Sui governo dei Bosehi nell'Istria. I b.oschi ebbero sempre grandissima imporlanza in questa provincia d'Istria, per due riguardi; perleragio-ni di proprieta o di buon governo che ne ebbe il principe; per Pinfluenza che esercitano sui clima, e su quan-to ne sta in istretta dipendenza. Ouesto secondo argn-mento non fu invero onninamente dimenficato, ma le la-mentazioni erano vaghe, erano un sentire le conseguenze di cattivo sistema, piuttosto che un' esposizione delle cause e dei modi di riparare al pregiudizio; ma se anche fossesi detto, non sarebbe stato aseoltato, perche le querimonie venute dal sapere, non sono sempre gradite, piu facile, piu sollecito si e lo attribuire tutto al caso, pili facile si 6 lo attribuire tutto alla volonta di Dio, siccome fanno i Turchi, e seusarela propria ignoranza, non accidentale, ma volontaria, anzi di proponimento, con ir-religiosa temerita, quasiDio che ha fatto i monti nostri capaci di vegetazione, che ha dato aH' uomo 1' intelli-genza e 1' attitudine a perfezionarla, fosse risponsabile deli'abuso che ne fanno gli uomini ed i consorzi umani. Pero noi non dobbiamo essere troppo severi coi nostri vecchi e coi nostri predecessori; essi avevano conserva-to la tradizione che una fosse la provincia d' Istria, con-formata a modo che i monti della Vena chiudendola e separandola da altre regioni, ed il mare circondandola da tre lati, ne usciva regione propria distinta per fisiche e climatiche condizioni; ma la mancanza di carte esatte, il pressoche niuno muoversi delle persone a studio della configurazione fisica, faceva si che la posizione, la di-rezione di questi monti della Vena, fosse un mistero, al pari dei monti della luna in Africa. Ouesto retaggio di antiche tradizioni cedette alla preponderanza della geografia politica, a segno che non pochi giurarono nei con-fini amministrativi o di stato di tempi recenti, in modo da credere altro sole, altra aria, altro caldo, altro gelo, nelle due frazioni politiche della penisola; quasi la posizione dei corpi belligeranti nei secolo XVI, i trattati di pace, potessero cangiare la natura. Ed in questi nostri tempi medesimi vedemmo darsi tale importanza alle condizioni fisiche, od aversene tale conoscenza che si rifiutarono siccome parti della provincia, cio che sta den-tro essa; si vollero parti che Dio ha voluto che non vi appartengano, e serie di secoli ha riconosciuto che non vi appartengono. Ouali vantaggi vengano dali'unire in corpo sociale cio che la fisica configurazione ha voluto disgiunto, o dal tenere disgiunto cio che Dio ha unito, lo diranno i posteri nostri, i quali, scevri da prevenzioni, giudicheranno di noi, come noi laudiamo o biasimiamo . cio che fu fatto dai nostri antenati. Non dee quindi fare meraviglia se i nostri vecchi o non conobbero o non curarono di riconoscere che la fisica configurazione della penisola esigeva che vi fosse pubblico comune governo anche delle cose che riguarda-I no le condizioni fisiche, che il naturale confine di terra era altresi confine di clima, e doveva a vantaggio generale venire mantenuto, che le boscaglie sui monti avreb-bero avuto di conseguenza che la temperatura nella penisola fosse piu regolare e costanle, piu regolari i venti, e tolto che irrompessero come bufere siccome e della bora, piu frequenti le pioggie per P attrazione delle nubi; j minori le gragnuole nate da repentino sbilancio di temperatura, piu abbondanti i rivi elesorgenti, tolti i torrentacci; piu salubre P aere. Oueste doltrine appena si accennano in qualche scritto dei tempi passati; il popolo non le ignorava che il popolo e depositario di sapere tradizionale grandissimo, ma il popolo e popolo. I governi fecero qualcosa nei secolo XVI, ma sembra che due soli riguardi li movessero pre-cipuamente, la conservazione delle proprieta dello stato; P economia pubblica minacciata dalla scarsezza crescente di un materiale che e di grande necessita nella vita; non ci e noto che avessero proponimento saggio, completo, dettagliato, di porre la provincia tutta in quella condizione di cui era capace in tutto P ambito suo. Ne cre-diamo che cio provenisse da rispetto, come direbbesi oggidi, ai diritti privati di proprieta, ne che allora si cre-desse possibile legalmente di regolare con leggi generali e minuziose, le azioni personali degli uomini, anche mi-nime, si potesse regolare il pensiero, imporlo, preseri-vere Pandare e lo stare, Papprendere quello piuttosto che questo; e non si credesse possibile legalmente di sot-toporre 1' uso della proprieta fondiaria a leggi che re-golassero il pubblico benessere. Non ci e noto che ve-nisse regolato con leggi P uso della terra piu che to-gliendone la proprieta a chi non la ulilizzase per tempo determinato. II governo Veneto diede qualche ordinanza, qual-cosa fece anche il primo governo austriaco nell' Istria, e di questo secondo abbiamo anche pubblicato i provvedi-menti nei N. 24-25 di quest'anno; per6 i provvedimenti dati erano piuttosto diretti a non guastare cid che non era guastato, non a rimettere cio che gia era di-slrulto, od a creare cio che sarebbe stalo conveniente. Sebbene i governi fossero mossi precipuamente dalla conservazione della proprieta erariale, pure gli ordinamenli dati in quesli oggetli erano di grandissimo vantaggio, se ne conseguiva cio che la legge stessa o non previde, o considero effetto immancabile, quand'an che non completo. I boschi alti nel Goriziano erano tutti di proprieta del principe, il quale ne traea le rendite precipue di quella contea; la stessa cosa deve dirsi deli'Istria; del-1' una e deli' altra poi deve farsi conchiusione che fino dal tempo della conquisla dei Romani i boschi siccome beni pubblici, furono dichiarati dello stato il quale per-cepiva dali' affittanza del pascolo, la cosi detta scriptura, precisamente come si vide mantenuta lino quasi a' nostri giorni in bosco di isola prossima ali' Istria. Per le co-stituzioni di Augusto questi redditi dei boschi, ed i boschi medesimi vennero dati alle colonie; dal Plačilo i-striano deli'anno 804 apprendiamo che i boschi vennero tolti ai coinuni, e richiamati allo stato; e dovrebbe dirsi che restassero in lui adonta dei reclaini dni provinciali; il duca Giovanni addusse il motivo pel quale li aveva incamerali, cioe perche li riteneva dominio deli' Imperatore ; i comuni ebbero qualche fruizione dei inedesimi, come servitu, ma non ebbero nč il dominio, ne la percezione della scriptura, che furono del principe. II qua-le aveva certamente tale prodotto dai boschi, che ben poteva non soltanto lasciare le imposizioni miti come e-rano, ma anzi farne dono a minori baroni. Noi passe-reino volentieri il medio evo intero per giungere a tempi piu virini. Nel secolo XIV per cause che non sapremmo si tosto indicare si fece in queste nostre regioni cattivo governo dei boschi. Corre farna (di Trieste) che il Carso fosse tutto coperto di boscaglie, e che i Veneziani le a-vessero tolte nel tempo che furono in Trieste (1509); ma oltreche questa occupazione militare di pochi mesi non poteva operare quei guasti che si dicono seguiti, si hanno documenti provanti la fallacia di tali credenze prese alla Iettera. Nel 1490 P imperatore Federico III cosi di-teva di Trieste = Fridericus Divina Favente Cleinentia Romanorum Imperator Semper Augustus : Hungariae Dalmatiae,Croa-tiae, Re, ac Austriae, Stiriae, Carinthiae et Carniolae Dux etc. etc. Honorabilibus Prudentibus Fidelibus nostris Di-lectis Balthassarri Durer Capitaneo et aliis deinceps fu-turis Capitaneis nostris, ac Judicibus, Consilio, et Comuni Civitatis nostrae Tergesti, Gratiam Cesaream et oinne bonum. Intellexiinus certa relatione, singulis annis, ex di-versis Regionibus Exteros quosdam homines in nostrain prefatae Urbis nostrae Tergesti extra montes sitain re-gionem, cum multis pecudum milibus migrare, et totas liicmes, ac autumni et veris partem pascua illa nostra de-pascere. Quiquidem ei cominodas pecori suo Caulasstru-entes, et sibi ac familiae suae ignes immodicos coutinuis diebus ac noctibus parantes. Ita silvas et nemera territo-rii nostri devastarunt, ut jam populus iste noster vix u-sui suo Iigna coni par habeat: Tum et saltus illos ita ab advenis occupari ut nostrae ditionis incolae, vix armen-tis aut pecori suo pascendi locus relinquatur. Additur in-super Urbi nostrae predictae maius aliud incominodum, et minime toleranda calamitas. Multi enim tam spiritua- | les quam secularcs istic habitatores, intra ipsos montes, j ac iu media pene vinearum et agrorum viscera. Ex quo i solo emoliiinento Civitas ipsa nostra alitur, tnandras tu-guria ac domos construxerunt: In quibus multa armenta ao variuut pecoris genus retinent, quae quum passim er-rantia minime velari possint: vites rodunt, sata depa-scunlur: frutiferas interimunt arbores: Et quidquid deni-que in vinetis ipsis et agris ad vitae usum plantatum aut saturn est, ita prosternunt et dissipant, ut multi jam vi-neas et agros colere (cum, ea clade seviente, inde nihil possint percipere) penitus desinant. Quae quidemomnia cuin et nobis et Urbis nostrae populo, ac universae isti Reipublicae grave damnum ao detrimentum aftVrrant: ma-gisque ac magis indies (nisi prospeetum fuerit) allatura sint: Communis hujus incominodi causas rescindere cu-pientes, superinde bono, ct totius Urbis nostrae utilitati consulere decreviinus: Quapropter Vobis oinnibus serio-se ac distriete precipiendo mandamus, quatenus de cae-tero nullos ex prefatis exteris mandrariis ac pastoribus preter continuos istius ditionis nostrae tergestinae Inco-las, greges armenta sive pecora sua iu dieto territorio nostro tergestino pascere amplius perinittatis. De man— dris aut quotcuinque intra montes suut ita accurate et di-! ligenter a vobis provideatur, ut et personae illae ad prae-sens habentes cujuscumque sint nominis aut conditionis, 1 absque cuuctatione deponant quaecumque in eis tenent animalia, extra montes abigant: Et in posterum nulli om-j nino homines mandras seu animalia cuiuscunque sint ge-! neris amplius intra ipsos montes tenere audeant vel pre-sumant. Non autem ab his mandatis et commissione nostra, vos litterae nostrae sique......hac predietis omnibus de rebus cuiqne concessimus absterreant, aut avertant. Cum enim privatum comodum publico postpo-nimus, nec sit mentis nostrae paucorum utilitate univer-so isti populo esse ruinam: Litteris ipsis omnibus ex cer-{ ta scientia nostra derogatum esse volumus: Praedictis ita— que mandatis nostris ita obtemperetis ne amplius hu-jusceinodi moleste nobis querellaead aures nostrasdedu-cantur. In eo seriosam voluntatem nostrain adimplentes. Datum in Oppido nostro Lintz Die XIII. mensis Martij Anno Domini etc. Nonagesimo, Imperij nostri tri— i gesimo oetavo.— Commissio domini Iinperatori in Con-| silio. II quale diploma crediamo che intenda di parlare delle boscaglie le quali stavano entro i confini deli'agro colonico di Trieste, cioe a dire le boscaglie che corona-vano i ciglioni del Carso che formano 1' estremo confine fra il terreno calcare e 1' arenario, che intenda parlare delle boscaglie poste negli agri giurisdizionali di Trieste, nel tratto fra Opchiena e Basovizza. Federico laseid nell' addotto diploma monumento prezioso delle cause di distruzione dei boschi in queste parti; queste cause peraltro non le diremo locali, imper-I ciocche nel secolo successivo il guasto dei bos« hi fu generale, non fra noi soltanto, ma altresi per l'A'pi vene-te, per cui ebbero alterazione grandissitna il clima, i Gumi, e rimasero le alpi denudate a segno da mostrare P ossatura loro calcare, e null' altro. II governo Veneto volle porvi riparo, ed institui i Provveditori, e Sopraprovveditori alle legna ed ai boschi in tulto lo stalo. Nell' Istria Veneta il governo dei bo-schi, era poggiato al capitano di Raspo, del qualericor-deremo che era subentrato ai Marchesi, e ne rappresen-tava in certo modo il potere regio; il che dicianio perche ci parve vedere in questa qualita dei capitani di Raspo, il titolo al governo dei boschi; appena nel 1612 fu instituita la Magistratura parziale dei deputati sopra la valle e bosco di Montonn. Nell' Istria come altrove v'aveva distinzione tra boschi dello stalo e boschi dei , comuni e privati; pero sospeltiamo che nell'una e nel-1'altra Istria valessero le stesse massime che riscrvavano al principe la proprieta dei boschi di alto fusto dovun-que posti; nell'Istria Veneta il governo esercitava il diritto di bollo o di inartellalura sui boschi privati pel qua-le scelta una pianta, e segnata col bollo dello stato, do-veva dal proprielario del bosco lasciarsi a disposizione del governo, il quale quando veniva il tempo maturo i del taglio, si appropriava il legname da costruzione, e lo i pagava a prezzo fisso bassissimo; i rami erano lasciati al proprietario. Ouesto dirit o abolilo a' tempi nostri, credendolo servitii, non era stato creato dai Veneti;nelle Epistolae ! di Cassiodoro vedesi come Teodorico per rinnovare la flotla di Ravenna esereitasse il diritto di martellatura; e noi pensiamo che nell'Istria al mare questo diritto pro-venisse dalla costituzione provinciale, e fosse obbligo imposto per formare la flotta di Ravenna, e dal 105 iin-poi quella di Grado, obbligo che era della stessa cate-goria- di altri per servigio pubblico, e che dal governo Veneto fu riattivato perche subentrato ai diritti che aveva la flotta di Grado. Non sembra poi che 1' antico diritto di martellatura s' estendesse a tutto la penisola, e rieduciamo cio dal niun reclamo fatto dai Veneti fuori deli'Istria litorale; dal vedere che altri obblighi provinciali di simile catc-goria non erano estesi ai comuni di terra. L'#nno seguente alfinstituzione dei provveditori e sopra provveditori Veneti alle legne ed ai boschi, Ferdinando I Imperatore instituiva con diploma da Vienna del 1.° novembre 1533 il magistratu sui boschi per Gorizia, Friuli, Istria, Carsia e Segna. Questa indicazione di terriiori e bella teslimonianza della geografia politica di quei tempi. La Carsia si considerava del tutto distinta e separata come dalla contea di Gorizia, cosi dalla contea d'Istria; e questa Carsia, della quale altravolta fecimo menzione in questo foglio, era precipuamente quel distretto che oggidi viene intitolato di Castelnovo, quel-li di Sesana, Duino, Volosca. E la Carsia aveva nel secolo XV propri capitani, come li ebbero Gorizia, Trieste, la contea d' Istria. Ferdinando fa distinzione tra Friuli e Contea di Gorizia, cosa cessata del tutto in tempi piu recenti nei quali sotto Friuli austriaco si intende Gorizia e Gradišča; Nel 1533 sotto Friuli si intendeva cio che poi fu detto stato di Gradišča; quel tratto di paese di la del-I' Isonzo che fu concjuistato sui Veneti nelle guerre di Massimiliano del 1509 e che rimase alla časa d'Austria per la pace del 1512; quello stato che nel 1647 fu venduto ai principi di Eggenberg e che per patto di reversibilita, estinta la linea investita, ritorno ali'Austria nel 1716. Trieste non vi e compreso; il governo dei boschi nel lerritorio proprio era del comune medesimo; i boschi erano di poca importanza per la marina; anzi e noto che per 1' uso di questa il principe accordava tagli nei boschi di Duino, di Schvvarzenek, di Adelsberg, di Reifenberg, prima ancora delCordinanza di Ferdinando I. Non vi si comprende Fiume, a nostro vedere, per li stessi motivi pei quali Trieste non fu compreso; Fiume sembra avere avuta carta di liberta fino dal 1526, almeno in questo tempo compilo le sue leggi mu-nicipali prendendone a lipo quelle di Trieste. L'ordi-nanza di Ferdinando abbraccia anche Segna 1« quale allora consideravasi dipendenza deli'Austria interiore. Diamo il diploma di Ferdinando in italiano, ed anche nel testo tedesco da noi veduto, e trascritto; pero non ci sovveniamo dove e per quale occasione. Ag-giungiamo ad intelligenz i, che la traduzionein italiano e come seppimo farla sul testo di cattiva lingua, e di peggiore ortografia, e scritlurazione. Noi Ferdinando ecc. Annunciami la nostra grazia ed ogni bene a tutti i sudditi nostri che vedranno il presente mandato pubblico, o copia credibile, sieno chierici o laici, di qualun-que stalo, e dignita o condizione, nessuno eccettuato, che abitano e domiciliano sul Carso, nell'Istria, nella contea di Gonzia, nel Friuli, in Segna, nei luoghi e giurisdizioni di queste provincie. E facciamo loro benignamente sa-pere, che avendo risaputo da sufficienti rapporti e rile-vazioni, che nei confini Veneziani e noi confini italiani, cioe nel Carso, nell'Istria, nella conlea di Gorizia, nel Friuli ed in Segna, e nelle giurisdizioni di questi paesi, nei nostri monti e nei nostri boschi, in quelle localita concedute temporariamente da noi per paseolo, siano pre-giudicate le nostre boscaglie che possono essere di uso e di utilita, trasgredendo le leggi bosehive con contrabbandi, ed in parte a piacere di ognuno tagliate e fatte deserti; con che viene pregiudicato alla nostra camera e fatta sottrazione con non piccolo nostro pregiudizio alle ren— dile ed utilita che ci speltano a ragione come principe. Ed abbiamo voluto provvedere graziosamente a questo bisogno, con provvidenze, ed ordini, i quali ridondano non soltanto a vantaggio di noi, ma altresi dei nostri sudditi. Percio abbiamo nominato il nostro consigliere e fe-dele diletto Girolarno de Zara in supremo magistrato sui boschi, e 1' abbiamo fornito di buoni suggerimenti, e di motivate instruzioni ed ordinanze come abbia a gover-nare i nostri boschi maggiori e minori situati nei paesi sopradetti; esigendo un dazio sul legname da fuoco e di altra specie pošto in commercio, il quale dazio ragione-volmente ci spetta. Ed a fine che il sopra detto magistrato sui boschi possa mandare senza impedimenti ad effetto i noslri ordini ed istruzioni sul modo di governare i boschi; ordi-niamo a tutti e cadauno'di voi,'che senza permesso e saputa del detto nostro magistrato, non abbiate a tagliare legnami nei nostri monti e nei nostri boschi, o venderli, od in altro modo contravvenire alle precise nostre leggi ed ordinanze od impedirne 1'esecuzione; ma di lasciare che il nostro magistrato sui boschi agisca e proceda secondo gli ordini e le istruzioni che gli abbiamo date; anzi di dargl / a ricerca ogni assistenza ed aiuto. Ne dovrete fare al-trimenti sotto pena della nostra disgrazia e di castigo, E con cid espguircte la nostra seria volonta e comando. Dato nella nostra citta di Vienna il di 1.° di novembre deli' anno 1533, dei noslri regni il terzo pel romano, I' ottavo per gli altri. FERDINANDO L. S. Per comando proprio del Re (illeggibile). Dal quale diploma rileviamo che il principe aveva la proprieta di boschi maggiori 2Balb, silvae, e di boschi minori ®et)61j nemora; che i comuni avevano in questi boschi 1'uso del pascolo, ed anche P uso della legna pel loro bisogno; che per questo uso dovevano pagare un dazio, la scriptura come dicevano i Romani; che 1'uso dei comuni non s' estendeva a commercio del legname loro concesso. Dalle quali massime si viene a riconoscere 1' antico diritto sulle foreste, concorde a cio che in altre regioni contermini si esercitava, concorde allo stato di cose che duro a lungo. Cio diciamo in generale. La magistratura instituita da Ferdinando I pel governo dei boschi fu per tutte le regioni comprese nel diploma suddetto, non parzialmente per l'una o peri'altra. Una separazione avvenne piu tardi. Le persone no-minate a magistrati non erano di volgare condizione; il primo nominato si fu Girolamo de Zara consigliere imperiale, di famiglia che era attaccata alla časa imperiale, dalla quale famiglia uscirono persone impiegate in di-plomazia e nelle armi, insignite della carica di capitani d'Aquileia, e della quale fu il vescovo di Pedena Antonio de Zara, prelato insigne per sapere, amico dali' in-fanzia di Ferdinando II e del quale parlammo nel N. 32 di quest'anno. Al de Zara successe nel 1545 Giorgio de Paradei-ser, il qusle vieto il pascolo nei boschi, regolo i tagli secondo il bisogno dei villici. E questo il medesimo Paradeiseril quale nel 1549 venne nominato capitano di Pisino. Dopo il Paradeiser fu Martino Zernozza, forse so-prastante, poi nel 1558 Nicol6 Arardi, il quale dal 1574 al 1578 fu luogotenente della contea d'Istria. AH'A-rardi succedette Bartolomeo Boschen diFegaun, poi venne Gabriele Juliano, poi nel 1586 Antonio Wassermann da Trieste, patrizio, il quale fu pure luogotenente di Pisino. Poi venne Nicold d' Orzon, e nel 1592 Valentino de Valentini. Le nostre memorie non vengono piu in qua; pero da lapida posta sulla chiesa di S. Michele nel Breg di Pisino, apprendiamo che nel 1635 la contea d' Istria aveva proprio soprastante ai boschi, ed era il con-troscrivano della contea Giovanni Tolzay de Rudolfswert, proprietario della gia abbazia di S. Michele sopra Pisino, gia deserta e passata in mani Iaiche, ed assai mal-trattata dai Veneti nel 1509 quando conquistarono la contea. Ecco la leggenda : i IOHAN • TOLZAY • A • RVDOLFSWERT • 1NVICT • IMP-FERD • II • ET • POTENT • FERD • III • HVNG • ET • BOHE MIE • REGIS . CONTRA • SCRIBA ■ COMIT • PISINI • ET • PROFECTO (sic) SILVARVM • ISTRIAE • HVIVS • FVN-DI • ET • SVI • DISTRICTVS • SVB • ECC • PROVINCI^ ■ CARNIOLiE ■ DITIONE PROPRIETARIVS • A • CENTVM-ANNIS • ET • VLTRA • TEMPLVM • HOC • BELLIS * ET-VETVSTATE • D1RVPTVM • A • FVNDAMENTIS • FERE-RESTAVRAVIT. X • IVLY • AN • M • D • C XXXV. Ouesta inscrizione tocca la soggezione alla provincia del Carnio, non gia della contea deli'Istria, la quale fu assoggettata, non unita, al Carnio appena nel 1665, ma la soggezione del fondo di S. Michele e del distretto dipendente, a quella provincia che lo compero come sembra. Si fa poi distinzione fra contea di Pisino, e d' I-stria, e noi supponiamo che cio fosse con ragione, perche sotto nome d'Istria comprendevano anche le pendici orientali del monte maggiore, le quali propriamente non erano della contea. Noi diremmo (salve inigliori noti-zie) che questo Tolzai fosse degli ultimi soprastanti ai boschi della contea, dati dal principe; imperciocche ven-duta la contea a privati, P interesse generale fece un pas-so indietro di confronto ali' interesse privato. Delle cose avvenute in questi ultimi cinquant'anni, delPabolizione delle leggi antiche, della costituzione di altre, deli' abolizione del diritto di martellatura, della com-pilazione di leggi apposite, delPincertezza giunta al pun-to da chiedersi quale delle tante leggi avesse avuto vi-gore; molte cose sarebbero a dirsi, e forse le diremo altravolta. Diamo a chiusa il testo tedesco del diploma deli' imperatore Ferdinando III. 2Btr gtrbmanb »on ©noben 9iomtfc&er jfuttig ju cttten 3etten rnerer be$ 9?atcf)6 in (Sermamen ju £un= garn SSetjcim Safatattett firoatien etc. Jtiuiig 3«fant in Sčpartien grfctjergog ju ©flerretcf) §erliog jn SBurgunbt ju ©teir. .Krenbten. Sram trni) ffitertenberg ic. ®raf ju rol »nb ©org jc. Grmpierten u. atten unb jebeit »nfern »unbertljonen Bcitlt^en »unb 2Bclttlid;en m rcač rcierbeu ©tcrnbed ober rcefenč, bte allentbalten in »nfern ?aitben, alč an bem ^arfft. 3n 3ffterreid> »nnfer @rafftfc£)afft ©oris. ^rtaul »unb 3enng »nb berfelben orten »nb reffter gefe$en »unb t»of)nl)afft fetn. memanšž au^geflo^cit. fo mtt btefem »nfern offen ©eneral SKanbat ober beffelbeit glaub* ttnrbtgen 2t6fd)rifft erfuecfjt rcerben, »nfer genat mtttb affeš guetl)3. »nnb geben Std; genebtgtlicf) Buerfijennen, 9kd)bcm mir burdj geitugfamen bertd;t »ttnb erfunbigung »crnomen. 3BaSmafjen an bte iBenebigifcfren: »unb an bcm n)ell)ifd;en ©ranjen allč ua£)mtti$ an bent ^arfft, 3frterr«$č. 3« »itnfern ©rafftfc^aft ©ortj grtaitl »unb 3enug- »unb ber* felbeit ^reffter. aufš »unfent geburgeit »unb 2Batbtenr mtt benen nrir an bejltmpteu orten. 2Bctttl)It$ gelafft, »unfer gel)tttt§, n>etc^e6 in »tet wegt)0cb gebrcud;It$ »nn £>un£ti4 an alt roabtorbnung burcf) Sontrabanb. SSnnb jitm tati ttac^ atne6 gebltcfjen gefat)Ieit, abgettomen geobet; »unb »mtč bobnrd; »rtitfer Samerguet, »unb bač einf^omeit »unb ber nufe ber »utiž allč fjcrrtt »uub faitbffurft bilten jnefktibtg »nnb gefjbrtg, mt ju clatitem »imfern nastati endogen ttitnb eittroenbtmorbcn [et),Saž»ir gcnebtgt(igebac|)ttn folc^em »mtferer jtott}bwrfft ttaci) furfeljuttg jetl)um, »nnb Drbnung btc mt attatit »uitč fonnber auc^ »nnfem tt>unbertl)oncn ju guetfyem fum6en foUe furjunemett. SSuitb bemnadj »nferrt rat »enb getreroen Itebett (jterontmfjen be fara: ju »tmfcrrt o* bričten ffiafbmetfler furgenomen »nnb »erorbent: »unb auf Sne mit gnetem Mat unb 6eweg 3nflruftton »nnb orb* itung wie er mit »nnfem ©alben »nnb geffo 3n »mtb roumb obermeltgtefljen »unb orteit gelegen fcin mtt cnuroorb* itung unb Orimiemung be$ £>a§. SSoit jebiidfjen premt »unb anbern jpolts, ber unž bcittn rote obfiet ptltdjen junfleet. ijanbfett ti)un »unb cutčricfjten foKe gefteft. »unb bamtt ge* bacfjter »unfer ©aftmetfier fotcfiem »nnfertt beueKcfj Sttflruc* tiott »»tub orbnung umge3t)rrt uad^fjnnbctn, »nnb »ottjie* I)ung ttjim rnuge; ©o tfi an @udj alf »mtb 3et, ttt fouber« l)att »nttfer roejtttc^er beueM), baš 3r cud|> aufl"crjuge6en bmifltgujtg »nnb »orrotfien gebadjtš »nnferč ffiatbmetflerg aiittg S?olfj in vermetten vrten geburgett »ttttb malbeit cef(ad?en ober jttuerfaufen. roegč ttunberfteet ober tt>mtberfaf)et, ober fonft tn anber roeg rotber beftimpte »unfer gefetjte orbnung atntljerfep Srrung »unb Jpinbrmig tfjuet ber beroetgt, fenber gcbctcf>ten ffialbmeifter in fetnem beuefnd& »unb Snfiructtort mte mir 3me barStjitcn aufgefegt, fanbeftt »unb ferfarreit laffet »nnb auf fem anlangen allel)tff »unb furbnmg be>»et'$t »nnb erljatget, »ititb @ttcf) nit anberji t>oTtet: bet »ermetbuitg »unferer fcfjmačiren »itnbgttab »nb* firafft. baran tl)uet ir »nnfern erufHtcfieit mtlfen »nnb mei* mmg. ©ebett ttt »unferer ©tat Sffitetm ant l.teit £agbeč SOJonatž Nowembris tm $unffget)ent)unber »unb brem »nnb bretfjTgtfleit »unferer 9feid)e be<5 Diomtfc^ejt trt britett »nb ber attbern tm ac^ten 3arcrt. $er btttanb, CL. S.) Ad mandatum domini Regis proprium (illeggibileJ. Escursioni nell' Agro di Rovigno. (Continuazione). Nel discorrere sull'approdo delle sacre spoglie di S. Eufemia in Rovigno, abbiamo precipitato allorquando dissimo di nessuna traccia di giurisdizione veseovile di Pola sopra Rovigno, fuor di quella registrata negli atti deli' approdo ; la quale asserzione noi dobbiamo oggiri-traltare e speriamo, con giovamento delle storiche inve-stigazioni. E dacche siamo sulla via delle ritrattazioni, richiameremo quanto abbiamo detto nel Nr. 32 del secondo anno del giornale sulla serie degli Abbati di S. Ma-ria Formosa di Pola, e sul nome deli' isola di S. Andrea o scoglio maggiore in quel porto; serie e nome che a-vevamo creduto di trovare nelle carte di Ravenna, tratti in errore da quelle carte medesime. 4 Da diploma pubblicato dalPAbbate Olivieri tratto dali' archivio di Porto, registrato nella nuova raccolta di opuseoli del Mandelli (tomo IX) apprendiamo che P imperatore Leone aveva fatto dono della corte di Panarino nei dintorni di Faenza alPAbbazia di Santa Maria'e Santo Andrea sull' isola di Serra nelle parti degli Istriani. Que-sto imperatore, che fu sovrano di Ravenna e deli' Istria, non altri puo essere che Leone 1' Isaurico, il persecutore delle sacre immagini, il quale regno dal 25 maržo 717 al 18 giugno 741; durante P impero del quale avvenne P orribile terremoto di cui abbiamo parlato nel N. 37-38. II diploma medesimo recato dali' Olivieri e deli' anno 859 e registra P affittanza fatta a due Ancillae Dei, donne sacre a Dio, dal monastero di S. Maria e S. Andrea nel-P isola di Serra partibus Histrgensis, dali' abbate Andrea dello stesso monastero, e dal vescovo Andegiso di Pola, queIlo stesso che costrusse il secondo duomo di Pola del quale rimane la lapida che ricorda P avvenimento. L'Abbate era in Ravenna ove fu fatto P atto, ed in Ravenna si trovava pure il vescovo, il quale appunto per P inter-vento sembra avere avuto giurisdizione di tutela sul monastero medesimo. Da carte successive si conosce che questo monastero di Serra aveva nelPagro Faentino e nell'agro Cor-neliense, propriamente nella Pieve di S. Pietro Trans Silvam, altre possessioni di alcune delle quali si registrano i nomi= Fabriaco maggiore, Fabbriaco minore, Casalgoto, Armentaria, Cipolino, Fornace, Ronco, Sambotica, Gra-narigo, Casalmaggiore, Reda, Sambuceta. Molte carte successive contengono le affittanze di queste terre, delle quali fu fatta investita per cento anni alPAbbazia di S. Maria di Pomposa; altri possessi dei I qua!i P abbazia istriana era in aspettativa, o venne al pos-sesso, vennero dati alla chiesa Ravennate di Porto, e ad altri. Tutti questi diplomi furono fatti in Ravenna, e la serie loro appena lascia dubitare che 1'abbate istrianose non aveva stanza fissa in Ravenna, vi si recava frequen-tissimamente; nessuna e rogata in Istria; il nome del monastero e sempre detto = S. Marine et S. Andreae (talvolta coIPaggiunta Apostoli) ininsula Serra — nelle parti delPIstria, o nella provincia delPIstria; mai con altra indicazione piu precisa che ricordasse l'agro o la citta. Soltanto ih carta del 1154 del 12 maggio rogata in Pola si vede usata altra indicazione cioe Monasterium S. Mariae de Cereto (Canetoj et S. Andreae de Serra; in carta dello stesso giorno fra le stesse persone e per oggetto simile si dice che fu rogata in Insula ecclesia-rum S. Andreae et Floriani, nome questo secondo che gia era deli'isolotto detto degli olivi; queste carte contengono P una la dichiarazione fatta dali'abbate e dai monaci di non avere fatto altre concessioni al monastero di S. Vitale di Ravenna oltre quelle fatte dagli ante-cessori; 1' altra la dichiarazione del vescovo che certa carta rilasciata al monastero di S. Vitale di Ravenna fosse nulla e di niun valore. Con terza carta dello stesso giorno I' abbate dava in enfiteusi ad un canonico di Porto alcune terre nella pieve di S- Stefano in Cololrita, e la corte di Vadosello sul fiume Senno; terre del tutto diverse da quelle che possedeva il monastero di S. Maria e S. Andrea in insula Serra, delle quali abbiamo fatto menzione di sopra. Ouesti atti rogati in Pola vengono dal Fantuzzi ri-portati per estratto, e potrebbe essere corso errore nello scriversi S. Andrea de Serra indotto da tale nome sempre aggiunto al nome di S. Andrea nei diplomi anteriori ed in uno successivo. Questa indicazione precisa di S. Maria di Caneto, e di S. Andrea de Serra nei porto di Pola, ci fe' credere che in tutti i diplomi si parlasse di S. Mnria Formosa di Pola. Pero meglio pensando, sembra strano che parlando di S. Maria e S. Andrea in insulu Serra, non si preferi-sca di indicare la citta di Pola, nolissima, ed entro la quale stava Pinsigne basilica, anzi che dire parlibus istriensis e provinciae Islriae. Le chiese antiche dei monasteri dedicavansi alla Beata Vergine e ad altro santo, al pari delle altre chiese; il dirsi S. Mariae et S. Andreae non autorizza a ritene-re due chiese diverse, o due monasteri, anzi in diploma del 1035 si dice espressamente mnnasterium fundatum in insiila Serra parlibus istriensis. Le chiese in Pola e-rano certamente due, 1'una di S. Maria di Caneto, o Formosa, P altra di S. Andrea, la prima era entro le mura di Pola, e certamente di quesla non poteva dirsi in in-sula; 1'abbinazione di due chiese si distanti non poteva seguire materialmente, e non poteva seguire spiritu*l-mente. L'Anonimo che dett6 i dialoghi sulle antichita di Pola in sulla fine del secolo XVI, riuonosce che S. Andrea era membro deli'abbazia di Caneto, ina ne fu fainiglia re-ligiosa distinta, ne l'una ne 1'altra dipendevano da Ravenna, e (juando nei 1300 circa, cessarono i conventi be-nedettini nell'Istria, le sostanze di S. Maria di Caneto e di S. Andrea sullo scoglio del porto, passarono alla basilica di S. Marco di Venezia. Ned e verosimile che gli abbati delPitisigne basilica di S. Maria Formosa di Pola, nei tempo in cui Pola si teneva ancora citta prospera e polente, gli abbati di S. Maria di Caneto che portavano mitra, preferissero di stare in Ravenna piuttosto che in Pola. II nome di S. Maria di Caneto fu usitato per indicare questa chiesa e lo si riseontra in piu diplomi, e fu conservato nella bocca del popolo, che la chiama l'ab-bazia di Canedo; in diploma del 1257 si dice espressamente Volne in Ecclesia Sanctae Mariae de Caneto. Altra isola potrebbe quindi essere questa detla di Serra, sulla quale vi era un monastero di Santa Maria e di Santo Andrea, che aveva la dignita abbaziale, e che aveva beni in Ravenna ove passavano il piu del tempo gli abbati. Nei 1490 usciva per le stampe in Venezia un por-tolano del mare, coinunemente ijttribuilo al celebre viag-giatore Alvise da Mosto, ma che per consenso di dotti non e di lui, ed e anzi anteriore in tempo. Noi P abbiamo pubblicato nella prima annala n.° 76 - 77, e vi avremmo fatto seguire altri portolani antichi, sempre ot-timi per la geografia, se non ci avesse astenuto tema di dar troppa noia. In questo portolano si fa menzione del-1' isola maggiore del porto di Pola, e la si ilice S. Andrea; ma si registra anche S. Andrea di Serra o di Sera, cosi dicendola per ben quattro volte, cio che esclude ac-cidentale interpolazione della voce Sera, o scambio; e questo Santo Andrea di Serra non e altra isola che quella di S. Andrea di Rovigno. Del quale nome di Sera di- remo non essere questo del tutto nuovo nell'antichita, dacche alle coste di Dalmazia vi era isola di nome Sera, siccome ve ne era anche una di nome Cissa; il che di-ciamo per dare argomento di induzioni a chi non cre-desse accidentale il trovar dati i nomi di due isole dal-mate a due isole istriane, e delle maggiori. Altri portolani coetanei a quello che si dice di Alvise da Mosto, confermano questo nome. Per le quali cose noi siamo indotti a credere che I'abbazia di Santa Maria e S. Andrea in insula Serra partibns istriensis, dei diplomi di Ravenna , sia il Santo Andrea di Rovigno. E ben si adalterebbe a questo monastero che Leone Isaurico nei 741 lo donasse di terro intorno Ravenna, con che avrebbe avuto compenso per i Ia sparizione deli'isola di Cissa, la di cui citta avrebbe dato alimenlo ai monaci; ben s'adatterebbe che rimasta Sera in luog.t deserto ali'intorno, 1'abbate ed i monaci stassero in Ravenna, lasciatine alcuni per P officiatura, e che tale dimora in Ravenna fosse aneor piu suggerita dalle depredazioni delli Narentani cui ando incontro Rovigno nei X secolo, ed i quali non avranno risparmiato ! il monastero di Sera, mentre Pola non ebbe punto a sof-frire incursioni; ben s'adalterebbe che P isola di Sera fosse proprieta del monastero di S. Maria Rotonda di Ravenna, aliorquando nei 1454 venne data ai francescani, che con censo annuo ne riconoscevano il dominio; ben s'a-uatterebbe che 1'abbate avesse in Ravenna (coine vedesi nei diplomi) il nome di abbate istriano, nome che im-propriamente assai si sarebbe dato ali'abbate di S. Maria di Canedo; ben s'adatterebbe che il monastero si dicesse in partibns Islriae od in provincia lstriae, mentre sparita Cissa non vi era citta si prossima da dirlo deli'agro tale, o della citta tale; ne si tosto altra citta prese il luogo di Cissa. E se cosi fosse, come pensiamo che sia, la presen-I za di questa abbazia verrebbe in conferma delPesistenza I della citta e del vescovato di Cissa antica, 1'eta della parte I antica della chiesa esistente mostrerebbe come il monastero debba riportarsi a' tempi vicini alla fondazione dei j vescovati istriani. E vi sarebbe ragione di credere che sparita Cissa, il governo spirituale venisse assunto dalla I chiesa veseovile prossima di Pola, il cui vescovo. e car S pitolo vediamo intervenuti a carta di atfiitanza della pos-sessione di Panarino deli'anno 859; per cui avrebbe ragione 1'intervento del clero polense, alla verificazione del sacro corpo di S. Eufemia allorquando passo in Val Sa-I line, ed anzi giova a circoscrivere il tempo di tale av-venimento. La diocosi di Cissa fra terra, sarebbe stata data ai vescovi di Parenzo neIPanno 950. Nelle conferme fatte dai Sommi Pontefici ai vescovi di Parenzo delle loro giurisdizioni, la prima delle quali e deli'anno 1177, si nominano i monasteri soggetti al vescovo, tra questi non vi comparisce quello di S. Andrea di Serra; perd non vi comparisce nemmeno quello di S. Pietro in Selve, sebbene fosse fondato fino dali'anno 1134. La causa di questo silenzio per riguardo a S. Pietro in Selve e nota, cioe questa abbazia non dipendeva dal vescovo parentino, ma era immediatamente sottopo-sta al patriarca di Aquileja; i conti d'Istria, fondatori deli'abbazia ne avevano il patronato. E ben puo rite- nersi che 1* abbazia di Sera gia soggelta al vescovo di Pola, fosse stata esentata; certo si mantenne esenle dalPau-torita ordinaria, se anche in tempi posteriori, p. e. nel 1300 quando durava Pospizio, e tutte registravansi negli alli parentini, le chiese soggette a quel prelato, di Santo Andrea non si facesse menzione. Abbiamo veduto un brandello di inscrizione su questa isola di Sera che ci parve a caratteri del tempo dell'E-sarcato, ma era cosa troppo piccola per trarne notizie. Se al proprietario di quell' isola che sappiamo propenso alle cose di antichita e della provincia venisse dato di rinvenire qualche monumento, qualunque^ ei si fosse, che valga a dare migliori indizi, le not zie della patria ne a-vrebbero giovamento, perche anche una pietra, un cotto, anche una tradizione, anche un nome solo sono di uti-li ta. Diamo la seiie degli Abbati di quest'isola di Sera eliminando quelli che sono di Pola. 741 Andreas 859 Andreas 983 Juslus 1022 Joannes 1054 Erchembaldus 1071 loannes 1073 Oddo 1079 Martinus 1107 Ursus 1109 Martinus 1110 Engelscalcus 1115 Martinus 1130 Joannes 1137 Martinus 1149 Angelus 1160 Martinus 1190 Martinus 1223 Joannes. Antichita Dalmaticlie. €i giungono notizie dal professore abbate F. Car-rara dalla Dalmazia. Al traghetto del Trigl sulla Cettina, presso alla localita che dicono Gardun, esso rinvennela-pida che ricorda la restituzione del ponte sul fiume fatta col danaro e colle opere somministrate da tre citta, sotto cura di un pro-pretore della provincia. La lapida contiene nomi propri che sono di bella importanza per P antica geografia per fissare in questo punto la direzione di antiche strade, e forse piu ancora. Esso pote vedere una delle testate del ponte, e P antica palizzata di un pilone. II colle che sta a cavaliero del ponte e coperto di antichi avanzaticci; ei vide muraglie, pavimenti a mosaico e mattoni, terre cotte, medaglie di imperatori, frammenti di sculti, lapidi scritte e ruderi tali da non lasciare dubbiez-za sull'esistenza di antica citta murata, anzi che di sem-plice fortalizio; non gia V Arduba supposta dal Cattalinich. Fu tastato un anfiteatro, il di cui asse minore sarebbe in misura viennese di tese 42u, 4' che 6 quanto dire di passi romani 53. Quust' anfiteatro sarebbe minore del Polense, il quale nell'asse minore misura 55 tese viennesi, ossia quasi 69 passi romani. II muro della precinzione esterna e bellissimo, la-vorato a martellina della grossezza di 3', 4", 6'", quello dei piloni volti al centro e di 2', 3". Un ingresso ha la larghezza di 7 piedi, ogni cuneo di arco rovesciato e lungo due piedi, largo da 6", 6"' a 10", 6'". Atten-diamo ansiosamente che lo scopritore faccia di pubblica ragione il risultato delle indagini che promettono bel sus-sidio alle antiche cose dalmaticlie. Le lapidi raccolte in questa localita e nei dintorni sono parecchie, e di quelle che ci favori, meno una, tutte sono di militari, memorabili per le patrie diverse che o-stentano; due antiche Necropoli furono tastate in quei dintorni. Le quali scoperte ci portano a rilevare come le antiche citta di Dalmazia si palesino rovesciate per im-peto improvviso di nemici, e racchiudano fra le rovine, ora coperte di terriccio formatovisi sopra, le antiche cose, non distrutte dal rinnovarsi di altra citta; mentre in altre provincie le antiche citta sparirono solitamente per lento de-cadere, per cui i monumenti medesimi sparvero per succes-siva lenta consunzione. II nuovo sorgere di citta tolse poi anche le traccie, se per buona sorte non erano a grande profondita. Desideriamo e speriamo che le indagini si estendano ad altri luoghi ancora, che certamente si avra ricca messe, e le leggende monumentali, funebri, onora-rie, adulatorie, sacre, manifesteranno la storia della provincia, che gli scrittori delle cose deli'impero non cura-rono; che i provinciali o non dettarono od i lavori loro furono travolti nel vortice delle irruzioni, e delle rivo-luzioni; la storia stessa generale ne avra giovamento. La Dalmazia litorale, la mediterranea, la transardiana promettono dovizie di materiali, se non per Parte raffigu-rante, certamente per l'antica geografia e per la storia provinciale. Fosse la Bossina e PErzegovina di facile e sicuro accesso! il terreno e vergine ancora; provincia che va collocata tra le piu celebrate deli'impero romano e ancora terra ignota, piu ignota che altre lontaue, e di minore importanza. Registreremo le inserizioni favoriteci dalla gentilez-za del professore Carrara; facciamo voti che altre ven-gano a sua conoscenza e si arricc hisca il lapidario dal-matico. L • ALLIVS • L • F • FAB SIGNIFER • LEG • XI ANN • XXX • STIP • X H • S • E L • STATIENVS • L*F • FAB IA CATVLVS • POS Ouesta leg ione XI che e Claudia Pia Felioe, ed alla quale si inscrissero anche istriani, era di stazione nella Mesia: Claudio imperatore la trasporto nella Dalmazia. Nella guerra di Vitellio passo in Italia, poi ritorno in Dalmazia, e puo veramente dirsi dalinatica. Nella lapida si tace il nome della patria di questo Allio, perche sepolto in patria. La tribu Fabia potrebbe giovare a ri-conoscerla. C • HELVIVS • C • //// MACER • VLP • MIL iiiiiiiiiiuiimi^^ T • ANCHARENVS T • F • SER DOMO ■ LARANDA MIL • LEG • VII • AN XLV • STIP • XXIII H • S • E Noi diremo di questa legione settima ricordata anche in altre lapidi seguenti, che fu coscritta la prima volta da Giulio Cesare nei dintorni d'Aquileja nell'anno 53 avanti G. C., che feee con lui le campagne nelle Gallie, ove comandata da P. Crasso fe' macello degli A-quitani, poi ritorno in Italia con Cesare e fu a lui fedele, combatte nella Grecia, in Asia, in Africa. Morto Cesare si uni ad Irzio Console, combatte a Modena contro la cavalleria di M. Antonio, e fu tra le trenta legioni di questo. Augusto le assegnč la Mesia, nell' anno 19 d. G. C. Tiberio ne mandd un drappello in Dalmazia, ove lavoro alle strade. A' tempi di Claudio Imperatore era ancora nella Mesia, e da lui ebbe il titolo di Claudia Pia Felice. Tenne per Ottone contro Galba, e venuta in Italia, in Aquileja si dichiaro per Vespasiano, brucio Cremona, e venuta a Roma consolido P Impero di lui, poi ritorn6 nella Mesia; Domiziano la condusse contro i Sarmati, Trajano contro i Daci; a' tempi di Settimio era in Mesia, ove stava ancora ai tempi di Teodosio. Dalla leggenda s' apprende cheJ\_Ancareno fosse domiciliato in Laranda, citta della Cappadocia nella prefettura Antiochiana. Me-morabile si e poi la sincera lezione di VLP siccome tribu; non potendo persuaderci che il MACER. VLP na-sconda nome di citta. Di questa stessa settima legione si era Lucio Va-lerio, domiciliato in Filippi di Macedonia ( diciamo domiciliato, perche la patria era Roma). L- VALERIVS • L • F • VOL DOMO • PHIL1PPIS MIL • LEG • VII • ANN • XXXV STIP • XV///// lil/J/ P • S • T Altra leggenda registra un Cneo Domizio che fu da Pessinunte, citta della Misia nell'Asia minore; solda-to esso pure, ma di legione il di cui nome o numero non piu si legge. CN ■ DOM1TI VS•CN F•VEL PESSINVNTE AN. XLIX- STIP XXVVETERAN EX • LEG//// TESTAMENTO FIERI • IVSSIT In altra si fa menzione deli' ala Claudia Nuova di cavalleria, nota per altra lapida Salonitana. M . ELVADIUS . MACRE EO • ALAE . CLAVDIAE . NOVAE DOM . CVGERNVS . ANN . XXX. STIP . XII T • F . I TI. CLAVDIVS AVRELIVS HER.POS La patria di questo Elvadio olfre materiale ad e-same; non sappiamo che comparisca in altri marmi. Noi pensiamo che fosse spagnuolo della Tarraconese, e fosse di quel popolo che si disse Cuacerni, se ci dovessimo tenere alla lezione di Toloineo che registra Aquae Cua-cernorum. Le lapidi dalmatiche mostrano frequentemen-te imperizia di ortografia e di lingua sia del quadratario che incideva le leggende, sia di chi le dettava, sia di., tutte e due. Si vede inciso CVGERNVS, in luogo di CVACERNVS; e ci persuade che questo nome non fosse di citta, che altrimenti starebbe in ablalivo, ma di tribu o di popolo; sebbene si dica DOMO o per seguire la so-' lita formola indicante il luogo di domicilio o per imperizia. Registriamo per ultimo leggenda di donna TITIE . PRO CILLAE . AN NORVM • XXXVI Riempitura. Dalle molte inscrizioni aquilejesi favoriteci dal sig. Vincenzo Zandonato di Aquileja, diligente ricoglitore ed amatissimo delle antichita, leviamo la presente di un Ci-vis (scritto Cives) Menapius, cioe di popolo della Belgi-ca alla Mosa, soldato nella Coorte I dei Pannoni del Ca-pitano Basso ADIVTOR LAVCI • F CIVES MENAPIUS MIL • COHO • I PANNONIORVM 7 • BASSI • STIPENDI • XI ANN • XXXII H • S • E Trieste, Tipografia del Lloyd Austriaco. \