original scientific article UDK 27-726-46:94(497.4Koper)"1660/1680" received: 2007-11-12 LE VISITE PASTORALI DEL VESCOVO FRANCESCO ZENO NELLA DIOCESI DI CAPODISTRIA (1660-1680) Roberta VINCOLETTO Unione Italiana, SI-6000, via Zupancic 39 e-mail: robertav@email.si SINTESI In questo contributo verra posta particolare attenzione aU'opera pastorale di Francesco Zeno, candiotto di nascita ma di origine veneziana, il quale è stato vescovo della diocesi di Capodistria dal 1660 al 1680. Oggetto della ricerca saranno la lettura e l'analisi delle cinque visite pastorali che egli condusse, al tempo del suo vescovado, nella diocesi capodistriana e lo studio ed il confronto con la sua relazione ad limina. Attraverso questo lavoro sara possibile venire a conoscenza dei diversi aspetti della storia della chiesa locale e, piu in generale, dell'intera comunita. Dalle fonti utilizzate emerge il quadro di una diocesi molto tranquilla, senza particolari problemi, dove l'opera del vescovo, con le sue ripetute e puntuali visite, si mostra attenta ai problemi, pazientemente intesa a migliorare l'efficacia dell'azione pastorale. Parole chiave: Seicento, diócesi di Capodistria, Francesco Zeno, visite pastorali PASTORAL VISITS OF THE BISHOP FRANCESCO ZENO IN THE DIOCESE OF KOPER (1660-1 680) ABSTRACT This paper emphasises the pastoral work of Francesco Zeno, born in Candia (Crete), but originally from Venice, who was Bishop of the Diocese of Koper from 1660 to 1680. The paper includes the reading and analysis of the five pastoral visits made by Zeno to the Diocese of Koper during his episcopate, a study as well as a comparison with his ad limina report, from which it will be possible to learn about different aspects of the history of the local church and, more generally, of the entire community. The sources used prove that this was a very peaceful diocese, without any particular problems. The Bishop repeatedly and punctually visited it; he paid attention to the problems, and patiently tried to improve the effectiveness of pastoral action. Key words: seventeenth century, Diocese of Koper, Francesco Zeno, pastoral visits INTRODUZIONE Sono molti gli aspetti della storia di Capodistria, e più in generale dell'Istria, che anche al giorno d'oggi devono essere approfonditi, svelati e studiati. E in questa direzione che si muove questo mio lavoro. Ho voluto qui presentare l'opera pastorale di Francesco Zeno, candiotto di nascita ma di origine ve-neziana, vedendo in particolare le cinque visite pastorali che dal 1660 al 1680 condusse nella diocesi capo-distriana in qualita di suo vescovo. Ho lavorato quindi sui verbali di visita e sulla relazione ad limina, conservati nella Biblioteca del seminario vescovile di Trieste nell'archivio della diocesi di Capodistria. L'attenzione maggiore e ovviamente dedicata all'analisi e alla presentazione della situazione, alla realta diocesana ed alle condizioni in cui versavano il territorio e le comunita nel periodo preso in esame. Infine ho analizzato e illustrato gli interventi ed i prov-vedimenti che il vescovo, sulla scorta delle numerose informazioni ricavate dalle sue visite, intraprese nell'in-tento di correggere errori, inefficienze e inadempienze riscontrate. In definitiva si trattava effettivamente di "conoscere per governare" (Nubola, 1993). LE VISITE PASTORALI Le visite pastorali sono ispezioni periodiche, volute e regolate dal diritto canonico, per mezzo delle quali il vescovo prende conoscenza diretta e personale delle condizioni del territorio a lui affidato, per rilevarne i bisogni e provvedervi con carita e zelo. La visita pastorale e stato uno strumento privilegiato per la conoscenza della diocesi gia in epoca medievale; con il Concilio di Trento pero, la visita venne rivalutata (Ba-ratti, 1989, 17-18). Si decreto infatti nella XXIV Sessione del Concilio di Trento (1563), che il vescovo non doveva tralasciare di visitare personalmente la propria diocesi; nel caso in cui ne fosse impedito, tale compito doveva venir assolto dal vicario generale o da un visitatore. Oltre a cio, se il vescovo non riusciva a visitarla completamente ogni anno in tutta la sua esten-sione, ne doveva visitare almeno la maggior parte in modo che nel giro di due anni la visita potesse venire ultimata (Albergo et al., 1991, 761-762). Grazie alle pressioni della curia romana, in epoca postridentina le visite si fecero sempre più frequenti e attente, venendo cosï a costituire una fonte non episodica, qualita-tivamente e quantitativamente importante per lo studio dei territori interessati. La visita pastorale dopo il Concilio di Trento sot-tolineo fortemente la sua natura spettacolare attraverso un'attenta coreografía in cui niente venne lasciato al caso, infatti veniva inaugurata con un cerimoniale solenne, ricco di rituali irti di simbologie educative ed esemplari, che mirava a rinsaldare il prestigio del visitatore e, nel contempo, a coinvolgere piu diretta-mente la popolazione interessata dall'ispezione (Rizzo, 1999, 312). Il visitatore doveva compiere una visitatio rerum ed una visitatio hominum: Con la visitatio rerum il visitatore verifica lo stato degli edifici, il loro arredo, il loro decoro. Quindi, passa in rassegna le rendite della chiesa e la loro ammi-nistrazione. L'accertamento mira a garantire che quanto attiene di diritto alla chiesa ed al culto sia conservato e tutelato con cura. Con la visitatio hominum il visitatore esamina i chie-rici (e chiunque abbia rapporti col personale eccle-siastico), ne verifica la condizione canonica, l'osser-vanza degli obblighi, giungendo ad investigare attenta-mente nelle pieghe della vita morale ed abitudinaria del clero. Talvolta ne verifica il livello culturale. Infine il visitatore esamina anche la condotta dei laici. Fidandosi molto spesso delle informazioni del clero, si interessa dell'osservanza dei comandamenti della chiesa, della morale, della religiosita popolare e delle associazioni laicali. Alla fine della visita vengono emessi i decreti particolari per ogni parrocchia e i decreti generali per la diocesi, tesi a correggere errori, inadempienze e confusioni (Baratti, 1989, 20-21). I visitatori si servivano di un questionario, il cui prototipo e stato formulato gia dal Concilio di Trento e che tra il Seicento e il Settecento venne perfezionandosi, raffinandosi e precisandosi con sempre nuove tematiche di visita. Le visite pastorali quindi risultano essere importanti e preziose fonti storiche ma anche, discusse soprattutto per il carattere parziale e altamente mediato del documento. Le notizie e le informazioni offerteci dal documento non vanno accettate acriticamente e occorre essere consapevoli dei limiti di questo tipo di fonte. Oltre a una certa schematicita nella stesura dei verbali, un limite importante e costituito dal carattere unilaterale del documento, in quanto espressione del punto di vista dell'autorita ecclesiastica e quindi non dei fedeli (Schwarz, 1993, 349-350). Si deve a volte tenere conto dei silenzi e delle inesattezze dei rapporti stesi dai visitatori. I documenti delle visite pastorali, ancor prima di illuminarci sulla situazione religiosa della parrocchia, ci parlano degli orientamenti pastorali del vescovo, in quanto e lui a dare alla visita una particolare im-postazione (Baratti, 1989, 22-23). Attraverso la lettura di tali documenti si possono cogliere la sua sensibilita, il suo ideale pastorale, la sua formazione intellettuale e il suo rigore morale (Turchini, 1990, 106). FRANCESCO ZENO E LA DIOCESI DI CAPODISTRIA Tra i vescovi capodistriani del XVII sec. indubbia-mente Francesco Zeno fu quello che giunse da piu lontano, dall'isola di Candia, possedimento veneziano fin dal 1204, e che fu costretto abbandonare con il sopraggiungere dei turchi (guerra di Candia). Zeno fu chiamato a reggere la diocesi di Capodistria dopo la morte, avvenuta nel 1659, del vescovo Baldassare Bonifacio proveniente da Rovigo. Francesco Zeno era stato canonico e poi vicario generale della chiesa cretese (Naldini, 1967, 107-108). Aveva fin da giovane manifestato l'interesse per gli studi eruditi e per le lettere che lo accompagno per tutta la sua vita (Negri, 1816, 24-25). Probabilmente pero il suo impegno maggiore in questo settore, fu costituito dal completare l'opera De' Commentari storico - geografici della Provincia dell'lstria, gia iniziata dal vescovo di Cittanova, Filippo Tommasini (Zeno, 1785; Ughelli, 1973, 394). Fu tra l'altro uno zio premuroso nei con-fronti dei suoi tre nipoti (tra i quali va ricordato Apostolo Zeno, poeta cesareo alla corte di Vienna), rimasti orfani di padre in giovane eta, suo fratello, dei quali ebbe cura, penso e provvide a loro anche in punto di morte. Non meno attaccamento dimostro nei confronti della sua diocesi, Capodistria, la quale resse per venti anni, fu consacrato dal papa Alessandro VII il 16 febbraio 1660 (Eubel, 1940-1968) e si spense a Venezia il 14 agosto del 1680 (Naldini, 1967). Il vescovo si trovo ad operare in una diocesi, quella capodistriana di modeste dimensioni, che nel XVII sec. contava quindici parrocchie, un capitolo cattedrale con sede a Capodistria e due capitoli collegiati rispettiva-mente ad Isola e a Pirano ognuno dei quali formato da un numero definito di canonici e dignita. Fin dalla sua fondazione la diocesi era formata dai territori compresi tra i fiumi Risano e Dragogna, con qualche localita oltre all'uno e all'altro (Bonifacio, 1896, 8). Nel corso del Seicento si verifico nella diocesi capodistriana, come del resto in tutta l'Istria e nella penisola italiana, la suddivisione delle diocesi in minori circoscrizioni, vale a dire in vicariati foranei (Davia, 1996-97). La diocesi di Capodistria, oltre alla sede vescovile, risulto quindi divisa in quattro vicariati foranei: Pirano e la cappellania di Salvore; Isola; Covedo con le parrocchie di Socerga, Trusche, Maresego, Villa De Cani, S. Antonio, Anti-gnano e Risano; Carcauze con le parrocchie di Monte, Corte d'Isola, Costabona, Paugnano, Castelvenere (Pesante, 1893, 130-131). Nel corso del '600 la diocesi conobbe una difficile situazione finanziaria, dovuta anche al riapparire e all'estendersi della peste (1630-31), quindi le entrate di cui disponevano i vescovi ed il rimanente clero erano basse al punto da rendere difficile il regolare svolgi-mento dei loro compiti e a volte perfino molto al di sotto del minimo indispensabile per una vita decente (Davia, 1996-1997, 33). La diocesi agli inizi degli anni Sessanta del '600 contava una popolazione di 13.000 abitanti (Zeno, 1870, 7). II vescovo Zeno pur ritrovandosi sprovvisto dei suo beni e del suo patrimonio, e mandato in una diocesi, quella capodistriana, che a sua volta era economicamente debole, riusci nel corso degli anni di ves-covado a sensibilizzare alcune delle famiglie piu in vista della citta, come ad esempio la famiglia Zarotti, la qual contribuí dei fondi che il vescovo con un suo decreto eresse a prebenda canonicale (1663) (Petronio, 1880, 9). LE VISITE PASTORALI SVOLTE DAL VESCOVO FRANCESCO ZENO NELLA DIOCESI DI CAPODISTRIA Il vescovo Zeno compi durante il suo vescovado cinque visite pastorali nella sua diocesi, nei seguenti archi di tempo: la prima da settembre del 1660 ad aprile del 1662, la seconda da gennaio ad agosto del 1664, la terza da marzo del 1668 a giugno del 1670, la quarta da aprile del 1672 a giugno del 1674 e la quinta da luglio del 1677 ad agosto del 1678. Le prime quattro furono compiute nella loro totalita, ovvero visito l'intero territorio compreso nella diocesi, nella quinta ed ultima in-vece si limito a visitare le chiese delle citta di Capodistria, Isola, Pirano e la parrocchia di Salvore; probabilmente cio fu dovuto al fatto che negli ultimi anni della sua vita fu cagionevole di salute (Negri, 1816, 28). Dai verbali emerge chiaramente che il vescovo Zeno fu personalmente presente in queste sue visite accom-pagnato sempre dalla sua corte. I viaggi venivano svolti a cavallo o in barca ove possibile, a volte pero impediti e quindi rimandati a causa del mal tempo ma anche, come risulta tra l'altro dalla relazione ad limina, causa la poverta delle comunita (Zeno, 1870, 1). Non man-carono nei verbali descrizioni alquanto dettagliate di tutto l'apparato processionale legato alla visita, cio sta a testimoniare che ormai lo stile controriformista, almeno in questo, si era ormai radicato. I verbali delle cinque visite sono ricchi di pagine in cui vengono riportati interrogatori fatti sia agli eccle-siastici sia ai laici. Le domande poste dallo Zeno nella prima visita al clero delle tre citta di Capodistria, di Isola e di Pirano che a quelli dimoranti nelle quindici par-rocchie, hanno un carattere propriamente conoscitivo -informativo, avvenendo a distanza di circa sei mesi dalla nomina a vescovo in un territorio a lui del tutto nuovo. Fu sua abitudine, in tutti e tre i capitoli, quello cattedrale e nei due collegiati, riunire i rispettivi canonici infor-mandosi sugli aspetti fondamentali e basilari riguardanti il loro operato e la loro esistenza mediante un que-stionario non sempre riportato. Nelle quindici parroc-chie oltre ad interrogare i parroci e i cappellani, senti diversi fedeli delle confraternite, attraverso i quali sondava l'attivita e la morale del parroco e verificava la presenza o meno di fedeli sospetti di aver commesso atti contrari alla morale religiosa. Fig. 1: Proclama délia V visita pastorale del 1677 (BSTs, 2) (foto: R. Vincoletto). SI. 1: Razglas petega pastoralnega obiska iz leta 1677 (BSTs, 2) (foto: R. Vincoletto). Nel visitare le parrocchie il vescovo e i suoi col-laboratori naturalmente non esaminarono solamente le chiese ma anche i sacerdoti incaricati della cura della popolazione rurale, in primo luogo i parroci e in due casi anche i cappellani. Nel corso delle sue cinque visite egli compï cinquantanove interrogatori: tra gli interrogati cinquantasette erano parroci e due erano i cappellani. Alcuni di questi ecclesiastici vennero esaminati più d'una volta, questo perché il vescovo li ritrovo nelle visite successive sempre nella stessa parrocchia o in altre parrocchie e, anche se erano stati gia in passato sentiti, cio non fu un valido motivo per non interrogarli, anche perché le visite si svolsero a distanza di alcuni anni, quindi certe cose potevano essere cambiate nella vita del sacerdote, oppure potevano essere cambiati i parametri e i criteri di visita adottati dal vescovo. In tutte le cinque visite il vescovo si mostro molto interessato ad indagare su diversi aspetti relativi all'operato e "de vita et moribus" dei preti cercando di conoscere a fondo il clero che operava nelle sue parrocchie. Dall'interroga-torio a questi preti dislocati nelle parrocchie della diocesi di Capodistria, ricaviamo alcune notizie riguardanti la loro identita, il loro stato clericale e a volte anche sulla loro provenienza. Causa i pochi dati a disposi-zione, si possono solo sommariamente definire le zone o meglio le aree di provenienza del corpo ecclesiastico parrocchiale. Per lo piu da quel che emerge possiamo dire che provenissero soprattutto da luoghi posti fuori dalla diocesi. Si tratta infatti di sacerdoti provenienti per lo piu dall'Istria (Portole, Visinada, Montona, Pinguente, etc.), ma abbiamo anche casi piu rari di provenienza dal Quarnero (isola di Veglia), dalla Dalmazia (Zara) e dal Friuli. Operavano nel territorio anche sacerdoti di provenienza diocesana (Capodistria e zone limitrofe), dai dati in possesso pero si trattava di un numero limitato. La situazione economica delle parrocchie non era certamente delle piu invitanti, la rendita infatti di queste chiese era per lo piu costituita da prodotti naturali, un numero precisato di "orne" di vino e di olio e di "staie" di frumento e di biada, una parte ricavata da campi propri e l'altra contribuita dalle confraternite o/e dai parrocchiani. A cio si potevano aggiungere dei contri-buti in denaro versati dalle confraternite in cambio di un numero precisato di messe che il sacerdote doveva celebrare, inoltre c'erano le offerte date in occasioni di battesimi, matrimoni e sepolture. Soprattutto nella prima visita il vescovo si informo dai parroci sul reale assetto economico esistente nelle loro parrocchie e nelle visite successive si fece aggiornare la situazione. Il vescovo nella prima visita, e nelle successive solo per i parroci nuovi, eseguí in primo luogo il controllo relativo al loro stato clericale e sull'avvenuta ordinazione controllando le cosiddette "lettere formate e dimissorie". Dei trentuno parroci nuovi visitati nel corso delle cinque ispezioni, diciassette al momento della visita si fecero trovare in possesso delle loro patenti delle ordinazioni (in un solo caso il parroco, precisamente della parrocchia di Carcase, risulto mancare qualche patente nella seconda visita, al che rischiando la sospensione, nella terza visita le presento tutte), undici risultarono averle o smarrite, o dimenticate, o conservarle altrove, o averne solo alcune; a tre invece non venne posta tale domanda. Va notata la stranezza del fatto, anche perché, ormai in pieno Sei-cento, il possesso, la visione e la verifica di tale docu-mentazione era cosa consolidata e ordinaria. Questo controllo tipicamente burocratico ebbe una grande importanza, in quanto in tal modo si stabiliva tra l'altro la centralita del controllo vescovile su tutto il clero secolare in cura d'anime. Ai parroci che il vescovo Zeno incontro nelle sue visite non chiese mai di presentare il loro curriculum studiorum. Quindi non abbiamo nessuna informazione su dove e su cosa avessero studiato e se avessero con-seguito alcun titolo. L'unica domanda di carattere culturale che rivolse ai suoi parroci riguardava l'esame dei libri da loro posseduti e questo per evitare che circo-lassero opere proibite e se, tra quelle ammesse possedute, alcune fossero da aggiornare. Nel corso delle visite non venne fatta neppure alcuna prova della conoscenza della lingua latina. Dai dati in possesso si puo a grandi linee dedurre che l'aggiornamento culturale e religioso non fosse tra le necessita maggiormente sentite dai parroci in un quadro generale di semplice poverta. Il vescovo verifico anche le conoscenze possedute dai singoli parroci e cappellani in merito all'ammini-strazione dei sacramenti, a questioni pratiche, piuttosto che dottrinali vere e proprie. Lo scopo era quello di verificare se questi preti fossero in grado di offrire ai parrocchiani almeno una cura d'anima basilare. Grande importanza assumeva in questa indagine il sacramento della confessione, e in tutti gli interrogatori fatti ai parroci nelle sue visite si batté su questo. Sembrava assumere un'importanza quasi superiore a quello della comunione ed era fondamentale per il vescovo che i laici si confessassero almeno per la festivita di Pasqua. Cio avveniva probabilmente perché, mediante la confessione, il sacerdote stringeva un rapporto piu stretto con i fedeli, cosí poteva piu facilmente verificare, contrallare possibili errori e devianze, quindi intervenire su chi si allontanava dalla retta via. Il vescovo comunque non verifico mai il "modus confitendi" utilizzato dai parroci. In un solo caso ammonï un parroco, Zuanne Busich, della parrocchia di Monte, nella quarta visita, al quale consiglio di ascoltare le confessioni dei suoi parrocchiani con paterna carita e non piu impaurirli col dire loro di essere dannati e che il diavolo gli avrebbe portati via, perché in tal modo non faceva altro che spaventarli e rischiava che finissero col tralasciare di confessarsi (BSTs, 3). Dai verbali emerge che l'amministrazione dei sacramenti agli infermi, tra cui soprattutto la comunione, era sentito, prima di tutto dal popolo, e anche dai parroci, come un dovere fondamentale, che cercarono di svol-gere con grande zelo. Il vescovo Zeno verifico in tutte le visite se i parroci compissero i loro doveri di assistenza agli infermi e ai moribondi e se qualcuno fosse stato lasciato morire senza il dovuto conforto sacramentale. Verificato infine anche il modo utilizzato dai parroci nel portare la comunione agli infermi; nulla doveva essere lasciato al caso, bisognava seguire il cerimoniale solenne nei minimi dettagli per dare grande rilievo e impatto. I parroci, i cappellani e i curati che operavano in queste parrocchie, svolgevano spesso e volentieri solo i compiti basilari, celebravano le messe e amministravano i sa-cramenti agli infermi. La predicazione non veniva svolta regolarmente cosí come l'insegnamento della dottrina cristiana ai bambini. Alcuni parroci, da quanto risulta dai verbali, impartivano regolarmente il catechismo, altri invece solo durante il periodo della Quaresima e altri ancora non lo svolgevano affatto adottando diverse scu-se per questa loro inadempienza. Fu impegno costante del vescovo ribadire a questi parroci l'importanza e il ruolo primario della predicazione e della dottrina cristiana nella creazione di un buon cristiano. Spesso i suoi sforzi non convogliarono in grandi successi. Egli nella relazione ad limina definí alcuni di questi suoi parroci come rozzi e poco abili nella cura delle anime e che facilmente intercorrevano nel peccato (Zeno, 1870, 7). Molti di loro infatti avevano il vizio del bere, suscitando maggior o minor scandalo tra la po-polazione che avevano in cura. In alcuni piu di altri pero, tale vizio, li aveva portati a commettere gravi errori nello svolgimento dei loro doveri religiosi. Su trentuno chierici, tra parroci e cappellani, operanti nelle quindici parrocchie, durante le quattro visite, nove vennero accusati o sospettati di concubinato, di cui quattro risultavano recidivi; inoltre, di questi nove, furono quattro quelli il cui stato di concubinato fu confermato. In piu per alcuni di questi si sospettava anche la paternita di uno o piu figli. Nei loro confronti il vescovo reagí ammonendoli e ricordandoli i loro primari doveri, cercando di riportarli sulla retta via. Fu un atteggiamento il suo al quanto mite, la cui spiegazione in parte possiamo ricercare nella relazione ad limina. Egli constato la grande diffusione della lingua illirica tra le popolazioni delle sue parrocchie, e rilevo anche la mancanza di parroci conoscitori di tale lingua (Zeno, 1870, 7). Quindi egli, probabilmente spinto dall'idea di dover garantire a tali popolazioni, almeno un minimo di amministrazione e cura religiosa, fu costretto a tollerare simili parroci, come egli stesso riporto, e imporre a loro delle pene molto miti. Va ricordato che a quel tempo non esisteva nella diocesi di Capodistria un seminario atto a istruire i religiosi; problematica questa che fu sentita anche da altri vescovi passati e dallo stesso Zeno, e che fu impossibile attuare probabilmente proprio a causa della poverta e mancanza di mezzi finanziari nella diocesi. Bisognero attendere il 1710, quando il ve-scovo Paolo Naldini inauguro il tanto atteso seminario "Italo- sclavorum" (Davia, 1996-97, 99). Un altro problema a cui il vescovo cerco di porre riparo fu quello della non residenza, tematica questa a lungo discussa al Concilio di Trento e che si era cercato di risolvere con tutta una serie di riforme. Va detto comunque che nei vent'anni in cui fu vescovo Zeno e durante le visite che compí non si scontro molto spesso con abusi in questa materia. Ormai la maggior parte dei parroci interrogati risiedeva nelle case parrocchiali e si allontanava nei tempi limite concessi, quando cio av-veniva, solitamente si faceva sostituire in modo tale che la popolazione non soffrisse dal punto di vista religioso. Al contrario il parroco di Risano non risiedeva in par-rocchia solo perché privo di casa parrocchiale, quindi viveva sempre in citta. Troviamo anche il caso di Sal-vore, il cui parroco per questioni economiche preferiva abitare a Pirano e quindi, con l'arrivo della brutta stagione, spesso non si recava a celebrare le messe, con grande sofferenza della popolazione. Il vescovo comunque in questi due ultimi casi si limito ad intervenire con degli ammonimenti. Molte le persone laiche che il vescovo Zeno incontro nell'arco delle sue visite soprattutto durante l'ispezione delle sue parrocchie, cosí che grazie alle loro testimo-nianze possiamo conoscere meglio le comunita. Si tratta di una popolazione mista, spesso infatti sono testimoniate nell'entroterra persone che parlavano la lingua slava, a volte definita come illirica, oltre che l'italiano, e persone che conoscevano solamente la lingua slava, ed il vescovo in tal caso si serví di interpreti. Le tre citta costiere, nonché centri maggiori, Capodistria, Isola e Pirano si presentarono invece come compattamente italiane, i cognomi infatti, non solamente dei laici ma anche di tutti i sacerdoti, testimoniano questa forte e radicata matrice. Gia il vescovo Baldassare Bonifacio, predecessore del vescovo Zeno, venne a conoscenza, attraverso le visite pastorali, della presenza ed il peso degli slavi, cosí che, mentre agli inizi egli aveva obiet-tato contro l'uso della lingua slava nella liturgia, in se-guito a suppliche e richieste da parte della popolazione, la accetto.1 Dai verbali esaminati non emerge nessun atteggiamento di sorpresa o intolleranza verso questa popolazione e le loro esigenze linguistiche nel culto da parte dello Zeno. Le visite ci rimandano il quadro di una realta povera ma nonostante cio religiosamente vivace sia nei villaggi sia nelle citta. A fronte di un numero esiguo di abitanti per villaggio le forme associative dei laici, ossia le confraternite, erano molto diffuse e si prendevano cura di altari, o anche di intere chiese. Va detto inoltre che, anche se in pochi casi riscontrati, alcuni altari e chiese 1 In relazione a ció va ricordato che al concilio provinciale convocato dal patriarca Barbaro e svoltosi a Udine nel 1596, tra i decreti votati dai vescovi e i loro procuratori e poi approvati da Roma, ci fu anche quello che concedeva una prima autorizzazione ufficiale dell'uso della liturgia slava nelle diocesi istriane. Si decise che il Breviario ed il Messale in lingua illirica dovessero venir riveduti ed emendati con diligenza. Anche se tutto ció fu approvato, il patriarca Barbaro non rinunció a ribadire esplicitamente il proprio favore per il rito romano, che si sarebbe dovuto diffondere, col tempo, anche presso il clero slavo dell'Istria (Trebbi, 1999). erano mantenuti direttamente dal comune. Pur essendo alquanto numeróse e diffuse, queste confraternite non erano certo economicamente benestanti, soprattutto nei villaggi, infatti nel corso delle visite si riscontrarono casi registrati di altari abbandonati e trascurati, ma anche di intere chiese abbandonate e decadenti proprio per la mancanza di beni per mantenerle. In questi frangenti il vescovo volle parlare direttamente con i curatori per accertarsi sulle cause di questa decadenza e spronarli a trovare i fondi per restaurare gli edifici e gli arredi. Alcune volte il suo intervento ebbe dei risultati ragguar-devoli, altre volte appena sufficienti, in alcuni casi nulli. Queste associazioni erano diffuse ovviamente anche nella realta cittadina ed erano numerose a Capodistra, a Isola e a Pirano, dove alcune vantavano un ricco arredo e attrezzature, oltre che una lunga tradizione. A Isola incontriamo inoltre l'unica, almeno da quanto risulta dai verbali, confraternita femminile,2 realta questa non usuale, legata alla chiesa di S. Maria d'Alieto. A Ca-podistria invece registriamo una confraternita di me-stiere, ossia quella dei marinai, legata alla chiesa di S. Nicolo.3 Il vescovo ritrovo alcune chiese, presenti nei paesi ma soprattutto le numerose chiese campestri sparse per le campagne, in pessime condizioni o in stato di vera e propria decadenza quindi non essendoci i fondi e chi si prendesse cura di loro, fu costretto a sospenderle o a mi-nacciare la sospensione nel caso in cui non fosse effet-tuato alcun intervento atto a migliorarle. Nel corso delle sue visite solo in pochi casi poté riconsacrare chiese precedentemente sospese. Tale problema non fu cosa esclusiva dell'entroterra della diocesi di Capodistria, nelle stesse citta infatti la situazione delle chiese non era migliore: mancanza di arredi e di suppellettili erano all'ordine del giorno. Molte anzi si trovavano in condizioni ben più gravi, in vere e proprie fasi di decadenza e senza i mezzi necessari per uscire da tali stati. E il caso, ad esempio, delle chiese di S. Lorenzo e S. Pietro a Capodistria, per le quali il vescovo dovette ricorrere alla carita e alla misericordia dei fedeli. Il vescovo Zeno in generale si trovo di fronte ad una realta al quanto povera che denuncio anche nella sua relazione ad limina, adducendola pure come giustifi-cazione, più che plausibile, per aver sospeso diverse chiese. Nulla di strano quindi se anche le canoniche si presentassero spesso come edifici cadenti con necessita di urgenti manutenzioni. Molti parroci venivano ospitati in case del comune o delle confraternite, in attesa di accumulare i fondi essenziali per la ristrutturazione delle canoniche. Inutile dire che la raccolta si prolungava di molti anni. Non tutte le chiese erano spoglie e decadenti, alcune anzi erano molto curate. Tra queste rien-travano senz'altro la chiesa cattedrale di Capodistria e le due chiese collegiate di Isola e di Pirano. Dagli atti visitali ricaviamo solamente dati parziali sul patrimonio delle chiese e sulla gestione e ammini-strazione delle entrate e dei beni. Le entrate annuali erano costituite da beni di natura diversa. Si trattava per lo piu di prodotti tipici della zona: vale a dire vino, olio, frumento, biada; a volte affitti di qualche pezzo di terreno, raramente di case. Ció valeva soprattutto per le chiese delle parrocchie; nelle citta invece le principali fonti di reddito delle chiese erano costituite dalle ele-mosine, a volte da affitti di case, di terreni, di "cave-dini"4 di proprieta delle chiese ed anche da proventi di legati testamentari e legati pii. Oltre a non esserci fornite regolarmente e singolarmente per ogni chiesa tali infor-mazioni, poco o nulla si sa sugli addetti alla gestione di tali patrimoni e nel particolare sull'amministrazione adottata. A volte il vescovo incontrava camerari, massari, gastaldi e procuratori che si occupavano di questi aspetti economici e discuteva con loro, ma ció si verificava raramente. Qualche informazione si ha sulle fabbricerie e sulla loro organizzazione nelle due chiese collegiate di S. Mauro a Isola, di S. Giorgio a Pirano e nella chiesa cattedrale di Capodistria. Durante la prima visita il vescovo Zeno constató che i due procuratori della fabbriceria a Capodistria, scelti tra i nobili capo-distriani ed eletti unitamente dal rettore della citta e dal vescovo nonché confermati dal consiglio cittadino per la durata di tre anni, oltre a non presentare regolarmente il rendiconto delle entrate e delle uscite, spendevano, a loro arbitrio, senza neppure interpellare il vescovo, in cose dimostratesi non necessarie (Zeno, 1870, 5). Una tendenza questa non presente solo a Capodistria e, quindi, il vescovo di fronte a tale situazione, cercó di inter-venire mediante decreti e ordini che avevano lo scopo di frenare questi abusi e negligenze. Il vescovo Zeno in generale si trovó di fronte ad una realta al quanto povera che denunció anche nella sua 2 Cia ¡I Valier nella visita apostólica del 1579 aveva notato la presenza di una confraternita di solé donne a Capodistria, pero, intitolata a S. Maria del bel verde (Lavric, 1986, 135). Anche per la vicina Trieste sono note alcune confraternite femminili: quella di S. Maria presso il duomo di S. Ciusto e le "soruzole", una sorta di terziarie laiche, presso la chiesa di S. Francesco (Paolin, 1995). 3 Interessante notare che anche a Trieste si era formata, probabilmente gia nel '300, una confraternita dei naviganti anchessa intitolata a S. Nicolo (Paolin, 1995). Possiamo ricordare che a Capodistria gli "uomini di mare" si erano organizzati in diverse confraternite. Operava infatti presso la chiesa di S. Anna, una confraternita le cui origini si fanno risalire al XIV secolo e il cui fondo per la chiesa venne ceduto dai pescatori a patto che in essa trovasse posto un altare dedicato a S. Andrea, loro patrono. Cli attrezzi erano di proprieta dei pescatori e il "fano" (fanale di legno intagliato per le processioni) con la statuina di S. Andrea é, dal punto di vista artistico, considerato il miglior attrezzo delle confraternite capodistriane (Markovic, 2000). 4 I cavedini: bacini di evaporazione dellacqua e successiva raccolta del sale (Manzini, Rocchi, 1995). relazione ad limina, adducendola pure come giusti-ficazione, piu che plausibile, per aver sospeso diverse chiese. Simili situazioni le incontriamo anche nelle sacrestie delle chiese, nella maggior parte delle quali non erano mai stati fatti degli inventari delle suppellettili sacre, dei paramenti e degli altri oggetti liturgici. Anche in tal caso il vescovo impose di farli. Cio ci fa comprendere come la gestione dei patrimoni delle chiese era ancora avvolta da un clima generale di disordine e di trascuratezza. Molte le persone laiche che il vescovo Zeno incontro nell'arco delle sue visite soprattutto durante l'ispezione delle sue parrocchie, cosí che grazie alle loro testi-monianze possiamo conoscere meglio le comunita. Nel-le sue quindici parrocchie ritrovo popolazioni al quanto devote, ma si scontro con peccatori che si erano mac-chiati di peccati come il concubinato, l'adulterio, l'usura, ma anche casi di stregoneria. Nei confronti di questi personaggi il vescovo reagí moderatamente, parlo e si confronto con loro, li ammoní cercando di inculcarli i principi cristiani; di fronte a recidivi intervenne piu concretamente imponendo o "spavendandoli" con pene pecuniarie o con la minaccia di reclusione, con il di-vieto di entrare in chiesa e altro ancora. Nelle tre cittadine di Capodistria, Isola e Pirano, oltre ad interrogare i membri dei rispettivi capitolo, esamino anche altri sacerdoti e chierici. Uso il termine "chierici" non per indicare in generale i membri del clero, bensí una categoria distinta, composta, a partire dal semplice tonsurato fino ad arrivare al diacono, ministro sacro immediatamente inferiore nella gerarchia ecclesiastica al sacerdote. Ho adottato tale criterio perché in questi termini venivano intesi i chierici nei verbali di visita. Si trattava generalmente di giovani, che si stavano preparando al sacerdozio e servivano durante le liturgie. Molti di questi giovani trascuravano i loro doveri nei confronti della chiesa, andavano in giro per la citta in abiti non consoni al loro stato, si dedicavano ad attivita amene, non rispettavano i superiori. I trasgressori furono severamente ammoniti dal vescovo e spinti a svolgere con maggior disciplina e serieta i propri doveri. Tra il 16771678 tramite le risposte date al questionario utilizzato dal vescovo in questa visita, veniamo ad esempio a sapere, che su un totale di ventotto tra sacerdoti /chierici (non membri dei capitoli) il 39% si recavano volentieri alle commedie che venivano organizzate per il carne-vale, il 17,8% si dilettava ad andare a caccia e solo il rimanente 35,7% dichiaro di non occuparsi o assistere ad intrattenimenti secolari. Tutti ¡ ventotto dichiararono di confessarsi regolarmente e nei tempi stabiliti, ¡noltre la maggior parte di loro si recava sempre da uno stesso religioso prescelto. Molti a Capodistria avevano optato per il priore dei serviti e per i frati di S. Anna; a Pirano invece molti si recavano dai minori osservanti di S. Bernardino o dai francescani; anche a Isola la maggioranza si recava dal frate francescano che dimorava in citta. Queste preferenze forse erano dettate dal minor imbarazzo legato al confessarsi ad un frate, piuttosto che ad un altro sacerdote secolare. Infine, per la domanda riguardante la continuazione o meno degli studi, su ventotto esaminati le risposte furono le seguenti: il 46% aveva smesso di studiare, il 32% continuava a studiare, il 21% rispose diversamente o non rispose. Nella relazione ad limina il vescovo Zeno aveva affrontato il problema della formazione del clero, rile-vando che, sia lui che i suoi predecessori, si erano scontrati con gravi impedimenti di natura soprattutto economica, che avevano impedito la realizzazione di un seminario. Sempre dalla relazione ad limina veniamo informati che Zeno aveva sottoposto la questione al nunzio apostolico di Venezia, sperando di ottenere dei positivi riscontri che lo avrebbero aiuto ad inaugurare l'atteso seminario (Zeno, 1870, 8). Egli aveva suggerito al nunzio di intercedere affinché venisse soppresso il convento dei serviti a Capodistria, considerato dal vescovo di poca utilita, anche perché vi operavano solamente due religiosi.5 Il ricavato sarebbe servito all'ere-zione del seminario (Zeno, 1870, 8). Le buone inten-zioni di Zeno non ebbero gli effetti sperati. Nel territorio della Repubblica di Venezia c'erano ancora vaste aree provinciali interamente sprovviste di seminari: tale era il caso dell'Istria (Trebbi, 1984, 263). Le diocesi istriane erano troppo povere per affrontare con successo l'in-gente sforzo finanziario richiesto. Nei due capitoli collegiati a Isola e a Pirano ed in quello cattedrale a Capodistria operavano le seguenti figure ecclesiastiche: - a Capodistria risiedeva il vescovo ed il capitolo cattedrale costituito da dodici canonici, tra i quali quattro ricoprivano delle dignita, c'erano infatti il decano, l'ar-cidiacono, lo scolastico e il tesoriere. A quel tempo la citta contava 3000 cittadini (Zeno, 1870, 4), tutti affidati alla loro cura spirituale. Esistevano anche due monasteri femminili ed operavano in sede ben sei ordini religiosi: domenicani,6 minori osservanti, conventuali, cappuc-cini, serviti e francescani (Zeno, 1870, 6-7). Nella 5 Ci troviamo di fronte alla realta dei "conventini", cosí definiti perché composti da un numero scarso di membri. Nella vita monastica tra il '600 ed il '700 non mancarono interventi disciplinari dell'autorita ecclesiastica, spesso sollecitati dagli stessi interessati con richieste e privilegi. Dall'altra parte, solo per le congregazioni piu piccole e solo in misura parziale ebbe efficacia il famoso decreto di soppressione delle comunita emanato da papa Innocenzo X a meta del '600 (Penco, 2000, 245). 6 Il vescovo Zeno, sempre nella sua relazione ad limina, riferí che il locale convento dei domenicani, gia poco prima del suo arrivo in sede, aveva mutato l'osservanza, passando alla regola riformata (Zeno, 1870, 7). relazione ad limina il vescovo Zeno sottolineo che nei due monasteri, quello dedicato a S. Biagio e quello di S. Chiara, con difficolta venivano rispettate dalle monache la regola ed i voti, essendo queste istituzioni molto povere; aggiunse inoltre che, alcune di queste donne, giunte ormai alla vecchiaia e abituate ad un modo di vita alquanto libero, con grande difficolta avrebbero potuto essere ricondotte all'osservanza (Zeno, 1870, 6); - a Isola invece il capitolo collegiato di S. Mauro era formato da quattro canonici con a capo un pievano. La citta di Isola contava al tempo del vescovo Zeno 1500 abitanti (Zeno, 1870, 7). Nella cittadina c'erano due conventi, quello dei francescani e quello dei serviti, ed in entrambi operava un solo religioso (Zeno, 1870, 7); - a Pirano operavano nell'ambito del capitolo col-legiato di S. Giorgio sei canonici con due dignita: il pievano e lo scolastico. In piu c'era un settimo canonico che godeva un titolo separato e prebende particolari. Tale canonico era stato infatti istituito dal consiglio co-munale cittadino che aveva fornito al candidato pre-scelto un titolo patrimoniale. L'intero capitolo aveva in cura una popolazione di 3000 abitanti (Zeno, 1870, 7), che allora viveva nella citta di Pirano e nel circondario. Due i conventi presenti nel territorio della collegiata, uno in centro a Pirano dedicato a S. Francesco e l'altro dei minori osservanti dedicato a S. Bernardino situato nel circondario. Il vescovo Zeno conobbe bene i membri del capitolo collegiato piranese gia nella prima visita del 1661, rilevando una realta alquanto indipendente che pog-giava la sua forza su antiche e consolidate consuetudini. In piu va sottolineato il ruolo importante che aveva la comunita nell'organizzazione ecclesiastica nella citta-dina piranese, a comprovarlo, oltre il fatto che era il consiglio a eleggere il predicatore (cosa che avveniva anche a Capodistria e a Isola) qui designava pure il sacerdote che avrebbe dovuto insegnare la dottrina cristiana ai ragazzi, mentre a Capodistria e a Isola era il decano ossia il pievano a svolgere tale compito. Inoltre il vescovo, ogni qual volta si recava in visita a Pirano, veniva accolto da tutta la componente politica cittadina e a volte anche si incontro privatamente con i sindaci della citta. Il vescovo di fronte alle negligenze e alle manche-volezze volle intervenire destinando ai canonici dei sin-goli capitoli specifici ordini che se applicati giustamente potevano debellare le imperfezioni riscontrate. Ritenne opportuno regolamentare meglio la pratica religiosa, il cerimoniale e diversi altri aspetti economici-burocratici. Solitamente ordinava che tali decreti venissero affissi in sacrestia in modo tale da essere alla portata di tutti. Per coloro che non si fossero attenuti a tale norme erano previste diverse pene. Vale la pena menzionare l'inter-vento del vescovo nel 1672 per il capitolo di Capodistria e i decreti specifici destinati al maestro di cerimonie, allo scolastico e al sacrestano. Questo perché alcune disposizioni date, a distanza d'anni, si vide, che non venivano rispettate e attuate in modo corretto e costante, oltre al fatto che probabilmente in quel lasso di tempo il vescovo aveva maturato nuove prospettive ed esigenze. Ed effettivamente questo suo nuovo intervento porto i risultati sperati che registro nell'ultima visita del 1677; in tale occasione rilevo che la distribuzione quotidiana e l'elezione del puntatore, dopo anni di necessari accorgi-menti, venivano svolte regolarmente e nel migliore dei modi; anche le messe perpetue venivano celebrate costantemente, in sacrestia tutto funzionava e procedeva per il meglio, l'unico punto debole era costituito dal fatto che l'ufficio divino si recitava si nel coro puntualmente, ma sulle modalita e qualita dell'attuazione le voci erano rimaste discordanti. Ci furono infatti quelli che sostennero che tutto si svolgeva nel modo migliore e che anzi si erano verificati dei cambiamenti positivi rispetto al passato, c'era chi invece continuo a lamen-tarsi denunciando che il tutto avveniva senza le dovute pause e quindi frettolosamente. Anche a Pirano nel 1668 il vescovo intervenne profondamente nell'organizzazione e nell'attivita del capitolo collegiato imponendo una serie di normative e di provvedimenti aventi lo scopo di eliminare gli abusi che stavano dilagando tra il clero. Il suo scopo era di reintrodurre i buoni ordini e l'osservanza dei santi riti nella chiesa collegiata di S. Giorgio, svegliando i ca-nonici dal sonno della trascuratezza e negligenza af-finché si applicassero puntualmente nel rispettare i propri obblighi e funzioni canonicali. Fisso tutta una serie di norme, che dovevano regolare e disciplinare la recita dell'ufficio divino nel coro in conformita a diversi decreti ecclesiastici; questo fu e sarebbe rimasto uno dei problemi irrisolti. Passo poi a regolamentare lo svol-gimento e la celebrazione delle messe, (BSTs, 4) avva-lendosi pure in tal caso delle disposizioni in materia prese dalla Congregazione del clero. Fu suo impegno ribadire sulla necessita di ripristinare al piu presto le distribuzioni quotidiane e quindi eleggere il puntatore, questo anche per adempiere ai decreti tridentini. Nel 1678 finalmente il capitolo piranese opero in tal senso. A Isola ritrovo nel corso delle sue visite una situa-zione relativamente piu tranquilla, se non altro per quegli aspetti riguardanti strettamente l'attivita del capi-tolo collegiato, non riscontro infatti nessuna manche-volezza tale, da portarlo ad intervenire. Nel 1672 invece dovette sanare dei contrasti che erano sorti tra alcuni canonici ed il pievano e tra alcuni canonici e i sacerdoti inferiori. Anche qui i problemi maggiori erano costituiti dalla mancanza del puntatore e dalle negligenze nell'uf-ficio divino recitato nel coro. In entrambi pero non registro risultati positivi neppure nell'ultima visita. Grafico 1: Numero di chiese visitate per parrocchia dal vescovo nel corso delle cinque visite pastorali. Graf 1: Število cerkev na župnijo, ki jih je škof obiskal v okviru svojih petih pastoralnih obiskov. Tra le altre cose fu suo ¡mpegno far inventariare tutta la documentazione custodita ¡n archivi e relativa al capitolo, questo a Capodistria (qui egli stesso nomino il curatore) e a Pirano. Cio non fu necessario a Isola probabilmente perché il capitolo non aveva Tabitudine di congregarsi. Nei capitoli impose in piu occasioni di possedere registri per la notifica delle messe e che nelle sacrestie venissero affisse le tavolette con su segnati gli obblighi di messe ed un preciso calendario di queste, in modo tale che tutti i sacerdoti fossero messi al corrente degli obblighi e degli orari stabiliti ed i fedeli potessero far conto su orari fissi. Fu suo impegno far nominare a Capodistria e a Pirano un maestro di cerimonie, ritenendo cio necessario per un'ottimale celebrazione delle messe. Fu egli stesso a nominarlo a Capodistria fin dal 1661; a Pirano invece pero ancora nel 1672 non elessero nessuno a tale ruolo. Ordino la realizzazione di registri e di inventari dei beni posseduti dalle chiese e impose agli amministratori di svolgere correttamente le loro mansioni e di non abusare dei loro ruoli. Verifico che venissero tenuti in ordine e aggiornati i registri di battesimi, matrimoni e morti e che regolarmente si facesse la descrizione delle anime. Cerco di sanare il permanere di usi gravemente irregolari, vieto severamente ad esempio, ai parroci di dare licenze ai laici, con le quali li si dispensava dal dover osservare le feste e dal divieto di mangiare la carne nei giorni stabiliti. Tali licenze potevano essere concesse solamente dal vescovo, o dal vicario generale. Inoltre il parroco non doveva permettersi di concedere permessi per amministrare i sacramenti ad altri sacerdoti. Fu suo costante impegno cercare di coinvolgere attivamente i sacerdoti operanti nelle tre cittadine e non membri dei capitoli, di assistere nelle rispettive chiese collegiate o cattedrale, almeno nei giorni solenni e festivi. DalTanalisi qui condotta emerge il quadro di una diocesi molto tranquilla, senza particolari problemi, dove Topera del vescovo, con le sue ripetute e puntuali visite, si mostra attenta ai problemi, pazientemente intesa a migliorare Tefficacia delTazione pastorale. Traspare la sua ferma volontà di lavorare con gradualitj per convincere ed ammaestrare, piuttosto che reprimere e punire. Questo appare come un abito di governo, e non solo come qualcosa che fosse dettato unicamente dalla necessitj di garantire il tessuto ecclesiastico, messo costantemente a rischio dalla generale povertà di mezzi e dalle difficoltj linguistiche. PASTORALNI OBISKI KOPRSKE ŠKOFIJE ŠKOFA FRANCESCA ZENA (1660-1680) Roberta VINCOLETTO Italijanska unija, SI-6000, Zupančičeva ulica 39 e-mail: robertav@email.si POVZETEK 1660 je bil za škofa koprske škofije izvoljen Francesco Zeno. Rodil se je v Candii na Kreti, v družini beneškega porekla. Na Kreti je dolgo služil kot kanonik in župnijski vikar. Že na začetku svojega delovanja si je prizadeval globlje spoznati vse zgodovinske značilnosti svojega novega sedeža in versko življenje v njem. Pregledal je najpomembnejše dokumente škofije, morda tudi zato, da bi uredil njen finančni in pravni položaj. V 17. stoletju je imela koprska škofija malo gmotnih sredstev. Skof Zeno je koprsko škofijo upravljal dvajset let od 1660 do 1680. V tem času jo je obiskal petkrat. Štirikrat je prepotoval celotno škofijo, petič pa se je ustavil le v cerkvah v Kopru, Izoli in Piranu ter v savudrijski župniji. V zadnjih letih svojega delovanja je bil namreč rahlega zdravja. Iz zapisnikov o teh obiskih je razvidno, da je bil Zeno vedno osebno prisoten na obiskanem območju, spremljali pa so ga njegovi dvorjani. Zapisniki vsebujejo tudi kar natančen opis celotne procesije, ki je potekala ob teh priložnostih. Pregledani viri navajajo tudi pogovore z duhovniki in verniki. Škof je imel namreč navado, da je v vseh treh kapitljih, v stolnici v Kopru ter v izolski in piranski cerkvi, zbral kanonike ter jih izprašal o temeljnih resnicah, povezanih z njihovim delovanjem in bivanjem. Za to je uporabljal vprašalnike, ki niso bili vedno dodani zapisnikom. V petnajstih župnijah je poleg tega, da je izprašal župnike in kaplane ter preveril stanje v cerkvi, prisluhnil tudi vernikom, ki so mu pomagali razkriti, kakšna sta bila delo in moralnost župnikov, preverjal pa je tudi, če vsi verniki delujejo v skladu z določili cerkve. S tem se je hotel prepričati, če so vsi duhovniki zmožni opravljati duhovniško službo. Zapisniki o obiskih razkrivajo, da je bilo tedanje življenje v vaseh in mestih revno, z verskega vidika pa živahno. Razširjene so bile namreč različne oblike združevanja vernikov, t.i. bratovščine. Škof Zeno je priznal, da je finančno stanje njegove škofije težko, vendar je poudaril, da je prebivalstvo vseeno pobožno in vdano. Pokazal je odločno voljo delovati postopoma in vernike prepričati in vzgajati, ne pa zatirati in kaznovati. Ključne besede: 17. stoletje, koprska škofija, Francesco Zeno, pastoralni obiski FONTI E BIBLIOGRAFIA BSTs, 1 - Biblioteca del seminario vescovile di Trieste (BSTs), Archivio della diocesi di Capodistria (AVCp), Busta 40, Francesco Zeno, Visitationes generales prima et secunda, 1660-1664. BSTs, 2 - BSTs, AVCp, Busta 41, Francesco Zeno, Visitationes episcopales tertiae, quartae et quintae, 1668-1678. BSTs, 3 - BSTs, AVCp, Busta 41, Francesco Zeno, Visitationes episcopales tertiae, quartae et quintae, 16681678, c. 490 r. 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