditore, e Cassantoni difeso eroica-niente dal fratello cadde poi insierne a questo in potere di Ali, ehe ne preše barbara vendetta. In mezzo alla piazza di Giannina vennero loro sfracellate le membra a colpi di martello. Ai primi colpi dell’orribile tortura Giorgio mandö un gemito, ma Cassantoni, voltogli uno sguardo severo, ‘Tu piangi, disse, come una femmina„. Da quel punto gli astanti non udirono piü un gemito. Del prode Nicozara piii volte ricordato non occorre aggiungere altro ehe un brano della versione di un canto ehe a lui si riferisce, nella raccolta del Tommaseo a pag. 391. "Tre uccelli si posavano, tutti e tre in fila: L’un guarda 1’ Olimpo, 1’altro Alassoua. II terzo, il migliore, di Pravi il ponte. Lamentava e diceva; lamenta e dice: Nicozara chiusero di Pravi al ponte Tre di fe battaglia, tre di e tre notti Senza pane, senz’acqua, seuza sonno nell'occliio. Ai prodi gridč»; i prodi chiama: Traete le spade vostre e prendetele in mano E ratto f cciamo impeto di Pravi sul ponte . . . Un fatto notissimo avvenuto nella Morea al principio della rivoluzione £ 1’ assalto e 1’ espugnazione di Tripoliza per opera dei Greci capitanati da Coloeotroni e Mauromicali. II canto a pag. 64. “wAX(i>atc tv;? TpucoXttaäc, che deserive le vicende di quel com-battimento, rende in certa guisa immagine degli aspri conflitti ehe leggiamo nell’Iliade. Lo stesso furore d’ambe le parti, 1’eccita-mento degli animi, gl’ impeti audaci, le minacce e le invettive ehe che si scagliano tra di loro nel fervore della miselna i capi dei combattenti. Campeggia nel canto la maschia figura di Coloeotroni, il cui atteggiamento nella lotta arieggia quello di Diomede nel V, Canto deli’ Iliade v. 85-135. II canto si chiude con una pittura della lotta estrema ehe decide deli’espugnazione della cittä, i cui difensori misli a gente nemica inerme vengono trattati, come A-gamennone nel Canto VI deli’Iliade consiglia di fare a Menelao “se mai gli riesca di espugnare la cittadella di Troia„. v. 55-60 .........................Orsü; nessuno De’ perfidi risparmi il nostro ferro, Ne pur 1’ infante nel materno seno ; Perano tutti in un con Ilio, tutti Senza onor di sepolero e senza nome (Trad. Monti) II canto intitolato “xoö MitoüxoßäXXa, a pag. 14 della raccolta Firmenich principia cosi: «T’ esv’ 6 äyoc, itoö yivcxac y.ai p.sYa).r; Mr.va ßoußaX’.a otpotCovtat; |j.V;va Onjptä ji.aXojvoov». E un pugno di prodi ehe lottano disperatamente con forze nemiehe piü volte superiori di numero. Nembi di polvere e di lumo avvol-gono il campo di battaglia e non lasciano scorgere ai valorosi gli effetti della viva moschetteria che li fulmina. Da una iinestra di sua casa una bionda fanciulla grida a voce alta; ’lavvrj, töv ud),S(j.civ, xa't xä xoytpev.ca Nä jj.ETpY)Üf/ t’ äav.spi aou, va l?oöp.sv, itoooc Xeiitouv» “Cessa, Gianni dalla pugna, lascia i fucili, perche numerar si pos-sano le tue schiere, perche si veda quanti restano, Tre fratelli erano rirnasti ed in quel punto ne cadeva uno. “'0 tpitoc & xaXr;x£po; acixetat ’? tö rompiv.'„ il terzo, il piü bello, giace sul suo fucilö„ Bucovalla, cui e dedicato il canto, celebre guerriero dell’A-carnania, aveva vinto Veli bey di Tebele, avolo di Ali, e questi non ebbe pace, finche non gli venne fatto di esterminare tutta quella famiglia di prodi. L’ ultima vittima fu una donna ch’ egli fece avvelenare. Un bei canto, di cui giä abbiamo fatto ceimo e quello a pag. 24. “'0 Kixao? za £ ^ |j,r;Tspa otj „ E la madre che va in cerca del figlio, uno dei clel'ti di Tessaglia, che avevano propri villaggi (y./.ö'fxo/üjf/.o') distinti dai ßXayoywpta villaggi di pastori non militanti. La mesta donna inveisce contro il fiume che le chiude il passo. «Ilotäju, iwrap.t atpE'Ji' f/itiao)» Lo scorge aliin, ma in quäle condizione! Lo si conduce al patibolo. Forte drappello di scorta precede e segue il prigioniero. La fanta-sia del poeta vede la madre l'orsennata dal dolore, brandire un affilato coltello, slanciarsi a lui, recidere i ceppi in un baleno e liberarlo. 11 canto che segue’a qiiesto, a pag. 26, “toö Ndvvoo„ ci preselita un clefta innamorato della bella e ricca Nicolina, di cui non si sa altro che il nome. 11 suo piano e semplice: “Yoi, commilitoni pallicari! venite meco all’ assalto della casa di lei. 11 denaro e per voi, la donna per me., Citiamo questo canto per dimostrare ancora una volta, che tra i clefti, soldati nazionali illibati, c’era pure qualche tipo sul geilere di questo Nanno, ehe rasentava assai da presso la figura del bandito. Nella raccolta del Tommaseo, a pag. 195 troviamo un canto, intitolato “la madre e la inoglie». Lo citiamo in parte, nella tra-duzione del Tommaseo. ■•Molte madri si affiigouo; e tutte si racconsolano. Di Giorgio la madre si afflige e consolazione non ha: Alla finestra si posa, a»carnpi riguarda. II misero Giorgio strinsero gl’ iufedeli di Lala, E uon eraao pochi, eran due, tre migliaia; E Giorgio era solo con dodici uomini„. All’ intimazione di arrendersi, egli grida; “lo son Giorgio di Gianni, del primo capitano, E reggero la battaglia con dodici uomini,. 11 soccorso promesso non puo giungere prima di tre giorni. Egli resiste, e muore. La chiusa del canto e toccante. “Chi e si lesto che alle tre cime vada, Per dire a quella di Giorgio, alla sposa novella, Che uon s' abbigli la pasqua, ehe gli ori uon metta ; Giorgio 1’ uccisero,, .... I canti popolari di guerra sono dettati in un metro che non si lascia rendere armonioamente in una forma omogenea di verso italiano. La versione del Tommaseo in italiano e quella del Fir-menich in tedesco fedeli al testo anche nel numero del le sillabe (15 per verso) hanno un ehe di dilavato, di strascicante, d’inar-monico. Le liriche greche inserite nelle raccolte non sono tutte di conio popolare; sono fatture di poeti colti ed anche in queste la tetrapodia trocaica dei primi due versi unita con una tetrapodia jambica dei due uiti m i, forma un genere di strofa, che in greco suona bene, ma in italiano vuol esser volta in metro libero e con-sentaneo al genio della lingua, se ne deve venire un’ armonia. La lingua dei canti perde, s’intende, al paragone dell’antica, in bellezza, rotondita di forme, struttura di parole e gradevolezza di suono; ma non manca di vigoria e di espressione. II Byron da il seguente giudizio sui canti. “I loro canti sono talvolta graziosi e patetici; ma i metri sono per lo piii sgradevoli alle orecčhie di un franco,. II Fauriel, citato dal Tommaseo a pag. 358, li giudica cosi: “nei canti cleftici, il selvaggio ardimento del concetto e delle immagini, risalta piü netto dalla semplice familiarita del linguaggio, piü che nol farebbe dal le declamazioni rettoriche e dalle adorne eleganze.„ A pag. 200 della raccolta del Tommaseo v’e un canto intito-lato “la bisaccia,,. Vi si dipinge il furore disperato di un padre, alla vista della testa del figlio maggiore ucciso nel combattimento. Egli guarda nella bisaccia del milite turco, cui aveva domandato notizia di suo liglio; ............«guarda nella bisaccia, e vede, Vede il suo primo figliuolo, il primo valente. E la mente gli s’infoscö; come fiera muggisce. Si versa colla spada ignuda tra le infedeli schiere; Uccide Albanesi dodici e due ufficiali . . . A pag. 233 della stessa raccolta del Tommaseo e inserita una bellissima canzone, che, come osserva il Tommaseo, tiene assieme del carattere epico dramatico e lirico. Un episodio della vita in— certa dei clefti, che dal bicchiere passano al fucile, dalla gioia alla morte. Assisi a mensa sotto la nuda volta del cielo sentono fucilate che annunziano un assalto improvviso del nemico. Un gio-vane clefta vede avvicinarsi un drappello forte di Turchi. Si corre all’armi. 11 giovane si slancia, uccide, poi viene steso inorto da due archibugiate, una al cuore, 1’altra al polmone. «Vede dall’alto grau numero di Turchi. «A ire indietro vergognasi, a ire innanzi, teme. «E si seguö e dentro vi da». Veniamo in fine alla tragedia di Messolongi. II Tommaseo ci offre una canzone, a pag. 428, che nella chiusa riassume la spaven- tevole scena di orrore che segnö la caduta di quell’ eroica ed infelice cittä. 27 Aprile 1825. «T5 ay.oo£i V] jiaopv) yy), rpeif ypövoug žšv yopuaCs:. «T’ änoues y.o't t« ßoova, v.' exs:va, tppacC-ijy.av. el” äxoüec y.a't 6 oupavo?, TpEt; vpdvou? 8$v otaXäCet, «'O Mapno; lav.ormdrjv.e v.a: laxoxtoae xat yOdoug» “L’ ode la terra, per tre anni non verdeggia, “L'odoua i monti, e ancli’essi spezzansi. “L’ ode il cielo e tre anni non stilla rugiada. “Marco fu ucciso; ma ne uccise anco inille„........... La catastrofe di Mes^clongi scatenö un turbine d’ indignazione in Europa. Gli avvenimenti ehe seguirono sono noti. L’intervento diplomatico, attivissimo giä prima del truce fatto, divenne piti ener-gico e produsse 1’ aceordo anglo-franco-russo del 6 luglio 1827, la battaglia navale di Navariuo 20 ottobre 1827, la rottura ufficiale degli alleati colla Porta 16 dicernbre 1827 e l’elezione de! conto Giovanni Capodistria a e7rt ÄSfpaXijc tr,? 'EXXvjvwcf^ 7toXiteia;„ il quäle assunse il governo il 18 gennaio 1828. cav. GIAC0M0 BABUDER Consigliere scolastico NOTIZIE SCOLASTICHK I. PERSONALE INSEGN ANTE Babuder Giacomo Cavaliere deil' Ordine di Franccsco Giuseppe. consigliere scolastico, membro dell’ Eccelso i. r. Consiglio scolastico provinciale dell’ Istria, deputato delle cittä d’ lsola, Pinguente e Muggia alla Dieta provinciale, rappresentante comunale e membro del Consiglio di amministrazione del Pio Istituto Grisoni in Capo-distria. Uirettore dell’ i. r. Ginnasio. Insegnö iingua greca nella CI. YIII — 5 ore settimanali. — Sbuelz Carlo — Professore di rango superiore. Capoclasse della VI. Custode del gabinetto di fisica e chimica. Insegnö matematica in tutto il Ginnasio superiore, flsica nelle classi IY, VII, VIII; ore settimanali 21. Petris Stefano. — Professore di rango superiore; i. r. Con-servatore di monnmenti storici per la provincia d’lstria. Caposlasse nella VIII — Insegnö geografia nella CI. 1; storia e geografia nelle classi III, IV, VI, VII, VIII; ore settim. 20. Spadaro Don Nicolö — Consigliere concistoriale, professore di rango superiore e catecliista ginnasiale — membro della Cominis-sione esaminatrice delle scuole popolari e cittadine in luogo. Ret-tore del Pio Convitto diocesano parentino — polese in luogo. Insegnö religione in tutte le classi e propedeutica filosofica (logica) nella VII; ore settim. 18. Zernitz Antonio, — Professore, custode e dispensatore dei libri della biblioteca degli študenti. — Insegnö lingua e letteratura italiana nelle classi IV, V, VI, VII, VIII; ore settim. 15. Mateieic Francesco, professore di rango superiore e capoclasse della V, — Insegnö lingua latina nelle classi Ve VI; lingua greca nella V; ore settim. 17. Gerosa Oreste, — professore di rango superiore, custode del gabinetto di storia naturale, rappresentante comunale sost. e segre-tario del consorzio agrario locale. — Insegnö matematica in tutto il ginnasio inferiore, Storia naturale (fisica) nelle classi I, II, III, V, VI; ore settim. 22. Bisiac Giovanni — Professore, bibliotecario. — Insegnö lingua tedesca nelle classi I, II, Y, VII, VIII. ore settim. 15. Maier Francesco, Professore, Capoclasse nella VII, rappresen-tante comunale. — Insegnö Latino nelle classi VII e VIII, Gi’eco nella VII, lingua italiana nella III. ore settim. 17. Steffani Stefano, docente effettivo, capoclasse nella IV. Insegnö lingua iatina e greca nolla CI. IV; lingua tedesca nella VI, Storia e geografia nella V. ore settim. 16 Vätovaz Giuseppe — docente effettivo, capoclasse nella I. — Insegnö lingua latina e italiana nella I; lingua greca nella VI; psicologia nella CI. VIII ore settim. 19. Marini Ernesto, docente effettivo, capoclasse nella II. — Insegnö lingua italiana, latina, storia e geografia nella II. ore settim. 10 Larcher Giovanni Batt. supplente in corso di esami. Capoclasse neHa III. — Insegnö lingua latina, e greca nella III; lingua tedesca nella III e IV. ore settim. 17. A supplire il cullega ammalato Signor Marini assunsero in aggiunla alle toro regolari mansioni, il Sig. Steffani V insegna-mento del latino, il Sigr. Pelris quello della geografia e storia ed il Sigr. Zemitz quello della lingua italiana nella II Classe per V epoca del 12. Aprile al 23. Maggio. OGCxETTI LIBERI Lingua slava: tre corsi a due ore settimanali per ciascuno. L’ insegnamento venne impartito dal professore Francesco Mateieic. Ginnastica : Corsi quattro ad un’ora settimanale per ciascuno L’ insegnamento venne impartito dal docente effettivo deli' i. r. Isti— tuto magistrale in luogo, Signor Francesco Ciborra. Canto: due corsi ad un’ ora settimanale per ciascuno. Impart! 1’ insegnamento il Signor maestro di musica Giulio Giorgeri. La calligrafia fu insegnata agli scolari della I e della II Classe in un’ ora settimanale per classe dal Signor Stefano Steffani docente effettivo del Ginnasio. Cinca Deputazione ginnasiale. I Signori Avvocato Augusto Dr. Gallo, Antonio Dr. Zetto, Stefano Dr. Derin. Ricevitore della tassa scolastica. II Signor Alessandro Bonne, cassiere di rango superiore nell’ i. r. Ufficio principale delle imposte in Capodistria. Zetto Francesco, bidello, inserviente ai gabinetti e custode del fabbricato. PIANO DIDATTICO DELL’ I. R. G INN ASI O SUPERIORE DI CAPODISTRIA nell’anno scolastico 1892-93 CLASSE I. — Religione. I. sem. Spiegazione del simbolo apo-stolico, dell’orazione donienicale, del decalogo, dei cinque precetti della chiesa e della giustizia cristiana. II. sem. Delle domeniche e. feste della chiesa cattolica colle varie cerimonie. — Latino. Morfo-logia. — Le piü importanti flessioni regolari, esercitate a mezzo di versioni dall'una lingua nell’ altra, come si trovano nel libro di esercizi dello Schultz. Ogni settimana un compito scolastico di mezza ora ed un domestico. Esercizi di memoria — piü tardi trascrizione di proposizioni latine tradotte e piccoli compiti domestici. — Italiano. Esposizione della parte etimologica della Grammatica di Demattio, con esercizi di analisi grammaticale. Esercizi di grammatica logica. — Proposizioni semplici e composte. Teoria della narrazione con alcune favole dei migliori autori da imparare a memoria; da prin-cipio una dettatura ogni 14 giorni, piü tardi un tema scolastico o domestico alternativamente. oltre la dettatura ut supra. — Tedesco. Grammatica, fino alla declinazione del sostantivo. Lettura dal Müller (corso pratico di lingua tedesca) fino alla pagina 80. Compiti: uno scolastico ed un domestico al mese alternativamente Geografia. Principii fondamentali di Geografia esposti con metodo intuitivo. L’ orbita solare a seconda del suo vario e costante apparire nelle singole stagioni nella stanza di scuola, nella propria casa d’ abita-zione e come mezzo ad orientarsi poi sulla carta sul mappamondo e sull’ orizzonte. Rapporti annui fra luce e calore in quanto essi dipendono dalla durata dei giorni e dali’ altezza del sole, limitan-dosi a quell i ehe si producono soltanto nella ristretta cerchia della patria. Acqua e suolo nelle lor forme principali; loro distribuzione sul globo, posizione geografica e confini degli stati e delle cittä principali con continuo esercizio pratico in modo da leggere cliia-ramente ed a perfezione la carta geografica. Esercizi di disegilo geografico risiretti agli oggetti piü spiccanti. — Matematica. Aritme-tica: Sistema decadico. Numeri romani. Le quattro operazioni fondamentali con numeri interi e decimali astratti e concreti. Sistema metrico dei pesi e delle misure. Conteggio con numeri complessi. Divisibilitä dei numeri e loro scomposizione nei iattori primi. Ri-cerca del massimo comun divisore e del minimo comun multiplo, quäle avviamento ai calcoli colle frazioni ordinarie. — Geometria intuitiva (II sem.) Le figure fondamentali. Rette, curve, parallele, angoli e le piü essenziali proprieta del triangolo. Temi scolastici uno al mese. — Storia naturale. Insegnamento intuitivo, — I primi sei mesi deli1 anno scolastico: Zoologia e precisamente: Mammiferi ed insetti con scelta corrispondente. I quattro ultimi mesi dell’anno scolastico : Botanica. Osservazione e descrizione di alcune fanero-gisme appartenenti ad ordini differenti. Pertrattazione comparata dalle loro caratteristiche, avuto riguardo alla ricerca delle loro proprieta. affini. CLASSE II. — Religione. Dei SS. Sacramenti e delle cerimonie nell’ammtnistrazione dei medesimi. — Latino. Teoria sulle forme meno usitate e sulle irregolari, applicate agli esempi del libro degli esercizi dello Schultz, come sopra. Ogni settimana un compito scolastico di mezza ora. Esercizi di memoria come nella I classe; piü tardi, preparazione domestica. Tre temi scolastici di mezz’ ora ed un tema domestico al mese. — Italiano. Esposizione della sintassi. Definizione della proposizione, e delle sue specie, della frase e del periodo. Analisi logica di proposizioni semplici e composte. Brani facili di poesia da imparare a memoria. Tre temi scolastici e do-mestici al mese altern.e. Dettatura come in I. — Tedesco. Elementi della Grammatica fino al Verbo. Esercizi continui dal Müller (Corso pratico) fino al termine della parte I. Compiti: uno in iscuola e uno a casa ciascun mese. Geografia e Storia. (2 ore) L’Asia e 1’Africa; loro posizione geografica; configurazione orizzontale e ver-ticale, topografia con riguardo alle condizioni climatiche e facendo risaltare la loro derivazione dali’ influenza deli’ orbita solare sui differenti orizzonti. Genno generale sulla configurazione orizzontale e verticale deli’Europa. Gli stati deli’Europa meridionale e della Granbretagna secondo le norme date per l’Asia e per 1’ Africa. E-sercizi nell’ abbozzare schizzi geografici semplicissimi. — Storia (2 ore). L’ evo antico. Esposizione circostanziata delle leggende e dei miti. I personaggi ed i fatti meglio considerevoli con riguardo spe-ciale alla storia della Grecia e di Roma. —• Matematica. Aritmetica: Esercizi piü diffusi sul massimo comun divisore e sul minimo co-mune multiplo. Esercizi di calcolo colle frazioni ordinarie, colle ri-spettive dimostrazioni. Trasformazione delle frazioni decimali in ordinarie e viceversa. Proprieta essenziali dei rapporti e delle pro-porzioni. Regola del tre semplice coli’applicazione delle proporzioni e del calcolo ragionato. Percento ed interesse semplice. — Geometria intuitiva. Misurazione delle rete e degli angoli. Congruenza dei triangoli e loro applicazioni. Proprieta piü importanti del cerchio, dei quadrilateri e dei poligoni. Temi come nella I. — Storia naturale. Insegnamento intuitivo. 1 sei primi mesi dell’anno scolastico Zoologia e precisamente: uccelli, alcuni rettili, anfibi e pešci. Alcune förme tipiche degli invertebrati. — I quattro ultimi mesi deli’ anno scolastico : Botanica. Continuazione deli’ insegnamento fatto nella I classe coli’ aggiunta di altre fanerogame ed avviamento alla divisione sistematica dei gruppi. Alcun-^ crittogame. CLASSE III. — Religione. Storia sacra deli’antico testamento colla geografia della terra santa. — Latino. Grammatica; teoria dei casi e proposizioni. Lettura: da Cornelio Nepote o da Curzio. Preparazione. Ogni due settimane un tema scolastico di un’ora. Ogni tre settimane un tema domestico. — Greco. Teoria delle forme re- golari, con esclusione dei verbi in [it. Versione dal libro di Lettura. Eserci i di memoria. Preparazione; ogni dno settimane un tema scolastico o domestico alternativamente. — Italiauo. Lettura dal testo con commenti grammaticali e storici, Esercizi di memoria sopra poesie scelte. Riepilogo di tutta la grammatiea. Delle figure grammaticali. Ogni mese un tema scolastico ed un domestico. — Tedesco. Grammatiea: la conjugazione debole e forte dal Müller (Corso pra-tico) vol. II lino alla pag. 81. Esercizi e compiti come sopra. — Geografia. (3 ore. alternativamente Geografia e Storia). Gli altri stati d’ Europa (ad eccezione della monarchia austro-ungarica), 1’America e TAustralia sempre secondo il metodo usato nella classe seconda, ma specialmente con riguardo alle condizioni climatiche. Esercizi di disegno geografico. — Storia. Eve medio. I piii impor-tanti avvenimenti e le figure piii illustri doli’eta di mezzo, facendo spiccare sopra tutto quelle che occorrono nella storia della monarchia austro-ungarica. - Matematica. Aritmetica- Le quattro opera-zioni fondamentali colle quantitä generali intere e frazionarie. Innalzamento al quadrato e rispettiva estrazione di radice. In re-lazione coi calcoli geometrici: i numeri approssimativi, la molti-plicazione e la divisione abbreviate e 1'applicazione di quest’ultima nell’ estrazione della radice quadrata. — Geometria intuitiva. Sem-plici teoremi sull’ equivalenza, sulla trasformazione e sulla partizione delle figure. Misurazione dei perimetri e delle superfici. Teorema di Pitagora da dimostrarsi nelle vie piii semplici. Nozioni piii im-portanti sulla somiglianza delle figure geometriche. Temi come nella 1. — Storia naturale. Fisica I sem. Nozioni preliminari: Esten-siono ed impenetrabilitä dei corpi. Caratteristica dei tre stati di aggregazione, direzione verticale ed orizzontale. Peso assoluto e specifico. Pressione dell’aria. — Del calorico: le sensazioni, i gradi e la quantitä calorifera. Cangiamento di volume e dello stato di aggregazione; consumo e dispersione del calorico nel cambiamento dello stato di aggregazione. Dififusione del calorico a mezzo dei buoni conduttori e deli’ irradiazione; di quest’ ultima solo i fenomeni piii semplici. Sorgenti del calorico. — Della Chimica: la coesione, 1’ adesione, l’elasticitä, la fragilitä, la tenacitä, il miscuglio, la so-luzione e la cristallizzazione. Sintesi, analisi e sostituzione. Dimo-strazione delle leggi di consistenza della massa, coH’aiuto di semplici esperimenti, e cosi pure semplici prove per determinare i rapporti di peso e di volume. Elementi: molecole, atomi, basi, acidi, sali e fra i metalloidi aleuni dei piii diffusi e qualcuna delle loro combi-nazioni. Combustione. CLASSE IV. — Religione. Storia del nuovo testamento in con-nessione colla Geografia della terra santa. - Latino. Gramm, teoria dei modi; congiunzioni. Temi come nella terza. Letture da G. Cesare. — Greco. Verbi in jj.i. Le forme irregolari piii importanti. Punti culminanti della sintassi. Versioni dal libro di lettura. Esercizi di memoria. Preparazione. Temi come nella III. — Italiano. Lettura dal testo con commenti grammaticali e storici. Esercizi di memaria sopra poesie classiche. Dei sinonimi. Delle lettere propriamente dette (I semestre). Deila versificazione italiana (II semestre). Temi come nella III classe. — Tedesco. Grammatica: Verbi irregolari e cornposti; reggenza dei verbi; avverbi, preposizioni, congiunzioni ed interiezioni. Lettura, dal Müller, il resto del II vol. e compiti come sopra. Esercizi di memoria. — Geografia. (2 ore) Geografia lisica e politica della monarchia austro-ungarica, con speciale ri-guardo, escludendo la statistica, ai prodotti del suolo dei singoli paesi, al commercio, alla <5oltura degli abitanti. Esercizi in disegnar semplici schizzi di carte geografiche. — Storia (2 ore). Evo moderno. Personaggi ed avvenimeuti piü importanti in modo ehe la storia della monarchia austro-ungarica formi 1’ oggetto principale dell’esposizione storica. — Matematica. Aritmetica: Dottrina delle equazioni di primo grado con una o piü incognite e delle equazioni detenninate di II e III grado soltanto quelle, che trovano riscontro nei calcoli geometrici. In relazione con quest'ultime, 1’ innalzamento al cubo e 1’estrazione della radice. Regola del tre co m posta, di societä e deli’ interesse composto. — Geometria intuitiva: Posizione reciproca delle rette e dei piani. Angolo solido. Le principali specie dei corpi geometrici. Calcoli semplici sulle superfici e sui volumi. Temi come nella prima. — Fisica. (3 ore) I sem. Dottrina del Ma-gnetismo. Calamite naturali ed artificiali. Poli magnetici e loro attrazione e ripulsioue. Magnetizzazione mediante contatto separato. Magnetismo terrestre. — Elettrologia: Elettricitä. statica e fra gli elettroscopi i piü sempiici. Buoni e cattivi conduttori, corpi elettrici positivi e negativi. Elettrizzazione per contatto separato. Apparati i piü comuni per produrre e raccogliere 1’elettricitä. Temporali e parafulmine. Pila di Volta e delle pile a corrente costante soltanto quelle, che vengono usate negli esperimenti. Effetti principali della corrente galvanica, galvanometro, induzione elettrica e magnetica. Applicazioni elettrotecniche le piii semplici e le piü note (luce elettrica, galvanoplastica, telegrafo di Morse). — Meccanica: De-serizione delle principali specie di moto: rettilineo, curvilineo, uniforme e uniformemente accelerato. Ambo gli effetti della forza meccanica: Accelerazione e pressione e determinazione di quest’ultima col mezzo di pesi. Manifestazione della forza di resistenza nel can-giamento di celeritä e di 'direzione (forza centrifuga). Forza di gravitä, urto ed ostacoli al moto. Composizione e scomposizione del moto uniforme e non uniforme. Moto parabolico. Composizione e scomposizione delle forze con un sol punto d’ applicazione comune e di forze, che agiscono parallelamente. Centro di gravitä, specie di peso specificoj pendolo. Alcuni esempi di macchine semplici e composte. — II semestre. Proprietä caratteristiche dei corpi liuidi. Livello, pressione idrostatica. Equilibrio nei vasi comunicauti di uno o di due liquidi incoerenti. Principio di Archimede e determinazione in via semplicissima del peso specitico pei corpi solidi e fluidi. Ca-pillaritä. Proprietä caratteristiche dei gas (legge di Mariotte). Vuoto di Torricelli, barometro, applicazione degli effetti sulla pressione deli’ aria, pompe di rarefazione e di compressione. Principio, sul quäle si fonda la macchina a vapore. — Acustica. Sensazioni sonore, rumori, tuoni, altezza dei toni, conduttori del suono, vibrazioni sonore, organo della voce, telefono, diffusione e riflessione del suono. Mezzi toni. Organo deli’ udito. — Ottica. Fenomeni luminosi; pro-pagazione della luce in linea retta; ombra e fotometri. Riflessione e rifrazione delln luce. Specchi e lenti (Camera oscura e principio sul quäle si fonda la fotografia). Dispersione dei colori, Arcobaleno. Occhio, microscopio e cannocchiale diottrico in forma semplice. —-Coli’insegnamento della fisica e specialmente con quello della mec-canica va congiunta la descrizione dei fenomeni celesti come a dire: le fasi della luna, il suo corso mensile; orbita annuale del sole; la spiegazione della di versitä dei giorni e del le stagioni in localitä di differente longitudine e latitudine in assoluta dipendenza dal movimento della terra intorno al proprio asse e da quello della sua elittica annuale intorno al sole. Eclissi solari e lunari. CLASSE V. — Religione. La cliiesa e 1 suoi dommi, parte 1. Apologia. La cliiesa cattolica e la sola vera chiesa di G. Cristo. — Latino. (nel 1 sem.) Tito Livio, Ovidio: Tristi, Ex Ponto. Esercizi stilistico-grammaticali 1 ora sett. Preparazione; temi —- cinque sco-lastici per semestre. — Greco. Lettura: I sem. Senofonte (Crest. Schenk) Ciropedia, (brani) Anabasi. Omero, Iliade. Esercizi gram-maticaliNPreparazione. Temi — quattro scolastici per semestre. -— Italiano. Storia della letteratura ital. dai secoli 200, 300, 400. No-zioni delle varie specie di componimenti i verso ed in prosa (secondo 1’Antologia). Notizie generali sui traslati, sulle figure rettoriche e sulla buona locuzione italiana. Esercizi di memoria; temi come nella 111. — Tedesco. Ripetizione delle parti piii importanti della morfo-logia e dipendenti, inversione, uso deli’ infinito e participio, avverbio, preposizione; esercizi di memoria e traduzioni dali’ italiano in tedesco e viceversa. Compiti 1 scol. e 1 dom al mese. — Geografia e Storia. Storia dell’evo antico fino ali’ assoggettamento deli’Italia, Geografia relativa. — Matematica. Aritmetica: Le quattro operazioni con interi e frazioni; numeri negativi e frazioni. Proprietä dei numeri. Equazioni di I" grado con una e piu incognite. Geometria: Plani— metria; temi come nella I. Sforia naturale. Insegnamento siste-matico. I. sem. Mineralogia. II. sem. Botanica. CLASSE VI. —• Religione. La Chiesa e i suoi dommi p. II. I dommi cattolici svolti nel loro nesso e nei loro rapporti. — Latino. Sallustio, de bello lugurthino. Cicerone, Catilinarie. Virgilio. En. Esercizi stilistico-grammaticali. Preparazione. Temi come nella V. — Greco Lettura; nel 1 sem. Omero, Iliade. Erodoto. Senofonte. Grammatica, Esercizi di memoria. Preparazione. Temi come nella V. — Italiano. Storia della letteratura italiana dei secoli 500, 600, No-zioni delle varie specie di componimenti in verso ed in prosa (dal-1’Antologia. Esercizi di memoria. — Temi — ogni tre settimane un componiniento scolastico o domestico alternativamente, —=- Tedesco. Ripetizione e maggiore sviluppo delle teorie sintatiche. Dottrina dei casi Costruzioni. Traduzione ed analisi di brani scelti pros. e poe-tici dal Nöe P. I. Compiti, uno scolastico e uno domestico ciascun mese. Esercizi di memoria. - Geografia e Storia. Continuazione e fine deli’ evo antico. Storia del medio evo con relativa geografia. — Matematica. Potenze, radici e logaritmi Equazioni di secondo grado ad un’ incognita. Geometria. II I sem. Ttereometria; il II sem. Trigonometria piana. Temi come nella I. — Storia naturale. Insegn, sistematico in tutti i dne semestri. Zoologia. CLASSE VII. — Religione. La morale cattolica. — Latino. Cicerone, orazioni due; un dialogo breve o brani scelti di un dialogo maggiore. Virgilio, Eneide. Esercizi stilistico-grammaticali. Prepa-razione. Temi scol. come nella V. — Greco. Demostene. Omero, (Odissea) Temi come nella V. — Italino. Storia della letteratura italiana del 700. Nozione sulle varie specie di componimenti come nella VI Classe. Dello stile. Ulustrazione della I cantica di Dante, di cui i brani migliori d’ apprendersi a memoria. Temi come nella VI Classe. — Tedesco. (Uso della lingua tedesca nell’istruzione). Ripetizione di tutta la sintassi. Lettura dal Nöe, Antolog. p. II. Gram-matica Fritsch. Traduzione ed analisi con osservazioni filologiche, Esercizi di memoria. Compiti come nella VI. — Geografia e Storia. Storia deli’evo moderno con riflesso allo sviluppo politico interno degli stati d’Europa e Geografia relativa. — Matematica. Arit.: equazioni quadrate con due incognite, equazioni diofantiche di I grado. Fra-zioni a cat. (Kettenbrüche). Px-ogressioni, calcoli d’interesse composto e rendita. Teoria delle combinazioni con applicazione. Geometria, Temi trigonometrici, Geometria analitica nel piano, sezioni coniche Temi come nella I. — Scienze naturali. Fisica: meccanica, calorico, chimica. — Propedeutica. Logica. CLASSE VIII. — Religione. Storia della Chiesa cattolica. Ri-petizioni dei punti culminanti della dogmatica e della morale. — Latino. Tacito, Germania, Annali e storie. Orazio: poesie scelte (edizione Grysar). Esercizi stilistico gramm. Preparazione. Temi come nella V. — Greco. Lettura nel I sem. Platone. Apologia di Socrate, due dialoghi minori od uno maggiore. Omero, Odissea; Sofocle. Preparaz. e temi come nella V. — Italiano. Storia della letteratura ital. dell’800. Breve riassunto di tutta la storia letteraria. Ulustrazione degli ultirai canti deli’ inferno di Dante, della II cantica e di alcune parti della III, di cui i brani migliori da apprendersi a memoria, temi come nella VI Classe. Tedesco. (Uso della lingua tedesca nell’ istruzione.) Lettura dal Nöe Ant. p. II. Esercizi di versione da qualche autore classico italiano. Letteratura sulla scorta del testo (cenni sui principali periodi della letteratura tedesca). Gram. Fritsch. Compiti oome nella classe precedente. Esercizi di memoria. — Geografia e Storia. I sem. Storia della Monarchia austro-ungarica II sem. Studio geografico statistico della Monarchia austro-ungarica; riepilogo della storia greca e romana. — Matematica. Esercizi sulla soluzione di problemi matematici. Ripetizione delle partite impor-tanti della materia. Temi come nella I. — Scienze naturali. Fisica; magnetismo, eletricitä, calorico, acustica, ottica (elementi di astro-nomia). — Propedeutica. Psicologia empirica. > ELENCO D E l LIBRI SCOLASTICI ADOPERATI ATT U ALM ENTE IN QUESTO GINNASIO I. Classe. Religione: II Catecbismo grande, Vienna, i. r. deposito di Libri scolastici 1885. Lalino: Schultz-Fornaciari: Grammatica-Eserci/.i, Torino. Er-manno Loescher 1885. Ilaliano: üemattio: üramruatica. Vienna, ut supra 1886. Let-ture italiane p. I, 2 edizione, Vienna, Alfr. Hoelder 1886. Tedesco: Müller: corso pratico p. I. Torino. Ermanno Loescher 1884. Geografia: Klun p. I. ediz. IV, Vienna, C. Gerold e ligli, 1879 Aritmetica: Močnik, ed. VI, p. I, Vienna, idem 1879. Geornetria: Močnik, p. I. ed. V, Vienna idem 1879. Storia naturale: Zoologia: Pokorny-Lessona. Torino Loescher. II. Classe. Religione: Catechismo grande come sopra. Culto di Gaume e Valli. Trento, Seiser editore. 1882. Latino: come sopra. Ilaliano: Grammatica come sopra. Letture p. II, Vienna, Al-fredo Hoelder 1883. Tedesco: come sopra. Geografia: Klun p. II, 3 ediz. Vienna, C. Gerold F. 1879. Storia: Weiter p. I Evo Antico, Vienna, C. G. e F. 1879. Matematica: Aritmetica e Geometria come sopra. Storia naturale: Zoologia come sopra. Botanica (Pokorny-Ca-ruel). Torino 1882. III. Classe. Religione: Schuster: Storia sacra. Vienna 1885. Latino: Schutz-Fornaciari ut supra. Memorabilia Alex Magni (Schmidt e Gehle) Vienna, Hoelder 1882. Greco: Curtius-Müller: Grammatica. Torino, Loescher, 1884, 1886. Casagrande: Esercizi, Torino, Paravia 1886, III ediz. Italiano: Demattio ut supra. Lettnre p. III. Vienna, Hoelder 1883. Tedesco: Müller: Corso pratico p. II, Torino, Loescher 1883. Geografia: Klun p. III. ediz. III. Vienna C. Gerold e F. 1879 Storia: Weiter p. II, Evo medio. Vienna C. Gerold e F. 1879 Aritmetica: Močnik-Zampieri p. II ediz. IV. Vienna, Carlo Gerold e F. 1887. Geometria: Močnik p. II. ediz. IV., Vienna idem 1871 Storia naturale: Mineralogia, Pokorny-Struever, Torino, Loe-scher 1882. Fisica: Vlacovich, Trieste, Caprin edit. 1880. IV. Ciasse. Religione: Schuster: Storia sacra ut supra. Latino: Grammatica. Esercizi ut supra. Cesare, De bello gal-lico, Praga, Tempsky 1883. Greco: come nella terza. Italiano: Demattio, ut supra. Letture p. IV. Vienna, Alfredo Hoelder 1883. Tedesco: come nella terza. Geografia: Klun p. II ediz III Vienna, C. Gerold e F. 1878, Storia: Weiter p. III. Evo moderno, Vienna idem 1879. Matemalica: come nella III ciasse. Fisica: Vlacovich ut supra. V. Ciasse. Religione: de Favento. La chiesa cattolica, la sua dottrina e la sua storia. Capodistria. Priora 1879-80. 2.a ed. Latino: Schulz-Fornaciari. Raccolta di temi per la sintassi. Torino, Loescher 1884 „Livio“ edit. Tempsky „Ovidio“ Carmina selecta, Sedlmayer, Praga, Tempsky 1884. Greco: Curtius: Grammatica, per la sintassi come nella III ed esercizi per la stessa di Schenkl. IV ediz. Torino, Loescher 1882. Schenkl: Crestomazia di Senofonte, Torino, Loescher 1880, ecc. Omero, Iliade I e II ediz. Tempsky, Praga. Italiano-. Antologia di poesie e prose scelte italiane (edita da Chiopris) Trieste 2a edizione, 1891, P. I. Tedesco-. Nöe Antologia p. I, Vienna, Graeser 1880. Fritsch Grammatica tedesca, Torino, Loescher 1879 ediz. III. Storia: Gindely: Storia universale pel Ginnasio sup. I ed. Tempsky, Praga. Matematica: Močnik: Algebra per le classi superiori. Vienna C. G. e F, 1878, — Močnik: Geometria versione Menegazzi, Trieste, Dase, 1871. . Storia naturale-. Mineralogia, Geologia di Hochstetten e Bisching, Vienna, Hoelder 1882, Botanica Bill-Lanza. Vienna, Gerold C. 1857. VI. Ciasse. Religione: de Favento (ut supra). Latino: Schulz-Fornaciari come nella V „Sallustio“ Bellum Iugurthinum, e B. Catilinar. Scheindle Praga, Tempsky 1833. „Vir-gilio, Eneide, ediz. Tempsky. Greco: Cnsagrande: Sintassi greca. Torino Loescher 1882. — Casagrande: Esercizi p. II. (relativi), Torino idem. 1870. „Omero, ed. Schenkl, Crestomazia di Senofonte ut supra. „Erodoto“ (Wilhelm Vienna, C. Gerold, e F. 1870. Ilaliano: Antologia ut sup. P. II. Tedesco: Nöe e Fritsch come nella Y. Storia: Pütz p. II. Evo medio. Vienna C. Gerold e F. 1857. Matematica: Močnik Algebra ut supra. Močnik Tavole loga-ritmiche, Vienna idem 1882. Storia naturale; Antropologia (spiegazioni del Prof. Gerosa). Zoologia; Sehmarda, Vienna, idem 1854. VII. Classe. Beligione: de Favento (ut supra). Latino: Schultz-Fornaciari ut supra. Virgilio Eneide ut supra, Cicerone, Orationes selectae ediz. Tempsky, Greco: Curtius: Grammatica ut supra e Casagrande, Esercizi p. II ut supra. Omero: Odissea ediz. Pauly. Praga Tempsky p. I 1884, p. II 1880. Demostene; Orationes ediz. Tempsky. Ilaliano: Antologia, ut supra P. III. Dante, Divina commedia. ed. Löscher, senza note. Tedesco; Fritsch, Grammatica ut supra. Nöe, Antologia p. II Vienna, Graeser 1780. Storiti; Pütz p. III, Evo moderno, Vienna 1858 C. Gerold e F. Matemalica\ come nella VI. Fisica: Mänch-Mora, Vienna 1877 Hölder. Propedeutica filosoßca: Schiavi, II ediz. Torino, Marietti 1879 VIII. Classe. Religione: de Favento (ut supra). Lalino; Orazio: Carmina selecta, Petschenig, Praga, Tempsky 1885. Tacito: ed Tempsky. Greco: Platone ed. Tempsky. Ilaliano: Antologia, ut supra P. IV. — Dante, ut supra. Tedesco: come nella VII. Storia e Geografia: Hannak, Geografia e storia deli’Austria, Vienna Hölder 1884. Matematica: come nella VI e VII. Fisica: come sopra. Propedeutica filosoßca: come nella VII. Nelle classi I, II, III, IV e VIII si adopera il Trampier: Mit-telschulatls. Wien, Staatsdruckerei 1885. Nelle sclassi II, III, IV, V e VII si adopera il Putzger: Historischer Schul-Atlas. Wien, 1886 (Pichler). TEMI PROPOSTI PER COMPONIiMENTI AGLI SCOLARI DEL GINNASIO SUPERIORE CLASSE V. — L’autunno. — I doveri dei ligli verso i loro genitori. — Una visita al cimitero. — Caronte nella mitologia e nella “Divina Commedia,. — Una gita in vapore da Capodistria a Trieste. — La festa del Natale. — Delle opere minori di Dante Alighieri. — Perche il ferro sia piü utile dell’oro. — Pronta e sollazzevole risposta di Ciiichibio, cuoco di Gianflgliazzi (secondo il Boccaccio). — La fondazione di Roma (sulle tracce di Tito Livio lib. I). — Dei piü utili animali domestici. — L’ inverno del ricco e 1’ inverno del povero. — Di due celebri viaggiatori italiani del secolo XIY. — Niuno puo essere detto felice prima de’ suoi fune-rali (Ovidio) — Descrizione di un incendio. — La festa di San Nazario a Capodistria. CLASSE VI. — La vendemmia. — La pigrizia cammina cosi lenta ehe spesso e raggiunta dalla poverta. — Degli effetti deli’inverno sulla campagna — L’ amicizia (vera e falsa); — Le meraviglie del corpo umano. — Delle piii importanti produzioni letterarie del secolo XVI. — L’ agricoltore ed il marinaio. — Chi conversa coi saggi šara saggio, 1’ amico degli stolti diverrä simile a loro (Salomone, Proverbi). — Storia di un soldo. — La poesia eroicomica nel secolo XVII. II telegrafo. — Parallelo fra il deserto ed il mare. CLASSE VII. — Utilitä del legno. — Delle piü importanti conseguenze che ebbe per 1’Europa la scoperta deli’America. — La piü grande sapienza e quella di contentarsi dei proprio stato. — II mio libro prediletto. — Tutti i milioni di Rothschild non valgono a comperare mezz’ ora (Mantegazza). — La guerra e la pace. — Pensieri ehe suseita in noi la contemplazione delle ruine di un’an-tica cittä. — Nelle avversita si conoscono gli amici. — A che gio-vano le solenni commemorazioni dei Grandi? — Concordia parvae rescreseunt, diseordia vel maximae dilabuntur (Sallustio). — Origine e sviluppo dei melodramma in Italia. — .... civil pace Siccome ai regni, aneo agli studi e vita (Lucano, Farsaglia, trad. Cassi). CLASSE VIII. — Elogio di Cristoforo Colombo. — La spada, la lingua. la penna (riflessioni morali). — Quisque faber fortunae suae. — Terrai beata quella cittä nella quäle vedrai le pietre con-sumate davanti alle botteghe dei fornai e l’erba alta sull’uscio delle bettole (Proverbio Chinese). — II capo d’anno. — La neve. — I cqnquistatori dei popoli ed i conquistatori del vero. — La stampa (sua invenzione e diffusione). — Carattere di Adelcbi desunto daila omonima tragedia dei Manzoni. •— Tre cose si rassomigliano: la vita, un giorno, un viaggio. — Importanza dei Danubio per la Mo-narchia austro-ungarica. Prof. Antonio Zernitz BRANI DI AUTORI GRECI E LATINI STUDIATI NELL’ ANNO SCOLASTICO 1892-93 Classe III. Latino. — Curzio Rufo i cap. I, II, IV, V, VI, VII, VIII, IX. X; da Cornelio Nipole, le vite IIa, IIP, IVa, Va, VIa, e delle favole di C. Fedro la XIa, la XVa, la XXa, la XXVa e la XXVIIIa. Classe IV. Latino. — Caesar comm. de bello Gallico I, II, III; IV. c 1-15; VI. 11-28; Ovidio, brani scelti dalle Me/amorfosi. Let-tura ex abrupto: Caes. bell. gall. VII. 1-40 Classe V. Latino. — T. Livii, ab urbe condita, üb. I XXI. Ovidio. Dalle metamorfosi: 1) Le quattro etä del mondo, 2) il di-luvio, 3) Fetonte, 4) il ratto di Proserpina, 5) Niobe, 6) Orfeo ed Euridice, 7) epiLogo; Dai Fasti: 1) Dediča a Cesare Germanico, 2) festa della Pace, 3) festa di Fauno, 4) le feste Quirinali, 5) i Terminali, 6) Matronali, 7) la festa di Anna Perenna, 8) i ludi Cereali. Dalle ore tristi: 1) Partenza da Roma, 2) antobiografia, 3) alla consorte Dalle lettere dal Ponto: 1) Oreste e Pilade, 2) agli amici. — Greco Senofonte (Crestomazia dello Schenkl); deli’Anabasi A. Ciro il Giovane (apparecchi di guerra; la spedizione contro li re; la bat-taglia di Cunassa); B. Senofonte (Senofonte alla testa deli’esercito; ritirata per il paese dei Carduchi). Dalla Ciropedia; Ciro e Creso; inorte di Ciro — Omero, Iliade, C. VI, XVI. Classe VI. Latino. — Sallustio, de bello Jugurthino liber, de bello Catilinario C. 51 et 52. Cicerone, Or. IV. in Catilinain. Cesare, Comm. de bello civ. 1. III. Virgilio, Delle Georgiche e bucoliche i brani contenuti nella edizione di E. Iloffmann. — Greco. Omero, Iliade II, V, VII: Erodoto VII, Vlil (XXV-XLV ed. Hintner); Senofonte, Memorabili I, V. Classe VII. Latino — Cicerone, II. Catilinaria. De amicitia. Ora-zione in favore di Šesto Roscio Amerino. Virgilio, Eneide I, II, IV. — Greco Demoslene, I, II, 11! Filippiche. Omero, Odissea I, II, III, IV. Classe. Vlil. — Latino. Orazio Odi I. 1. 2. 3. 7. 9. 10. 11. 12. 14. 15. 18. 20. 22. 28. 31. 34. 35. 37. II. 2. 3. 6. 7. 13. 15. 20. III. 1. 2. 3. 6. 30 IV. 2. 7. 8. 9. Carmen saeculare. Epodo IX. Satire I. 1, 6, 9. Epistole I. 2. 10. 10. II. De arte poetica. Tacito. Germania 1-27. annali I, II. —Greco: Omero Odissea. Canti XIII, XVI, XVIII, XXI, XXII; Platone, Apologia, Protagora. AUMENTI NELLA COLLEZIONE DEJ MEZZI D’ INSEGNAMENTO I. Biblioteca dei professori. — liustia, la ginnastica obbliga-toria nelle scuole medie (dono deli’Ecc. Luogotenenza di Trieste); — Programmi dei Ginnasi germanici del 1892 —■ Literarisches Centralblatt für Deutschland 1892—1893 — Carducci, Storia dei giorno di Parini. — Internationale Ausstellung für Musik und Tea-terwesen (dono del 1’ Ecc. Ministero dell’istruzione) Freylag, Schulausgaben classicher Werke (10 copie) dono dei libraio Tempsky —• Schiller, Wallensteins Trilogie 6 copie — Grillparzer’s sämmtliche Werke, 8 Bände — Schillers, Werke. IX. B. der dreissigjährige Krieg, 6 copie. — Nuova Antologia, Rivista di scienze, lettere ed arti, Roma 1892 — Xenophon’ s, Anabasis für den Schulge-brauch von Andr. Weidner. Wien, Tempsky 1890, 5 copie — Sophoclis, Philoctetes, scholarnra in usum edidit Schubert, Vin-dobonae, Pragae 1884; 5 copie — Rivista di filologia classica, (periodico) —■ Roscher, Lexicon der griechischen und römischen Mythologie, (continuazione) — Demostene, testo ediz. Teubuer Lipsia (dono dell’ editore) — Dr. cav. Pavissich, i carmi imperatorii di Gius. Clobarnich — Gröber, Grundriss der romanischen Philologie (continuazione) - - Zeitschrift für österreichische Gymnasien — Philologische Rundschau (periodico) — Plaionis (Opera quae feruntur omnia; ex officina Bernh. Tauchnitz, Lipsiae 1882) N°. 5. Symposion, Phaedrus (G copie ; N°. 1 Eutyphro, Apologia, Crito, Phaedo, (6 copie); N°. 9 Gorgias, Meno (22 copie)— Giov. De Medici, Eneide di Virgilio, traduzione ital. ed. Cobol-Priora Capodistria 1893 — Schmid genealogische Stammtafel des Kaiserhauses Habsburg-Lothringen — Tamaro, le cittä e castella deli’ Istria I vol. (dono del-1’ autore) — Oesterreichische ungarische Revue — Oesterreich in Wort und Bild (continuazione) 2 copie — Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften in Wien, 77 Band 77, 78 Band 2. Hälfte, 1. Hälfte — Marlig, Psicologia intuitiva — Darras, Storia generale della cliiesa tradotta sulla IX edizione francese e conti-nuata dal P. G. Colombo, Torino, Marietti 1892 — Tommasin. — Erinnerungen des K. K. Gymnasiums in Triest bei der 50 Jubelfeier 189^ — K. Akademie der Wissenschaften 1889. Abth. I., 1I4, IJH, 4-10, 410, 4-10; 1890 Abth. I, II,. II6 1-3, 1-3, 1-3 — Gaucher, Handbuch der Obstcultur, Berlin 1889 — Oesterreichische botanische Zeitschrift (dono dell’ Ecc. Luogotenenza) — Blasius, Ornis internationale Zeitschrift für di gesammte Ornythlogie — Schioering, 100 Aufgaben aus der niederen Geometrie, Freiburg, Herder 1891 — K. Akademie der Wissenschaften, mathematisch naturwissenschaftl. Gruppe. B. 99 (4-10) II(; 4-10 — Wallentin, (traduzione Postett) manuale di Aritmetica (dono dei libraio Mo-naini di Trento) — Poggendor/fs Annalen der Physik und Chemie (periodico scientifico) — Akademie der Wissenschften. 1891. I Abth. 1-7; II Abth. 1-7; 11 Abth. 1-7, Abth. I. 8-10; 1892. Abth. I, 1-7. — Sydow Habenicht, oro-hydrographische Wandkarte von Europa — Camerini, Profili letterari. Dotazione della Biblioteca, f.ni 230. II. Biblioteca degli scolari. — Oesterreich in Wort und Bild. — Alfani, Alessandro Manzoni ricordato al popolo ed alla gioventü. — Belgrano, Manuale di storia delle colonie. — Bombici, Le stelle cadenti. — Bonghi, Roma pagana. — Bersezio, 11 cane del cieco (racconto). — Checchi, Cristoforo Colombo. — Cecchi, Commedie ine-dite (con note del Tortoli). — Be Stefani, La superficie della terra. — De Amicis, Maroeco, Spagna, Ilicordi di Parigi, Costantinopoli. — Fenelon, Favole illustrate. — Gibbon, Storia della decadenza e rovina dell’impero romano (compend. da G., Smith). — Clobarnich, I Carmi imperatorii. — Golli, Santa Maria del Fiore e i suoi architetti. — Guidiccioni, Opere (ordinate dal Minutoli). — Lessona, 1 cani. — Licata, In Africa. — Marucci, Crestomazia di prose del Trecento. — Mestica, Bellezze deli’ Iliade, deli’ Odissea e deli’ Eneide. — Poliziano, Prose volgari e poesie latine e greche. — Plularco, Le vite dei Greci piü illustri (con note del Lotti). — Plularco, Le vite dei Romani piii illustri (con note del Lotti). — Restori, Letteratura provenzale. Rigutini, I neologismi buoni e cattivi piii fuequenti nell’uso moderno. — Rigutini, Giannina Milli improvvisatrice. — Reumont, Saggi di storia e letteratura. — Rovani, Giovinezza di Giulio Ce-sare. — Sardagna, 1 libri. — Segni, Istorie fiorentine (per cura del Gargani). — Selvatico, L’arte nella vita degli artisti. — Smith, Storia antica deli’Oriente. — Sloppani, Che cosa e un vulcano? — Sommier, Un viaggio d’in verno in Lapponia. — Vespasiano de Bi-slicci, Vite di uomini illustri del secolo XV. — Yorick (Ferrigni), Su e giu per Firenze. — Zanella, 11 piccolo Calabrese (racconto). — Landau, La letteratura italiana alla corte di Vienna. — Schiavi, II popolo sovrano, tragicomedia (dono deli' autore). Dotazione formata dal contributo degli scolari fiorini 118 III. Gabinetto di Storia naturale. — Acquisti, Uccelli: Bomby-ciHa garrula (becco frosone), 1 Serinus canarius (canarino), 1 Oriolus galbula (rigogolo giallo, femmina), 1 Nucifraga caryocatactes (noc-ciolaja), 2 Hydrochelidon nigra (mignattino, maschio e femmina), 1 Sterna fluviatilis (rondine di mare). Croslacei: 1 Pilumnus hir-tellus, 1 Grapsus angulifrons, 1 Eriphia spinifrons (granziporo), 1 Maja squinado (granzeola). Doni: 1 Mergus albella (pescaiuola) dono del sig. Guido Zetto; 1 Turdus llierula, maschio, dono di Zadro Enoch della V classe; 1 cristallo di spato fluore, regalato da Zernitz Virgilio scolaro della III; ossicini dell’udito di un bambino, regalo del sig. Francesco Cre-vatin, dottorando in medicina. Dotazione fior. 80. IV. Gabinetto di Fisica. — Barometro aneroide con termometro. — Apparate d’induzione secondo Riess. — Pila di Volta. — Com-mutatore. — Reostato. — Apparate per la decomposizione dell’acqua. — Motore secondo Ritchie. — Apparato per la rotazione per forza del magnetismo terrestre. — Tei'mometrografo. — Dotazione del gabinetto fiorini 130). CRONACA DELL’ ISTITUTO Fatli rimarchevoli avvenuti dopo la fme deli’ anno scola-slicu 1891-92. II 18 Agosto 1892, nella solenne ricorrenza del Natalizio di Sua Maestil 1’Augustissimo Nostro Imperatore, venne festeggiato coli’ intervento dei membri del Corpo insegnante presenti in luogo alla solennitä religiosa celebrata nella Cattedrale; dopo la quäle il D'irettore ed i professori, quali interpreti dei sentimenti del Gin-nasio, umiliavano al Capo della Autoritä politica in luogo 1’omaggio di loro devote felicitazioni e fervidi auguri per la prosperitä del-1’amato Sovrano. 11 4 ottobre 1892, il Corpo docente e la scolaresca assistevano alla funzione solenne celebratasi nella Cattedrale pella ricorrenza del giorno onomastico di Sua Maesta 1’Imperatore. 11 19 Novembre 1892, giorno onomastico di Sua Maesta 1’ Impe-ratrice, venne festeggiato dal Corpo insegnante e dalla scolaresca coli’intervento al solenne ufficio divino celebratosi nell’oratorio deli’ istituto, ove il signor Catechista del ginnasio tenne il discorso sacro allusivo alla fausta ricorrenza. L’Ecc. Presidenza deli’i. r. Luogotenenza in Trieste rimette ai Professori Don Nicolö Spadaro, Francesco Matejčic ed Oreste Gerosa i rispettivi decreti di promozione alla classe ottava di rango, coli’ oss. Dispaccio 22 Lug-lio 1892 N. 1195. Coli’oss. Decreto 25 Luglio 1892 N. 1067, veniva rimesso al Signor Professore Giovanni Filzi il suo decreto di nomina a pro-fessore deli’i. r. Ginnasio di Rovereto, e s’invitava la Direzione a soprassedere per in'anto dali’ apriinento di un regolare concorso pel pošto vacante, a cui si doveva supplire con una forza supplente. Coli’oss. D. 11 Agosto 1892 N. 10G3 1’Eccelso i. r. Consiglio scol. provinciale encomiava la Direzione ed il Corpo insegnante per le loro prestazioni zelanti durante 1’anno scol. 1891-92. 12 Ottobre 1892, anniversario della scoperta deli’America. — II grande avvenimento e 1’alta personalitä storica deli’immortale genovese vennero celebrati con una solenn ita x'eligiosa, e con una commemorazione adeguata del Professore di Storia e Geografia Signor Stefano Petris. La domenica del 12 Ottobre il Catechista fece la commemorazione di Cristoforo Colombo considerandolo come uomo di fede ardente ed operosa ehe prepone alla pace le battaglie deli’ e-sistenza, alle tranquille gioie i dibattiti ed i contrasti, purche dal fervore delle battaglie e dei contrasti scaturisca il bene del prossimo : come uomo di scienza, non di quella che nasce e muore nelle pareti d’una camera o di un laboratorio; non il risultato di aride medita-zioni solitarie, ma il sublime lampo di luce ehe gli illumina il cam-mino attraverso i mari ehe gli fa scoprire una Terra veduta nel sogno divinatore della mente. — Dopo la Messa si cantö il Te Deum. II docente di geografia e storia, signor professore Petris, colse 1’occasione dell’anniversario della scoperta deli’America per far spiccare in apposita lezione, tenuta in ogni singola classe, i meriti insigni dei du e grandi liguri Gregorio VII e Colombo, le figure piü imponenti nella storia deli’ etä di mezzo e del Risorgimento. Disse del primo nellä lotta pel trionfo della Chiesa, simbolo di progresso nel buio di que’ tempi di ferro, parlö del secondo come face di civiltä oltre 1’ oceano ai popoli piü disparati delle piii remote con-trade. Sopratutto fe’ risaltare la riconoscenza ehe deve il mondo incivilito ali’ illustre famiglia degli Absburgo, allora signora di Spagna, per essersi adoperata con ogni miglior mezzo nel dare il suo appoggio alla set-perta delle nuove terre ed a portarvi la dot-trina di Cristo, mentre combatteva in Europa 1’ eresia. Dopo molte ricerche fatte dalla Direzione per trovare persona adatta a coprire in via di supplenza il pošto rimasto vacante per la partenza del signor Filzi — essendosi dovuto infrattanto accol-lare un orario gravoso ai docenti per assicurare 1’ ordinamento regolare delle lezioni — venne fatto in fine al Direttore di rinve-nire un supplente nella persona del Signor Giovanni Batt. Larcher da Mezzomonte nel Tirolo meridionale, il quäle entrö in servizio il 1. Ottobre 1892 Con Nota 12 Sett. 1892 N. 17? P. 1’Inclito i. r. Capitanato comunica-va, che Sua Maestä Imp. Reale Apostolica il Nostro Gra-ziosissimo Imperatore degnossi di aggradire il devoto e sentito omaggio del Direttore e del Corpo insegnante nella fausta ricorrenza del Genetliaco di Sua Maestä, il 18 Agosto 1892. Con Disp. 12 Ottobre 1892 N. 1456 si autorizzava la Direzione di affidare le mansioni di secondo esortatore religioso pella gioventü studiosa del Ginnasio inferiore al prof. emerito Mons. Lorenzo cav. Schiavi. Coll’oss. Disp. 7 Nov. 1892 N. 15G0, la Direzione veniva au-torizzata ad affidare 1’ insegnamento del Canto, fino a che non riesca di avere persona munita di speciale qualifica pei ginnasii, al maestro di mušica della cittä, Signor Giulio Giorgieri. Con D. 2 Gennaio 1893 veniva assegnata la quarta aggiuntä quinquennale di soldo al professore Signor Carlo Sbuelz, a datare dal 1 Novembre 1892. L’Ecc. i. r. Luogotenenza, con Disp. 11 Gennaio 1893 N. 21893/III, invitava la Direzione a rimettere alla Biblioteca vaticana di consultazione a Roma i programtni di questo Ginnasio contenenti dissertazioni di argomento filologico e storico. Ad invito del Rev. Ufficio parochiale di qui, il Corpo insegnante intervenne alla solennita del Giubileo episcopale di Sua Santitä il Sommo Pontefice Leone XIII, il 19 Febbraio 1893. 29 Aprile 1893. — II Direttore disponendo di una delle due gior-nate direttorili, lasciö libero di lezioni il 29 Aprile, acciocche la gioventü studiosa potesse recarsi nella vicina Muggia nell’occasione del varo della grandiosa corazzata «Maria Teresa Imperatrice e Regina.» Coli’oss. Presidiale 5 Maggio N. 806 dell’Ecc. i. r. Luogote-nenza di Trieste, si affida al Direttore di questo Ginnasio la presi-denza degli esami di maturitä di quest’anno alla Scuola Reale Sup. civica in Trieste; e si comunica ehe gli esami di maturitä in questo Ginnasio saranno diretti quest’anno dal Direttore del Ginnasio dello stato in Trieste Signor Adolfo Dr. Nitsche. 13 Maggio 1893. L’ Illustrissimo Signore Vittorio Leschanofski, consigliere ed ispettore scolastico provinciale visita il Ginnasio. Ali’educazione del sentimento religioso della gioventü studiosa si provvide, oltrecche colle solite pratiche di religione, anche colla celebrazione degli esercizi pasquali, durante i quali le onielie sacre furono tenute dal M. R. sig. Nicolo Spadaro catechista del Ginnasio. II 23 Giugno si celebro la festa della prima comunione di 39 scolari del Ginnasio. L’Inclita Giunta provinciale dell’Istria fu, come di solito, larga di sussidii ed incoraggiamento a scolari poveri e meritevoli e provvide pure in via straordinaria, elargendo un vistoso importo di denaro ad ineremento del fondo di beneticenza. La stessa spettabile Autoritä usa inoltre la cortesia di regalare tratto tratto alla biblio-teca ginnasiale qualelie pregevole publicazione d’ intei'esse storico istriano. Debito di riconoscenza tiene pure la direzione verso lo spettabile Municipio di questa cittä, che dimostrasi animato di vivo interessamento per la prosperitä deli'Istituto. La reverendissima Curia vescovile di Parenzo-Pola tuHa im-pegnata a regolare sempre meglio ed ampliare la provvida istitu-zione del convitto diocesano, creato an ni or sono con plauso generale deli’ Istria, oltre a favorire gli alti scopi religiosi cui mira, si rende benemerita della prosparitä di questo istituto, fornendo al medesimo un contingente considerevole di buoni e bravi giovani, ehe fanno onore al Ginnasio ed aX convitto ehe li alberga. 11 numero degli accolti in quest’ anno sali a 60. Cosi potesse allargarsi sempre piCi la benefiea istituzione ed appagare le domande di accoglimento, ehe annualmente in numero sempre maggiore le vengono porte da famiglie deli’Istria e di fuori! La scuola ha assoluto bisogno di una cooperazione domestica vigile ed energiea; e quando si pensi, ehe di 250 scolari ehe fre quentano in media questo istituto, forse la sesta parte appena ap-partiene a famiglie qui domiciliate, si comprenderä. di leggeri come avidamente si cerchi da parte di genitori pavidi ed ansiosi della buona riuscita dei figi i, di affidarne la custodia a mani esperte, a persone intelligenti e coscienziose, le quali, senza reprimerne la naturale vivacitä ed espansione d’animo, li sappia e voglia preser-vare dai pericoli e dalle seduzioni ehe ne possono soffocare nel germe le piti belle attitudini. A questo pensiero s’ informano le eure assidue ad il vivo interessamento della Reverendissima Curia vescovile di Parenzo-Pola pel bene della gioVentü istriana. Colla sagacia ehe la distingue, Essa colse teste prontamente un’occasione, che non le si poteva offrire piü opportuna, e fe’ acquisto deli’ ex casa Venier ed adiacenze, situata in prossimitä anzi strettamente attigua al Palazzo del Convitto. Idea felicissima e feconda di molti vantaggi! Si fe’ al momento quello che si dice “un buon affare, investendo un capitale, se non erriamo, di 9000 fior. in uno stabile -situato in posizione centrica, salubre e bellissima, sorgendo esso al principio della pittoresca via Eugenia, dopo il Belvedere, la piii bella della cittä. Si ovviö all’eventualitä futura di un vicinato, ehe avrebbe potuto turbare, forse anche compromettere seriamente la quiete e lo svolgimento regolare degli ordinamenti educativi del-1’ istituto. Si aperse la via naturale al successivo ampliamente della provvida istituzione, della cui benefica influenza si risente giä in oggi tanta parte di gioventü istriana ehe applica alla carriera ec-clesiastica e civile. La sentenza “suae quisque fortunae faber, che vale per sin-gole persone, vale anche per le cittä, le province, gli stati. II Ginnasio di Capodistria, cui fino dal nascere non venne mai meno l’appoggio dell’eccelso i. r. Governo, ha bisogno ehe gli venga con-servato anche il sostegno delle autoritä ecclesiastiche e civili della provincia, per ispiegare un’attivitä costantemente profieua alla gioventü deli’ Istria a cui F istituto serve in particolare. In tale ri- guardo e pel timore ehe le sorti future di questo istituto volgano a male, perche oggidi si vede scarseggiare generalmente in gin-nasii di favella italiana il personale insegnante, in particolare nel ramo fllologico-classico, la Direzione non puö chiudere questa cro-naca, senza volgere preghiera all’Ecc. Rappresentanza provinciale, cotanto benemerita della prosperitä di questo istituto, perche si compiaccia di sistemare per aleuni anni stipendi o sussidi appositi per giovani istriani ehe vogliano dediearsi alla carriera di docenti di filologia nelle scuole medie della provvincia. C’ e un’ altra questione giunta ora allo stadio acuto. II dire ehe il Ginnasio, com’ ö ora collocato, si trova a disagio e poco. La veritä si e ehe non si puö tener scuola nei locali situati nelle due ali del fabbricato ginnasiale. Queste mettono da un lato in una contradella stretta, popolosa e susurrona oltre ad altri inconvenienti, dall'altro ad una serie di angiporti angusti utilizzati dai proprietari a scopi veramente non compatibili coli’ immediata vicinanza di un edificio scolastieo. II palazzo del Ginnasio e ricco di locali ampi, chiari ed ariosi adattatissimi dal piü al meno agli usi di scuola; ma tutti questi si trovano nella parte nobile, dirö cosi nel corpo del fabbricato, cui sta dinanzi un ampio giardino recintato e di dietro il bel cortile dei portici collo storico tiglio nel mezzo, un luogo invidiabile di ricreazione per la gioventü studiosa durante gl’intervalli delle lezioni di scuola. Chi ha ideato il piano del bel fabbricato ha inteso senza dubbio di destinare agli usi di scuola questa parte del palazzo, non mai le due ali; 1’una delle quali, la prospicionte a levante e flagellata d’ inverno dalla borra, quella a ponente dagli ardori d’estate che trasformano le stanze in tante bolgie. La stessa architettura interna delle due ali accenna allo scopo cui devono servire, — come parzialmente servono anche adesso — ad appartamenti cioe di abitazione pel direttore, una volta anche pei professori eh’ erano tutti sacerdoti regolari. Quando venisse fatto al Comune di Capodisiria di risolvere la questione dei locali per le sue scuole che da molti anui lo stringe; quando la scuola popo-lare maschile, che ora ha stanza nel II. piano del corpo principale deli’ edificio del Ginnasio, sgomberasse definitivamente, allora ap-pena il Ginnasio ricupererebbe il pošto ehe gli spetta. Sarebbero disposti opportun amente i locali di scuola; si avrebbe modo di uti-lizzare le stanze disponibili delle accennate due ali ad uso di ga-binetti; si avrebbe 1’ opportunita di sopperire al lamentato difetto di un locale apposito per una scuola di disegno che ora non s’insegna e di un altro per lo studio della mušica o del canto e resterebbe forse ancora dello spazio per un oratorio interno, ehe sopprimerebbe 1’ in -conveniente attuale di dover condurre tutte le domeniche la gioventii nella chiesa di San Biagio diseretamente distante dali’ istituto. G. BABUDER, direttore VII. — ESAMI DI MATURITA Presentarono regolare domanda di aminissione agli esami di maturitä di quest’ anno tutti i 17 študenti della cl. Vlil. A questi si aggiunsero due giik študenti regolari del Ginnasio rimessi nell’ e-same dell’anno passato ad un nuovo esame; inoltre due esterni, uno dei quali ripeteva 1’esame; in tutto 21 candidati. Gli esami in iseritto si tennero i giorni 24, 25, 26, 27, 29 e 30 Maggio p. p. I quesiti proposti erano questi: Lingua latina. I) versione dali’italiano in latino: Scipione Ammirato “Discorsi sopra Tacito, “i Greci i quali furono innanzi ai Romani ecc. — non s’era potuto tenere*. II) versione dal latino in italiano: Tacito, Agricola, capit. 33 dalle parole: “septimus annus est. . .„ e capit. 34. — Ad un candidato venne assegnato un secondo quesito, versione in italiano del lib. IV cap. 83 delle Storie di Tacito. Lingua greca — Omero, Odissea (ed. Tempsky) Canto XXIV v. 195-233. Lingua italiana — L’ uomo in lotta colla natura (sconfitte e vittorie). Lingua tedesca — Versione di un brano desunto da Edmondo de Amicis, Novelle — Gli amici di collegio. Matematica — 1) Che somma dänno 15 rate annue postecipate di flor. 423 1’una alla fine del 15° anno, calcolando il 3% d’interesne composto, e di quanto bisognerebbe aumentare quella rata per avere la stessa somma in 10 anni? 2) Dati i tre lati di un triangolo trovare, a) il volume di un prisma che ha per base quel triangolo e per altezza, la somma delle tre altezze del triangolo, b) il volume di una sfera ehe ha la medesima superficie di quel prisma. a — 23-5cm, & = 246cm, c = 27 9cm. 3) Trovare le coordinate dei vertici del triangolo formato delle rette: y=9 x—15, y=r—3 x-j-18 e dall’asse delle assisse. Costruzione. Gli esami verbali principieranno il 10 Luglio p. v. — L’esito verrä cbmunicato a suo tempo nel foglio ufficiale del dominio. IX. — DATI STATISTICI DELLA SCOLARESCA C L A S 3 E In- I. Numero I 11 III IV V VIJ VII VIII sieme Alla fine dell'anno scol. 1891-92 50 36 33 37' 16 29' 19 18' 2383 Al principio deli anno 1892-93 . 52' 48 40 27 362 152 23' 17' 258’ Entrati nel corso dell'anno . . . 3 1 2 — 1 — — — 7 Insieme, accolti 55' 49 42 27 371 152 23' 17' 2657 Accolti la prima volta, e precisa- mente, qnali promossi .... 49 43 35 27 35 152 23' 17' 244° „ ripetenti .... Usciti durante 1’anno scolastico . 6 6 7 — 2’ — — — 21' 10 3 6 2 1 — — — 23 Numero degli scolari alla fine del- 1'anno scol 1892-93 45 46 36 24 36 15 23 17 242 publici 45 46 36 24 36 15 23 17 242 privati 1 — — 1 1 2 1 1 7 II. Luogo di nascita Da Capodistria 11 12 7 7 5 1 6 2 51 Da altri luoghi dell'Istria . . . 23 28 24 12 26 11 14 14 152 Da altre provincie e precisamente: 12 Trieste e territorio 4 2 1 1 1 2 1 — Gorizia e Gradišča 3 2 3 1 3 1 2 — 15 Dalmazia 3 — 1 1 1 — — 1 7 Carniola — — — — — — — — — Štiri* — 2 — — —_ — — — 2 Ungheria — — — 2 — — — — 2 dali' estero (Italia) 1 — — — — — — — 1 III. Lingua materna Italiana 45 41 34 24 33 13 22 16 228 Tedesca — 1 — — — — — 1 2 Slava — 4 2 — 3 1 1 — 11 Francese . — — — — — 1 — — 1 IV. Confessione religiosa 242 Cattolici 45 46 36 24 36 15 23 17 Altre confessioni —.. — — — — — — — — V. Eta Di 11 anni 8 8 . 12 * 17 16 23 , 13 , 10 10 5 — — — — — 25 „ 14 „ 8 14 13 1 — — — — 36 „ 15 „ 1 5 10 15 — — — — 31 „ 16 „ — 1 7 5 8 2 — — 23 , 17 , 1 — 1 — 15 5 7 — 29 ,18 , — — — 3 6 6 6 3 24 , 19 , — — — — 6 2 5 5 18 * 20 „ — — — — 1 — 5 8 14 .21 n 22 1 1 VI. Domidlio dei genitori 66 In questa cittk 17 15 7 8 10 2 5 2 Altrove 31 29 16 26 13 18 15 176 VII. Classificazione a) Alla fine dell’anno scol. 1892-93 prima classe con eminenza . . . 2 5 4 3 — 3 4 4 25 pri mn classe 35 27 24 17 34 11 18 13 179 Ammessi ad un esame di riparaz. 2 3 2 2 2 — 1 — 12 seconda classe 2 11 4 2 — — — — 19 terza classe 3 — 2 — — 1 — — 6 esame postecipato per malattia . — 1 1 Scolari straordinari 1 — — — — — 2 3 C L A S S E In- I II III IV 11 VI VII VIII sieme b) Dati statistici di supplemento alla classificaz. finale dell'anno scolastico 1891-92: Agli esami di riparaz corrisposero — 1 1 3 — 1 2 — 8 Non corrisposero (o non compar- vero ali’ esame) — Agli esami postecipati .... — corrisposero — non corrisposero — non comparvero - Classific. 1891-92 rettificata: 3 j prima classe con eminenza . . 3 5 3 — 2 4 5 25 prima classe 37 25 25 37' 10 26' 15 131 1883 seconda classe’ 9 4 4 — 3 — — — 20 terza classe 1 2 1 — 1 — — — 5 VIII. Contributi in denaro Al pagamento del didattro") era- no obbligati : nel l.° semestre 21 21 5 16 8 6 7 122 nel 2.° semestre 20 21 21 7 15 9 8 7 108 Erano esentati della meta: nel 1.° semestre — 5 2 1 1 — — — 9 nel 2.° semestre 1 5 2 8 Intieramente esentati: nel 1.° semestre 14 22 16 21 22 9 17 13 134 nel 2.° semestre 27 21 17 18 22 8 10 12 141 11 ricavato del didattro fu nel 1.® semestre — — — — — — — — 1897.50 nel 2.° semestre 1665- Insieme — — — — — — — 3562.5d Tasse d’ iscrizione 96.00 14.70 8.40 6.30 2.10 4. o 2.10 — 134.40 Contributi per la biblioteca gio- vanile 17 22.50 20 12.50 18.50 7 50 1 1.50 8-50 118 Duplicati di attestati importarono finora .... 3 IX. Frequentazione di materie relativamente obbligatorie e non obbligatorie 17 Lingua slava I Corso .... 4 4 6 3 — — — — II Corso .... — — 2 — 12 2 3 1 20 III Corso . . . . — 1 2 1 4 1 1 2 12 Calligrafia I Corso 35 — — — — — — - 35 11 Corso — 27 27 Ginnastica I Corso 6 5 3 — — — — — 14 11 Corso 1 6 8 6 8 — G 4 39 Canto I Corso 7 — 1 3 — - — — 11 II Corso1 — — 2 — 4 — 6 — 12 X. Stipendi 6 40 j Numero degli stipendiati . . . 4 3 3 3 6 7 8 Importo compless. degli stipendi f. 4974.20 *) In queste rubriche sono com- presi tutti gli scolari anche quelli che hanno lasciato il gin- nasio dopo aver pagato il di- dattro; cosi pure gli scolari privati e gli straordinari. 1 x. F0HD0 GINNASIALE DI BENEFICENZA Chiusa di conto al termine deli’anno scolastico 1891-92 (Vedi Programma 1892 pag. 55) Introito f. 734.90; Esito f. 734 90; Pareggio — con un debito di f. 38.10 verso i! libraio B. Lonzar, come apparisce dal conto spese per 1'anno scol. 1892-93. Dal termine deli’ anno scol. ISO 1-92, fino ad oggi (come da giornale di cassa) INTROITO tior. s. ESITO fior. s. 1. Dali* 111. Sig. Antonio Dr. 1. Al libraio B. Lonzar a saldo Corsetti romano giä scolaro del suo credito verso il fon- di questo istituto, nna ban- do, come sopra .... 38 10 canota di 1. 50 äquivalente a 22 80 2. Alla ditta libraria Morpurgo 2. Dalla Rev. Curia vescovile a Spalato per 12 copie della di Parenzo-Pola .... 60 — grammatica Cobenzel per sco- 3. Contributo di scolari della 1 02 lari poveri frequentanti il cor- 21 I Classe jjß libero della lingua slava 60 4. Interessi fino all’ U Novem- 3. Alle i. r. Carceri per lega- bre 1892 deli’ obbligazione ture di libri scol. del fondo 2 98 vincolata N. 21,220 (f. 16.80) 4. Detto per altre legatuve . 9 93 per un anno; e interesse per 5. Per l’acquisto di tre obbli- mezzn anno dell'obbligazione gazioni di stato in carta a f. vincolata N. 108983 fino a! 97.80 l’una, coi relativi Cou- 1 Agosto 1892 (f. 12,60) 29 40 pons dal 1 luglio 1892 al 1 assieme gennaio 1893 e spese relative. 5. Da scolari della classe IV - 50 Con che venne investito il ca- 6. Dallo Spettabile Municipio 100 pitale di f. 294.04 emerso dai 298 30 di Capodistria — civanzi degli anni passati . 7. Interessi dell’obbligazione N. 108983 per l’epoca 1 Agosto 6. Per legature di libri pagati 1 »3 12 60 alle i. r. Carceri .... 1892 fino al 1 Febbr. 1893 7. Per acquisto di seconda mano 8. Detti dell’obbligazione acqui-stata quest’ anno colla con- di 4 vol. «Favento» la chiesa 1 cattolica, la sua dottrina ecc. versione dell’importo di fio- 8. Sussidi in denaro assegnati rini 294,04 in cartelle di agli scolari della I CI. F. V., 22 stato, vincolate nell’ obbli- L. C., U. D 50 gazione N. 71855 .... 9. Dali’ Inclita Giunta provin- 6 30 9. A rettifica di un conto per 09 150 legature — ciale deli' Istria .... — 10. Al libraio Lonzar a saldo 10. Da scolari 1 10 del conto per libri forniti 63 quest’ anno 249 11. Al libraio Schimpf per 2 copie, Platone, Protagora ; 1 Sofocle, Elettra — 12. Allo scol. della I CI. U. V. 1 — 13. Un sussidio allo scolaro S. R. della III Classe . . . 5 — 14. Allo scolaro M. S. della I cl. 1 — 15. Sussidiati con f. 2.10 per ciascuno, 10 scolari di varie classi al principio deli’ anno 21 scolastico ........ — 16. Allo scolaro A. V. della VII sussidio 3 — Assieme f. | 00 CO 32~ Assieme f. | 677 16 NB. II deficit ö soltanto apparente perch6 furono investiti i civanzi dtgli auni anteriori, nell'ammon-tare di f. 294,04, nell’acquisto di tre obbligaxioni di stato yincolate nella cartella N. 718.55 del valore nominale di f. 300. Con ciö il fondo ö in possesso di valori publici nell’amraontare di f. 1800 nominali. Capodistrta 1 Luglio 1893. Dirett. G. Rabiider — Prof. C. Sbuelz. C%: W oj § l 5-;' H'-H.' >' ELENCO D’ONORE degli študenti CHE ALLA FINE DELL'ANNO SCOLASTICO 1892 -1893 riportarono la claase complessiva mmm mm mmmmm CLASSE I. de Fachinetti Michele Tüjach Mario CLASSE II. Babudri Francesco Crivellari Giuseppe de Favfnto Pietro Ghersina Guido Hlača Raniero CLASSE II1. Cortese Michele Crevatin Ovidio Galante Giovanni Petronio Antonio CLASSE IV. Bartoli Giacomo Chitter Costantino Palaziol Antonio t CLASSE V. CLASSE VI. Cattaro Rodolfo Giürco Pjetro Salata Francesco CLASSE VII. Babuder Pio Bartoli Giovanni Bergič Giovanni Depiera Mauro CLASSE VIII. Fulin Angelo Lins Onorato Pecchiari Pietro POPAZZI ALBINO * ¥ \i * w l¥ i* * ¥ ft ¥ | f. ¥ t ¥ ■k ¥ ¥ t ¥ * ¥ •k ¥ ¥ * ¥ * ¥ l¥ !¥ j¥ * ¥ ¥ ■J' ¥ ± ¥ •fc ¥ ¥ * ¥ ± AVVISO L’apertura deli’anno scolastico 1893-94 avrä luogo il 16 Settern bre a c. L’ iscrizione principierä il giorno 14 Sottembre dalle ore 8 alle 12 m. GH študenti dovranno comparire all’istit'uto accompagnati dai genitori o dai rappresentanti dei medesimi, i quali — a seanso di misure spiacevoli che potrebbero venir prese dalla Direzione nel corso dell’anno scolastico — sono tenuti di dar avviso alla scrivente presso quäle i'amiglia intendano di collocare a dozzina i rispettivi figli o raccoraandati, Cosi pure vorranno comparire rauniti della fede di po-vertä estesa in piena forma legale — sopra le stampiglie prescritte che si possono avere dalla tipografia Cobol-Priora di qui — quegli študenti che vorranno aspirare all’ esenzione della tassa scolastica od a sussidi dal fondo di beneficenza. Pegli esami di ammissione alla I. Classe sono lissate due epoche, il 15, 16, (eventualmente 17) Luglio ed il 16, 17, 18 Settembre a. c. Gli scolari devono venire muniti della fede legale di nascita, dell’attestato dimissorio della scuola popolare e di un attestato medico comprovante lo stato di salute del fanciullo. Per altri esami sono destinati i giorni 16, ]7, 18 Settembre. L' ufficio divino d’ inaugurazione si celebrerä i! 18 Settembre e 1’ istru-zione rego’are principierä il 19 Settembre. DALLA DIREZIONE DELL’ 1. R. GINNASIO SUPERIORE Capodislria 10 Luglio 1893 II Direttore G. BAHUDER