611 Pregledni znanstveni članek/Article (1.02) Bogoslovni vestnik/Theological Quarterly 83 (2023) 3, 611—622 Besedilo prejeto/Received:03/2023; sprejeto/Accepted:06/2023 UDK/UDC: 27-1-278Benedikt XVI. DOI: 10.34291/BV2023/03/Fryvaldsky © 2023 Frývaldský, CC BY 4.0 Pavel Frývaldský Il carattere dialogico di ragione e fede secondo Jo- seph Ratzinger - Benedetto XVI 1 The Dialogical Character of Reason and Faith Accor- ding to Joseph Ratzinger – Benedict XVI. Dialoški značaj razuma in vere po Josephu Ratzin- gerju – Benediktu XVI. Riassunto: L’articolo presenta la concezione dialogica della fede e della ragione cristiana nell’opera di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI. Il teologo tedesco si impegna nel dibattito in corso nella Germania del ventesimo secolo sul ruolo della filosofia nel discorso teologico e presenta la sua concezione sulla base di una sintesi classica del pensiero greco e del messaggio biblico nel cristianesimo antico e medievale. Una concezione cristologica della verità e una comprensio- ne relazionale della persona dell’uomo e della sua ragione permettono di su- perare il rapporto dualistico tra fede e ragione e offre prospettive ancora valide per un dialogo per un dialogo reciproco tra teologia e filosofia. Parole chiave: Joseph Ratzinger, Metafisica, Fede biblica, Dialogo, Personalismo Abstract: The article presents the dialogical conception of Christian faith and re- ason in the work of Joseph Ratzinger - Benedict XVI. The German theologian engages in the ongoing debate in twentieth-century Germany about the role of philosophy in theological discourse and presents his conception on the basis of a classical synthesis of Greek thought and the biblical message in ancient and medieval Christianity. A Christological conception of truth and a relational understanding of the person of man and his reason enables one to overcome the dualistic relationship between faith and reason and offers still valid per- spectives for a mutual dialogue between theology and philosophy. Keywords: Joseph Ratzinger, Metaphysics, Biblical faith, Dialogue, Personalism Povzetek: Članek predstavlja dialoško pojmovanje krščanske vere in razuma v delu Josepha Ratzingerja – Benedikta XVI. Nemški teolog se vključuje v razpravo o vlo- 1 L’ articolo è il risultato del progetto PRIMUS/HUM/21 «L’ontologia trinitaria della persona umana». 612 Bogoslovni vestnik 83 (2023) • 3 gi filozofije v teološkem diskurzu, ki je potekala v Nemčiji dvajsetega stoletja, in svoje pojmovanje predstavlja na podlagi klasične sinteze grške misli ter svetopi- semskega sporočila v antičnem in srednjeveškem krščanstvu. Kristološko pojmo- vanje resnice ter relacijsko razumevanje osebnosti človeka in njegovega razuma omogočata preseganje dualističnega odnosa med vero in razumom – in ponujata še vedno veljavne perspektive za vzajemni dialog med teologijo in filozofijo. Ključne besede: Joseph Ratzinger, metafizika, biblična vera, dialog, personalizem 1. Introduzione La questione del rapporto reciproco tra fede cristiana e filosofia, tra religiosità e razionalità moderna, è uno dei temi importanti nel pensiero di Joseph Ratzin- ger. Tale questione ha occupato una delle aree più importanti del lavoro teolo- gico e filosofico di Ratzinger, dai primi anni di studio, al periodo trascorso nelle facoltà teologiche tedesche, fino ai suoi interventi nell’ufficio papale. La concezio- ne dell’autore sul complesso rapporto tra ragione, fede e religione è stata partico- larmente discussa durante il suo pontificato, e si può trovare una vasta letteratura sull’argomento, soprattutto in lingua tedesca (Štrukelj 2021). Il presente lavoro intende mettere in luce la concezione dialogica di fede e ra- gione nel pensiero del recentemente scomparso papa Benedetto XVI. Questa con- cezione è presente nell’interpretazione che l’autore fa della prima sintesi tra fede biblica e filosofia greca nel cristianesimo antico e medievale e offrendo spunti per superare la ragione «monologica» strettamente autonoma dell’epoca moderna per trovare un rapporto non dualistico tra razionalità e fede cristiana. 2. La disputa sulla filosofia (greca) in teologia Il legame antico e medievale tra fede cristiana e filosofia si interrompe con il pen- siero moderno. Nel ventesimo secolo la questione viene nuovamente dibattuta nel contesto della teologia di Karl Barth, alla quale rispondono molti teologi cattolici, tra cui anche il maestro di Ratzinger, Gottlieb Söhngen. Barth radicalizza il princi- pio protestante della «sola fides» e rifiuta le idee filosofiche e religiose su Dio che non siano basate sulla semplice fede. La sua dura critica alla teologia naturale è motivata dal fatto che non esiste alcuna somiglianza o connessione tra la nostra conoscenza «naturale» della filosofia e quella «soprannaturale» della fede (il prin- cipio cattolico dell’analogia entis), ma solo contraddizione e discontinuità. La fede è paradossale, significa un «salto» in una logica completamente diversa, che dal punto di vista della ragione umana è «stoltezza». Non c’è e non può esserci alcun punto di contatto tra fede e ragione. Non si può trovare né nella metafisica (posi- zione cattolica) né nell’esperienza soggettiva (Schleiermacher), poiché la fede non si basa su nulla di «umano» ma solo sull’azione di Dio in noi. Secondo Ratzinger, 613 613 Pavel Frývaldský - Il carattere dialogico di ragione ... però, la fede, che diventa così solo un paradosso, «non può chiarire e penetrare il nostro mondo quotidiano /…/ ma è impossibile vivere nel puro paradosso» (Ratzin- ger 1993, 18). La fede non può trovarsi in uno spazio vuoto; «la teologia ha bisogno di un punto di contatto con la ricerca e le domande dello spirito umano. Non può essere costruita in un vuoto intellettuale.» (1970, 78–79) In breve, senza filosofia la teologia è impossibile e, alla fine, anche Barth usa la filosofia nella sua teologia. Resta da chiedersi quale sia la filosofia che costituisce quel «punto di contatto» (Anknüpfungspunkt) tra fede e ragione. Secondo Ratzinger, si tratta della metafi- sica classica e il pensiero contemporaneo non deve allentare la ricerca di risposte alle grandi domande metafisiche che riguardano le questioni essenziali della vita umana, come il fondamento e lo scopo dell’esistenza in generale, il senso della vita umana di fronte alla morte, ecc. (1993, 19–20). In questa prospettiva Ratzin- ger sottolinea che la connessione tra il pensiero greco e la fede biblica nella teo- logia antica e medievale era non solo legittima ma anche esemplare per il presen- te. Prima di procedere all’analisi dell’interpretazione di Ratzinger, va detto che il nostro autore a questo proposito ha dovuto affrontare, insieme ad altri teologi cattolici, la seria obiezione della cosiddetta ellenizzazione del messaggio biblico nel primo cristianesimo. L’idea che il cristianesimo storico abbia distorto la fede biblica adottando il pensiero greco esiste fin dalla Riforma. La nozione di elleniz- zazione come processo di allontanamento dal Vangelo è stata promossa nella Chiesa cattolica all’inizio del XX secolo, soprattutto dal teologo protestante tede- sco Adolf von Harnack (Ratzinger 2003a, 74–75; Tück 2007, 158-164). La tesi esa- cerbata di Harnack dell’«apostasia» del cristianesimo cattolico dal messaggio di Gesù sotto l’influenza della cultura greca (Abfallsidee) è stata corretta e modera- ta in studi successivi, ma il concetto di ellenizzazione ha influenzato il discorso teologico (Grillmeier 1978, 458–488). Molti teologi sottolineano il contrasto fondamentale tra il pensiero metafisico greco e il messaggio biblico: il primo è impersonale, statico e cosmico; il secondo è personale, dinamico e storico. La questione della legittimità dell’adozione del pensiero greco nella teologia cristiana è stata, e possiamo dire rimane tuttora, una questione dibattuta. Secondo teologi protestanti come Oscar Culmann, il pro- blema fondamentale è la dissoluzione della concezione paleocristiana della storia della salvezza in una metafisica ellenistica (Cullmann 2005, 74–84; 2011, 23–29). In polemica con queste tesi critiche, Ratzinger, attento alla dimensione ecumeni- ca (Valentan 2017, 148), ha studiato la connessione tra metafisica greca e teologia biblica nel pensiero di autori antichi e medievali, soprattutto di sant’ Agostino e Bonaventura, e ha presentato la sua concezione del rapporto tra teologia e filo- sofia sulla base della loro sintesi classica. 3. Incontro tra fede biblica e filosofia greca Ratzinger illumina il motivo per cui il cristianesimo primitivo ha optato per la filo- sofia attingendo al commento di Agostino sul triplice concetto di teologia del filo- 614 Bogoslovni vestnik 83 (2023) • 3 sofo romano Marco Terenzio Varrone (116–127 a. C.) (Ratzinger 1954, 265–276; 1997, 50–53; 2003a, 133–136). Varrone è un seguace della filosofia stoica, secondo cui Dio è «l’anima del mon- do, che governa il mondo con il suo moto e la sua ragione» (2003a, 134). Da que- sto «Dio della ragione» egli distingue il culto degli dèi, importante per la gestione dello Stato e delle relazioni tra gli abitanti. Un altro ambito è la mitologia, rappre- sentata dalle immagini religiose dei poeti. Varrone distingue una triplice teologia: theologia naturalis, cioè la filosofia che indaga sulla «natura degli dèi», sull’essen- za del mondo, sulla causa prima dell’esistenza; theologia civilis, cioè la teologia cultuale e politica; e infine theologia mytica, che rientra nell’ambito del mito come narrazione degli dèi. Se la mitologia può essere tradotta in culto degli dèi, ciò non vale per il Dio filosofico. La filosofia, che già prima di Socrate si chiede quale sia l’essenza degli dèi, in Platone e Aristotele concepisce «Dio» come l’assoluto che è origine e fondamento del cosmo. L’assoluto, tuttavia, non può essere adorato, non può essere affrontato e comunicato, e quindi non rientra nella sfera della re- ligione (1997, 52). Senza religione, però, non è possibile l’istituzione di uno Stato e quindi sono necessari il culto e la religione. Nascono così due sfere reciproca- mente incompatibili: «la religio (cioè, in primo luogo, il culto) e la conoscenza ra- zionale della realtà.» (2003a, 135) Ratzinger cita la risposta di Agostino, che è in continuità con la prima teologia cristiana: «Agostino identifica il monoteismo biblico con le intuizioni filosofiche sulla natura del mondo sorte in diverse varianti nella filosofia antica. /…/ Con ciò egli intende dire che la fede cristiana non poggia sulla poesia e sulla politica, que- ste due grandi fonti della religione, ma poggia sulla conoscenza.» (137) Ratzinger sottolinea la fondamentale continuità tra l’assoluto filosofico e il monoteismo biblico, che confessa Dio come Creatore e Signore dell’universo. In questo senso, «il Dio sordo dei filosofi diventa in Gesù il Dio parlante e udente» (1997, 53). L’unione del «Dio della fede» e del «Dio dei filosofi» nel primo cristianesimo non è un processo illegittimo di «ellenizzazione», ma corrisponde al carattere del monoteismo biblico e alle dinamiche interne della filosofia antica. Nell’ Antico Te- stamento, la fede in un Dio creatore che non è solo il Dio della nazione di Israele, ma il Signore del mondo intero, significa che «la fede di Israele trascende chiara- mente i confini della religione tribale, che fa una rivendicazione universale la cui universalità è legata alla razionalità» (1993, 21; 2003a, 117–124). La fede vetero- testamentaria nell’Eterno, che non è una «divinità mitologica» ma è il Creatore universale, sottopone a critica i culti politeistici pagani, per cui già nella tradizione biblica sapienziale ci si rivolge al pensiero greco alla ricerca della «verità» (2003a, 75). La fede biblica, che nel cristianesimo diventa religione missionaria, non si basa sulla religione pagana, ma sulla filosofia, sulla ragione, che è in grado di con- frontarsi criticamente con le tradizioni religiose e culturali (2003b, 73). In questo senso, il cristianesimo può essere definito una religione «illuminista» perché, ri- spetto alle altre religioni, ha inteso se stesso come «la vittoria della demitologiz- zazione, la vittoria della conoscenza e della verità, e si è visto come universale e aperto a tutti i popoli» (2003a, 137). 615 615 Pavel Frývaldský - Il carattere dialogico di ragione ... Qui, però, dobbiamo dire che le idee filosofiche di «Dio» come «assoluto» im- personale e come principio razionale cosmologico non sono semplicemente iden- tificabili con la conoscenza biblica di Dio, che è «il Dio degli uomini, il Dio con un volto, il Dio personale» (2007a, 92). Ratzinger, pur parlando di continuità tra il pensiero biblico e quello greco, è consapevole delle differenze fondamentali. Per i greci, come dice l’apostolo Paolo, il messaggio cristiano di un Dio incarnato e crocifisso era «stoltezza» (Padovese 2004, 19–90). Allo stesso modo, mentre il cristianesimo ha accolto l’eredità greca, l’ha anche fondamentalmente rielabora- ta internamente per abbracciare la sua fede (Ratzinger 2007a, 70–71; 1997, 58). Ratzinger parla figurativamente del «battesimo» della filosofia antica, che è mor- ta per risorgere a nuova vita (2007a, 72). Questo processo, però, corrisponde alla logica interna della vera filosofia che, nella sua ricerca della verità, va oltre ciò che ha conosciuto fino ad allora e si apre al nuovo e all’ignoto. La fede biblica, che è diversa ed «estranea», permette alla filosofia di scoprire nuovi orizzonti di tra- scendenza che cercava ma che le erano stati nascosti (73–74). Allo stesso modo, la teologia cristiana non si limita a strumentalizzare la filosofia per esprimere la propria fede nel mondo ellenistico. La filosofia antica ha contribuito alla consape- volezza dei cristiani sulla natura della loro fede nel Dio di Gesù Cristo. Questa fede non è un mito politico, né una semplice storia sapienziale da sostituire con un’al- tra narrazione (poesia), ma riguarda l’inizio, il significato e il fondamento dell’es- sere. Su questa base, nasce una fusione tra teologia e filosofia che permette un’in- terpretazione metafisica della storia della salvezza cristiana. 4. Implicazioni dell’unione tra cristianesimo e filosofia: l’«ontologia personalistica» La concezione di Ratzinger sul rapporto tra teologia e filosofia segue il pensiero «classico» di Agostino e Bonaventura. In particolare, Ratzinger condivide una paren - tela di pensiero con il vescovo di Ippona. Entrambi i teologi, da un lato, apprezzano la capacità naturale della ragione di conoscere l’esistenza di Dio e, dall’altro, sotto- lineano la necessità della luce della fede, senza la quale la ragione non è in grado di testimoniare su Dio. Quando Agostino parla del «Dio dei filosofi» intende il «Dio dei neoplatonici». Il giovane Agostino, leggendo i libri dei neoplatonici, giunse a sapere che esiste una verità eterna e immutabile e che esiste un Essere assoluto immate- riale, eterno e buono. Allo stesso tempo, però, Agostino sottopone a critica questa conoscenza filosofica del «Logos» e di «Dio», poiché i neoplatonici conoscono la «patria» ma non conoscono la «via» per raggiungerla. In altre parole, questi filosofi vedono la meta ma non sanno come raggiungerla, poiché non conoscono Gesù Cri - sto – il Mediatore della vera conoscenza di Dio. Per i cristiani, invece, l’uomo Gesù è la manifestazione della Verità eterna (Logos) attraverso la quale la ragione, illuminata dalla fede, arriva alla conoscenza di Dio (Ferri 2007, 23–27; Madec 1993, 40–42). Qui incontriamo un paradosso inaccettabile per la filosofia ellenistica, ma che esprime l’essenza della fede cristiana: il Logos eterno diventa un uomo concreto 616 Bogoslovni vestnik 83 (2023) • 3 nella storia, e il suo destino di vita è un’interpretazione della verità universale del mondo e di Dio stesso. Nel pensiero di Agostino si percepisce una costante ten- sione tra la metafisica (platonica) e la prospettiva redentiva della storia, eppure questo grande pensatore è convinto della possibilità di questa connessione deri- vante dalla continuità tra pensiero filosofico e fede biblica (Lam C. Quy 2009, 34–35). Si tratta di un’interazione costante tra le domande della ragione e la narrazione biblica. Questo processo giova sia alla teologia, perché la filosofia offre concetti con cui la fede può essere interpretata razionalmente, sia alla filosofia, perché nel processo i concetti filosofici si arricchiscono di nuovi significati. È stato il maestro di Ratzinger, Söhngen, a parlare della teologia di Agostino come di un «sistema aperto» (2009, 32–39). Ciò significa che la conoscenza teologica è sempre in cam- mino verso nuovi chiarimenti, poiché tutti i nostri concetti non sono mai piena- mente in grado di cogliere il mistero di Dio rivelato nella storia della salvezza e sono quindi sempre aperti a ulteriori riflessioni. I concetti filosofici trasferiti alla teologia trascendono il loro significato originario, si trasformano e ritornano nel linguaggio filosofico con un nuovo contenuto. Come esempio importante, Ratzinger cita la nozione di «persona», «che lo spi- rito umano ha scoperto proprio nella lotta per l’immagine cristiana di Dio» (Rat- zinger 2007a, 125). Agostino ha spostato fondamentalmente la comprensione teologica della persona nella sua opera sulla Trinità (De Trinitate), in cui si chiede chi siano i tre nell’unico Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo). Il vescovo di Ippona identifica l’unità di Dio con la sostanza e poi cerca la trinità di Dio a livello di rela- zione (124–127). Le relazioni in Dio implicano una distinzione di persone che non distrugge l’unità della natura divina ma, al contrario, la realizza. Se per la filosofia antica le relazioni sono un accidente che non può essere attribuito all’essere as- soluto, per la teologia cristiana non è così: le relazioni non sono accidenti, ma sono ciò che costituisce le persone di Dio che condividono l’unica essenza divina. Per Ratzinger, questa concezione relazionale della persona costituisce una rivoluzione ontologica: «In questa affermazione si nasconde una rivoluzione nell’immagine del mondo: si rompe l’autocrazia del pensiero sostanziale e si scopre la relazione come modalità uguale e originaria della realtà.» (127) Agostino stesso non ha tratto dalla scoperta della concezione relazionale della persona nella teologia trinitaria le giuste implicazioni per un’antropologia che continuasse a essere determinata da una comprensione sostanziale della persona (1973, 214–215). La teologia medievale e la filosofia dell’essere di Tommaso d’ A- quino vanno in questa direzione, ma il terreno è «preparato» per un personalismo novecentesco che attinge alle radici bibliche (Clarke 2007, 8–9). Ratzinger aderisce al personalismo dialogico mediato soprattutto da Martin Buber, Ferdinand Ebner e Romano Guardini. Quest’ultimo è particolarmente importante perché questo teologo e filosofo non contrappone il personalismo moderno (e la fenomenologia) al pensiero ontologico classico, ma cerca di collegarli tra loro nella convinzione che la verità metafisica si manifesti concretamente all’uomo come realtà dialogi- ca e personale (Frývaldský 2018, 129–134). 617 617 Pavel Frývaldský - Il carattere dialogico di ragione ... Nel sottotesto di questa sintesi è presente, oltre al pensiero di Agostino, soprat - tutto la concezione cristologica della verità nell’opera di Bonaventura da Bagno- regio, studiata da Guardini e Ratzinger (73–77). Questo pensatore medievale, alla luce del Vangelo di Giovanni e in continuità con la tradizione teologica preceden- te, identifica la verità con Cristo, che è il Logos incarnato. Il Figlio eterno di Dio (Verbum increatum) è il modello e lo strumento con cui e attraverso cui Dio crea il mondo (Verbum ars aeterna). La verità ontologica, quindi, non risiede in ultima analisi negli esseri stessi, ma nella loro fonte eterna, nel Logos increato che, con la sua incarnazione, diventa conoscibile per l’uomo nella persona di Gesù di Na- zareth (Verbum incarnatum). Questa concezione bonaventuriana unisce filosofia e teologia collegando l’ordine della creazione (ontologia) e la storia biblica; tutta- via, sottolinea la priorità della storia della salvezza, poiché l’uomo può conoscere il vero senso delle cose solo alla luce del Verbo incarnato (Ratzinger 2009, 140– 159). In questo senso, l’opera della salvezza spiega l’opera della creazione, mo- strando che all’origine di tutto ciò che esiste non c’è la ragione impersonale, ma la Parola attraverso la quale Dio parla al mondo e si rivolge all’uomo in un dialogo d’amore. Questa Parola eterna rivela infine il suo volto nell’uomo concreto di Gesù di Nazareth. La concezione cristologica della verità, così necessariamente personalistica, è evidente in tutta l’opera di Ratzinger. L’autore tedesco intende il «Logos» in modo simile alla filosofia antica, come «il senso che porta tutto l‘essere» (2007a, 135) e che rende possibile una comprensione razionale della realtà. Il Logos, tuttavia, secondo il Vangelo di Giovanni, non è solo la struttura razionale del mondo, ma è una Persona: «Logos non significa solo ratio ma anche verbum – non solo ‘senso’ ma anche ‘discorso’. Questo per esprimere che il Dio cristiano non è solo Ra- gione, Senso oggettivo, Geometria dell’universo, ma è anche Relazione, Parola e Amore. È una Ragione che vede e sente, a cui si può parlare e che ha un carattere personale. Il senso ‘oggettivo’ del mondo è il Soggetto che ha una relazione con me. Come Logos, Dio è Discorso - non solo il Creato- re, ma anche la Rivelazione che parla e che attende la mia risposta. Nomi- nando Dio come ‘Logos’ si rivela il fondamento stesso della teologia cri- stiana della preghiera. La Parola corrisponde alla Parola. Per questo il Logos di tutte le cose può incontrarmi con un volto umano, il volto di Gesù di Nazareth.» (1973, 108) Il fatto che il Logos si sia incarnato e manifestato nella persona di Gesù di Na- zareth impedisce la moderna separazione tra ragione storica e filosofica. Allo stesso modo, l’opposizione spesso ripetuta tra la verità generale e astratta della ragione e la verità concreta e storica della Bibbia si riconcilia nella persona del Verbo incarnato. Secondo Ratzinger, qui si rivela qualcosa di sorprendente: «I due principi fondamentali apparentemente contraddittori del cristianesimo - il legame con la metafisica e il legame con la storia - si appartengono e si condizionano a vicenda.» (2003a, 139–140) 618 Bogoslovni vestnik 83 (2023) • 3 È vero che, come per Agostino (Ferri 2007, 52–59) e Bonaventura (Ciampanelli 2010, 189–190) possiamo notare nell’opera di Ratzinger una tensione tra un approccio cosmologico-metafisico e quello storico-personalistico. Tuttavia, non si può essere d’accordo con la critica al pensiero di Ratzinger avanzata da Heiko Nüllmann nel suo ampio studio. Questo autore parla solo di «modifiche cristiane del concetto filosofico di Dio» e arriva a una critica sostanziale che riguarda «l’identificazione dell’idea di creazione con l’idea di verità della ragione speculativa, cioè con una concezione astrattamente filosofica del Logos creatore di Dio, che non conosce l’autorivelazione di questo Logos come Amore e può quin- di comprenderla solo come verità sovrastorica, ma non come verità salvifica» (Nüllmann 2012, 372). Una simile critica può derivare solo da una lettura unilate- rale dell’opera di Ratzinger. Infatti, la concezione cristologica della verità di Rat- zinger è sia metafisica che personalistica e legata alla storia. Possiamo dire che, seguendo la trasformazione cristiana della filosofia antica, egli si sforzi di realiz- zare una sorta di «ontologia personalistica», che però rimane solo un abbozzo e non costituisce un sistema coerente. Dalla teologia della creazione, Ratzinger trae una corrispondenza tra la strut- tura razionale di tutta la realtà e la capacità della ragione di conoscerla. Questa corrispondenza costituisce il presupposto (non riflesso) della possibilità della no- stra conoscenza scientifica (Ratzinger 2007a, 126–127). Tuttavia, la ragione uma- na non si limita alla conoscenza di principi razionali astratti. La ragione umana in quanto creata non è né assoluta (razionalismo) né radicalmente limitata (agnosti- cismo), ma dialogica. La creazione e il Creatore non sono né realtà identiche come nel panteismo (monismo), né due realtà totalmente indipendenti o opposte (dua- lismo), ma sono in relazione dialogica tra loro (1964, 460–466). Questa relazione è espressa nel racconto della creazione dal fatto che Dio crea il mondo con la sua parola: «La categoria fondamentale della dottrina della creazione è la ‘parola’ che /…/ esprime la relazione a ritroso di tutto l’essere con lo ‘Spirito’ che dà inizio a tutte le cose.» (462) Ratzinger intende quindi l’uomo sulla base della sua creatu– ralità relazionale: «La relazionalità con l’altro costituisce l’uomo. L’uomo è un essere relazionale.» (Ratzinger 1973, 220) Questa struttura dialogica corrisponde al fatto che il pensiero umano avviene nelle parole e presuppone la comunicazione umana. Anche da questo punto di vista, le parole della fede e le domande della ragione non sono isolate l’una dall’altra, ma sono inserite in una dinamica reciproca. 5. Dialogo tra ragione e fede La concezione dialogica della ragione e l’interpretazione cristologica della verità permettono di stabilire un rapporto non dualistico tra razionalità e fede. Nella con- cezione di Ratzinger, fede e ragione non sono in contraddizione, anzi sono recipro- camente necessarie: «Il credente è convinto che non ci può essere contraddizione tra la vera ragione e la vera fede. La fede senza la ragione non sarebbe veramente 619 619 Pavel Frývaldský - Il carattere dialogico di ragione ... umana; la ragione senza la fede perde la direzione e la luce.» (Ratzinger 1984, 37) Soprattutto nelle opere successive di Ratzinger e nei suoi discorsi papali, si ripete l’idea che non solo la ragione protegge la fede dalle patologie del settarismo, del fondamentalismo e della violenza, ma la fede aiuta anche la ragione a non «restringersi» all’ambito della realtà empirica e realizzabile. Ma questa stretta connessione tra ragione e fede non implica una sorta di iden - tificazione interna delle due realtà. La fede cristiana è l’atteggiamento di una per- sona che accetta liberamente la libera rivelazione e il dono di Dio nella storia, un fatto che non può essere dedotto dalla ragione né dal mondo né dall’analisi dell’e- sistenza umana. Il fatto che la Rivelazione non possa essere «inventata» ma solo accolta nella fede non significa che la fede sia irrazionale; al contrario, essa rap- presenta una «luce» per la ragione per una nuova comprensione della realtà. La ragione stessa è indipendente dalla fede, pone le sue domande e giustifica logicamente le sue risposte. In questo senso, la teologia non nega l’autonomia della ragione. Ratzinger critica la nozione di «autonomia», che non riconosce che la conoscenza umana non è mai assoluta, ma è sempre mediata dai contesti cul- turali e storici. L’autore tedesco nota la dialettica della ragione «forte» illuminista, che si emancipa rispetto alla fede, alla tradizione e a qualsiasi autorità eteronoma, ma che finisce per sfociare in uno scetticismo radicale sulla questione della verità. Ratzinger ritiene che tale emancipazione della ragione abbia portato, in ultima analisi, non al suo rafforzamento ma al suo restringimento (Sottopietra 2010, 69–70). Il restringimento più evidente della ragione è il rifiuto del pensiero meta- fisico nella Critica della ragion pura di Kant e poi nella filosofia positivista di Au- guste Comte, che ha portato alla totale sostituzione della metafisica con la fisica (Ratzinger 2007a, 106; 143–144). Ratzinger è convinto che la ragione «imprigio- nata» positivisticamente non possa fornire risposte alle grandi domande umane sul senso dell’esistenza, né alle questioni etiche dei tempi moderni. Inoltre, la ragione positivista non offre nemmeno alla teologia la possibilità di interpretare il suo messaggio su Dio. Essa vede la via d’uscita dall’impasse nell’estensione del- la ragione attraverso gli impulsi della fede: «la ragione umana non è completamente autonoma. Vive sempre in un contesto storico. Il contesto storico oscura la sua visione, ed è per questo che ha bisogno anche di un aiuto storico per superare gli ostacoli storici. /…/ Il ruolo importante della fede è quello di offrire guarigione alla ragione, non per controllarla, né per separarsi da essa, ma per riportarla a se stes- sa. Lo strumento storico della fede può liberare la ragione in quanto tale, riportandola sulla strada della corretta conoscenza di se stessa.» (109–110) Così, il ruolo della fede è quello di guarire la ragione attraverso la realtà storica della rivelazione. È interessante notare che Ratzinger usa i termini soteriologici «liberazione» e «guarigione» per descrivere gli effetti della fede sulla ragione umana. Il Papa si spinge ancora più in là nel suo libro su Gesù di Nazareth quando parla di «esorcismo della ragione» alla luce della Parola di Dio. Secondo Benedet- 620 Bogoslovni vestnik 83 (2023) • 3 to XVI, la struttura razionale del mondo senza la fede in Cristo, attraverso il quale tutte le cose sono nate, rimane caotica e oscura. Gesù-Logos rivela l’intenzione creativa di Dio, esorcizza il mondo dal dominio delle forze demoniache (Ratzinger 2007b, 210–211). Michael Schulz interpreta queste idee nel senso che la ragione che rifiuta la trascendenza è diabolica perché si assolutizza e si mette al posto di Dio (Schulz 2007, 75). Comprensibilmente, queste affermazioni non potevano ri- manere senza una risposta critica; ad esempio, Hans Albert critica con rabbia la demonizzazione del Papa della ragione autonoma «atea» (Albert 2008, 134–139). Riteniamo che questa affermazione «priva di tatto» debba essere compresa nel contesto degli orrori «apocalittici» del XX secolo, che hanno portato a una razionalità moderna tanto tecnicamente potente quanto «cieca» di fronte alle questioni fondamentali del bene e del male. La razionalità di oggi può anche tras- formarsi in una «diabolica» irrazionalità distruttiva, come ipotizza ad esempio Rémi Brague nei suoi libri (2012, 59–88). Dall’altra parte Ratzinger non è un critico radicale del mondo moderno che mette in guardia dal pericolo dell’autodistruzione dell’uomo sulla terra, ma sotto- linea molte delle insidie della filosofia relativista ed esorta a rafforzare la ragione indebolita con gli stimoli della fede (Ratzinger 2007a, 126–130). Questa proposta rappresenta una notevole provocazione per il pensiero moderno, e va detto che ha incontrato critiche anche da parte dei teologi. Possiamo citare l’obiezione sol- levata da Hansjürgen Verweyen, che nel frattempo è apparsa in nuove forme (2007, 27–34; 99–113). Verweyen vede una contraddizione intrinseca nel model- lo ratzingeriano del rapporto tra fede e ragione: la ragione filosofica dovrebbe essere indipendente da un lato, per dimostrare la correttezza della fede, e dipen- dente dalla fede dall’altro, per poterle essere utile in modo adeguato. È proprio questa dipendenza della ragione dalla fede che Verweyen trova problematica. Infatti, la fede, per legittimarsi, non applica a se stessa una ragione autonoma, ma la sua ragione, che è in definitiva se stessa. Ratzinger, tuttavia, non mette in discussione la legittima autonomia della ragi- one, ma la sua chiusura alla trascendenza, il suo rapporto non dialogico con la realtà, che non può indagare positivamente. In altre parole, una ragione che si vieta di porre domande metafisiche si rassegna alla sua stessa capacità di inter- rogare e di cercare la comprensione, e fondamentalmente si impoverisce: «Se l’uomo non può indagare razionalmente sulle questioni essenziali della sua vita, sul perché ‘vengo e dove vado’, su ciò che posso e devo fare, sulla vita e sulla mor - te, e se queste questioni essenziali sono lasciate all’impressione soggettiva, allo- ra la ragione, pur non abolendosi, si svuota.» (Ratzinger 2007a, 127) Tale ragione si chiude alla possibilità di essere indirizzata dalla verità cristologica e non offre ai teologi la possibilità di interpretare l’essenza della fede cristiana in modo integra- le. Se la fede non può imporre alla ragione quali risposte deve dare, può però is- pirarla a ricominciare a porsi quelle domande a cui si era ormai rassegnata, nel mo- mento in cui si è chiusa alla trascendenza. La concezione dialogica della ragione e della fede di Ratzinger può essere vici- na alle moderne teorie della comunicazione e alle filosofie del dialogo, come di- 621 621 Pavel Frývaldský - Il carattere dialogico di ragione ... mostra il suo dibattito pubblico con J. Habermas. Tuttavia, Ratzinger rifiuta il plu- ralismo relativista e insiste sull’esistenza di una verità che non è un ostacolo, ma una precondizione e un obiettivo del dialogo. Questo lo distingue da Habermas, secondo il quale «quando un gruppo comunicante raggiunge un consenso, i par- tecipanti si sono accordati su un certo modo di parlare e su una certa interpreta- zione comune. Ma se questa interpretazione sia vera rimane una questione aper- ta.» (Menke 2008, 20) Secondo Ratzinger, il dialogo tra ragione e fede è il cammino dell’uomo verso la verità e non è motivato solo dal bisogno di consenso. Si tratta di un cammino continuo, poiché tutte le nostre teologie e filosofie non potranno mai compren- dere pienamente la verità, che tuttavia non appartiene a un regno trascendente completamente inconoscibile, per cui l’uomo dovrebbe rinunciare a cercarne la conoscenza. La fede cristiana è convinta che la Verità si è comunicata all’uomo come Amore infinito, ed è quindi in grado di rivolgersi alla ragione e di porla nel- la dinamica del trascendimento di sé stessa sulla via dell’Ignoto (Frývaldský 2020, 84–89). 6. Conclusione Il carattere dialogico della ragione comporta che il pensiero umano si realizzi nella pa- rola reciproca, nella prospettiva teologica di Ratzinger si tratta della creaturalità della ragione aperta alla Parola del Creatore. La chiusura della razionalità verso la trascendenza, verso la parola della fede, nega questo carattere dialogico della ragione e dunque anche la sua capacità di porsi le domande metafisiche. In questo senso la fede può stimolare la ragione ad aprirsi ai nuovi orizzonti della conoscen- za della verità. Questo passo è possibile, perché non soltanto la ragione, ma anche la fede, è una realtà dialogica. La fede cristiana non è solo una convinzione delle verità religiose, ma è prima di tutto la risposta alla vocazione personale e storica di Cristo. La verità cristiana non è un’idea astratta, ma è la persona di Cristo, Parola di Dio rivolta a noi. In questo senso la Verità cristiana trascende tutte i nostri con- cetti e le filosofie, dall’altra parte è comunicata a noi, affinché la nostra ragione non si chiuda nell’immanenza della conoscenza intramondana. Infine, è possibile affermare che il rapporto reciproco tra ragione e fede è basato, in ultima analisi, non solo sulla relazione tra i livelli della natura e della grazia, ma soprat- tutto sul mistero di Dio stesso . La fede cristiana confessa che Dio è dialogico, cioè che nella vita intradivina c’è il dialogo reciproco tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. Come la differenza tra le persone in Dio non nega ma rende possibile l’unità d’amore, così la giusta autonomia della ragione e della fede non significa la sepa- razione l’una dall’altra, bensì una capacità reciproca di dare e ricevere. 622 Bogoslovni vestnik 83 (2023) • 3 Riferimenti bibliografici Albert, Hans. 2008. Joseph Ratzingers Jesusdeu- tung: Kritische Bemerkungen zu einigen Aspek- ten seiner Untersuchung. In: Häring Hermann, ed. Jesus von Nazareth in der wissenschaftli- chen Diskussion, 129–142. Berlin: Lit Verlag. Brague, Rémi. 2012. Ancore nel cielo: L’infrastruttura metafisica. Milano: Vita e pensiero. Ciampanelli, Filippo. 2010. «Hominem reducere ad Deum»: La funzione mediatrice del Verbo incarnato nella teologia di san Bonaventura. Roma: Gregorian & Biblical Press. Clarke, W. Noris. 2007. Osoba a bytí. Praha: Krystal. 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