ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 ricevuto: 2004-04-14 UDC 343.32:316.653(450.72 Neapelj)"1855/1856" OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL REGNO DELLE DUE SICILIE: IL CASO MIGNOGNA - DE PACE (1855-56) Maria Sofia CORCIULO Universitá degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltá di Scienze politiche, Dipartimento di Studi politici, IT-00185 Roma, Piazzale Aldo Moro 5 e-mail: mariasofia.corciulo@uniroma1.it SINTESI A partiré dal 1848, e fino all'Unificazione, si susseguirono a Napoli una serie di processi politici che culmineranno, nel 1855, in quello contro Nicola Mignogna e la sua piu stretta collaboratrice, Antonietta De Pace (assieme ad altre 12 persone), i quali tenevano le fila di una vasta e ramificata rete cospirativa rivoluzionaria. L'interesse di questo processo consistette sia nella personalita degli arrestati (fra l'altro, per la prima volta, una donna fu accusata di cospirare contro lo Stato), sia nel fatto che, allo svolgimento di esso, si interessarono alcune fra le piu note testate gior-nalistiche europee, fra le quali il "Times", il "Morning Post", il "Journal des débats" e "Le Constitutionnel". A quel tempo, infatti, gran parte dell'opinione pubblica europea era fortemente indignata a causa delle crudeli repressioni poliziesche attuate dal regime borbonico; fu proprio a causa di questa pressione esterna che agli imputati furono evitate le pene previste per i loro gravi reati, fra le quali quella capitale. Parole chiave: congiure, processi politici, opinione pubblica, Napoli, 1855-1856 EUROPEAN PUBLIC OPINION AND POLITICAL TRIALS IN THE REIGN OF THE TWO SICILIES: THE MIGNOGNA-DE PACE CASE (1855-56) ABSTRACT In Naples from 1848 until the Unification a series of political trials took place which culminated (reached its peak) in 1855 with the one against Nicola Mignogna and his closest co-worker Antonietta De Pace (together with other 12 people), heads of a wide conspirator revolutionary network. The interesting aspect of this trial lies both in the personality of those arrested (also, for the first time a woman was accused of conspiracy against the government) as well as in the fact that some of the most famous European newspapers, such as the "Times", the "Morning Post", the "Journal des 307 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 307-319 débats" and the "Constitutionnel" dedicated attention to it. Indeed, at the time, most of the European public opinion was indignant towards the harsh police repression carried out by the Borbone regime. But thanks to such external pressure the accused were spared the punishments reserved to their criminal acts, among which the death row. Key words: conspiracy, political trials, public opinion, Naples, 1855-1856 Nella prima metà dell'800 si comincio a delineare, con una certa chiarezza, quel rapporto tra stampa ed istituzioni politiche - ed in particolare giudiziarie - che diventerà sempre più rilevante nella definizione della vittima del processo penale. I giornali, nella maggior parte dei casi, supportavano l'autorità statale che, anche attraverso la "gestione" della giustizia, manteneva la stabilità politico-economica nella società, divenendo, in tal modo, la fonte, e nello stesso tempo la voce principale di quella che sarà poi definita come "opinione pubblica"; l'influenza di questa diventerà, con il trascorrere degli anni, sempre più significativa al punto che l'autorità statale si troverà sovente in una situazione di obiettiva "debolezza" giuridico-istituzionale nei confronti di un eventuale imputato i cui crimini non venivano considerati tali da essa. Addirittura, specialmente nei processi politici - seguiti con attenzione dalla stampa -si potrà assistere ad un vero e proprio capovolgimento dei ruoli giudiziari: l'imputato di un reato si trasformava in una vera e propria vittima di una manipolazione politica ingiusta e vessatoria da parte del Moloch statale. Questa fenomenologia socio-giudiziaria sarà particolarmente evidente nel regno delle Due Sicilie, ove le condizioni carcerarie e le modalità dei processi politici -sempre più numerosi a partire dal 1848 - erano estremamente inique. Dopo la pubblicazione da parte del Gladstone delle due famose lettere a Lord Aberdeen, nel 1851 (Nisco, 1891), in Europa era sorto un movimento di opinione pubblica estremamente critico nei confronti delle disumane condizioni in cui venivano tenuti i prigionieri politici nel regno delle Due Sicilie; si era peraltro già notata - a partire dal processo alla setta l'Unità d'Italia voluta da Benedetto Musolino (Monaco, 1932, 193), iniziato nel 1848 - la presenza nei dibattimenti di numerosi rappresentanti della stampa e delle legazioni europee, fra le quali primeggiava l'Inghilterra. Proprio nel processo ai membri dell' Unità d'Italia, che si battevano per la creazione di un governo democratico federativo, si vide l'ambasciatore inglese Lord Temple intrattenersi apertamente con uno degli imputati, il noto patriota Carlo Poerio, che era stato ministro dell'Interno nell'effimero periodo costituzionale napoletano del '48. Fu questo il primo - si concluse nel 1851 - di una serie di processi che, fino al 1856, si susseguirono, a causa delle delazioni delle numerose spie infiltrate fra le fila patriottiche, delle quali - come scriveva il "Times" - "ve ne sono a migliaia, e mi 308 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 307-319 spingo oltre nell'affermare come non vi sia paese, comune, neanche un singolo salotto del Regno, dove i suddetti parassiti non siano presenti, attivi e continuamente impe-gnati a circuire e tradire gli incauti e gli innocenti" (TI, 18-VI-1856). Le terribili condizioni dei prigionieri politici venivano spesso ricordate sia da questo giornale che dal liberale "Morning Post"; quest'ultimo - il 26 giugno 1856 -scriveva: "come possa il Poerio essere ancora in vita è una domanda cui nessuno riesce a dare risposta. Le catene gli hanno causato una grave affezione spinale ormai incurabile, altri hanno contratto terribili malattie e presto termineranno i loro giorni, altri ancora sono impazziti". Di alcuni patrioti, arrestati assieme al Poerio per i fatti del 1848, anche il "Times" descriveva la disumana prigionia: "Lo Schiavone ha perduto completamente l'uso di un occhio e parzialmente dell'altro; il Pironti, nonostante una paralisi che lo rende incapace di muoversi, eppure in catene; per non citare molti altri, quale un giovane di 24 anni, Alfonso Zeuli, consumato dalla tubercolosi a causa dell'umidità della prigione, ridotto ormai uno scheletro incapace di respirare e parlare; a questi è stata già amministrata l'estrema unzione eppure è ancora tenuto in catene!" (TI, 7-VI-1856).1 Secondo il "Morning Post", mentre molti altri regnanti d'Europa, dopo gli eventi rivoluzionari del 1848, avevano concesso amnistie ai prigionieri politici ed ai condannati all'esilio, "Re Ferdinando si è impegnato nel costruire nuove prigioni, che la polizia si preoccupa di riempire con una celerità d'azione che generalmente non caratterizza le popolazioni del "soleggiato Sud" [...] quelle amene isole che ai navi-ganti del Mediterraneo possono sembrare terre incantate, in realtà sono spesso lugubri luoghi di pena per quanti hanno appoggiato e creduto nel giuramento costituzionale di Sua Maestà, il re delle Due Sicilie" (MP, 2-IV-1856). In tale situazione, che molti prigionieri abbiano potuto sopravvivere alle galere borboniche e far ritorno, negli anni 1859-'61, ancorché in pessime condizioni di salute, alle loro case, sembra in effetti, miracoloso. Se ció è avvenuto, il merito va senz'altro attribuito generalmente alle numerose donne patriote parenti dei detenuti, le quali, con instancabile metodicità tenevano i contatti con i reclusi dei penitenziari di queste "amene isole", a cui portavano, oltre ai generi di conforto, lettere personali, ma anche messaggi politici spesso per iscritto, grazie alla facile corruzione dei secondini e guardie carcerarie. La mente di quest'organizzazione fu Antonietta De Pace, originaria di Gallipoli e trasferitasi con la sorella Rosa a Napoli, dopo la morte, nel carcere di Lecce, del cognato Epaminonda Valentini (patriota coinvolto anch'egli negli avve-nimenti del 1848). Fin dal 1849 la De Pace aveva creato un Circolo Femminile che diventerà, suc-cessivamente Comitato politico femminile, e nel quale le mogli di Luigi Settembrini e Filippo Agresti avevano il compito di tenere i contatti con i penitenziari di S. Stefano e 1 Tali notizie venivano fatte conoscere ai redattori inglesi dai parenti dei patrioti detenuti. 309 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 301-319 Ventotene, mentre la zia di Carlo Poerio si doveva occupare di Montefusco e di Montesarchio. Alla De Pace fu affidato quello di Procida, dove erano segregati un suo cugino (lo Schiavone) ed un suo fidanzato, Aniello Ventre, condannato a 20 anni di ferri per aver fatto parte della Società Cristiana, derivazione dell' Unità d'Italia, di Musolino.2 La De Pace, contemporaneamente, manteneva i rapporti con le associ-azioni segrete rivoluzionarie di quegli anni, in particolare con quella capeggiata da Nicola Mignogna, fervente patriota originario di Taranto, già arrestato, ma rilasciato, per gli avvenimenti del 1848, e da allora attentamente controllato dalla polizia borbonica (come si puo leggere negli incartamenti dell'Alta Polizia (ASN, AP, 91, 268-282)). Egli fu arrestato il 27 luglio 1855, a causa della delazione di un certo Domenico Francesco Pierro, bollato con parole di fuoco dal "Times", che seguirá d' allora in poi con la massima attenzione lo svolgimento del processo. La spia borbonica affermo che il Mignogna aveva sia frequentazioni sospette e sia riceveva spesso taluni "scritti incendiari" (alcuni dei quali consegnati personalmente dal Pierro alla polizia). Tuttavia l'abilità del Mignogna e delle sue sorella e nipote, le signore Salomone (presso le quali abitava alla salita San Potito 12), fecero si che la maggior parte delle prove a suo carico non venissero rinvenute nella perquisizione effettuata dalla polizia. Cio che gli fu trovato - cucito nella fodera del cappello - valse tuttavia ad incriminarlo: si trattava di un proclama agli italiani (forse del Mazzini) che l'astuto commissario Campagna "diceva fatto per muoverli a rivolta e proclamare la Repubblica, diretto preventivamente alla seduzione dell'armata napoletana" (Lazzaro, 1867, 88). Contemporaneamente al Mignogna fu arrestato il sacerdote Angelo Antonio De Cicco, che, minacciato di torture fisiche, ammise l'esistenza di un frate cospiratore, a cui il Pierro aveva accennato, individuato in padre Raffaele Ruggero degli Agostiniani scalzi (di S. Teresa, a Napoli). Qualche giorno dopo il delatore fece il nome anche di Antonietta De Pace - "che amoreggiava col noto settario Aniello Ventre: e che attivava non solo con lo stesso ma con altri condannati politici corrispondenze criminose" (Lazzaro, 1867, 45). Antonietta, che a causa della sua attività eversiva era costretta continuamente a cambiare casa, sia per non coinvolgere la sorella Rosa, sia per depistare l'occhiuta polizia borbonica, proprio per meglio tutelarsi, si era trasferita nel Convento di San Paolo, ove svolgeva ufficialmente la funzione di corista. Al momento del suo arresto, il 24 agosto 1855, si trovava in casa della cognata, sorella del patriota Valentini, Caterina, in via Cisterna dell'Olio 13. A tale proposito il futuro compagno e marito della De Pace, Beniamino Marciano, 2 Contrariamente a quanto scriverà il futuro marito della De Pace, il patriota Beniamino Marciano, secondo il quale si trattava per la De Pace di un legame inventato ad hoc per permetterle di accedere al penitenziario con un valido pretesto, ho rinvenuto fra le carte della polizia un inequivocabile biglietto, scrittole dal detenuto e sorprendentemente sfuggito alla totale distruzione della loro cor-rispondenza, attuata, quasi sicuramente nei giorni successivi all'arresto del Mignogna (cfr. ASN, AP, f. 91, fasc. 268-282; Marciano, 1901). 310 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 3G1-319 scriverà che - all'irrompere della polizia - Antonietta trasse dal seno due piccoli foglietti (si trattava - secondo lui - di messaggi mazziniani in carta velina), e appallottolatili, li inghiottî dicendo all'esterrefatto commissario che prendeva delle pillole (Marciano, 19G1). Le accuse contro di lei e gli altri congiurati erano estremamente gravi: "cospirazione unitaria repubblicana ai fini del sovvertimento del- 10 Stato"; inoltre, pur avendo distrutto la corrispondenza più pericolosa, tuttavia, nella sua cella del convento di San Paolo, erano state rinvenute lettere che, nel loro frasario, facevano pensare - come difatti era - ad una corrispondenza in cifra. La De Pace, richiesta più volta di spiegazioni in merito, sia dall'abile, duro commissario Campagna, che la tenne, per stroncarne il fisico, ben quindici giorni su di una sedia, svegliandola spesso di notte, quando si assopiva, per interrogarla; sia, successivamente, dai giudici, in sede processuale, nulla mai ammise adducendo, quando si trovo in difficoltà, delle giustificazioni cosî intelligentemente escogitate da far sî che le prove vere e proprie del complotto non potessero essere riscontrate.3 Anche Nicola Mignogna, al quale furono inflitte sessanta nerbate, perché confessasse, nulla ammise; egli sostenne, al contrario, che la corrispondenza incriminata era stata appositamente inserita nel suo cappello, lasciato in anticamera, dalla polizia borbonica. Il processo suscito notevole interesse tra l'opinione pubblica, non solo italiana, ma anche straniera: vi assistettero sempre taluni ambasciatori, fra cui quelli francese, inglese, americano e prussiano, e molti corrispondenti di giornali, quali "L'Opinione" di Torino, "Il Corriere mercantile" di Genova, i francesi "Journal des débats"e "Le Constitutionnel" e gli inglesi "The Times" e "Morning Post". "Questo processo intanto incominciava a menar rumore: l'opinione pubblica era stanca di processure politiche; essa si impadroniva dei medesimi, quindi la stampa francese, la inglese e quella del Belgio e del Piemonte e di tutti gli altri Stati liberi, trasmetteva i nomi degli imputati dall'un capo all'altro d'Europa, onde quello del Mignogna risuono notissimo; talché quando si aprî la discussione pubblica nella gran sala della Corte Criminale di Napoli, si vedevano alle tribune tutti i rappresentanti delle potenze estere ed i corrispondenti dei giornali più noti" (Lazzaro, 1861, 96). Naturalmente il governo borbonico che, a causa della guerra di Crimea, non aveva in quel periodo buoni rapporti con l'Inghilterra e la Francia, era molto attento a queste presenze "straniere". In una lettera - datata 16 giugno 1856 - (il processo duro 46 giorni) il procuratore generale del Re presso la Gran Corte Criminale, 11 duro Francesco Nicoletti, cosî informava il Direttore del Ministero di Stato e Real Segreteria di Grazia e Giustizia: "Non debbo inoltre tacerle che continuarono ad intervenire alle udienze il Ministro degli Stati Uniti d'America, e l'altro di Sua Maestà Prussiana, essendovi presenti ancora due Inglesi che si dissero della Legazione di quel Governo in questa Capitale, nonché un altro personaggio appartenente alla Legazione 3 II "Times" del 16 giugno 1856 informava i suoi lettori che, nonostante le indignate voci dell'Europa, in Napoli si sarebbe cominciato a dibattere un nuovo processo politico "The Mignogna Case, from the name of the principal person accused". 311 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 301-319 francese" (ASN, MGG, f. 5380/926). I nomi di coloro che furono processati figurarono nel "Times" del 23 giugno, e corrispondono a quanto si puo leggere anche nell'originale incartamento archivistico: "Nicola Mignogna, legale, Angelo Antonio De Cicco, sacerdote secolare, padre Raffaele Ruggero, monaco agostiniano, Gennaro Mortati, proprietario, Beniamino De Rosa, sacerdote secolare, Antonietta De Pace, ritirata nel tempio di S. Paolo, Carlo De Angelis, Raffaele Mauro, Aniello Ventre, tutti "servi di pena" - cioè già condannati ai ferri - Giuseppe Avitabile "condannato a reclusione" (ASN, MGG, f. 5380/264). A proposito di questo processo il Romano sostiene che è uno dei tre-quattro succedutisi a partire dal 1852, tutti collegati all'attività rivoluzionaria del Pisacane, e che pertanto rivelano "la strettissima connessione tra fatti che gli storici finora hanno isolato e che invece hanno tutti la stessa fonte" (Pisacane, 1931, 488). Il comportamento della De Pace, "sagace, calmo, accorto ed inflessibile",4 rese spregevole e quasi ridicolo il governo borbonico di fronte all'Europa", tanto più che il "Times" l'aveva fatta figurare nell'elenco degli arrestati come "suora"; ma anche perché le crudeli e illegali vessazioni a cui venivano sottoposti i prigionieri politici furono rese note all'opinione pubblica dalle corrispondenze dei giornali stranieri. La stessa De Pace fu rinchiusa per 18 mesi nel carcere femminile di Santa Maria in Agnone, "reclusorio preventivo di tutte le male donne, accoltellatrici, camorriste, manutengole di ladri o ladre stesse" (Marciano, 1901, 44). Fra le testimonianze (gli avvocati difensori furono il Longo, il Lauria, il Pessina e il Castriota), molto importante fu quella di Liborio Romano che affermé quanto la persecuzione contro la fa-miglia d'origine avesse contribuito a rovinare la vita di questa donna, sulla quale si espresse - secondo il "Times" - "nei termini più lusinghieri"; in ció smentendo l'atto d'accusa nel quale era contenuto un "obbrobrioso epiteto" (cfr. TI, 2-VII-1856).5 Il quotidiano dedicó a questo processo numerose corrispondenze, riportando integralmente - caso mai avvenuto in precedenza - l'atto di accusa del quale confutava sia la legittimità, sia soprattutto, i metodi attraverso i quali si era pervenuto ad esso: "la maggior parte degli arrestati fu costretta a passare l'intera notte nella stazione di polizia del Quartiere del Porto, dove furono testimoni del trattamento inflitto al Mignogna. Questi venne denudato, i gendarmi rivaleggiavano tra loro nell'insultarlo, sputandogli in faccia e percuotendolo, dopo di che lo richiusero nelle latrine, dove dovette passare la notte. Il Mignogna venne quindi legato e gli furono inflitte 50 nerbate. I detenuti hanno poi dovuto passare molti giorni senza luce né aria, senza sedie o giacigli, finché la pubblica opinione [per la prima volta si accenna chiaramente anche a quella na-poletana!] ora consapevole delle brutalità a cui venivano sottoposti ha cominciato a 4 Cosí lo definirá il marito (Marciano, 1901, 61). 5 Il quotidiano notava, a proposito delle traversie della De Pace che "il liberalismo rimane attaccato a certe famiglie come una maledizione". Sui rapporti fra Liborio Romano ed i patrioti salentini a Napoli cfr. Vallone, 1996. 312 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 307-319 mormorare il proprio dissenso" (TI, 16-VI-1856), ed ancora: "Il prete De Rosa (un altro accusato) ha dichiarato di aver dovuto subire colpi ed altri trattamenti ingiuriosi, contro cui ha protestato come uomo e come sacerdote. Potrei enumerare una serie di crudeltà inflitte agli sfortunati detenuti. In un impeto d'ira il Governatore del Bagno di Procida ha ordinato che a 72 prigionieri fossero inflitti 100 colpi ciascuno e l'ordine fu diligentemente eseguito. Un governo che permette tali nefandezze non puo essere ritenuto estraneo all'infamia di suddetti atti; ed in nome delle giustizia e dell'umanità oltraggiate ogni uomo dovrebbe fermamente denunziarli" (TI, 23-VI-1856). Il quoti-diano aggiungeva poi che non comprendeva le ragioni per le quali il Borbone si fosse deciso a svolgere questo processo, in un momento in cui la "questione napoletana" era oggetto in Europa (esclusa l'Austria) della più viva apprensione, per le imprevedibili conseguenze politiche che ne potevano derivare a causa del diffuso malcontento popolare: "I sudditi del re delle Due Sicilie sono giunti al limite della loro sopport-azione. Inchiodati da un governo oppressivo, con spie della polizia in ogni casa, in ogni circolo festivo, in ogni luogo di pubblico utilizzo, questi verrebbero a ribellarsi militarmente infrangendo il giogo che li grava se non fosse per le truppe austriache che sono per loro cio che i soldati francesi sono per l'oppressa popolazione di Roma"; e, concludeva infine quasi in un grido: "[...] lasciate le libere nazioni dell'Europa guardare con compassione alla causa dell'Italia [...] e vedano cio che si puo fare e portare conforto ad una cosí amena terra ed una cosí raffinata popolazione, liberandola da una cosí ottusa schiavitù, da circostanze cosí deleterie, e da amici cosí ipocriti" (MP, 4-VII-1856). Quest'ultima affermazione del quotidiano faceva sicuro riferimento alle incertezze inglesi, ma soprattutto francesi, circa l'atteggiamento politico da tenere verso il Borbone. Sia il "Times", ma, soprattutto, il "Morning Post", premevano affinché si rompessero non solo le relazioni diplomatiche, ma si inviasse a Napoli una flotta franco-inglese a tutela dei residenti stranieri (a questo proposito Lord John Russell aveva chiesto dei chiarimenti al governo inglese). La sfiducia, il disprezzo verso il Borbone erano palesemente espressi nel "Morning Post": "la realtà è che la questione napoletana sta prendendo la forma di una questione personale legata alla figura del sovrano. Questi ha commesso innumerevoli atrocità, tantoché il portale del pentimento è sbarrato da un orrendo accumulo e dalla nefanda altura a cui si è elevato non puo più discendere. Ma non deve trascinare la nazione nella sua rovina" (MP, 4-X-1856). Ma torniamo al processo, condotto presso quella che si chiamava Gran Corte Speciale, erroneamente ritenuta una magistratura eccezionale. Si trattava in realtà di una istituzione giudiziaria ordinaria composta da un numero inferiore di magistrati rispetto a quelli della Gran Corte Criminale che giudicavano dei reati politici previsti dall'art. 426, II, pp., per i quali non era consentito appello (salvo, in casi eccezionali, alla Corte Suprema) (Landi, 1977). Accurate perizie calligrafiche erano state disposte dal procuratore generale Nicoletti sulle lettere e pezzi di carta rinvenuti in casa del 313 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 3G1-319 Mignogna e della De Pace. (Fortunatamente la corrispondenza fra De Pace ed Aniello Ventre non fu mai trovata). I detenuti, per le 46 udienze, furono trasportati dal carcere di Santa Maria Apparente, ove avevano un trattamento più mite di quello - definito da uno degli stessi imputati, Carlo De Angelis, - "orrendo e micidiale di Castelcapuano". Lo stesso noto che, "durante tutte le sedute del processo vi fu un concorso inaspettato di popolo, non solo, ma di giornalisti, corrispondenti di giornali esteri, litografisti (che presero anche i nostri ritratti), aristocratici, diplomatici di quasi tutti gli Stati europei" (De Angelis, 19G8). La richiesta del Procuratore Generale fu la pena di morte per il suddetto De Angelis, recidivo assieme a Mauro e Ventre, nonché per il Mignogna. E pene variabili dai 25 ai 3G anni per gli altri imputati. Sorprendentemente, nonostante le peggiori aspettative, la sentenza fu mite: il 2 ottobre 1856, al Mignogna fu comminato l'esilio dal regno (il Mazzini era intervenuto in suo favore presso l'ambasciatore inglese a Napoli). Agli altri imputati, con l'ec-cezione dei recidivi detenuti, Ventre, Mauro e De Angelis, ai quali furono aggiunti ai 2G che già stavano scontando altri 12 anni di ferri, non furono inflitte pene ecces-sivamente dure: due anni al sacerdote De Cicco ed uno al monaco Ruggero. I restanti inquisiti vennero assolti, fra cui la De Pace.6 Questa inaspettata sentenza, tutto som-mato mite, date le premesse, fu senz'altro influenzata dalle pressioni dirette ed indirette dell'opinione pubblica internazionale, che avevano indotto il sovrano a sostituire al vertice della Direzione di Polizia (per motivi di "opportunità" politica), il crudele Orazio Mazza con il più mite Bianchini "uomo temperato e piuttosto di tendenze inglesi... che mise da parte il commissario Campagna e con esso i più acerbi per-secutori de' liberali" (Lazzaro, 1861, 99). Secondo la prassi giudiziaria dell'epoca, la De Pace doveva essere posta, dopo essere stata assolta, per un certo numero di mesi, sotto la tutela di un parente, di provata fede borbonica, individuato nel cugino, Gennaro Rossi, barone di Caprarica, figlio di una sua zia paterna, presso il quale si stabilî, fino al 1859, in Vico Purgatorio dell'Arco (risale a quel periodo la conoscenza di Beniamino Marciano e l'inizio di una comune attività politico-patriottica). Tale sentenza veniva commentata anche dal francese "Journal des Débats", che aveva trattato saltuariamente del processo, preferendo soffermarsi più spesso sulla "questione napoletana", soffermandosi su cio che le Potenze Alleate consigliavano a Ferdinando. Il liberale "Le Constitutionnel" appoggio invece costantemente le campagne contro i Borboni ed in favore degli imputati, in cio schierandosi apertamente con i due giornali inglesi. A ridosso della sentenza il "Times" aveva invitato il suo Paese ad agire: "mi è stato ripetutamente assicurato che una richiesta ferma, pressante e ben articolata verrebbe ad ottenere tutto quanto venga domandato. E di questo sono personalmente convinto; 6 "So terminated the trial of Mignogna and his associates" (cfr. TI, 11-X-1856). Un parziale resoconto degli atti processuali relativi alla De Pace, ed anche a talune lettere "cifrate" a lei sequestrate, si trova in Colangeli, 1966; su di lei cfr., inoltre, Corciulo, 1999. 314 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 307-319 tuttavia l'Inghilterra non ha fatto altro che sventolare la bandiera rossa, pungolare, incitare ed adirarsi. Lasciate che l'Inghilterra faccia qualcosa o che non si intrometta per nulla" (TI, 1-X-1856). Dopo l'emanazione della sentenza, il quotidiano cerco di dare una spiegazione al sorprendente esito processuale: "provo ad esemplificare le cause che hanno condotto a cio. Si puo assumere, per cominciare, senza essere accusati di avventatezza, che ogni cosa in questo Paese viene decisa non in base al suo merito, ma secondo ordini superiori; pressioni sono state esercitate all'inizio del suddetto processo per assicurare una maggioranza di voti favorevoli alla condanna. Eppure solo poco tempo è trascorso da quando il Procuratore Generale ha richiesto la pena capitale per quattro dei detenuti. Che cosa è venuto a modificare l'orientamento dei Giudici e creato questa differenza tra il Procuratore Generale ed i Giudici stessi? Mi è stato riferito che il Direttore del Ministero di Grazia e Giustizia ha convocato il Presidente ed un membro della giuria, il Cavalier Canofaro, per ricordare loro essere volontà del sovrano che la legge fosse strettamente rispettata. Supponendo che le mie informazioni siano corrette ci possiamo chiedere quali siano stati i motivi dietro suddetto ordine? Perché è decisamente una novità, almeno dal 1848, vedere una corretta amministrazione della giustizia a Napoli. Forse le posizioni assunte dalle potenze europee hanno prodotto alcuni effetti e se le loro flotte si avvicinassero alla baia di Napoli potremmo forse esser testimoni di maggiori concessioni alle richieste di legalità e giustizia! Sono ancora pienamente convinto che una posizione ferma,appoggiata da una qualche energica dimostrazione da parte dell'Occidente, verrebbe infine a prevalere nonostante le circolari russe e gli intrighi austriaci" (TI, 1-X-1856). L'esito mite del processo meraviglio molto anche "Le Constitutionnel" che lo attribuiva anche ad una lettera inviata a Ferdinando dall'Imperatore d'Austria, nella quale lo si invitava alla moderazione; in seguito a cio, il mattino del giorno in cui si doveva avere la sentenza, il Presidente della corte, Grimaldi, ed il giudice Canofaro erano stati convocati dal Direttore del Dipartimento della Giustizia il quale aveva fatto loro sapere che "la volontà espressa dal re era che per questa volta si fosse indulgenti" (CO, 13-X-1856). Gli stessi ordini, continuava il quotidiano francese, erano stati dati a due altri giudici: del Forno e Vitale (in tutto erano otto). I restanti magistrati (Galluppi, Sabatelli, D'Agostino e Gubilosi) "non avendo avuto alcuna istruzione in merito, ubbidivano alla vecchia consegna e votarono per la colpevolezza degli imputati e, conseguentemente per le pene più severe": (prova, questa, della prede-terminazione della sentenza)" (CO, 13-X-1856). Pertanto, la Gran Corte Speciale, votando alla parità (4 a 4), non raggiunse la maggioranza con la quale si sarebbe provata la cospirazione contro lo Stato, reato per cui il Procuratore Generale aveva richiesto 4 pene capitali, riuscendo a far emergere solo il progetto di questa. Con la formula "non consta" - che significava insufficienza di prove - riferita ai 315 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 301-319 restanti inquisiti, la Corte stabiliva che, per essi, non si era giunti a provare nemmeno la partecipazione a tale progetto di cospirazione (non venivano, tuttavia, dichiarati innocenti, poiché la formula sarebbe dovuta essere "consta non"). La folla presente alla sentenza esultó ed alcuni gridarono "Viva la giustizia della Corte!", nonostante la visibile irritazione del Procuratore Generale, Nicoletti, (che fece addirittura arrestare le persone che avevano manifestato il loro giubilo ad alta voce). Sempre "Le Constitutionnel" - nel riferire le ragioni di tale sorprendente esito processuale, giustamente aggiungeva che esse erano state dovute anche al timore dell'arrivo delle flotte alleate (alla fine dello stesso mese l'Inghilterra e la Francia ritireranno i loro ambasciatori da Napoli) come pure alla considerazione che, giudi-cando correttamente, secondo la legge, gli imputati di tale processo, ne sarebbe derivata la constatazione che il governo borbonico aveva agito secondo giustizia, nei casi precedenti. Al termine del suo reportage, il giornale non mancava tuttavia di ag-giungere che le sentenza era dovuta anche all'atteggiamento "molto dignitoso, ma estremamente deciso della popolazione" che faceva temere al sovrano rivolgimenti popolari, nel caso fossero stati inflitti agli imputati condanne a morte; e significativamente notava: "è per questi motivi che il re ha dato ai magistrati l'ordine del quale vi ho detto più avanti" (CO, 13-X-1856). Finalmente anche nel regno delle Due Sicilie l'opinione pubblica - poco visibile nei precedenti processi politici - aveva sensibilmente contribuito a far pendere la bilancia dalla parte della giustizia. Cosí si concluse l'ultimo processo politico dell'ormai moribondo regno meridionale, alla cui fine sicuramente dette un contributo fondamentale l'azione dei giornali liberali, specchio di quell'opinione pubblica illuminata e, come scriveva il "Times", "costituzionale". In questo processo non v'è dubbio che assistiamo a quel capovolgimento dei ruoli di cui abbiamo parlato all'inizio. Lo Stato napoletano, grazie all'intervento della stampa che ne svela, facendola conoscere a tutta Europa, la iniqua gestione della giu-stizia, da parte lesa, diciamo cosí - dal momento che i patrioti avevano effettivamente progettato di attentare alle sue istituzioni (e ció sarà confermato dalla loro attività futura)- diventa il vero e unico imputato, facendo dei processati le vittime di un sistema ingiusto e delittuoso contro il quale l'eventuale crimine commesso viene considerato una specie di legittima difesa. "... il ruolo della vittima diviene uno strumento essenziale per cogliere le dinamiche che animano un determinate sistema. Il gruppo di potere predominante ha una grande capacità di cambiare la definizione di varie situazioni. Il delitto puo diventare un atto di valore, i criminali divengono eroi..." (Povolo, 2004; Chapman, 1911), fino a giungere al dissolvimento dell'atto d'accusa contro la presunta vittima. Le "dinamiche" erano quelle dei movimenti nazional-liberali concordi nella volontà di liberare l'Europa da un sistema di governo come quello dei Borboni. Questi ebbero un'influenza determinante nell'esito del processo Mignogna - De Pace grazie alla "veicolazione" della stampa progressista dell'epoca. 316 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 307-319 Nei decenni successivi, sempre più la pubblica opinione farà si che si giunga, a volte, soprattutto nei procesi politici, a un capovolgimento dei ruoli processuali de jure, che, da allora in poi, potranno divenire molto più souples rispetto alla rigidità delle norme accusatorie. Quel che è certo è che, per il futuro, non si potrà più prescindere da tale influente presenza sulla scena delle sempre più complesse trame giudiziarie tra lo Stato e il Cittadino. EVROPSKO JAVNO MNENJE IN POLITIČNI PROCESI V NEAPELJSKEM KRALJESTVU: PRIMER MIGNOGNA - DE PACE (1855-1856) Maria Sofia CORCIULO Univerza v Rimu La Sapienza, Fakulteta za družbene vede, Oddelek za politične študije, IT-00185 Roma, Piazzale Aldo Moro 5 e-mail: mariasofia.corciulo@uniroma1.it POVZETEK Potem ko je Gladstone leta 1851 opozoril na nečloveške razmere, v katerih so živeli politični zaporniki v Neapeljskem kraljestvu, se je v Evropi, posebej v Angliji, izoblikovalo skrajno kritično javno mnenje do vladavine Burbonov. Na grozovite razmere političnih zapornikov sta pogosto opozarjala tako "The Times" kot liberalni "Morning Post"; posebno slednji je pogosto zelo podrobno opisoval ponižujoča trpinčenja, ki so jim bili redno izpostavljeni zaporniki, vključno s pripadniki klera, zaprti v strahotnih burbonskih ječah. V takih razmerah je bila posebno pomembna vloga, ki so jo odigrale mnoge domoljubne žene, sorodnice zapornikov, ko so s svojim pogumom in vztrajnostjo omogočile zapornikom, da so ohranili stike z zunanjim svetom. Duša te organizacije je bila patriotinja iz Galipolija Antonietta De Pace, ki je leta 1849 ustanovila Žensko društvo (kasneje preoblikovano v Ženski politični odbor). Ta je bil del tajnega revolucionarnega združenja, ki mu je načeloval domoljub Nicola Mignogna, in skupaj z njim je bila De Pacejeva leta 1855 tudi aretirana in kmalu zatem obsojena zaradi "republikanske unitaristične zarote z namenom rušenja države". Proces je vzbudil veliko zanimanja med tujo javnostjo; prisostvovali so mu francoski, angleški, ameriški in pruski ambasador ter mnogi časopisni dopisniki, med njimi dopisnik turinskega "L'Opinione", genovskega ""Il Corriere mercantile", francoskih "Journal des débats" in "Le Constitutionelle" ter angleških "The Times" in "Morning Post". Vsi ti časopisi so med procesom obveščali svoje bralce o nečloveškem odnosu burbonskih oblasti do obtožencev in terjali prekinitev diplomatskih odnosov z Neapeljskim kraljestvom. 317 ACTA HISTRIAE • 12 • 2004 • 1 Maria Sofia CORCIULO: OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E PROCESSI POLITICI NEL ..., 307-319 Kljub temu, da je državni tožilec Nicoletti zahteval smrtno kazen za štiri obtožence (med temi tudi za Mignogno) in kazni od 25 do 30 let za tri obtožence, že zaprte in obsojene na 12 let prisilnega dela, je bila razsodba zaradi pritiskov tujega tiska presenetljivo mila. Mignogna je bil obsojen na izgnanstvo iz kraljestva, ostalim preiskovancem so bile izrečene relativno nizke kazni, od enega do dveh let prisilnega dela, de Pacejeva pa je bila oproščena zaradi pomanjkanja dokazov. Ta nepričakovani sodni izid gre pripisati močnim pritiskom mednarodnega javnega mnenja, ki so med drugim prisilili Ferdinanda II, da je v vrhu policijske uprave zamenjal okrutnega Orazia Mazzo spopustljivejšim Bianchinijem. Tako se je zaključil zadnji politični proces v Neapeljskem kraljestvu. K njegovemu izidu je pomembno prispevala dejavnost liberalnih časopisov, ogledalo razsvetljene javnosti, ki je bila po besedah angleškega "The Times" "ustavna". V tem procesu je prišlo do povsem obrnjenih vlog: zahvaljujoč posredovanju tiska je neapeljska država postala pravi in edini obtoženec, medtem ko so postali obtoženci žrtve nepravičnega in zločinskega sistema, proti kateremu je morebitni zločin razumljen kot neke vrste samoobramba. Ključne besede: zarote, politični procesi, represija, medijska pozornost, Neapelj, 1855-1856 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASN, AP - Archivio di Stato di Napoli (ASN), Alta Polizia, f. 91, fasc. 268-282. 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