LA MEDICINA STATICA DI SANTORIO DE'SANTORJ DA CAPO &1STRIA Pubblico Profcflbre neli'Univcrfitŕ di Padova. Divifa in Sette Sezioni: co* Co meritar j di MARTIN USTER Medico Ingle-fe, e i Canoni della Medicina de\Soli-di di GIORGIO BA.GLIVI Profeflb-redi Medicina nello :.tudiodiRoma. AG G lUNTl FI Gli Aforismi d'Ippocrate, e i [uoi Pre-fagy. nelle due lingue % Latina ed Italiana con molte altre cofe che farantta notate- nella pagina fegueifte* IDEA,eF\TICA DELL'ABATE CHIARI Da Pifa. IN VENEZIA MDCCXLI1I, Appretto Domenico Occhi. CON pRirlJLEG ZQ* 16 COSE CHE SONO CONTENUTE IN QUESTO LIBRO. Vita del Santorio co* le Opere da eflb date in luce. Medicina Statica comprefa in Sezioni Sette che trattano La I. Del pefo della infenfěbile trafpira- zione. Sezione II. Dell'Aria, e dell'Acqua. Ł.65 Sezione III. Cibo e Bevanda. p 90 Sezione IV. Del dormire, e del vegliare. p.i3l Sezione V. Moto, e Quiete. p.i<5o Sezione VI. Ufo Venereo. P-i7S Sezione VI. Paffioni di animo. fM9* I Canoni del Baglivi volgari. Ł.209 Cento Aforifmi Fifico-Medici del Chiari volgari co" Je note del medefimo.p.245 II Medico di fefteffň, ec.del Chiari.p.279 Trattato della Vita Sobria di Luigi Cor- naro Nobile Veneto. P-2P7 Aforifmi d'Ippocrate, e prima Vita d'Ippocrate volgare. Giuramento del medefimo. ivi. La legge dello ft^iTo. p.ivi. Aforifmi d3Ippocrate latini, e volgari con le Notazioni polle fotfo. p.401 Prefagj del medeiimo lib. III. P-547 Indice delle malattie, delle quali parla Ippocrate ne'fuoi Aforifmi. p.615 a 3 IL VI IL TRADUTTORE A chi Legge . Io non fono letterato, Son un mifero fgraziato: Pur traduffi Cicerone, Ch'č piaciuto a piů perlňne. Sol'invidia (trilla, e freme: "Di mia lode molto teme Or che fatti ho gl'Aforifmi Netti, bei, fenza Sofifmi. Se gradite i miei lavori Quefti deboli fudori, Mercé voftra ne fia, Lettor cortefc, L'aniore\|pte cor farne palefe. L O vir LO STAMPATORE Ŕchi legge. Vlfi preferita da rtěe, ň gentili (fimo Leggitore > il Sartorio ritorto nella fua rinomatiffima STATICA quafi rediviva Fenice. Ne fu ella impfeffain varj paefi cosě delfrtalia Che fuori di effa tante volte, che dir fi poflňno innůmera-bili. Queftŕ impresone perň comparěice in una forma non mai prima veduta. N' abbiamo giudicato eflfer pubblico benefizio farlo parlare ancora nella noftrŕ lingua Italiana , fenzŕ verun fuo pregiudizio . L* abbiamo inoltre corredato, di Commentar!, e accompagnato di tali, e tante cofe, che potrete dire non e/Ter il folo e nudo Santorio co* la fua piccola Statica; ne viene in voftre mani accre-fciuta, ma non in forma difatta, ne di fpefa ecceiTiva . Co' pochi foldi , che sborferete potrete credere di dar appena il prezzo della fola Statica Latina, e de gli Aforifmi d'Ippocrate : il di piu donato fiavi per giunta, e Caparra della mia buonafervitů ,con cui bramo, e bramerň fempre ftrvirvi . Circa gli Aforifmi d'Ippocratedevoavvifarvi che fi č porta in opera la verdone di Giano Cornerio come flimata delle altre la migliore, e piu a 4 con- Vili confacente al tefto Greco * Ogni; \oltf che poi voi trovafté dubbio nelle tradtft. zioni volgari, puň l'occhio voftro girarli fu l'Aforifmo latino, ed emendarne il fallo per ignoranza , o per trafcuratezza commeflň.Dal buon gradimento di quello doverbio prender animo a darvi ancora altri ličri, o accrefciuti, o migliorati, di quei che polliate defiderarejcosě flCie-lo mi confervi, e voi altresě per lungo tempo. ' « ' AV- ix AVVISO DEL SANTORIO Appartenente alla figura. GLi Afbrifmi contenuti fnq uč (lo libro della noflra Statica, giŕ per alquanti anni dato in luce, co'lŕ veritŕ ne fono comprovati dall3 ufo della Sedia, che ila delineata a principio del libro . Dalla quale due benefizj ricaviamo. Il Primo quanto fi faccia giornalmente di trafpirazione infenfibile , la quale non ben ponderata, per lo piů vanarendefě la Medicina. Attefocheo dalla fcarfez-za, o abbondanza oltre il giuftodella trafpirazione tutte quafi le malattie fono folite farfl. Il Secondo, che fedendo fu quella fe-dia facilmente in mangiando conofciamo quando damo giunti alla dovuta quantitŕ del cibo, e della bevanda, fopra o otto della quale noi fentiamo Iefione. La Sella ti accomoda, come fi vede in quella figura, in cui la Stadera ila attaccata in luogo afcofo a3 travi di fopra il tinello, a riguardo delle perfone ri-guardevoli che vi potettero venire, perche toglie la bellezza alla danza jea cagione degl'ignoranti, a' quali tutte le cofe infolite pajono ridicole. La Sedia poi follevata dal fuolo per V altezza d'un a 5 di- x - dito, ne fta falda, a fine che facilmente non pofTa ricevere fqua (fi. Mentre dunque a motivo del cibo in-gojato fiamo giunti al pefo dovuto , e imfura giŕ preferitta , la parte eftrema della Stadera un pochetto allora fi alza : e nel tempo fteflbfubito la Sedia un po-chetta s'abbafla : Quefto abbaiamento č quello, che avvifa il fedente di fubito, eflerne arrivato alla dovuta quantitŕ di alimento. Qual quantitŕ poi di cibi falubri, o pe-•fo ne fiaconveniente a ciafeheduno, e quante in ciafeuni corpi debba eflTerela trafpirazione infenfibile, che con la Sedia comodamente fi pefa, ognuno facilmente lo intenderŕ dal noitro libro della Medicina Statica • MARTINUS LISTER Le&ofiS. D. Ifiterruftictttionis otta, qu<*měkiy urbe relitta y valetudini* caufa imprafen-tiarumprefitti, cum měbimet ipfi non de-tffltm t aliis quoque fimul benefacere ftudui. Jgitur Medicinam Staticam aliqua commentatane Muftrare cogitavi : etenim ex Itovis in Anatomia, inventis de ufuparti-ttrn} tam aliqtiantulum esplicavi potuijje fKt- xt Cr ed/di. Non aliud profeHo inventum in Medicina, prfiter unum Sanguini* Cir-cuitum, buie comparandum eft ; licet ita-que inter ejufdempeculi filicitates utrun-que ponete : hoc vero Sanatorii, UH qui-dem HarvŁi tempore pauluhm anteceffit: quodvehementer doko ; cumfiilludfci\\ety ex mirabili hominis induflria, alios quo" queufus tanti experimenti nos certe docuif-fet. Adde bis librum bunc nňftris bomini-bus acceptiflěirtumfuiffe ; quodfatis confiat ex plurimis editioniŕus ejus , minimum decem, intra fpatium quinquaginta anno-rum y qua primum excufus eft , próter translaůones ex Latina in Vernacufos quafque. Obicii veronugas, ex makvolentěa(s* livore ortas , libenter omijf, adeoqae Au-tbwis refpotofiones, utpotefupervacaneas. T'acuii quidem Harvseus nofěer, Ju&rei certijftttius , altoque filentěo, ad vigenti annos, innumeros adverfarios vsbementer defpexit} itafegefftffe SanBorěum oportuit nam utriufque deperimenti eadsm certitu-d* eft. Nullusfane dubito, quin multo ma-gts inclaruifj'et Medicina Statica, nifinu • peris infomněis, tanquam totidsm incanta-mentis, Medici occcecati ejfent : fed jam fire » ut video , exoleverunt Figmenta : ftateram itaque in medium fifto, (anispen-[itand&m* a 6 SAN- XIX SANCTORIUS A4 Lettorem. N NOyum atque inauditum eft in Medicina , porte quempiam ad exa-flam perfpiraticnis infenfibjlis pondera-tionem pervenire : nec quifquam Philo-fophorum , nec Medicorum unquam hanc Medie» facultatis particulam ag-gredi aufus eft.- Ego vero primus pericu-lum feci, & (nifi me fallai genius) artem rationtr, & trjginta annorum experientia ad perfectionem deduxi: quam confultius judicavi,quam Diexodica defcribere:pri-tno ad imitationem magni noftri Dicla-torisa cujus vefligiisinfiftere gloriofum (empcr duxi j deindeMfeci quafi neceflě-tateimpulius, quandoquidem ipfa expe-ximenta, quit>ns quotidie aflěduis multo-jum annorum ftudiis incumhebam , ita jne ad hanc do&rinae formam Aphoriftě-cam manuquafi ducebant, ut AphoriC mos optime interfe connexos mito hoc ordine di&eflerim, eo piane modo quo apes primummel exvariis floribusdeli«« bant, & deinde in apiariis per asdicula^ jam {uarum favos elaboratum miro ordine difponunt. De utiěitateautem artisnihil dicam, cum nemini lateat, quantum in merendo ponderis habeat infenfěbilis perfpira-jionis cognitio: folum hoc unumbeni- gnum gnum Ledorem admonitum velim, cum fic fé ferant res humanae, ut res novas invidia opprimere potius, quam ftudio illas promovere conentur , fcio multos non folum vulgares, fed etiam ex litera-torum cenfu, non yeritatis amore du-dos, fed ambitionis ceftro, aut vana contradicendilibidine, aut invidiaefti-mulo impulfos contra artem hanc no-vam infurreduros, eamquegraviter de-tredaturos efle, licet ne nomine quidem tenus artem ipfam falutaverint : Verum illis omnibus, fiveritatem fedari defi-derant , ita iatisfaciam, ut veritatem ipfam finceramac puramputam non folum animo & intelledu percipiant, fed oculis etiam, ac ipfis quali manibus pal-pent, fi modo quaecunque de infenfibilis perfpirationis ponderatione, deque ejus caufis, de tempore, decommodis&in-commodis, de exceflu & defedu, de aere, cibis & potibus, & aliis fex rebus non naturalibus impedientibus , vei promoventibus perfpirationem , & quaecunque alia in noe libro tradidi, ea ad rigorofae trutinas examen revocent. Neque faftuofo fupercilio hanctruti-nam parvi faciant, vel contra praettan-tifěTimam artem inania fciolorum more deblaterent, quippe eos non alio rcfpon-fo dignos putabo, quam poftica illa Perdi fanna, qui Andabatarum more gsecu- rěerx- XIV rientes veritatem mordicusperofi, non ě'efe Euboeos folum aut Cordubenfes in percipienda ventate > fed ineptiflěmos Ariftarchos in reprehendenda demon-ftrant. BREVE NOTIZIA Della Vita dell*Autore per quanto appartiene al Libro predente. DA onefti, e civěliflTimi Genitori nel fecolo decimofeflo del era Criftia-na circa alla metŕ, o a parlar piů chiaro poco dopo il IJ5O. dinoftra Redenzione nacque Santorio de*Santorj nella Cittŕ di Giuftinopoli della Provinciadelfiftria laqual Cittŕ in oggi dicefi volgarmente Capo (Clftria, e fta (ňtto il Dominio della Repubblica di Venezia. Che la Tua xia-fcita fotte in tal tempo fi deduce , perche nel 1611. a 6. d'Ottobre fu condotto con lo llipendio di 800. fiorini alla Cattedra di Medicina Teorica nell'Univerfitŕdi Padova : fčgno evidente che n' era uono giŕ accreditato, ed avanzato in dottrina : al che fi aggiugne che quando ei die alla luce testatica nella lettera al Lettore dice di avervi confumati $0. anni nel farne le neceflarie efperienze . Venne dunque alla Cattedra di Padova , e vi riu- XV rlufcě uomo dottiamo, e ingegnofitfěmo .• fcrifTe piů cofeche meritarono il credito, e l'approvazione uniyerfale: fcrifleCo-mentarj fugli Aforifmi ; fui primo Fen d* A vicenna; fu l'Arte parva di Galeno; nel incela Medicina Statica che gli ha fta-bilito una perpetua rinomanza per tutto il Mondo. Fu fua difgrazia di efler nato prima della fcoperta della circolazione delfangne, dall'Arveo fatta , e pubblicata dopo del Santorio : che fé egli a vef-fé avuta tal cognizione di piů , molti bei lumi n'averia prefi per illu ftrar la fua O-pera . Qiiefte due nobili difcoperte del giro del fangue, e delF Arte Statica fo-«o ftate dentro lo fpazio di un medefimo fecolo, ed anno dato un gran rifalto alla Medicina, Ebbe il Santorio, come pure l'Arveo, e come intraviene a tutti i dotti, lefuecontradizioni j neinforge-ro gli emoli, gě'invidiosi, gě' ignoranti per abbattere la induftriofa invenzione, ma alla fine il Santorio n'ha trionfato ; č fiata conofciuta la veritŕ, e la fua Statica nello fpazio breve di cinqnant' anni fct ftampata almeno dieci volte fui fuo primo nafcimentoi e ne furono fatte traduzioni nelle lingue volgari di piů nazioni. E nel fecolo corrente Giorgio Baglivi ProfeflTore di Medicina celebratitlimo nella Univerfitŕ Romana vi aggiunfe i fuoi Canoni, e ne fece fare una edizione in XVI in Roma l'anno 1704. Nel i705.Marfino Lifter uomo dottiamo, e Medico Ingle-fé, illuftrb la Statica co3 fuoi Comenta-r j > e fu fatta 1* Edizione in Leida V Anno fuddetto. Nel 17io. altra Edizione venne fuora in Padova co'i Cotnentarj del Lifter, e i Canoni del Bagli vi che fu reiterata nel 172S. onde fi rende chiaro di quanto pregio fia ftata queft* Opera benché di mole non molto grande , e quanta laude ne abbia partorita al fuo degno Autore. In qual annoprecifamente queft'uomo lafciafle di vivere, non fo con certezza affermarlo, mafolorintracciarlo co'laconghiettura,fupponendo , ch'ei rnoriiTe vecchio intorno agli anni 80. di fuavita, e che perň potette feguirlafua morte circa il 1*540. o poco meno . Il detto perb, falvafemprela veritŕ, mi pare che fia notizia baftevole per quello che a quello libro ne puň appartenere, e che puň fervire d'iftruzione al noftro leggitore, fenza dilungarci dalla brevitŕ, che ci fiamo propofti. IN- XVII INDICE Delle cofe piů notabili, che fon contenute nelle Sette Sezioni della Medicina Statica del Santorio. ACqua bevuta impedisce la infenfiběle, accresce la fenfibile trafpirazione . Sez. III. Af. 6j p.117 Acque medicinali come fi rendano, ivi. Acqua: quanto ella fiapefa come fi cono-fca Sez. II. Af. 7 p. fS.Acqu* groffa ě [uŕ cattiva qualitŕ. ivi Af. 6. p. 68 Agitazione pel letto che produca Sez. I. Af. 5i.p. 22. Agilitŕ in fare le fu e faccende , fegno buono Sez. III. Af. 36. p. 104. Agitazione in tetto per commoT. di ani" mo. Sez. V. Af. 17. p. 167. Aggravio: qualpefofia d* aggravio al corpo. Sez. II. Af. 32.p.79. Alleggerito dě veftipsrifcbivar il caldo j quanto provi minore la trafpiraz. Sez. II. Af. n.p.70 Allegrezza inafpettŕta nuoce piů chi lŕ preveduta. Sez. VII. Af. 25. p.200. Allegrěa d*animo , favella febietta, e agilitŕ, fegnědi buona, trafpiraz, Sez. IV. Af.42. p. 147 Allegri , e gě' iracondi meno vengono fiancati da un lungo viaggio, che i timidit e mefiě. Sez. V. Af. 5 p. idi AL Allegrezza, e fógno : fuoi effetti. Sez» VII. Af-4-p. X91 Allegro fenza motivo : perche. Sez. VII» Af.23.p- IP9 Alimenti grojfi in minor quantitŕ pili rendono pefante il corpo de piů fatili -y perche. Sez. III. Af. 45. p. 109 Alimento eccejfwo: fuo cattivo effetto . Sez. I.Af. 79. P-35 Alimento prefů di giorno ingěorno vuoi efjer consumato. Sez. III. Af. 38. p. io<5. An»mo confolato quanto giovi. Sez. VII. Af.^.p.i95 Antioco quante volte aěgidrnŕ mangia* va . Sez. III. Af.90. p. I2<5. Non mangia* vapefci, e perche ivi Af. 91. p. 127 Appesati non tutti muňj*nó> ma per or* dinariůUK/i ter%ttparte . Sez» I, Af. l3°« p. 59» yfrw : fuapefezza come fi conosca. Sez» II. Af. 4. p. 67. Aria fan* , cheJta fredda : puoi effetti. Sez. II. Af. 7. p. 69. Ariapantanofa quali effetti produca. ivi Af. VlII.p.<59. Aria dilla Cittŕ toglie l*appetito s e perche . Sez. II. Af. éi. p. 89. Aria fredda : rtfca/da , č come. Sez. li. Af.i p. Sez. II. Af. 17. p. 73. Grd/tf f VQfiro con efercizio violento čmortifero . Sez. II. Af. 19. p.75 Autunno" il corpo fifa di maggior pefo fteir Autunno. Sez» I. Af. 115. p. 52 Autunno malsano 3 perche. Sez.II. Afc 42.P.83 Autunno ' avvertimenti per mantener* Věfifano. Sez. II. Af. 46. p. 84 B Perequando impedisce la trafpiraz. Sez, III. p. 131 Bere fra ilpranfo, e la cena fi č nocivo . Sez.IIl. Af.97.p-ivi Bili' quando pecca in copiai malori, che ne produce. Sez, IV, Af. 21. p. 140 Biliofi molto ne fono offejft dal troppo fon" no, e perche. Sez.lV. Af. 5i.p. 151 Birra fatta difrefco, fuoi buoni effetti, Sez.IIl. Af. 81. p. 123. Braccia dolenti, eftracche ciocche denotino. Sez. IV. Af. il.p. 136 Bramofi di vincere nelgiuoco > che mali fi tirin addojjo. Sez. VII. Af-42.p. di Circa lepajftoni vedete tutta la Sez. VII» Ca- XX C Cagioni interne della tmfpiraz. ěmps* dita quali) e quante. Sez.I. Af. 25.P.2J Cangiamento da freddo in caldo, e vi-ceverfa deefarfiapoco per volta . Sez. IL Af. XIX. p. 74 Cangiamento di letto : furi effetti. Sez* IV. Af. 15. 1(5. p. 141 Carbonfojfěle quali medi produca nell'Zn-ghilterra. Sez. II. Af. 61. p. 89 Carboncelli e buboni come sfogo del vele-nopefiilenzialefono buoni. Sez. I. Af.128 p.58 Carne porcina :fuo ufo non č buono. Sez. III. Af.2O.p. ioo.come neppur de'fongbi.ěv i Carne porcina fiata in fale per lungo tempo migliore della frefea . Sez. IH. Af. 24. p. 101 Carne animata perche vive, non infracidile . Sez. I. Af. 80. p,35 Carni fredde dopo un breve, e torbido fonno ciocche pronofliebino* Sez. IV. Af. 24. p. 141 Carrozza : andar in carrozza č un efer-cizio violento . Sez. V. Af. 30. p.172 Cabrato : fua carne di molto nutrimento . Sez. III. Af.4. p. 92. č di facile dige-fiione. iviAf.8 Cattive qualitŕ quando s'introducono nel corpo. Sez. I. Af. itf. p.8 Cavalcare : fuo effetto. Sez. V- Af. 27. XXI Celf«: fua fentenza come vera, ofalfa. Sez. ili. Af. 42. p. 107 Cena da' Romani come fi facete. Sez.JII Ŕf.37.p.*o5 Cenaptu abbondante dopo unatrajptra-těone maggiore delfolito: fuoi effetti. Sez. IV. Af. 22. p. 140 Cervice', trafpiraz. impedita in efsa , che effetto vi produca. Sez. I. Af.i 19.P.54 Cibi liquidi t e bevande piů pefano delle cofefolidc . Sez. I. Af. 27. p. 12 C/60 «# />0fo nutrimento: fu01 effetti. Sez. III. Af. 47.P.1 io. di molto, ivi Af.48 Cičo /?riacitonio corrobora lo ftomaco , tfitf conseguenza concilia ilf<*nn$ ^ Sez. IV. Af. 100, Diarrea toglie quafi tutto il nutrimento *. Sez. III.Af. 3.1. p. 103. Dijficoltd di concoz. tardanza di trafpi"-razione. Sez. IIk Af.49. p. 1 io Digiuno, quando [ano, 0 no . Sez» Uh Af.32. P-i°3, f / eferciziogiovevole t Sez. V* AJk XXlV Af. 32. p. 172 Dolore, 0 fatica impedifce ělpafso alla materia tradir abile concotta . Sez. I. Af. 49. P-2I . Donne fiate in letto degli anni con mangiarquafiniente . Sez. I. Af. 87. p. 41 Dormirpiů giovevolefič diVerno , rfo nella State. Sez. IV. Af-4i.p. 147 Dormir troppo, e ber troppo v'ingenero-fé : fuoieffetticattivi.Sez.lV.h'E.jo.p.i')? Dormir quieto quanto profěcuo alla tra* (piraz.SezAV. Af. i.p. 133 Dormir meno delfolito cagiona pericola di malattia. Sez, IV. Af. 30. p. 143 Ł Escrementi liquidi egrejfi, quali di loro pefinopiu . Sez. I. Af. 24. p. 11. / liquidi tolgono piů dipefo de'grojfi. Af. 26. ivi. Esuberanza come facciafiminore * Sez* LAt. 19.P.9 Efercizio violento rifecca il nxntre> e perche. Sez. V. Af. 18. p. 168. Efercizio grande di animo, odi corpo : nrjii fi dee prender il cibo immantinente dopo di efso. bez. III. Af. 72. p. 119 Efercizio} vedete tutta la Sez.V* E-fercizj dell' animo attali. Sez. V. Af. 16. p. 166 E fiate : fé fui principio fopravtngont ali'improvifo e aldi grandi nefeguonoftan-tbezze. Sez. II. Af. 31. p. 70 E(ěremitd fredde : che pronojěicbtn* ě * Sez. I XXV Sez.I. Af. n5.117. p.n- Evacuazioni fenjtbili, e infenfibili in una notte quante fono, Sez. I. Af. 58. p. 25.2^ Evacuazione fenfibile : chi evacua piů delgiufto fenfibilmente, trafpira meno del giujio. Sez. L Af. 13.p. 7 F Faccia da giovane come fi confervi . Sez. V.Af. 36. p, 174 Cane perche fi muore di fame. Ser» III. Af. 17. p.07 E ebbre maligna da che tahr traggala; fua origine. Sez. I. A f. 46. p. 19 Fante qual effetto produca nel chilo • Sez.I. Af.44.0.18 Febbri gagliarde: perche in effe marn* č proficuo il deliqui* ? Sqz. I. Af.98.p.4<$ Febbri intermittenti: perche in effe s" impedifce P infenfibiletraspirazione. Sqz, i.Af.95.p.45 Febbricitanti perche talor vanne peggiorando . Sez. 1. Af. 47. p. 20 Feccie conjifienti fono fegno di otttm* trafp ir azione. Sez. III. Af. 30. p. 102 Feccie groffe , 0 orina copiofa , 9 abbondante fudore tratto fuora con minori trafpirazione non č bene. Sez. I. Af. 14* P-7 Feccie concotte del ventre S molta mole , ma galleggiano per la leggerezza •¦ Sez.LAf.72.p-32. k XXVI Fegato per la refi ig:r azione* meno tira in fé il chilo : ciň che ne fegua. Sez. III. Af, 103. p. 131 Fiacchezza s come avvenga . Sez. I. Af. 34. p. 14 • Flato ciň cbefia. Sez. III. Af. 13. p. 9t Flufso del ventre fempre nocivo all'uo-. ma. ^ez.lll. Af. 30. p. 102 Flufso del ventre come fi tolga. Sez. l, Af.92.p. 43 Freddo improvifo piů nuoce di quello che viene poco a poco.. Sez. II. Ai. io., p.70 Freghe , e Coppette quando, debbano, ttfarfiy 0 no. Sez. V. Af. 22. p. 169 Freddo : fuo. effetto .. Sez. 1. Af. 5<\ p. 21 Frenetici : perche non fentono il freddo,, qnchz grande .. Sez. II. Af. 13.P.71 Q Gangren» come venga, impedita. Sez.ě. Af. io5. p. 49. perche fi. formi. ivi. Af. 107 Generai., fpontetnea dalla putredine non: fi da in natura . Sez.I. Af. j6. p. 34. Ginocchior, e piedi caldi fanno, dormir bene. Sez. I. Af. 9.1. p. 43 Giovane grapo : fuo avvenimento. Sez*. I.Af.8.p.37 anno fredd**, e. caldo, e co-. me XXVII me. Sez. VII. Af. 13-P-195 Idropi/ia: perche in efjanonfiriSolver acqua dell'infimo ventre* Sez. LAf.9<5« p. 45 Impedimento della traspirazione qual danno puň produrre d'Łfiate, quale di Verno. Sez. II. Af. 35. p. 80 Incrementofommo dell'uomo, quando.? Sez. I.Af. 80. p. $5 Indigeftione: chi non patirŕ Jndigejtio-mfiardSano. Sez. III. Af. 89. p. 126 Infermi di pefie l come risanano. Sez.. I..Af.I22.I23.p. 60 Infezione contagiofa come fi formi. I.Ŕf77p34 Infermitŕ, autunnali quando fi fcanjěno Sez. II, Af.43. p.8ó Inverno : freddo che fi patisce qual effetto produca. Sez. I. Af. in. p. 81 Ipocondriaci come rifanim, Sez. I.Af* 102. p. 47 Ira : fé all'ira ne fegua la confolazione ě corpi divengono piů leggěeri. Sez. yII* Af.42.p-198 Lagrimazione, d'occhi dopo d* aver trop*-pň bevuto. Sez. III. Af. 6. p. 116 Leggerezza di corpo, e mente Sveglia* ta da che derivi. Sez. III. Af.20.p.99 Lettiga : andar in lettiga tfuo profitto*. Sez. V>AC 28.29. p. 171 Letto : rkvoětarfi nel letto quanto flan^. h 2 chi*. XXVI li chi. Sez. IV. Af. 13. p. 137 Letto : j?tfr /črwo nel lettone a/sai utile. Sez. I. Af.92.p- 192 Luigi Cornaro Nobile Veneto autor dei Trattato della Vita. Sobria, vivendo regolatamente viffe preffo a*cento anni. Sez. lHAf Malattie che fi producano dalla trafpi-razione rattenuta . Sez. li. Af. 51. p. 8d Mangiare : ehi mangia piů del bif»gno fi nudrifee men dti bifogno. Sez.III. Af. 54. p. 112. Chi mangia in gioventů fmo-aeratamente dilata il fuo ventricolo y e che. ne fegua. ivi. Af. 55 Malinconia : fuv effetto. Sez. VII. Afl %. 3. p. 191 Mangiare dite volte al giorno č cofiuman* %* lodevoli. Sez. III. Afl 43. p. jo8 Mangiare una fola- volta come pofsa farfi. Sez. IH. Af. 44 p. 109 Mangiar 3 0 bere troppo con evacua» Ztoni piů- copioft del filiti y che produca* Sez.IIl.Af.<5?.p. 115 Medicamenti : in qual tempo vadano* prefi. Sez. IV. Af. 144. e fčg. Medicamenti leggieri, e gagliardi : efi fětti loro . Sez. h Af. 48. p. 20 Medicamento : quando fi prende tpocv fi trafpira. Sez. I. Ŕ f. 5 ?. p. 2 3 Meloni .-poco trafptranp. Se&. III. AŁ JWejlizia : mali che produce coiti; fi generino . Sez. Vii. Af. 14. p. 195 Mffiizia ?W9 Sughi del nofiro corpo quali fiano. Sez. 111. Af. iQ.p.98 Sudar freddo dietro al fon no i ciň ebt dinoti. Se?. IV. AŁ<59« p. ^59 Sudore dopo d' aver Molto bevuto eia chi fignifichi,. Se2i HI. Af. 66. p, 116 •- Sventolamento fa evacuare la materia tttile> e V inutile. Sez. l.Af. 109. p. 50 XXXV T Tempo di cibare quando . Sez. Ut, Ŕf. 70. p. 121 Tefia : acrimonia della trafpirazione fpejjifftmo Va alla tefia, Sez. IV, Af. io. p. iŁ<5 Tefia: pefizza grand? di tefia, e do-ěor gravativo quando venga . Sez. IV. Af. 37*38. p« 14^ Tefia : fuo dolore rende il corpo piů pefo , e perche. Sez. I. Af.4r. p. \6 Trafp. rattenuta ciň cb;predica. Sez. ě. Af. 4?. p. 17. detta eccepiva qual effetto produca. Af.44.p 18 Trafpirazioni infenfibile : neceffěta di faper quanta fia. Sez. I. Afor. i.2.p.i.2 Trafpirazione promoffa dall'aria Calda , 0 acqua calda quando nuoca . Ser. II, Af. 3;?.p« 79 Trafpirazione infenfibile fatta co* fi-menti ciň che operi. Sez.I. Af. 103.P.47 Trafpirazione quando fi renda invifi* bile. Sez.I. Af. 22.p. io. Non buona quale. Sez. I. Af. 23.p. io. quale fana. ivi Af.24. p.il Trafpirazione infenfibile Jota molto piů copiofa di tutte le altre fenfibili unite in-fieme. Sez; I. Af. 4. p. 3. Ver d'onde fi faccia, ivip.4. Quanta fia quando il cibo di una giornata fia di pefo , hb. ott* Af. 6. p. 4. Ammette varietŕ fecóndo le afe accidentali. Sez.I.Af.7.p.4 J b 6 Tra- ixxxvi "Trafpir azione impedita che fia, come t>i provegga la natura. Sez. I. Af. il. p.ó Trafpirabile leggiero , e pedante. Sez. |.Af.75-P»33 Tumefazioni : la trafpirazione come lor fia utile. Sez. l. Af. 100. p. 47 V Varietŕ de* cibi : mali che ne proven* ffino. Sez. III. Af. 51.p. in Vecchi artretici morti d'inedia. Sqz, I.Af.i8.p.8 Venere ; fuo ufo, e abufo : leggete tutta la Sez. Vi. Danni della tfrenatezza di effa. Sez. VI.Af. 10, p.178, J>o effetto ne'vecchi, e ne*giovani. Sez. VI, Af, 30.p. iS*. Suoi cattivi effetti, ivi, Af, 35. p. 188 Ventre lubrico a' fani perche fi fa « Sez. III. Af. 102. p. 132 Vento freddo offende la tefla piů d* o~ *n altra parte. Sez, IL Af. 20. 21. p.74 Vefti pefanti : lor effetto, Sez, I. Af. '55»P-24 Vento frefcň quanto nocivo in chi dorme . Sez.lV.Af.i4.p. 137 Vento : dove fojfia vento č cattivo farvi čfercizio violento, Sez. V. Af. 25. p, 170 Vefti : nell' alleggerii di veftimenti qual avvertenza convenga avere » Sez. U.Af.<5o.p.8j Viu XXXVII Vita lunga da chi avrajft. Sez. IV. Vivande liquide piů pefe delle folidi . Sez. 111. Af. 54-P-Ild , Untori caldi come vadano trattati . Sez. I. Af. e DimoftrativOj č quefti in ciafcuna -delle iué fpecie. Si ftampŕ. Opere manofcritte che gli r ancor in mano pronte per la {lampa. Cornelio Celfo deli* Arte Medicinale tradotto dall'Efemplare ultimo d'Olanda con Note, e Aforifmi d* Ippocrate che vengono citati fatti volgari. 11 Droghiere Studente in Pratica > ed in Teorica. Trattato degli animali terreftri in cui fi accenna l'utile che ne cava da eflfi la Medicina . Trattato de* Pefci con un metodo per conofcerii, e profitti che fene trae per la medicina. Scatole de*colori aperte a'Curiofi ec. Ed altri ancora. Scelta Scelta di cinquanta dforifmi Filofofici cavati dagli altri latini giŕ ftampatě dal Chiari in iibro a parte » t AFORISMO I. 1. T A Natura fi rende piů ma-I i ravigliofa nelle cofe piccole thč nelle grandi. 2. Niuna pianta nafce fenza il Tuo feme : ninn animale fenza il fno uovo. 9. Il feme delle piante altro non č che un piccolo uovo, e 1' uovo altro non č che un feme. 4. Nel feme Ila rinchiufa tutta la pianta , nell* uovo fta riflretto tutto l'animale. 5. Dair uovo ne věen fuora 1* Uomo. 6. Quefti uovi ftanno negli uteri delle femmine non altrove, ne in fef-fo diverfo. 7. La Femmina , che fomminiftra queft* uovo ne da la materia per la generazione del feto, il mafchio col fuo fpirito prolifico rende 1' uovo fecondo che incomincia a diftenderfi , e a farfi maggiore nelle fue parti t «nde il mafchio da la forma. 8. Di 8. Di quefti uovi altri contengono T animale mafchio , altri lo racchiudono femmina, onde qualunque accidentalmente ne relti fecondato tale ne dee nafcere, e non puň cangiarti. o. Superfluo fi č penfare di poter co* T induftria far nafcere mafchi , o femmine a fuo piacimento. io. Lo fpirito prolifico e fecondante deve applicarli immediatamente per contatto al uovo che dee nafcere : altro che no, non ne producei' efflt-to. ir. Se ne poITono fecondar molti per volta : e tal parto fi č naturale non miracolofo. 12. La Donzella che non vede ancora i fuoi fiori menfuali , e quelle femmine che fon loroceflati, fono inabili a concepire. 13. Una ragazza che innanzi ali* anno dodicennio aveiTe i fuoi fiori farebbe abile a concepire. 14. Un ragazzo che prima dell'anno decimoquinto aveffe gli ftromenti, e vafi atti alla generazione, con prole fi farebbe marito . 15. Un ragazzo che pattato avelie l'anno decimoquinto , e giunto fotte anc'a'20. fé non poffiede i vafi perfezionati per la generazione , invano puň far da marito. 16. Gli xxxxv lŁ. Gli Eunuchi da amendue fono affatto Iterili : quei da un folo fono fecondi. 17. Uomini mafchi, e femmine veramente non fi poffňn dare . Quei che fi trovano fono inoltri ne' quali pero fempre prevale u-no de'due fcfli. 18. Che alcuni mafchi abbiano partorito č flato hkiato fcritto , ma fono favole procedute da inganni. 19. 11 cuore n'č la prima parte che-vive per opera del fangue, e l'ultima a morire. 20. Il fŕngiie ogni giorno fi confuma : onde ogni di abbiamo bifognodr rimetter il perduto col cibo. 21. I peli j, ed i capelli nafconoda* fuoj femi come le piante , e altro non fono'che tanti vegetabili femina-ti ne*corpi dell'animale. 22. Il color de'capelii proviene da! color dell'umore che innaffia le glan-«fole-, nelle quali fta inferita la fe-menza loro: perciň mutandoli la tefli-tnra delle g'andole, o iri confeguenza il colore del liquido che ha da bagnar fi Biuta eziandio it color de*capelli . 23. Si putrefacci quanto fi vuole alcuna eotěr non produrrŕ mai alai» Yerme, ne alcuna pianta. 24. Gli uovio fiano dentro del.cor-pee deli' animate > e fuori fono vivi t h xxxxvi che fé accafo faranno? morti non na-fcono piů : e lo fletto intendete de* femi. 25. Molti animaletti vivono nella putredine. 2<5. Si unifeono due uovi in uno , perciň ne nafeono talvolta uomini di due corpi, e animali doppj. 27. Un membro di un vivente non del tutto feparato dal rimanente naturalmente puň riunirfi , e cosě nelle piante. 28. Un membro del corpo di un uomo, o di animale fegregato del tutto dal fuo corpo, divenendo morto , naturalmente non puň rattaccarfi, e, render fi vivo.. 19. Che la Fenice coT abbruciarli rinuovi la fua vita n.J č una. favola. 30. Le piante vengono partorite da' femi loro nel modo fletto y che gli a-nimali dagli uovi fuoi. 31. Le piante fono animate febbea fon animali. 3.2. La. vita delle piante confitte peli*umido, e in un benigno calore. 33. Le piante fé patifeono troppo freddo, talmente che manchi loro il calore ne muojono : come pure fé lot manca T umido neceflTario.. 34. Per mancanza (ielle cofe necef-. i fi ammalano ancora, le piante; e fc. XXXXVII e fé vengalo fovvenute rifanano. 3 5. I femi vivi fé vengano fcottati. col fuoco non nafcono piů ; e (Tendo, morti. 3*5. Il traJigamento delle femenze non fi da in buona Filofofia perciň fé feminerete fromento non nafcerŕ lo-* glio; ne da un uovo di gallina verrŕ, fuora un bafilifco^ 37. Něuna pianta fi produce di nuovo , ne alcun animale che non fiano. flati creati dapprincipio. 38. La terra detta vergine, chetro-vafi fcavando terra non produce forta veruna di erbe, ftanteche non ne ha. ricevute le femenze.. 39. Delle piante altre ne fon nutritive, altre velenofe a all'uomo, oad. altra Corta di animali. 40. 11 fine di tutte le piante , e di tutt* i viventi fi č la produzione del (eme per confervar la fua fpezie. 41. Ogni giorno muojono le piante, perciň abbifognano di quotidiano fo--rtentamento per vivere.; ; . . 42. I fonghi , le fpugne, ed altre cofe di fimil fatta crefcon dalla fua. (emenza.. 43. Le piante ,, e le femenze fon. calde piů o meno inquanto a noi fecondo che abbondano pia o meno di particene abili a produrne calore, q» xxxxvin ad eccitarne fermentazione. 44. Onde il calor, o frigiditŕ delF erbe non piů mifuranfi per gradi irrr-maginarj e fintatici. 45. I cinque fentimenti del corpo propriamente confiderati altro non fono che un toccamente. 11 vedere un tatto nell'occhio, 1 udire nell'orecchio i il gufare nella lingua , e nel palato,- l'odorare nel nafo a* ncrvetti olfattor j ; ed il fenfo del toccamente» proprio nelle glandolette della cute fparfe per tutto il giro del corpo. 46. Che le operazioni de' bruti fi facciano non per pura meccanica,ma con un nonfoche di piů eccellente n'č molto probabile. 47. Gli animali bruti difeorrono ne* fuoi linguaggi co*quali s'intendon fra loro. 48. Anno altresě il fuo raziocinio1 congruo con cui formano il difeorfo fé non* cani e gli uomini almeno fecondochč comporta la natura di ciafeheduno. 49. Distinguono le femmine della fua fpezie, e con quelle Ci maritano per propagare la fua ftirpe ? 50. Amano i fuoi figliuoli, e gli allattano, e nodrifeono finattantoch'* non pOxTono procacciarli il vitto co'l'indů^ Cria propria • h A L A MEDICINA STATICA DEL SANTORIO. Dd pefare T infenfibile tra-fpirazione. sezione i. AFORISMO I. E quanta e quale n' č conveniente lě facefle ognidě l'aggiunta di ciň che vafcemandofij eia* detrazione di quello che fopravanza , la fanit.V perduta fi ricupererebbe, e la fanitŕ prefente fempre con-iexverebbefi. II. Se il Medico, che affitte ali3altrui falute fappia {blamente Taccrefci-ftat, Sant. volg* *A i ¦2 SEZIONE I. mento, e 1* evacuazione fenfibile , e non fappia quanta ogni giorno ne fia la infenfibile trafpirazione3 ei n'inganna gl'infermi Tuoi, non gli cura. COMENTARIO I. II. Niente di piů frequente fi legge prejfo gli Scrittori antichi di Medicina quanto la voce d' infenfibile evaporazio~ w, e ciň fino da tempi dlppocrate y che dijje, il corpo tutto tanto di dentro , quanto di fuori effsre perfpir abile : perciň qua-ěor impone V applicazione delle coppette alla cute fanafenza tagliarle, hifogna interpretarlo, col fine di eflrar fuora lofpi-rito (o flatuofitŕ ) che reca travaglio. Parimente quei corpie duoli chefeaturifeo-no ( manantia corpufcula ) menzionati da Cornetto Celfo, per i forami invifibili {invifěbilia foramina ) fono la materici delV infenfibile trafpirazione . Ma la dottrina } e certo pelo di ejja con tutta giu~ fiizia fi dee attribuir al Santorio. Un giudizio dunque molto incetto di qualche infirmiti ne formerŕ quel Medico , che non fappia fin a qual fegno fia fiata rattenuta la trafpirazione , oppur quanto »' abbia ecceduto . Perciň in tempo difanitŕ perduta Tunica regola del medicare confifie nel procu~> tare tbe onninamente venga reflituita aS fuo INSENSIBILE TRASPIR. 3 fuo fegno linfe'nfibile trafpirazione, fé /<*-lora fard fiata impedita; e altresě qualvolta fegua vizio nell* evacuazioni fenfi-bili) i loro rimedi fi ajpg ni no fecondo il ptfo, fenza tr afe arare psrg la qualitddi amendue, III. Colui folo, che fapefle quanto t •e tjuantlo, piů, o meno il corpo occultamente trafpira, iaprŕ quanto , e quando dovrŕ aggiugrjerfi, o toglierŕ a fine di confervare } 0 ricuperare la Xanitŕ, III. Quantunque la dottrina, fuddet-ta 'propriamente fi ricavi dall* ufo della Sedia penfile , contuttociň non fard molto difficile dalle ojjervazioni Cottopofie conghietturar prontamente lo flato della infenfibile trafpir azione in qualunque modo fila finalmente ne fiia. IV. La infenfibile trafpirazione fola tie fuol efifere molto piů copiofa di tutte le altre fenfibilj unite jnlěeme. IV. Quindi fi fa manine fio quanto importi a' noftri Msdici il fapere accurata" mente la infenfibile trafpirazione, piů di tutte le altre evacuazioni fenjibili, V. La trafpirazione infenfibile p fi ,fa per i pori del corpo, che tuttonJč trafpirabile, ed č circondato dalla pel* A % le 4 SEZIONE I. le come da una nafta : o fi fa col mezzo della refpirazione per bocca , la quale in un giorno folo fuol montare a mezza, libra in circa. V. Che la trafpirazione infenfibik fe-gua in qualunque parte del corpo nei modo fieffo, čvsrijěmilei cioč per i dutti ifcretorj delle glandole ; e quefli fono quegli Jěejfi che il noftro Autore chietina pori, ovver pe' fori maggiori delle vincere , quali fono il Vutto Epatico defti-< tiato alla bile, il Vutto Vsrfungiano'. o Pancreatico, e altri chi vs ne jiano di tal forta de* piů patenti. Cosě ancor i Vol-moni fcnxo V ufizio fuoě Ma pofta quella necsjfitŕ perpetua di refpirare, e lafom-ma umiditŕ dil fiato mandato fuori, n č credibile che con la refpirazione fi cacci un pefo molto maggiore d'umiditŕ infenfi-bile i cioč fin aduna quinta parte del tutto 3 e lě in circa} o qualche cofa ancora di piů . VI. Se il cibo, e la bevanda di una giornata fi fa di pelo eli otto libre, la infenlěbile trafpirazione fuol montare circa alle libre cinque. VII. La quantitŕ della infenfibilc trafpirazione ammette qualche forta di varietŕ fecondo la diverlětŕ del temperamento , del paefe, del tempo dell' etŕ, delle infermitŕ, de'cibi, e delle altre cofe non naturali. VI. INSENSIBILE TRASPIR. 5 > Vi. VII. Cosě vien conformato? Afo* rifrno quarto ', fi ante che fono come ilcin-oh; ali' otto: confidar'afeperň lecoj~eda con* jtderarfi, chi fi numerano nell' Afirifmo Settimo, cioč fecondo la diverfitŕ della, compleffione, del paefe, dell'etŕ, delle in' fermila , de* cibi, e delh altre cofe non naturali . Vili. Dal corpo pefato la mattina avanti, e dopo i'evacuazione fenfibile , con fomma facilitŕ (ě ricava quanta fia ftata la trafpirazion della noůe , e quanti gli efcrementi fenfěbili. Vili. E quefio modo dě computare una. tal cofa ficcome n č ceniamo, cosě non puň annodare qualfifia pfrfona di quelli che piů facilmente fi attediano . IX. Se il pefo del corpo incomincia ad accrefcerti piů del folito fenza maggior aggiunta di cibo, odi bevanda, o fenza ritenzione degli efcrementi feniěbi-li fi č fatto ritardo della trafpirazione. X. Il corpo fi mantiene nello fteflo flato di falute quando fa ritorno ai medefimo pefo fenza veruna infoiila evacuazione fenfibile; fs poi fi riduce al pefo rte/To, o per l'orina fatta piů co-piofa del folito , o per V evacuazione per feceiTo , principia a dilungar fi dalla primiera falute. A i IX. 6 SEZIONE I. IX. X. Dal pefo del corpo aumentata fuor dell' ordine naturale comprendiamo eterne trattenuta la infenfibile trc[pira-xione . E benché V Orina , o il Ventre fciólto piů del [olito pňffano ridurr? il corpo al [uo debito pefa, ninna perň di que-fie due efcrezioni pareggia V insensěbile trafp ir azione ; fiante che quello che coěě traspira infenfibilmente bifrgna che prima fi digerisca pe' fuoi dutti efcretorj delle glandole : talmente che non fia mara-viglia fé il corpo incominci ad ammalar fi qualora cotefta terza concezione delleglan~ dole, e delle vifcere, o fiafi pajfata kg? germente, o fia fiata impedita. XI. Se per la Statica fi comprende trovarli trattenuta la trafpirazione , ne* giorni feguenti o fuccederŕ piů copio-fa trafpirazione, oppur qualche evacuazione fenfibile piů abbondante, o qualche fegno di Cacheffia, ovver la febbre. XI. Lei natura, procede accuratamen. te alii [uč co[e, o con qualche crifi, op-pur [e debba fi [occombere alla fine alla trabitazione ňfirutta, o col far nafcere qualche malattia acuta epericolo[a3 ov ver anche lunga. XII. Non poflbno ftare infieme co-piofa trafpirazione, ed una evacuazione fenfibile maggior del folito. XII. INSENSIBILE TRASPIR. j XII. Qualora V evacuazioni fenfibili fono maggiori del folito per necejfitŕ dee firafcinarfi ancora la materia da něan-darfi per infenfibile traspirazione y come nel fuffeguente Aforifmo fi afferifce, XIII. Se taluno evacua fčnfibilmen-te piů del giulto, trafpira ancora meno del giufto. XIII. Stante che debbono [cari carfifola-Mente le cofeprefe da noi per ciba, e bevanda* Adunque tutto eh che fopravanza , o fcorra per una > o per altra banda reca nocumento alla fine; anzi un lieve fallo nella proporzione di quefla, o quella evacuazione non poco nuoce alla fa-tiita. XIV. Trar fuora feerie craffe, orina-xe, o fudare piů del dovere, e aver meno di trafpirazione non č bene. XIV. Jo vi aggiunga altresě lo fpu* tare. XV. Se 11 corpo giornalmente tU tornafle al medefimo pefo fenza farli verun cangiamento nell* evacuazione delle cofe da trafpirarfi , non abbifo-gnerebbe di Crifě , e fano fi manterrebbe. XV. Andando bene la infenfibile tra-fpirazione, fiamo in ficuro $ attefochč fra A 4 tutte , č SEZIONE I, \utte l\ evacuazioni ella, n č la piů eccellente fé; Hón di pefo, almeno di virtů . XVI. Cattive qualitŕ s'introducono quando il corpo un giorno trovafi di un pefo j nell'altro di ptfo divcrfo._ \ XVI. te concezioni a poco a poco fi viri ano'\ fé fi fanno piů, b meno del fallito • principalmente quelle'che rě eppastengono alla traspirazioni infenfibik-. XVII. Quel pefo ferve di regola di fua falůte a ciafeuno, con cui, mentre falifce luoghi montuofi, fentefi piů Jeggiero dell'ordinario . ' ¦ r-;tr. XVII. Pel difetto deir ifjfenJtběleWafp!* razione prima patifee il polmone ě come quello che nella falita di qualche colle coli' 0tffaticarfi principalmente ne fta in efer-cizio , e che piů dell' altre parti ha Voh>-bligo dě trar fuora la trafpirazione. ' XVIII. Dall'abbondanza ne nafeono le cattive qualitŕ, ma non viceverfa. XVIII. Piů d'una volta ho veduto di 'vecchi y cioč artretici, da una fpantane a y č pertinace 'inedia eftinti: e quantunque talvolta la violenza del mah n' č par fa egregiamente diminuirfi , nondimeno la concozione dello flomaco del tutto fieftin-¦j«. Attefochč terminata l* Artriti de non fu pojfěbile che voleffero mangiar alcuna cofa, INSENSIBILE TRASPIR. 9 cofa, e 0 tofto morirono, 0 gli consumň l'idropifia, 0 la tabe. XIX. Il pefo, e altresě la efuberanza fi fa minore, 0 con l'evacuazione del crudo fčnfibile, oinfenfibile ; oppurdel cottofenfibile, oinfenfibile, que;tan'č falutevole : quella l'efuberanza ne toglie, ma ne lafcia una mala qualitŕ. XIX. CV medicamenti con facilitŕ le~, va/i e il p:fo, e /' eccejjň , ma la qualitŕ di cotefti non giŕ, [e non venga reflitui* ta del tutto la infenjěbilt trafpirazione. XX. Della infenfibile trafpirazione due fono le fpecie: una faififubito dopo il fonno, fatta la concozione , e dopo quella le forse prendon vigore; l'altra e:Tendo noi defti, e qus las' inalza dal {ago crudo, e p.r opra di quella s'in-iěacchifcono: mercecchi fi fa con maggior, o minor violenza, fecondo che maggior, o minor fi č il moto nel teni-po che non dormiamo . v XX. Quello chi trafpira infcnfibilmen-te quando čdejio V uomo, lo indebolisce ě quello poi cbs [vapora mentre dorme , fa accrescimento di forze : comecché, quella fi č materia cruda, quefla concotta. La ragione fi č perché mentre fi dorme le glandole concocuono quietamente, e bel bllo i al contrario quctlor fiamodefti > ri-A 5 tr»-'* io S E Z IO NEI. trovandofi i mufctli quafi in una perpetua tenfione, o agitazione , vengono ad efpelkre la materia della trafpirazione molto cruda, con molta vemenza. XXL La trafpirazione che con profitto toglie dal corpo un pefo abbondante, e inutile, non č quella che fi fa con fudore, ma quell'alito invifibi-le, qual di Verno in un giorno naturale puň evaporare fin* a cinquanta on-cie, e piů. XXI. Il fudore da una certa violenza alla trafpirazione infenfibile ; perciň věen efpulfo il crudo con queir acceleramento : anzi che i pori nell" atto del fudare fono come altrettanti vomitorj, a motivo della troppa rilaflazione delle boccuccie delle glŕhdole piantate nella cute. XXII. La inviabile trafpirasione fi rende vifibile o quando l'alimento fu troppo, o quando il calore languifce, o qualor il moto fi č violento. XXII. Cosě ne' j"udori freddi, quando la forza del cuore va infievolendofi> la trafpirazione rende fi vifiběle, per cagione dell1 allargamento de' canali efcretorj delle glŕndole. XXIII. La trafpirazione infenfibile congiunta col fudore , non č buona: per- INSENSIBILE TRASPIR. ir perché il fudor diminuifce le forze delle fibre : dicefi talvolta buona, dante che n'allontana da un mal maggiore. XXIII. Dal [udore le bocche delle glan-dole fi rendono piů larghe, a cagione della efpulfione veniente dilla materia trafpi~ rata, che n č piů grofla, e piů cruda: e cosě rendefi verifimile che ne nafca la debolezza, e il pentimento dsllajěracchez-ra : cioč per ildiftěramento continuato di quefie infinite parti del corpo. XXIV. Quanto piů fottile, e fenza fu dorč fi fa la inviabile trafpirazione tanto piů fana ella č. XXIV. La ragione fi č perché guanto piů concotta, e Piů rara fé ne vola via dalle glandole la materia trafpirata, tanto meglio le parti efercitanof ufizio fuo: nel che in fatti conjějěs la fŕnitŕ. XXV. Tutti gli eferementi liquidi fono piů petenti : i grotfi fono piů leg-gieri, e (tanno a galla, come fono le feccedure , le gro(Te, gli fputi, ed altre cofe fimili. XXVI. Gli eferementi liquidi tolgono via dal corpa piů di pefo ( data la pariti della grandezza ) che i duri, e confidenti. XXV. XXVL Gli eferementi duri, € jf, tcbt ne ftanno negl' inteftini, A 6 f ,,H \S E Ł I ONE I. 'proprietŕ non fi puň dire chefiano contenuti fičli* ambito del corpo" perciň per tal motivo ancora fono meno molefii di quelli che vengono portati pe 7 cěrcolo del [angue > e per le piandole. . XXVII. Parimente i cibi liquidi fono piů pefanti, e i piů folidi, piů leg-gieri : il pane, la carne fon cofe leg-giere ; il vino, il brodo, piů gravi. Tanto pefŕun bicchiere di vino , quan-jto uri pane iptero, di mole quafi tre -volte piů grande. XXVII. Quefii meno pefanti, epiůgrojft tibi quali fono la carne, e tutte le cofe fatte di pafta, fono molto piů valevoli a putrire che i vini > e i brodi .Ottimamen" te perň diQe Corn. Celfo, eh? quanto piů Ja materia fi č confidente con maggior difficoltŕ fi concuoce i ma concotta che fia piů nodrifee. XXVIII. L'uomo č di peggior condizione qualor fente il corpo grave quan- " do non č, di quando lo fente tale, e lo č. XXIX., Il pefo di un corpo vivo n*č equivoco; ajtefochc pofono ftar infie-nie , che il corpo fia piů pefantedelfň-lito, e che fentali piů leggiero: ed al .contrario , che il corpo fia divenuto <3i pefo minor del folito , e che fifenta piů grave. XXX, INSENSIBILE TRASPIR. i? XXX. Se cotefte due cofe fi unirai^ no inficine, una che l'uomo fi fenta piů leggiero di quel che č, e l'altra che in fatti non fia piů leggiero, da-ran fegno di ftato di ottima falute . " XXVIII. XXIX. XXX. Quefiofi č perche infievolite le forze -anche ogni menomň pefo č gravofo: quando poi quelle fono tnel fui vigore ogni ecce(jo defpefo folito non fi finte, [e adunque honfta congiunto allefor-> ne il pefo richiedo, non puň perfiftere una fomma fanitŕ. XXXI. Quel corpo, cheacquiftapefo minore attefa la latitudine di fuafa-lubritŕ, fi č di peggior condizione di quello, che ne acquifta minore. XXXI. Il pefo che fia meno di quello rL chiede il grado della fanitŕ difficilmente ne viene rimeffo i laddove l*eccejfo del pefo fano prefto fi toglierŕ o con /' aftinenza, o col medicamento. XXXII. Mentre il corpo rendefi di rninor pefo o a cagione del moto deli' animo, o del corpo, tofto diviene di minor vigore : cofa che non avviene fé venga refo di pefo minore dopo d'aver dormito fatta che fi č la concozione. XXXII. Vedete la fpiegazione dell* Afo-rifmo XXIV. In fatti nella dovuta concv- zione r4 SEZIONE !. rione conjifte la perfetta [alate, e la pienezza dille forze. XXXIII. Se taiora fenza una precedente violenza fi diminuisce H pefo, e le forze fi fremano, cib fuccede perché non tanto fi rimette quanto fi č perduto. XXXIII. Un' aftUtenza grande rende minori le forze, ed il pefo. XXXIV. In tre maniere folamente l'animale diventa debole; o qualora il pefo del corpo fi rende maggiore, fenza che ne fia feguita perdita di forze: oppure mentre s'indebolifcono le forze recando il pefo mede fimo del corpo: ovvero quando tanto le forze, che il pefo fi fanno minori. XXXV. Quella fiacchezza che fegue mentre il corpo diventa e poco attčnde allainfenfibile trafpirazione. XLII. I primi principi de* mali co» pili ficurezza fi conofeemo dali* alterazione cTinfolita traspiratone, che dagli ufizj offefi. XLII. Quantunque gli ufi delle parti y e i loro difitti piů a noi fi rendanpa-lefiy nulladimeno quefio infatti fegue piů tardi. F. pertanto con molto maggior pe-> ricolo quelle funzioni fi offendono di quello della oftrutta trafpirazione : efsendo» che a quefta qualor principia Ji porge riparo. ¦ -' ¦ XL1II. Se dal pefare vederete che venga rattenuta la materia trafpirabi-le, e che dopo alcuni giorni nonfcgua copia di fudor, o d'orina, ne farete conjettura che il rattenuto predice un' i-nminente putredine. * XLIII. Abbisogniamo di qualche crijě o per i* SEZIONE I. t per pudóre, o per orina, a fine «t ovviare al male che fta per feguire, fé la infenfibite traspirazione molto a lungo ne fia ofirutta» XLIV. Se poi dalla ponderazione cou jicfcerete che la materia folita trafpira-re per una caufa violenta ne fia evaporata piů del folito, Tappiate che nei luogo delle particelle trafpirabili evacuate violentemente, tolto vi corrono materie crude, e che in qué* minimi forami fi fermano» XLIV. Da quejěo Aforěfmo impariamo che dopo una lunga fame convienprender il cibo molto parcamente ; cosě ne con-valefcenti vi bifogna andar molto cauto : parimente vi vuoi gran riguardo nel vitto in quelle perfone, che partendofi dal freddo Settentrion fono per intraprendere viaggi verfo paeficaldi, sěa motivo degli alimenti, a' quali non fono ufatit sě per quelle incredibili evacuazioni della materia trafpirata. Quanta forza poi abbia la fame di ftracinare nelle vene il chilo inconcotto fi puň comprendere ottimamente da quelncjfro manifefiiflimofpe-rimento del ritrovare il chilo colorato nelle vene lattee; Fedele il lib. intitolato Afta Philofophica Londůienfěa , dove tempo fa fu fiampato. XLV. INSENSIBILE TRASPIR. i? XLV. Quei riftagni, che fannofě f fé poflňno renderfi fluidi fecondo tutte le fue parti , o trafpirabilr, č bene: altrocheno la parte contenente prima divieti dura come un cuojo, e dapor fcirrofa. XLV. Dal rifiagno della materia Crtt* da in qualche glandola, fé quella non Jt renda fluida t e trttfpiri fi puň temere che tal glandola fi converta in fcirro , e alla fine traligni in Cancro j essendoché gě* ifiejft organi vengono del tutto off'eft dalla materia fermata nelle glandoli j comS quella che prefto contrae una certa acredine putrefacientt. XWI. Se la materia trafpirabile non C\ fciogliefle o dalla natura, o dal ca-k>r febbrile, torto il corpo «'incamina* rebbe alla febbre maligna » XLVI. Una piccola febbre toglie la mH* ligniti: cioč dal moto del cuore refo pm voloce fi afrottiglt*, e s* efpelle la mate* ria trafpirabile : dalla tardanza poi troppo lunga di efta ne feguf la putrefazione . Ciafcuni mali poi pejiilenzialifopr aggiungono piů facilmente i fuoi caratteri a cotefia materia corrotta: e perciň č megli» che tal materia cruda fia disfatta da una febbrftta i eh; ft ne refti ferma per dover fi corrompere. Onde parimente fi fa palefe, perché quafi tutti i medicamenti corro- 20 SEZIONE I. corroboranti, e cancoquenti fiano altre-, sě putrefacienti, perché di materia cai-diurna . f XLVII. I febbricitanti vanno in peggio tanto fé da un Medico men pratico con medicamenti dati fuor di tempo lŕ loro trafpira^ione ne venga divertita , come fé ciň feguifle dagli errori cňmmerti dagli ammalati. XLVII. Quanto parcamente , e con quanta cautelagli antichi Medici ne die-rono medicamenti purganti nelle febbri, č cofa notifjěma a chi ligg? gli fcritti lo- , foi e pel contrario quantiflrepiti mai ni. fanno i nofiri fu tali co fé ! Se di coftoro poi dtbbafi incolpare l'ignoranza , oppur i* avarizia voi medi fimo vel potete immaginare 5 In fatti in pericolo grande ri-trovafi colui al quale la infendbik trcrfpi-razione fi a fermata dalli troppa violenza de' purganti, anobi in fé buoni : e certamente molto piů , che fé talun fanopa-tifcalŕ crapola di cibipjr altro di buon nodrimento. XLVIII. Un pochetto di Cafifia non ditfurba la trafpirazione, non offende le forze; ma toglie folamente dal corpo un pefo inutile: le altre medicine poi evacuano di piů, e arrivano alle parti piů rimote, e rendono il corpo piů INSENSIBILE TRASPIR. 21 pio leggiero: il cibo perň, e la bevanda che ěor van dietro riempiono i canali vuotati 5 quindi il ventre , e la vefcica fi rifeccano, e poco dopo bene* fpeflb il corpo n' č refo piů pefante . XLVIII. Ciň di fatto rě indegna quanto per lo pia fiano inutili tutt i medicamenti purganti a prevenire le malattie, qua/or il corpo viziatele vifcerf allo Jěefso pjfo toflo ritorna: e fé in qualche parte s'č impiantata materia cruda ě e corrotta dopa dato il medicamento farŕ molto piů difpojěo a concepirne la malignitŕ. XLIX. Qualfifia dolor, o fatica del corpo n'inpedifce il pafTaggio della materia trafpirabile concotta. X UX, Guardatefopra alnum. qj. Nel-k febbri i vefcicanti: le gagliarde evacuazioni fatte con medicamenti gagliardi, e i vomiti, perché cagionano dolore: l'Opto, e ě fudonfěci reiterati , perché accendono la fete ( ti piů grave degli altri, mali ) ed impedirono la trafpirazione. L. Qualunque fre-ddo benché menomo che patiamo di notte dormendo, n'impedifce la trafpirazione. L. Il freddo cofiipa le boccuccie delle^ gěandole, e perciň impedisce la materia trafpirabile, che non ifvapori: nel tempi del fonno perň quelle bocche fonfolits d'epa- Hi SEZIONE I, *f efser piů larghe, e piň aperte. Anzi che pare vi bifogni il fonno a far la tra-fpirazione come fi conviene', imperocché quando fia terminata la trafpirazione, pare che fia parimente fuperflua la necef-jttŕ di dormire, né piů dormiamo. Perciň fé oltre ilfolito andiamo a letto fen-z<* cena, in quella notte appena prendiamo fonno, ftantecb? il motivo deldor-ptire in gran parte n č cefsato per la tra-fpir azione dsl giorno, tioé per la mancanza della materia trafpirabile. Stante che la natura nel tempo del fonno principalmente attende a fgravarfi del pefo fu* jperfluo. LI. Una delle piů frequenti cagioni, che neh'Ertate n'impedifce la trafpi* razione, fi č il frequente rivoltamcjj-to pel letto. LI. Ve* la fiefsa ragione, che ftringg le bocche delle piandole , cioč a motivo della frequente coftrizione de* mufcolis Attefochs diftirandofi i mufcoli anche i vafi menomi fi rendono piů pretti, e piů compreffx; e perciň il moto del fangue, e la tr afpir azione, che da quello dipende, vien ritardato, come fifa manifefto per meccanica; ed io ne /rito la tefiimonian-za del Leewenhoeckio nelle fue ofser* Dazioni : alle fuddette cofe fi aggiugne Covsnte un temperamento, e raffredda* menti INSENSIBILE TRASPIR. 2$ mento delle parti agitate s 9 mefse in moto » LII. Tre fono le cagieni interne della trafpirazione impedita ; la occupazione della natura, Ja di verdone, eia debolezza delle forze ? LII. La natura vie» tenuta occupata nelle prime concozioni, cioč dello ftoma» co y e delle vtne : vien divertita da qual-fivoglia dolore, pajftoni di animo , e da qualche purgante, come piů [otto dirafft : nelle psrfone poi imfermiccie o vecebif per lo piů fi trova una fomma debolezza . Perciň i vecchi non trafpirano apro" porzione delle cofe apunte ; fi puň ben dire che quefti concuocino^ ma molto tardi il chilo per le *oene ne digeriscono, e piů tarda n* č la loro trafpirazionei ftante-che quefie feconde funzioni ricercano una forza particolare del cuore, e de* mufcoli', le quali cofe tutte col pafsare degli Anni vanno diminuendo^t LUI. Di qui fi fa palefe qer la Statica che nel dě che prendefě medica-mento, e dopo «Teflerfi cibato, per lo fpazio di tre ore, poca trafpirazione fi fa. Nel giorno del purgante la natura fta occupata ali'evacuazione ičnfibile; e dopo prefo U cibo alla prima con* cozi«ne 24 SEZIONE I. j L1V. Nel fluirň, e nel vomito s'im-pedifce la trai'pirazione perche n'č divertita . LUI. LIV. La materiache infenfibil-mente dee trafpirar dopo il cěbos in tal tempo fi porta piuttofto internamente allo fiomaco ed inteftini , cioč per un certo fiimolo e fermentazione del cibo ; e cosě per efser una delle caufe primarie dilla concoziom . Nello [caricamento poi del ventre, e mi vomito fegue lo fiefso , e molto piů veementemente ; a motivo che la traspirazione fi volta quafi ali' indietro , ed in gran parte vien chiamata , ed efpulfa per gě' interini, e jpJr lo fio* maco • LV. Le vefU troppo pefanti impedi-fcono la trafpirazione 3 ftante che ne indeboliicono le forze. LV. Lo fiefso avviene di tutte le altre cofe da cui h forze del corpo vengano ttbbatute: cerne farebbe da una troppo copiofa j e inopportuna cavata di fan- gue, e.c. LVI. In ciafchedun'ora il corpo non trafpira nella rteflfa quantitŕ , eflendo-che dopo il cibo in cinque ore fuolefa-lare p^r lo pia una libra di materia trafpirabile ; dalle cinque alle dodicj circa tre libre, dalle dodici alle fedici rtetn- INSENSIBILE TRASPIR. 25 C tempo in cui bifogna o prender alimento , o medicamento ) appena mezza libra. LVI. Ne addita qui il modo , e la quantitŕ della traspirazione i cioč a dire che il fa evaporamento n č molto ineguale, a motivo della diverfa conco~ zio ne, che fajfi in tre principali officine del noftro corpo, che fono lo Stomaco, le Vene, e ě Condotti delle dandole. LVII. Colui che cibafi, oppur con medicamenti fi vuota nelle ore della maggiore trafpirazione, quali ne fono per lo piů quelle deila mattina, ne riceva lefione, atrefoche dal cibo, e dai purgante la trafpirazione a/Taiflěmo n* č divertita. LVII. Colui che cibafi afazietŕ nella ere della mattina fuori della confuetudi-ne : atte foche in tali cofe quefta dee averfi in confiderazione. LVIII. La occulta , ed infenfibile trafpirazione ci follieva piů di tutte le fenfibili unite infěerne; imperocché dopo il forino innanzi l'evacuazione degli eferementi fenfibili ciafeuno fi fente piů Jéggiero , perche di fatto č divenuto piů lieve del folito circa tre libre. LIX. Nello fpazio di una notte fčnici oncie di orina, poco piů , poco StRtSantvolg. B me- 2<5 S E Z I O N E I. meno ; quattro di feerie per di fotto ; quaranta e piů per ordinario Cogliono evacuarti per l'occulta trafpirazione. LX. Nella maggior parte delle per-fone in un fol giorno naturale tanto fi evacua per infallěbile trafpirazione, quanto per feceflb nel corfo di quindici giorni. LVIII. L1X. LX. jQvi fi fa il computa delle, evacuazioni^ e della infenfibik tt aspirazione, Ed il calcolo fi trova, il doppio di piů delle altre evacuazioni tutte unite infame. Un certa vecchia Z>, Al. D. mio ami* ŕjfimo y e per pratica lunga, notiamo » eh; aveva ottantafei anni 3 ben fano , mangiava copiofamsnte , anziché rě an*t dava in traccia delle carni malcotte, ? quafi crude- ; contuttocio. da piů anni non evacuava fé non appena una volta la feu umana, e bene fpejjo arrivň a quatto? ¦ dici giorni A LXI, Perche mai molti de*noftri medici in ogni infermitŕ attendono a far evacuare per feceffo, o per orina, e della infenfibile trafpirazione lor non. cade neppur in penfiero, LXL Attritamente riprende la negligenza; & disattenzione: ds* Medici. Ejjčn-. doche quantunque fia manifefta dalla ft-4 fib ch,e la 'wfcnfěbifc (rafpira-, Insensibile traspir. 27 rione n č la principale di tutte V evo* cuazioni y non fi riflette che in ogni ma* lattia a quella devono indrizzar/i i primi riflejfi: perda la invenzione di effct die riponerfi fra h cofe filici dd fecole paffato . Di tal cofa ne fa tefiimonianza quel pajo di due nobili medicamentii cioč' uno quel miracolo^ detto Scorza del Perů ( la China) eValtroVIpochocaana« Quefti femplicě e pronti rimedj tolgono* tutte k febbri intermittenti e la Difen* teriay piacevolmente perň y e molto leg~ gemente producendo alcune fenfibili evacuazioni, neppur h'(udore, vuoi'direche-col promovere la infenfibtk traspirazione-fanno ilfuo ujězio * LXIL Se la notte trafpireretepiu del folito ma fenza {udore, efenza qualfi-lui nule (Ha Tappiate certo che fcte perfettamente fano. LXIL Delle altre fenfibili evacuazioni non puň dtrfi cosě: che fé quefte ecce~ dono, debbono, riputar^per critichey carne originate per la piů dalla intemperan--za del mangiare » LXIIL Allora fěamopiuche m gě da malattia quando, fiam giunti al mezza della latitudine del pefo fallita-re , non per una evacuazione fenfibile ijpx>ntanea^ oppur fatta dal Medico, o 2? SEZIONE I. col digiuno, ma per infenfibile trafpi-razione che fi fa dopo il Tonno fatta un' etti ma cozione. LX1II. In primo luogo convien notare y che il digiuno vien pojto qui fra rimedj contrar] alla natura . LXIV. Quantatrafpirazione convenga ad ognuno per conservarli nel piévo flato di falute cosě lo conoscerete. Of-fervate la mattina, fatta che fěafi qualche cena piů piena, quella maggiore trafpirazione , che in voi rteflb pofTa farli nello fpazio di dodeci ore : fuppo-niamo che lě a di oncie cinquanta: l'altra mattina, ma dopo d'aver mangiato, fatelamedefima otfervazione, con quefto patto perň, che nel giorno antecedente non abbiate ecceduto nel pran-foj diamo fiano venti: faputo quefto , eleggete quella moderazione tanto dei cibo, che delle altre caufe non naturali , la quale vi potfa giornalmente ridurre alla metŕ fra il cinquanta, e il venti, la metŕ farŕ, trentacinque oncie; in quefta gnifa menerete una vita faniilěma 9 lunghiffima , o di cent* anni. LXIV. Quel frammezzo della materia traspirata , cioč di trentacinque oncie fi determina per ordinare , o feemare ilvit-&. ftantecte dalf eccedo di ejfo n' ha orL line INSENSIBILE TRASPIR. 29 gěne. alla fine il pefo del corpo, e il de~ fetto delle vifcere . LX V. I corpi altresě delfe perfone fané , che ufanocibo moderatismo, ogni mefe divengono piů pefanti del folito , cioč di una, o due libre, e in circa la fine del mefe fanno ritorno al medefi-mo pefo alla fimilitudine delle femmine? ma dopo fatta la crilě per mezzo dell'orina un poco piů copiofa , e piů torbida . LXVI. Innanzi a quella crifědi o^rni mefe fatta dopo il fonno, fi fente o gravezza di tefta, o fiacchezza di cor* pň, e poi vuotata piů abbondante copia d'orina il tutto ne ce.Ta. . LXV. LXVI. Quella oflervazione fi deve in tutto e per tutto alla fiadira, perciň alfuo meritevolijftmo Autorefi dee attribuire. In fatti di qui fi fa chiara la maniera de' meflrui, cioč che in un da-. to tempo fi raduna tanta fuperfluita di J'angue, che non puň digerirfine dalla mezzana} ne dall'ultima concozione . Agli uomini naturalmente fi fa tal evacuazione per la Vescica ; atte femmine poi fi porta ali Utero . E a i macchi n' avvengono qua fi gli fiejfi fintomi, che ne accadono alle femmine quando fon vicine alle loro purgazioni ordinarie, B 3 LXVIL 3© S E Z I O N E I. LXVII. Le caufe efterne che ne fo-gliono proibire la trafpirazione, fono l'aria fredda, grofTa , ed umida : il moro in acqua frefcaj i cibi grotti, e vifcofi, romiflione dell" efercizio corporale, o deiranimo, e ne' robufti la troppa continenza dali' ufo Venereo. LXVI1I. Il freddo citeriore trattiene .la trafpifazione in un foggetto debole, ftante che il calore di effo viendiflěpa-to; in un robufto poi l'accrefce, impe-recche il calore vien tirato abbaffo, fi raddoppia, e dapoi la natura fi corrobora; le quali cofe il pefo della materia trafpirabile ritenuta , toglie di mez-eo, e il corpo diviene, e fi fente piů leggiero. LXVII. LXVIII. All'aria graffa ag-gěugnetevi ancora la fumofa, principale mente che fia viziata da continuato ufo del carbon terreftre fulfureo . Che la materia poi traspirata Jě coti' fumi dal calor duplicato interno, č va-mtŕ. Attesoché fi fa da un fommo vigore del cuore , e de' mufcolě, chela trafpirazione t non oftante il freddo, ne* robufti venga promofja : cioč o per di dentro allo ftomaco eagl'intefiini, o al di fuori ali a; cute, e al polmone . LXIX. Piů ftabile, e piů durevole b' č la falute di quel corpo, il cui pefo pel INSENSIBILE TRASPIR. 31 pe1 corfo di molti anni ne crefce, ne cala, di quello che ogn' anno va divariando. LXIX. Che una fanitŕ fpejjb travagliata ne acceleri la vecchiaia, ed alla fine la morte fteffa , non foto perche ne vien molto tolto il pefo del corpo, ma perche rende ad ogni tanto mutabile l'aumento di ejjo 5 adunque fi vede che la fola lunga e ferma fanitŕ confijle in un determinato , 0 perpetuo pefo, che fio. fem* pre lo ftejjb* LXX. 11 ritornare alla lolita gravita per aggiunta di fughi incotti, č male . Li fughi cotti poi ne reca -, ottima falute. LXX. Qualor fiafi. fatto accrefciment* di materie crude, č cofa facile da fa-perjě', perche le forze non coirifpňnaonfr fili* aumento. LXXI. Che un fano divenga di mi-nor pefo del folito, fuppolto Io fteflb tenor di vita, č male: Attefoche non fi č rimetto quello che (1 era perduto di falutevole . LXXI. Ne* vecchi a proporzion dell* etŕ molto fani ciň per lo piů n* accade $ imperocché non dajft alcun3 altra notizia piů certa della morte loro da foguěr per necejfttŕ, quanto che vedere nella etŕ piů B 4 inni- 32 SEZIONE I. inoltrata un continuo deterioramento di fallite y ed una quafi confumazione. LXXII. Le feccie concotte del ventre fono di molta mole , ma di poco pefo ; ftanno a galla per 1* aria che in fé rinchiudono, e que* che in lina volta fi gettan fuori, mai trapaf-fano le oncie quattro. LXXII. Jlpefo dello fierco umano di una evacuazione di rado) o mai oltre pajja le oncie quattro ; cosě ancora negli altri animali ( fenza. eccettuare gl'infetti ) lo fterco de* quali č figurato ; voglio dire, che coteflo fi forma d' un pefo quafi eguale . La cagione di quefio poi non č cosě manifefia. LXXIII. Se in un giorno per qualche errore venga ritenuta una libra di tra-fpirazione, la natura in tre giorni č fň-lita di purgare quel rattenuto infenfi-bilmente. LXXIII. La proviamocofa verijftma: cioč che da un improvifo timore, o afflizione , quantunque il motivo loro ne fia del tutto ceffato, contuttocio dalla gagliarda comprejftone del cuore la trafpirazio-tie infenjibile, per qualche tempo > puň venirne impedita : i convalefcentě poi dopo la malattia , per molti giorni fi jentono mais. Nondimeno cotefia tardanza di tre gior- INSENSIBILE TRASPIR. 53 giorni, in cui la libra dilla materia rattenuta [opra la porzione giornaliera dee dijftparfi , ha una certa, proporzione di eccefso dt cotefla infenfibile trafpirazio-ns piů di tutte le altre evacuazioni fenfibilě prefe infieme. LXXIV. Allora la natura evacua in-fenfibihnente molto quando con fbavi-gli, e diftiramento delle membra la materia trafpirabile ritenuta lě sforza cacciarne . • LXXIV. Negli sbavigli il fiato con empito , in maggior copia, e 'piů indentra cacciafi , e con la, medeftma fi efprfle 3 comecbč ben carico della materia trafpi-rabile : anzi n* č verifimil? che la copia della materia nelU glandoli dd polmone ben concotta, e prontapervoltr via s ne J14 la cagione in gran parte, dello JěeJJa sbaviglio . LXXV. Il trafpirabile ha due parti • cioč una leggiera, l'altra pjfante. LXXV. Tutto quanto infenfibilmente trafpirafič maturo', pel contrario quello che n č efpofio al fenfo, come avvien nel [udore, dal nojěro Autore fi chiama crudo . Cosě il crudo, e il cotto non divsrfi-ficano di fpscie, ma follmente dalla maniera di efcire ,-eftendo amendue parti della materia med-jěma. B 5 LXXVI.'* 34 SEZIONE I. LXXVI. La parte pefante n'abbonda in guifa, che da erta fi producono animali: come i cimici, i pidocchi, ed altri sě fatti. LXXVI. Quefto Aforifmo rič falfiffu tuo. Attesoché ne i cimici, ne ipidocchi in alcun luogo (pomatamente ne nafeo-710, o fon prodotti dalla putredine y ma egnun di loro nafee da fuoigenitori, conforme tutti gli altri animali : cotefti pof-fono bensě Succhiare gli umori contenuti nelle glandole cutanee : e principalmente molti cercano , e traggono per loro cibo il fangue. LXXVII. Dalla parte piů pefante della trafpirazione n'anno l'origine le infezioni contagiofe di due perfone che dormano infieme ; flanteche la parte leggiera fen' vola via 5 la piů pefante reca la infezione con 1*attaccarli. LXXVII. Quefto infatti fembra mero tiella Lue Celtica, Rogna, Idrofobia ; co--mechč fono cofe che fi fanno c«lcontatto, ne in altra guěfa riefcono contagiofe. Si trovano perň altri mali che traggono la fu/t origine dallo fiefso alito infenfibile , V molto volatile, come la Pejte, i Fa-juoli, & che riguarda que'fpn- ti 33 SEZIONE I. ti de' Vecchi, pe' lo piů provengono dalla infenfibils trafpirazion dt* pdmoni diminuiteti i quali fecondo i/Santorio arriva alla parte decima del tutto, per tniogitt-(fizio, o dirň confettura, al doppio . Quando poi i polmoni per l'etŕ / indeboliscono, quella evacuazione infenfibile in gran parte fi converte in un catarro fenfibile . J\4a ogni pituita, o fputo non č inca" pace di nuova concozione ; anzi quantunque n' apparifca marcioso, nuttadimeno non č molto differente dal chilo, come che benché talora molto legger mente purga, e move il vomito , nondimeno promove afsaif.. fimo la irafpirazione oftrutta efierna j cosě 44 SEZIONE I. it molti medicamenti in poca quantitŕ fono antidoti, che [e dianfi in copia ftimo-lano grandijfimamente lofiomac?, egl*in-tejěini i circa la qual cofa confederate l* antichijfima compofizione del Mitridato, XC1II. Conforme la calamitŕ meglio conferva!! con molto ferro, e il vino in una botte grande , che in una botticella . Cosě i corpi fani pefanti pili confer-yano il vigore , di quelli che pel digiuno decadono dal ilio pefo. XCIII. La diminuzione delpefo fattafi col digiuno rovina le forze del corpo ě e ne accelera la vecchiaia, e la morte : a motivo che i vafi minori s* infiacchirono, fi contraggono 3 fifmarrifeono * s XCIV. Quei che piů orinanodi quel che bevono, poco, o nulla trafpiraua. XCIV. Confiderai: bene le viriti ds Tonti medicinali per movere copioj'amen-mente forma, e ditemi per quanto tempo filmerete che queir eccefso y ed ufo continuo di bevanda, vi fia per efsev proficuo : inquanto piů orinate di quel che beviate e ciň con prefiezza, fiete libero da penfarvě fopra . Ma pappiate che due incomodi da ciň ve ne proverranno , uno che in tanto cefsa la trafpirazione, l'altro che que' fali metallici fi piantano in tutte le officine delle concozioni, da ti* moverfi INSENSIBILE TRASPIR. 4? ntoverfi poi, e da fiirparfi con difficoltŕ molto grande. XCV. Nelle febbri intermittenti per qual motivo s'impedifce la infenfibile tr aspirazione ? Perche l'umor peccante fi trova nell* ambito del corpo . XCV. Ciň che cagiona le febbri in ter-mittentij>rima fentefi intorno alventrico-lo, e agi' interini 5 di li a poco con un certo freddo fi diffonde pe V ambito del corpo i forfč per un' improvifa irruzione di bile fervida: onde ne f^gue poco manco che un deliquio di cuore, e freddi, e tremori nelle e/irentitŕ, come pfifofse prefa ' qualche cofa velenofa. XCVL Nella Idropica non fi rifolve l'acqua del ballň ventre, perchela liceitŕ , e la durezza del medeiěmon'im-pedifee la trafpirazione. XCVI. Non fi rifolve l'acqua nel ventre dell'Idropico, perche quell'acquaie giŕ fiata mandata fuori dalle glandole 0 fra le tonache del peritoneo, 0 nella fief-fa cavita dell' addomine : perciň in va-no fi afpetta eh' ella trafpiri , trovan-dofi giŕ fuori degl'organi della trafpirazione . XCVII. Gli umori caldi concorfi a gualche parte fi trattano .con validi di 4<5 S E Z I O N E I. digerenti, e fine che vengano rifoluti per infenlěbile trafpirazione, XCV1I. In tal guifa di fatto e i por io boccuccie de condotti'fidilatano, edezianděo piů prejlo rumore nelle glandoli fi di-gerifee per una pronta evaporazione, nel che certamente confile la notizia ddlain* fenfibile trafpirazione , XCVIII. Nelle febbri gagliarde perche mŕi n* č proficuo il deliquio ? Perche cagiona, l'udore > e molta trafpi-xazione. * XG.Vili. Qiialorfi farŕ rallentato quell nrdor febbrile, come fuol accader ne* de" liquj y dalla jforzo della febbre ne vien fuora il fudore, e tutto il trattenuto nel" le glandoli in quella gagliarda, coftrizio-ne, e ny č oramai concotto , e atto per la esalazione da' condotti abbafianza rilavati) vien cacciato fuora*. f fa. XCIX. La puntura di un nervo fé verrŕ riempita di latte v di farina, o, cofa fimile, Tumor trattenuto inacidisce in Łiiifa , che quei feriti «mujono convulfě , fé la. ferita, non venga aper^ ta con l'olio. CXIX. Perche Matte rěčfacile ad inacidire: la farina poi ftringe troppo per fé ftefsa, e tura non altramente cbefefofsc fŕfcia calcatavi fopra fortemente. INSENSIBILE TRASP1R. 47 C. Nelle tumefazioni la trafpirazio-ne fi č utile purché fi faccia con cofe umide o in atto, oin potenza; altro-cheno pafTano in fcirro , efalando la parte fottile, o reftando dentro la parte grotta, Cf. Una parte del corpo ripiena di fangue non dee rinfrefcarfi con a]tro umore, come ne'tumori, e nella ftef.. fa pleuritide : dante che fcaricata la materia di per fé raffreddali. C. CI. Chi non vede che il metodo di rinfrescare ne* vajuoli fi č psrico/ofo molto: atte foche il corpo fi rinfrefca coli'iftef-fo venir fuori de' vajuoli, fi diminuifce la febbre, e cefsa taleruzione A Clh GV Ipocondriaci fé col frequente ufo del bagno rendano i corpi loro trafpirabili, e ufino cibo umido, rifa-nano. CUI» Latrafpirczioneinfenfibile fatta per mezzo di fomenti in un corpo non purgata attrae piů di quello che rifolva* CII. CHI, Prefso di noi , a motivo dell'intemperie dell'aria convienpiuttoflo fervirfi del. bagna naturale, a Ter me'. at~ tefoche V effetto- di quejle molto celereper la fottigliexxa dd vapore, da cui vengo- il rimedio fi č un evacua-zion fenfibile, ed infenfibile . CVI. CVII. Ilfuppuranteper ordinario incrafsa, quello poi, che promove la trstfpirazione afsottigha . La gangrena principia da minime ar~ tsriuzze s di li a poco invade li vafimaggiori f e finalmente fin al cuore ne gitt-gne. Pertanto psl circolo del fangue fermate nella parte affetta onninamente > non dall'abbondanza, come vuoi il San-torio, pare che ttafea-quefio mah. CVIII. Nelle perfone rňbufte gli umori piů grolfi paiTano per le ftrade pia frette, come fi vede della pinguedine paflfata per orina, dell'acqua melata; fchizzata in una ferita del petto v, dun~ que partano per condotti infenfiiili. CVIII. Quefii dutti infenfibili non at? ŕtat. fant, voěg% C tH 5© SEZIONE I. tri fono, che i condotti efcretorj delleglandoli : fra le quali fono gli fiejft reni 3 e i polmoni. Ma ciň non Jcgite fé non in un corpo mal affetto per efsere viziate cote» fie firade. CIX, Pe'lo fventolamento fi evacua la materia utile, e l'inutile: {e poi dopo il fonno firacquiftanoforze, č molto inutile. CX. Qjiello fventolamento che non cade fotto al fenfo č naturale, e da indizio di robuftezzaj al contrario poi il (udore. CIX. CX. Quejlo fonno dev*'efsere naturale, non provocato coli'Opio y attefo ebe da qusfto non fono reftituite le forze, benché il fudor n* fufsegua alla virtů dei medejtmo. Infatti FOpio č una cofa piů rifěringente d'ogn* altra. Nello fventolamento ancora vi vuole attěnta ofservazione , chi non evapori f utile coti* inutile infieme: pertanto ottimamente ci vien infognato /* indizio di ef-fay che rěč la confervazione, o reftětu-něone delle forze. Nel dar adunque i fu-dorifici abbiate l'occhio di non oltrepaf-fare la moderatezza. CXI. Se d'Inverno qualche parte del corpo patifee molto freddo tutto il p fé ne jifente in guifa che la con- cqzěq- INSENSIBILE TRASPIR. 51 cozione, e la trafpirazione fi fa minore. CXI. iST avvien queflo per la fomma contrazione di tutta il corpo s pel confen* fo delle parti, e pel rit andamento del circolo del [angue. "' CXII. Il nuoto della fera č piů ficu-ro j la mattina eflendo V acqua piů fredda fi chiudono i pori: donde fi va arili co di febbre. CXII. Per nuotare intende nel mare > o ne'fiumi, che nella State fu queli* ora per ordinario fono tiepidi : efsendo la loro acqua molto piů fredda la mattina 5 e queflo perche il caldo della giornata concepito dall'aria vaporofay penetra, e fi me-fcola ancor dentro l'acqua . CXIII. Nella State fé fi dorme del tutto fcoperti fi proibifce la trafpirazione .- onde ne nafce gravezza di tetta , e fiacchezza di tutto il corpo. CXIII. Per la trafpirazione impedita tutt'i condotti efcretorj delle glandole a cagione dell' umor trattenuto, vengono di-ftefi: dalche ne proviene il fenfo di gravezza , e di dolore, CXIV. Mentre nel corfo di cinque © fei giorni il pefo del corpo fifamag-gk>re, dee quello fcemarfi non fu bit» C 2 «ut- 52 SEZIONE I. tutto, ma poco alla volta; Manteche un' attinenza troppo rigida n'offende 10 ftomaco , il cervello, il cuore, e poi tutto il corpo. CXIV. Dalla troppa rigorosa eifiinen-Ta ne viene la mancanza del chilo, psr cui i vafi minimi patiscono y s'infiacchě» fcono y e alla fine possono mortificar fi : fianteche que* come il re fio del corpo dalla fola giornaliera ripienezza fi fogliono dě-fiendere, vai a dire nodrirfi. Per tanto una trajpirazione a lungo ferrata non fi leva con ficurezza da un* ojtinata aftinen-za, e per il detrimento delle vifcere, e perche tutta quella materia fuperflua da epacuarfi ( benché fia un ammafsamento di piů giorni) per ordinario fi contiene ne' condotti efcretorj ( che non fono meri pafsagiy ma ricettacoli )eper tanto fuori ddle vene. CXV. Nell'Autunno fi fa maggiore 11 pefodel corpo, il quale fé oltrepafia ě termini della falubritŕ ne vengono le terzane, ed altre febbri putride. . CXV. Le febbri nafcono per ordinario daW opprimente pefo della trafpirazione impedita. Perciň č verifimik che il fomento loro ne abbia ilfuo nido ne'condotti delle glandole, e delle vifeere . ' CXVI. Che rcftremitŕ fěano fredde io INSENSIBILE TRASPIR. 5? in una febbre acuta, e che non fi ri-fcaldino č fegno di morte : perche lŕ trafpirazione n'č del tutto vietata. CXVII. Alle ulceri maligne niente pin nuoce quanto le cofe che n'impe-difcono latrafpirazione: come farebbero il graffo , l'olio, la cera. CXVI. CXVII. Con tutto quefio gli Antichi dopo V ufo de bagni adoperavano le unzioni di olio femplice, o medicato: e infatti facevano bene, a fine chs ipori delle glandoli non trafpirino troppo ft eri dell' ordinario , trovandoli dilatati daěl acqua calda. Ma perň quejěi olj venivina applicati alla carne fana, non ali* uleffr-rata. Cautela maggiore perň běfogna ufa-re neW adoperare il fevo, o grafso, dell* elio, o cera. CXVIII. La febbre quotidiana fra le intermittenti fola non č fenza pericolo 5 efTendoche la pituita vi tiene il primo luogo nel proibire la trafp'ira-zione. CXVIil. La febbre quotidiana n'č la piů pericolosa delle altre intermittenti % perche in efsa la fanitŕ del corpo fi č in un grado minimo, e chi dapprefso alla continua s' accofla. La pituita poi n č rindizio della trafpirazione impedita t perche quella materia cb? dovrebbe in- jfenfibilmente efpellerfit giŕ fi purga con C 3 mo- 54 SEZIONE I. moleftia fotto fembianza di cčrta vifcofa pituita. CX1X. Coftipata la trafpirazione nella cervice fi oftupcfa il fenfo dal peri-cranio: come prova chi camina al vento, e alla pioggia. CXIX. Si trova un certo confenfo in tutta la cute, ma qui particolarmente per V impedimento della trafpirazione nel colalo ne patisce il pericranioi come quello e he gli č piů vicino, t piů lungi dal cuore. Vedete di [opra airyffor,^l. di que-fia Sezione, CXX. Niente piti toglie via la putredine , che una eventilazione copio» fa non {blamente fatta per mezzo del refpiro, come altresě per i pori infen-renfibili. CXX. Non bene diflingue la refpira-zione dalla trafpirazione: mercecche dě amendue n' č lo ftepo effetto, e la medefi-tnacaufa. Ma alto fventolamento de3polmoni pare che in primo luogo Jtanecefja-ria /'aria temperata, la quale fé farŕ piů tenue, o piů lecca del fuo dovere non cosě prontamente Ji riceve 3 e fi mefcola colf umore infenfibělmente portato nel polmone : che fé ella fia piů crafsa, e piů umida, n'ha giŕ il fuo pefo. CXXI. INSENSIBILE TRASPIR. 55 CXXI. Ne'mali acuti i rinfrefcamen-ti danno indizio di morte, come avvenne in Ermocrate 5 attefoche ne tolgono la trafpirazione. CXXI. Infatti dee temerjěcotejěa grande , ed improvi fa refrigerazione, la quale i noftri procurano con tanta diligenza d'introdurre principalmente ne* vajuoli., e in alcune altre febbri acute contro la teftimonianza di quefto Aforifmo. CXXII. Dopo il bagno i pori della cute fi coftipano con l'olio a fine che l'umiditŕ alimentare tirata ali3 efterno, non voli via; dunque l'olio ne'pericoli chiude, non apre i pori. CXXII. I Greci, e i Romani dopo il bagno ponevano in ufo le unzioni, come fi č detto di jopra, per trattenere la in-Cenfibile trafpirazione, cioč a fine che la troppa evaporazione non gě*indebolifse. Ma voi, Lettore, non fate capě dell* attrazione , ma riflettetefolamente alla pul~ j'azione del cuore sě nella nutrizione che nella trafpirazione. CXXIII. Quella maniera di vivere che giornalmente da noi č confidera-ta , talora ci conduce alla vecchiaja di Filippo. CXXIII. Si trovano taluni, che per mero ceffo ufano una forma di vivere fen-C 4 za 56 S E Z IO NE I. za punto penfarvi, che quafi contro lor voglia ne fono portati fin ad un* ultima vecchiaia. Vedete fopra VAfor. 83. 84. dě quefta Sezione. CXXIV. Il Diaframma nel contrarfi verfo il fuo principio dilata il torace; col dilatarfi fi fa la infpirazione: coli* allentarli coftringe, e col costringerli fegue l'efpirazione. CXXV. Il mufcolo Sfinter poi col contraerfi verfo il fuo principio ftrin-ge la vefcica e rattiene l'orina 5 con JTallentarfi l'allarga, e la manda fnora. ; CXXIV. CXXV. Nella ftefsa guifafi fa la diflěp azione per opzra delleglandoli, tn qualunque parte del corpo ell&fegua. JHa il polmone non piů fi č l* organo del* la tr aspirazione di quello ne fia la vefci~ ca dell'orina. Attefoche sě l'una che l'altra parte fono meri ricettacoli} il polmone ricettacolo dell* aria, la vefcica de ir orina. JLa evacuazione poi della vefcica fi č un' azion volontaria , e fi rilafsano i mu-fcolě dello Sfinter a fine che fi mandi fuo-rei l'orina. Il polmone fa un'azione reciproca , per vuotare quello pozzo profondo della materia traspirata ; dunque in primo luogo dev efser intromefsa Varia , il che fajft col dilatare la cavitŕ } cioč fon l'allentare i mufcoli pofii intorno al INSENSIBILE TRASPIR. 57 torace , č con la deprejfione ancora del medefimo Diaframma 5 con una liggětr coftrizione poi delle medefime parti fi fa il refptro; come che Varia fteffa unita infieme e compresa, con la fua forza eia-ftica egregiamente ajuta fazione del re~ fpirare. DELLA VESTJE. Le robbe appettate infettano finattantoche durano le caufeprof-fime e rimote : che fé linaiňla ne manchi ne cefTa il veleno, conforme fegue nell'orologio, che un folo dente delle ruote guafto e refo inutile, fi ferma di piů caminare. CXXVII. Non reftiamo infetti dalla peftilenza per toccare, ma per l'attrazione dell'aria peftifera , o efala-zione delle fupellettili. Il che cosěfaffi. Lo fpirito vitale dall'aria vien infetto , dal!' infezion dello fpirito fi coa-gola il fangue, il quale cacciato alle parti efterne produce carboncelli, pe-p tecchie nere , e buboni : fé ne refta dentro cagiona la morte, fede! tutto vien fuori la fcampiamo. CXXVI. CXXVII. // noflro Autóre non vuole che e' infettiamo di pefle col tatto : e pure le ulcere nate da pefte no» $ vtdono elleno molto avvelenate} Anzi G % ¦ chs 53 SEZIONE I. ebs l'ifiefsa ispirazione altro non fia fé non un certo tatto : mentre le cavitŕ de* polmoni fono tanto fuori dell' ambito del corpo quanto la fiefsa cute delle mani. yfdunque a me certo par verifimile che Varia infettata da un appeftato, con lo fputo, e con le vivande infieme venga inghiottita , e mandata nello ftomaco , e indi a poco mescolato col chilo fi traporti nel fangue : finalmente dal perpetuo corfo del [angue fi cacci nelle glandok : dove per poca dimora che vi faccia, non ricevendo piů Vimtulfo del cuore, quelle s'infiammano , e ficonvertonoin quelle pravi ulcere dal noftro Autore narrate. CXXVIII. Se tutto il veleno pefli-lenziale fi fpinge ne' carboncelli , e buboni, č bene, altrocheno č mortale. CXXVIII. Siccomei Carboncelli, e i Buboni fecondo le forze del? infermo fono (alutari nella pefiilenza : cosě le tacche ne-gre, o petecchie fon certi indizj di morti. Ma in quelle, conforme ne* vajuolit fé dovefse promover fi la trafpiraztone in-fenfibile da noi forfč con qualche medica-mento appena farebbe baftante per ottener la fanitd a motivo della fomma malignitŕ di tal male, che vuoi ancora i fuoi rimedj particolari. CXX1X. Non diventiamo appettati da INSENSIBILE TRASPIR. 59 da per noi fieni., ma ci vien attaccata dagli altri : Si vede V efperienza nelle Monache. CXXIX. Pertanto il contagio non č un male nativo deIV Europa ; ftantecbe pref-fo noi del tutto finifce, ne maidipsrferi-* nafce, fé non fia portato dall' Jfia. CXXX. Non tutti, ma la terza parte degli uomini incirca mujono dal contagio. Si fa chiaro dall3 efperienza de* beccamorti. CXXX. E qutftů computo molto fi accorda co'computi trovati in Londra de* morti da pefle dell'anno t<"55$, forfč perň ellafafirage maggiore ne patfi caldi quai'č l'Italia. CXXXI. Quei chepenfanoche il nero delle petecchie, e de* carboncclli lignifichino adustione , s ingannano . Attefoche bene fpefěTo Vecchi dentro, e fuora frefchifenza febbre in due q.iorni con quel nero fcorbutico ne muo-jono. CXXXI. Alcune macchie nere fvnefte anche fenza febbre, 0 infezion psjěthn-ziale piů d'una volta le ho vedute nello Scorbuto ; ed č veri(tmile che fusero dě quella forta , che il Diemtrbro-ckio dice ofservate da lui in un ragazzo chi giocava in piazza d' Utrech t C 6 piuu <5o SEZIONE ě, piuttofio che n* appartenessero a pefii-lenza. CXXXII. Se poco fangue per corruzione dello fpirito vitale divien putrido , e quello fi repurghi tutto per mezzo de* buboni, e de5 carbonceJJi, gě* infermi rifanano; fé non fi purga tutto, mujono, come nelle petecchie nere. CXXXIII. Quindi č che coloro, a* quali fono aperti i carboncelli o buboni fé la infezione interna vien fuora tutta i pazienti rifanano : altrocheno muoiono. CXXXII. CXXXIII. No» fo in qual in antera i buboni, e i carboncelli diver-fifichino dalle petecchie . Qxtefte poi comprendo dal colore, e che fi profondano penetrando fin' alle medefime ofsa che 'vengano prodotte dagli Jtejft vafi Sanguigni esulcerati, e sfacelati: quelli poi fi imo che «ccupino folo le glandole, e perciň efsere meno pericolofis a motivo che per ordinario la materia fia efpulfa e cacciata e corrotta fuori del circolo del fangue. CXXXIV. Due fono le maniere di far ceflare la peftilenza} una^ehe ifa-ni vengano feparati, e gě* infetti fi diano a conofcere : il modo che^ non fi celino č di due forte; uno che non fě man- INSENSIBILE TRASPIR, či mandino in luoghi di non fuo piace-' re; l'altra di non abbruciare le lor robe. . ¦ ¦ CXXXIV. La fepar azione de Jani davi'infetti n'č cofamoltogiovcvole per trattenere la pefte; come pure che degf infetti pochi y meno, che fi puň, coabitino infie-me , e fiano perfone amiche, e in luoghi di fuo genio al poffibile. Ma come V abbruciare le robe conferisca al propagamento della pefte, io non f intendo. Mentre infatti gli antichi fempre fperime». tarono il fuoco per un ottimo (purgo delP aria cattiva, CXXXV. Si attacca Ja pefte facilmente a coloro che anno il polmone raro, non cosě a que' che Tan denfo. Raro Tanno, fé fatta una infpirasioné amplifica, fi fa una battuta foia di polfo pi" quieta. CXXXV. Le perfone non ben fané, nelle quali i polmoni fon deboli, riefcon piů facili ad infettarci a motivo che il 'veleno con maggior facilitŕ penetra nell'ambito del corpo , e piů tardi ne vien cacciato . Ma č mio dubbio, non čffer vero che le perfone s'infettino folamenteconia ispirazione dell'aria, CXXXVI. La pefte non č come il /uoco il quale andando crefcendo il fuo ali- 62 SEZIONE I. alimento, ne crefce egli ancora, ella va calando reftando il Tuo pafcolo al rnedefimo fegno. CXXXVI. Quefto avviene per la mutazione dell'aria, e delle Stagioni', perciň la pefte non effendo un male del nojěro paefe , come fu detto di [opra, benché per-fone innumerabili reftaffero da infettarli', nulladimeno nelV accoftarfi il Sole al Sol" ftizio d'Inverno per ordinario s'eftingue. CXXXVII. I raggi peftilenziali fono portati dal vento da l'un a l'altro luogo; quei di un corpo Juminofo non giŕ . CXXXVII. Ver quanto fpctzio dal vento ne venga portata per aria la pefte, con certezza non viene ftabilito : quello fi č verijfimo, che in Londra nel tempo della pefte alcune vefti mandate dugento miglia Untano infettarono una famiglia intera. CXXXVIII. Quei che perifchivarla pelle afifegnano altro rimedio migliore che la fuga, o fono ignoranti, o vogliono ingannare. CXXX1X. Quindi quafi niun de' nobili rifana co* rimedj ,• la plebe poi in v gran parte fenza diqueftinereftafaoa* CXXXVIII. CXXXIX. Quefto infatti n* č rimedio prudente, ed antichijftmo ' cioč in tal tempo intraprendere un viag< gtO) o una navigazione. INSENSIBILE TRASPIR. 63 Ob che buona fcufaper i Medici ě Se anno degV infermi alla lor cura commeflt. Con tutto quefto non dubito che ne'fecoli futuri non fittno per ritrovarli ancora de* fpecifici rimedj per debellare quefto mah terribile. CXL. Perche la pefte dura a lungo ? Perche mentre quella incrudelifce, purgano le robe infette, le quali mentre fono purgate i ladri occultamente vanno difleminando: terminatala peftenon infettano : altramente la peftilenza farebbe perpetua. Perche gl'infetti, mentre per forza fono cacciati fuori della cittŕ, alcuni non fi manifestano : onde l'infezione fi va crefcendo. Perche non fi vieta il concorfň del popolo alle Chiefe. Gli ufizj Divini fi doverebbono celebrare all'aria aperta. Perche fi fanno venire Chirurghi fo, reftieri, i quali quanto piů crefce la pelle tanto piů lor piace. Perche non feparano gě' infetti da' faci facendoli pattare in altra cafa . Perche adoperano rimedio interno per lapefte, non dandofene alcuno che non nuoca. Perche vien permetto il mercato del pollame 5 che toccato dagl* infetti refta appellato , e dappoi i fani toc. 64 SEZ. 1. INSENS. TRASP. toccandolo s' infettano eglino parimente . s CXL. Di quefio Aforifmo no» approvo queir articolo, e he riprova tutt' i rimedj interni i ftanteche oramai alquanti ne fono conosciuti, e che altri fé ne posano rinvenire appropriati a queflo male quantunque terribile, ven' č jomma fperan-za: ejjendocbe eziandio all'altre febbri:> e maligne ancora con buon fuccejjo Jt č trovato metodo proprio per curarle. SS- SEZIONE SECONDA. DELL' ARIA, E DELL* ACQUE. AFORISMO I. L'Aria fiedda, e le lavande fredde rifcaldano i corpi che fono robufti, e gli rendono piů leg-gieri, togliendo if fuperfluo: que3 deboli fono rinfrefcati, e refi piů pefan-ti, tettandone fuperato il calore. COMENTARIO I. IL freddo proveniente o dati* aria , 9 dall'acqua ftringe le bocche delle glan-dote, e cosě ri impeděfce la trnfpirazione: nelle perfine robufie poi, dove la reflěften-za, e lo sforzo fi č maggióre, dalle quali due cofe il calore vkn accrefciuto, la materia trafpirabile fi affottiglia, e con piů impeto s* efpěěk fuora : pel contrario nelle psrfone deboli trattenuta la trafpirazio-ne il pefo fi fa maggiore, e le /or fiaccbijcono. II. L'aria calda, e le bevande calde attualmente, fé la erudezza della materia non ofta , ajutano ancora la trafpirazione , rinfrefcano le vifcerc inte- 66 SEZIONE IL inferiori, e ne rendono i corpi piů leggieri. II. Non fo fé le acque termali fimiU mente bevute parcamentepojfino recar foU lievo alla trafp ir azione impedita , con gran giovamento alle vifcere per ciň in-ferme ? Lo fteffo fanrto , in chi puň, i viaggi, per noi Ingleji certo portandofi in un clima piů caldo, e piů fecco . III. L'aria edema penetrando nel profondo del corpo per mezzo delle arterie, puň render il corpo e piů lieve, e piů grave: lieve, fé ella tenue, e calda ne Ha : grave (č fia craflfa , ed umida. III. Infatti l'aria calda, e fottile n* apre le bocche delle glandole, e promove la trafpirazione ; la fredda poi ed umida le riftringe, e le chiude. JWa che l*aria efterna penetri nella profonditŕ del corpo per mezzo delle arterie, non č credibile'. perciň non concedo volontieriě che in fé pofla o fcemar, o accrefcere il pefo. Il circolo del fangue fu incognito al no-firo Autore: perciň fecondo gli Antichi Ei credette che le arterie fodero divinate a ricevere, e portar Varia privatamente¦, € che la ftejfa fuftanza de' polmoni le ammette. Ma , a mio parere; l'aria non per altra fi rada fi traporta nel circolo del fan- ARIA, e ACQJJ A. 6y. fangue > che per quella del chilo , a cui ordinariamente fi mefcola, e vien'tfpulfa fuora per i foli p$ri delle věfcere, e delle glandole. IV. Quanta ne fia la pefezza dell' aria fi ricava prima dalla gravita maggior, o minore delle feerie d'alume prima feccate al Sole, e poi efpote ali* aria della notte. In fecondo luogo perche fentiamo freddo maggiore di quel-io che fi osTčrvi nello frumento de" temperamenti : Manteche la umiditŕ, e il pefo dell'aria n'č per noi la lima della frigiditŕ. In terzo luogo, fé piů o meno s'incurva una tavolafottiliilěma principalmente di legno del pero. Per quarto dallo fcorciamento delle corde da liuto, oppur anche di canapa. IV. Il pefo deli'aria ě e il fuo elaterio per veritŕ fu cognito ancor agli Antichi , come in altri miei fcritti ho detto ; mei qui fi accenna fola ? umiditŕ di effa; vai a dire in quanto fi riempie di partěcellc aquee. Imperocché quanto piů n abonda di quelle, ed č piů grave , tanto piů fred-daricfce : Cosě infatti ftima ilSantorio ; quello certamente n'č verijftmo> che in un' aria di tal coftituzione, cioč pefante ed umida, il refpiro č molto piů tardo, e piů fa refiftenza fWufcita della materia trafpirata. V. dS SEZIONE II. V. Quanta fia pefa l'acqua facilmente comprende!!, fé un pefo fi con-iideri fu l'acqua; attefoche quella n'č piů leggiera, ed in confeguenza piů fa-na, in cui una cofa pefante va piů fott'acqua : quella poi in cui quella me» no s'affonda n'č piů pefa, emenfana. V. V acqua pedante fi č malfatta j e tutte le acque mescolate co' metalli non fono elleno, piů. pefe di qualfifia acqua fem-pliceě Ma direte: ifali, e i metalli fono ancor effi medicamenti', e perciň poter ef-fere molto Salutiferi > fé vengano pofti in opera come fi deve. VI. L'acqua grotta, e l'aria fango-Ła, e pefante convertono la trafpira-zione infenfiMle in un umore, il qua! ritenuto, e dappoi non rifoluto , in gran parte fuol pacare in Cacheflia. VI. Dee intenderli quefio de*luoghipd* ludofi\ e pieni di cattivi vapori: vai A dire, che V aria fi č come V acqua , e que-Jla fi č lutofa, per lo piů ivi le febbri intermittenti anno il fuo foggiorm : It quali fé affiggono troppo a lungo i corpi, pajjano in cacbejfta, e in idropifia ; vai a dire a motivo della materia trafpira-* bile che va incrajjando, e ritenuta ne condotti delle vifcere, e delle glandole, fi cangia in un certo icore acre, e putrescente. VII. ARIA, e ACQ_UA. 69 VII. Dall'aria fana che fia fredda parimente vien impedita la trafpirazio-ne; fi coftringono i condotti ma fi fortificano le fibre, e il pefo della materia trafpirabile ritenuta , ne offende, ne fi fente. VII. // freddo fano con la fu a coftrizio-ne confiipa e te fibre de' mufcoli, ed i condotti delle glandole, perciň di fatto da fermezza , e forze al corpo: ma intanto, banche la trafpirazione nonfia cosě copio-fa, nondimeno per quefla piccola dimora nelle věfcere invigorite, e ben concotta; molto infenfibilmente la materia s* efpelle. Vili. Nell'aria pantanofa s'impedi-fce la trafpirazione, i condotti fi riempiono, ma non fi coftipano, Je fibre fi allentano non Ci corroborano, e il pefo della materia ritenuta nuoce , e fi fente . Vili. Per la grojfezza, e umiditŕ dell' aria refpirata, In trafpirazione de' polmoni poco toglie da' condotti dellefueglan-dok , e poco evapora ,• gli altri poi cutanei parimente febbenrilaffati, nondimeno per la crudezza dicotefiamateriafiriempiono , e col pefo di untalqual fardelhne caricano il corpo. IX. Se all'aria eftiva fopravenga ti freddo, in quel giorno, fappofta lame-defirrja libertŕ di bere, proibifce qua^ la 70 SEZIONE II. la terza parte della trafpirazione , la quale fé non fi. fa fenfibile, ne difpo-ne facilmente alla putredine , o alla ca chetila. IX. Cioč fé non efceper orina, o in al' tra guifa. X. La trafpirazione impedita fatti feguire da un freddo improvifo , alUT perfone deboli piů nuoce di quella che* vien proibita poco alla volta. X. I meno fani bene fpsfso vengonogra^\ Demente afflitti dal freddo improvifo 5 a-motivo di alcuni organi deftinati per la refpirazione, e che fono in ejjt molto de* boliy e per V abito tor corporale, molto tenue , a fegno cbs non fono fufficienti a ri jifsandofi in qualche parte non fana a lungo ne tormentino ; dal freddo poi che fopraviene poco a poco le parti eziandio che fiano naturalmente e per fua origine di mala coftituzione, non rifentono ojf'efa. XI. Per cagione dell* aria frefcache venga fé taluno dia fpogliato delle fue folke vedi per ifchivar il caldo, nel corfo di una giornata fuol trafpirare circa due libre meno fenza che ne provi alcun travaglio « ARIA, e ACCLUA. 71 XI. // pefofuperfiao di due libre dopo di un freddo fopravenuto al caldo impro-vifamente, benché pelgufto del raffrefca-mento non fubito fi fente > con difficoltŕ perň, e con lunghezza di tempo, nelle perfone deboli vien dijfipato fenza dubbio, e confunto.. XII. Un'aura gioconda, e frefcuccia ad un corpo rifcaldato č piů nociva Č che un freddo copiofo di aria, o di acqua» ftante che quella non rende il corpo piů leggiero, ma l'oftruifce, e-lo rila/faj querto lo coftipa, e lo corrobora ; e quindi i corpi fi rendono di pefo minore. XII. Per la cofirizhne le forze fi corroborano , e quafto vien fatto con piuficu-rez -1 da una copia di frefco ; guardatevi nondimeno che non vi rilaviate di forze per un gagliardo esercizio, a motiv del guftů dell* aura frefcuccia. * XIII. Le condizioni cattive dell'aria, € dell'acqua quando^&ifpsrixono a putredine maligna, il pefo joro in gran parte non fi avverte j quali perche dalla corruttela loro i nervi fiano refi piů forti, come fegue ne' frenetici. XIII. Ne' frenetici , per altro afsai deboli, č tal e tanta la coflrizione de lor fori, cbt un freddo ancora grande, ben- che 72 SEZIONE IL che fiano nudi non fi fente da ejft ± mct psrche altresě una certa ottufitŕt per Ia corruzione di certi umori aCri impiantati praeter naturam nelle glandoli , e nelle vincere, nelle parti deftinate al fenfo ta-lora ne nafce ? Certo che quefti a cagione della fomma , e continuata tenfione di' nervi possono far forze da ftupire. IX. Nuotare in acqua frefca dopo un' efercizio violento fi č gratilUmo, ma mortifero5 mercecchč non vi čco-la peggiore di due moti oppofti. XIV. Cosě ancora la bevanda freddct pel motivo me de fimo. XV. Ciocche proditoriamente difpo-ne le vii cere al male per lo piů ne Ci (ente gravofo, nedifpiace. .. XV. Fra le cofe che fanno f effetto fud-inetto con ragione fi numerano le feguenti: oltre r ufo portar fuor della fua fiagione vejěileggiere, e fot tilt i parimente l* acqua di vJtay bevuta o fchiettaf o medicata'. r ufo quotidiano dě concoquenti gagliardi , quali fono i foli di piů generi, cioč di acciajo, o di ferro: le fontane medi* canali ancora o calde, o fredde ebefiano» II tabacco in fumoy o anche in polveri medicato, per la fua forza proditoria i XVL ARIA, e ACQUA. 73 XVI. Un'aura grata, e da Oftro coti violento efercizio benefpe/fo č mortife* ra : attefoche dall' aura ne proviene l'impedimento della trafpirazione, dall* efercizio l'acrimonia. XVI. Pe'loftefso motivo , ma conmag* gior empito fanno gli efletti fuoi tutti gli odori piů giocondi i fiante che tanto gufio agli uomini deboli , e alle donne in specie ne recano, che al presentarcene loro tofěo ne cadono in deliquio : per venire dalla forza di queir odore del tutto dijfipata la fijtok del cuore. XVII. Quei che dopo cena vanno in traccia dell'aura frefca piů del dovere, vengono ad impedir la trafpiraziane a quella parte, che n' č fpogliata della velie : la notte poi o il giorno feguente i piů fon foliti patire un dolore di tetta gra-vativo. XVII. Perche impedita la trafpirazione y la materia fo-vrabbondante per h piů fi porta per decubito al capo, 0 perche da' condotti maggiori delle glandole , e che tendono alla bocca pofsa in maggior copia efpurgarfiě 0 perche il capo ne fi a. fiato il piů efpoflo ali' aura frefca fopr addetta , come piů abhafso lo dice il nofiro Autwe air Afor, 21. XVIII. Se i corpi ali1 improvtfň fia~ StattSant>volg. D 7^ SEZIONE li. no traportati da un* aria calda nella fredda, patifcono detrimento , dante che vengono refi di pefo maggiore del conveniente; pattando dall'aria fredda alla calda patifcono ancora perche fono refi di minor forza. XVIII. Ascoltate quello che diceCorn. Celfo fu quefto propofěto. Quando taluno> dice , vuoi far cangiamento converrŕ che vi fi faccia Fafluefazione a poco a poco. ¦ XIX. Le perfone deboli piů nel Ver* no, le robu.de piů nell* Eftate conver-tono in orina la trafpirazione ritenuta. XIX. / deboli a motivo che dal freddo refi ano rinvigoriti per lo piů ; ě robuftipoi nella State altresě anno forze fuffěcienti di poter espellere da qualunque banda fa materia trafpirabile ritenuta , XX. L'ufo del ventaglio n* impedifce la trafpirazione, e rende la teda piů pefante, e piů calda. XXI. 11 vento freddo fempre riferra „ e fempre offčnde, ma piů d'ogn* altra parte la teda > perche piů vi (la efpQfta. XX. XXI. Qttefiě due Aforifmě unno le ragioni medejime del XVJL XXII. Delle Stagioni in generale i fempi afciutti fono piů Cani delle piog- ARIA, e ACQUA. 75 gč continue , dante che rendono i cor* pi piů leggieri. XXIII. Nella State i corpi temperati fono di pefo minore che nel Verno di tre libre in circa. XXII. XXIII. Varia asciutta, effe fido piů fottile x'č piufana, attefocben'č piů atta a ricevere in fet e come ad at-traere tutto ciň chefič abile a traforar•e: anzi l'aria interna mescolata col chilo al j'angue, emendo partecipe dell* aria ambiente , perciň fa forza maggiore nel concuocere la materia, e nel vuotar ě condotti; a motivo dunque della trafpira-7.ione piů libera in un aria moli* rarefatta , qual n č l'aria di E fiate, fiamo di pefo minore 3 che nelV Inverna circa ire libre. XXIV. Nella State la fiacchezza fi fente ; non perche il corpo di pefo maggiore fi trovi, ma perche n'č dirobu-flezza minore. XXV. Nell'aria calda il corpo fi č dě forza minore, sě perche con la trafpi-razione n'efala fempre qualcofa degli fpiriti buonlj sě perche il calore none concentrato. XXVI. Per tutta la cutefčmpre vien digerita qualche cofa dal caldo, che nell* ufcire porta via eziandio dei!' umor ibuono, che dentro fé ne (lava. D 2 XXIV. J6 S E Z I O N E II. XXIV. XXV. XXVI. Nell'Efiatefen-teji la fiacchezza, fé talvolta il corpo n uvirŕ esalato piů del dovere. Ma che fi dijfipino alcuni [piriti diftěnti.dalla esalazione della materia fuperflua , fono favole; č ben verifimile, che nel fangue parti celli calorofe di ari a fi riftringano in fé, e che pertanto posano maggiormente accender fi ^ e che in piů copia di State fi fciolgano y e fi efpellanos donde ne provenga la diminuzione delle forze. Adunque fi fa creděbile che per un* accesone cosě grande ne vali via alquanto della materia trafpirabile> sě per la larghezza d/pori, sě per la concozione acer-ba 3 e precipitofa della medefima. XXVII. Nella State ci moietta il caldo, non in primo lu^go, ed in le per la caliditŕ dell' aria ; ftante che ciafcu-na parte del corpo n'č piů calda dell* aria cftiva; ma perche nell'aria eftiva non č tanto freddo, che il calor naturale a diffidenza venga concentrato : dal che fegue che cosě fparfo puň meno efpellere infenlěbilmente la materia tra-fpirabile di fua natura calda : la quaf rattenuta inacidifce, e n'č la cagione che proviamo un caldo grande. XXVII. Nella State fiamo tribolati dal caldo per V abbondanza , e f ' efpanfions gagliarda delle pari ěcelhfulfurue mefcol'atc eoi ARIA, e ACQJJA. 77 col fangue y e chi pereto colla fu a efcita ne molefian la cute' ondi ottimamente il noftro Autore dice, che la materia tra-fpirabile n'č calda di fua natura. Ala fi cerca perche ciascuna parte del corpo fi č piů caldi, deh* aria eftiva ? Ri-fpondo. Il noftro calor naturale č tanta quanto ne proviene dalla noftra generazione h m?r cecche nel? Embrione la prima volta fi accende i un pascolo continuo poi gli Jt aggiugne dali'aria mejcolata con gě' alimenti s ali* aria ftefsafono me]co-cte alcune particeli? veramente di folfo ě p'iv-cipalmente uscite da Vulcani , cioč da quelle caverne che mandan fuora il fuoco, e accefi naturalmente quefie particeli ricevute dal corpo rifeafdato, per Lě continuata cofiriziotie dd cuore, e per il loro ravvolgimentoěnvafiangujliijěmi, concepiscono quel calore, di cui l: midefim? fon prive qualor fono in libertŕ, e molte fottilmente fparfe per V aria. XXVIII. Mentre i noftri corm per il fommo caldo in dormendo di notte, o di giorno copiofamente trafp ceffa qualor fi giugne ad un pefo giuflň diminuito della materia trafpirabile s quantunque l eccedo del caldo paja chi anzi lo doveflt promovere. XXXII. Lo fteflb vigore minor aggravio fente con pefo minore, che maggiore di corpo. XXXII. Un pefo debito al corpo non gli č di aggravio: ma in un pefo maggiore del conveniente il vigore mede firn > ne foccombe. XXXIII. La trafpirasione promofň o con l'aria calda, o con l'acqua calda nuoce, fé il male da eflfa cagionato non venga compenfato da quakhe benefězio molto maggiore. XXXIII. Cioč p/Dcurata 0 con la flu-jat 0 col bagno caldo i il mede fimo puň dirfi di ogni evacuazione fenfibile del corpo : cofe tutte che fé non vengano procurate a comodo, e per qualche grandmatile y per fé fono nocive, XXXIV. Nella State piů di giorno, nel Verno piů di notte i corpi robufli trafpirano. XXXIV. 1 corpi robufli di Perno dormono faporitamente, e piů fi rifcaldan» D ^ ave»- So S fe ZIO N E II. avendo addofso molte coperte : nella State poi per la robuflezza anche fra giorno richiedono grandemente la trafpirazione : al contrario i corpi medejěmi la State di votte non pofsono fopportare le coperte s e per quefto dalla trafpirazione impedita piů vengono moleftati, XXXV. L'impedimento della trafpirazione di State puň produrre una febbre maligna, e di Vernň appena una piccola alterazione : attefoche i noftri corpi nella State fono pieni piů che di Verno di materia trafpirabile inacidita • XXXVI. Dormire la State a corpo nudo, oall'aria aperta per lo piů dif-pone alla putredine , col proibire la trafpirazione. XXXV. XXXVI. L'impedimento della trafpirazione folo di Verno fegtte fen-Via incomodo i attefoche per ordinario la materia, trafpirabile fi volta verfo lofio* maco, e verfogl'intefiini : mentre la state la medefima trafpirazione impedita per la corruzione della materia fatta piů acida , e molto acce fa puň degenerare in una febbre maligna: anzi che nell'aria bollente la materia ritenuta nelleglandefe in breve tempo ne da in corruzione. XXXVII. L'impedimento della trafpirazione non rende caide le vifcere inte- ARIA, e ACQJJ \. 8c intcriori, fé la materia perfpinbile non inacidifca per la dimora, o a motivo del caldo efterno, o di un moto violento . XXXVII. Due fono le firade della ma- \ feria trafpirabile ; una quella che va alii parti interne y principalmente altoftoma-co, e agVěnteflini\ e Valtra per cui fi caccia fuora per aria la materia della traspirazione : quella fi occupa tutta nel fare la concezione, e perfezionare il chi-lo j quefia per lo piů a fare fvaporare il pefo inutile ; in nefsicnap irň dille due fi rade impedite patifcono k vifcere interne * fé non per alcuna delle caufe narrate. XXXVIII. Mentre il freddo fopra-viene al caldo e'tivo, Poffefa di un coito ecceffivo appena fi fente; fé poi l'aria di nuovo rifcaldafě, vien cono-fciuto il danno non piccolo dell'errore paflTato. XXXIX. Il danno che puň produrre un coito non fuor di mi fora fuolcom-Y.enfarfi con un pari giovamento, venendo concentrato il calore dall* aria fredda. XXXVIII. XXXIX. Il caldo indóo-lifce : parimente l'ufo venereo ancor moderato vien fufseguito da una certa rilaf* fazione delle parti, vai a dire d* queliti gagliarda tenfione , con cui fi efercitct: D 5 Ł ' S2 SEZIONE II. inoltre poi fi fa perdita di un certo umor animato. XL. Nelle notti eftive i noftri corpi fi difpongono a far acquilo della febbre per la variazione dell'aria; mer-cecche fui principio della notte l'aria n'č infiammata: fu la mezza notte poi iě č fatta piů temperata, fftl mattino ne divien fredda: onde in quei che dormono, e fono fenza coperte, il folito che dee trafpirare fi trattiene, e i corpi fono piů pefanti ; cofa che non accade nelle notti d1 Inverno. ^ XL. D'Inverno la traspirazione impedita fuol recare minor incomodo : a motivo che per il freddo la materia trattenuta non tanto facilmente bolle. ledete [opra aU'jffor. 35. XLI. Dall'Equinozio auTanna<]e fino al Solftizio d'Inverno , ogni giorno trafpiriamo una libra meno incirca,-indi fin* all'equinozio di Primavera incominciamo a trafpirare con maggior libertŕ. LXI. Quefio calcelo č molto degno d'ef-fer conflagrato, e ci dimojiraquanto malfa no ne fi a VAutunno 3 e di qui impariamo perche il catarro, e i mali del polmone in tale fiagione piů ci moleftano : cioč dire la copia della traPpirazio» trattenuta. XLII. ARIA, e ACQLUA. 8$ XLJI. L'Autunno li č rnalfano , sě perche la trafpirazioneahňpraveflirdel freddo fuol trattenerfi; sě perche quello che vien impedito di efalaredivien acido e mordace. XLII. Avvien eh psrebi la materia trafpir abile ritenuta ba la [uŕ dimora ne* condotti delle glanlole , e dille vifcer: efcretorji i quali di fatto non dibbono riputar fi mere ftrade, ma come certi ricettacoli fatti ciafeuni per contener , e concuocere i fuoi umori ; ma n avviene che nell'Autunno per la incoflanza dall'aria fogliano riempierfidi abbondanza di umori ; ondi fé ne contrae una certa aciditŕ o fia corruzione di quelli ? XLIII. Si fcanfano le infermitŕ Autunnali, fé il corpo nell1 Autunno non divenga di pefo maggiore di quello, in cui fi. trovava Tettate. XLIII. Queflo fifcanfa col buon ufo delle fei coft innaturali. Portatevi piů abbafso agi' Aforifmě 46. 47* 4^' XLIV. Il pefo a poco a poco accre-feiuto, a poco a poco ancora dee fee-ma-rfě. XLIV. Midicamintě troppo gagliardi non debbo» ufarfě fé non in mali gravi/fimi . D 5 XLV. 84 SEZIONE II. XLV. Il pefo infolito del corpo non dee levarfi di Primavera, ma di Autunno ; Manteche il freddo che fopra-yiene piů č nocivo al pefo. XLV. A cagione cbsil freddo č acconcio a dar aumento al corpo : e nella Primavera Varia tiepida in fé n* č propizia per ifcemare il pefo. XLVI. TNeJl* autunno non averete malattia veruna k al venire del freddofa-jete trovato ben armato di vefti, fé promoverete ě* orina, e vi manterrete nel pefo medefimo di prima. XLVII. Uno che fia ben armato di vettimenti meglio trafpira, e diviene di pefo minore. . XLVI. XLVII. La trafpirazione fi promove collo flar ben coperto ŕi panni ; ma la diminuzione del pefo nel? Autunno fi ottiene co' diuretici a motivo della fom-ma umiditŕ deW aria che regna in tale Stagione, e perche di tutte Vevacuazioni fenfibili di tutto quanto il capo quella de reni n č la piů copiofa comechs n' evacua k vene. XLVIII. Coloro che fon loliti nel!1 Inverno efěfere afflitti da malattie provenienti da pienezza d'umori debbon purgarfi di Autunno non di Primavera» ARIA, e ACQUAI 85 ra, e convien ridurli al pefo in cui ftavano fui principio dell'Ettate. XLVIII. Attesoché alla Primavera vie» dietro la State ; il cui caldo per lo piů diminuire il pefo degli umori fuperflui fenza Fajuto di medicamento veruno. XLIX. Qiiando poi i mali provengono da mctla qualitŕ, devefě far purga di Primavera, non di Autunno; ttante che la malizia della qualitŕ degli umori crefce piů d'Eftate, che di Verno. XLIX. Val a dire, 0 qualunque male ereditario, 0 di qualitŕ prava di altra forte , qual farebbe la Lue Celtica. V Inverno per lo piů di per fé rič rimedio contra la malignitŕ de' mali : attefocbe nelV Inverno anche la Jiefsa pefte ne' no-ftri paefi Settentrionali prefto fi fmorza, fé talora vi farŕ fiata portata. L. Quei che fui fine della Primavera troppo pretto fi alleggerifcono ldi abiti, e troppo tardi fé ne rivedono nel!' Autunno .• nella State incorrono facilmente in febbri, nell'Inverno nelle Di (filiazioni. L. Al veftirfi devefi aver attenzione-particolare , in fpecie da quei che non fono ben fanit e da quei altresě che da fanciulli furono foli ti veftir: con delie*\> . . tezza 85 SEZIONE II. tezza fecondo V ufo della lor patria c$n non interrotta confuetudine. LI. La trafpirazione rattenuta in quanto č divenuta acida ne cagiona febbri, ed Erifipole: in quanto pecca in copiafomminiftra Apoftemi, Diftil-lazioni, e Cacheffie. LI. Secondo la natura degli Organi fi fabbricano umori diverfi, come il cbŮo nello fiomaco e negt' intefiěni : lofputo nelle glandole della bocca; il fiele nel[fegato, ilfudor nelleglandole detta cute, Vorina ne* reni, ec. Ne pertanto la materia tra-fpirabile fparfa per tutti li condotti fud-detti č di una fola qualitŕ ; ma fecondo l'abbondanza, e aciditŕ degli umori trattenuti, malattie diverfe vengonprodotte. LII. Il freddo e derno concentrando il calore ne rende laconpleTionetanto piů robufta, quanto oltre al pefo con-fueto poflfa portare ancora circa due libre di materia trafpirsbilerattenuta. LII. Difse difopra] cbulpefodslcorpo in tempo eftivo n'č minore fin circa tre libre 5 ma quefto eccefso dě pefo nel tempo d'Inverno, per virtů del freddo , cosě facilmente infatti n' č da noi foppor-tato, come fé non fofte in noi alterazione veruna ,• non mi difpiace. Qitefěa con-centtazion di calore poi io noni'intendo : ^ dal ARIA, e ACQJ3A. 87 /dal freddo certamente i mufcoli fono piů contratti, e perciň fono rinvigoriti. LUI. I corpi noftri fui principiar deli* Inverno facilmente fi riducono al pefc* folito, fui principio della State a grande ftento ne tornano al pefo eftivo. LUI. Il freddo alt improvtfo ferma la trafpirazione, e fomminiftraforze a por» tare nuovo pefo : fui principiar dell* Ł fiate poi il caldo rendi le forze minori, di modo che non ci č cofa facile 0 trarfuora il pefo fuperjluo, oppur foppor tarlo finche fiafi fatto ritorno algiufio equilibrio; cioč fra le forze noftre> e il pefo da foppor' tarfi da noi. L.ĚM, La Sanitŕ durerebbe Tempre incontaminata fino ali' eftrema vecchia- ja, fé i noitri corpi in tutte le quattro, Stagioni dell'anno fi manteneflero di pefo ugvule. LIV. Cotefio pefo equale non fi ha da intendere come fé in tutto l'anno dobbiamo e(Jere del pefo fiejfo ; imperocché nella State fiamo piů fcarfi dě circa tre libre dal pefo del Verno: parimente nell'Autunno fiamo molto piů pefanti che nella Primavera', anzi in ciafcun mefe naturalmente foliti fiamo d'efpellere circa una libra oltre il folito pefo. Ved.fopr. Sez, Z. Afor. 6$. LV. 88 SEZIONE II. LV. I corpi che nel decorfo dell'ari, no molto crefcono, e calano di pefo fono in pericolo grande. LV. Vuoi dire fuori del Mito, e debito pefo dentro la latitudine ai falute. LVI. Per lofpazěodell'anno quanto maggior č lofvariodelpefo, \* aumento , o diminuzione del fangue , tanto peggiore n* č la condizion di quel corpo . LVI. Quefto Aforifmo non č punto favorevole alle tante purghe fatte quafě per ifpajjb, e a' tanti falaff\ che fi replicano pnza la confidcr azione dovuta. LVII. 1/ accrefcimento del pefo fi fa fui principiare dell'Autunno, la diminuzione nel principio della State. LVII. Quei condotti, che fono aperti dal calore ne fono cběufi dal freddo. LVIIL I corpi, il pefo de*quali fi fa maggiore piů pericolano d'infermarfi, di quei che diminuifconq di pefo. LVIIL Dagli umorifuperftui corrottine provengono molto piů malattie e certo piů funefte, che dalle vifcere vuotate. i dall* Autore. LIX. Le parti del corpo tenute coperte falutarmcnte trafpirano: Se poi dopo ARIA, e ACQJJA. 89 dopo il fonno fon trovate difcoperte, dall'aria eziandio caldifiěma i loro pori fi coftipano. L1X. Attesoché qualunque parte del corpo rě č piů calda deli' aria efliva i perciň tenute [coperte fuori di confuetudine, per neceffi td i pori reftan coftretti. LX. L'aria fredda, umida, o ven-tofa pia del giufto, trattiene la traspirazione: onde quei che ftannoincafa, come le femmine non patifcono ne toflě, ne catarro, ne infiammazione di polmoni. LX. N' apprendiamo conforme dobbiamo portarci qualor non fi amo ben [ani nell* aria molto umida, fredda, ventofa fu l'efempio delle donne. LXI. L'aria della cittŕ n* č peggiore "dell'aria della campagna: ftantechefě č piů groifa, e non effendo fventolata toglie l'appetito. LXI. Qjtefto Aforifmo in niun paefe piů fi verifica eh; nelle Kojěrs cittŕ, e ne' noftri cajěellt, dove fi fa confumo di gran quantitŕ di cotefio carbon foftile fulfureo: come in Londra, Biftol, ec. SE- SEZIONE TERZA. DEL CIBO, E DELLA BEVANDA. AFORISMO I. LO ftomaco ripieno di cibo, fé nel dormire compifca la prima concozione, la trafpirazione eh quella notte in gran parte monta a quaranta oncie : fé non la compifce, giugne cfrca a diciotto. IL Lo Stomaco vuoto del tutto, e digiuno , benché dorma non trafpira piů di 18. onde. COMENTARIO I. II. LA traspirazione adunque, ancor ne' digiuni monta alla metŕ in circa : ondi fi fa manifefia la necejfitŕ dě cibare gli animali caldi. AV freddi poi, e negl'infetti lacbfa va diverfornente, attejoche ti moto del cuor loro tarda quanto vogliono, e folo non cejfa del tutto : cosě altresě la trafpirazione , che in primo luogo dipende dal moto del cuore, quafi finisce , ne perciň eglino piů abbisognano di cibo per quello fpazio di tempo, cioč per l'Inverno . III. CIBO, e BEVANDA. 91 IH. Tanto trafpira il corpo pieno che non concuoce, quanto uno preffbche digiuno, il qual non ha che concuocere . III. Se poi domandate di piů qnanto traspiri un infermň, per efempio ^ di febbre, 0 di ferita, non ho cosě pronta la rtfpofta, quello fifa per cofa certifftma, che fé , per efempio, / fenfea gravemente una Gallina cibata afai&tŕ, per piů giorni, fnattantoche il dolor Jia ceffato ^ e la ferita j'incamini alla fanazione, nello fiomaca poi vuoto dice che la trafpirazione pitt /talmente Jěporta, che nel pieno a motiva CIBO, e BEVANDA. 95 Uvo della troppa diftenjiones ma la materia traspiratile cosě portata ali* inden' tro, non diminuisce molto ilpefoy finat-tantoché 0 di [otto, odi Copra ne Jta efpul-fa. Lo ftomaco vuoto (cerna la trajpira-zione per la fcarfezza di nuovo chilo da fomminiftrarjě alle glandole per digerire indi a poi la materia da trafpirarjě. Que-fto trafpirabile inoltre puň děrfi, efserne attratto dallo ftomaco vuoto} fé con V aciditŕ del fuo vapore interno gagliardamen-te lo irriti. XII. Il Pieno, quando non compě-fce la concozione fi conofce dal pefo: attefoche il corpo allora meno trafpi-ra; ed il vuoto di fiati ne vien riempiuto. XIII, 11 flato non č altro che una materia da trafpirare rozza ancora , ed imperfetta. XII. XIII. Di flati vien riempiuto.- cioč d* un trafpirabile interno i cioč verfatovi da i condotti maggiori del fegato y del pancreas, e dalle altre infinite piů minute glandole del ventrěcolo, e de-gě* interini 5 anzi ne* fani i fiati niente altro fono, ( almeno in gran parte ) che un vero, e concotto trafpirabile ; vai a dire quello iftefftjftmo che [vaporaaldi fu*-ri, per il polmone , epori eflerni cutanei* $e ěěoh in quanto che derivato dal dutt% bilia.- g6 SEZIONE-I II. bili/trio un poco piů fervente, e piů acre rič la cagione della concozione, e della escrezione. Cofa certa poi fi č, non efser minore la copia della materia trafpira-bile che vien difpzrfa di dentro che di fuori, a proporzione del numero , e della qualitŕ di tali condotti. XIV. Il robufto confuma la ripienezza de'cibi per infenfibiletrafpirazione : il meno robufto per orina; il debole in gran parte per mezzo della corruzione del chilo. XIV. // robufto vorace evacua ordinariamente con l*ordine naturale i il men& robufto per la ftrada piů ampia, che fi trovi dentro l'ambito del corpo, cioč dire per l'orina-, il debole poi caccia fuoret /'alimento fuperfluo corrotto, vai adire> meno concotto , e crudo , cioč innanzi che fia ricevuto dentro il giro del corpo* XV. Quando fi tralafcia la cena r trovandoli vuoto lo ftomaco , e non efTendovi urgenza di paroflěfmo alcuno, fi rattiene la materia trafpirabi-le, e ritenuta divien acida: ond'čchč il corpo vien difpofto alle malattie calde. XV. In qualunque fito ti trafpěrabilt venga trattenuto , ri acquifta acredine » ed una certa (alfedine, cbs n accende l& feb- CIBO, e BEVANDA. 97 febbre . Vaccefion poi della febbre, an~ e orche ne venga quando lo jlomaco #' č vuoto y nulladirneno cotejěct trafpirazions ritenuta non ri č tolta via fenzagran lotta y e una enfi gagliarda. XVI. Quel!'attinenza che riduce il corpo a pelo minore, ma che fi č non folita al corpo , non č buona. XVI. // pefo minore delfolito dopo Vafti-ninza rič dannofo, perche offende i vaji minimi} e alla fine fi dee temere che non pochi di ejft per la loro vacuazions peri* fcano ; e cast U vecchiaia fi accelera in" nanri tempi. XVII. Perche alcuni fono che per la fame perifeono mentre che in un corpo vi/o il fangue mai nevienmeno? Perche il fangue correndo verfo il vuoto del ventricolo lafcia il cuore in abbandono . XVII. La ragione per cui fi muore di fante pare che malamente fia intefa dal Santorio per non aver avuto cognizione! del circolo del fangus : certo č che gran~ děfěěma quantitŕ di fangue fi confuma con la trafpirazione in un lungo digiuno: e cosě alla fine per la mancanza dě quello te vifeere a poco a poco divengon tabide t e il cuore fiefso del fuo moto ne viene privato. SWSUolg. E XVIII. a certi umori cbiufi ne* vafi medifimi', al-tefocb; ella n'č molto piů Cottile delchilo » mentre inviabile fé ne vola per aria} parimente perche preparata in tre conco-zioni n'č purgatijfima > anzi che fi č ne* ceffi td ne ve fi ino i carat:eri, quali eglino /tanfi, de' due primi umori, cioč del chi" h, e del fangue, prima di giugner ella al* la difperjione. XXI. Il cibo non digerito, quanto n'č di nutrimento piů pieno, tanto fi č peggiore , e perche rende maggior U pefo, o peggiore la corruzione. XXI. L* alimento fojlanziofijftmo non digerito produce mali piů grandi , perche con difficoltŕ /' indigefto Jt getta fuora o per vomito, o per fecefso praeter natu-jani o molto tardi, e non fenza inco~ Ł Z modi ***» Jh, $ ěoo SEZIONE III. modo grandiffimo fi ha da cacciare in- [enfibilmente. v XXil. Si fa egli il corpo leggeriiri-mo per la corruzione de5 cibi ? Eppure gli eferementi liquidi fono tutti di pefo maggiore. XXII. Dopo la Diarrea il corpo fi fa piů leggiero, effendoche le altre concezioni ancora veggono fpogliate in gran parte del fuo capitale tanto del [angue, chi delle vincere; altresě p ir chi fti molati i condotti interni, gli umori necejfarj nel Umpo fteffo vengono dijfipati. XXIII. L'ufo della carne porcina, e de'forchi, non č b'.iono: ftantech? cotefte cofe non permettono che gli altri cibi inghiottiti con e.To loro portano trafpirare. XXIV. Dall'ufo della porcina, e de* fononi in gran parte il corpo trafpira oncie quattro meno del folito . XXIIĚ. XXIV. Ifongbědiqualfifiafor-ta fono fonniferi. Qusjio fonno poi n'induce nel corpo una erta Jiupidezza, e rijiringimento'. cosě ne eglino traspirano,. 77? gli altri cibi pojjono trafpirare. Che male adunque non potrŕ far l'Opto, principalmente danno nelle febbri y quando la trifpir azione dee promover fi piů chi mai ? Cosě con ragione JWoisč .vietň la carene CIBO, e BEVANDA. 101 ne porcina a' fuoi Ifraditi ; ma de1 nofiri contadini né qua fi cibo dogni giorno: e quantunque fia mi numero delle carni piů robufie, purché fecondo l'ufo noftrofia fiata lungo tempo fahtia, non č malfana i ftante che in tal guifa piů facilmente fi concuoce, e pertanto fsnza molta difficoltŕ ne trafpira. XXV. 1 meloni tanto poco trafpira-no, che ne tolgono quali la quarta parte della trafpirazione ordinaria. XXVI. La trafpirazione trattJ.i'ita •di cotefli fuole andare per orina, e per fudore. XXV. XXVI. .?ič perartoungranf indizio che i meloni fiano malfarli y flati' teche fremano della trafpirazione una libra e piů : anzi quefti febben debbono giudicarfiper freddi, nientedimeno movono [udori, e orina; vai a dire eh?impedita V infenfibik traspirazione la natura sfoga per altre firade , le quali fono comi condotti dě una imperfitja trafpirazione. XXVII. Le uve, e i fichi frčfehi affai poco trafpirano, ed alquanto im-pedifeono la trafpirazion? de^H altri cibi, forfč a motivo che vanno per evacuazione fen libile. XXVII. La maggior parte dt' frutti acerbi, fu gli ftejfi letticciuoli da fuoi fervi venivano traportati dalle cene a' dormitorj. XXXVIII. Quella quantitŕ di cibo fi č la piů fana per ciafcuno, che fenz* aggravio dalla virtů concottrice puň digerirti, fé quanto ne vien ingerito tanto ne vCnga confumato: e ciň fi co-nofcerŕ dalla ponderazione. XXXVIII. L'alimento di t'eri bifogna che oggi ne fia del tutto confumato ; onde rič cofa chiara, che la natura vuole il fuo mangiare di giorno in giorno t non per diverfe giornate. XXXIX. Tanta quantitŕ di cibodee metterfi nello ftomaco folamente, quanta fé ne puň concuocere, digerire, e traspirare. XXXIX. Su lo ftefso tenoreCorn.CeU fo dice'. Cibarli anzi due volte al giorno che una fola, e fempre in copia, purché ne venga dallo ftomaco digerito il cibo. XL. Se la natura poteflTe digerire cento libre di mangiare, efenedeTero fole novantanove , quel/ animale col progreflb del tempo ne morrebbe per mancanza del necefTario alimento. XL. Argomento forte per veritd con-tra al digiuno : la mancanza di una fola CIBO, E BEVANDA. 107 la libra dalle cento, che taluno potrebbe digerire, fa [cordare la vita ; ftante che i vafi minimi per quella mancanza poca a poco, e anticipatamente periscono. Da ciň parimente apprendiamo) perqualmotivo gli ottogenarj per ordinario fono voraci. XLI. Allora i cibi di buon alimento vi prometteranno lunghiflěma fanitŕ quando la quantitŕ della trafpirazione terrŕ il luogo di mezzo fra il difetto, e l'eccedo» l1 eccetto dopo una cena piena di cibi molto trafpirabili in una notte per ordinano fuolefTere dioncie quaranta in circa» il difetto di quattordici; Per tanto quell'ufo di cibo che vi ridurrŕ all'onde ventidue, che n*č la metŕ, vi prometterŕ una fi curiti! ;na faniti, e vita lunga. XLI. Quefto Aforifmo fembra diverfo dal 64. della prima Sezione i cosě taire" gola dall'ufo fi adatta piů comodamente al temperamento di cěafcuna perdona. - XLII. La fentenza dě Ceffo non čficu-ra. per tutti, cioč che l'ufo delle fei cofe non naturali talora debba efTere fcarfo, talor fovrabbondante . XLII. Cotefta regola di Celfo fuppong una vita intrigata in affari', quelli poi che fenza faticare n' anno abbondante^ E 6 ménte .ioS SEZIONE III. mente ilfuo foflentamentoy n* č cofani grandiamo giovamento tenere una forta di vita certa t e mai prendere piů del giufto. XLIII. I noftri corpi con mole dia minore fi riducono al pefo confueto , fé prendano quattro libre di cibo nel pranfo, e quattro nella cena dittante, di modo che il pefo fia pari piuttofto che fei a pranfo, e due alla cena. XLIII. Cosě era coftumanza lodevole de* noftri maggiori ŕi mangiare due volte al giorno a' tempi determinati : di quefto fatto ce ne fanno fede i Collegi di amen-due le Vniverfitŕ di Ofsun, e Cantabri-gia ; come gli Ofpizj delle Leggi municipali di Londra ; la intemperanza poi de' noftri tempi rt č la caufa dell* collimante vizio fé. XLIV. Diftrugge fefteffo poco a poco colui che fuori d? ufanza mangia una fola volta al giorno; mangi poco, op-pur affai. XLIV. Quefto Aforifmo nelle prime edizioni fu mefso diverfamente: č oltre In confuetudine č flato tralafciato . Adunque o dee venir intefo come ora fi efpone, o convien dire, che mangia poco , o molto fopra del vitto quotidiano, efser dan- nofo i CIBO, e BEVANDA. § 109 tiófo ; 0 j' intenda del prendere l* alimene to una fola volta al giorno, come prima fi č accennato, fé folamente farŕ pwo , 0 molto, f?«<& ad apportar danno . 'Atte-foche il lavoro delle digeftioni n'č molto piů accelerato , e patifee, e s'~' illangui-difee la natura, fé a lungo ne ftia del tutto oziofa . XLV. Renderaffi il corpo piupefan-te con quattro oncie di cibo di molto nutrimento qual č la carne, porcina, le anguille , e tutte le cofe grafie che con fei oncie di cibi di poco nutrimento, come fono i pefeetti, pollailrelli, uccelletti y ed altre cofe di tal forta. :. XLV. Vercbegli alimenti piů grojft con lentezza fi concuocono , e tardi ne trafpt-rano ; perciň per ifpazio maggiore di tempo da ejfě il corpo ne refta aggravato che da cibi piů tenui, febben di quefti fé ne tifsumano una terza parte di piů . XLVI. 11 cibo di poco nutrimento fé-con difficoltŕ fi concuoce , ciň n*ac-caderŕ folamente nella prima conco» zionc} in quello di molto, in tutte. XLVI. I cibi di poco nutrimento, fé nello ftomaco faranno liquefatti in chilo , dappoi facilijjimamente fono portati pel fangue , e nelle glandole per la leggerez- no SE ZIONE III. 24, e volatilitŕ delle parti che li cofti-tuifcono. XLVII. Il cibo di poco nutrimento rende umido ed ammollito il ventre, pretto fidigerifce, e facilmente n'a ju-ta la trafpirazione tanto di chi dorme, quanto di chi veglia. XLVII. Vi č un'altra ragione , e a mio parere piů efficace, perche n'čpiu fecondo la noflra Matura: riflettete alla figura de* noftri denti, fatti piů per mangiar frutti, noci, e pomi d'ogni genere, che carne, e fimili alimenti de'piů nutritivi 5 ma quefti fono flati rinnovati dagli uomini per rendere lafuavětapiufpt-dita a fine eh; con l'ozio pofsano meglio attendere agliftudj3 e a'fuoi negozj. XLVIII. Il cibo di molto nutrimento ftringe il ventre fé non fi corrompa ; con difficoltŕ fi concuoce, e poco trafpira. XLVIII. Al contrario poi gli alimenti di fomma foftanza chiudono il ventre, fé per forte non fi difciolgano in "Diarrea 6 motivo della loro diffěcile concozione. XLIX. Dove trovafi la difficoltŕ del-la concozione, ivi trovafi la tardanza della trafpirazione. XLIX. CIBO, e BEVANDA, m XLIX. Effendoche il ventricolo »' č la Difpenfa della traspirazione. L. 11 cibo non dee venir ingojatoil primo per efler fluido, ma bensě di miglior foflanza : ftanteche il piloro non fta nel fondo, come ne'cani. L. Quel cibo che prima, e piů facilmente fi concuoce il chilo, ha da efcir il primo per gl*intefiini, e queftoha da riputar fi il fugo migliore. LI. Tre mali n5 avvengono per la varietŕ de* cibi 5 troppo fi mangia, meno fi digerifce, e meno Ci trafpira. LI. Gli alimenti varj, come dipefci, carne, infetti, 0 frutti mangiati infieme tanto piů difficilmente fi' digerirono, quanto meno fiamo [oliti di tifarli , e perche fi mefcolano i piů deboli co* piů forti precipitano y 0 trattengono la concozione fecondo la natura di ciafcuna cofa. LII. Il tempo della minore trafpira-zione fi č quando lo fěomaco č pieno, e nella varietŕ de' cibi principalmente. LII. Il ventricolo pieno di cibo vien /limolata; onde fi puň credere che la tra-fpirazione allora piucche in altro tempi fi porti dentro verfo di effo. LUI, H2 SEZIONE III. LIIL Qitei che vomitano la cena, fi dilavano fubito dal travaglio dello ftoroaco, ma la mattina feguente ne rifentono maggior pefe^za di corpo ; attefoche il vomito diverte la trafpira-zione tirando ali' indentro la materia trafpirabile : la quale divenuta acida cagiona fiacchezza, e calore, ed e/Tendo in copia rende la gravezza. LUI: Le. forze vengono meno p>r la mancanza dell'alimento gettato fuora col 'vomito : e ciň chi traspira dentro, non fé ne vola via del tutto immantinente, come da' pori cutanei, e dal polmone ; onde fi [ente fiacchezza, pefo, e gravita di corpo. Di piů quefia efalazione interna divien acida, e calda di vantaggio . LI V. Chi mangia piů del bifogno, fi nodrifce meno del bifogno. LIV\ Avvien quefto perche colui chi mangia di piů digerisce mino, e per ordinario la crapola fa putrefar/* alimento ; vai a dire che Jcende il chilo nel ventre non cotto abbaftanza. LV. Quei che in gioventů mangiano fmoderatamente, dilatano il fuo ventricolo piů del giufto, dal che n'avviene che indi a poi con gran difficoltŕ pof-fono contentarli di cibo moderato. LV. Adunque congiuro motivo a'gio- *oanetti CIBO, e BEVANDA. ? vanetti de* noftri collegj fi da un cibo moderato , e tenue ; a. fine d'/injt'gnar loro la temperanza. Lo ftomaco poi di qualche contadino non nodrito con quefia «jjj-fciplina, non fole pir la continua fatica fente maggior fame , ma n'č altresě molto piů capace di prender cibo di gran tratto maggiore, LVL Colui, che brama ridnrfi ad uno-ftato naturale., e ad un cibo -.moderato, ufi vivande di poco notrimento,. cosě lo ftomaco prettamente fgnvan-dofi di quello ft accomederŕ ad una capacitŕ minore . LVI. CoWalimento piů debole' rěčfa-, cile la concotione, e lo ftomaco preflo fi •vuota; acciocché allungati alquanto i tempi del cibo, poco a poco fi avvezzi a far fii piů fir etto. '¦'¦'..'¦ > ¦ ¦. LVII. Potete Tapere quanto vi. converrŕ mangiare fé j*er piů giorni vi accorgerete che dopo d'aver dormito il voftro corpofenza molcftia vien ridotta al folito pefo. LVII. E quefto fi puň far fenza l'ufo della ftader a; ciň č dire daW'ufo quotidiano del prender il cibo. LVIII. Se dopo una cena un poco piů abbondante nel giorno feguente il cor- 4 SEZIONE III. corpo divenga di pefo minore, ciň n'avverrŕ o per la corruzione dell* alimento , o perche la natura vien irritata ad efjtfllere la materia profěcua, cofache n' č molto nociva : ftante che il corpo s'incamina ad una malattia, mentre il buono s'evacua, e il cattivo fi ritiene. LVIII. Vuoi dire a motivo della cra~ pota per la corruzione de' cibi, o per la moderata ed acerba traspirazione. Che poi tutto il trafpirabile ad un tratto ed infieme ne [gorghi, ny č dannofo. Attesoché ancora nella, traspirazione come nelle altre fenjěbili evacuazioni vi fi ricerca la děbita quantitŕ^ ed uno fpazio di tempo determinato per la concozione. LIX. Se la cena farŕ di otto libre, e i cibi nello ftomaco fi corrompono ě nel dě feguente farŕ il corpo-di pefo minore che fé la cena fotte Hata di tre libre , e il cibo non fi fotte corrotto. LIX. A motivo che il cibo fi čprefo di fuperfluo > efjendocht di-quello poco rě en~ tra nelle vene, per ejjere difcefo negl'in-teftini il chilo quafi concotto per fola metŕ. LX. 1 cibi piů atti alla trafpirazione non fi corrompono: anzi che dopo non aver dormito la notte confervano la per-fona fenza fiacchezza, e gravezza. LXI. I cibi che non trafpiranofoglio- no CIBO, e BEVANDA. 5 no produrre oftruziom , comittelJe 5 fiacchezze , triftezze , e pefezza di corpo. LX. LXI. Quali fěano ě cibi atti per la traspirazione vedete gli Aforismi 81. Si.pojěi abbafso ; e da quei che non traspirano con facilitŕ debbonfaperji, per afte' nerfene. LXII. Quella n'č la peflěma condizione di ogni perfona, che fatta la di-geftione de* cibi fente il fuo corpo piů pelante del folito, eiTendo di fatto di pefo minore. LXII. Non efsendo fiati di alcun profitto i cibi, febben concotti, e traspirati, a fomentare le fue forze. LXIII. Se alcuno mangi, o beva troppo e ne fcguano evacuazioni fenfibili molto piů copiofe delle folite, nel dě feguente il corpo divien piů leggiero dell' ordinario. LXIII. Forfč queflon* accade, perche nel troppo ufo di vin puro, ficcarne pro-movonfi da tal eccefso evacuazioni (enfi-bili per orina molto piů copiofé delle or-dinaHe 3 cosi alla medefima proporzione gčttafi fuori per fudore la trafpirazione infenfibile. ' LXIV. Le vivande liquide, data la pari- ilo SEZIONE III, paritŕ della mole fono piů pefe delle fo--lide : le liquide vanno al fondo , le fo-lide (Unno a galla: un bicchier di vino, o di brodo fi č di pcfo maggiore d^m pane intero . LXIV. Sebben perň i cibi liquidi fono piů percenti di* foli dě, nulladimeno debbo» riputarji di měnor nutrimento . LXV. Se i! troppo bere dopo il forino produce lacrimazione di occhi, č fegno che il corpo non avrŕ trafpirato come dovevafi. LXV. Gli occhi grondanti dopo di av** ¦ bevuto troppo vino, danno indizio che gli umori non fono fiati ancora concotti dalle glandole per poter pafsare alla in~ fenfibile trafpěrazione , oppure di aver eglino concepita una certa aciditŕ dalla fuddetta indigefiěone, e crapola . LXVI. Se dopo di aver molto bevuto fuderete , o molto orinerete fi dimo-ftfa o robuftezza grande , o gran debolezza . LXVI. Se ciň rěaccaderŕ ad unaper-fona debole, fiefpelle l*umor crudo, per qualunque firada egli portato ne fia : fé. ad una perfona robufta , s* efpelkpiu concotto . LXVIII. Il bere dell'acqua n'impe- difee CIBO, e BEVANDA. 117 dtfce la infenfibile trafpirazione j n'ao crefce perň la fenfěbile. LXVII. Ł' ftupendo per certo l'aumento della evacuazione fenfibile prodotta dalle acque medicinali. Attesoché le acque di Tunbrigen comecché ferruginee beute da un digiuno fin' a fette e piů libre , nello fpazio di circa tre ore fogliono render fi per via d'orina del psfo nude fi' mo . Per tanto di quefte acque da beverfi copiofamente per molti giorni , come fi fuoi ammalati . Infatti f? linfenfibile trafpirazione tanto da efft ne venga diminuita, quanto V evacuazioni fenfibili per orina, 0 per fecjfso di molto fiano accre-fcěutCy n'apporteranno danno confiderŕ-bile al corpo poco fano. Ala converrŕ grandemente aver riguardo alla trafpirazione infenfibile, comecché ella n' č la principale di tutte l'evacuazioni. LXVIII. La bevanda in quefti tempi intemperanti n'č parimente fuori di proporzione: Manteche fé il cibo fuol eflTer di dodici oncie incirca, il bere n'č piů di quaranta . LXVIII. Acconciatamele l'Autore nota un error nella Dieta infoffribile. Il Cornaro nobile Veneziano efempioiUu-jire di temperanza, fu onde 12. di cibo» b n8 SEZIONE ILI, beveva appena una libra e quattr* onde i anzi vi fono perfine 3 chs niente bevono per piu giorni ne perciň provano fete : del eh ne fanno fedi le Iftorie mediche, ed i viaggi per mare: avviene quefto a motivo del cibo prefo molto fobriamsntč _, e per la traspirazione eguale in aria fé-rena. LXIX. In unaperfona che ufi vitto moderato, la trafpirazion della notte monta talvolta fin" a tre libre: in chi l*ufa pieniiěěmo eflfendo lo flomaco vuoto e robufto , puň falire a cinque libre. LXIX. Oh per certa maravigliofo effetto del moto del cuore; oh eguale invenzione della circolazione dd fangue ! E perciň non mai abbaftanza da lodarjt ? Autore di cosě gran vcritd, LXX. Il digiuno giova al corpo dotato delfuo pefo maggiore, al corpo di mediocre pefo reca nocumento,- a. <3uel di minore molto piů, LXX, A quei foli, che furono foli ti di ufat ciba pienijfitno il digiuno, non nuoce* LXXI, Dopo un lungo digiuno fé ij fé talora. fard troppa , principale mente in perfone fobrie, 0 di vitto tem* operati, fuol efsere molto mortifera, 120 SEZIONE III. LXXIV. Il cibo e la bevanda di troppa quantitŕ non folamente producono ě' acredine delia trafpirazione ritenuta, ma eziandio per qualche tempo e*'ano pravi malori delle parti fpochlment.a non principali: i quali quando i corpi fi purgano, o fi fanno (taro a digiuno, all'ini prň vifo vengono fuora, e degenerano in gravLlěme malattie. LXXIV. Siamo ammcttftrati daquejěo jfforifmo quanto fin diffidi? a Crapuloni dě ratte ne r-l fobrj, e temperanti. Atte-focb? qualvolta vogliono proveder afejiejft 0 con l'aftinenza, o co' purganti, fen< tono le fue infermitŕ, e con ragione fom fpettano di aver dentro di fé de' mali occulti , per ifeanfar i quali di nuovo fanno ritorno alla vita fregolata j vai a dire ehe dal troppo ber, e mangiare l'animo fi rende Jěupido , e i fenfi rendonfipiu ot-tufi non altramente chs fé fi fofss forbito ropi J J LXXV. Quel Medico che foprinten-de alla Dieta de' Principi, fé non fap-pia quanto, e quando perfpirino, gě* inganna 3 non gli medica, e fé porta lor giovamento, egl' č accidente . LXXV. A me non tocca far da cenfo-r*., contuttocio dirň che i nojěri merita-mente debbon tacciarfi di molto negligenti , che per quanto vedo, poco curarono un* CIBO, e BEVANDA. 121 unefprrienza di tanto conto, t volleri piuttofio derivare la fua dottrina daHt fue favole. LXXVI. in quattr'ore dopo il cibo incirca moltitěěmi appena traspirano una libra, di li all'ora nona due libre, dalla nona alla decimafefta appena una fola libra. LXXVI. La ragione di quefto computo fi č che non prima di fei ore dal cibo molto chilo fa paesaggio nelle vene : cosě dopo il piů pieno ricevimento di quello al doppio piů fé ne difcarica dalle glandole che prima, 0 dappoi ; imperocché vuotate quafi del tutto le glandole, afsai lenta-' mente trafpira il rimanente. LXXVII. Allora farŕ il tempo di cibare quando il corpo farŕ ridotto a quel pefo , falubre perň , in cui trovava^ poco prima che il giorno innanzi ave-fle ingojato il cibň : ma quefto folo Apollo puň faperlo fenza la Stadera. LXXyII. Ma quefto puň ^aperfi facilmente dall'ufo, e da' tempi del cibo: per aver perň la cognizione di talinfegnamen-to, e per poter regolarlo vi btfogna la Stadera. LXXVIII. Se poi il pefo infolitodel ber della fera antecedente ne dalla for-Stat,Sant.volg% F za T22 SEZIONE III. za concottrice, ne da feguente corruzione verrŕ tolto, an luogo quei verfi : Se della notte ilvin t'anne aggravato y Ne guarito ne fojěi la mattina. Ritorna a ber, che ne farai fanato. LXXVIII. Dfila corruzione: vuoi dire dopo una moffa di ventre, o di vomito . Vedete qui [otto ali' Jffor. 93. di quefia Sezione. Tutto quello che rende robuflo il ventricolo, promove altresě la traspirazione, fra quefte coj'e fom il vino, e gli altri fpi-riti di vino medicati : miglio perň fi č non averne di bifogno . LXXIX. Se in fanitŕ dopo cena il corpo fi č di dugento libre , per il troppo converfar con Venere refo il corpo meno falabre , farŕ di centonovant* otto libre incirca, ftanteche quella virtů piů languida impedifce, che k due libre di cibo non polino almeno fenza qualche difficoltŕ convenirli nel pefofdutifero. LXXIX. DaW ecceff.vo ufo venereo ns fegue la diminuzioni ddb forze ^ e pertanto delpefo falubre ancora, periamola e oncozione dello Stomaco. Vedetene pili a lungo nella Sezion Sejěa, LXXX. Il cibo di facile trafpirazio-ne piů facilmente , e con molto minor travaglio tiitora le forze abbattute da Ve- CIBO, e BEVANDA . 125 Venere, di quello di trafpirazionedifficile, 0 di molto nutrimento. LXĚLX. A motivo chtU debolezza delle parti concorrici, cioč contratta dal coito , 0 in altra manisra, ricerca eziandio un cibo piů debole. LXXXI. Il molo alquanto torbido fé nello ftomaco fi cuoce, nonfolotra-fpira, ma n'ajuta ancora la trafpirazione degli altri cibi.- quella fteflavirtů anno tutte le cole calde flutuofe. LXXXI. Puň dirfi lo ftefso della noftra birra fatta di fresco : attesoché in efsa, mentre non č ancora invecchiata, fi trovano particelle aeree fervide ; vaia dire con le quali č pofsente di digerire > efpar-g?re per tutte le concozioni[e fiefsa, egli altri alimenti, co* quali fi mefcoli. LXXXII. Le cipolle, l'aglio, la caribe di caftrato, i fagiani, e piů di tutte queite cofe il Succo Cirenaico ajuta la trafpirazione delle vivande dure da trafpirare, LXXXII. Parla, a mio crederei dpl fucco Cirenaico fui detto degli Antichi i imperocché cotefto medicamento č il 1 - quejit cofe fi pofsono mettere la V 2 na 124 SEZIONE III. tia, il Vetriolo di Marte, e tutti li fet-tici: Vedete abbasso V Afor. ioi. di que-fia Sezione. Aggiunti dall* Autore. LXXXIII. Il cibo di troppo fcarfa quantitŕ non fi ftringe dal ventricolo: indi non ficoncnoce, nonriftora, non trafpira. LXXXIII. Il ventricolo vuoto č flaccido y e comodamente contiene ogni cibo minimo ; e quei che parcamente fi cibano non molto fon mole/iati dalla trafpirazio^ ne> come neppure nelle altre due digeftio-ni : in quei poi , e he mangiano afsai la trafpirazione ne apportafomma mokftia, e danno 3 coms fi č ditto difopra ali' Afo~ rifmo 71. Ver certo fé la pafserebbono male gli filtri animali fé prend?fs;ro 0 molto, 0 niente di cibo : m prendono poco , 0 molto fecondo che la forte loro nsfomminiftrerd . Anzidair Afor. 85. infr ascritto fi ha, chi lo ftomaco vuoto fempre n'č apparecchiato a digerire qualfifia menomo cibo. LXXXIV. La trafpirazione infenfi-bile fi č un eferemento della terza co-zione: onde fé non ti fa la prima , neppur faraflě la terza. LXXXIV. Vuoi dire delle piandole, e delle CIBO, e BEVANDA. 125 delle vifcere, cioč di quelle parti cbe fono fuor delle vene : e tutte quefts debbon ri-putarfi come altrettanti ventricoli, 0 piccoli vifcere per concuocere umori diverfi : e foprattutto ad elaborare da ejft la ma' teria da trafpirarne infenfibilmente . LXXX V. Per un' attinenza rigorofa fi riempie la tefta, le tempie batton forte , vien tenfione agl'ipocondrj, nefe-gue fiacchezza di braccia, e gambe. LXXXV. Da un digiuno rigorofof??v.e tenfione d'ipocondrj> a motivo della tra-fpirazione i/ěfenfibile trapanata al ventricolo e agi inteflini, ed ivi radunatafi-come pure nella tefta, e ne' membri eftre-mifomma inquietudine, efiaccb^z.zafpef-fo ne nafee, a motivo degli umori reftatě € trattenuti, i quali per qu?fto fono atti ad acquiftare una tal quale acrimonia. LXXX VI. Da poco cibo fi feema piuc-che da un purgante, il qual movefen-fibilmente ma divertifee la trafpirazio-ne infenfibile. LXXXV I. Da un vitto molto tenue la mafsa del favgue pili viene feemata che da un medicamento purgante ; anzi piů fi vizia dalla diverfione della evacuazione infenfibile. LXXXVII. Nell'ora della mattina tF 3 effen- 126 SEZIONE III. effendo lo ftomaco vuoto per aver tra-* lafciata la cena, in chi fia pituitofo giova molto il cibo fecco, come farebbe ilbifcotto. LXXXVII. Acagionccbe dalleglandok deW Esofago, e del Vaiato _ non ne venga, [omminiftrata troppa umiditŕ. LXXXVI1I. Un cibo di quattro libre incirca prefo in una fola volta in una giornata, fé foflTe nocevole, mangiato in due, o tre volte farebbe profittevole . Attefcche la pienezza dello floma-co diverte l'evacuazione infenfěbilc./ LXXXV1II. O molto, opoco eh?debba prenderfi infatti a que' che non fono ben fani n' č meglio prender ciň in piů tempi y che in una volta fola i essendoché facendo altramente alla debolezza dello ftomaco, per quanto egVč mufcolofo, ne riefee di pefo troppo grave . LXXX1X. Niuno caderŕ in malattia fé con diligenza procurerŕ di non patire indigeftioni . LXXX1X. Principalmente dello ftomaco i mei'cecche fé cotefta děgeflione fi fa bene, le altre pernecejjětŕ n* andranno bene ancor efse. XC. Che i vecchi prendano cibo tre volte al giorno, come faceva Atatio- co, CIBO, e BEVANDA. 127 co, č meglio che due volte, o anche una fola ; tofa che molto impedifce la trafpirazione. XC. In quefto numero fon da riponerfi tutt't convalescenti, 0 infermicci, dopo qualche malattia lunga , come farebbe V Artritide, ec. XCI. Perche Antioco non mangiava pefci a cena? Perche trattengono la trafpirazione: dopo d'aver dormito fi fa buona trafpirazione, la quale inter-> mefifa s'infiacchirono le forze. XCI. / p?fri prtfto fi digerifcono nel ventricolo, per la loro facili colliquazh~ ne ; ma forfč perche fono compofli diparti poco vola 'ili fono atti a fifsarfi' mll? glandoli . Del dormire poi fi difse da noi di fopra, efsere ftdto ir.jlituito dalla natura ad operare lěrirafpirazione : p:r certo la concoziotffcbe fi fa nelle glandole non da forze minori di quella che fi fa nel ventricolo . XCII. La freddezza e craflfizie del fugo del cocomero lě conferva nelle vene, anzi gli altri fughi di inala qualitŕ, benché fiano facili a cuocer!!, coli'impedire la trafpirazione cagionano/ebbri maligne. XCII. Adunque tutti gli alimenti piů deboli per quefi ; rhe fiano facili da concuo-F 4 csrji T28 SEZIONE 111. eerfi non per tanto fono di buon fugo, e falutevoli ; fi ante che fono proporzionati ad oftruire le piandole. XC1II. La corruzione dell'alimento per qual motivo produce fiacchezza? Perche diverte la trafpirazione ; ma in qual maniera ? Perche move il flutto del ventre. Ma per qual ragione il fiuf-\fo fa franchezza? Perche infieme con gl'eferementi efee qualcheccfa delpii-itjo cibo ben concotfo. XCIII. Il cibo corrotto che fa la Diarrea ^er due motivi produce fiacchezza i perche fi fa perdita del nutrimento, e perche non altramente che fé fofse un medi-camento purgante fiimola , e cava dalle piandole degl'intefiini t e dalle vifeere ancora ě fughi buoni . ..' XCIV. Se taluno fianco di corpo ceni lautamente, dopo il fonnoimmantinente averŕ le carni fredde, e la franchezza. Contuttocio in dodici ore dopo incirca tutto ne torna a fuo fegno: perche allora fi fa una buona concozio-ne , e trafpirazione. XCIV. // bagnarfi, o cenare dopo la franchezza non č utile : coloro che quefto fanno con piů difficoltŕ tirano a fine le loro concozionij e vi vuole fpazio afsai m«g- CIBO, e BEVANDA. 129 maggiore dopo il dormire, accio quelle fta-no fatte a perfezione. XCV. 11 cibo dopo un efercizio violento nuoce, sě perche non č abbracciato dallo (lomaco, sě perche diverte la trafpirazione. XCV". Non capifco benV Autore, perche lo flamaco non abbracci il cibo : fé non perche queflo, come il rimanente del corpo, Jěa kggermente infiammato a cagione dell* efercizio violento j pertanto innanzi la digeftione precipita il cibo negf inteftini, a fine di fgravare fé ftefjo da un pefo tanto importuno « XCVI. Colui che fi porta a cena con l'animo conturbato, molto menodige-rifce, dell'uomo quieto ed allegro. XCVI. Le azioni naturali, quali ne fono le concozioni delle parti , vengono diftratte dalle pacioni dell*animo : perciň ilfonna, in cui per lo piů l'animo ftain quiete, n'č molto giovevole a tutte le azioni di tal forta. XCVU. Bere fra il pranfo e la cena fi č nocivo: Ma fé cenando beveremo altrettanto meno, fi rimedia al nocumento . XCVII. Molto importa quanto beviti' mo {Fedete di [opra V Afor. 68.) mtfi F 5 puň $ SEZIONE III. puň bensě aver in confiderazione la fta-gione, la qualitŕ del cibo, e la fete . XCVIII. Il vomito fé vien dopo cera indebolifce, perche porta via l'alimento j e perche diverte la trafpira-. zione. XCVIII. Doppio danno ě la perdita, dell1alimento, e la e blu fura delle glandola cutanee, a motivo della gagliarda rěvul-fione della trafpirazione verfo le parti interne . XCIX. Se in un mele per una, o due volte fi č trafcorfonel mangiar, e nel bere, nel dě Tegnente, benché taluno non evacui fenfibilmente , pefa meno del (olito. XCIX. A motivo che ha traspirato piů del [olito, come fi č [piegato di [opra, del cibo copiofo prefo dopo V aftinenza. C. Il vitto uniforme n'č privo del benefizio di quelli, che una o due volte al mefe n'eccedono: attefochela facoltŕ efpultrice irritata dalla copia n* eccita tanta perfpirazione , quanta , fenza la Statica, appena taluno il crederebbe . C. A* robufti di fatto puň ciň fervire dě medicamento : ma n'č cofa migliore Jiar fenza di quejěo benefizio 3 chi farne U CIBO, e BEVANDA. 131 la fperěenza : cosě percerto configlio i convale f centi ^ e deboli. CI. In un temperamento freddo il miei giova, perche nodrifce, e trafpi-ra, nel caldo nuoce, perche fi cangia in bile. CI. Pereto aggěugnete il miele, ed il zucchero alii cofe nominate di [opra nell* Afor. 82. dě quefla Sezione: come poi il mieli in alcuni fi cangi in bils noi capi' fco : puň bene per la fu a forza jetticacol rifcaldar troppo, ed irritar ilvintricohy e grinte fi ini cavarne la bile , e pertanto con la fua acrimonia offenderelo jěomaco, e le parti vicine. CII. Niente impedifee la trafpirazio-ne piů che il bere nel mentre che fi fabbrica il chilo. CII. Il vino puro bevuto, e tutt'i fa-lumi , e cofefimilě, talora cosě richiedono ě convien perň confidare , eh? qualunque riempimento dello ftomaco puň per qualchs poco trattenere la trafpit'azione. CHI. Il fegato per la refrigerazione meno tira in fs il chilo: tanto meno n'efpelle la trafpirazione. CHI. Per quello chs riguarda VefpuU-fione della materia trafpirabile, fanno*ci* principalmente il cuore, e le gtandole : F 6 non 152 SEZ.III. CIBO, eBEV. non p«o negar fi perň che il fegato ftefjb non faccia le parti fue, čve l'abbia anche* grandi nella traspirazione : come quello che fi č pieno diglandole, ed č vifcer e primario , e fi č guernito di un condotto in-figne y che fi discarica negV inteftini. CIV. In una perfňna fana il ventre fi fa lubrico o per la concozione viziata, o per la difperfione del chilo aca-gio'ne della trafpirazione impedita. CIV. Si domanda fé la trafpirazione fofja del tutto chiůderfi talmente che il chilo rigurgiti ? FSrfe qualora venga viziata la difpenfazione del chilo a motivo che le vene lattee abbian contratto malore, cofa che, a mio credere}benefpejfo n'accade a cagione di cattivi medicameliprefijO di cibi non ufati. C V. Della buona falute due fono i danni : dar il fuo corpo del tutto in preda all'ozio; ealfonno; e mangiare avanti che ne fěa digerito il cibo antecedente . CV. V efercizio infatti per quanto riguarda lafanitŕ , n č la cofa principale, e promove ogniforta di evacuazione; il fecondo male poi cioč l'ozio o ilfonnofideecom-paffarfi dalla confuetudine. Il dormire fui mezzo dtfempre n'č fiata cofa lodevole riputata'- fecondo la regola poi di Celfoy cioč nelle giornate lunghe dormire piuttofio innanzi definare, che dopo il cibo: fé no» jipuo, anche dopo di ejfo . SEZIONE QUARTA. DEL DORMIRE, E DEL VEGLIARE. AFORISMO I. UN dormir quieto n' č tanto proficuo alla trafpirazione, chein fette ore nelle perfone robůfte bene fpeflfo n5 efalano cinquanta oncie di trafpirazione concotta. COMENTARIO I. A libiamo dunque una certa necejjětŕ di dormire per motivo della trafpirazione, accio un tanto pefo di materia refa fottilijjěma in tre děgeftioně, infenjt-bilmente ne venga Smaltito . II. Uno che dorme per lo fpazio di ore fette, infenfibilmente, con giovamento, e fenza violenza, fuol trafpi-rarc al doppio piů di chi ftafvegliato . II. Colui che veglia n'ha tutti li muscoli del corpo coflipati, ed i condotti delle glandole al doppio rifiretti piů di colui che dorme, Pertanto quei che per le continue faccende , o per gli ftudj non pof sono dormire, debbonprendere?alimento[car^ 134 SEZIONE IV. fo a fine di non aver bisogno di tanta tra-fp>irazione. III. La trafpirazione di uno che dorme fatta con molto fudore, non riefce piů piena di qualunque infenfibile tra-{pirazione fenza fudore. III. efjluvj infenfibili perche fo*10 molto volatili, e digeriti in un vapor fottiliffi-mo, fi rendono affai piů rapidi che quelli, i quali vengono gittati con fudore copiofo ; imperciocché il fudore fi ante l'efser grof-fo} e lento fa non poca ofiruzione di pori. IV. dopo il fonno notturno fentefi il corpo meno pefante, sě per l'accrefci-mento delle forze , o almeno per l'efa-lazione di tre libre incirca di efcre-menti. IV. Le forze fi fanno maggiori per la rilafsazione de' mufcoli nel tempo del dormire , fiantecheper neceflitŕ taluno daco~ tefta difienfione diurna continua, dev' ef-fere fiancato, e offefo. V. Il dormir perturbato fuol impedire la terza parte della folita trafpirazione. V. A motivo che tanto manca del fon' no quieto', mercecche quella perfona che n ha avuto i fonně molto molefiě fi deeri-putare che abbia dormito poco. , VI. DORMIR, e VEGLIARE. 13 j VI. Nel dcmir placido la trafpiraě zione fi fa alquanto maggiore ( data la paritŕ del tempo,) che in un eferci-zio violento. VI. Per ragione che coli'efercizio via ^ Unto a [gorghi quafi, e per [udore fiespelle una certa materia cruda; nel fon no placido poi fi caccia fuora infenfibilments con un certo effluvio continuato materia cotta', infatti benefizio grandijfimo della Providenza divina, / piů efsendo quelli che appena fono abili a quafeh* efercizio . VII. Nel fonno della mattina, ma terminata la prima digeftione, fuolefa-lare nello fpazio di un' ora una libra di efci ementi trafpirabili ,• non terminata poi, neppur tre onde. VII. Cioč adire circa fei ore dopo ildecu~ bito j quando giŕ il chilo tutto* n'averci fatto pafsaggěo dentro le vene. Vili. Le cofe che impedifcono il Tonno, impedifeono ancora la trafpirazione della materia concotta trafpirabile. VILI. Quantunque fia concotta la materia trafpirabile, non perň fé ne vola via fenza cagione fé non in chi. dorme, a motivo dell*anguftia de''canali, che al le glandole ny appartengono, attefa V ajfi-dua cofirizione de' mufcoli in chi fia defio. IX. 3 SEZIONE IV. IX. I fonni corti provengono dall'acredine della materiatrafpirabileritenuta, e quefta fovente vien rattenuta qualor la natura ne fta piů del folito occupata ad altre interne funzioni. IX. A motivo dě cotefte continue punture provenienti dall* acrimonia della materia trafpirabile ritenuta ne* canali delle glandole. Cosě mentre il ventricolo dige~ rifce, o le vene fono troppo ripiene di chilo y non respiriamo con libertŕ. X. L'acrimonia del trafpirabile ritenuto , fpeflěflěmo ne va alla teda, rompe ilfonno, e diverte la trafpira-zione delle parti fuperiori. X. Infatti la tefla, e i nervi dallafua materia acre pofsono efserne moleftati : ftante che eglino ancora n* anno le fuč glandole concottrici. JMa quello che fi trattiene ne'' canali delle altre glandole efsendo-ne fuori del circolo del'J'angue, non č cosě facile, a mio parere, che venga traportato da un luogo aW altro. XI. Se alcuno dopo d'aver dormito fente i fuoi bracci dolenti, e ftracchi piů dell'ordinario , lignifica, efler il corpo piů pefante di quello che la natura comportare ne porta. XI. Cioč da indizio che in brevepof-fa venir qualche malattia. J XII. DORMIR, e VEGLIARE. 37 XII. Qnei che dormono co3 piedi, e cofcie fcoperte, in una notte difcapi-tano una libra di trafpirazione. XII. Forfč pel numero, e grandezza, delle glar.dole ne' piedi, e intorno le co-fcie ? Certo che i piedi, e le cofcie fono ancora circa la quinta parte di tutta la cute. XIII. Un continuo rivoltarti nel letto piu fianca di una corfa veloce : at-tefoche nel movimento di chi corre (1 muovono i mufcoli foli delle parti inferiori j nel moto di chi ne ftainletto-i mufcoli quafi tutti del corpo. XIII. ZI riftringimento, e l'impiccolě-mento de' canali delle glandole, ed in con-feguenza la trafpirazione diminuita dipende dalla continua diftenfione de' mufcoli. Quella continua agitazione pel letto poi poco efpette, mentre una corfa veloce col ritenere il refpiro, fovente con tal violenza ne fcuote la materia tra-fpir abile. XIV. Viene piu proibita la trafpirazione in que' che dormono da un venticellQ ds Oftro frefehetto , che in chi non dorme da un freddo piu grande. XIV. "Pertanto meglio fi č vegliare ali* aria aperta, che dormir nudo al corpo attefoche rilafsati ě canali delle glandoli dal 138 S E Z 1 O N E IV. dal [onno, e dal gufi0 del venticello d* Ojěro frefcbstto, la tradir azione firibatte , e s*incrudelisce . XV. Se il fonno notturno fia minore del folito Fefalazione della trafpjrazio-ne concotta lě fcema, la cruda poi fi aumenta. XV. A cagione che la materia deflina-ta per la traspirazione, dalla forza d.Jl cuore arduamente viene Scacciata dentro i canali dell'alandole, dove per mancanza di concozione, cruda viJiraduna * XVI. Dopo un cibo di facile trafpi-razione i corpi divengono anzi piů deboli che piů pefanti : dopo il cibo poi di trafpirazione difficile fi fanno e deboli , e pefantf. XVI. Qiefto sfforifmo n'appartienpropriamente alla clafle Superiore. Egregiamente adunque gli antichi dif-fero per bocca di Celfo, che quanto piů una cofa 4 di piů notrimsnto tanto piů difficilmente fi digerifee j ma quando ne fin digerita, piů alimento ne fomminifira. Per qual motivo poi i cibi di facile tra- ___ věfeere, e i loro canali; attefoi per lo piů fon umidi, 0 di parti fattili : non- DORMIR, e VEGLIARE, u nondimeno in una piccola coftrizion delle parti ne ftanno in piedi le forze. XVII. La trafpirazione fatta dal Conno n'č digerente di fpecie da quella che lě fa vegliando: la prima fi č di materie concotrc trafpirabili fenz3 acrimonia , e con follievo delle forze: la feconda fi č di materie crude, acida, violenta , e con fatica. XVII. Nella prima non vi č alcuna perdita di forze ; attefocb: di per fé quaft fpontane amente dal jolo moto d?l cuore placidamente, e inf? nobilmente k materie cotte jluifcono fuori ', in quefta feconda poi per la tardanza che fanno , dalla troppa tenfion drfk parti con is forzo vengono fpremute materie acri , e crude. XVIII. Chi dorme trafpira il doppio piů di colui che veglia. Quindi ne viene quel celebre detto: Due ore di quiete in un che non dorme tanto giovano quanto una di dormire. XIX. La trafpirazion,? infenGbilenel corfo di fette ore in chi dorme in molti la ho trovata di oncie quaranta incirca , in perfona detta di venti. XVIII. XIX. Val a dire con tal di-'vsrfětŕ quanta ne corre fra ilriftretto, e V allargato per quanto riguarda i canali delle dandole. XX. 140 SEZIONE IV. XX. Chi va a letto con Io floma-co vuoto, in quella notte trafpira incirca la terza parte meno del fňlito. XX. A cagione che la traspirazione vien fomminijtrata dalla digejěion del ventricolo i la quale cejjando ne vien a mancare la materia da traspirare. XXI. I biliofi fé vanno a dormire con lo ftomaco vuoto, il ventre, e il capo fono riempiuti di materie crude , battono loro fortemente le tempie, fi difcolano le carni, diftiramenti gagliardi ne vengono intorno a'bracci, e alle mani, fi rifvegliano talora morficature di cuore, vertigini, epileděe, come ne avvenne a Diodoro. XXI. La bile dunque, quando ftraboc-chevolmente fi trasfonde nello ftomaco, e negV intefiěni, e pecca in copia, bifogna che fpeflo venga temperata da nuovo chilo : fianteche rě č verifimile che quefiifintomi provengono dalla bile che rigurgiti nel [angue per le vene lattee. XXII. Dopo di una trafpirazione maggiore del folito Tufo di una cena piů abbondante fempre promette un dormire piů lungo, e piů giocondo. XXIII. La trafpirazione minor del folito predice fonno inquieto, e notte travagliofa. XXII. DORMIR, e VEGLIARE . 141 XXII. XXIII. Argomento forte per-certo dell*ufo principale del fonno : vaia dire, che dopo una cena piů piena, che n' andň dietro ad una traspirazione maggior del folito, e di giŕ vuotata, fuolque-Jio effe re piů lungo, e piů placido . Al contrario poi fé la trafpirazione ddgiorno antecedente non con buon ordine farŕ ej"alata, Ji puň attendere un fonno inquieto, e notte faftidiofa. XXIV. Se dopo un breve, e torbido fonno fi trovino le carni fredde, e indi ne fucceda una febbretra , ne' deboli pronortica morte, ne'robmti per lo piů un mal lungo. XXIV. Vuoi dire per cagione della difficoltŕ di efpelkre le materie crude, e acri : il che alla fine a mifura delle forte dell* infirmo 0 cagiona la morte, 0 il male a lungo ne porta. XXV. Dalla mutazion di letto n« proviene il fonno inquieto, e fi fa minore trafpirazione: mentreche le cofe infolite febben migliori, fon lefive del corpo, e dell'animo. XXVI. Chi ha cangiato letto piů fogna di chi dorme nel letto folito. XXV. XXVI. Infatti la cofapiuficura fi č ripofare fempre fu d'unmedsjtmokt-t9 i vergiamogli altri animali vivere feconda 142 SEZIONE IV* cordo il [uo ěnfiěmo naturale , il quale of-[ervato [empie lo Jěejjo, fono coflantinelle [uč costumanze tanto neW alimento, quanto circa i luoghi di fua dimorai cosě quafi tutti giungono [ani fin'ad una vecchiaja ben avanzata, XXVII. Quei che dormono, e non fognano , trafpiranobene, e vice verfa. XXVII. Il foggiare tanto [cerna della tra[pirazione, quanto ne manca dd vero [ogno ; imperocché chi [ogna puň dirfi appena mezzo addormentato. Anzi che talvolta da [ogni V animo ne travaglia' io nientemeno, che fé taluno nefoffe defto. XXVIII. Dormire quattr'ore in circa dopo del cibo č cola delle piů faJu-bri: itante che la natura n'č meno occupata in tal tempo della prima cozio-ge, meglio rimette il perduto, e meglio ajuta la trafpirazione. XXIX. Se cinque ore dopo la cena peferete uno d'allora rifvegliato, troverete eh3 avrŕ' trafpjrato appena mezza iibra; ie dopo di otto ore , tre libre. XXVIII. XXIX. Forfč che lo jěomaco dalla cena fin' ali7 ora quarta ingran parte fi vuota i il chilo perň non del tutto[uol tjfer penetrato ne* vafi lattei prima nt jtan pajjate [et ore ; ontf č che taluno ri* [vszHato cinque ore dopo la cena n* b& tra- DORMIR, e VEGLIARE. 143 traspirato poco : entrato poi tutto ilcbih nelle vene , fi traspira copiosamente . Adunque le due ultime concozioni prefe infiemé fi fanno almeno al doppio piů pre-^ fio, e he la prima del ventricolo, e degl* intejiini. XXX. In dormendo meno del foiito Tempre ne refta impedita qualche cofa della trafpirazione, che (č ne' giorni frguenti non verrŕ compenfatacon una trafpirazione piů abbondante, fi corre pericolo di febbre. XXX. Il fanno dev efsere la misura della trafpirazione, onde fé quello fard fiato piů breve del foiito, convien dormire fui mezzo giorno, oppure procurare una trafpirazione piů copiofa con qualche efercizio, acciň non ne venga la febbre . XXXI. Trattenuta qualche parte della folita trafpirazione, nel dě feguente o dopo prarfo ci aggrava il fonno, e nello fpazio di un'ora trafpiriamo circa una libra ,• ovvero nella notte feguente il fonno tanto piů lungone fěa, quanto piů del foiito bifogna trafpira-re : altrocheno o diamo in una erifě fenfibile, o in una malattia, XXXI. Cosě leggermente conviencom* penfare la trafpirazione perduta in ogni guija, cioč col rijfofo, e conT aftiaenza, psr 44 SEZIONE IV. per far riparo a incomodi cosě grandi chi ne fovraftano. XXXII. Dopo il fonno gli sbavigli, e le diftenlloni di membri, danno fe-gno che il corpo airaiiěěmo trafpira : conforme dicefi de'galli che prima di cantare ne battono V ali. XXXIII. Gli sbavigli, e i diftira-nienti de'membri, che ne vengono tolto dopo il fonno, fono promo:ěě dalla copia delle materie perfpirabili ottimamente preparate per e/Terne efpulfe. XXXIV. I noftri corpi con gli sbavigli, e co1 diftiramenti in mezz5 ora piů trafpirano che in tre ore di altro tempo. XXXII. XXXIII. XXXIV. Amendue le dette cofe, cioč gli sbavigli, e gli fti* yamenti, fembrano infiituite dalla natura pelmedefimo effetto-, Atte foche lo sbadiglio fi č una infpiraxěons del polmone piů piena, per vuotare le efalazioni di quello in maggior copiai cosě i diftira-mtnti a fine di purgare con forza, e fu-bito le ftefse membra , fé forfč materia fuperfěua m dormendo fi farŕ rannata, e fermata ivi, vai a dire, acciň non dia oft acolo al moto, e alla agilitŕ della per-fona oramai defta. XXXV. Quei che danno agl'infermi firop- DORMIR, e VEGLIARE, tf firoppi, o medicamenti fu le oredeJla migliore trafpirazione, la quale fuol eflfere due ore dopo il fonno, ne recano nocumento: nelle ore feguentipoi, giovano. XXXV. A motivo che tutto quanto n*č di noftro ufo, e fa naufea 3 ti impedisce la tradiranione 3 febben la materia fia ben preparata per efeire ; cioč col produrre ne* deboli una fubitanea, e gagliarda cofirh. zion delle parti. XXXVI. Ne* parotfifmi gli sbavigli,. e i di tiramenti non fono fegni di con-centrazion di calore, ma d'efpulfione di materia acre trafpirabile rattenuta. XXXVI. Ne' parojftfmi delle febbri vediamo i me de fimi fintomi che fi provano ne* fani, e ciň per la copia delle materie ttcri trafpirabili ritenute, e da efpellerfi con difficoltŕ. XXXVII. In un3 ora dopo d* aver dor- , mito dopo pranfo i corpi noftri talor circa una libra, talor una mezza di efere-menti da trafpirare occultamente fo-gliono efpellere ; una libra fé fi č rattenuta qualcofa della trafpirazione del giorno antecedente : mezza libra , fé niente fu trattenuto. XXXVIII. Se vi č reftata trafpifa-zione del dě antecedente ritenuta ; .*.. Stai. Savt. volgt G per 14<5 SEZIONE IV. per opera del dormire fui mezzogiorno quella del tutto non fia efpulfa, dopo il forino immantinente fentefi pefezza grande di tetta, e un gran dolor gra-vativo. XXXVII. XXXVIII. E queflo fi č il miglior modo di limitar il ^dormire dopa pranfo, almeno a* malfarti) cioč comari-medio fquifitiffimo pe' mali del di innanzi , fé ve ne faranno flati. XXXIX. Se quattro ore dal principio del dormire il cibo fi corrompa , tolto ne vengono quefti due mali l'un dopo l'altro: la trafpirazlon impedita, e il non poter dormire. XL. Niuna cagione piů fpeflTo guafta il fonno, che la corruzione de* cibi : ciň n' avviene per quel confenfo che pa/Ta fra lo ftomaco, e il cervello. XXXIX. XL. Dallaconco%ione*vizia-ta non fegue la. trafpirazione „ perche qttafi niente fi č tramandato ŕa concuo-cerfi nelle glandolo ; ne il fonno corre con-* tinnite per l'irritazione continua dello fiomaco proveniente dall'alimento corrotto » da efpellerfi, o per vomito^ oper fé-ceffo y fé tale ne fia eňe non fé ne pofsa, far chilo. Ma cotefto confenfo del cervello con h fiomact non č altro, che quello che me-dhnti li nervi pafsa tra efso e l'altre farti DORMIR, e VEGLIARE. 147 parti del corpo ; come per efempio, l'opta prima cojlipa i nervi del ventricolo, * gly iftupidifce onde ne fegue quafi unacert' apparenza di fonno: nel fonno vero poi e naturale i nervi fi rilavano, e fi riposano ; ma perň in qualche grave malore di qualche parte, come farebbe dello ftomet-co, fubito ne vengono fiimolati al moto, e risvegliati dal fonno , XLI. Il dormir č piů giovevole di Verno , che di State , non perche i ventri fiano piů caldi, o i Conni lun-ghiffimij ma perche innanzi al mattino i corpi fi fanno attualmente piu caldi, e come tali aflaiffimo trafpira-no , nella State poi fono piů freddi, XU-. Un giufto temperamento inquanto alla caliditd fi richiede a perfezionare U traspirazione ě vŕi a dire•, che pel freddo ella troppo non venga rattenuta, opel troppo caldo ne* discoli inptdorc» XLII. Dopo d'aver dormito una fa.; velia fchietta, e agilitŕ di corpo danno indizio che jn quella notte il corpo n'ha trafpirato almeno tre libre in gran parte. XLII. Dati* integriti, e allegria dNtni-mo , dal che fi conosce ottimamente la condizione del corpo egualmente che doli'agi? » ěětŕ di quello, G 7, Vii 148 SEZIONE IV. Vedete quelli che a lungo dirŕ in fondo nella [uŕ Sezione delle pajftoni dell' tin imo. XLIII. Se dopo il dormire del mez-20 giorno la tefta č fcarica, dimoftra che della trafpirazione del giorno paf-fato niente fi č trattenuto. XLIII. Nell' Fflate il dormire un po-chetto innanzi alpranfo n' č il meglio che fia : /' Inverno poi a motivo di fanitd , principalmente prefso di noi pel freddo, € brevitŕ de*giorni non fa di bifogno d* un tal ajuto . Ma dal pofarfi fui letto, fé fi farŕ rattenuta parte alcuna dell* antecedente trafpirazione, la tefta in primo luogo ne pai iěce i atte foche dal foh decubito in efsa fi fermerŕ piů materia trafpi-r abile. XLIV. Il fonno rende umide tutte le parti cosi efteme che interne, perche aflňttiglia la materia, e molto aiTotti-gliata la diftribuifce per tutti li membri. XLIV. La trafpirazione , fé non č molto infenfibile, n' č viziofa » cioč fé non ifvapori con effluvj invtfiběli da* pň* ri delle glandole. E le ftefse glandole infatti fono per tutto, e in ogni parte dove jf trovano nervi , e membrane. Perciň to' vapori fottilijjtmi continuamente da quelle piandole e]alati, // corpo tutto sě den- DORMIR, e VEGLI ARE. 4? dentro che fuori vien fovente refo umido, in fpecie fé non fi a interrotto ilfonno , che né Vautor principale della trafpi-razione. XLV. Il dormire tira dal centro alla circonferenza ilfangueche n'č meno preparato per la trafpirazione : co-fa che non accade in chi dorane. XLV. Quefta cofa fi č veritŕ f* venga intefa del moto d4 cuore , che infatti ne* rifvsgliati n' č piů gagliardo , e piů veloce i ciaf cuna concoz.iom p?rň meglio ler-fezionafi col dormire per /' intera libertŕ delle fumimi naturali, quali ne fono tutte le concattrici. XLVI. Dal fonno vengono concentrati gli umori, fi unifce il cai or influente con l'innato 3 fi toglie la frte, fé la bile non ne predomina, fi fi il cangiamento del fangue negli umori fecondar;, e i corpi fi fanno piů leg-gieri. XLVI. Fra quefte lodi del fonno, efue utilitŕ non bene fi comprende la concen-trazion degli umori, e l'unione dell' un e V altro calore : le altre cofe molto bene s'intendono , e pofsono facilmente fpie-garfi. Atiefoche la fé te con l'umettazione fi leva ,- cioč quando il faugu» rič mutato nelle feconde umiditŕ (io vorrei anzi G 5 dire. SEZIONE IV. dire nelle terze; perche il chilo nč ti'primo umore ; e quefto Sempre dal Sangue ns vien Supplito y e nelle glandole per la terza volta fi elabora ) vaia dire in umori concotti nelle glandole, e nelle viScere : ftanteche quefie trovandofiSparSeper tutt'i nervi) e per tutte le membrane, / cioč dal troppo ufo, e troppa agitazione del corpo : che infatti č l* unica notizia che puň darfi della v.'glia. LIV. Se il fonno dopo di una veglia fmoderata farŕ flato di fette ore , la trafpirazione farŕ maggior della folita di una libra incirca. LIV. Quello infatti fi č un benefizi* grande del fonno, di tramandare quelli* che fi č ritenuto piů delfolito pefo ; e que-fto di crudo concotto infenfibělmente. Il fonm adunque non falň facilita la trafpirazione , ma n'a fata la digeftione delle glandole a maraviglia ; da cui dipende P ultima perfezione della Canitd. G s 154 SEZIONE IV. LV. Il lungo vegliare rende li corpi meno gravi, non a motivo della tra-fpirazione maggiore , o evacuazione fenfibiie , ma perche quanto fi perde digrado, e di carne, tanto non ne viene rimeflň. LV. A motivo che oltre la trafpira-zione della materia fuperflua, ogni giorno ancora qualche cofa fi perde dal pefo di prima, cioč per mancanza di conco-zione. LVI. Su 1* ore della mattina il corpo fi č, e fi fente, piů fgravato: fi č, a cagione che per mezzo del fonno precedente tre libre di efcrementi trafpi-rabili ne fono efalate: fi fente, sě perche n*č piů lieve, sě perche le forze fono fatte maggiori a motivo della concozione de* cibi di facile trafpira-7 ione. LVI. Le forze vengono accrefciutepiuu toftoy a mio parer, dalla dovuta conco-zione, e continua umettazione delle parti deftinate alfenfo, e al moto ( delle quali eofe tutte il fonno n č l'autore) che vi fiafi fatto accrefcěmento di pefo dagli ali-menů', ftante che ciň non fi rieonofcs dalla Stadera. Vedete fopra ali' Afor. 77. fez. 3- LYH. DORMIR, e VEGLIARE. 155 LVII. Il corpo da infolito vegliare puň renderfi di pefo maggiore, fé il cibo, di cui fi alimenta, fiapoco atto alla trafpif azione. LVII. Vuoi dire , fé Patimento n'č di materia durijfima, e di cattivo fugo ; # non confacente allo ftomaco per ejjerefau to debole dal non dormire infolito. or tieni! . LVIII. Cotanto copiofa n'č Inalazione del corpo in chi dorme, che non folo gl'infermi dormendo co*fani, ma i fa ni altresě fra loro fcambie voi mente fi comunicano le buone, o triftedifpo-fizěoni. LVIII. La cagione della infezione non č cosě manifěfia ; certo chi la forza di" gli effluvi inviabili n'č ntaravigliofa, 0 quejii vengano comunicati per contatto, 0 per le vie dello ftomaco e mifcolati con la faliva, e che finalmente ne pervengane al fangue ; anzi cosě la traspirazione di una perfona fana eziandio puň folle vare un altro che meno fano ne fia. Aggiunti dall'Autore. LIX. Dal cibo viene il fonno, dal fonno la concozione, dalla concozionc la giovevole trafpirazione. Q 6 LIX. i$6 SEZIONE IV. L1X. L'alimento infatti rěč ?autore del fonno y il fonno della dige/Iione, e que-fta della traspirazione. LX. Il Diacitonio ( Cotognate ) non fubito dopo la cena, ma dopo il primo fonno promove il fonno, purché non gli fi beva fopra. LXI. Il Diacitonio col Cinamomo corrobora lo ftomaco, il quale corroborato fempre ne viene il fonno. LXII. Un poco di vin generofo e Taglio conciliano il fonno , e la tra-fpirazione: che fé poi fé ne prendano oltre al giufto , ne impedifcono sě 1* uno, che l'altra: la trafpirazione perň vien convertita in fudore. LX. LXI. LXII. Le cofe che corrobo-rano lo ftomaco fanno digerire, e promo->vono la trafpirazione : fé poi fé ne prendano in troppa quantitŕ producono il fu-dora enervate gli effetti ftupendi de*medicamenti dati in una quantitŕ Copra ogni credenza leggiera : come farebbe a dire nel Mětridato, ed altre compofizioni antiche . Nel? ctffegnar poi la maniera di ufare ogni medicamento gli Antichi vi ebbero maravigliefa perizia, LXI1I. Colui di fatto n'avrŕ vita lunga che ognigiornp fa buona concezione, e di- DORMIR, e VEGLIARE. 157 digestione : la concozione fi fa col fon-no, e col ripofoj la digestione con lo ftar defto, e con T efercizio. LXIII. La digefiione fi fiende piů della digefiione i attesoché ella pare che n appartenga a tutte le concozioni, ed evacuazioni che fi fanno dal ventricolo . LXIV. La fiacchezza che vien dopo al fonno, fé vien difcacciata dal con-fueto efercizio, il difetto farŕ nella digeftione, non nella concozione. LXIV. Vaia dire, nell'efpulfione del trafpirabile, e negV escrementi della prima , e feconda concozione da evacuarfi, LXV. Mentre forgiamo da dormire col folitopefo, ma con fiacchezza maggiore , quefta, fé non Ci tolga col foli-to efercizio, fignifica eflere preceduto un ammaflb di crudezze, corruzione del cibo, o Venere eccepiva . LXV. Dalla crudezza nelle glandola, e dalla imperfetta liquazione de' cibi nel ventricolo, e negTinteftini , 0 dal coit* fuor (Cordine, le forzefi diminuiscono per difetto della prima concozione, LXVI. Il dormire fui mezzo giorno fuori del folito offende tutte le vifcere e indebolifce la trafpirazione . LXVI, I5« SEZIONE IV> LXVI. Quei folamente debbo» dormire fui mezzo giorno, che f anno per cofiu' me, oppure a' quali f indigefl ione del giorno antecedente ne reca peranche impedimento alla traspirazione . Ved, [opra Jfor. 43. LXVII. La fiacchezza dopo il dormire fi toglie dalle cofe, che Facilitano la trafpirazione: le quali fono il digiuno, lf efercizio, lo ftar defto, e lo fdegno. LXVII. // digiuno non lafria aumentar il fuperfluo : ed il non dormire , e F'efercizio col tener risvegliato il vigori dei cuore, fcemano il fuperfluo. LXVIII. Dormire col corpo diftefo, e allargato non č bene : col corpo riftret-to n* č giovevole. Le vifcere unite n' anno Ja digeftion facile, le allargate l'anno difficile. LXVIII. Il corpo del tutto diflefo per dritto fi coftipa, e i mufcoli troppo fi di-ftirano ; il corpo poi riftretto in fé, e con le membra un pocbetto incurvate, fi allarga ne' canali, conforme fi ojferva che fia la creatura nell'utero ; in quefta ultima pofitura il pofare n'č piů fano > atte-foche in tal guěfa fifa miglior concozio-ne, ed il pafsaggio dall'una a /' altra con-cozione fi č piů fpedito, DORMIR, e VEGLIARE. 159 LXIX. Se i fani dopo di aver dormito provano un fudor frefcuccio, la loro trafpirazione fi č minore delgiufto, ed in progreflň di tempo fé ciň loro continua, divengono podagrofi. LXIX. Il fudor freddo dietro al Conno denota crudezza ne canali delle gfando-le : dal cui ammaramento alla fine poffon venire dolori articolari» LXX. Dal troppo dormire , e dal troppo bere vin generofo fi foffbgano le forze: dal troppo ftar vigilante, e dalF efercizio fi diminuifcbno : tutta quefte cofe rendon minore la conco-zione ; e cotefta diminuita ne ceffo l'utile trafpirazione. LXX. Le membrane e i nervi da ciň vengono troppo inumiditi: da mancanza poi d* umido fi rifolvono : e da cotefte cofe tanto la prima che l'ultima concozione patifcon danno. 6 E- l6o SEZIONE QUINTA. Dell' efercizio, e della Quiete* AFORISMO I. IN un moto violento il" corpo occultamente meno trafpira , che fui mattino dopo nove, o dieci ore dalla cena. II. Quello che in un moto violento fi vuota per i pori fi č (udore, e tra-fpirabile occulto : ma come violento in gran parte fi alza da fughi inconcotti: Manteche di rado nel corpo vien raccolta tanta materia trafpirabile concotta, quanta fé n'evacua con la violenza . COMENTARIO I. IL Vuoi dir che poco infenfibilmentetraspira , perche in un moto grande per lo piů [gorga [udore, il quat fuole in gran parte impedire la traspirazione > tal fudor poi nafce dalla maffa del [angue fortemente [pinta nelle glandole, chefret-tolo[amente [otto forma di qualche liquor non concotto fi ver[a. Ma acciň cotefta^ materia divenga occulto tra[pirabile vi fi ricercano ed una certa piccola tardanza, ESERCIZIO, e QUIETE. irfi danza, ed un moto del cuore piů temperato . Fedite di [opra alla Sez. IV. Afor. 6. III. Il fudore Tempre proviene da una cagion violenta, e come tale (come l'efperienze della Statica n'infegna-no ) reca impedimento alla occulta efa-lazione delle materie trafpirabili concotte. HI. V evacuazione perň occulta delle materie concotte traj'pirabili fola n' č fa-lutare. Vedete [opra nella Sezione IV. Afor. 6. IV. Molto piů trafpira il corpo che re ftia nel letto quieto, di quello che lě vada girando attorno, con inquieta, € frequente agitazione. IV. Queflo ft'ejfo fi čfpiegato di [opra ; cioč per la cofirizion delle parti, che nella quiete per ordinario fi rilavano. V. Da un lungo viaggio meno reftano fiancati gli allegri e gl'iracondi, che i timidi, e medi: attefoche quelli meno , quei piů falutevolmente trafpi-rano. V. Nella colera, e nell'allegrěa la mente n'č piů rifvsgliatai e il cuore fisjjb viene ftimolato da un certo moto piů gagliardo j onde per certo la trafpirazione Ji / 152 SEZIONE V' fa piů piena ; dalla fola trafpir azione poi le forze fono conferiate, e rifiorate : a* timidi poi e mefti tuttequefie cofe al con» trario n'avvengono. VI. Quei corpi che dopo un troppo efercizio fubito fi cibano, ne fentono lefione : perche come affaticati , e aggravati dal cibo meno trafpirano . VI. Anzi come fianchi appena pofsonfi reggere ad un pocbetto di cibo finattan-tochs ne fěa fatta la dovuta concozione s perche il 'ventricolo come le altre patti da un efercizio troppo violento vien riscaldato quafida una febbriciattola. Fed* [opra alla Sez. ZII, Afor. 94. 95. VII. L'efercizio dopo le ore fette fin alle dodici dalla funzione del cibo piů rifolve infenfibilmente nello fpa* zio di un*ora, che in tre ore di altro tempo. VII. Quefto avviene a motivo che dopo l'orajett ima il chilo giŕ del tutů né pafsato dentro le vene, e le glandole ne anno concotta la materia da trafpirtreě perciň l'efercizio ufato in quel tempo fa evaporare piů copiofamente : nelle altre ore poi 0 con molta tardanza, cioč mentre poco y 0 niente affatto di fuperfluon'č refiato nelle glandole i ovvero troppo an- tici- ESERCIZIO, e QUIETE . těcipatamente per non aver ancora fatto paesaggio cofa veruna nelle glandole . Vili. La trafpirazione infenfibile che fi fa dopo un efercizio violento vieta il rimetter fucceffivamente quello che fi perde: anzi fé durerŕ la violenza medefima , il corpo diverrŕ cosě leggie-ro, che a molti da che temere di una proflěma tabe. Vili. T)& un efercizio continuo, e violento alla fine il corpo divien lieve, e macilente ě perche oltre il [olito fupsrfluo dal chilo quotidiano 'infenfibělmsnte traspirato y ogni giorno altresě qualcosa fi diffěpa della priftina mafsa del (angue. IX. Con I' efercizio i corpi diventano piů leggieri : ftanteche le parti tutte principalmente i mufcoli 5 e i liga-menti del moto fi ripurgano dagli efcre-menti : il tratpirabile fi prepara per T efalazione , gli {piriti fon refi pi« Cottili. IX. I nervi) le membrane, iligamenti, e tutti li mufcoli con l*efercizio fi rendon umidi ; da tal umettazione poi quello che fiavi di fuperfluo fi concuoce per efser evaporato. X. Il moto prepara i corpi al ripurgo degli efcrementi fenfibili, ed infenr libili : 1(54 SEZIONE V. fibili • la quiete piuttofto ali* efpurgo degl' infenfibili. X. Una tal preparazione confifte nella dovuta concezione, col moto poi promoviamo la difcefa degli escrementi (enfibi-li , e T efprejfione degl' infenfibili : per mezzo della quiete fi fa una certa piccola dimora per perfezionar nelle glondole adat-tatamente il trafpir abile molto necessaria . XI. Se il corpo dopo cena a vera ri-pofato in letto per lo fpazio di dieci ore, farŕ ottima trafpiradone. Se vi ftarŕ di piů, tolto n'incomincierŕ afce-marfi refpulfione sě della materia fen-fibile, come della infenfibile. XI. Val a dire che il fuperfluo giŕ in gran parte trafpirato fi trova. Ł robu-fti fette¦ ore baftano} ps* deboli, comefo-pra fi č detto ve ne vogliono dieci. XII. Un lungo ripofo rende li corpi infermi piů pelanti, sě perche gli efcre-menti trafpirabili dal moto ne fono preparati ali* efpulfione ; sě perche nella quiete i cibi, e le bevande fé fiano infoiiti, 6 piů copioiě del confueto, conforme n'avviene negli ammalati, non vengono digeriti, e di lŕ ne provengono tutt'i mali, e fpefTnrimo le morti. XII. Gli umori concotti per trafpirare dalV efercizio per ordinario vengono dijft- pati ; ESERCIZIO , e QUIETE . 16$ pati: un ripofo poi piů lungo n'offende afsaijftmo gl'infermi: ftante, che fono del tutto inabili a moverfi. 1 cibi non foliti qui opportunamente^ vengono annoverati fra* piů copiofi dell' ordinario, attefocbe fono molto piů difficili da digerirjt de" foliti i e perciň fono inutili ntajftmamente agl'infermi, e con-valefcenti ; lo ftefso dee dirfi de' medicamenti, e loro copia , principalmente della maggior parte de' medicamenti metallici , perche di fua natura diffěcilmente, o mai fi domano * Ne fi dee preftarfede a cotefti vani chimici circa i medicamenti di tal forta e loro preparazioni, « mani-poi azioni. XIII. Se a chi fta in letto per lungo tempo fopravengono dolori di piedi , col caminare ei ne guarifce : fé quelli accadono a chi cairnna, vi fi ricerca il ripofo. XIII. Aggiugnete alla quiete il decubito i vuoi dire per la contraria pofitura delle vene j. cosě in amendue gli eftremi del corpo fé vi farŕ qualche difetto del cěrcolo del fangue y ottimamente- ne vien compenfat*, XIV. due fono gli efercizj, uno del corpo, Taltro dell'animo: quello del corpo evacua gli efcrementi fenfibili, l'ai- SEZIONE V. f altro dell'animo piuttofto gl'infenfi-bili, e principalmente del cuore, e del cervello, dove fta la fede dell'animo. XIV". La mente inquieta e diflratta da paffwni ne mette in molta agitazione il cuore, ed il polmone'} e parimente Urne-defimo cervello e V altre vincere parimente leloroglandole. Ma come mai promovala, trafpirazione piů diquefta^ e quellaparte e non delle altre, come ciň n avvenga , non io comprendo abbajtanza ; infatti ne il cuore y ne il cervello quanto a fé traspirano, fé non per opera delle membrane collocate nelle fue membrane, e ne'fuoi nervi, XV. La troppa quiete dell' animo impedifce piů la trafpirazione, che quei* la del corpo, XV. La quiete del corpo fé non fia ec-cejftva promove la trafpirazione, come fu detto, perche sě il cuore, e le altre funzioni tutte naturali fono di fua libertŕ 5 ma V animo impigrito opprime, e inde-bolifce loftefso moto del cuore, 9 tutte le altre azioni naturali. XVI. Gli efercizj dell1 animo , che fopra tutto fanno elalare gli fpiriti fono lo fdegno, l'allegrezza, la paura, e la triftezza* XVI. Ved. Sez. Vlh Afor. 2.chetut~ 4t quelle cofe tjutanoila trafpirazione : k ESERCIZIO , e QUIETE • 7 fdegno poi, e l'allegrezza piů di ogn' altra cofa; ma che quefti (piriti fiano dě-ver fi daUa materia traforatile non l'intendo ? XVII. I corpi che ripofano in letto agitati da molta commozione di animo per Io piů efalano di vantaggio , e divengono di pefo minore , che fé con animo placido con moto grande di corpo ne foflfero agitati, come fegue nel giuoco della palla. XVII. Nelgiuocs della palla, perefcm~ pioy a cagione deUa varia cofirizion del-le parti, or del polmone, ora del cuore medefimo, le forze in un certa modo vengono conservate ,• nel letta poi fiondo il corpo in quiete , e come {e fojje addormentato , ;/ cuore -vien mejjo in molta agita-zioneper le pajfioni dell'animo, e delle materie traspirateli fé ne fa gran confumo a motivo de' condotti delle glandola ^/largati, XVIII, Da un efercizio ecceflěvo gli efcrementi della prima, e feconda con-cozione in gran parte fon difpenfati per tutto il giro del corpo ; perdo il ventre fi rilecca ; i corpi perb ii fanno piů leggiéri, perche molto maggióre ri*č T evacuazione infenfibile che quella fatta per fecefTo ddk feccie grotte. XVUL i<58 SEZIONE V. XVIII. Dal troppo efercizio le fupcr-fiuitŕ del chilo e del [angue per ěnfenfibile trafpirazione con impeto vengono efpul-fe.; perciň il ventre fi rěfecca, e le feccie s'indurano ; vai a dire da quella piů piena evacuazione che pafja per le gtandole cutanee: e i corpi divengono pertanto piů leggieri a motivo della copia della ma-Uria trafpir abile giŕ efpulfa . XIX. 1/ efercizio violento dell3 animo, e del corpo violento rende i corpi meno pefanti, fa prefto invecchiare , e minaccia di morte anticipata: ftanteche quei che anno filofofato piů prefto ne muojono di quelli che non fi fono efercitati nella filofofěa. XIX. Non foto gli umori alibili, o quelli che fiano nel circolo del[angue, oltre modo fi diminuě/cono, maglijěejft organi, e le vifcere con[urnate da un lungo, e violento ufo perifcono. XX. L'efercizio violento fatto'da un corpo ripieno di cibo, e di fugo crudo, toglie il pefo degli escrementi fen* libili meno del folito: degl# infenfibili non ne fcema quafi niente. XX. A cagione che degli efcrementi feribili fin allora pochi fé ne accumulano: meno poi degli efcrementi infenjibi~ li) che fi lavorano in maggior lontananza dal- ESERCIZIO , e QUIETE. i5p dallo ftomaco : come quelli che fono nati dalla terza, ed ultima concozione : cioč a cagionatile digefiioni viziate. Perciň convien comandare la quiete , e l'afli* nenza in quefli cafii vai a dire a chi ri č cibato di fresco, o ripieno di cruditd. XXL Nell* efercizio il corpo meno trafpira, nel formo il ventre ne vien refo piů lubrico. XXI. Coli' efercizio ancor leggiero i con* dotti delle glandole firifiringono, e il corpo meno trafpira per la cojirtzione de* mufcoli: ma nel?efercizio violento per la traspirazione che fi fa efattamente s* in-durtfce il ventre s al contrario nel fonno il ventre fi fa piů molle, e lubrico ,• anzi che dal fonno tutto il corpo fi fa umido , nella cui umettazione pare che confi/i a. l'unico modo di rifiorare le forze. XXII. Le freghe, e le coppette in quei che fon pieni di fughi acerbi impeci ifcono la trafpirazione. XXII. Le freghe come anche le coppette fé fi applicano a tempo e luogo vien ere-duto che ne feemino la materia, ma le crudezze a motivo della crajftzie, e vi-fcofitŕ lorOy ne fono valevoli a fcaturir di per fé , ne comodamente c»n tali mezzi debbon efiraerfi. olg. H XXIII, 170 SEZIONE V. XXIII. Allora l'efercizio n'čpiu fa-no, quando dopo compiuta la prima, e feconda digestione il corpo fi riduce due volte il giorno al pefo folito avanti il cibo. XXIII. L'efercizia egregiamente fi tifa dopo che n'č terminata la trafpirazion ¦ del fuperfluo > vai a dire un pocbetto in~ nanxi il cibo. XXIV. Il nuotare dopo di un efercě-zio violento fi č male : ftanteche molto n5 impedifce la trafpirazione. XXIV. Principalmente fé fi nuoti in acqua fredda y o di mare* XXV. L'efercizio violento fatto dove foffia vento, č cattivo, XXV. Dal vento altresě vengonochiufi ě pori fi ante che dalla lor renitenza ne fono coftretti : cosě provafi difficoltŕ nel vefpiro a motivo che vien ritenuta la materia trafp ir abile ne' polmoni.. XXVI. Dal vento fi cagiona l'impedita trafpirazione ; dal moto l'acredine . XXVI» Da un mota vemente- ne fegue il calore i dal venta una dimora nel tra--$pěrare\ onde gli umori rifcaldati. divelta gon afri'. XXVIL E ERCIZIO, eQJJIETF. lyi XXVII. Il cavalcare riguarda piů lat trafpirazione delle parti del corpo dal mezzo in fu , che di fotto; fra le maniere poi del cavalcare Tandar di portante n'č piů fana, ficcome l'andar di galoppo al contrario » XXVII. Dal cavalcare il moto del [angue da' piedi verfo le parti fuperiori ne refi a trattenuto : cioč dire dalla politura del corpo, e predone grave che fanno le parti fu la fella ; perciň č forza eh: la trafpirazione da' lombi in giů fi faccia, minore ; dal cavallo poi che va ai trotta alla fuddetta preffione fi aggiugne uno fcuo-timento grande dille vifeere * XXVIII.. 1/efTer portato in lettiga» e ancora in barca, meno difpone i corpi alla dovuta trafpirazione del cami-uar co' fuoi piedi * XXIX. L'andar in barca , o in lettiga fé duri per alquanto tempo n'č giovevoliflimo, e allora mirabilmente difpone alla dovuta trafpirazione. XXVIII. XXIX. L* andar in lettiga, e in barchetta fi ac^ofta quajě ad una intera quiete; perciň fé fi continui per qualche tempo principalmente in chi non vi r ttfluefatto y ejjendo un moto molto tempe* tato egregiamente move la trafpirazione - H a XXX., J72 SEZIONE V. XXX. L'andar in carrozza n*č il piů violento di tutti; Manteche non folo fa efalare il trafpirabile crudo, ma eziandio molto ne offende le parti folide, e i reni. XXX. Nel genere d* andar in carrozza m č gran differenza : fi trovano alcuni cocchi moderni comodi quafi come lettighe : da* cocchi ordinar] non altramente che da un cavallo che trotti, fifcuo-tono malamente il cervello ) eh reni, cioč i lombi, XXXI. Il faltare dapprima trae le forze ali' indentro, dappoi fpinge con impeto, e con violenza ali*infuori il concotto inlěeme col crudo. XXXI. Nel fatto prima il fiato tratto a p per dar attgumento alle forze, vie» molta compreflo, dappoi fi lancia fuori con violenza j da cui infatti vien efpulfo fatemene il cqtto e il crudo. XXXII. L'efercizio del Difco, che confi fte in moto moderato e violento, cioč in caměnare e mover le braccia , giova alla traipirazione. XXXIII. Il ballo moderato e fenza falto dee lodarti quali come il paf* feggio : attefoche difeaccia fuori con tuodera.zione la materia trafpirabile. ESERCIZIO, e QUIETE. 17 j Aggiunti dal? tutore. XXXIV. Quando ne* fani certa la trafpirazione , con 1* cfercizio fi ripara . XXXII. XXXIII. XXXIV. / giachi del Difco, e della Palla, i quali fi fanno ne' nojlri amenifftrni giardini altrettanto perdiamo di forze, e di falme. III. I mali originati dal troppo ufo mediante la trafpirazione impedita immediatamente dipendono dalle facoltŕ concottrici viziate. Ili Vali inguine lo fiomaco principalmente patěfce, e il male da quello principia , indi a poco fi traporta alle glan-doěe : ma tutte quefte cofe vengono dalla mancanza delle forze perdute neW ufo Ve-mrio. Vedete abbafso molte cofe fu tal propófito air^for. IO. 14. 15. IV. Si conofce, eflere (lato profittevole l'ufo fé dopo il fonno feguente non fi fente alcuna fiacchezza , ne mutazione veruna fiafi fatta nel pefo, o leggerezza del corpo. IV. Adunque il pefo, 0 Pagilitŕ danno indizio che fiafi efpulfo il fuperfluo, ed efser falutevole. ledete fono ali' slfěr. 9. VI. Penfieri fiffi amorofi talor rendono il corpo piů grave, talor piů leg-giero ; lo fanno piů pefante fé trovano lo ftomaco pieno, piů lieve feegl'č ruoto. V. In chi č fatollo agV altri impedimenti della digeftione fi aggiugne anche fotefio: fé perň ciň avvenga in chi fia digiuno USO VENEREO. 177 giano mette il cuore ingigliar dějfi ma agi" tazione non altramente che gli altri affettipiů gravi ; onde nefegueT evaporazione delle materie trafpirabili non fuper-ftue e crude. VI. Dopo un troppo ufo con oggetto ardentiflěmamente amato non fi fentc tolto fiacchezza : ftante che la confo-lazione dell'animo ajuta latrafpirazio-ne del cuore, e gli accrefce la forcai onde ciň che in e.To viene perduto con piů prontezza ne vien rime/Tň. VI. Cotefia trafpir azione del cuore non fin ben* efprefsa, fé per altro non /' intenda della trajpirazione di tutto il corpo: la quale infatti dipende dal moto di efso, come, prima cagione. VII. Se gl'inclinati a Venere raffrenano le loro voglie, tofto ne fegue 1* agilitŕ del corpo» perche cote .li tali fanno migliore trafpirazione. VII. Dall' aftenerfi dalla libidine fegue l'agilitŕ del corpo , e la rifvfgliatezza maggiore della mente; a motivo che la trafpirazione camina bene. Si puň mover dubbio fé ciň dipenda da una propagazione , e ammafso degli animaletti, i quali co' loro perpetui movimenti covfe-ri\chino a tener ifvtgliato il vigore del cuore ? H 5 Vili. I78 SEZIONE VI. Vili. L'ufo fěrabocchevolefa trafpi-lare le materie crude, che dappoi ne rendono le carni fredde. Vili. Dallo Scuotimento gagliardo delle parti, fé [ara [eguita trcfpirazěone per necejfttŕ ella fu di materie crude ; la freddezza delle carni poi ne nafce dalla vii-tata traspirazione infenjěběle i dalla quale non [oh fiam refi umidi in ogni parte del corpo, ma inquanto effa fimefcola con un aria [ulfurea , e quafi focofa , fovente caldi ne diventiamo. Vedete [otto T Afo-ri[mo 38. IX. Che il converfare non fia ftato di nocumento lo dimoftrano le cofe fe-guenti: l'orina cňncotrta come prima, il corpo fnello, il refpiro piů libero, e fé ne dura quafi lo ftčflb pefo del corpo; attefa perb la medefima quantitŕ, e qualitŕ di cibi, e di bevande. IX. Vedete dě [opra ali' Afor. 4. X. Il danno prefente di un ufo sfrenato fi č il raffreddamento di ftoma-co; il danno futuro la trafpirazion im-'ě pedita , onde con facilitŕ ne feguonóf palpitazioni nelle fopraciglie e agli arti, e dappoi ne^membri che ottengono il principato. X. Vuoi dire che nel ca[o fuddetto h fiomaco concuoce malamente , t fi raffredda USO VENEREO. 179 da in quel fenfo che. fu efpofto di [opra ali' Afor. 8. Le palpitazioni poi , 0 cotefli infulti de" nervi derivano , per quanto credo, dall' efser oftrutti da un certo fugo crudo e freddorefovifcofo m' condotti dilliglan-dde appartenenti alle membrane, e a* ni?-ti particolarmente ě i quali fifcuotonopsr liberarli da efso. XI. Nella State Pufo giŕ detto piů č nocivo: non perche il corpo fa maggiore trafpirazione ; ma perche quando fi fa minor digestione, il perduto con maggiore difficoltŕ fi rifarcifce . XI. Il medefimo motivo n* obbliga i věc-chi ad efser e continenti, la cui concozio* č piů tarda di affai ; com; pure la děg*-fiione per opera delle altre concoxioni ; pertanto con iftento maggiore fi riflora quello che perduto ne fu . XII. Neiratto Ti trafpira molto di crudo, e fé dura troppo , le materie crude fi traportano dal centro alla circonferenza del corpo, nefegnonooftru-zioni, e indi la foppre Těone del ventre . XII. Val a dire per la cfpulfione violenta che fi fa prima che pofsa concuo-cerfi in occulto trafpir abile; e fé quel lungo tempo ne duri, dal corpo tutto materie crudi fi diflipano, e alla fine reftano i H 6 pori iSo SEZIONE VI. pori ofirutti: il ventr.e ftefso per la manca ma di materia trafpirabile interna meno fi rende umido, e fi J"opprime. XIII. Quanto piů taluno n3č ardente nel Tuo defiderio, tanto meno l'ufo irregolare fi rende nocivo. XIII. A cagion della copia , e della maggior acrimonia della genitura ; fepiut-toflo non dovrň dir epa una genitura vivente . XIV. Il danno che fi riceve dall'ufo ftrabocchevole fi fa palefe principalmente dopo il fonno feguente. Attefo-che allora dalle fperienze della Statica lě conofce la trafpirazione eflerne impedita e il cibo mal digerito, e che lo tfomaco n'č molto danneggiato. XIV. Vedete il detto di [opra all'Afe rifmo 3. e io. XV. La copula fuol offendere la prima concozione, in primo luogo con Io fminuire la prontezza della trafpirazione, indi con tramutare l'alimento in uria qualitŕ cruda. XV. La fpeditezza della trafpirazione dapprima ne viene diminuita dalla coftri-zton violenta deW ufo eccejftvo} dalle forze ^ poi trSaccbite per tal azione la digefiion dello fiomaco vieti abbattuta . Ver quefto itila USO VENEREO. 181 alla fine le crudezze tramandate dal ventricolo nelle glandoli generano le ojěru-zioni. XVI. Colui che fi congiugne, e non femina, patifce minor debolezza . Parimente fé fa il detto atto nel dě feguen-te e femina quello che nel dě addietro fu preparato, ne vien indebolito meno. XVI. Fi č pericolo, che movendofi la genitura da un vafo ali' altro, que* vajt troppo ripieni alla fine in qualche mante* ra fi vizi no , o per l* acrimonia della materia traportata , o accumulata , o per la morte degli animaletti che imputridiscono . XVII. Quei che nell* atto apporta non feminano, facilmente provano tumor de' tefticoli: ftante che Io fpermanon puň trafpirare. XVII. Val moto del feme nondimeno da ogni parte i tefliceh s'intumidiscono ; ma eflendo cotefto feme in gran parte un tt^regato di animaletti, perciň nončdif- ibileper l'aria. Ne alcuni altri umo- fipat ri non animati fon trafpirabili ; quantunque della fuafoftanza fempre qualcofa in-fenfibilmentefvapori, equefta irradiazione mette forze. Che fé poi talora n* accada che cotefti umori troppo vengano di-fpsrfij e infenfibělmente dijjěpati, il corpo affai 182 SEZIONE VI. affai ne patisce ; daW orina ne viene la Diabete, dalla bile neW itterizia languidezze increděbili; dalla pituita una macilenza eflrema s non altrimente che vuo~ tato l'inguine bene fpeflo ne viene la Sincope. XVIII. L'ufo ecceffivo, offefo che ne ha lo ftomaco, danneggia gli occhi piů d'altra parte. XIX. L'ufo ecceflěvo offende la vi-fta ftanteche dagli occhi ne tira via grandifTjma copia di fpiriti : dal che le tonache degl'occhi molto dure, erugo-fe, ed altresě i tubi meno trafrneabili' fi rendono. XX. Dalla diminuita trafpirazione le fibre delle tonache degli occhi fi fanno piů opache: indi la vifta parta per ifpa-zj molto ftretti, quali fon quei de'cancelli: gli occhiali unifcono gli oggetti in cufpide accio diftintamente per un folo fpazio fi veda. XVIII. XIX. XX. Dall* eccejftva Venere , a parer universale > tutte le facoltŕ naturali vengono malmenate ' e tutti coteftě mali derivano dallo ftomaco offefo , e dalla trafpirazione diminuita : cosě qual-Jějia umore viziarji, e moUiplicarfi; per efempio la bile nel fegato, la pituita intorno alle fauci y al polmone, nel' cervelli \ cosě la nefritids dalla contaminazio- nt USO VENEREO. 183 ne de* reni ec. Vedete abbafso alt* dfo-rifmo 42. XXI. Dall'ufo eccedivo fi diminuifce il calore: diminuito il calore fi fcema la trafpirazione 5 diminuita quefta ne viene il flato, e la palpitazione. XXI. Dall'offefa del foloftomaco tutte le facoltŕ ne vengono moleftate-, ed il e a-lor delle parti cosě interne, che efterne vien refo minore : mercecchč dal farfibene le concozioni ( delle quali la prima, e la principale fi č quella del ventricolo ) vien mantenuto il calore, e la fua acce»' fione, e diftribuzion ne proviene. XXII. L'ufo eccepivo richiede mangiar poco , e cofe di ottimo nodri-mento. XXII. Per il difetto dello ftomaco dall* jgccejfivo concubito infiacchito . XXIII. L'ufo venereo rifcalda il fegato, e le reni: raffredda poi lo ftomaco, il cervello, e il cuore, perche per i canali piů aperti rifvegliato del tutto, e piů propriamente, in qualche parte perciň fi rifolve. l XXIII. Il calore di tutte te parti rič un folo; quefto dalla buona děgeft ione continuamente rinnovafi: dalla diminuzěo- ne i84 SEZIONE VI. ne poi della medefima a proporzione fi [cerna. XXIV. Quindi č che Tufo (moderato genera nel fegato mali di bile, ne* reni il mal nefritico, nello ftomacoin-digeftione, nel cervello il catarro, e nel cuore palpitazione, e fincope. XXIV. Valla copola disordinata venirne offefe le facoltŕ tutte, tutt'il con-feffano : tutti i fuddetti mali poi dalla le-fion dello ftomaco, e dalla trafpirazione diminuita provengono : cosě ciascuni umo~ ri pojjon viziarfi, e moltiplicarfi : per efempio la bile nel fegato j la pituita alle fauci, al polmone, al cervello ; parimente la nefritide per l'ojfefa de' reni ec. Vedete abbaffo ali'' Afor. 42. XXV. Se dopo la copola difordina-ta fi prendono cibi che generino flati, come per efempio le oftriche, e il mo-fto, riefce dannofo; attefoche vietano che il corpo non fi riduca alfolito pefo. XXV. "Perche i cibi jlatuofi recano un nuovo impedimento allo fiomaco refo deboli i onde le crudezze fi traportano alle glandole: dal che ne fegue pefezza maggiore. XXVI. A' macilenti piů č nocivo il coito USO VENEREO. i8j coito, Manteche piů fi rifcaidano , e piů fi raffreddano. XXVI. Imacilenti per ordinario Con deboli, essendoché fi trovano negt infimi gradini della fanitŕ ; perciň fon al caft pjr aver lafebbretta, e perdute le forze divengono piů freddi. XXVII. L* ufo (moderato dapprima rende il corpo molto leggiero, benché dappoi vieti la trafpirazione : attefo-che fi č una grande agitazione dell* animo e del corpo : del corpo perche tutt'i membri fono in conqualTň : dell' animo, effendoche fi difperde ciocche lega infieme l'anima col corpo, cioč lo fpirito Vitale. XXVII. Lo fpirito vitale venir dijftpa-to, cioč le forze del corpo molto effere diminuite dalla gran propulsone dilla tra- fpirazione tanto del fuperfiuo , quanto del necessario: donde ne viene una ftu- penda leggerezza del corpo [otto il pef» confato. XVIII. Se dopo la congiunzione il fonno cagiona lafTezza, da e/Ta piů ne fu tolto, di quello che dal fonno fiafi aggiunto di fpirito vitale. XXVIII. Riponete quefto ancora fra gě' indizj de' mali , che Venere ne apporta . i$6 SEZIONE VI. porta . Vedete il di piů [opra ali3 /4fo-rifmo. 3. 10. 14. 15. XXIX. Dopo l'ufo eccepivo il fonno tira al cuore le materie crude: donde ne fegue languidezza, trafpirazione impedita, accrefcimento nel pefo. XXIX. Che le crudezzefiano tirate al cuore fi č co fa impropria ; č ben vero che il cuore s* indebolisce infieme con V altre vifcere ' anzi la languidezza in primo luogo riguarda il cuore, come autore di ogni moto . Aia fé poi confideriamo la quantitŕ dell' umor vifibile perduto nell* atto, n apparisce di efsere di poco momento , ne tanto s* indebolifce da una ven-tefima parte di fangue cavato . Si puň cercare fé il [eme inquanto animato dia giovamento al noflro vigore , e in quŕl maniera. XXX. I vecchi da un ufo moderato divengono piů pefanti} e piů freddi; i giovani piů leggieri, e piů caldi. XXX. A cagione che ne* vecchi piů tardi fi rifa quella materia che trattafuora ne' giovani gli rende follevati. XXXI. Venere ne5 giovani corrobora la facoltŕ animale, vitale, e naturale? l'animale col moto la fpurga, e fopita larifvegliaj la naturale per mez- in ZO USO VENEREO. 187 20 dell'evacuazione del fuperfluo : eia vitale per l'allegrezza. XXXI. Infatti dalk facoltŕ naturali > fé altre ve ne fono, tutte ne dipendono onninamente. XXXII. Il cibo in maggior copia del folito dopo di un coito eccellivon'ucciderebbe , fé non ne fuccedefle qualche corruttella de5 cibi. XXXII. Efpulfa 0 per di fopra, oper di fotto . Efsendocbe conforme non puň didigerir jt dallo ftomaco viziato, e debole, C0sě neppur comodamente puň circolar velie vene, ne alla fine venir difperfo dal' le piandole. XXXIII. Qiialor ha da farfi l'atto, poco, onienteconvienmangiare, qua-lor fi ha da mangiare, poco o niente convien ufare. XXXIII. Debbo» ofservarjt i tempi di* ftinti del cibarfi, e dell' ufare, ftantecbe sě runa che T altra cofa impedisce la tra-[pir azione. XXXIV. Se dopo l'ufo ecceffivonon fi fente veruna fiacchezza cotefto male come pur ne'frenetici fegae dall'ac-cenfion degli fpiriti, i quali rifeccan-do, in breve tempo corroborano i nervi, e i tendini, ma poco dappoi fi fa mi- 188 SEZIONE VI. minore la generazione degli fpiriti : e le forze improvifamente ne vanno a terra. XXXIV. Una certa tenfione di nervi nonnaturale , ed una talqualrigidezza puň accadere da ir ufo eccejftvo talmente che il danno non venga tofto fentito, conforme^ fegue ne' frenetici: ma in quefti il male continua per la non interrotta diftenzione ; in quelli poi, compiuto ratto, i nervi per l'ordinario fi rilafsanoy e le forze s'abbattono. Aggiunti daW Autore, XXXV. Il coito motto dalla natura giova; eccitato dalla mente, la memoria e la mente n' offende. XXXV. N'č verifimile, che lofperma umano -nell'etŕ adulta, majfimamente a cagione del calore, e acrimonia de' cibi correnti , come pur per la ridondanza quafě per lo piů non pofsa ritenerfi, come alle donne i fuoi corjt, ma che da per fé fi děfcarichi dě notte tempo : e quantunque fin all'ultimo della vita fucceflěva* mente fé ne generi di nuovo , ne' vecchi perň molto piů tardi, ed in afsai minor quantitŕ, talmenteche convien procurare che non venga efso confumato : tanto par necefsario a confervar la falute in ogni etŕ, ma infpecienella piů inoltrata. J XXXVI. USO VENEREO. 189 XXXVI. In un debole a cagione dell* ufo fi accrefce il pefo del corpo : a motivo della minore trafpirazione. XXXVI. Perche le forze giŕ refe debili ne vengon infiacchite di piů. XXXVII. L'ufo inopportuno "impe difce la trafpirazione , Manteche fceina le forze: onde il corpo divien piů pe-fante , fé non ne fegua il flutto del ventre. XXXVIL IIjěujjň del ventre dalla corruzione de* cibi rivolta altrove il ritenuto trafpir abile-. XXXVIII. L'ufo eccepivo colrifcal-dare e rifeccare cagiona gran detrimento : fé poi con V infenfibile trafpirazione fi fcemi il calore, e con l'alimento la ficcitŕ non fi fa danno veruno. XXXVIII. Dal? ufo il calor accefofit e ritenuto nelle glandole con la trafpirazione infenfibile fiventilizza: macontut-tocio egl*č vero, che per virtů della me-de-fima noi ci ribaldiamo. Nan ejjendonel fuo buono fiato la concozton delle glandole, ne i loro canali ben liberty la materia tra-fp-irabile che deve difperderfi\ fi attende in una certa fiammkella invifibile. Dal folo alimento poi altresě fiamo refi umidi. XXXIX. Nella copola l'agitazione di corpo a iěmUitudine di quella de*cani. ipo SEZ. VI. USO VENER. ni, reca maggior nocumento dell5 emif-fion dello fperma: eflfendochequefta affatica {blamente le vifcere, quella poi fianca tutt'i nervi, e le vifcere infieme. XL. L'ufo dopo d'aver mangiato, e in piedi fi č offenfivo: dopo il cibo di-vertifce gli ufizj delle vifcere j ftandoin, piedi, fi. ftraccanodi piů i mufcoli, o la loro utile trafpirazione refta impedita . XLI. Dopo l'efercizio, il coito non č fano 5 dopo il cibo, non činfalubrej dietro ilfonnofalutevoliffimo fi prova. XXXIX. XL. XLI. Vedete {opra ali' Afor. 33* Dopo 4* aver dormito č falu-tevolijJtMO, perche allora fi č maggiore la trafpirazione > e i pori fono meno atti a fěrrarfi* XLII. L'ufo venereo rifcalda il fegato, e raffredda lo ftomaco; dallo fto-maco fi genera Cucco crudo ,• dal fegato la bile : onde ne viene la bile porracea, e le morficature della bocca di ufo. Il rimedio fi č il vitto tenue, e la trafpirazione libera. XLII. Le vifcere quando fon refe inferme producono gě* umori acidi y eviziofi* Vedete fopra all'Afor.. 2$* 24.. SE- SEZIONE SETTIMA. DELLE PASSIONI DI ANIMO ? AFOR.ISMO I. FRA le paflěoni dell'animo l'ira, e T allegrezza rendono i corpi piů leggieri :. il timore, e la malinconia piupefanti: le altre pa filoni poi operano fecondo che piů, o meno di cotefte partecipano. COMENTARIO I. V Edete abbafso in quefla Sezione ali* Afor.48.Nell'allegrezza, cneWira il moto del cuore n' č molto piů veloce j pertanto ancora la trafpirazione fi č piů facile* Al contrario il timor, e la ma-linconia ritengono , e ritardano il moto del cuore. Aggiugnete in quelli efsere la refpirazione eguale e piena ; in quefti rara , e impedita * IL Nella malinconia, e nel timore trafpira il piů leggiero: il piů pefante poi ne rimane; nell'allegrezza, e ne 11* ira sě T uno y che l'altro * III» Quindi i timidi e i malinconia ci facilmente patifcono oftruzioni, diu 192 SEZIONE VII. rezza delle parti , e affezioni ipo- condriache. II. III. V allegrezza, e lo [degno, per cagione della forza maggiore del cuore diffidano la materia trafpirabile : nella mi» Jěizěa y e nel timore il cuor fi rallenta, e folamente fvapora il piů leggiero j onde per l'oftruzion delle glandole fatta dalla materia trafpirabile grofsay ed acerba , diventano malinconici. Fedste abbafso ali* /Lfor. 5. 27. / IV. Coloro che fono, o fdegnati, o lieti nelviaggionon fentono troppa ftan-chezza: ftanteche i loro corpi con facilitŕ n'efalaDo il grotto da trafpirare: cofa che non avviene in chi č afflitto dalla medizia , o dal timore. IV. Gli fdegnoft; e gli allegri per tu continua tenfionefentono meno lajiancbez-za i i malinconici poi anno come una CST~ ta rilafsazione di membri. V. Il trafpirabile pefante ritenuto piů del giufto difpone alla meftizia, e al timore: il leggiero poi all'allegrezza, e allo fdegno. V. Dicemmo, che iduttinelleglandoh fono k vie, e i ricettacoli della materia trafpirabile : la quale qttalor č digerita con effluvi invifibili fvanifce ; come nell* il 9 e nello fdegno : fé poi egV 4 afi PASSIONI DI ANIMO . itf crafso, e crudo ammucchiandofi dentro di' quelle con dijficoltd vienefpulfa; coment* timidi, e malinconici. Vedete qui fotto ali-Jfor. 8» VI. Niente pia tende liberala tra-fpir azione quanto l'aver l'animo con iňlato. VI. Vai a dire : nel tempo che il mote del cuore ti č placido , e fa refpir azione piena ed equabile . Vedete abbafso al? Jifor. ip. VIL Per la meftizia e pel timore le membra colme d* umiditŕ facilmente sMndurifcono. VII. Ver l'umor crafso, ed incotto ri-fiagnato nelle glandole, e ne* vafi minimi le membra fono atte ad indurir fi. Vili. La meftizia ed il timore impe-i difconola trafpirazione piů grotta degli eferementi trafpirabili: e la trafpirazione impedita per qualfifia cagione ne produce la mellizia, e il timore. Vili. Cotefte pajftoni operano vicende* volmente, cioč dire, i mali del corpo travagliano l* animo i e lepajfioni dell'anima tormentano il corpo . IX. La mefrizia, fé ne duri a lun-|so., rende le carni fredde -, attefoche i. SaM. vok. 1 im- 194. S E Z I O N E VII. impedifce, che la porzion crafTa , e fredda delle materie trafpirabili non n' efali. IX. Val a dire y che dalla fola invifi-bile trafpirazione, come fé foffe una cer~ ta fiammettft tenuijfima, ci rifcaldiamo. X. Quindi la febbre, chevienedopo nna lunga meftizia, produce fudori freddi , e per lo piů mortali. X. Dal rěftagno delle crudezze che non pojfoMo trafpirare ne deriva la meftizia, alla quale fé ne fopravenga la febbre per ordinario č mortale, per cagione della trfiltrazione abbattuta, e refa oziofa. XI. L'aciditŕ del perforabile ritenuto a cagione della malinconia, con facilitŕ vien tolta dall'allegrezza; ftan-te che fi fpargono foavi umori, e dappoi dal corpo fon tolte via tanto la pe-iezza , che T acrimonia. XII. Lo fdegno , elafperanzanetol-gono il tirnorej e l'allegrezza leva la malinconia : attefňche ima paflěone d.' animo non vien Superata da* medicamenti, ma dalla fu a pailěon contraria» imperocché due contrarj Hanno fotto lo fteilb genere. XI. XII. Gli umori crudi per un po-rhetto ritenuti nelle glandole, acquiftano f acredine una certa falfedine orino- fi. PASSIONI DI ANIMO. 195 fa, cosě la medefima orina, ed il fudore medefimo mandano un odore di acido, ed ingrato . Quefc umori falfi poi fono emoli del calore, a motivo delle glandole Jeg-germente infiammate. Qualora per Vaffetto contrario fi farŕ intromeffo nelle glandole nuova materia trafpirabile concotta, la prima aciditŕ cruda poco a poco ne vien efpulfa. Dunque none da metter in dubbio, che non fi diano medicamenti altresě contro la meftizia : cioč tali che rě-fveglino ifenfi, e a maravigha facilitine la tmfpir azione. Vedete abbaco agli Afo-. rifmi 17. 30. gě. XIII. Non implica, che la materia trafpirabile ritenuta de* malinconici fia fredda, ed acre, o calda, tain'č il fegato degridropxici che anno la febbre ; cioč freddo rifpetto al calor naturale, caldo riguardo all'avventizio. XIII. Il trafpirabile ritenuto, inquanZ to acido, puň produrre fenfo di calore, e. febbretta : // cuore nondimeno fatto torpido , e infiacchito, nel medefimo tempo * valevole di fparger in noi un certo quafi errore, e certo freddo. XIV. I mali prodotti dalla meftizia, Ł dall'aria groffa convengono in quello , che immediatamente traggon l'ori-¦giiie dalla craiiězie delle materie trafpi- I 2 labili jp«5 SEZIONE VII. li ritenute: attdňche la meftizia al di dentro fa oracolo alla materia grotta che non efca: l'aria grotta im-pedifce al di fuori. XIV. Qtielfo che opera la meftiziaper di dentro nei trattenere il moto delcuore, e coli' oftrttire te glandole col crudo trafpi-rabile3 ilmid'fimo operai''ariagrojfa e fan-gofaperefempio cbsvexgct da paludi'-) vii a dire , prima ftringe i condotti delle glandole cutaree, e de' polmoni i i quali legger mente ferrati, il cuore va [cemandofi ¦nelfuo maio naturale, ed uguale. XV. Qjiei che vanno a dormire travagliati di animo, la notte meno traspirano ; e nel dě feguente i loro corpi fi confervano piů pefanti del folito. XV. / travagliati per qualunque mOm tivo per ordinario fi dibattono pel letta fenza poter dormire ; onde non trafpiran-. do fi fentono inquieti, attefo il pejo della materia trafpirabile rattenuta* XVL Ne'penfieTĚamorofi conmefti-zia la parte crafTa degli efcrementi tra-(pirabili vien trattenuta : la quale, evaporando la piů fottile , divien anche piů grotta, e piů fredda: quefta fé fi ttnifea infieme, induce una freddezza inoperabile nella tetta, palpitazione PASSIONI DI ANIMO. 197 zione di cura difficile nel cuore, onell* altre membra. XVI. Val a dire, che dal? ammaramento del crudo non traforato le membra eftreme finalmente s* intorpidiscono i ed ancora il cuore Jěefso n* efce dal fuo moto equale a cagione del [angue chi ogni giorno piů fi fa grofso . XVII. La meftizia in due maniere fi fupera, o con laliberatrafpirazione, o con qualche continua coniblazione di animo. XVII. La malinconia dunque convien curarfi co* medicamenti', essendoché ve ne fono di quelli che movono gagliarda" menu la libera tr afpir azione. XVIII. Se dopo la mestizia i corpi diventino piů leggieri che dopo l'allegrezza, ciň fegue per necerfětŕ, o per la quantitŕ minore de' cibi, o p^r la loro qualitŕ piů trafpirabile. XVIII. Anzi trovanfitalunit ne qujli, cast portando la cojlituxione del corpo lo-ro, la traspirazione naturalmente fi č piů fpedita, pertanto in talguěfa neppurfono. atti alla msjiizia. Temperamento infat~ ti felice', ed č credibile eh; tali perfine fiano abili a vivere piů a lungo dilli altre. I 3 XIX. 198 SEZIONE VII. XIX. La confolazione d'animo, per qualunque cagione ne fegua, n3 apre i pori, e rende copiofa la trafpirazione. XIX. Vedete [opra alV Afor. 6. XX. Se dietro l'ira immantinente ne fegua la confolazione dell'animo, o v'f-ceverfa, i corpi, data la paritŕ delle cofe che vi fi mettono dentro, nel giorno feguente divengono piů leggieri, che fé durato lo fdegno, o l'allegrezza. XX. Le pajjěoni vicendevoli portano (ti carpo forze di nuovo ; e s'illanguidifce ancora V tfiefsa collera, fé non venga ri-fiorata co» qualche confolazione i anzi il trafpirabile infiacchito da una tanto minore confolazione, nella fdegno di nuova ite ripiglia vigore. XXI. Siccome un piacer grande viene tolto per mezzo di poca evacuazione di fperma: cosě tutte le altre paffio-ni dell' animo fmoderate pofTono fce-marfi , č toglierli con qualche evacuazione delle materie trafpirabili. XXI. Le pacioni ftraboccbevoli, come anco il piacer venereo, fi tolgono da una. trafpirazion che fvapori. XXII. PASSIONI DI ANIMO. ^9 XXII. Il timor e la meftizia , come fi ricava dagli efperimenti Statici , fi guarirono con 1* evacuazione degli efcrementi grotti trafpirabili : la collera , 1' allegrezza per mezzo de' tenni. XXII. Nellaguifa che il timor, e la meftizia fi tolgono dagli efcrementi fuoi crajft evaporati , cosě l'ira , e l* allegrezza da' tenui. Imperocché gli umori trafpirabili 0 fi ano crafft, 0 tenui s fono fupsr-flui, e tali che conviene vengano efpulfi Suora. XXIII. Se taluno fi fenta lieto fenz' aver alcun motivo, ciň fallě dallatra-fpirazione piů aperta, ed il corpo di quel tale nel dě dietro fi fperimenta di pefo minore. XXIII. Cofa che fi fa pale fé da. ung, fomma temperanza nel vitto, e nella mutazione dell* aria i parimente da un* allegria naturale di nazioni, di paefi tiepidi, non oftante la tirannide, e la lor mifera-bile povertŕ * XXIV. Un1 allegrezza mediocre n* evacua infenfibilmente il fuperfluo fo-lo : l'eccelfiva il fuperfluo , e l'utile infieme. I 4 XX V. 2co SEZIONE VII. XXV. L'allegrezza moderata giova alle facoltŕ concottrici: ftante che la natura non aggravata dal fuperfluo molto meglio adempie le funzioni de* fuoi tifizj. XXIV. XXV. A cagione di una gagliarda agitazione del cuore, qualnefuol accadere da un* allegrezza eccejfiva, il corpo fi [cerna dal [uo pe[o [olito: atte[o-che cosě gli umori [uperflui, egli utili ancora e[ala no ; dal [uo moto placido poi s'e[pelle in[enfibilmente [oh il [uperfiuo: cosě legazioni naturali po[sono farfi con Maggior comodo. XXVI. Un" allegrezza inafpettata nuoce piů che quella preveduta: atte-foche non folo muove V efalazione degli efcrementi della terza cozione, ma ^egli fpiriti vitali altresě,- la preveduta poi caccia folo gli efcrementi. XXVI. Un' allegrezza ěmprovi[a infatti muove con maggior impeto il cuore, e perciň ne cagiona una trabitazione pin copio[a , che non fa l'allegrezza antive~ duta. Che cofa intenda poi per nome di [piriti vitali della terza cozione non Tintendo in conto alcuno. XXVII. V allegrezza , e lo flegno le- PASSIONI DI ANIMO. 201 levano dal corpo ciocche fa pefo e leggerezza: la meftizia, e il timore folo quello che fa leggerezza: ciocche fa pefo poi vi retta. XXVII. Val * dire, tanto il crudo , quanto il cotto . Vedete [opra ali' Afo-rifmo 2. XXVIII. L'allegrezza che dura per molti giorni n'impedifce ilfonno, e fa perder le forze. XXVIII. Ilfonno fi č una certa ceffa-itone della coftrizion delle parti : V allegrezza poi non fubito lafcia il cuore , cbs fi a in [uŕ libertŕ, principalmente [e ne perseveri» XXIX. Se alcuno dopo di un'allegrezza moderata fentafipiů lieve, ciň no» deriva principalmente dall' evacuazione del tutto, ma del cuore, e del cervello, dove ciocche vien evacuato n'č minimo di mole, ma di virtů egl' č malěimo. XXIX. Non bene refia (piagato : atte- foche il cuor} e il cervello quanto a fé non fi evacuano privatamente i ma per opera delle altre vifeere, e glandoli dě tutto il corpo. I 5 XXX. 202 SEZIONE VII. XXX. I cibi apritivi producono allegrezza , que' poi, i quali ne ferrano la trafpirazione fanno meftizia. XXXI. Il Sedano, e gli altri aperien-ti cagionano allegrezza: i legumi, le carni graffe, e gli altri incraflanti, e che torto riempiono le cavitŕ d-e'dutti, fanno meftizia. XXX. XXXI. Vedete J"opra alV Afor. li. 12. 13. //Sedano fi č diuretico, e move il [udore. Ma Vintele male de'legumi, come quelli che fono venerei , e muovono gagliardamente la trafpirazione ; ma delle facoltŕ de' medicamenti poca certezza Jtba, come dijje ottimamente Celfo : Di quefli fervonfi i Medici diverfamen-te piů perche corti qual opinione n'abbiano effi, che perche fé ne tenga veruna evidenza. " XXXII. Se vengano evacuate le»cavitŕ de'dutti, e dappoi fubito vengano riempiute , ditte bene Ippňcrate , che ne vengono male paflěoni di animo. XXXIII. A'predominati dalla collera l'cfercizio ecceffivo molto nuoce j atttfoche prertiěTimo le cavitŕ de'dutti fi dilatano, e con ěmpeto grande fono riempiuti. Onde Ippňcrate ne' bi-liofi biafima le freghe , e Tefercizio della lotta. XXXII. PASSIONI DI ANIMO . 203 XXXII. XXXIII. I dutti dell* gěan-dote dall'ira impetuofamente fi vuotano ; attesoché quefla pafftone di animo tanto confuma con la traspirazione dell* utile, che del fuperfluo j per dutti concavi poi n intendo quelli, ne' quali niente quafi refta di trafpirabile . Quefla improvifa rielezione a quei che non anno mangiato di frefco dee formarfi del [angue utile 3 e neceffario. XXXIV. In una perfona che fia quieta di animo ^e_di corpo i dutti non fi rendono cavi, ne le male paflěoni fi accendono. XXXIV. Molti velie parti piů rimote e montuofe del? Inghilterra fi trovano di etŕ molto avanzata, per una certa ca~ fuale, ma continua regola di vitto, a cui ne fono cosě obbligati, e vivono contenti delfuo avere, e ne fi anno quieti di ani. mo e di corpo', talché a cotefli maiicondotti fon vuoti, ne fi producono cattive pajfioni. XXXV. Il corpo che ripofa piů tra-fpira, e divien di pefo minore fé abbia taluno grande agitazione di animo, che fé il corpo fi metteRe in moto veloce, recandone l'animo in quiete. 16 XXXV. 2c4 SEZIONE VII. " XXXV. L'efercizio del corpo piů delle altre partě opera ne' polmoni ě l'agitazione poi dell'animo tocca lo fteflo <¦«*-re : onde il tutto meglio traspira. XXXVI. La mutazione del corpo tiene in alterazione piů lunga l'animo dello fteflp corpo. ' XXXVĚI. Le paffioni d'animo riguardano un foggetto interno, il quale piů move che motto ne venga, per efTere minimo di mole, e maffěmo dipoffan-za j a guifa di una Temenza ; e che in varia maniera difpofto č l'origine della trafpirazione, o della gravita, e della leggerezza. XXXVI. XXXVII. Cosě Vagitazione del corpo nel letto di piů travaglia V animo ; Manteche il corpo defiderando grandemente il fonnOy a motivo dell*animo non fi puň dormire. Quefto foggetto interno fi č Vanimo, ;/ quale-facetamente vien af~ fomigliato qui ad una femenza. XXXVIII. I corpi che trafpirano piů del folito non per il moto del corpo, ma per qualche moto veniente deirani-rno, con maggior difficoltŕ vengon ridotti alla folita, e falutevole trafpira* rione, XXXIX. PASSIONI DI ANIMO. 205 XXXIX. Piů nuoce una paflěon d' animo ecceflěva, che un eccepivo moto del corpo. XL. Il corpo fi marcirebbe, e perirebbe dall' ozio fenza il movimento dell'animo, non perň viceversa. XXXVIII. XXXIX. XL, II moto ec-cejftvo del corpo col ripofo fi riflora, ma un eccejfiva paffxone di animo febben paja placata , nulladimeno arduamente perturba il cuore col fuo movimento continuato talmente che vi vuoi tempo innanzi che ritorni al fuo moto folito, ed al fuo efsere ne venga reftituito : nella guifa eh? fi ofserva nel mare travagliato dalla tempefla , ti quale, quantunque ne fin cefsato il vento, nulladimeno per alquanti giorni le onde fono in agitazione. L'animo č il principio della vita s e ciň fi vede chiaramente ne'piů degl'in fettii attefoche a coteflin'č dato V imperio f opra tutte le facoltŕ naturali, cioč la. concozione, moto del cuore, refpiro, eia ttafpirazione, le quali cofe tuttepofsono 0 fermarle in tutto, 0 almeno per lungo tempo, cioč per piů mefi, e per quanto fard lor in piacere i Jaddove a noi fenza il moto dell' animo l'ozio del corpo fi rende funefto. XLL II moto gagliardo di animo n'č 2otf SEZIONE VII. n'č diverfo dal moto gagliardo di corpo > quefto con la quiete, e col Tonno ne ceflfa 5 quello ne con la quiete, ne col fonno fi difcaccia. XLI. Nella malinconia f della qualpaf- egl'č un fonno falfo, e quafi dannevole, di mňdo che benefpefso da una femplice malinconia i pazienti fono ridotti alla pazzia. XLII. Coloro che bramano ardentemente di vincere nel giuoco, nongiuo-chino: perche fé Tempre vinceranno, a cagione dell* allegrezza paleranno le notti fenza prender fonno, ed alla fine faranno perdita della efalazione delle materie trafpirabili concotte. XLIII. Una vittoria moderata č piů fana di una gloriofa. XLII.X LUI. Talmente che dalla con» tinuata allegrezza ne nafce come un certo moto difordinato del cuore pe'T eceefso della pulsazione'• da un' allegrezza moderata poi ne viene un polfo piů te/»" perato, XL1V. Lo ftudio nella mutazione degl' PASSIONI DI ANIMO. 207 degP affetti dell'animo piů a lungo (ě tollera che fenza affetti, o mutazione di affetti, perche la trafpirazione fifa piů moderata, e piů falubre. XLV. Lo ftudio fenz' alcun affetto appena dura un* ora, con una pafifion fola appena quattro ore; con cangiamento di affetti, come accade nel giuo-co delle carte ( in cui talor 1" allegrezza pel guadagno, talor la meftizia per la perdita ne provano i giuocatorij puň durare giorno, e notte. XLIV. XLV. Lo fiudio con pafione risveglia il cuore : la mutazione poi 0 vicenda delle pacioni riduce il cuore ad un certo moto naturale > e temperato, fé in qualche parte n*eccederŕ. Jl4a dal moto del cuore la trafpirazione bene, 0 male j* incammina. XLVI. "In ogni ftudio una meftizia continuata rovina la buona coftituzio-ne del cuore, e un'allegrezza eccetfi-va impedifce il fonno : attefoche il troppo, di qualunque forte fiali, č nemico della natura . XLVII. Coloro che or fon lieti , or mefti , ora fdegnati , ora timidi , anno la trafpirazione piů falutevoledi quei che godono una paflěone fola benché buona. XLVL 2o8 SEZ.VII. VASS. DI AJNIMO. XLVI. XLV1I. Qui parimente s'intende di un' eccefledi qualche palone , conforme fi (piega nelV Afor. di fapra, XLVIII. L'allegrezza rende la Sifto-le, e la Diaftole piů facili: il timore, e la meftizia piů difficili. XLVII. L'allegrezza rende il moto del cuore piů veloce, il timore eia malinconia piů tardo. I CANONI DELLA MEDICINA D Ef SOLIDI Per l'ufo retto della Statica'. COMPOSTI D A GIORGIO BAGLIVI FILOSOFO E MEDICO ROMANO. 211 DELLA MEDICINA DE' SOLIDI. C A U O N E 7. POflTedere la Statica del cor}>o fen-za la Statica della mente per ben medicare, e ben vivere , fi č cofa inutile . Dal Medico dee ritrovarli 1' equilibrio fra la mente , e il corpo: della mente per mezzo della Statica della Filofofia Morale: del corpo per la Statica del Santorio. Attefoche nell1 .equilibrio di quefte due cofe ftariporta la fanitŕ , e la vita . 2. I movimenti dell" animo variamente operano ne*moti del corpo, e gli cangiano o in meglio, o in peggio .* come ce ne fa piena teftimonianza il Santorio. Perloche colui che non fa-prŕ adattare la Statica de3 movimenti dell'animo per mezzo de'Canoni della Filofofia Morale alla Statica de* moti dal corpo propofta, non faprŕ neppur vivere lungo tempo , e fano . 3. Chi con la mente opera fopra le forze del corpo, č infermo di corpo; e l'animo fdegnato per la lunghezza mo- in MEDICINA moietta del corpo infermo, alla fine fi ammalerŕ riell' animo ancora. Quindi č che diventano malinconici, maniaci, impazienti, fdegnofi, e con firrnli palfioni di animo che (opra le forze, e temperie del corpoaftraggonl'animo col penderň . Egl'č perň ancor vero che la mente.corregge le pacioni del corpo con la Statica della Filofofia morale , e che le puň moderare fé vorrŕ, e faprŕ. Quanta poi fia la poteftŕ, e la forza de5 moti dell'animo , nella tra-fpirazione che variamente fi perturba, da' feguenti Aforifmi del Santorio certamente fi farŕ manifesto, , Due f«?no gě' efereiz}, uno del corpo, e V altro dell animo i quel del corpo evacua gVescrementi fenfibělir quello dell* ariuno^ piugV infenfxbělě, e principalmente del cuore , e del cervello y dove rifiede V animo : Sez. J. Afor. 14. La troppa quiete dell' animo impedirci la traspirazione piů che la troppa quieti del corpo. Sez. %. A§or. 15. V esercězio dell' animo, e del corpo violento rende i corpi di minor pefo , fa venir prefto la vecchiaia, e minaccia la morte anticipata : ftantecbe fecondo il Fi' lofofo, pia prefto muoiono quei che fi fono efercitati di que' che non lo fono . loc. cit. Afor. 19- 4. Stupifcono molti , che i Medici viva- t> EJ SOLIDI. vivano intemperatamente, e nondimeno vivere fani. Ufano ogni giorno ia Statica del Santorfo per Tufo delle fei cofe non naturali, e vivono fani. I qua-ěi arcani dell'arte non č bene che fia-no palefati al volgo infano: attefoche al tempo d'oggi a' Medici fi portami-nor riverenza del dovere, e fi danno premj minori del merito loro. Inquanto a me n'appartiene, certo tempre: Odi profcinum vulgus, &> arceo. 5. Siccome la coniervazione della fanitŕ fi fa collo fcemare il fuperfluo, e con accrefcere quello che manca y avuta la cognizione per mezzo della Statica della materia trafpirabile di ciafcheduno. Cosě la cura de' malial-tresě s'incamminerŕ per mezzo delle regole medefime, o fi tratti delle cagioni profiline , o procatartiche deJ medefimi. 6. Stupifcono molti, che perfonefo-brie, e di vita temperata non vivano ne piů degli altri, ne fani, anzi bene fpeffo morire ali' improviiň . Son ali* ofcuro della Statica del Santorioj ne reggono, o guidano bene la navicella di Tua fallite che fta in una continua tempefta delle fei cofe nonnaturali co* fodi precetti della medefima ; quindi ne viene frtttoJofa la morte, ounavi-*a mal fana. Cofa che a5 Medici noa acca- 4 MEDICINA accade cosě facilmente, perche fono periti della Statica . 7. S'inganna il volgo ignorante quando crede che nella State fiano piů of-fenfěvi, e piů regnino i mali per la troppa intemperanza nel mangiare de* frutti: s'ammalano piuttoftogli uomini, perche l'infenfibile loro trafpira-zione che nella State n'č piů copiofa ne improvifamente fminuita , o ribattuta con l'aura frefca incautamente goduta o di giorno, o di notte. Quindi torto vengono febbri , toffi , diarree, ed altre infermitŕ da E (late. Co-fa che il Volgo ignorante, e Medici rozzi attribuifcono a caufe molto rimote, perche non fanno di Statica. 8. La notizia de' folidi che variamente ora ftringono , or allargano le loro bocche, e de' liquidi che fcorro-no pel corpo animato con moto diver-fo, grandiflěmamente giovano a ben intendere la dottrina della Statica . 9. Se il Santorio avelie avuta la cognizione del circolo del fangue , con molto minorincomodo, e con maggior felicitŕ avrebbe fcritto la fua Statica. 10. La Statica del Santorio , e il ¦circolo del fangue dell* Arveo fono i due poli, fu cui fi regge tutta la macchina della vera Medicina , con quegli ritrovamenti riltituita, e (labilitŕ s Ě DE1 SOLIDI. 215 le altre <:ofe piattello quella ne rendono adorna che le diano accrefci-mento 5 principalmente quando non fono pronunziate da un oracolo della natura. ix. Colui che averŕ buona perizia dell'equilibrio fra Tofcillazione de'fo-ěidi, e il corfo de' liquidi, a (fai (firn e malattie ne faprŕ rettamente curare. E colui che faprŕ rinvenire il movimento della infenfibile trafpirazione , =e la quantitŕ fua c©mparare adequa-•tamente col corfo, e con la copia degli altri efcrementi , e ponderarne V equilibrio, eia proporzione, con fieu--rezza , ne* mali eziandio difficiliilimi ne prefcriverŕ i rimedj. ^ 12. L'ariani Roma con la fua qualitŕ vitriolico-aluminofa, č ofFenfěva dello ftomaco, e de' polmoni : quefti rě infetta col fuo profumo contatto per mezzo del refpiro : io ftomaco poi per ope-ia della faliva che in eflfo difilla dalle glandoěe del palato , e altre della bocca. 13. Per quefto i Romani piů delle altre nazioni fpeflň e molto vengono afflitti da' mali de* polmoni , e dello ftomaco. Sono deboli di ftomaco, non digerifcono bene , ne fono di molto «nangiare: patifcono di vifcofitŕ , efor-«didezza di denti per difetto dell'aria-» E Ai MEDICINA E datai incomodo fé ne deduce olŕ debolezza dello itomaco familiarin queft' aria, o fé cotefto ne fia robufto, almeno una negligenza nel confčrvare e difendere la pulizia de' denti loro. Abbiate cura de' voftri denti per ben mafticare, e vivere lungo tempo: rilavati che fiano i denti, € indeboliti, s*infiacchifcono altresě le officine della chilificazione: e di qui ne nafcono le occafioni di mille infermitŕ. 14. Quei che ogni dě annofordidez-za e vifcofitŕ ne' denti benché continuamente fé gli nettino, per lo piů fono deboli di ftomacOj malamente di-gerifcono, anno fiato puzzolente: dopo pranfo lor duole il capo , ftanno raefti, e fiacchi : e fé in quel tempo attendono agli ftudj, oa'negozj, vanno facilmente in collora , divengono inquieti, provano pienezza e dolore di tefta, all'ufo venereo fono poco inchinati ; mercecdie i deboli di ftomaco non fono lufTuriofi» anzi piuttoftofreddi , ed impotenti. Dalle bevande dei Caffč , del The , della Cioccolata, e da fimili liquori riftorativi dello fto-maco toft© litornan© come infefteffi, e rifanano , rimofTa la nube cattiva, die per colpa dello ftomaco vien portata alla te ita. Quefto fi č frequentif-fimo nella vitaaffaccendata d DE* SOLIDI. 217 o per vizio dell'aria, o dei modo di vivere cortigianefco. 15. Quei che anno i denti netti, e buon fiato, bene ancora digerifcono nello Stomaco. Servano diefempio i cani che anno i denti puliti e belli, ed una voracitŕ incredibile a motivo del predominante acido dello ftomaco, e perciň fanno buona chilificazione . Oh quante indicazioni di qui fi traggono per ben curarne le malattie ' 16. Coloro che anno a cuore la netJ tezza e bellezza de' denti fooi pofTeg-gono le gengive fode, e perciň un' incredibile fortezza di denti; la cui fal-dez^a dipende dalla robuftezza delle gengive, e loro buona nutrizione. At-tefoche cadono i denti rilavata chefia Ja gengiva, o fiacorrofa. Si rilaflaper l'immondezza, o corrozione de*denti: fi corrode poi dall' acrimonia falina degli umori che le fcorrono al contatto. 17. Quei che ufano troppo cofe calde e dolci, e fono di un temperamento acido-acre facilmente, e anticipatamente provano rilalfazione di denti. Quei che troppo iňn dati al Vino, a Venere, e alle cofe acidew e falate , patifcono di denti, e di fetpr di fiato. X>a bianchezza, e pulizia de' denti o indizio di fobrietŕ, o di buona chi-» Stčolg, K tifica- 2i8 MEDICINA lificazione," o almeno di una diligente attenzione nel confervarne la nettezza. 18. Le paflěoni dell* animo durevoli, i negozj gravi , penfieri molefti , gli ilu-dj fubito dopo il cibo, e le commozioni grandi dell'animo cagionano dapprima la corruzione de'denti, dappoi rilaiTaeione de* medeiěmi, la carie, il dolore, ec. Per le cagioni fuddette a forza dello ftomaco nel fareladigeftio-ne viene offefa j e gl'indizjche una tale affezione fi trovi nello ftomaco fi fanno manifesti dalla mutazion del fa-por della lingua, dalla vifeolětŕ fordi-da ne' denti, e dalla puzza della boc* ca . Se volete ottimamente difeorrere della digeftiondi ciascuno goiardategU i denti. La bianchezza , e pulizia di efli danno il-gno di buona chi lificazione; il guaftamento, e fp3rchezza loro lŕ djmotrranocattiva. Non negopeib, che una tale lordezza fovente non na-fca dalla, negligenza di curarfi \ denti : che infatti da qualfifia perfona civile dopo preib i*alimento, e dopo il fonno non dev' eHere traforata 3 acciocché per colpa de* denti guafti, e fporchi non fi cada in cattive digeftioni: ftan-teche la prima digeftione fi fa nella bocca, ed il primo, e principal m^ ftruo d,elte digeftioni, a mio credere, »'č la faliva. La faliva č un liquido DE1 SOLIDI. ? nobile che gagliardamente difcioglie , che fto per chiamarlo l'anima dello ltomaco , e delle digestioni. 19. Dall'ufo delle cole calde, acri, aromatiche i calli de* piedi dolgono al maggior legno ,e fi esacerbano. E quando cote (ti dolgono fenza cagione, lignificano regnare un occulto apparecchio ne* liquidi di particelle acri ., acute , pungenti, Ialine. Dominano poi que(te nel {'angue, o a motivo di un ufo antecedente di cibi, e di bevande acide? o per ifcarfezza di fucco nutritivo, e degli fpiriti nel fingue , o Joro confuma-zione per cagione venerea, opel troppo efercizio di mente, o di corpo, oppure ( cofa che frequentemente n' avviene ) per colpa, della trafpirazione impedita. Ciň che n'ho avvifato de* Calli dolenti, dite ancora del dolorde* denti nato ali'improvifofenza cagione. Il catarro, (raffreddamento, ) e lo ftra-nuto, fi fa fovente per aver patito uŕ poco di freddo, o prefal'aura frefca di notte* Quelle cofe ce U addita l'efpe-rienza, e continua rifleifěone, e nota-2ione della natura. E iiccome da' movimenti della natura fe ne compone l'arte, cosě da quelle cofe, che nell* arte bene, o male n'avvengono fi puň comprendere il conveniente, e l'inutile moto della natura. K % U 2 20 MEDIC1N A . . 20. La morte naturale viene dalri-feccamento de* folidi ; e per la falfe-dine, e vappiditŕ de' liquidi? a*folidi grava, un bagno d'acqua tepida ; a' liquidi poi ěa trafpirazione infenfěbi-le , e un cibo di buon nutrimento prefo con fobrieti , e quanto richiede il. tenor della natura rilavato nella yecchiaja. . A *2T. Dalla cute al baffo ventre vi č una via maeělra, e da queftoalla cute: fono vicendevoli le fucceffioni degli umori, e de' mali che per effe fi generano . I dolori del baffo ventre terminano in dolori degli articoli , e pel contrario. Dalla vefeica al ventre altresě , e dal ventre alla vefeica fi danno fncceffioni , e coni mutazioni . Qui perň a cagione della vicinanza: Ti poi a cagione di una certa generale, e comune defpumazione di tutt' i liquidi per mezzo di que' filtri gene-Tali . Onde ottimamente difTe Ippocra-te 6. Epid. Sez. 5. e altrove: Ahi faxitas , cutis denfttas ; cutis raritas , alvi conjěrfŕio . 22. Coloro che fi riempiono ecceflě-vamente di cibi, fé dappoi dormiranno, e per opra ŕt\ fcnno trafpirin bene, non cosě facilmente faranno aggravati da male a motivo della tropea rielezione , come lo faranno quei clic DE' SOLIDI. 221 che non averanno dormito, e non avran trafpirato . Fra gli altri fiano d'efempio i Medici , la cui vita fi č una non interrotta milizia, continuamente travagliata dalla immagine della morte : vivon eglino contuttocio fenza d' infermitŕ , eflTendoche anno cura del continuo fonno , e della tra-fpirazicne ; del fonno per ben digerire ; della trafpirazioiie poi per bene fchiumare gli efcrementi delle dige-ftioni. 23. Colui che faprŕ adattare ade-quatamente la fua vita o fia oziofa, o fia negoziofa alla Statica del Sanf-torio , di rado fi ammalerŕ , e puň rtar ficuro di vita lunga . Nojofa infatti riefce quefta vita medicinale : ma, Dio buono , oh quanta dolcezza poi fé ne ricava. 24. Le cofe che ciarlano i Medici dell' acido , e alcali , degli Archei, del Nitro aereo, dell'acido del Pan^ create dominatore delle infermitŕ , e di altre ipotefl fomiglievoli, fono cognizioni troppo attratte, e troppo generali per rinvenire , e rimuovere la natura delle malattie. Quelle poi che fi prendono dalla Statica del Santo-rio de' liquidi , e degli efcrementi : come ancora dall' equilibrio che paf-fa fra i folidi , e i liquidi ; e da- al- K 3 ' tri 222 MEDICINA tri effetti delle fibre, fcaturifcono dal libro della natura, e dall'oracolo delia medelěma ne vengono confermate. 25. In vano curerete i mali cronici j o acuti col mezzo de* purganti, diaforetici , diuretici, ed altri rimedj di tal fatta fé non ridurrete ad un buon ordine la natura de' folidi , e de' liquidi. Ne3 mali cronici laiilaflfa-zione delle fibre da riponerfi nella fua labilitŕ di prima,- negli acuti poi la crefpatura , e rifeccamento delle medefime , da cui il corfo de' liquidi in guife diverte ne vien trattenuto, e conturbato . Imperocché sě negli uni, che negli altri i liquidi corderanno con ifpeditezza, fé i folidi fia-tio diftefi quanto la neceflětŕ ne comporta. Se poi il liquido non corre per luo difetto, al medefimo folamente fi dee riparare. , 16. Egl' č detto generale r Qui male 'digerititi male trafpirant. La trafpira-zione infenfibile n'č un efcremento della terza cozione . Perloche fé non fi fa bene la prima cozione nello ftoraa-co, neppure fi farŕ buona la terza nelle parti: attefoche gli errori della prima cottura nello ftomaco non fi correggono ne dalla feconda, ne dalla terza . Perciň due cofe fovra tutte le altre debbon faperfi dal Medico come necef- DE' SOLIDI. 223 neceffarie, prima un raetodo diligente di curare le febbri ; dappoi una dottrina maděccia del curare i mali del Ventricolo, e del Mefenterio, che gli č proilěmo . Le quali cofe fé vengano trafcurate, o trattate balordamente, e fenza premura > Dio buono, oh quanta feconda figliolanza di errori quindi ne nafce, e quante pericolofe fuccelfěoni di pertlme infermitadi ne derivano l 27. Quei che imprudentemente ufa-no un'attinenza rigorofa , e non dovuta , incorrono in mali, ne'quali non credevano di poter cadere col vitto tenue in eftremo. Attefoche tanto h fěomaco pieno troppo, come il troppo vuoto fcemano la trafpirazione s il pieno la diverte per mezzo la corruzion de* cibi; il vuoto la tira a fé conl'afcil-lazione per venir riempiuto 1 pel mo-jtivio ftefio, per cui il vomito impedi-fce la trafpirazione , o la diverte tirando alle parti di dentro il trafpira-bile . Chi mai ne crederebbe tali cofe fé la Statica del Santorio non ce le faceffe fapere ? Onde il troppo alimento fi č nocivo al pari di un'eftre-ma attinenza J ma questa č nociva anche di piů perche fcarfeggia alle parti il dovuto rifarcimento , in cui ne confě'te la vit.1.. K 4 Vo- 224 MEDICINA 28. Voler aver cognizione defia meccanica , con cui operano i medicamenti nel curar de' mali, fi č difficile fé non fi abbia notizia della Statica de* folidi, e de3 liquidi, e della cognizione dell'equilibrio, delle forze, e delle renitenze che paflan fra etti,-eflendoche le cofe che vanno involta nelle fcnole intorno alle prime qualitŕ de'rimedj, fono finzioni tutte ideu-li . La forza , e la pofTanza de* rime-dj fra piů nel moto, nella figura, nel pefo de1 fuoi minimi componenti, che nella pompa delle qualitŕ, e nella loro digiuna ed arida attivitŕ. Lo che altresě in quell'anno 1704. dettammo dalla cattedra a* noflri difcepoli in quefta Univerfitŕ Romana trattando della generazione , e corruzion delle cofe. 29. Non bene fi accordano infieme le indicazioni d'irritare nel tempo fteŁ-fo il folido, e di rilavare il liquido , come fanno alcuni Medicaftri di poco fapere, preferivendo nel tempo me-defimo vellicanti, freghe , finapifmi , bottoni di fuoco , e vellicazioni ne* iolidi ,• e potenti diaforetici , vomiti* vi, e purganti ne' liquidi. Queftedue forte di vive , e poflenti ofcillazioni in amendue difpongono la cofa allo ftrangolamento, filiazione , e foppref-fione de' liquidi, e ali' accrefeimento del DE* SOLIDI. del male piuttofto che alla dtclinazio-ne del medefimo. Equilibrio , e proporzione dee paflare tra3 folidi per fare T ofcillazione , e i liquidi per Tun-dulazione. E l'uno, e l'altra nel tempo fteiTo in grado eftremo non puň futfěftere fenza pericolo della vita . Sia ciň detto perle apopleifie, catarri fuf-focativi, fcirri nelle vifcere, falfa gravidanza, o mola dell1 utero convulfi-va , ed interne oftruzioni intorno le vifcere ne' mali cronici ; nelle quali č ftu-pore quanti rimedj, e quanto gagliardi dentro, e fuori con poca prudenza ne danno al tempo fteflb i Medici di fcarfo fapere. 30. Quantodolorprovo, qualorveggio , che alcuni Medici con violenti, ed acuti diuretici voglion muovere l'orina ne' mali cronici, ed altri mali prodotti da riflagno del Mefenterio » e oftruzioni delle vifcere ; e che nul-ladimeno l'orina non viene, ma piuttofto fi fopprime; e fé viene fi efpelle ciocche non dee efpelierfě : anzi con danno dell' infermo . Laddove io ne provoco l'orina in copia in quellicafi ( non parlo di que' mali che anno la fua fede nella maGTa del fan^ue , ne' quali poffono effer proficui i diuretici , ma con purganti di _ pillole , iattova-ri, apozemi, fo!x:tivi dati con interi K 5 valli 226 MEDICINA valli di tempo, e a me noti. Quello eh* io dico dell'orina confermo ancora del (udore, e altre evacuazioni . La libertŕ nel corfo de* liquidi, e la dovuta larghezza ne3 folidi fono cofe ne-ceflarie alla feparazione deJ liquidi in primo luogo , fecondariamente V evacuazione delle cofe nocive . E colui che^ di ciň fta ali5 ofeuro , non ha la cognizion vera della pratica. E fé alcuno dirŕ: credi tu forfč a* diuretici , e Baglivi ? Vi credi quanto il volgo de' Medici? Rifponderň che no. E fé taluno con oftinazione crederŕ a* diuretici conforme il volgo de3 Medici , frettolofamente, e balordamente crede a' medefimi ; e al cofhime degli armenti che vanno non dove fi dee andare , ma per dove caminan gli altri , nelle malattie indifferentemente gli preferěvono effi , il mifero infermo pagherŕ la pena dell' ignoranza del Medico. Sapienti paura. 51. Colui che ha la cognizione della Statica de' folidi che ofcillano, e de* liquidi che corrono o infegnata da altri, o fpiegata da noi ne' libri della Medicina de' folidi, o della Fibra motrice, e morbofa, pofliede la Statica del Santorio, e la chiave per aprire la natura di molti mali difficili, e per guarirli. Egregiamente perciň fcrifleil buon DE* SOLIDI. 227 buon vecchio Ippocrate lib. de dieb.-jndic. n. 1. Magnani artis partsm efs; arbitror de bis, qua rette fcripta funi, ptfse confidaratiňnem facsrt , ae judica-re i qui enitn hoc novit, čr bis utitur t r.tn vidstur mibi in Arte muttum falli pofse. 32. A che giova fapere, ed efattamente oflfervare certe regole volgari, e vane per viver (ani > Come (ěedie-tro i fichi bere and acqua che vino» Chiamar caldi i fichi, freddi i melo-Ioni . Mangiar le infahte piatto (lo nel fine che nel principio del parto, e tener a memoria tali baje, fé nonfěůn-no bene i folidi precetti della imnor-tale Statica dimoftrati per mezzo dAV efarne delle fei cofe non naturali , e Confermati con la fperienza. Qjelle fono finzioni del volgo infano, o ciarle oziefe di vecchi a giovani inefperti; QaciU poi fono oracoli della nutura che ce l'infegna, e caratteri perpetui de' fuoi libri. 33. Nel!' eftate grondar di fudore, e prender il frefeo dell* aria , č cofa peftifera . Fluifcono pel caldo cěivo copiolě effluvj alla cute, e tutt'iliquidi con impeto verfo di quella n'ondeggiano : foprayenendo l'aura frefea fi fermino , e il rip.-rcuotono ali' indentro j e a CA^bne di tal continnatj K <5 ri- 22S MEDICINA rifluflň vengono fenza dimora febbri, o catarri , debolezze, diarree, rifipo-le, e mille altri mali, che ne vanno in volta T Eftate. In oltre quei che nel tempo eftivo troppo fmaniano a motivo del caldo efteriore, ononpof-fono {offrire il calor eftivo, o lo (offrono con impazienza : o fono pieni di umori , o fon nati di temperamento affai caldo; quei poi, i quali felapaf-fano con temperatezza, e reggono al caldo, anno una natura contraria a' fopraddetti, e una difpofizione contraria alle malattie. 34. Nella State il mangiare de'frut-tě , e la negligenza nel mantenere la trafpirazione fono cagioni delle infermitŕ : ma il danno peggiore deriva dalla infenfibile trafpirazione impedita pel frefco ricevuto nel corpo o di giorno, o di notte. Cofa che appena puň efěfer creduta dal volgo, dagrintempe-. ranti , e daJle feiocche donnicciole 5 lo crederanno perb qualora ne proveranno il flagello delle malattie. 35. Qyei cne f°no infermicci, di fa-Iute inteiici, afmatici , e per natura deboli a cagione dell' infermitadi che sjli affliggono, nella State col benefězio della trafpirazione che fi fa piů co-piofa , vivono piů fani : appena poi ne viene l'Inverno torto s'infermano per D E* S O L I D I. 229 per e(Terne trattenuta la trafpirazionej A fine di preiervarfi nell'Inverno, oi-tre la fobrietŕ, e il vitto tenue, leg-giere purghe fatte di tempo in tempo faranno giovevoli : e daranno compen-fo alla trafpirazione che fi fa nella State. Per quefto fteflb motivo ancora circa il folttizio iemale la fcabie, e molti mali cutanei o anno il fuo principio, o fono nel colmo. 3<5. Se nell'Autunno domini quantitŕ di umori caldi, falfi , ed acidi , e poi ne venga un Inverno freddo , e con troppi venti boreali; nell5 Inverno o fu l'accodarli la Primavera n' andranno vagando mali acuti di petto, rogne, oftalmie , febbrette catarrali, e fimili o diverfi mali, piů predo, o piů tardi, conforme l'infermo farŕ forte, o debole di compleflěone , piů o manco fobrio, e travagliato da intemperie di qualche vifcera, o no. 37. Quei che non vivono con fobrietŕ, e troppo ufano cibi di cattivo no-drimento , e che non anno giornalmente cura alla fallite , e alla fine non godono il benefizio di una libera , e copiofa trafpirazionex a cagione della cute per natura troppo denfa , ne facile a fudare : fé s'infermano, i lof mali o fono mortali , o lunghi almeno . EflTendocfoe la roaflfo del fangu-g imbe» j MEDICINA imbevuta in luogo di buon chilo diefcre-menti viziofi , da ciň ne nafce una quantitŕ di malattie funefle : e que* Medici, che ciň non fanno bene, nep-pur fanno ben medicare . Oh quanto n3 č cofa difficile, e nojofa dover medicare coloro che vivono fenza buona regola , o da quanto gravi, e atroci mali ne vengono affatoti qualor s'ammalano. Oh quanto fono paurofo neJle lor cure, e quanto volontieri non intraprenderei la medicatura di quelli. 38. La cozione degli umori fta collocata nella dovuta larghezza de' foli-di, e de* liquidi: la crudezza poi nella contrazione, e come in una confu-fione, e ftrango3azione de-' medefimi . Ne fa fede di quefte cofe la mala pleu-ritide , la colica crudele, la febbre troppo ardente. Se in quelli mali i io-lidi non verranno ad una dilatazione, e i liquidi ad una piacevolezza, e quafi allargamento di defpumazione , mai fperatene bene . In un apparato grande di umori fempre temete : atte-(oche muojono gě* infermi inafpettata-mente quantunque piccole , e quali benigne iěano le febbri che gli mole-ftano. Di tali efempj ne ho fatte molte deferizioni. 39. Oh che fdegno mi viene qualor veggio che i Medici ne* mali inderi.=> zano DE' SOLIDI. 5 zano tutte le fiic indicazioni a correg-re, e indolcire, come dicono, la materia peccante , e mai penfare a cacciar fuora 1* umor corretto . Il qual precetto difprezzato, e trafcurato, tutt' i mali con fucceffion malvagia ne vengono T un dietro V altro , i quali dopo un lungo ufo di alcalici , e di te-ftacei , ed anco della China, 4i cui molto il volgo credulo de' Medici fi fida , fenza d' aver ufate con diftanza di tempo le convenienti purghe, veg-giamo nafcere per colpa del buon metodo non ufato, non dalla natura. 40. Ne5 liquidi del corpo animato apertamente ofTervafi una Meccanica Chimica di digeftioni, concezioni, fer* mentazioni , def'pumazioni, efaltazio-ni, precipitazioni . Ne' folidi poi una Meccanica di cuneo , lieva , elatere, arcipendolo, progezioni, relěrtenza, e di ofcillazione . In amendue poi congiunte infieme di fatto fi fanno palefi le regole dell'equilibrio, proporzione, centro di gravita, di reticenze , pref-fioni, progezioni ; le quali cofe tutte tutte per mezzo della Statica del San-torio, e per mezzo della Medicina de* folidi, della fibra motrice e morbofa a curare , e fpiegar i mali quanto egregiamente fiano acconcie , non fi puň dire abbaftanza : anzi fé dobbiamo dire 232 MEDICINA re la veritŕ certo con utile maggiore delle invenzioni delle volgari ipotefi del (pardimeleco , dell* Archeo , dell' acid0 , e alcali , di mille ipotefi de' Chirriici , delle quali tanto fi gloria-mo, e fan tanto ftrepito i Medici volgari . Dio buono quanto mai fi dilunga la natura deJ mali da quefte baje ! 41. L'equilibrio de5 folidi, e de' liquidi la divisone delle fibre nel fi frema di carnofe, e membranofe: la forza , la origine , gli effetti t ofcillazio-ne, e la Meccanica de3folidi del Corpo animato, de' quali giŕ molti anni fono nel Teatro Anatomico Romano, e dalla Cattedra nella Univerfitŕ prima d* ogn' altro ne feci difputa 5 e fi-» nalmente fotto titolo di fibra motrice^ e morbofa, nella noftra Pratica flampa-ta nove anni prima, prometta, io diedi alla luce , per intendere la Statica del Santorio, e ritrarne le nafcofte indicazioni pare che fiano piů utili , e piů chiare delle altre ipotefi. E fé un certo medicaflro de* noftri non trala-fcerŕ di gracchiare quel che ciarla , e che ne fta a mia cognizione , e di che l'ho avvertito nelle mie lettere a quei di Parigi , in breviflfimo tempo averŕ le mie rifpofte con le dovute ca-#igazioni e con fommo calore. 42. Gli efcrementi delle prime dige- ftioni DE' S O L r D 1. 233 ftioni fi {caricano per fece.fo , delfc feconde per orina, delle ultime per in-fentěbile trafpirazione . Fra quelle fi trova una maravirliofa proporzione , ed equilibrio ; quando una di quelle evacua?ioni o il ferma , o rende minore , dee compenfar fi , col fluito piů copiofo dell'altra . li che non feguen-do, cangiato, e perturbato l'equilibrio ne vengono le infermiti : di qui (catu-rifeono le miileriofe indicazioni, e vere, per rintracciare l'origine de' mali, e per curarli. 45. Ottimamente diTe il Grand'Ip-pocrate : ( lib. de dieb. judic. n. 1. ) Tlerunque baminis natura Vniverfi potč-ftatem non fuperat . Il che n' č Itato detto con veriti dali'illustre Dittatore della Medicina; perche di^ fatto V Uomo vive nell'aria che n3 č eladica , grave, capace di reticenze , e d'im-pulfi-> e foggetto ad ogni momento ad inflaffi di caldo , e di freddo, e di fi-mili qualitŕ, e per quello fi č difficile in un' aria liquida cotanto variabile menar una vita fenza offefa , e fupe-rare la poteftŕ della medefima fé non fi adoperi una fomma diligenza di pe-fare la trafpirazione infenfěbile con i* tifo della Statica del Santorio , e di adattarla a cosě continue , e ineguali mutazioni dell'aria, a fine che o troppo $4 MEDICINA pň rattenuta non ne partorifca delie malattie , oppure lafciata correr troppo ne tolga le forze, e la vita; o almeno ne produca mali a' fuddetti del tutto contrarj » Sovente pero occulti , gravi, maligni, e tali che alle volte non ne conofciamo la natura , dante che dipendono da un' impresone occulta dell'aria; e quelle eofe fono pia vere de' mali epidemici > che degl'or-dinarj, e che ordinariamente accadono. Dico q uč fio allo ftolto volgo, che tutto di gracchia contro- de' Medici dicendo: la febbre fu maligna: il Medico non 1' ha conofeiuta , e l'ammalato n3 č morto . Quefta fi č la cauzione d'ogni giorno che fentefi per la Cittŕ qualor ne muojono V infermi » Oh ftoltiftěmo volgo ! E come mal po-tiai tu e/Tere buon giudice in queftio-ni , ed oracoli di un'arte che tu non fai ? Credi tu forfč darfi quefte febbri •maligne cacciate abbaflb dalla sfera della luna in quefta terra ? T* inganni . Attefoche quefte malignitŕ di febbri prete dalle qualitŕ occulte delle fcuole, non fi danno : ma per teftimo-nianza della Filofofia Chimico-meccanica efprimentale , da qualitŕ manife-fte di un acido coagolante , e di un acre diflblvente , o infiammatorio , o .anzi dirb fuftanze fi deducono : dal qual DE5 SOLIDI. $5 qual fonte ne deriva ogni febbre maligna . E perciň in quefte finte maligniti delle febbri , e de' mali , delle quali ciarla il volgo certo crederei , che fi dove.Te piů aver l'occhio alla ragion della febbre , che alla febbre lleffa . 44. A che giova egli una pompa d' erudizioni ? A che un elegante difeor-fo . e imbellettato ? A che un metodo lunatico di curare le infermitŕ con fe-greti d'impoftori, prefi dal Cielo ftel-lato , e dalla sfera del Sole ? A che una vana oftentazione di piů feienze, e piů lingue in un Medico ? Se non pofTede una intera cognizione dell'arcana , e recondita forza de' moti de* folidi, e de' liquidi, e dell'equilibrio fra di loro ; onde trae V origine la vita fana, o 1* inferma : come parimente fé non ii fa il fondamento della Statica del Santorio ? Oh quanti fono coloro che fin' ora ftanno lontani da quello porto (ěcuro della vera pratica , e che vengono infeliciflTnnamen-te sbalzati dentro d' un mare di errori, e di fal(ě fuppofti , con pregiudizio grande degli ammalati ! Prude»' ti pauca „ 45. La concozione ne* mali non fo-1 amente confitte in una disumazione della materia morbofa, e nella fua (Separa- MEDICINA parazěone da' liquidi buoni; ma ancora nella dovuta dilatazione de3 canali , e ofcillazion delle fibre , fé i mali fiano acuti ; fé poi fon cronici , nel tono naturale delle medefime, e nella preflěone dovuta dell'elatere. Attefoche la crifpatura , e una forte ofcilla?ione ne5 mali acuti n'č in vigore ne3 folidi : ne cronici poi al contrario rilafTamento , e atonia . Bene fpefiTo cotefto rilaflamento , e atonia morbofa termina in una tabe delle vifcere , e in etico-cacheti-ca intemperie delle medefime : piů per colpa del folido , che del liquido . Oh quanto fono recondite, ed occulte cotefte tabi delle vifcere ! Oh quanto pochi Medici leconofcono, e quanto pochi le fanno curare ! Le malattie lunghe degl' ipocondrj, di fcorbu-ti , di affetti uterini , e i mali del Mefenterio terminano in quelle? recando fpento nelle fibre T elatere , edeflin-to il vigor eguale, per la lunghezza della infermitŕ ; quindi ne viene la. macilenza, febbri putride, debolezze, frequenti fincopi, inappetenze, e alla fine , disfatto che fia il tenore della natura, le morti . Della tabe delle vifcere ne tratteremo quanto prima in una difertazione particolare . Chi difprezzerŕ le cofe fuddette , di- fprez- DE'.SOLID I. 257 {"prezzerŕ i Veri fonti delle indicazioni . 46. Dalle fperiense della Statica del 5antorio il vomito molto ritarda la trafpirazione , perche tira alle parti interne il trafpirabile : le opera ciň una polente ofcillazione delle fibre dello ftomaco evacuando fuora la materia per mezzo del vomito : quanto piů farŕ il medcfimo una veemente ofcillazione , o infiammatoria , o dolorifica delle altre vifeere con febbre , o fenza, per le quali ofcillazio-ni non fuccedono evacuazioni di materia , come nel vomito ! Anzi dall" abito del corpo tirati ali' indentro i liquidi, e facendo forza al luogo che ofcilla , fi fiflano ivi , s'accendono , bollono y e difpongoao il paziente a tumori', feirri, ed infiammazioni. L' Arte medicinale perb da' luoghi affetti nelFofcillazione puň con l'evacuare divertire la materia per mezzo di vefeicanti , cauteri, finapifmi , fcari^ ficazioni , e ltimoli d* ogni forta; le quali cofe infatti non fono invenzioni de' Galenici, o fogni , come fti-lanano gli Elmontifti ; ma oracoli , e voci della natui-a che ce l'infegna, e ce l5 avvifa . 47. Oltre il freddň erterno d«e co-ie piů dell' altre diftolgono la tra{pi« i MEDICINA razione, e la tirano ali' indentro: la onda de' liquidi che fcorrono con velocitŕ, e l'onda de' folidi che fortemente ofcillano verfo qualche parte 5 pertanto le diarree, i dolori interni, i mali interni lunghi, fortemente, e troppo diftraggono la trafpirazione ; anzi altresě tnttocio che conturba Y equilibrio fra il flutto, e rifluffň degli umori, e fra il folido che ofcilla , e il liquido che fcorre. 47. Fate pratica in quefto, di co-nolcere fé ne' mali l'equilibrio cangiato fra il folido ©fallante, e il liquido che fcorre,, accada per difetto del liquido, o del folido a oppur di amen-due infieme. O fé l'equilibrio mutato -debba restituirli a fuo dovere co' ri-tnedj efterni, cioč freghe, bagni, unzioni , fcottamenti ^ efercizj, mufěca, navigazione, caccia ^ ballo ^ viaggio , foave e grata converfazione di amici5 continui fpaffi della villa , o di aria 4i pianura, o di collina» un cavalca, re a lungo» il conversare co'contadini mentre arano sol fine di refpirare quel nitro nobile che n* eiala dalle vifce-re della Terra noftra. gran Madre., fquarciate di frefco con l'aratro, gli nimolanti univerfali y Q particolari ; ^Oppure per opera di rimedj interni a 4) per ameiidtie nel lempo fteflb. Dei* - * ~ le DE1 SOLIDI. 239 le quali cofe chi tiene buona cognizione, poflede le vere indicazioni curative di molti mali . Altramente poi no, 49. Si trova differenza fra le leggi Statiche de* folidi, e de' liquidi fecondo la varia differenza de'mali 5 torto che s'ammala l'uomo il tenor delle Jeggi Statiche immantinente fi conturba, e fi muta, e ne nafce unafor-ta diverfa tanto nella trafpirazionein-CenfibUe, quanto negli efcrementi degli altri filtri. Ne' mali cronici i folidi, e. i liquidi ondeggiano , e ofcil-lano alla vifcera, in cui ne ita la forza , e l'anima del male, Manteche quafi iempre ne* mali cronici vi č le-iěone dell' organo, e fé non vi fi trova allora, con la lunghezza del tempo del male alla fine ci viene , Ne* mali acuti , attefoche la ofcillaaione de* folidi , e 1' ondeggiamento de3 li* quidi i\ č veniente x e univerfale , facondo che una di quefte fupererŕ Tal-tra % diverfa parimente ne nafce la condizione fra le leggi Statiche circa il fecernere tanto le materie fen-fibili quanto le infenfibili : e quindi \ che de* mali acuti altri fi fciol-gono per mezzo di una crifi, degli -efcrementi gravi per feceflň , altri 4 éŁ me» gravi per orina: altri fioal- 240 MEDICINA mente de' piů fiottili, e piů volatili per infenfibite trafpirazione. 50. Oh quanto mi difpiace, o grande Ippocrate, e voi rinnovato Efcu-iapio inventore dell'arte no Tra, quando veggio che alcuni Medici tolto che oflervano , che le donne vengano forprefe dalla ritenzione de meli j e dappoi gonfiarli nel ventre , e venire ad una mola ventofa dell' utero ,0 ad un' idropifia fecca dello ftefiTo , o quella che diceiě volgarmente falfi gravidanza : immantinente ordinata replicatamente una mal lana , e da me non approvata mif-fione di fangue, per lungo tempo pre-fcrivono alle medefime cofe amare, calde, apritive , mirrate , caftoreate , ed altre di tal fatta , che promovi-no il corfo inenfualeŕcěfangue: finat-tantoche crescendo piuttofto che fce-jnandofl il male, la cofa vada a terminare io cancheri , fcirri , ed altri ardui malori dell* utero . Me ne dispiace per certo, danteche ufanoque-fte cofe in tutte le femmine ne lenza diftinzione, e quali in tutte le malattie delle medefirne: fenza di aver prima efaminato, fé la dornia fia iraconda, o dotata di placidi coftumi : (č riarfa , e fecca , oppure molle , e di iucchi, Xe fia travagliata d ara- DE' SOLIDI. 24T animo, o no: qual ne fia il fuo ela_ tere ne* folidi, quale l'acrimonia ne" liquidi, quale l'equilibrio fra entrambi . 11 qual efame fatto da me , e avendo curate quelle nella guifa, che folito fon di curare le idropifie fec-che con emollienti , con medicamenti che ammorvidifchino l'increfpata-ra, e plachino la collera de" liquidi e con altre cofe a me note , e approvate con la fperienza, vediamo e (correre i mestrui , e difgonfiarfi il ventre , e con iftupore degli aftanti ricuperarli la fanitŕ . Felice quel Medico che conofcerŕ le aftrufe fuccef-fěoni de' mali, e che, per modo di dire, averŕ apprefo VA. B.C. della natura conforme (ědjve. Chi non fa tali cofe non fi perfuada di aver la chiave per la cura de* mali. 51. La. trafpirazion libera rende debole Ja cogitazione del corpo , ma fi rifarcifce con ia buona falute. La piů difficile al contrario fa la natura piů robufta , ma piů proclive ad infermarfě . Quefte cofe tutte le ha comprefe il Dittator della Medicina Ippocrate con le feguenti parole d* oro : ( lib. de Morbis ) Quibus corpus probe trafpirat , ii imbecilliores , Ě3n falubriores exiftunt y prompteque ad fanitatem reftituuntur . Quibus corpus Stat.Sant.volg. L mate 24* MEDICINA male trafpirat, bi priufquam ógrotent robuftiores s cum vera in morbos incide-rint difficilius rejiituuntur. Stupifco per veritŕ come il Santorio non abbia ne citate, ne almeno abbia detto di aver vedute quefte due fentenze della tra-fpirazione . O quando il medefimo buon Vccchiodice; (1. 6. epid. feft. 3.) Cutis raritas alvi conflipationem efficit ; cutis coarBatio carnium auftionem-, ver:-tris torpor omnium conturbationem, & vaforum impuritatem. Ma dalle cofe dette fi compilino k leggi della Medicina, EPILOGO Delle Leggi della Medicina. 52. Nel «Jifcuterfi le queftioni di Teorica fiano preferiti i Santoriani , € gli Arvejani . Ma nel dilucidare i veri fenfi della pratica, e della na-mra de' mali , gě' Ippocratici , e j Dureziani. 53. Non fiutino le fallacie de* So-fifti , le leggi del medicare fi rice-vino dal Dittatore Ippocrate. Contra la veócŕ conofciuta non fi aguzzi 1' ingegno. 54. Si ufino parole chiare^ sfanno-. DE' SOLIDI. 245 le di parlare dettate dalla natura de* mali. E mentre la ragione con Torŕ-colo della natura fi fa chiara, non fi tenga conto della forma degli argomenti ad efempio de' Sofifti. 55. Prima taluno fi eferciti nelle tefi, che anno il fuo fondamento nella natura che parla per mezzo de' mali degl5 infermi, e che fi fcuopre co' caratteri de' Sintomi, dappoi fi eferciti nelle ipotefi. 5(5. Un' argomento a fufficienza ribattuto non fi metta di nuovo in tavola, ne fi llia fu l'orinazione, e fé piacele contender di piů fi prenda materia d'argomento diverfo. 57. Ali' objezioni rifpondafi con fo-lida rifpofta: fé quefta non fi abbia fi taccia, 58. Se non fi trovi ripugnanza veruna delle leggi della Medicina, opponete le regole comuni del medicare : fé neppur quefte fi abbiano, pri* ma fi prenda in preftito il jus antico da Ippocrate, dappoi le fentenze dom-matiche e razionali da' Greci, dagli Arabi, e da'Latini Medici. 59. L'autoritŕ fomma fia pretto d1 Ippocrate, Ognun pofla appellarli ad efib. E fé in quefte leggi fi troverŕ co* idi ofcura e intrigata , alla comunitŕ dl' Ippocratici, chiamati a confuto L 2 pii) 244 MEDIC. DE' SOLIDI. 'piů periti fra* Medici fia permeilo, fecondo l'antica ufanza, d'interpretare, e fupplire : e fi riponga nelle tavole perpetue della Medicina. 60. Quei che faranno diverfamente, nella Teorica non fiano riputati per Santoriani ed Arvejani in quanto alle leggi meccaniche del folido , e del liquido : nemraen in Pratica Ippocratici, eDureziani, fi giudichino per Ciarlatani, fiano efclufi dal congrego de3 -dotti, e la fua ignoranza ne ferva loro di perpetuo tormento. Il fine de* Canoni. ICEN, I CENTO AFORISMI FISICO-MEDICI DEL CHIARI Stampati altra volta in Lingua Latina e nuovamente fatti volgari, ed arricchiti delle Note dallo ftejfo tutore. *47 I CENTO AFORISMI FISICO-MEDICI. AFORISMO I. Dil confervare la fanitŕ* * C Olui che fta lungo tempo nel numero degli (Indenti , non irta troppo nel numera dei viventi. KOTA I. GLi fitta*] faticofi fanno gran confumi di [piriti: ed emendo che fono fem-pre maggiori té fatiche deUa mente, e dell' animo di quelle del Corpo, ne fegue che gli fiudiojt oltre alle altre cure, ed incomodi comuni , anno gli fiudj che gli rodono i perciň giunti che Jěano a certa etŕ converrebbe t che tralafciafssro tal efercizio faticofo , e fi contentajjero leggere per mero fpafso, e non per ftudio di fatica fé vogliono portar innanzi la vita loro. li. 2-4* CENTO AFORISMI II. Se ftareté lungt dalě* ozio, e da Venere, ftarete lontano anche dalictro . ',- II. L'ozio fi tira, dietro molti mali: fé non fi efercita il-cňrpo cól tenerlo in moto fi accelerano molte infermitŕ ' fé non Jě impiega in miniflerj domcflicp t o civili fie vengono dietro molte male confeguen-ZV : onde V ozio infingardo dee fuggirfi per viver fani. Quanto a ir ufo Venereo da Schivare s' intende quello fuori de' termini convenienti, che molti giovani fa divenir vecchi innanzi tempo con farli pafsar al fepokro. HI. Se fiate bene non ufate i rime-dj degl' infermi. III. Le purghi fenzet hěfogno fono da»-vofe_ attefoche fi fanno diffipamenti di fpi~ 'viti, e del buon alimento fenza motrvoj fé per altro non vi fofse bifogno di fcio* gliere Vabito atletico, di cui dice Ippocr. che fenza indugio convien interromperei ma quefto ancora con la fobrietŕ e ajěi-venza fenza purghe, o falnffi puň refti-tuirfi al fuo pefo determinato . IV. Se nel medicare noi* potete con ficurezza recar giovamento , fiate almeno cauto di non inferir nocumento. IV. La cautela di non nuocere dee efsere lo fcopo principale del Medico: onde il far esperienze dě nuovi e pericolofi medicinali FISICO-MEDICI. 24? anali qualar fi anno g'i fperimentatifen-za pericolo non č fecondo la cofcenza di chi cura. V. Non tifare alcun medicamento bene fpefTo č l'ottima forta di medicamento . V. Quando i mali ammettono dimora, cioč che non fono tanto violenti da poter uccědere, a che non tormentano con dolori infopportabili, meglio fi č non ufare purganti, ne fai'ajjě ; ma li]"ciarli curare alla natura vera medichtfsa ds* mali, e ajutarfi con la quiete , e con la fobrietd, e prender il benefizio del tempo 3 eli; ogni malignitŕ ne confuma. VI. La virtů medicinale fta nelle erbe, ne* legni, nelle pietre, ne' minerali, negli animali. Voi ( fé il vollro male farŕ leggiero ; fenza molta difficoltŕ vi potrete medicare da per voi. VI. Non č cofa impropria m?dicarfida fé ne' mali leggi eri con droghe J"empiici t' con ejtbe, con carni d'animali, con frutti ben maturi, e fiměligiacche il Somma Creatore in tutte le cofe bar ipofiala virtů medicinale. VII. Se ftate fano abbiatevi cara a fine di non ammalarvi; fé poifrtegravemente infermo datevi a ci rare ali* L 5 al- 250 CENTO AFORISMI altrui parere : attefoche la voftra mente n5 č altresě inferma. VII. Per quanto perito fia nel medicare taluno non dee curarfi da fé, ma rapportarli ali' altruigiudizio fé n ba malattia grave i ftantecbe intalcafo la mente fua non ifta a dovere. Vili. La medicina moltiplice appena pochi ne conduce Ai la foglia della vecchiaia. Vili. / medicamenti compofli di molte droghe fono fempre peggiori de* [empiici. Fu fentenza di Corn. Celfo. Se volete viver poco cangiate fpeffň medici ,• prendete varj, e caricati medicamenti. IX. Ogn'infermitŕ per lo piů trae la fua origine o da troppo vuotamen-to, o da troppa ripienezza. IX. Per ripienezza s'intende o di cibo che per effer eccejfivo non fi puň digerire, o di [angue, e a" altri umori. Onde il corpo devejjer ridotto al[uo giufto pe[oě in cui confifte la [anitd. Leggete la Statica del Santorio. X. Qpe* mali dunque che furono cagionati dalla ripienezza fiano curati con l'evacuazione, e al contrario. X. Quejěa č [entenza et Ippocrate . Non jfoa perň da intendere che tojio Jt deb- FJSICO-MEDICI. 251 debba correre a' purganti per vuotar;, 0 ad una crapula per riempiere. Ma che nelFun e l* altro bisogno fi riduca il corpo con la dovuta prudenza alfuo dover: principalmente con la'fobnetŕ fecondo Ig regole della Statica. XI. Con la quiete, e con Taěinen-za fi difcacciano gagliardi fini mali. XI. Molti mali fono cagionati da fati' che fir aordinarie , da patimenti di caldo , di freddo, dT ingiurie d;' te/noi in quefii cafi non fi dee tofto pontr mani a* purganti. Il ripofo , e buona r'gola di vitto riduce il corpo allo fiato dell' antecedente falute . XII. Alcune malattie trascurate talvolta ne vanno al meno di pzr fé . XII. Le malattie hggieri bifogna che fi ano trascurate, emendo miglio non curarle: attesoché con la cura fifcemanole forze alla natura, che di per fé e valevole a fuperare il male. s'intende perň fem-pre curarle con la quiete y con la dovuta eiflinenza , e col trattarle da infermitŕ. Delle cofe non naturali, e prima dell' Aria, XIII. Niun' aria fi č peggiore di quella che ha prodotta la malattia. L 6 XIII. 252 CENTO AFORISMI XIII. L'aria cagiona le infermitŕ per cflere o troppo grofsa, o troppo fottile , fredda , calda , umida , ec. Perciň da JMedici Rovente s'impone la mutazione deir aria, fé ne fia' ciň in poter delC in- firmo, e dee fperarji di giovamento. XIV. L*aria n'č il primo nodrimen-to dell* uomo , degli animali, delle piante. XIV. yfppena nati ci alimentiamo dell* uria, con l'aria respirando viviamo, e fenza l'aria muojame. Il medefimo avviene agli animali, e alle piante ancora. XV. Le ingiurie dell* aria fuggitele quafi fodero di un nemico fdegna-tifTimo. XV. Per quanto Jt puň, bifognerebbe farfare le ingiurie dell'aria come cagioni di molti mali', col caldo, col freddo co* venti impetuofi n'infefia la traspirazione : con V umido eccepivo fa mali ca-tarralli, riftagni d'Umori, ed altri malori: con la [uŕ infezione porta la pefti-lenza. XVI. Refpirare un' aria aperta, e fventolata, č cofa faniflěma. XVI. Quanto piů V aria č battuta da tuoni venti tanto piů fana riefee a fimi-litudine dell'acqua y che (e nonvienefbat-. . tuta FISICO* MEDICI. 25j tuta marcisce : onde quelle abitazioni che fono piantate nelle valli come in un catino , non fono fané. XVII. Le ftanze non efpofteadnn' aria che trapaflě fuggitele come la pefte ; ' XV'II. Principalmente quelle fi a hze in cui dee dormir fi: perche vi muore l'aria talmente eh? non čtrafpirabile:* ne mio* ' ce aW infenfiběk trafpirazione. XVIII. L'aria rinchiufa nelle vifee-re della terra n'č velenofa, e che ali' improvifo puň foffogare: lo fletto dite de' fepolcri. XVIII. Con molta cautela bifogna entrare ne* luoghi fotterranei, convenendo prima lafciarli fventare > e mtttarfi queir aria fiata per tanto tempo rinchiufa ; end* č corrotta, e inetta al refpiro, perciň molti ne fono refiati imprověfamente faffogati: tanto piů nelle fepolture none bene calarvi fubito , ma lafciar chs fi muti quell*aria maligna, fé non fi vuoi provare gli accidenti funefii giŕ detti. XIX. Il dormire in un luogo da ogni parte ferrato con del fuoco non č fen-2a pericolo: e quanto piů č gagliardo il calore, tanto fi č peggio . XIX. A motivo che quell'aria infiammata dal fuoco mn č piů refpir abile y e offen- 254 CENTO AFORISMI offende la infenfibile trafpirazione terri* Vilmente ; perciň alcuni (i fono trovati morti nel letto ali improvifo. XX. A chi dorme in una ftanza imbiancata di frefco , fé quella fia chiu-fa, fi* č male ; fé vi fi aggiunga 4el fuoco, n*č peggio. XX. M'efalazione della calcina č cattiva , e tanto piů fé Varia non trapali perla camera, e la disgombri almeno in parte : ftanteche puň impedire il refpiro, e offendere il polmone. Si poi vi fi rin-ferrafse anche del fuoco, farebbe cofa mortale . XXI. Dormire in un'aria odorofa non fc bene: fé gli odori fono buoni fi č male; fé fonň cattivi, peggio. XXI. U aria che respiriamo vuolefser pura e meno infitta da vapori di qualfifia Torta. Gli odori buoni quando fono leggěe* ri} e la loro impresone non č violinta ci fi rendono grati e foavi , fé altramente mettendo in agitazione gli fpiriti, e gli umori fono ojfenfivi^agionando dolori grandi di capo, mali ifterici nelle femmine, deliqui, debolezza di membri, e quanto piů acuti fon eglino tanto peggio; perciň convien guardarfi dagli odori di mufchio, di zafferano , ed altri fimilě pcnetran-tijfimi . (?/; odori cattivi poi riefcixo un- FISICO-MEDICI. 255 ancor peggiori producendo gli effetti me-defimi , e di piů a motivo della [uŕ infezione e cattivo miafma pofsono recare con efso loro un fopr acarico di pejfim9~ma-lattie. XXII. Dormire dove fia flato un fuoco gagliardo non č cofa buona. XXII. Serrarfi dentro una camera , dove il giorno fia flato fuoco gagliardo principalmente di carbone, 0 legna forti, e andar a letto prima di aprire le fine- ftrey e dar congedo a quell'aria infiammata, č cofa mortale: fi fono trovati alcuni eftinti la mattina per aver dormito d'Inverno in tali camere : perciň convien guardar fi da firn ili errori. XXIII. Dormire colla teda e anche bocca coperta di modo che ppfiTa impedirli la refpirazione , G č cofa peilěma . XXIII. Taluni ne' gran freddi fi cuo-prono con le coltre tutta la te fia, eia bocca : quefti corrono pericolo di refiar accidentalmente foffogati : onde fé ne aflen-gano. XXIV. Dormire col corpo affatto nudo febbene fia no caldi grandi, fi č no-cevole . XXIV. Ne' caldi eccejftvi alcuni trag-gonfi di dofso tutto ancor il femplice len~ zuolo $ CENTO AFORISMI ruolo , roftoro fanno male, fi ante cbevietfr impedita la tr afpir azione, per la co/li-" pazione de*pori, ec. Vedete il Santorio nella fua medicina Statica. Del Cibo, XXV. Che una perfona fana po.Ta vivere fenza mangiare ne bere per molti giorni fupera la natura delfuomo 5 in malattia poi non č cosě. XXV. Un uomo [ano non fuol vivere piů di tre 0 quattro giorni fenza nodrirfi': in malattia regge per molti giorni. Gě' infetti, ed alcuni animali freddi věvono de' mefi afsai fenza cibo. Ho veduto un gatto rincbiufo in un luogo dove non poteva aver ne trovar alimento ne bevanda, vivere per giorni quindici, e data' gli poi la fua libertŕ vifse fano- e felice-. XXVI. Se taluno ogni giorno prenda un'oncia meno del bifogno di alimento, in progre/To di tempo per neceflětŕ ne morrŕ dalla fame. XXVI. La vita dell'uomo fi a occupata in rimettere ogni giorno quel [angue che fi consuma 0 per efpurgbě fenfbili, 0 p;r trafpirazione infenfiběk , confiftendo il noflro vivere nel mantenere ilptfodo-¦ vuto al noflro corpo ; onde chi andafse riparando una piccola quciěititŕ.di mersrfd t . con- FISICO-MEDICI. 257 convenevole ogni dě in tempo determinato consumerebbe tutto il [angue del fu» corpo , e ne morrebbe per mancanza di alimento , e di fame . XXVII. Se alcuno fi ciba giornalmente di unJ oncia di piů del bifogno, a lungo tempo o bifo^nerŕ che muoja alla fine, o almeno .fi ammali. XXVII. Se ogni giorno alcuno prendesse un oncia fola di piů delfuo bifo in tratto di tempo verrebbe ad aver g , p cresciuto il [uo [angue di tanta quantitŕ, che i vafi non farebbero capaci di contenerlo, ne di elaborarlo, ne le glandoli di digerirne gli umori propri, e fola ne re-¦fterebbe la nodrizione j perciň 0 morrebbe repentinamente per una foffoeazione di cuore, 0 per una rottura dě qualche va-fo fanguigno nel cervello, 0 ne' polmoni 5 0 almeno conviene che [opr agiunga la febbre , e r infermitŕ, che il fanguefuperfluo confusi, e col [angue le carni a fine di dar luogo ad una nuova nodrizione. XXVIII. De i cibi che fono neU' ufo comune degli uomini, a titolo di falu-te non ne fchivate alcuno, ne a quello troppo datene dietro.- in tal guifa tutt* i cibi vi gioveranno , niuno fa-ravvi nocevole . , XXVIII. 258 CENTO AFORISMI XXVIII. Tutt' i cibi uguali per [e [ori buoni creati da Dio per noftro alimento, e per noflra delizia: tutt' i frutti della terra, tutte le erbe mangiative anno le fue buone qualitŕ, con cui*giovano alla noflra [alme j pofsono recarci danno o con la quantitŕ prefi oltre la dovuta mifura, o con la qualitŕ, come fé i frutti fofsero acerbi, o guafti : ed in tal cafo č ben afte-nerfene. Del refto il dire quefto e quello mi farŕ male, fi č una malinconia fup~ pofta: non mangiate d> una cofa bramata da voi con troppa frequenza, mangiatela a fuo tempo, in giufta quantitŕ, chi non vi farŕ nociva. XXIX. Se oggi banchettate, domani attenetevi! fé oggi avete digiunato, dimane prendete alimento piů copio-fa : e cosě darete fano * XXIX. Se vi abbattete ad un lauto banchetto potete mangiare alquanto piů del voftro [olito fenza tema d infermarvi , purché nel dě fufseguente fiat e aftimn-te per dar luogo allo ftomacodi poter digerire il cibo antecedentemente prefo di piů. Avvertite perň in quefti banchetti di non dar neW eccefso perche ancor in quel giorno ve ne potrebbe accadere del male. Non fiate ne troppo paurofo, ne troppo ingordo. Dopo una ftraordinaria temperanza conviene altresě nodvirfi piů copio- FISICO-MEDICI, 259 Copiofamente a fine di rimettere il corpi nel pefo di prima, nel che confifte la buona fallite. XXX. Mangiare, o bere l'oro, eie pietre preziofe fi č piuttofto pompa da ricco che di chi brami alimento. XXX. L'oro, e le gemme non fanno j"angue: E' favola che l'oro bevuto rallegri il cuore, perche fi rende per di folto tal quale fi č ingoiato. Disfare le perle nell' aceto per conciarne vivande č un moftrare ^ aver perle da trar via : non 4i voler mangiar bene. XXXI. L'oro, e le gemme di gran prezzo lafciatele alle femmine , e a* giojellierij non le uiate per medicamenti . XXXI. Sono impoftori coloro che vantano che ne' loro [egreti ci va dell' oro, delle giojei e fimtli: fono vanamente am-biziofi quegl' infermi cbs vogliono effere medicati con rimedj difpefagrande. Non mancanp alla Medicina cofarelle dipoca fpef a, e di virtů eguale e fupsriore alle jontuofe . Le pietre preziofe come non fono calcinate non fanno effetto alcuno , Mi cade in acconcio di abolir qui una falfa credenza, che domina in molti, i quali dicono, che il Diamante polverizzato fia unpoUntiffuno veleno. Quefta č una, I6o CENTO AFORISMr una frivola., e cofa falfijfima. Efsendacbt il nocumento che puň recare alle vifcere il Diamante ingoiato injcbieggette, e mal pt•fiato, fi č ělmedtfimo del vetro pefto, cioč che quelle punte possano pungere, e lacerare lo ftcmaco-, o gě' inteftini, o pian-tarfi in qualche parte donde fia impoffib't-le dě rimovo rh , e perciň alla fine cagioni la morte. Ala chi non v-?d? chi fé farŕ cosě grofso fi fentěrŕ fvtto i denti ne-l wa-fticare, e non verrŕ ingoiato s >na rigettato tanto il diamante quanto il vstro. Se poi verrŕ egli ridotto a polveri impalpabile talmente che fi prenda negli-ali*-menti fé nz accorge rfé ne non produce alcun eff&tto cattivo nel J'angue- ne di fermentazione j ne di coagolazione 3 ma fi č un capo morto, ne dlverfifica dallo fm&-raldoy rubino, diafpro, ed altre pietre dure y le quali tutte polverizzate pafsa-no per fecefsofenza frutto , ne nocumento . Onde pefiando il Diamante gli fi toglie il fuo pregio, la fua bellezza confi-* fiente nello fpkndore, e fi rende inutile [abbia. Niuno adunque fi metta in que-fta vana apprendane di poter efssre av^ veknatQ col Diamante* XXXII. La prima digeft'ione del cibo fi fa nella bocca per mezzo del la ma-iticaziofle, con l'opera della fali-va. XXXII. FISICO-MEDICI. XXXII. La faliva, che vienfuora continuamente dalle glandok fi č fermentativa ; ond' č necefsario che fi mescoli col cibo mafticato sě per la facile deglutizione , come per la fermentazione che nel en nodrita avvengono convalfioniě 0 di-ft ir amenti involontarj di membri , čfegno di una ripienezza eccejftva di [angue, e di umori, che non potendo [correre liberamente pe' fuoi canali, ritardati producono quell'effetto cattivo. Con alquanta aftinenza perň ne fvanifce venendo ridotto il corpo [al fuo pefo deftinato, di cui tanto predica il Santorio nella [uŕ Statica, 1 XXXIV. Se dopo il cibo afcintto he viene il finghiozzo, bevete : fé viene dopo di aver copiofamente bevuto, mangiate. XXXIV. 21 finghiozzo č un moto con-vttlfivo delfo flomaco. In un fano proviene talora perche fi č mangiato de' cibi jtfciutti che con la loro rozzezza mok- Jěam r CENTO AFORISMI ftano il ventricolo ě e lo {limolano alla ronvulfione: fi beve qualche liquore, e lofio cejja il jtngběozzo : Parimente quando fi č bevuto fenza frammischiarvi unpoco di cibo , lo ftomaco inondato da queir umore fuperfiuo non puň comportare quel ferifo di titillazione, onde ne da in fin-ghiozzo: vi fi majiica qua/cofad'afciutto ed č trovato il rimedio. XXXV. L'ufo continuato delle cofe dolci non e giovevole , XXXV. Il diletto che provafi ne/mangiar cofe dolci confifle in una moderatezza, e lo ftomaco n' ammette l'ufo fenza fua offefa, ma fé farŕ eccejftvo, e fi continui per tempo lungo, lo ftomacofdčgna-to lo rigetterŕ, o lo aborrirŕ con la nau-fea i oppure fé ne produrranno infermitŕ manifejte, XXXVI. Che U miele, ed il zucchero, o le cofe fatte con eflQ producbino j vermi, č falfo, XXXVT. Tanto čfalfo eh? le cofe fatte fon miele , o zucchero generino vermi ne9 corpi umani, che anzi le cofe confervate nel miele, o nel zucchero non fi corrompono ne inverni inifeono * JB fé fi prendano de' vermt > e fi fpruzzino di zucchero ir»" mantinent? nz muojono* FISICO-MEDICI. Della bevanda, XXXVII. Colui che beve yin puro in copia, bifogna che mangi meno : un' aflemio pu© cibarii con alimento piů copiofo. XXXVII. si prova con Vesperienza che coloro che fon dati a bere vin puro fuor di mi fura, mangiano meno degli altri: e quelli che non bevono vino mangiano di piů : e debbon farlo fé vogliono confervarfi in fanětŕ, XXXVIII. Il vino generofo ribatte la forza purgante: onde fi č molto utile negli fcioglimenti di ventre . XXXVIII. Nelle piccole Diarree il vin generofo č giovevole, come ne" vomiti : fi'ante che fortifica col fuo fpirito le fibre nervofe, e mufcolar i, eie riftringe onde ne fono refe alla fua fagliar dia % e fono jli prima, XXXIX. Il vino puro, principalmen« te generofo prefo per medicina a piů -cofe fi č giovevole . XL, II vino č cordiale, controive-Jeni, rallegra 3 nutrifee, e quanto č piů puro tanto maggiormente; racquatut* to al contrario, . XL, 11 vino buono e genertfo fa 4 CENTO AFORISMI ha molte buone virtů bevuto con moderatezza , e cerne per medicina : č nutritivo, cordiale, ed efilar ante per opera del fuo fpěrito 3 ripara dal veleno che opera per coagolazione dijfipando il fermento coa-golante, e mettendo in moto il fangue : Iacqua fa tutt* al contrario. XLI. Le bevande molto fredde fono cattive.- le gelate, peiTime. XLI. Il freddo di qualunque forta n* č contrario a tutte le partě nervose non foto per esperienza, ma per fentenza anche d*Ippocrate. S'intende d una freddezza •tale che poffa offendere , perche nella fiale una bevanda che innanzi che giunga nello ftomac-o n č rifcaldata , non puň nuocere : le gelate poi pojjono recare accidenti funefii andando il freddo al cervello, per confenfo , e nello ftomaco. Poffono cagionare apopkjfte, delěqui, ed altri mah-ri principalmente quando taluno č molto riscaldato; attesoché il freddo ferra ě pori , e vista la trafpirazjone. XLU. Se bevete acqua fia ella della ¦piů leggiera, pura, non troppo fredda ancora ne* caldi grandi. XL1I. V acqua grofa depone ilfuo fango nelle vifeere, e nelle glandole, la fu a troppa fcsddezict *>§ende i nervi come fi FISICO-ME DICI. 26$ č detto dě [opra, coftrěnge le fibre , e non ¦Ittfcia efalare gli escrementi. XLIII. I reCidui degli alimenti limili al fermento della parta, e i fughi acidi , efpreriě dalle glandole del ventricolo , ne fanno la digeftion nello fto-maco . XLIII. Dallafaliva che s'impafta co* cibi mafiicatiy che s'ingojano, fi forma un fermento, il quale pajjato allo ftomaco, e accrefciuto dal fucco acido che fifpreme dalle infinite glandolate del ventricolo t t perciň refo anco piů poffente, n č proba» b ilijftmo che molto fi ajuti la digeftione del giorno feguente : onde a quei che anno patito di fame fi fommimftra. V alimento a poco per volta , fiante che trovandofi lo ftomaco privo di quefto fermento non ba forze per digerire una quantitŕ grande di cibo tutt' ad un tratto. Parimente fard bene la fera mangiar fempre qualcofay mafobriamente, pel fine fuddetto, eccetto ¦nel cafo che a pranfo fi fojfe di troppo ěrapafsato i limiti della fobrietŕ. Del veleno prefo per bocca. XLlV. Ingojata qualche cofa catti-va , o veleno immantinente fate ricordň al vomito. t. S*nt. vo/g, M XLlV. 166 CENTO AFORISMI XLIV. L*efofagos e la bocca n'č la ftradapiu corta per cacciar fuor a quante puň nuocere con la [uŕ malignitŕ. Se la natura voftra v* inclina ricorrete a* vomi~ tivi; fé non avete altro, olio, e vino puro bevuta in copia Coverebbe fanarvi « XLV. Ingojato il veleno, o cofanociva, cofe opportuna fi č far ricorfo al vin geneiofo, XLV, Nel cafofopraddetto, onefegua il vomita o no, Jtafi veleno prefo per boc~ ca, o introdotto col morfo di vipera, o-d'altro animale velenoso, il vino genero fo děfctogliendo il coagolo, e facendo fu dar'e, ajutato principalmente da efercizio , »' efpelle per tvafpiranione il fermento cat~ tivQ » Se mangiate fanghi guardatevi da bevervi fopra dell*acqua. Il miglior vi-* na che pojftate. avere vi puofalvar la vita * XLVI. Se lo ftomaco farŕ flato tra* vagliato da vomito, Tufo moderata del vin puro fi prova molto giovevole, XLVI. Dallo sforzo de! vomitare f in-debolifconoy t fi rilaflano le fibre dellofto-maco i una zuppa di vin buono ? genero-fo le corrobora riducendole ni fuo efjere naturale 3 e rimediando alla malignitŕ della cagione thč lo potepe aver prodotto t e fé ne pajfajje V incomodo negP intefti* mi, ti vino ancbs colŕ ferve [e terribili , oppur placidi, / e di forze. LXVII. Le medicine femplici fono Tempre migliori delle compofte. LXVII. Una cajfia, una manna, una fena fi porteranno dietro minor pericoh Me? che I~j6 ^ CENTO AFORISMI che que' tnagifleri, quegl' Elettuarj com-pojii di mille droghe, che fanno paura in udirle nominare. LXVIII. Nelle infermitŕ da curarfi, qualor badano cofe femplici, aftenete-vi da cofe compofte. LXVIII. Vi fono cibi, vi fono erbe, vi fono droghi [empiici che prefe con gu-fio e fenza naufea pojfono fare V effetto bramato-, tenetevi a quefte nelvoftromedicare ¦, e lafciate da banda le compofi-zioni farmaceutiche. LXIX. I purganti offendono Io fto-maco ; perciň fé la necellětŕ non vi ihinge non vi curate di prenderli. LXIX. Sono taluni che ad ogni poco di Jěitichezza di ventre vogliano ingoiare yn purgante: e non conofcoho che un lavativo tirerebbe gli efcrementě per la via piů corta, incomoderebbe la ftalla, non la. cucina qual'č lo ftomaco . Quefle fono cofe facili da capirjě, e fono documenti di Medici fav], e galani' uomini. * ( Del-* to di Francesco Redi. ) LXX. Gli Elettuarj, ed altri medi-camenti comporti che fiano caricati di tante droghe č cofa inutile, e forfč dannofa» LXX. FISICO-MEDICI, yp LXX. A che tanta numero dě droghe [empiici per comporre un' Ekttuario, o altro medicamente fimile ? Non fi puň fare [celta forfč de' migliori, e di quei che fanno miglior lega infieme, e che ne rendano la bevanda meno ěnfeave. Stento a capire quel mifeuglio dě dolci) amare, [alfe, acri, fetide, [oavi, ec. Sě trema qualor fi ha da [orbir tal bevanda j vi vuole una truppa di confortatori, quafi cbe fi dove([e andar alla morte. LXXI. Il vifitare gli efcrementi degli ammalati una volta fu creduta co-fa neceflaria, dappoi fuperftiziofa ; e fé fi fa troppo fpeflb, ridicola. LXXII. 1 medicamenti foavi crediate certo e(Ter migliori de'difguftevoli. LXXII. Data una [peranta di eguai profitto [ara fempre meglio che il medicamento Jta grato che ingrato, non offenderŕ lo ftomaco , non ftimolerŕ al. vomito , non cagionerŕ altri incomodi. Quefto do-verebbero ftudiare con grande attenzione i Medici di ritrovare medicamenti che non fiano naufeofi, o meno almanco che fia pojfibile. LXXIII. I purganti gagliardi anno in fé del velenofo, e della malignitŕ; perciň convien aftenerfene quanto č pof-(ěbile. LXXIII, i7S CENTO AFORISMI LXXHI. L'ujězi» del purgante valido fi č di difrruggere le parti folide, disfar te carni, e rendendole liquide farle polare per- la cloaca inferiore : quefto č proprio del veleno ě onde farmaco da* Greci fu detto il purgante, che altro nonfigni-jica fé non veleno. Dě quefta cofa vele-nofa bijjbgna metterne in fiomaco menů che fi puň. LXXIV. Niun purgante caya un'utno-tc dal corpo per elezione; e dir quefto ha del favolofo. LXXIV. Fu inganno degli Antichi Medici oggi fcoperto per favola, che un medicamento tir afte la bile, un altro le flemme, un altro la melancolia '• efsendo •verismo che ogni purgante tira ognifor-ta tt umore, disfate parti folide, fa precipitar^ col cattivo ancor 41 buono, per-che non ne fa far elezione. Davano, per efempio , la Sena per cavare la bile > guardavano lefeccie, e le trovavano molto gialle, fenza riflettere che la fena č quella che tinge giallo 5 davano fa manna che non tinge, rimiratigV e ferimenti fen-tenziavano aver condotto fé co affai flemme . Tahr facevan prendere medicine nere , guardate V evacuazioni , dicevano aver cavati umori tetri, e mortali. LXXV. FISICO-MEDICI. 179 LXXV. Compofizioni di troppa fpc-fa, fé avete fermo, fchivatele, per ef-fer dannofe alla borfa de' poveri in-fermi. LXXV. Se fipuň minorare tafpefade* medicinali non č malfatto. Dee il Medico avere la caritŕ, e non voler aggravare le povere famiglie, eccetto nel cacche qualche Signor Grande voleffe effere medicato con isforzo, e magnificenza. LXXVI. I medicinali che muovono naufea agl'infermi fi tralafcino, ftan-teche poflbno portar del pericolo . LXXVL Si trovane taluni ammalati che nel prendere medicamenti per efpe-rienza provano naufea grande, e vomita piů in una che in un altra medicina, onde convien aflenerfene , e adattarfi allo Jlomaco dell*infermo i atte foche il vomite puň ejfergli di pregiudizio. Del elevar Sangue, LXXVII. Difputare, o dubitare del circolo del fangue fi č fuperfluo. LXXVII. La circolazione del fangue tramai n* č tanto certa, che dubitarne, 0 disputarci [opra farebbe cofa da oftinaio . Da quefia fé ne cavano molte belle indicazioni) 0 (ode cognizioni, che non ave- 28o CENTO AFORISMI ' avevano gli antichi Medici, perciň conviene avervi V occhio, e non tra[curarla . LXXVIII. Senza fanguenon fi vive , ne queftopuo fermarli affatto fenzache ne venga la morte. LXXVIII. Il [angue né la noflra vita , il noftro alimento: [e troppo fi [cerna. o col [ala[so, o col non rimetterlo a [uo Ugno, fiam morti ,• coms pure qualor [e. ne ferma[se il cor[o, per e[empio , con coagolanti, e e. come fi č detto del veleno • LXXIX. Il fangue fi č il teforo della vita ; perň non č da dillěparfi temerariamente . LXXIX. Alcuni pen[ando cheil[angue fia acqua non penano niente di farj'elo cavare di tratto in tratto: s'ingannanoi col [angue vengono fuori gli [piriti vitali, che fono la noftra ricchezza. GV imbria-coni dicono di rimetterlo facilmente col vin ro[so . Stolti, ed infelici che [ono ! [e lo guaftano non [e V aggiufiano. LXXX. Aprir la vena talor č necef-fario, fovente utile, non Tempre perň n3č proficuo. LXXX. Non fi puň negare cbe[ovente non fia necefsario aprir la vena. Il [a-la[so č un gran rimedio, e perň da ufttrfi ne gran mali come fi dirŕ alfAfor. 82. e fi FISICO-MEDICI, itt e [e ne osservano gli effetti manififtijfimi. Talvolta fé non č aff'atto necefiario, lo č perň di utilet come ne dolori di tefta, mali d'infiammazione , ec. ma fonovi an-cor de* cajt piů -za ogni giorno anelerete feemando un poco la mafia del fangue . LXXXI. Le leggi Statiche del Santo-rio ve ne additano il modo, e ve ne danno k ragioni : ondi a quilte ricorrete . LXXXII. Ne' mali di foffocazione; o di oppreflěone improvifa, l'apertura della vena fi č necelTaiia . LXXXII. Nelle Apophjfte , Epilejfie, Sincopi, ed altri mali cb; forprendono ali' improvifo , come unofpavento non antiveduto ', [gorghi di fangue fubitanei ,* nelle ferite per impedire l'infiammaziane, nelle cadute da alto, e Jěmili, il falafso anco fpeditijfimo č necefsarto. LXXXIII. Nell'aprir delle vene non liate troppo fupei ftiziofo : ftante che dato 282 CENTO AFORISMI to il circolo del fangue da ogni vena, igorga il fangue della fteffa natura. LXXXIII. Il circolo del fangue fa intendere che in tutte le "vene il fangue n' č lo ftefso, perciň certa fuperfiizione non vi vuole. Si danna perň alcune indicazioni meccaniche di vivulfioni , derivazioni , te. che richiedono luogo determinato, li quali non Jě nega , che non debbano of-fervarfi. LXXXIV. I molto graffi anno meno fangue, e i vali ftretti: i magri anno i vafi piů ampli, e in quelli piů fangue racchiudono. LXXXIV. Pare ad alcuni cofa firana da crederfi che quei che anno piů carne abbiano meno fangue , e que' che anno meno carne abbiano piů fangue i ma eg?i cofa verijftma e da chi vuoi efser docili faciliffěma da capir fi. LXXXV. Nel falaflTare l'andar ofTer-vando i Segni del Zodiaco , i giorni della Luna, e altre fimili cofecon cu-riofitŕ, fon fantafie inutili. LXXXV. Nel cavar fangue voler of-fervare le coftellazioni, i giorni della Luna , i numeri pari, e difpari, e fimili inezie fono cofe di pregiudizio perche l'inf i efser cu d il Vf f f pg p firmo vuoi efser curato quando il fg lo FISICO-MEDICI. $ lo richiede, no» quando vuoi la Luna che non ci ha da far niente* LXXXVL Che fi levi fangue col fa-latto ad una donna gravida, purché ve ne fia la moderazione, talor č nc-ceflfario, ne porta pericolodell'aborto. LXXXVL Molte fono le femmine che fi fanno trar faxgue fenza malattia an-cor con malizia, eppur non abortirono : tanto piů quando vi fia indicazione di farlo non vi fard tal pericolo , fui tejli-monio d'Ippocrate che dice : Robuitus fenex , gravida mulier , bene firmus puer, tuto fanguinis mitlěone curantur * LXXXVII. Se preme la neceffitŕ di aprir la vena fi dee far fubito fenza tener conto fé fia giorno, ed ora buona, o cattiva * LXXXVII. Vedete quanto fi č detti di fopra alla Nota LXXXri LXXXVIIL Che le femmine giova-nette fi ripurghino (u la Luna nuova % le piů attempate fu la luna vecchia, fu un falfo detto degli antichi. LXXXVIIL Dicevano gli Antichi'. Luna vetus veteres, juvenes nova luna efpurgat ,• ma ciň non č vero, fi č inganno : per tefiimoniuma delle femmi* 284 CENTO AFORISMI ne, che vedono le fu? purghi or prima, or poi fenza la regola Sopraddetta. Del Pronofiico, LXXXIX. Ne' mali dubbiofi, fé direte che l'infermo certamente morirŕ, vi renderete un indovino ridicolo. LXXXiX. Quantunque grave ne fi a il male, come non vi č certezza infattibile che non pofsaguarir l'infirmo, mai bifogna pronofticare la morte afsevsran-temente: atte foche fuperandofi la malattia il pronofticante r inde fi odiofo > e- ridicolo prefso di tutti. XC. Il polfo talvolta teftifica la veritŕ , talvolta perb č fallace. XC. Non č fempre accertato il giudizio che fi forma dal polfo: talora il polfo č aggiuftato , e il male n"č pejfimo 1 i polfi pajono buoni , e la morte s' ap-projfttna, XCI. I Polfi e le orine negl' ammalati fono certi fegni coindicanti : noci perb tutto fi ha da indovinar dalle orine, non tutto dal polfo: ne in tutt' i mali ne corre la fletta paritŕ. XCI. FallifcoKo fovente cotefti fegni, come fi č detto de* polfi\ perciň per far il pronofiico bifogna combiffar/i con altrife- FISICO-MEDICI. 285 gnis che piů vi accertino, e no.n in ogni male »' č lo ftefso giudizio. Alcune cofe fpettanti al corpo animato . XCII. Far notomia degli uomini vivi fi č crudeltŕ , farla de' bruti per apprenderne la filofofia, č di neceělitŕ . XCII. Al tempo de' Gemili facevano notomia fu de' corpi vivi di malfattori '¦ in oggi la pietŕ criftiana Jiima tal cofa per troppa crudeltŕ, e fi contenta di farla fu cadaveri di rei condannati, e giŕ . ejimti. Per farla in corpi vivi fi prendono de' bruti: fu de' quali fi apprendono delle cognizioni necefsarie da faperfi. XCIII. Il cervello palpita , cioč fi move con fittole, e diamole. XCIII. Ne' fanciullěně chi annoii cranio ancor tenero fi fente chiaramente tal palpitazione : come poi cotefta fi faccia con moti di cofirizione, e dilatazione , crederei che fofsero le arterie, che anno tali movimenti per particěpazione dal XCIV. Nel fangue fi trovano come i femi di ciafeune parti dell' animale i perciň la carne ritiene quello che alia carne appartiene j le offa quel che Uh dell'OiTa, i pervi ciocche n'č proprio ^ CENT9 AFORISMI «rio de* nervi ritengono per fé . Quel-io che loro non appartiene repudiano, ed in un certo ěnodo lafcianofcQ-rer innanzi. XC1V. E* operazione: ftupenda delta Natura, 0 per meglio dire, del Somma Creatore, che da uh fola liquore cavato da una mafsa di cibi diverfi, fiformino, carne ,o[sa% nervi, mufcoli, umori ,glan- dole, ec. Anzi ne'giumenti % che vivono. di [olŕ paglia, di fierpi, di legni [ecebi Ji vede convertito queft*alimento dal [uo temperamento in [angue bellijfimo, e dal [angue veggiam delinearfi tutte le partji [uddette. L'Ingegno umano non vi arri* va, e non [a [piegare di piů, XCV, Che il latte fia portato alle poppe da* vafi chiliferi per una ftra-da piů breve, di quella del circolo del fangue, forfč farŕ tempo, in cui fi ere* derŕ per cofa certa, e ficura. XCV. Che il latte altro non fia [e non chilo oggidě fi crede comunemente', come vada Alle mammelle quefio né il dubbio. Alcuni dicono che ji mefcola col [angue, e dappoi fi [epara dalle glandole mammillari . lo per me che il latte fia chilo, bianct, fi renda rofla nel [angue e torni bianco per [e-par azione dalla parte ropa del [angue io per .me dico yuna tale trasformazione non la ca~ fifeo Stfn' ora nonfijono trovate lejěra^ 4s FISICO-MEDICI. 287 tfr, verrŕ tempo che fi troveranno y per cui il chilo per retta firada vada a depofitarfi nelle glandole delle mammelle » XCVI. Ne* vecchi le cartilagini s'in-durifcono quafi come off!,perciň i movi-* menti de" vecchi fi rendon piů pigri. XGVI. Nell%invecchiare tutta rifecca: quello eh* era cartilagine molle divienpref-fo che ofso, dal che ne fegue la pigrezza del moto, e delle articolazioni. Ivafidegli umori che fono membranofidiventa» aridi, fi coftipano, fiftt angolano % perloche non fi fanno piů come per i*avanti le Separazioni , l'efpulfioni , le traspirazioni j dalla, qual cofa refo il corpo piů pefante refta eziandio men agile, e pronto, alle azioni » XCVII. L'orina che fi fa dopo di aver bevuto del vin geoerofo in breve fpazio di tempo da indizio, che la testura delle parti di un vivo, fiano molto differenti da ¦quello che n'apparifeono in un morto. XCVII, Qualorjt beve*oěnbuono,efpi-rtiofaProvaficonTesperienza , che fiorino, tanto prtfto che par imponibile aver fatto il corfo del circolo del fangue in tempo sě cor~ t re- 304 TRATTATO DELLA reftai perfuafo, che dall'ordine e dal' difordine dovevano per neceflětŕ na-fcer* i (opracietti contrarj effetti , e inanimito dalla fperanza, deliberai per non morire eufcirdi tormenti, di dar-rri al viver regolatamente. Ónde informato da loro dei modo ch'io doveva tenere intefi, ch'io non aveva ne a mangiare, ne a bere fé non de'cibi, e del vino che fi chiamano d'ammalato, e dell1 uno, e dell' altro in poca quantitŕ. Quello, per dir il vero, mi avevano commeflTo ancora per innanzi, ma in quel tempo io che voleva viver' a mio modo, ritrovandomi come dir fazio di taicibi, nonreftava di contentarmi , e mangiava delle cofe che mi piacevano: fimilriiente fenten-domi come arfoper il male, nonreftava di bevér vini che mi gufavano , e in gran quantitŕ: e di ciň non diceva cofa alcuna a* Medici, ficcome fan tutti gě' infermi. Ma dappoi eh5 io ebbi deliberato di efTer continente e ragionevole , vedendo che non era diffidi cofa, anzi era debito proprio dell'Uomo, mi polě di tal maniera a quella forta di vivere s che mai in cofa alcuna non difordinai, il che facendo, in pochi dLcominciai a conofeer, chetai vita mi giovava affai: e feguendola , W men d'un' anno fui, (e parrŕ far- fe VITA SOBRIA. 30$ fé incredibile ad alcuno ) rifanato di ogni mia infermitŕ. Fatto adunque fa -«o , mi polě a confěderare h virtů dell* ordine, e dire fra me medefimo, che fé l'ordine aveva avuto forza di vincere tanti mali, quanti erano (tatii miei, avrebbe maggiormente forza di con-fervarmi nella fanitŕ , e di ajutar la mia mala compleffione, e di confortare il molto mio debole ftomaco . Pero mi po(ě diligentiffimamente a voler conofcere i cibi che foifero amiopro-pofito, e prima deliberai di farne fpe~ rienza, fé quelli che al gufto piacevano , mi giovaflero , oppur mi fo'ěero di nocumento , per conofcere fé quel proverbio che io aveva giŕ tenuto per vero, e che verillěmo univerfalmente il crede che fia, anzi č il fondamento di tutti i fenfuali che feguono i loro appetiti, era in fatto vero , che dice che quello che fa buono, nutrifce e giova . Il che facendo , ritrovai, eh' era falfoj perche a me il vin brufeo, e freddiffimo fapeva buono, e cosě i Meloni, e gě' altri frutti, le Infalate crude, i Pefci, la carne di Porco, le Torte, le Mineftre di legumi, i mangiari di pafta, e fimili altre vivande, che mi dilettavano fommamente , e pur tutte mi nocevano : cosě avendo conosciuto, che tal proverbio era fal- fo, 3o6 TRATTATO DELLA ' fo, per falfo l'ebbi. Onde fondato fo-pra l'efperienza, lafciai la qualitŕ di tali cibi, e di tali vini, e il ber freddo, e efeflě vino appropriato allo fto-maco mio, bevendone quella quantitŕ che conofceva y che con* facilitŕ poteva fmaltire . li fimile feci dei cibi , cosě nella loro qualitŕ, come nella quantitŕ ancora ,avvezzandomi a fare, che l'appetito mio non fi faziafTč mai di mangiare, e di berer ma tale fi par-ti.Te da tavola , che potette ancora-mangiare e bere ; feguendo in ciň quei detto che dice, che il non fazrar fi di cibi č tino ftudio di fanitŕj e cosě levandomi per quelle cagioni dalla crapula e disordini , mi diedi alla vita fobria e regolata , la quale operň in me prima aueHo ch'io ho detto di fo-pra, cioč che in men d* un'anno fui liberato da tutti i mali che avevano fatto cosě gran principio in me, anzi come ho detto tanto progrelfo, ch'erano fatti quaiě incurabili. Operb ancora queft'altro buon effetto, che poi non mi ammalai piů come foleva ogni anno mentre io feguitai l'altra modo di vivere ch'era fecondo il fenfo, che io non mi ammalarti di febbre molto ftra-na , la qual mi condnfTe alcune volte infino a morte. Daqueto adunque ancora mi liberai, e ne divennifanif- fimo VITA SOBRIA. 307 fimo come Tempre da quel tempo infino a queft' ora fono flato, e non per altra cagione, fé non perche non ho mancato mai dell'ordine : il quale h<* operato con la fua infinita virtů, che il cibo che ho fempre mangiato, e il vino che ho bevuto, eflfendo tali quali fi convengono alla mia compteffione, e in quantitŕ quanto fi conviene, come annolafcista la lor virtů al corpo, fé ne fono ufciti fenza difficoltŕ, non avendo prima generato in me alcun cattivo umore . Ond* io feguendo tal modo, fono Rato fempre, e mi ritrovo ora come ho giŕ detto (Diograzia)fŕ-niffimo: vero č che oltraliduefoprad-detfi ordini ch'io ho fempre tenuti nel mangiare e nel bere, che fono iropor-tantiirimi, cioč di non mangiare fé non quanto drgerifce il mio ftomaco con facilitŕ, e fé non di cofe che fono a mio proposito .• ancora io mi fono guardato dal patire e freddo, e caldo, e dalla foverchia fatica, di non impedirimiei fonni ordinarj, dall'ecceillvo coito, e da non ftanziare in mal aere, e da non patire dal venta, ne da Sole, che quefti ancora fono gran difordini. Av-vengache da loro non fia molta difficoltŕ guardarfi, potendo piů nell'Uomo ragionevole il defidmo della vita e della fanitŕ, che la contentezza di far ^/ quel- $ TRATTATO DELLA quello che fommamente gli nuoce. Mi fono anco guardato quanto ho potuto da quelli, dai quali non ci poflQamo cosě facilmente riparare : quefti fono la malinconia, e l'odio, e l'altre perturbazioni dell'animo, i quali par e' abbino grandiffěmo potere ne'corpi no-flri. Non joi fono perň potutoguardar tanto dall'una, e dall'altra forta di-quefti difordini, ch'io non fia incorib alcune volte in molti di loro, per non dir ora in tutti: il che mi ha giovato in querto, ho conofeiuro con la efps-rienza, che non anno per il vero molta forza, ne poTono far molto danno a' corpi regolati, dai due ordini foprad-detti della bocca: talché pofěb dir con veritŕ, che chi otferva quei due principali, puň poco patire dagli altri dif-ordini. La qual fede pero prima di me fece Galeno che fu cosě gran Medico, il quale afferma, che tutti gli altri dif-ordini poco gli nocevano , perche fi. guardava da quelli due della bocca : e perb che per cagione degli altri mali mai non ebbe male , fé non per un giorno folo : e cosě č veramente come dice, e io qe polTo render vivo testimonio, e molti akri ancora, ebe mi co-nofeono, e fanno, come molte fiate ho patito, e freddo, e caldo, e fatti pure degli altri limili difordini, e mian-. no VITA SOBRIA. 309 no fimilmente veduto ( per diverfi accidenti, che in piů volte mi fonooc-corfi ) travagliato dell* animo: nientedimeno fanno, che poco mi han nociuto, come ancora fanno, che a molti che non erano di vita fobria e regolata, han nociuto afl'ai, fra i quali vi fu un mio Fratello, e altri di ca-fa mia, i quali fidandoli nella loro buona compleflěone, non la facevano: il che fu loro di gravitimi danni cagione; perche in loro ebbero grandiffima forza gl'accidenti dell' animo, e tanto fu il dolore, e la malinconia che fi pofero, avendo veduto che mi erano fiate mode alcune liti di fomma importanza da Uomini potenti e grandi, che dubitando eglino, chJ io non Je perdetti, furonoprefi dall' umormalinconico, del quale Tempre i corpi di vita non regolata fono pieni : e que-fto fi altero di maniera , e tanto crebbe, che gli fece morire innanzi tempo*, ¦e io non ebbi male alcuno, perche in me tale umore non era di foverchio, anzi facendomi animo da me medefi-n», mi sforzava di credere, che Iddio per farmi conofcere e forte e va-lorofo, m'averte- fatto muovere quefte liti, e ch'io te vincerei con mio utile, e onore, ficcome avenne: perche ll fine ne riportai Ja vittoria, con raol- ?io TRATTATO DELLA fnolta mia gloria , e utilitŕ ; pertiche fentii nell3 animo confolazione grandif-fima , la quale perň non ebbe alcun potere di nuocermi. Cosě Ci vede , che ne malinconia, ne altro effetto pollo*-no far nocumento ai corpi di vita ordinata e fobria . Ma piů diro, che i medefimi mali non anno poter di far a tali corpi fé non poco male, ne dar loro fé non poco dolore : e chequefto fia la veritŕ , io ne ho fatta V efpe-rěenza nella mia etŕ di fettant* anni, che mi occorfe, come fu ole avvenire, eflfendo in Cocchio, e andando in fretta , che per cafo fortuito il Cocchio fi rovefcěň , e rovefciato fu tirato da'Ca-valli un buon tratto prima che fi po-teiTe fermare. Onde io eflendovidentro, per li finiftri., e percofle ricevute mi trovai offefo molto di capo, e tutto il retlo del corpo, e di piů offefo d' una gamba , e d'un braccio., Condotto a cafa, i miei mandarnofu-J)ito per li Medici ; i quali venuti e vedendomi cosě battuto e mal condizionato, e in tale etŕ, -conchiuferoche per quefta .difgrazia io morirei fra tre giorni , pure che mi fi potevano far -due rimedj , l'uno -era tranni il fan-^gue , T altro darmi una medicina per •«vacuarmi, e ovviare, che gli umori poteifero tanto alterarfi} i quali >ej> VITA SOBRIA. 311 penfavano , che d'ora in ora foflero per metterli in un eftremo moto , e cagionarmi una grandiflima febbre. Io ali' incontro che fapeva , che la vita mia ordinata tenuta da me giŕ tanti anni, aveva cosě bene uniti, adeguati, e difpofti i miei umori j che non potrebbono per quefto metterfi intanto moto .y non volli eflTerialafifato, ne pigliar altra medicina : folo mi feci -drizzare la gamba, e il braccio, e mi lafciai ungere di certi loro oli che di-ceano efler apropofito. Cosě fenza ufa-re altra forta di rimedio, come io ni* aveva penfato ^ me ne guarii , non avendo avuto altro male, aie alcuna alterazione,, cofa che parve a i Medici miracolňfaH. Onde li deve conchiudere , che chi tiene vita regolata efo-bria, e non difordina del vivere, poco male puň avere per gě' altri difor-dini e cafi fortuiti. Ma ben conchiudo jnaffime per la efperienza fatta da me nuovamente, che tjuelli del vivere fono difordini mortali, e giŕ quattroan-ni pafifati me ne certificai .> che fui indotto dal configlio de* Medici , e da' ricordi degli amici, e da1 confortile* miei medefimi afarne«no, troppopiu in vero importante di quello che come poi fi vidde, fi conveniva , e quefto Ł\i l'accrefeer la quantitŕ del ibd 52 TRATTAT9 DELLA io mangiava ordinariamente ; il qua! accrefcimento mi ridufle in una infirmiti mortalilfima . La qual cofa perche viene a propofito in queftoluogo, potrebbe giovare ad alcuno, fono conlento di narrare. Dico adunque, che i miei piů cari parenti , e amici , i quali molto mi amano e mi anno caro, molli da bello e buono amore, vedendo ch'io mangiava affai poco , mi diflfero infěeme con i Medici , che quel cibo eh' io prendeva , non poteva eTer baftante a fomentar una etŕ vecchia e cadente come era la mia ; alla quale faceva bi-fogno ormai non folo confervare, ma «li accrescere ancora forza e vigore . Il che non fi potendo fare fé non col cibo, ch'era al tutto necefifarioche io mangiarti un poco piů copiofamente. Io dall'altra parte adducevo in mezzo le mie ragioni, cioč che la Natura fi contenta di poco, e che con quello poco io mi aveva confervato tanti anni, e che a me quello ufo mi fi eracon-vertito in natura 5 e eh' era cofa piů ragionevole crefeendo gě* anni e mancando la profperitŕ , eh' io andaflě fee-mando non che accrefeendo \a quantitŕ del cibo: poiché ancora la virtů delio ftomaco di ragione fi andava facendo ogn* ora piů impotente.» onde io noo VITA SOBRIA . 31? vedeva ragione alcuna che mi dovette indurre a tale accrefcimento . E per fortificare le mie ragioni allegava que' dueproverbj naturali e vendimi: l'uno č che chi vuoi mangiare afěTai bifogna che mangi poco ,• che quefto lě dice non per altra cagione, fé non perche il poco mangiare fa vivere affai , e vivendo affai fi viene a mangiar molto : l'altro che giova piů quel cibo che (ě refta di mangiare, quando fi ha ben mangiato, che con giova quello che giŕ fi ha mangiato. Ma ne quefti pro-verbj, ne ragione alcuna ch'io diceflě loro, mi giovň, che piů arditamente ogn' ora mi moietta vano,- ond' io per non parer oftinato, e piů Medico di ciTi Medici 3 e fopra tutto per compiacere a' miei che quefto molto defěde-ravano, giudicando effi, che tale aumento averte a confervare la virtů, mi contentai d' accrefcere il cibo, ma in due oncie fole non piů. Che ficcome prima tra pane, un rollo d'uovo, carne, e mineftra, mangiava tanto che in tutto pefaffe oncie dodici alla fottile , cosě poi lo crefeei a oncie quattordeci ; e ficcome prima beveva oncie quattordici di vino, cosě poi crefeei alle fé-dici . Quefto accrefcimento e quefto difordine in capo di dieci dě cominciň in me talmente ad operare, che venni Stttt. Sant. volg. O d* 514 TRATTATO DELLA di allegro ch'io era , malinconico, e collerico} ficche o^ni cofa nai dava fastidio, ed era Tempre di ftrana voglia, che non fapeva ne che mi fare , ne che mi dire. In capo poi di dodici dě, mi affali una grandiffima doglia di fianco , la qual mi durb XXII. ore, e mi ibpragiunfe una febbre terribile , che mi durň XXXV. dě e altrettante notti lenza mai laiciarmi; ancorché partati li XV. lěfaceiTe, per dir il vero, Tempre minore : ma contuttocib non potei in quello tempo dormire pur mezzo quarto d'ora: onde da tutti fui giudicato per morto : pure io me ne liberai Dio grazia col mio ordine folo „ benché fofli nell'etŕ di LXXVIIL anni, e nella piů fredda ftagione di tutto l'anno che fu freddi ili mo , e d'un corpo tanto macilente quanto fia pof-fibile. E fonoctrtiflěmo, che altro non mi liberň dalla morte, fé non il grande ordine tenuto da me giŕ tanti an-jěi , ne' quali mai non ebbi male, fé non alcuna poca indifpofizione di uno , overo due dě i perche l'ordine eh' io dico di tanti anni, non aveva lafciato generar in me umori foverchi e maligni , ne generati invecchiarfi in tal triftizia e malignitŕ, ficcome avviene re' corpi vecchi di quelli, che vivono fenza regola.- peto non fi ritrovane do VITA SOBRIA. 315 do neJ miei umori alcuna vecchia ma-lignitade, che č quella che ammazza gli Uomini, ma {blamente quella nuova introdotta per il nuovo difordine y non ebbe forza il male ancorché gra-viilěmo di ammazzarmi. Quefto e non altro fu cagione della mia vita ; onde fi puň conoscere quanta č la forza e la virtů dell'ordine, e quanta č quella del difordine, che in sě pochi dě mi cagionň una cosě terribile infermiti, ficcome la vita fobria e ordinata mi aveva tenuto tanti anni fano. E panni una gran ragione, che fé il mondo fi conferva con ordine, e la vita noftra non č altro quanto al corpo che armonia e ordine di quattro Elementi, che con l'ordine medefimo tiebba confervarfi e mantenerli quella noltra vita, e pel contrario guaftarfi per malattia, o per morte corromperli, operando in contrario. L'ordine infe-gna le Difcipline piů facilmente, l'ordine rende l'Efercito vittoriofo ; e finalmente l'ordine mantiene le Cittŕ, le Famiglie, e i Regni fleflě. Laonde mi rifolvo, che altro non fia il viver ordinato, che certiflěma ragione e fondamento di viver fanoe lungamente: tal che bifogna dire, che la fiafola e vera medicina : e chi ben confiderŕ , bifo-gna checca, che cosě č. Perb quan» O 2 do 3i<5 TRATTATO DELLA do il Medico va avifětare l'ammalato, ricorda quefta per prima medicina , e commette che viva con ordine , e cosě quando piglia licenza, perche l'infermo fi a rifanato , gli commette che volendo ftar fano, tenga vita ordinata. E non č dubbio, che fé colui teneGTe tal vita, non lě potrebbe piů ammalare, perche effe leva tutte le cagioni del malej e cosě non avrebbe piů bifogno ne di Medici , ne di medicine: anzi ponendo mente a ciň che fi deve, fi farebbe Medico da per fe3 e perfettiffimo ; che in vero T Uomo non puň effer Medico perfetto d* altri, fuor che di fé folo: e la cagione č queita, perche puň ben ciafeuno con diverfe fperienze conofcere la com-pleflěone perfettamente, e le fue proprietŕ piů occulte, equalvino, equal cibo faccia per Io fuo ibmaco. Non fi poffon giŕ tali cofe conofcere veramente d*un altro, che a gran fatica fi poflbno in fé, e per fé medefi-mi conofcere; che vi bifogna del tempo affai a conofcerle , e farne diverfe fperienze , le quali fono piů che ne-ceifarie; perche piů diverfitŕ di nature, e di ftomachi fi ritrovano negli Uomini, che non fono diverfe l'effigie loro . E chi crederebbe , che il vino secchio pattato che ha l'anno, n«o- ce(Te VlfA SOBRIA. 317 ceffe al mio ftomaco, e giovafle il nuovo; e che il pepe eh'č reputato fpezie calda , non faccia in me operazione calda 5 sě che piů fi fenta dal Cinnamomo rifcaldato, e confortato ? Qual Medico m'avrebbe avvertito di que-fte due mie proprietŕ occulte , fé io con la lunga ofTervanza appena le ho potute avvertire , e ritrovare ? Pero non puň alcuno e/Ter perfetto Medico d'un altro. Non avendo dunque riTomo miglior Medico di fé fteěTo , ne miglior Medicina della vita ordinata, quella u* deve abbracciare. Non nego perň che nella cognizione, ecu-razione delle malattie, nelle quali cadono fpeiTb quelli che non tengono vita ordinata, che non ci faccia bifogno del Medico , e quello non dobbiamo aver caro: che fé gran conforto ti rende un amico , che femplicemente ti viene a vietare nelf infermitŕ , fenza far5altro che dolerfi del tuo male, e confortarti a fperar bene? quanto maggiormente ti dev'efler carisma il Medico , che č un amico che viene a vederti per cagion di giovarti , che ti promette la falute? Ma nel confervarfě fano crederň, che fi debba abbracciare per Medico quefta vita rego-lata 5 la quale, come (i vede, č medicina naturale e propria noftra > perche confer-O 3 va 3i8 TRATTATO DELLA va TUomo, ancorché fia di mala com-pleffione, fano, e lo fa vivere profpe-rofo infino alii cento, e piů anni, e con lo lafcia finire con male, ne con alterazione d'umori, ma per pura re-foluzione del fuo umido radicale, che č ridotto a fine: il che tutto anco anno affermato molti Sapienti poter far l'Oro potabile, e lo Elifir da molti ricercato, da pochi trovato. Ma diciamo pur il vero, gě' Uomini per lo piů fono molto fenfuali e incontinenti, e vorrebbono faziar i loro appetiti, e far fempre infiniti difordi-ni. Onde vedendo, che non poffono fuggire , che la crapula ogni tratto non gli tratti di mala maniera, in fuafcu-fadicono ch^ meglio č viver diecianni meno, e contentarfij e non confi-derano di che importanza fieno ali" Uomo diecianni piů di vita, e di vita Tana, e nell'etŕ matura, laqualefa conofcere gl'Uomini per quello che fono, e fanno, e vagliono, in ogni for-ta di virtů, la qual non puň aver perfezione, fé non in tal' etade: che per non dire ora di molte altre, dirb folo delle lettere e delle fcicnze, nelle quali la maggior parte de5 belli e piů celebrati Libri che abbiamo, fono flati da' loro Autori comporti in quefta etŕ e nelli dieci anni, che quefti van dicendo VITA SOBRIA. S\9 cendo di non apprezzare perfoddisfa-re a i loro appetiti. Come (ěfia , non ho io voluto far cosě, anzi ho voluto vivere quefti dieci anni, e fé cosě non avefli fatto, non averei fcritti iTrat-tati , che per etter vivo e fano , da dieci anni in qua ho pur fcritti, e fo che gioveranno. Oltre a ciň i fopraddetti fenfuali dicono, che la vita ordinata č vita che non fi puň fare : a quefto fi rifponde : Galeno che fu sě gran Medico, hfece y e la elette per la miglior medicina ; la fece Piatone , Marco Tullio , lfocrate, e tanti altri grand' Uomini de* tempi pattati} i quali per non tediare alcuno , non nominerň j e alla noftra etade abbiamo veduto Papa Paolo Farnefe farla , e^ il Cardinal Bem-bo, e perň vivere sě lungamente, e i noftri due Duchi, Landň, e Donato, molti altri di piů ba(Ta condizione, e di quei che abitano non folo le Cittŕ, ma il Contado ancora che in ogni luogo fi ritruova, a chi pur giova di fluitarla. Adunque avendola giŕ fatta , e tuttavia facendola molti , non č vita che non potette ettere fatta da ciafeuno , tanto piů quanto non vi fi ricercano gran cofe ŕi fare; anzi non č altro che un cominciar a farla, come afferma iJ fopraddetto Cicerone , O 4 e tut- 3 TRATTATO DELLA e tutti quelli, che la fanno. E perche Piatone , febbene egli vifěTe regolatamente , dice perň che un' Uomo di Repubblica non puň cosě fare , bifo-gnando a quefto tale patire caldo e freddo , e fatiche di diverfe forte, e altre cofe che fono tutte fuori della vita ordinata, e fonodifordini ; rifpon-do, che comedi fopra ho detto, que-i\i ncn fono de' difordini che importino, e che infermino, e faccino morir gli uomini, quando colui che gli fa, faccia vita fobria, e non difordini ne* due della bocca, de'qualiě'uo-mo di Repubblica fi puň molto ben guardare: anzi č neceffario che fé ne guardi; perche cosě facendo puň effe-re ficuro, o di non incorrere in quei mali, ne* quali facil cofa farebbe che cadefle, facendo di quei difordini che č aftretto a fare, oppurincorrendovi, facilmente e piů pretto liberacene. Mi fi potrebbe qui dire , come dicono alcuni, che chi fa vita regolata avendo fempre, eflTcndofano, mangiato cibi da ammalato e in poca quantitŕ, non ha poi di che fovvenirfi nelle infermitŕ. A quefto io direi prima, che la natura che defidera di confer-var l'uomo piů lungo tempo che puň, e'infegna come ci dobbiamo governare nelle infermiti; perche leva di fu- . bito VITA SOBRIA. 321 bito agi' infermi l'appetito, acciocché non mangino fé non poco j perche ef-fa di poco, come č giŕ detto, fi contenta . E pero l'ammalato, fia flato infě-no a queir ora o di vita ordinata, o difordinata, non bifogna che mangi fé non de' cibi che fono a proposito della fua infermitŕ: e di queti ancora in affai men quantitŕ di quello ch'erafo-lito di fare, mentre eh'erafano; perche fé mangiale in tanta quantitŕ che foleva, fé ne morirebbe, fé in piů, tanto piů pretto} che ritrovando;] allora la natura aggravata dal male, viene ad aggravarla ancor p u dandole maggior quantitŕ di cibo di quello che per allora puň fopportare: e quello crederei, che foGTe per fovvenire all'infermo abbaftanza. Ma oltre a ciň, fi puň rifponder ad alcuni, e meglio, che chi č di vita regolata, non fi puň ammalare, anzi rade volte, e per sě poco tempo fi ri-truova indifpofto ; perche col vivere regolatamente , leva tutte le cagioni del male, e levate le cagioni, vienea levar l'effetto: ficche, chi fegu ita l'ordine di vivere, non ha da dubitare di male, non avendo da dubitare dell' effetto chi'č ficuro della cagione. Eflendo cosě adunque, che la vita ordinata č tanto utile, e tanto virtuo-O 5 la, 322 TRATTATO DELLA fa , e cosě belJa, e cosě fanta , deve da ogn* uno efTere feguita e abbracciata, e tanto piů che non č contraria al vivere d'alcuna forta d'Uomini, ed č facile da fare, che qui non s'obbliga alcuno, che facendola mangi sě po« co come fo io, o che non mangi frutti , pefci, e altre cofe che non mangio io , eh' io mangio poco ; perche quel tanto č abbaftanza al mio picciolo e debile ftomaco:, e i frutti, e i pefci, e gě' altri sě fatti cibi mi nuocono, onde io gli lafcio. Quelli a cui giovano, ne poflňno, anzi ne debbono mangiare , che a loro tali cofe non fono vietate. Bensě, e a loro, e a ciafeun altro č vietato il mangiare tanta quantitŕ di qualfivoglia cibo , che fia a loro propofito, quanta non pofTa efler digerita dal fuo ftomaco con facilitŕ, e cosě del bere j perň a chi niuna cofa nuocefle , quefto tale non faria fottopofto fé non alla regola della quantitŕ, non a quella della qualitŕ def cibi, che farebbe cofa fa-ciliflima a fare. Ne voglio , che alcuno mi dica qni , che* fi trovano di quelli che difordinatamente vivendo , pervengono (ani e gagliardi a quelli ul-tjmi termini della vita, a'qualigiungono gl'Uomini piůfbbrj; imperocché quella ragione eflfendo fondata fopra una VITA SOBRIA . ě una cofaincerta, pericolofa, e chera-ridirne volte avviene, e che vedendo ci par piuttoflo miracolofa , che naturale, non ci deve perfuadere a viver difordinati per quello , eflendoche a quelli tali troppo fu liberale la natura: il che pochiflěmi debbono fperare di confeguire. Ma chi non vuole avere quefle otfervazioni, confidandoceli* faa gioventů , overo nella fua forte completěěons e perfetto ftomaco, perde atfai, e ogni giorno č fottopo fio al male, e alla morte; perň dico, che č piů ficuro di vivere un vecchio, ancorché di tri la compie none, che tenga vita regolata e fobria, che non č un giovane di perfetta, che viva dif-ordinatanente . Non č dubbio perň che chi č di buona natura , Ci puň conlervare con l'ordine piů anni, che non puň uno di trilla ; e che Iddio , e la natura po.Tono operare , cosě che un'Uomo nafca di cosě perfetta com-pienone, che poffa vivere fano , fen-za tanta regola di vita , e molti anni , e morire poi vecchi fimo , e per pura rifoluzione , come in Venezia č avvenuto al Procurator TommafoCon-tarini, e in Padova al Cavalier Antonio Capo di Vacca. Ma di fěmiliin cento mila che nafcono , non feneri-truova uno. Che volendo gl'altri vi-O 6 v^r 324 TRATTATO DELLA ver lungamente fani , e morir fenza noja e faftidio per rifoluzione , bifo-gna che vivano regolatamente ; che cosě non altrimenti poffono goder de' frutti di tal vita, i quali fono infiniti , e ciafcuno di loro infinitamente da apprezzarfi. Perche ficcome ella tiene gl'umori purgati e benigni nel corpo, cosě non lafcia afcendere fumi dallo iěomaco al capo : tal che il cervello di colui che vive a quefto modo , č fempre ben purgato , e ita fempre bene in cervello: onde egli poi daque-fte bafle e vili afcende all'alte e belle confiderazioni delle cofe divine , con eftremo fuo folazzo e contento » perche cosě confiderŕ, conofce, e intende quello che non avrebbe mai ne con-fiderato , ne conofciuto , ne intefo giammai , cioč quanta la Tua potenza, fapěenza^ e bontade. Difcendepoi alla natura, e la conofce per figliuola di effo Dio, e vede, e tocca con mano quello che ne in altra etŕ, ne con meno purgato cervello avrebbe mai veduto, o toccato . Difcerne allora veramente la bruttezza dd vizio, nel quale cade colui che non fa raffrenare le perturbazioni umane, e i tre importuni defiderj, che paiono nati tutti tre inficine con noi, per tenerci fem-prc moleftati, ed inquieti ? Quelli fono VITA SOBRIA. 32$ no il defidčrio della concupifcenza, de» gli onori, e della roba, i quali foglio-no crefcer ne3 vecchi che non fono di vita regolata 5 perche quando paflarno per l'etŕ virile , non lafciarno ne il fenfo, ne l'appetito come dovevano, pigliando in luogo di quelli la continenza , e la ragione : virtů che non furono lafciate da quello della vita ordinata, quando vi pafsň . Il quale co-nofcendo tali paflioni , e tali defiderj efTere fuori di ragione, eflendofi dato del tutto a lei, fi libero da quelli, e dagl'altri vizj infieme; e in luogo loro s'accodň alla virtů e alle buone opere; con quello mezzo, di reo Uomo eh' era, fi fece di buona e onefta vita: onde poi quando fi vidde ridotto per lunga etŕ alla rifoluzione e al fine, fapendo che giŕ per fingolar beneficio di Dio lafcib il vizio, ficche dopo non č flato malvagio Uomo, fperando pur per i meriti di Gesů Crifto noftro Redentore , morir in fua grazia, non fi attrifta della morte; fapendo che dee morire , maffimamente quando carco d'onore, e fazio di vita fi vede giunto a quella etade, alla quale di molte migliaia d' Uomini che nafeono , vivendo altramente appena uno giunge. E tanto maggiormente non fi attriftaj quanto che quella non gli fopragiunge 'impe- $ TRATTATO DELLA Ěmpetnofamente alla fprovifta con acerba e nojofa alterazione d'umori , di dolori , e di febbre , ma con fomma quiete e benignitŕ : perche in lui tal fine non fi cagiona fé non per lo mancamento dell'umido radicale, il quale a guifa di lucerna fé ne va mancando a poco a poco: ondJ egli patta dolcemente fenza male da quefta vita terrena e mortale alla celertiaJe ed eterna . O fanta e veramente felice vita ordinata, e che per fanta e felice dagli Uomini de' efler tenuta, ficcome l'altra eh5č tanto difordinata, crea, e infelice, come apertamente dagli effetti dell'una, e dell'altra fi puň vedere : ancorché dalla voce fola, e dal tuo bel nome, fi doverebbono gli Uomini conoscere, che pur bel nome e bella voce č a dir vita ordinata e fo-brieta , com1 ali* incontro brutta cofa č adir vita difordinata e crapula: anzi tra quefti vocaboli par quella differenza iftefTa, eh'č tra il dir Angiolo, e Diavolo. Ma fin qui fieno dette le cagioni , per le quali mi levai dalla crapula, e diedi del tutto alla vita fobria, e il modo che tenni in ciň fare, e quello che me n'avvenne; e finalmente i comodi e beni ch'ella porta a chi la fegue. Or perche alcuni Uomini fen-fuali, e non ragionevoli dicono, che non VITA SOBRIA. 327 non č bene viver lungamente ; e che come patta l'etŕ di fefTantacinque anni, non fi puň chiamar vita viva, ma vita morta; perche molto s'ingannano, come dimoftrerň ( e/Tendo il defi-deriomio, che tutti cerchino di pervenire alla mia etŕ , perche godino ancora etti della piů bella che fi pofla vivere) voglio in quefto luogo narrare quali fieno ora i miei paffatempi, e il gufto ch*io prendo in quefta mia etade della vita, per far viva fede ad ognuno di quello, che medefimamtnte faranno tutti quelli che mi conofcono , cioč che la vita che ora io vivo, č vita viviflěma e non morta : e tale , che da molti č tenuta felice, per que-fta felicitŕ che fi puň avere in quefto mondo. E quefta fede faranno prima perche vedono, e non fenza grandidě-ma loro ammirazione, la mia profpe-ritŕ, e come monto da me a Cavallo fenza vantaggio alcuno, comeafcendo non una fcala fola, ma tutto un colle a pie gagliardamente,- poi come io fono allegro, piacevole, e contento, e libero dalle perturbazioni dell'animo, e da ogni nojofo penfiero. In vece de' quali ftanziano nel mio cuore fempre gioja e pace , ficche indi mai non il dipartono . Oltre a ciň fanno , come pafio il mio tempo, ficche nonmirin- crefce 328 TRATTATO DELLA crefce la vita> perche io non abbiada pafTarla a tutte l'ore con mio fommo diletto e piacere , che mi ritruovo aver ben fpeftb comoditŕ di ragionar con molti onorati Gentiluomini , e grandi d'intelletto, e di coftumi , e di lettere , ed eccellenti ^in alcun altra virtů. E quando la loroconverfa-zione mi manca, mi do a leggere alcun bel libro? quando ho letto abba-ftanza, ferivo» cercando in quefto, e in ciafeuno altro modo eh' io poffo , giovare altrui, quanto le mie forze me lo concedono: e tutte quefte cofe fo con mia grandiffěma comoditŕ , e alii lor tempi, e nelle mie itanze; le quali, oltre che fono nella piů bella parte di quefta nobile , e dotta Cittŕ di Padova, fono ancora veramente belle e lodevoli, e di quelle che piů non fono (late fatte allanoftra etade, con una parte della quali mi difendo dal gran caldo, con V altra dal gran freddo s perche io l'ho fabbricate con ragion d'Architettura, la quale'infegna come s'abbia ciň a fare: e godo oltre a ciň infieme con quefte li miei di-verfi giardini , con 1* acque correnti che loro corrono accanto , ne5 quali mi truovo fempre da far qualche cofa che mi diletta. Ho ancora oltre a que-těo un altro modo difoiazzarmi> che •.-,. .j io VITA SOBRIA. 329 io vo 1' Aprile, e Maggio , e cosě il Settembre, e l'Ottobre , per alquanti giorni a godere un mio colle che č in quefti monti Euganei , e nel pi" bel fito di quelli, che ha le fue fontane, e giardini , e {ňpra tutto comoda e bella rtanza,- nel quale luogo mi truo-vo ancora alcune fiate a qualche caccia conveniente alla mia etade , comoda, e piacevole . Godo poi altrettanti giorni la mia Villa di piano, la quale č belliflěma , sě perche č piena di belle ftrade , le quali concorrono tutte in una bella piazza , in mezzo alla quale č la fu a Chiefa fecondo la condizione del luogo, onorata affai , sě ancora perche č divifa da una larga e corrente parte dQĚ fiume Brenta, dall'una, e dall'altra parte nella quale vi č gran fpazio di Pacfe , tutto di Campi fertili, e ben coltivati ; e firi-truova ora ( Dio grazia ) molto bene abitata, che prima non era cosě, anzi tutto il contrario ; perche era pa-ludofa, e di mal aria, e ftanza piut-tofto di bifeie , che da Uomini. Ma avendole io levate Tacque , l'aria fi fece buona, e le genti vi vennero ad abitare, e l'anime cominciamo a mol-tiplicare affai, e fi riduffe il luogo alla perfezione, che G vede oggidě a tale , ch'io pofiň dire con veritŕ , che ho 4 53 TRATTATO DELLA ho dato in quello luogo a Dio, Alta* re, e Tempio, e anime per adorarlo, cofe tutte che mi danno infinito piacere, folazzo, e contento ognor che le ritorno a vedere, e godere. A quelli medefimi tempi vo ancora ogn* anno a rivedere alcune di quelle Cittŕ circonvicine ; e godendo li miei amici , che in effe lě ritrovano, piglio piacere eflTendo, e ragionando con eflě, e p?r lor mezzo con gV altri che vi fono , Uomini di bell'intelletto, con Architetti , Pittori, Scultori, Mufici, e Agricoltori, che di quelli Uomini per certo quella noftra etade č copiofa affai. Veggio le opere loro fatte nuovamente, riveggio le fatte peri'addietro, e Tempre imparo cofe , che mi č grato il faperle. Vedo i Palazzi, i Giardini, le Anticaglie, e con quelle le Piazze, le Chiefe, le Fortezze , non lafciando addietro cofe , onde lě pofla prendere piacere, e imparare . Ma fopra tutto godo nel viaggio andando, e ritornando, ove confiderň la bellezza de'fiti, e de' Paefi, per li quali vopafTando. Altri in piano, altri in colle, vicini a fiumi o fontane , con molte belle abitazioni , e giardini d'intorno : ne quelli miei folazzi, e piaceri mi fono men dolci e cari , perche io non veda ben lume , o non oda ciň che mi vicn VITA SOBRIA. 33t vien detto facilmente, o perche altro mio fenfo non fi a perfetto , che fono tutti (Dio graWa ) 'perfettiiiimi, efpe-.cialmente il gufto , che piů guito ora quel fčmplice cibo , eh1 io mangio , •ovunque io mi truovi , che non faceva giŕ quelli tanto delicati, al tempo della mia vita difordinata . Ne il mutar letto mi da noja alcuna, eh' io dormo in ogni luogo beniflěmo, e quietamente, fenza fentir difturbo di cofa alcuna , ficche nel fonno i fogni mi fieno belli e piacevoli. E con grande mio piacere , e contento veggio riu-leir Timprefa tanto importante aque-fto flato, di ridurre dico, tanti luoghi inculti a cultura, quanti cene fono, e giŕ da elio principiata per mio ricordo. La qual cofa io nonpenfava di veder in vita mia, fapendoio, che V imprefe di grande importanza fono tardi principiate dalle Repubbliche , pur io Fho veduta ; e fui ancora in perfona con gli Eletti a quefto ufficio , due mefi continui nel tempo del maggior caldo della State, in quefti luoghi paludofi, ne mai fentii noja alcuna, ne per fatica, o per altro incomodo eh' io m'aveffi; tanto di potere ha la vita ordinata, la quale in ogni luogo fempre mi accompagna . Oltre a ciň, fono in viva e certa fperanza, di 3$ TRATTATO DELLA di veder principiata e finita un altra non meno importante imprefa, che č pur quella della confervazione del no-ttro Eftuario, over Laguna , eftrema e maravigliofa fortezza della mia cara Patria. La quale confervazione , ( e fia detto queilo non per compiacere a me fletto, ma alla fola e pura veritŕ ) č ftata da me ricordata e con viva voce, e con le vigilie de* miei fcritri piů volte a quefta Repubblica . Alla quale ficcome fono per natura tenuto di tutto quello, onde comodo e benefizio le potfň apportare, cosi efrrema-mente defidero ogni fua lunga felicitŕ , e confervazione. Quelli ibnoi veri , e importanti miei folazzi. Quelle fono le ricreazioni e i diporti della mia vecchiezza : la quale di tanto č piů d'apprezzare dell5 altrui gioveutů, o vecchiezza , quanto eh3 ella fanata per Dio grazia e delle perturbazioni deir animo, ed infermitŕ del corpo , non pruova alcuno di que* contrarj, i quali miferamente tormentano infiniti giovani, e altrettanti languidi vecchi, e del tutto difpoflTenti. E fé alle cofe grandine importanti č lecito comparar le minori, o per dir meglio quelle che fi fogliono riputar da fcherzo, dirň anco tal eflere il frutto di quefta vita fobria in me, che in quella etŕ mia. VITA SOBRIA. 333 fnia d'anni LXXXIII. ho potuto comporre unapiacevoliflěmaComedia, tutta piena d'onefti rifi, e piacevoli motti. La qual maniera di Poema ordinariamente fuol effere frutto e parto dell'etŕ giovanile; ficcome la Tragedia fuol effere effetto della vecchiezza ; efifendo quella cosě per la fua vaghezza , e gioconditŕ proporzionata alla gioventů, come quella per la fua malinconia alla vecchiezza . Ora fe fu lodato quel buon vecchio Greco di nazione, e Poeta per av^re nelT etŕ di LXXIII. anni fcritto una Tragedia, e perciň riputato fano e gagliardo, con tutto che la Tragedia fia Poema me-fěo e malinconico ; perche debbo effere tenuto io men fortunato e fano di lui, avendo in etŕ d'anni X. piů di lui comporto una Comedia, la quale compofizione allegra e piacevole 3 come ciafcuno fa. Certamente, fé io non fono iniquo giudice di me fteffo, cre-d-ere voglio, che io fia ora e piů fano, e piů giocondo, che non fu egli con X. anni manco fopra la fua vita. E perche niuna confolazione manchi alla copia degli anni miei, per render l'etŕ mia meno rincrefcevole,, o per accrefcere i miei contenti , veggio con quefto quali una fpezie d'im~ lEortalitŕ nella fucceflěone de* miei po- iěi 534 TRATTATO DELLA fieri, perche ritruovo poi , come ritorno a caia, non uno , o due , ma XI. miei Nipoti, il maggior de' quali č di XVIII. anni, il ninoredidue: tutti figliuoli d* un Padre, e di una Madre, tutti faniffimi ; e per quanto ora fi puň vedere, molto atti e dediti alle lettere, e alii buoni coftumij de* quali deJ minori, Tempre godo con uno mio Buffoncello , e veramente che i putti dall'etŕ di treanni infino a quella de' cinque fono naturali Buffoni i gli altri di maggior etŕ tengo ad un certo modo miei compagni, e perche anno dalla natura perfette voci, gli godo ancora vedendogli, e cantare, e fonare con divertě inftrumenti: anzi io medefimo canto , perche ho miglior voce e piů chiara, e piů fonora eh' io aveflě giammai. Quefti fono i folazzi della mia etade. Onde fi vede, che la vita eh3 io vivo, č vita viva e non morta, come dicono quelli che poco fanno; aJ quali perche fia chiaro quanto io ftimi gl'altrui modi di-vivere, dico in veritŕ, ch'io non cambierei la mia vita, ne la mia etade con alcun giovane fenfuale, ancorché fofledj buoniflěma compleflěone 5 fapendo io , che quello tale č fottopofto ogni giorno y anzi ogn'ora, a mille forte ( come io iio detto) d'infirmitadi e di morfei cbfi VITA SOBRIA. 335 che quefto fi vede in fatto chiaramente , che non ha bifogno di pruova alcuna : che mi ricordo anch' io molto bene di quello che facevo quand'io era tale 5 fo quanto quella etŕ fuole eflere inconfideraca, e quanto i giovani aju-tati dal calor intrinfeco fieno animofě, e confidenti di fé medefimi nelle loro operazioni, e fperino bene d'ogni co-fa , sě per la poca efperienza che anno delle cofe paffate, come per la caparra che par loro avere in mano di viver affai per V avvenire. Onde s3 efpon-gono audacemente ad ogni forta di pericolo j e fcacciata la ragione, e dato in mano il govejno di fefteflě allacon-cupifcenza , ceicano di foddisfare ad ogni loro appetito, non vedendo i mi-feri, che procacciano quello che non vorrebbono avere, cioč l'infermitadi, come ho detto piů volte, e la morte. De1 quali due mali l'uno č grave emo-lefta cofa a fofferire, l'altro del tutto infopportabile e fpaventofo : infoppor-taWe a ciafcuno che fi fia dato in preda alfenfo, e a i giovani fpecialmen-te, a* quali par con troppo lor danno morire innanzi tempo ; fpaventofo a quelli che penfano agli errori, de' quali č piena quefta noftra vita mortale, della vendetta che fuole pigliare la> fta di Dio nella eterna pena de Pcc- 316 TRATTATO DELLA Peccatori . Ali' incontro io in quefta mia etŕ ('a Dio fempre grazie) mi'ri-truovo libero dall'uno, e l'altro di que-i\i travagli: dall' uno , perche io fon certo e iicuro, che non potfo ammalarmi , avendo levate le cagioni del male con la mia fanta medicina ; dall' altro eh5 č quello della morte, perche «UH' ufo ormai di tanti anni ho impalato a dar luogo alla ragione; onde non folo mi pare brutta cofa temer quello che non fi puň fuggire , ma {pero ancora quando eh' io fia giunto a quel paf-fo, di fentire anch'io alcuna confola-zione della grazia di Gesů Crěfto. Oltre che febbene io fo, che debbo come gě3 altri giungere alfine, queftofěne perň č ancora da me tanto lontano , ch'io noi poflb difeernere, perche io fo di non morire fé non per pura rifo-hizione , avendo giŕ con la regolata forma del vivere mio ferrate alla morte tutte P altre vie, e impediti i pafll agli umori del -mio corpo , di non farmi altra guerra, che quella che mi fanno gli Elementi venuti infieme alla mia generazione. Che io non fono si feiocco , che non conofea e/Tendo generato , che mi convien morire. Ma bella e defiderabil morte č quella, che ci da la natura per yia di rifoluzio-ne , Sě perche la natura avendo ella fatto VITA SOBRIA. 337 fitto il legame della vita, truova pia f-talmente la via di fcioglierJo, e indugia piů tardi che non fa la violenza delle infermitŕ: queftač quella mor* te , che fenza fare il Poeta, fi puň chiamare morte , non giŕ vita ; che non puň efler altrimenti. Quella non viene fé non dopo lo fpazio d'una lunghiiTima etŕ , e per forza d'una grandillima debolezza, perche a poco a poco e con gran tempo fi riducono gli Uomini in termine, che non pofc fono piů camminare, e appena ragionare, diventando e ciechi, efordi, e curvi, e pieni d'ogni altro male, an-cor io per Dio grazia, poflb efler certo di efTere molto lontano da tal fine; anzi ho a credere , che l'anima mia che ha cosě buona itanzanel měo corpo, non vi ritrovando altro che pace, amore, e concordia, non folotra i fuoi umori, ma ancora tra il fenfo , e la ragione , gode e fé ne fta con-tentiflěma . Sicché ragionevol cofa č, che vi bifogni gran tempo e forza d* anni a farnela ufcire . Onde č per certo da concludere, ch'io debba vivere molti anni fano e profperofo , godendo quefto bel Mondo , eh* č bello a chi le lo fa far bello, come ho fapu-to fare io; e fperando di poter far i| imi ile per grazia di Dio nell1 altro an*. Stat.Sant.volg, P cora.* 338 TRATTATO DELLA cora: e tutto per il mezzo della virtů, e fanta vita regolata, alla qaale mi pofi facendomi amico della ragione, e nimico del fenfo e dell'appetito, cofa che facilmente puň far ognuno che voglia vivere, come da uomo lě conviene. Ora fé quefta vitafobria č cosě felice , fé il fuo nome č cosě vago e dilettevole t la fua pofTelfěone cosě ferma e certa, altro ufficio non mircfta, eccetto che pregare (poiché con oratoria perfuafione non pollň con-feguire il defiderio mio ) ciafcun uo-irio d* animo gentile , e di razionai difcorfo dotato ad abbracciare quefto ricchiflěmo teforo della vita ; il quale Siccome avanza tutte le altre riccnez-ze, e beni di quefto mondo , apportandoci la vita lunga , e fona , cosě merita da tutti efTereamato, ricercato, econfervatofempre. Quefta č quella divina fobrietů, grata a Dio, amica alla Natura, figliuola della Ragione , forella delle Virtů, compagna del vivere temperato, modella , gentile % di poco contenta , regolata e diftinta nelle fue operazioni . Da lei come da radice nafce la vita, la fanitŕ > l'allegria , Tinduftria, gli ftudj y e tutte quelle azioni che fono degne d' ogni animo ben creato e compoito. A lei favorifcoao le leggi divine, e umane Da VITA SOBRIA. 339 Da lei fuggono, come tante nebbie dal Sole, le riplezioni, idifordini, le crapule, i foverchi umori , le diftempe-rie , le febbri, i dolori, e i pericoli della morte. La fua bellezza alletta ogni animo nobile . La fua ficurezza promette a tutti graziofa, e durevole con-fervazione. La fua felicitŕ invita cia-fcuno con poco difturbo ali' acquifto delle fue vittorie. E finalmente ella promette d'efTer grata e benigna cu-ftoditrice delta vita tanto del ricco, quanto del povero, tanto del mafcbio quanto della femmina, tanto del vecchio quanto d^l giovane. Come quella che al ricco infogna la modeftia, al povero la par Emonia , ali3 Uomo la continenza , alla Donna la pudicizia, al vecchio la difefa della Morte, al giovane la fperanza del vivere piů ferma e piů ficura. La fobrietŕ fa ifenfi purgati, il corpo leggiero-, i*intelletto vivace, 1* animo allegro, la memoria tenace , i movimenti fpediti , V azioni pronte edifpofte. Per lei 1* anima quafě (gravata del fuo terreftre pefo, pmova gran parte della fua libertŕ $ i Spiriti fi muovono dolcemente per le arterie s $ corre il fangue per le vene 5 il calore * temperato e ibave fa foavi e temperati effetti ? e finalmente quefte potenze «olire fervano con belliifitno ordine , P 2 una 540 TRATTATO DELLA una gioconda grata armonia. Oh fan-tiffima e innocentilfima Sobrietŕ, unico refrigerio della Natura , madre benigna della viia umana, vera medicina cosě dell'animo, come del corpo noftro , quanto debbono gli Uomini laudarti, e ringraziarti de' tuoi cortei! dotfi! pofeiache tu doni loro la via di conservare quel bene, la vita dico e la (anitŕ, di cui non piacque a Dio, che il maggiore fi prova.Te per noi in quello mondo, eflendo la vita e Tef-fere cofa tanto naturalmente daciafcun vivente apprezzata , e volentieri cu-ftodita . Ma perche non intendo ora formare un Panegirico di quefta rara ed eccellente Sobrietŕ, faro fine, per effere ancora fobrio in quefta parte : non giŕ perche di lei non fi pofTano dire infinite cofe appretto le raccontate, ma affine di rimettere a piů comoda occafioneil rimanente dellefue lodi « Compendio della Fifa Sobria del mede fimo* AVendo, cosě coni' io defiderava, il mio Trattato della vita fobria cominciato a giovare a quelli che fono nati di trilla compleifione, poiché quefti ogni tratto per ogni piccolo dif-ordine che fanno, per cagion della la* ro VITA SOBRIA. 341 ro debil compleflěone, fi fentono cosě indifpofH che peggio non potriano fen-tirfi 5 che' ciň veramente non avviene a quelli che fono nati di buona: e perň quelli di trilla per viverefani, avendo veduto il fopraddetto Trattato, alcuni fi fono podi a tale vita, certificati per la efperienza quanto ella giovi. E cosě vorrai giovare a quelli, che fono nati di buona; perche fondandoti l'opra quella vivono in vita difordinata: onde come pervengono ali' etŕ de' XL. anni, o lŕ intorno, fi fanno difrttofi di diverfi mali e dolori, chi di gotte, chi di fianco, chi di lěomaco, e altri limili mali, ne'quali non entrerebbj-no, fé fi ponetfero alia vita fobria, e ficcome muojono di quelli prima che pervengano all'etŕ delli LXXX. anni, viverebbono fino alii cento, termine conceduto da Dio, e dalln noftra Madre Natura a noi fuoi figliuoli. Ed č da credere , ch'efla vorrebbe, che ognuno giungeffe al termina, acciocché tutti godeffero di ogni etŕ . Ma perche il nafcer noftro č fottopofto alla rivoluzione de' Cieli, eflě in quefto noftro nafcere anno gran for«a, m affi me nelle buone, etriftecomple:Tioni; cheaque-fto efla Natura non puň provedere ; che potendovi provedere, gli farebbe nafcere tutti di buona complelfione . P 3 Ma 342 TRATTATO DELLA. Ma fpera, che nafcendo 1 Uomo con l'intelletto e con la ragione * etto da fé pofiŕ con arte fupplire a quello che i Cielě gli anno levato, e con l'arte della vita fobria (appiano liberarfi dalla trifta compleffione, e vivere lungamente, e fempre fani: perche non č dubbio, che l'Uomo con l'arte non pof-(a. in parte liberarfi dalla inclinazione de'Cie!i, effendo opinione comune che i Cieli inclinano , ma non sforzano ; onde i Sapienti diflfero , che l'Uomo favio domina le fteile. Io nacqui molto collerico, tal che non fi poteva praticare meco: e me n'avvidi, e conobbi che un collerico era pazzo a tempo, quel tempo, dico, nel quale era dominato dalla collera, perche non aveva ragione in fé ne intelletto, e mi deliberai di liberarmi con ragione da tale collera,- ficche ora febben fon nato collerico, non perň ufo tal atto fé non in parte: e quello eh' č nato di triftacompledione, puň ůmilmente con il mezzo della ragione, e vitafobria, Vivere fano e lungamente , come ho, fatto io che nacqui di triftiflěma; tal che era cofaim polli bile, che poterti vivere oltre all'etŕ de' XL. anni, e mi trovo quella delli LXXXVI. fanoepro-fperefo j e fé non fo(Te , che nelle mie lunghe, ed eftreme infermitŕ, che tan- VITA SOBRIA. 345 te n'ebbi nella gioventů quando i Medici mi abbandonarono, che per quelle a me fu levato gran parte dell' umido radicale, il quale non fi puň piů racquiftare, fpererei di giungere al termine fopraddetto. Ma conofco per ragione che farŕ cofa impoflěbilé, e a quello, come io poi dimoftrarb, non vi penfo : bafta affai a me, abbia vivuto XLVI. anni di piů di quello che doveva, e che in quefta cosi lunga etŕ tutti li miei fentimenti fiano nella loro perfezione, e infino li denti, la voce, la memoria, e il cuore; ma fopra tutto il cervello č piů in eflb, chefofle giammai ; ne per lo moltiplicare deglianni non perdono, e quefto procede perche ancora io crefco dell'ordine della vita fobria, che ficcome gli annimoltipli-cano, cosě io fcemo la quantitŕ del cibo nel mangiare ; e quello fcemare č neceflario , ne fi puň fare di meno, fkcome non fi puň vivere fempre, e appreflb alla fine della vita, V Uňmo fi riduce a non piů mangiare, ma a forbire con difficoltŕ un rodo di uovo il giorno, e a finire per rifoluzicncfen-za dolori e mali, come farň io: e quefto molto importa : e ciň ne avverrŕ a tutti quelli che terranno vita fobria, e fia di che condizione, e grado fi fia, o grande, o mezzano, o piccolo ; per-P 4 che ?44 TRATTATO DELLA che tutti fiamo prodotti di una iňta fpecie , e delli quattro Elementi . E perche il vivere fano , e lungamente debbe eflere molto apprezzato dall'Uomo , come poi diro , concludo che č obbligato a fare ogni opera per vivere; e non fi debbe promettere di vivere lungamente fenza il mezzadella vita fobriaj perche abbia fentitoŕire, che alcuni vivono non tenendo tal vita infino all'etŕ de' cento annifempre fani, e con mangiare affai, e d'ogni cibo, e bevendo d'ogni vino; e perb prometterli , che cosě loro avverrŕ : ma ciň facendo fanno due errori,- il primo che fra cento mila non né na-fce uno tale; l'altro chetali s'ammalano , e muojono con male , ne mai Tono ficuri della Morte fenza m;ale e infermitŕ 5 talché la via e vita iěcura del vivere fi č paflatě almeno li XL. anni il ponerfi alla vita fobria, laqual non č difficile da tenere, avendola tenuta tanti altri per Io pattato , come fi legge, e ora molti la tengono, come faccio io ; e pur fiamo Uomini , e l'Uomo efifendo animai ragionevole , fa tanto quanto vuole. Quefla vita non confitte fé non in quelte due cofe, quantitŕ , e qualitŕ . La prima eh3 č la qualitŕ confi (te folo in non mangiare cibi, ne bere vini contrarj al VITA SOBRIA. 345 al fuo ftomaco; la quantitŕ confitte, che non fi mangi , e beva , fé non quanto facilmente puň eiTer digerito da quello : le quali quantitŕ , e qualitŕ debbono pur'eflfere conofciute dall' Uo< mo, come č pervenuto alle etŕ delli XL. anni , o L. o LX. e quello che tiene tali due ordini, vive in vita ordinata e fobria ; la quale ha tanta virtů e forza, che gli umori di quel corpo li fanno perfetti .fimi, e concordi, e adunati s li quali cosě fatti buoni non poflňno efler porti in moto, ne in alterazione per ognuno degli altridif-ordini che fi faccia , come č per patir freddo, e caldo, foverchia fatica, vigilie, e altri, fé non fono eftremif-fimi. Non potendofě adunque nel corpo che tiene i due ordini della bocca , metterli li faoi umori in alterazione , e venirne febbre , dalla quale procede la morte avanti tempo, dunque č 06-bligato ogni Uomo a tenerli s fendo cofa certa , che chi non li tiene sě per tali difordini , come per tanti altri che fono infiniti , per ognuno di quelli č Tempre in pericolo di male, e di morte,- perche vive in vita dif-ordinata e non fobria . E' ben vero , che ancora quelli che tendono i due della boccach'č vita fobm, p^rorni-P $ no 34 TRATTATO DELLA no degli altri difordini , facendoli fi rifcnte per uno, o due giorni, ma non giŕ di febbre» e cosě ancorali riferite per la revoluzione deJ Cieli: ma ne i Cieli, ne tali difordini po/Tono metter in alterazione gli umori di chi tiene vita fobria: ed č cofa ragionevole e naturale, perche i due difordini della bocca fono inferiori , e gli altri fono efteriori. Ma perche fono alcuni attempati molto fenfuali che dicono, che ne quantitŕ, ne qualitŕ di cibi, ne vini gli nuocono, e cosě mangiano affai , e d' ogni cofa, e bevono, perche non fanno in che parte del corpo fia il fuo ftomaco j per certo fono pur fuor di modo fenfuali, e amici della gola. A quelli fi rifponde , che quello che dicono non puň effer in narura, perche bifogna, che chi nafce nafcacon compleffione ocalda, o fredda, otemperata; e che j cibi caldi giovino ai caldi, e i freddi al freddo , e i temperati al temperato, e cofa impoffibi-le in natura: i qualifópraddetti molto fenfuali pur non portano dire, che non fi ammalano qualche volta, e che poi fi liberano con lo tenerli vacuati con medicine , e con una ftretta dieta . Onde fi vede, che il male loro procede per replezione di affai cibo, e di cibi contrarj al fuo ftomaco . Sono h VITA SOBRIA. 347 altri pur attempati che dicono, eh1 č loro necefiTario.il mangiare affai e il bere, per poter fomentare il fuo calor naturale, il quale fi va feemando per lo moltiplicare degli anni ; e che fono affretti, a mangiare aflai, e cibi che piacciano ai loro gufti , o freddi, o caldi, o temperati; e che feviveffero in vita fobria , che tofto morirebbo-no. Si rifponde a ciň , che la noftra Madre Natura, perche il fuo vecchio poflTa confervarfi, ha proveduto , che con poco cibo pofTa vivere come vivo io j perche il molto non puň e.Ter digerito dello ftomaco dell3 Uomo vec-chio e impotente: ne puň coftui dubitare di morire per cagione del poco mangiare, fé con il pochiflěmo, quando č ammalato fi libera, che pochif-fimo č quello della dieta, con la quale fi rifana ; e fé con pochiilěmo fi ri-fana, e ritorna in vita, come puň dubitare, che con mangiare una quantitŕ maggiore , che maggior quantit\ "č quella della vita fobria, non fi pof-fa tenere in vita, eflendofano? Altri dicono, ch'č meglio patire tre, o quattro volte all'anno de' loro foliti mali o di gotte, o di fianchi , o altri mali , che patire poi tutto V Anno per non contentare il fuo appetito nel mangiar tutto quello che piů gufo al fuo P 6 gufo; 348 TRATTATO DELLA guitto j effendo certi, che con la medicina della pura dieta fi poffňno liberare da quelli. Si rifponde, che moltiplicando gli anni, e fcemandofi per quelli il calor naturale, che la dieta non puň avere fempre tanta virtů , quanto ha forza il djfordine della re-plezione j talché fono affretti a morire da que' fuoimali, perche quelli abbreviano la vita, ficcome la fanitŕ la conferva. Altri dicono , eh'č meglio vivere dieci anni meno, che lafciar di contentare il fuo appetito, A quelli fi ^ifponde , che il vivere lungamente fi dee molto apprezzare dagli Uomini di bell'intelletto j ma degl' altri č poco danno, fé non č apprezzato , perche quefti fanno brutto il mondo, e non importa che muojano , Ma č male , che quelli di bell'intelletto muojano 5 perche fé uno č Cardinale, forie che palfati gli LXXX. anni č Papa: fé č di Repubblica , Duce: fé č di lettere, č tenuto come un Dio in terra : e cosě tutti gl'altri nelle loro profeffioni. Altri poi fono, che come vengono ali'etŕ, benché naturalmente lo fto-maco loro fi faccia nien potente al digerire non vogliono perciň fcemare il cibo, anzi accrescerlo ? e perche mangiando due volte al giorno, nonpoflb-po digerire tanta quantitŕ, fi deliberano • VITA SOBRIA; 34* no di mangiare una fola volta, acciocché l'intervallo lungo da un parto ali' altro fia quello che operi , che tanto cibo pofTano mangiare in una volta di quelle che mangiavano in due» e cosě mangiano tanta quantitŕ, che lo fto-maco caricato di tanto cibo, viene a patire e farfi trifto, t convertire quel cibo foverchio intridi umori; e quefti ammazzano T Uomo avanti tempo . 1,0 non vidi giammai uno che fi poneffč a tal vita, che vivefle lungamente : e quefti viverebbono , fé come a loro moltiplicanogli anni , feemaffero la quantitŕ del cibo, e mangiaflero piů volte al giorno, ma poco alla volta s perche lo ftomaco del vecchio non puň digerire gran quantitŕ , ma poca, il vecchio ritorna nel mangiare, come fanciullo, che mangia molte volte al giorno. Altri dicono, che la vita fo-bria ben puň confermare l'Uomo in fa-njtŕ, ma che non puň prolungargli la vita, Si rifponde, che fi č veduto per il tempo pattato chi fé l'ha prolungata , e ora fi vede che la prolunga io. Non fi puň giŕ dire, ch'efsa la pofsa abbreviare, ficcome l'abbrevia l'infermitŕ, che none dubbio, ch'efsa non abbrevii. Perb č men male viverefa-no fempre, che molte volte ammalato, per confervarfi Tumore radicale. Onde 5^ TRATTATO DELLA Onde con ragione fi puň concludere, che la fanta vita fobria fia vera madre della fanitŕ, e vita lunga. Oh facrofanta vita fobria tanto giovevole agli Uomini , giovando tanto come ne giovi , che tanto gli fai vivere , che fi fanno sě ragionevoli per la lunga etŕ, che con la ragione fi liberano dagl'amari frutti del fenfo, nemico della ragione eh5 č propria dell' Uomo ; i quali amari frutti fono le paflěoni , e le perturbazioni , e oltra 10 liberi ancora dall'orrendo penfěero della morte! Oh quanto io tuo buon difcepolo a te fono tenuto, perche per te godo quefto bel Mondo, che veramente č bello a chi fé lo fa far bello con il tuo mezzo, come ho faputofarmelo io; ne in altra etě quando era giovane e tutto fenfuale, e che viveva in vita difordinata, mai potei farmelo sě bello; fé non per godere ogni etŕ non fparmiai a fpefa , ne ad altro , ma trovai che tutti i piaceri di quelle etadi avevano i fuoi contra-tj j talché non conobbi mai , che 11 Mondo forte bello fé non in que-fta etade. Oh veramente felice vita! ¦che ňhre le tante fopraddette grazie ¦che Concedi al tuo vecchio, gli riduci il fuo ftomaco in tanta bontŕ e percezione, che gufta pia il puro pi ne di VITA SOBRIA. 3? di quello, che giŕ gu flava nella gioventů i piů delicati cibi ,¦ e quefto operi, perche fei ragionevole , fapendo, che il pane č il piů proprio cibo dell3 uomo quando č accompagnato con voglia di mangiare: e nella vita fobria ha eflTo fempre quefta naturale compagnia , perche mangiandoli fempre poco, lo lto-maco che ha poco carico, ha fempre fra poco termine voglia di mangiare : e per quello il puro pane tanto fi gu-fta, e io lo pruovo per efperienza , e dico che tanto lo gufto, che dubiterei di errare nel vizio della gola , fé non fofle che fa, eh'č necefTario di mangiarne, e'che non fi puň mangiare cibo piů naturale. E tu madre Natura che fei tanto amorevole al tuo vecchio , per confervarlo oltra, gli hai proveduto, che con pococibopofiTaconfervarfi; e per dargli maggior favore in quefto e piů giovargli, gli dimoftri, che ficco-me nella fua gioventů mangiava due volte il giorno, che nella fua vecchiezza debba quel cibo delle due dividerlo in quattro : perche cosě divifo farŕ piů facilmente digerito dallo ftomaco fuo : e ficcome giovaneguftava due fole volte al dě, che in vecchiezza ne gufti quattro, purché vadi feemando la quantitŕ, ficcome moltiplicano gli anni.; e cosě otterrň io, ficcome mi dimoftri: e pe- 352 TRATTATO DELLA e perb i miei fpiriti che non fono op-preflě dal molto cibo, ma folamente foftentati} fonofempre allegri, e la virtů fua fi dimoftra maggiore dopo il cibo; onde fono affretto dopo il mangiare a cantare, e poi a fcrivere, ne mai lo fcrivere dopo il mangiare a me nuoce, ne T intelletto mio mai č piů buon di quello eh'č allora, ne a me dopo il mangiare vien fonno, perche il poco cibo non puň mandar fumi dallo doma-co alla tefta. Oh quanto č giovevole al vecchio il poco mangiare ! e io che lo conofeo, mangio fé non tanto quanto a me bafta per il vivere, e i miei cibi fono quefti. Prima il pane, la panatella , o brodetto con uovo, o altre tali buonemi-neftrine ; di carne, mangio , carne di Vitello, Capretto, e di Caftrato ; mangio polli d'ogni fotta ; mangio Pernici, e uccelli , come il Tordo ; mangio ancora de* Pefci, come fra i falfi V Orata e limili, e fra i dolci il Luccio e fimili: quefti fono cibi tutti appropriati al vecchio, e dee purcontentarfi di quefti, e non volerne d'altri, eflendo tanti. E quel vecchio che per povertŕ non puň avere di quelli t puň confervarfi con il pane, panatella , e uovo > e invero non puň mancare al Povero, fé eflb non č mendico, e come fi fuol dire, furfante: e di que- VITA SOBRIA. 353 quefti non fi dee penfare, perche fono pervenuti a quello per la fua dapocag-gine, e ftanno meglio morti, che vivi, perche abbruttano il Mondo. Mafe il Povero mangia ie non pane, pana-tella, e uovo, nonbifogna, che mangi fé non la quantitŕ che puň digerire,- e quello cheofserva la quantitŕ, e qualitŕ , non puň morire fé non per pura rifoluzione fenza male. Oh quanta differenza fi vede dalla vita ordinata alla difordinata! Tana fa vivere fani, e lungamente , 1" altra fa vivere con infermitŕ, e morire avanti tempo. Oh infelice miferabil vita, nemica mia ! che non fai far altro che ammazzare quelli che ti feguitano : quanti miei ca-riOfimi parenti, e amici m'hai ammazzati , perche a me non anno creduto per cagion tua, che li goderei ora ; ma non hai potuto ammazzar me, che volentieri Favrefti fatto, e al tuo di-fpetto fon vivo, e fono pervenuto a tanta lunga etŕ : godo XI. miei Nipoti, i quali fono tutti di bello intelletto, e di gentil natura, atti alle lettere, e alii buoni coftumi, e tutti di bella vita e forma ; ch'avendo feguito te non li goderei, ne quefte mie belle e comode ftanze , e fabbricate da me con tanti appartati giardini, che a ridurli alla loro perfezione vi ha bifognato gran tein- 354 TRATTATO DELLA tempo : e tu ammazzi chi ti fegue, prima che le lue fabbriche, e giardini fiano finiti ; e io li godo giŕ tanti anni a tua confufione. Ma perche tu fei vizio tanto peftifero, che ammorbi, e avveleni tutto il mondo , e io volendo con ogni mio potere da te in parte liberarlo ; ho deliberato d'operare in modo contro di te , che XI. miei Nipoti dopo me fiano quelli, ě quali ti facciano conofeere per quella trifta e viziefa che fei, nimica mortale di tutti gl'Uomini che nafeono. Per certo modo mi ammiro , che gě' Uomini di beli3 intelletto, che pur ne fono , i quali fono pervenuti in alto grado o di lettere o d'altro , non fi pongano a tale vita almeno quando fono pervenuti all'etŕ de3 50. o 60. anni , allora che cominciano a ri|én-tirfi di qualcuno de3 mali fopraddettj; che facilmente fi delibererebbero, fic-come tal male invecchiato č fatto incurabile: e non mi maravigliode*giovani , perche quella etŕ č dominata dal fenfo, ma per certo paflati gli anni cinquanta-, Yetŕdev'effere dominata in tutto dalla Ragione che fa conofeere, che iT contentare il fuo gu-fto, e appetito č infermitŕ, e morte. E fé quel piacere dei gufto foflTe lungo ^ fi potrebbe fopportare: ma appena VITA SOBRIA. 555 na non č principiato che č finito : le infermitŕ che procedono da quello , fono kmghifftme . Ma certo č una grande contentezza dell* Uomo di vita, fo-bria, che come ha mangiato, čficu-ro che quel cibo lo terrŕ fano, e che non potrŕ giammai per quello aver male. Or ho voluto dare queft* aggiunta al mio trattato di poche paroe , ma con altre ragioni; perche la lunga lettura č da pochi veduta , e la breve da molti: e io defidero, che molti la veggano per giovare a molti. Amorevole efortazione deěmedefimo, nel-quale con vsn ragioni persuade ognuno a feguir la vita ordinata efobria, affine di pervenire alla lunga etade, PER non mancar del debito mio, al quale ogni vivente č tenuto ; e per non perdere ad un tratto il diletto che io prendo di giovare, ho voluto fcrů vere , e far (apere a quelli che non fanno, perche non mi praticano, quello che fanno e veggono coloro che mi praticano. Ma perche ad alcuni pareranno certe cofe impofěěbili, e difficili a credere ; nientedimeno vere e(Tendo, e vedendoli in fatto, non mancarň di fcriverle a beneficio d'ognuno. Per il che 355 TRATTATO DELLA. che io dico, eiTendo per la Dio grazia giunto all'etŕ di 95. anni, e ritrovandomi (ano, profperofo, allegro, e contento, io di continuo ne laudo Sua Divina Maertŕ di tanta grazia fattami : vedendo poi per V ordinario in tutti gl'altri vecchi ch'appena arrivano ali' etŕ di fettant' anni , che fono mal fani, con poca profperitŕ, malinconici, e di continuo (tanno in un penfiero di morte, e dubitano di dě in dě di morire ; del che farebbe cofa impof-fibile a levargli di mente tal penfiero, il quale a me non da noja alcuna ; perciocché io non poflb in alcun modo penfar a tal cofa, che poi dimoftrerň piů chiaramente, e oltra di quefto apertamente farň veder la ficurezza eh' io ho di vivere fino ali' etŕ di cento anni. Ma per meglio ordinare quefta mia fcrittura, principierň dal nafcere dell' Uomo, e cosě verrňdifcorrendofin* alla morte di eflfo. Dico adunque che alcuni nafcono cosi mal vivi, che non vivono fé nonpo-chicfimi giorni, o mefi, o anni: e la cagione di cosě poca vita, non fi puň chiaramente fapere fé venga o per difetto del padre, o della madre nel generarli, o per la rivoluzione de'Cieli, o per difetto di Natura aftretta perň da efěě Cielij perciocché io non potrei ere- VITA SOBRIA. 357 creder giammai, eh'etěendoella madre di tutti, foife partigiana co'fuoi figliuoli , dove che non potendofi faper la cagione, č di neceflětŕ rimetterli a quello eh'ogni giorno fi vede infatto .Altri nafeono ben vivi e fani, maditri-fta e debile compleiTione ; di quelli alcuni vivono fino all'etŕ delli diecianni, e chi de' vinti, aitri de'trenta, e quarantanni} ma non perň arrivano alla vecchiezza. Altri nafeono poi con perfetta compiendone, e quelli giungono alla vecchiezza, ma'pur fono per 10 piů vecchi mal condizionati, come di fopra ho detto ; e di quefta mala condizione, e indifpofizione etti (tefiě ne fono cagione: e que ilo perche fenza ragione alcuna troppo promettono fopra la lor perfetta compleilěone , e non vogliono a patto alcuno mutar modi di vivere dalP etŕ giovanile alla vecchiezza , come fé ancor infetenefleroriftef-fo vigor di prima : anzi difordinata-mente attendono a vivere cesi nella vecchiezza , come fatt' anno in tutto il tempo della Tua gioventů , non pestando mai di divenir vecchi, nemmeno che alla rua. cornplelěěone manchi vigore . Nemmen penfano , che 11 fuo rtomaco abbia perduto il fuo calor naturale, e che per quefto bifo- aver piů confiderazione alla qua» lkl ;5*5 TRATTATO DELLA y iitŕ de' cibi , e de* vini j e cosi anco alla maggior quantitŕ d' effi , fceman-dola; ma anzi per lo contrario cercano d*accrescerla, dicendo che perdendo 1' CJomp la profperitŕ per lo invecchiare, bifogna conservarla con piů quantitŕ di cibi, efTendo il mangiare quello che conferva Y Uomo in vita : e nondimeno efii di gran lunga s'ingannano , perciocché ficcome neli* Uomo va mancando il calore per l'etŕ, cosě č di meftieri fcemar il mangiare e bere, e/Tendo che la natura fi contenta di poco per confervare il vecchio : anzi e(fi febben lo doverebbono credere con ragione , non lo credono, ma feguitano la fua folita difordinata vita? la quale fé al iuo tempo la lafciaiTero e fi mettessero alla vita ordinata e iň-bria , venirebbono vecchi , come fon* io, ben condizionati , etfčndo per gra-zia^dčl grand*Iddio nati di cosě buona e perfetta complelTione , viverebbono fino alii 120. anni, come han vivuto degě' altri e* han tenuto vita fobria % come in molti luoghi fi legge, i quali di ragione erano nati di quella cosi perfetta compleflěone, della quale fé io ancora foili nato , pnnto non dubiterei di non giungere a quella etade-Ma perche io nacqui di trifta, dubita di non Daffare i cent* aani : e cosě anco VITA SOBRIA . w co fé gli altri $ che medefimaroente nafcono di trilla , fi foffero polli alla vita ordinata, come ho fatt'io, fareb-bono profperofaiiiente giunti alii cento e piů anni , come aggiungerň io . E quello efler ficuro di vivere raolt' anni a me pare efler co& bella , e da (limar molto, non fi trovando alcuno che fia ficuro di vivere una (bl'ora, fé non quelli che, tengono vita- fobria; il qual fondamento e ficurtŕ di vivere č fondato fopra buone e vere ragioni naturali , che non ponno mai mancare, eflendo cofa imponěbile in Natura , che colui che tiene vita or-. -dinata e fobria , porta ammalarti , ne morire per morte non naturale avanti tempo, ficcome al fuo č neceflTario che muoja . Ma avanti non puň morire , perche effa vita fobria ha virtů di levare tutte le cagioni che fanno il male, e il male non puň venire fenza cagione : \at qua te levata che Ha, č levato il male? e levato.il male, č levata la morte non'natuxale. E non č dubbio alcuno x che la vita ordinata, e fobria nonv abbia virtů e forza di levar tali cagioni, effóndo quella che opera, che gli umori , i quali tengono fano , e ammalata > vivo, e morto TUomo, ficcar me fono buoni, e trilli, dappokhŁ tri~ f, fi fanno buoni e perfetti; pe«» cioc» ?<5o TRATTATO DELLA docch'effa ha qnefta virtů naturale di farli tali, che a forza s'unifcono, adequano , e legano infieme in modo, che piů non fi poffono feparare , o met-terfi in moto, over alterazione j dalle quali cofe nafcono poi febbri—crudeli , e finalmente la morte . Ben5 č vero, ne fi puň negare , che ancorché fieno fatti buoni, non č pero che"ě tempo, il quale confuma ogni cofa, non confumi e rifňlva ancora tali umori, e che confumati che fono ali' Uomo convien morire per morte naturale efenzamale, comeavveni-rŕ a me che morirň al mio tempo quando effi umori faranno confumati , che ora non fono, ma anzi buoni: e non puň eflTer altramente , effendo io cosě fano , allegro , e contento , che mangio con appetito , e dormo quietamente; e di piů i miei fentimenti fono tutti nella loro bontŕ e perfezione; T intelletto č piů che mai netto e purgato , il giudicio faldo , la me-mbria tenace, il cuor grande ; e la voce, che fuol' eiTer prima ad abbaf-farti, a me č inalzata , e fatta iňno-ra; laonde fon affretto a cantare te mie orazioni la mattina e fera ad alta voce, come giŕ le diceva con fom-mefsa e feaffa. E tutti qu e Iti fono certi e veri indizj e fegni , che i miei těmori fono tuoni, e che non fi pof- Coso VITA SOBRIA. 361 . Cono confutila re fé non col tempo , come -concludono tutti quelli che mi praticano . Oh chs vita gloriofafarŕ que-rta mia effendo piena di tutte le feliciti, che fi j>onno goder in terra, e anco effendo, come in ver© č, libera dal beftial fenfo 5 il qual č fcacciato dalla ragione per la lunga etŕ j perche dov'č lei, il fenfo non vi puň aver luogo, nemmeno i fuoi amari frutti , che fono le paloni, le perturbazioni, € i trilli penlieri. Ne anco in mepuo aver luogo il penfierodella morte, non vi effendo cofa alcuna fenfuale. Ne la morte de' miei Nipoti, e altri parenti, o d'amici, mi puodar noja fé non nel primo moto, ma fubito č levatas e meno mi puň -turbare il perdere di facoltŕ, come han veduto moki eoo grande loro ammirazione. Equeftofo-lo avviene a chi vien vecchio per la-via della vita fobria, e non per quella della forte per la ^nal cofa Venezia conferverŕ il maravigliofo e Itupendo nome di Cittŕ Vergine, com'č, non e/Tendone altra al mondo, e oltra aggiandirŕ il grande, e alto fuo pronome di Regina del Mare* qnefto io godo, e non vi manca niente. [Jn*altro poi ne godo, di-jnoftrando ad eflfa Vergine, e Regina il modo, che vi č per farla abbondan-tiflima di vittuaglie con ilridurrecam-pi inutili a grande utilitade y si di paludi , come di campagne aride, con grande avanzo oltre la fpefa. E qued altro folazzo godo, che non ha contratrio alcuno, il quale č cheiodimoftro come Venezia fi puň far pm forte, feb-ben č fortiflěma, e inefpugnabilej piů bella, febben č belliflěmaě pi« xicca » febbenč TĚcchifTima> e di miglior aria» febben e di perfetta. Quefti tre folazzi tutti fondati fopra il giovare, io con gran contentezza godo. E chi č colui, che a quelli potelfctrovar contrario ai* cuno, non ve ne efTendo ? Godo poi queft* altro, che avendo perduto una «otabile quantitŕ d'entrata, levata a* miei VITA SOBRIA. 11 miei Nipoti- per inala fortuna, io con il pender folo che non dorme e non con fatica corporale, fé non poca di niente, ho trovato il vero e infallibile modo di rifar tal danno doppiamente , pel mezzo della vera e lodevole agricoltura. Un altrofolazzo ancor godo, che il mio Trattato che compofi della vita Sobria per giovare, io veggo , che giova, come mi affermano alcuni a bocca, i quali dicono, che gli giova gran» demente , e poi fi vede in fatto : e altri con lettere dicono, che la vita loro dopo Dio da me dipende. Ancora un'altro falazzo io godo, ch'č.fcrive-re di mia mano, perciocché ferivo ak fai per giovare sě in architettura, come in agricultura. E godo poi una altro, eh*č il ragionare con uomini di bello e alto intelletto, da*quali ancora in quefta etŕ imparo. Oh che ijplazzo č quefto, che in quefta Łtŕ non vi lě pone fatica allo imparare per cofa grande alta e difficile ch'ella fi fia. E di piů voglio dir ancora che ad alcuni paja cofa imponibile, e che in alcun modo porta cflere, che in quefta etŕ godo ad un tratto jdue viteA V una ter-; jena con T effetto , e la celefte col pen-fiero , il quale ha virtů di far godere# quando č fondato fopra cofa che fi fia iper dover godere, ficcome iofonocer^ 34 TRATTATO DELLA to e ficuro, che goderň quella per la infinita bontŕ, e mifericordiadel grande Iddio. Godo adunque quella terrena mercé della v'ita ordinata efobria, tanto grata a Sua Divina Maeftŕ, per efler piena di virtů e nemica del vizio . E godo mercé di eflb grande Iddio la celeftiale, che me la fa godere col penderň, il quale mi ha levato il poter penfar ad altro chea quella cofa, la qual tengo e affermo per piů che certa; e tengo, che queftano-itro morire non fia morire , ma un tranfifo che fa l'anima da queftavita terrena ad una celefte immortale , e Infinitamente perfetta, e non puň ef-fere altrimenti. E quefto alto penderň č tanto alzato , che non puň piů atbafTarfi a cofe mondane e bafife, come č al morir di quefto corpo ; ma {blamente al viver in vita celefte e divina, onde che io vengo a godere due vite. Ne quefto tanto godere , eh* io fo ora in quefta vita a me puň dar col. fuo finire doglia alcuna, ma sě ben gipja infinita , efěTendo quello fuo finire un dar principio ad un* altra vita gloriofa ed immortale. E chi č quello , che pO'Ta aver a noja un tanto bene e contento, come averň io? La ermi cofa avverrebbe ad ogn3altro Uomo a che teneiTe la vita che laotenu* U VITA SOBRIA. 36$ ta io, la quale fi puň tenere da ognuno j perciocché io non fon fé nonlJo-tno, e non Santo, ma fervo di Dio, al quale tal vita ordinata mdto piace : perche molti Uomini fi pongono alla fanta e bella vita fpiritualee contemplativa piena di orazioni» oh fé quefti fi metteflero ancora del tutto a feguire la vita ordinata e Sobria, quanto piů grati fi renderiano a Dio, e anco abbellirebbono il Mondo; perciocché tenuti in terra veri Padri fanti , come giŕ erano tenuti quelli antichi che pur tal vita fobria ofTervavano oltre alla fpirituale; e iěmilmente vivendo fino alla etŕ di 120. anni, p^r virtů di Dio fariano anch' effi. infiniti miracoli , come eflě facevano ,• e di piů fempre fariano fani , contenti , e allegri, dove ora fono per la maggior parte mal fani , malinconici, edifcoo-tenti. E perche alcuni credono quefte cole eflerii date per fua falute dal grande Iddio , acciocché facciano in quefta vita penitenza degli errori, io dirb , che a mio giudicio s'iinganna-noj perciocché io non porto credere, che Iddio abbia a bene , che il fuo Uomo, il quale tanto ama, viva ammalato, malinconico , e difcontentoj ma anzi fano, allegro ^ e contento : perche ancora in cotal m^do viveva-0. ě no >5<5 TRATTATO DEJXA no i Santi Padri, e fi facevano fem-pre migliori fervi della M. Divina , facendo tanti, e sě bei miracoli come il legge. Oh che bel Mondo godevo-le farebbe ora quefto come allora , e anco molto piů bello , perche ora vi fono molte Religioni , e Monifterj , che non v'erano allora, ne* quali fé fotte tenuta h vitafobria, vi fivede-riano quantitŕ di venerandi vecchi , a tale che faria una maravlglia : ne per quefto mancarebbono alla vita ordinata delle fue Religioni, anzi Tac-crefcerebbono; poiché da ognuna Religione č conceduto per fuo vivere il mangiar pane, bere del vino, e oltra degli uovi alcuna volta, e delle carni da alcuna, e oltre di quefto lemi-neftre di legumi, falate, frutti, e torte di uovi; i quali cibi molte fiate gli nuocono, e ad alcuni levano la vita; ma perche gli fono conceduti da* fuoi ordini, gli ufano, penfando forfč, che lafciandoli, fariano errore: il che non fariano , anzi fariano gran bene , fé paflati li 30. anni lafciaflero quelli, e fi metteflero a vivere con pane nel Tino, con panatella di pane , e uovi con pane. E quefta č la vera vita per confervare l'uomo di trifta compěef-fione , ed č vita piů larga di quella cbfera tenuta da' Santi Padri antichi ne' VITA SŇBRIA. 36? »e* deferti, i quali mangiavano fola-mente frutti falvatici, e radici d'erbe, e bevevano acqua pura, e pur vivevano, come ho detto, lungamente fani, allegri, e contenti. Ecosěfarianoque* fti de* noftri tempi, e infieme trove-riano piů facile la via di falir al Cie-lo, che fta fempre aperto ad ogni vero Cristiano: perciocché cosě il neftro Redentor Crifto lo lafciň, quando di laf-sů difcefe venendo in terraafpargereil fuo prezěofo Sangue per liberar noi dalia tirannica fervitu del Diavolo: e tutto quefto per immenfa fua bontade . Sicché per concluder il mio ragionamento dico, ch'e.Tendo, com*č invero, la lunga etŕ piena, e colma di tante grazie e beni, e di piů e/Tendo io uno fra gli altri, che gli godo, non pollň mancare ( non volendo mancar di caritŕ ) di render teftimonianza , e far ad ognuno pieniffima fede, che molto piů godo di quello ch'ora ferivo, e che la cagione del mio fcrivere altro non č fé non affine che vedendo un tanto bene, il qnale proviene da que-fta lunga etade , ognuno fi di(ponga d'oflTervar quella tanto lodata vita ordinata, e fobria. Per la quale di continuo me ne vo gridando, vivete, vivete , acciocché fiate migliori fervi di Dio. Q. 4 36$ TRATTATO DELLA Lettera del medejěmo fcritta a Jldonji- gnor Barbaro Patriarca Eletto di jdquikja. VEramente che T Intelletto dell' Uomo tiene alquanto del divino: e divina cofa fu quella, quando trovo il modo del potere, fcrivendo, ragio* nare con un altro lontano . Fu poi co-fa in tutto divina quella della Natura che volfe, che uno cosě lontano po-teflč vedere Y altro con gli occhi del penderň, fiecome io vedo voi Signor mio. E con quefta vi ragionerň cofe piacevoli, e che molto giovano : č ben vero , che farŕ tal ragionamento fopra cofe altre volte ragionate , ma non in quefta etŕ di 91. anno : onde io non po(fň mancare, perche piů che a me moltiplicano gli anni , la mia profperitŕ piů fi augumenta, effetto che fa ftupir ognuno. E io, chefoda qual cagione procede, fono affretto a dimoftrarla, e far conofcere > che fi puň pofledere un Paradifo terrellre dopo T etŕ delli 80. anni ; il quale pofTeg-go io ; ma non fi puň poflfedereič non co fl mezzo della fanta Continenza , della virtuofa vita lbbria, amata molto dal grand* Iddio, perche fononemi-che del fenfo, e amiche dellaragione. Qr VITA SOBRIA . 369 Or Signore , per ragionare vi dico," che in quefti giorni furono da me molti Eccellenti Dottori di quelli che leggono in quefto Studio, sě Medici, come Filofofi , informatiffimi della mia etŕ, e del viver mio, e coftumi; fa-pendo com'era pieno d'allegrezza, di fanitŕ, e che tutti li miei fentimenti erano in perfezione , e di piu la memoria, il cuore , l'intelletto , e anco infino la voce , e i denti; e oltra fa-pevano, che io fcriveva di mia ma-no otto ore al giorno Trattati per gio-vere al Mondo, e molte altre ore paf, feggiava , e altre cantava. O Signo-re, quanto č fatta bella la mia voce, che fé mi udifte cantare le mie orazioni, aggiuntovi il fuono della lira , come faceva Davide, vi certifico che ne averefte gran folazzo , tanto io canto fonoramente. E oltra quanto avevano detto li fopraddetti, replicavano , che per certo era cofa mara-vigliofa il tanto mio fcrivere , e fo-pra materie di intelletto, e di fpirito. Perloche, Signore , č cofa incredibile del piacere e contento maravigliofo ch'io godo di quello fcrivere; ma ef-fendo lo fcriver mio per giovare, da voi, Signore, potete comprendere di che grandezza fia il mio folazzo. Di(-fero poi alla fine , ch'io iyn poteva 0. 5 ejlčrc 57 TRATTATO DELLA eflTere tenuto per vecchio , eflendo le mie operazioni da giovane, e non come quelle degli altri vecchi, che come fono pervenuti agli Scanni, fono tutte da vecchiumi, e oltra chi čdi-fettofo di fianco, e chi di altro male, e per liberarli fono foggetti a continue pirole, e fontanelle, e medicine, con limili impacci che veramente danno gran noja; e pur fé vi č qualcuno che non abbia infermitŕ , patifee poi ne* fentimenti, ch'č o oel vedere, ondi' udire 5 o in uno degl' altri , eh* č non poter camminare, ole mani gli tremano : e fé ne foflfe uno libero da* fa-praddetti contrarj, non ha la memoria in perfezione, ne il cuore, neě'in-tellctto , ne viverebbe allegro , contento , piacevole, come fo io. Ma che oltra tante grazie che io ne poffčde-va, una eftrema era , la quale li faceva ftupire , perche č tutto fuora di natura eh' io poTa tenermi vivo giar cinquanta anni con l'ettrenfo contrario ch'č in me , al quale non fi puň provedere , perche č naturale , ed č proprietŕ occulta inferta nel mio corpo dalla Natura , ed č che ogni anno-come entra Luglio infino^per tutto Agofto quelli due mefě non poTa be* ver vino , fia di qual forta d'uva fi voglia , f cosě vino di qua! paefe fi vo- VITA SOBRIA. 371 voglia , il qual vino oltra che a tal tempo fi fa tutto contrario, e nemico del gufto mio, mi nuoce allo ftoma-co; talché perdendo il mio latte, che veramente č latte del vecchio il vino; non avendo modo di bevere , perche Tacque alterate, e preparate nonpof-fono avere la virtů del vino, non mi giovano: laonde non avendo che bevere , effondo lo ftomaco difconcio , non pollo mangiare fé non pochiffi-mo ; e quello poco mangiare^ e non aver vino mi riduce dopo mezzo Ago-fto in una eftrema debolezza mortale ; ne a me giova brodo di cappone confumato, ne altro rimedio ; talché per debolezza mi riduco infino alla morte, e non per altro male, fé non p:r pura debolezza. EfTě perb concludevano, che fé il vino nuovo eh* ho fem-prŁ preparato al princěpio di Setteni-bre tardale, che farebbe cagione della mia morte; ma piuftupivano, che tale vino nuovo ave.Te virtů di rimettermi in due o tre giorni la pro-fperitŕ levatami dal vino vecchio , ¦ficcome avevano veduto in quelli giorni; cofa che non (ě crederebbe da chi non la vedette. E molti anni continui, dicevano, ficcome alcuni di noi Medici l'abbiamo veduto, e giaX.au-ni giudicato, ch'era cofa imponibile, CL 0 che 372 TRATTATO DELLA che potette vivere al piů un1 anno t o due con cosě mortale contrario, aumentando gli anni ; e pur vediamo , che quell'anno avete avuto meno debolezza . Qaefta cofa , e tante altre grazie che fi ritrovano in me , gli avevano aftretti a conchiudere , che tante grazie ridotte in una erano grazia fpeciale in me , concedutami nel nafcere dalla Natura , o dai Cieli *• e per provare quefta fua conclusone per buona, eh3 č falfa, perche non č ion-data fopra ragioni, e fondamenti fermi , ma fopra fu e opinioni , furono sforzati a dire belliflěme , e alte cofe con una eftrema eloquenza. Per certo , Signore , la eloquenza ha gran forza in Uomo d* alto intelletto , e tanta, che fa credere, che quello che non e, ne pofla eflere , che pur fia. Io ebbi udendogli un gran piacere , e folazzo , che veramente č un gran folaezo 1' udire un fimile ragionamento da fimili perfone. Un altro piacere pieno di contento ebbi allora con-fiderando , che la lunga etŕ con la efperienza ha forza di fare uno non dotto, dotto, perche č effa vero fondamento delle vere faenze» e che io con tal mezzo fapeva , che la conclusone fua era falfa. Sicché vedete, Signore, come gli Uomini s'ingannano VITA SOBRIA : 37? no nelle fue opinioni , quando non fono fondate fopra fondamenti reali. E io per difingannarli , e per giovarli , gli rifpofě, che la fua conclufione era falfa, come gli farei vedere in fatto, che la grazia eh'č in me non č fpeciale , eh' č generale , e ogni Uomo la puň godere: ma perche io fono fé non femplice Uomo, come fono tutti gi' altri, comporto de' quattro Elementi , e che ho oltra l'ef-fere e vivere, il fenfo , l'intelletto , e la ragione, e con l'intelletto, e la ragione nafee ogni Uomo : perche il grand* Iddio ha voluto, che ilfuoUomo, che tanto ama, abbia quefti beni, e quefte grazie di piů degli animali , che anno fé non il fenfo , acciocché eflb Uomo pofTa con tali beni , e grazie confervarfě fano lungamente: talché la grazia č univerfale conceduta da Dio , e non dalla Natura , o da' Cieli. Ma l'Uomo mentre eh' č giovine , perche č piů fen-fuale che ragionevole, feguita il fenfo i ed effendo poi pervenuto ali* etŕ di XL. o L. anni , dee pur fapere , che allora č giunto alla metŕ della vita con favore della gioventů, e del, lo ftomaco giovine, favori naturali , che l'anno ajutato all'afcendere, ma chJ č per difmontare verfo la morte con 574 TRATTATO DELLA con disfavore della vecchiezza j e che la vecchiezza č contraria alla gioventů , ficcome č contrario il difordine aU' ordine . Onde č neceiTario di mu* tar vita nel fu©- mangiare , e bere , da" quali dipende il viver fano , e lungamente: ed eflfendo (tata vitafen-fuale, e fenza ordine Ta prima , bifo-gna che la feconda fia ragionevole , e con ordine j perche fenza ordine niuna cofa fi puň confervare , e meno dell' altre la vita dell'Uomo, ficcome fi vede in fatto , che il difordine nuoce , e l'ordine giova : ed č cofa imponibile in natura , che colui che vuole contentare il gufto, e l'appetito, non faccia difordine, e io per non fare difordine, pervenuto all'etŕ matura , mi pofi alla vita ordinata , e fobria. Vero č che a levarmi dalla non fobria ebbi difficoltŕ 5 e per levarla prima pregaiDio, che mi concedertela fua virtů della continenza , fapendo, che quando un Uomo vuoi fare una bella imprefa, che fa, che la puň fare, ma con difficoltŕ, pure la puň facilitare , deliberandoti ornatamente di volerla fare, e la fa : cosě mi deliberai io, onde mi pofi a poco a poco a levarmi dalla vita disordinata ,; e cosě a poco a poco mettermi ali*! ordinata? e con tali modi mi poi 3l-! la 1 VITA SOBRIA. 375 la vita fobria: talché dapoi a me non č (lata di doglia, febbene fui affretto a tenere tal vita ftrettiflěma alla qualitŕ, e quantitŕ de' cibi, e vini, fendo io come fono di trifliflima com-pleflěone : ma gli altri , che fono di buona, poflfono mangiare di molte altre forte , e qualitŕ di cibi, e maggior quantitŕ, e cosě bevere vini ; laonde febben la fua farŕ vita fobria , non perb ella farŕ vita ftretta, come la mia, ma larga. E udite le miera-gioni da quelli, e veduti li fondamenti, tutti conchiufero , che quanto io aveva detto, tanto era: ma uno piů giovine di.Te, che concedeva, che la graeia fofle univerfale , ma eh* io almeno aveva avuto quella grazia fpe-ciale di poter facilmente levarmi da una vita , e ponermi ali' altra , cofa ch'eflb trova per efperienza fattibile, ma difficiliffima a lui , ficcome a me facile, lo gli rifpofi, ch'eflendo Uomo come lui, eh' ancora č (lata a me difficile 5 ma che non č cofa one-fta il lafciar di fare una imprefa bella per difficoltŕ , perche piů che ha difficoltŕ , piů acquifta onore , e fa cofa piů grata a Dio; perche eflb de-fidera , che ficcome ha inftituita la vita a 11' Uomo di molti anni , che ognuno vi pervenga j fapendo , che' co- 37<5 TRATTATO DELLA, come l'Uomo pafla l'etŕ degli Scanni, eh' č liberato in tutto dalli amari frutti del fenfo, e pieno di quelli della Tanta ragione; talché a forza i vizj, e i peccati fi lafciano: e perň elio Dio defidera, che lungamente fi viva; e ha ordinato , che colui che vive al fuo termine naturale fopraddetto , che finifea la fua vita fenza male per ri-foluzione, eh' č un fine naturale, e un* ufeire d'una vita mortale> per entrare in una immortale , come avverů-rŕ a me, e fon certo, che morirň cantando le mie orazioni. Ne ora a me da- noja l'orrendo penfiero della morte , febben fo che per la lunga etŕ fono profumo a quella , penfŕndo che nacqui per morire, e che tanti fono morti in minor etŕ della mia? nemmeno mi da noja l'altro penfiero compagno del fopraddetto, eh3 č il timor delle pene che fi patiscono per li peccati dopo morte, perche io fon buon Criftiano, e fono aftretto a credere , che farň liberato da quelle per virtů del facratiflTimo Sangue di Crifto, che volle fpargerlo, per liberare noi fuoi fedeli Criftiani da tali pene. Oh efebei-la vita č la mia, o che felice fine farŕ il mio, E dette da me le fopraddet-te cofe, il Giovine non replicň altro, • fé non che dj(Te eh' era determěnafo di ^ met- VITA SOBRIA. 377 metterfi alla vita fopria» Per ^are un tanto avanzo, come aveva fatto io ; ma che ne aveva fatto un'altro molto importante , che ficcome aveva una gran voglia per lo fuo invecchiare, che ora defiderava d* invecchiare torto, per torto poter godere la godevole etŕ vecchia . ti gran defiderio , Reverendifs. Signore , che io aveva di ragionare con voi, mi ha sforzatod5efTer lungo, e sforzami di ragionare ancora » ma poco . Signore vi fono alcuni molto lenfaali, i quali dicono, ch'io ho gettato via il tempo. e la fatica a comporre il Trattato, e gli altri Difcorlě della vita fobria, acciocché ella fi tenga , perche č cofa impoflěbile a farla 5 laonde tal Trattato farŕ vano, come quello della Repubblica di Piatone , che s'affatico in fcriver cofa che non fi poteva fare, onde cpnchiudono, che il fuo Trattato č vano, e che cosě farŕ il mio. Di querti io molto mi ma-raviglio, che pur veggono nel Trattato , e* ho tenuta la vita fobria molti anni avanti che la fcriveflě, ne l'ave-rei fcritta, fé non aveflfi veduto prima, ch'ella era vita che fi poteva tenere 5 e anco conofeiuto, che giovava grandemente; ch'era virtuofa: ed ef-iendole io obbligato , fui aftretto a fcrivere, acciocch'ella fofleconofeiuta per 378 TRAT. DELLA VITA SOB. per quella ch'čj e fo» che molti vifto il Trattato s'anno pofti a tal vita,- e per Io pattato, come fi fňgge, molti Tanno tenuta ; talché la oppofězione, che cade in quello della Repubblica^ non cade nel mio della Vita fobria • Ma a tali fenfuali nemici della ragione , e amici del fenfň , fta bene, fé mentre procurano di faziare ogni lor gufto, e appetito, incorrono in trava-gliofe infermitŕ, e bene fpeflfo avanti tempo s'incontrano nella morte. AFO-- AFORISMI D IPPOCRATE E SUOI PRESAGJ LATINI,E VOLGARI.- Con la vita Jet Medejtmo, ed il Giuramento, e le leggi da tflňpreferiti*. VITA D' IPPOCRATE. IPpocrate rinomatiflěmo Medico , quello, dico, che da' fuoi Gentili fu chiamato il Divino il San-iiilěmo, il Principe, il Padre, lo Splendore, il Sostegno della Medicina, venne al Mondo , e-orae alcuni fcrivono, l'anno primo della Olimpiade ottante fi ma . Fu Greco , di Te (Taglia provincia confinante co*l'Attica; nacque in Coo Ifola infatti piccola , ma potente, e nella Cittŕ detta Co, e anche Cittŕ di Merope , nel rnefe Agriano nel dě 27. regnando Abriada. Suo Padre chiamoffi Eraclida , fuo Avo Ip-pocrate primo, amendue Medici : fa Madre aveva nome Praffitea .figliuola di Fenarete. Ojiefto Ippocrate fu del-h famiglia di Afclepiade, e di razza, di Medici traendo 1' origine fin da Efcn-lapio; da Cui contavafi. nel grado di-ciaflTectelěmo per linea retta. Sette Ip-pocrati tutti Medici fi numerarono nella fua famiglia, ne cib recherŕ ma-raviglia qi^alor fi rifletta , che pre/To gli antichi era proprio , che aJ fi-jlitioli primogeniti s'imponeHe 11 no- VITA tue del Padre ancora vivente. Uno di quefti fu fuo nonno , gl'altri fuoi tolleri , ne allora i figliuoli provavano % roflTore in apprendere TArte del fuo Genitore , ne a* Genitori rincrefceva Tiflruire co5 la fuavoce i fuoi figliuoli nel meftiero paterno . Il diftintivo che dava/ě ad Ippocrate Padre della Medicina dagli Ippocrati fuoi con-fanguinei fu che lo effigiavano, o dipingevano, co'la teda coperta co'la fua tonaca , o pallio * perche in tal guifa egli n' andava ; della qual cofa qual ne fofle il motivo > fono cosě varie le opinioni , e cosě naufeofe , che voglio trapalarle fotto fileozio » dan-t done io una che farŕ giuftiflěma , eil č che egli andafle col capo coperta perche ji'avea Tufo, e vi trovava qualche comodo, o profitto per fua riparo: ficche non occorre farvi fopra altre meditazioni. Ricevette egli gli ammaeflramenti primi dell* Arte da (uo Padre, poi da ErodicoSelibriano.* e dappoi «da Gorgia JLeontina Orator e Filofofo* ed in progreflo di tempo s'intromeffe nell'amicizia di Democri-to . A quefto propofito avvenne ad Ippocrate una graziofiffima cofa. Gli Abderiti vedendo , che il lůo concittadino Democrito faceva certi atti non i agli altri uomini : come per .de in-. i p* IPPOCRATE. 38? efempio 'che di tutto fi rideva : qualunque cofa fofle, lieta, o funefta, di profitto, odannevole, pereflb luifer-viva di materia da ridere. Mangiava fu l'erbe come le beftie, flava per la campagna, e per le forefte qua! fiera, aborrendo l'umana y e civile coaverfa-zione ne penetrando il mifterodifimi-le filofofia fi dieron a credere che De-mocrito a ve (Te dato volta al cervello % e commjfeTando l'acerbo cafo di quel grand* uomo , che (limavano il teiňro della fua patria, radunato il lor Senato prefero per efpediente di chiamare a tutto cofta il Medica Ippocrate a lor ben noto per fama, accib n*andaf-fe a rifarjare dalla pazzia il delirante concittadincr. Fu fcritto perordin pubblico al Medico, ed ei accettb 1*invito, e di buona voglia n'andň in Ab-dera» Trovb alle porte uomini, donne, ragazzi, la Cittŕ tutt* affollata per vedere il Medico venuta appofta per guarir dall'infania il Tuo caro Demo-crito* Perdo chi andandogli avanti , chi feguendolo* chi da' lati facendogli ala, lo accompagnarono in traccia del luogo, dovefňggiornava 1" infermo fu p-pofto. Eravi nn'elev-atacolliriaombro-fy, di alti, e folti alberi, fu cui vede-vanii i luoghi, dove fi tratteneva De* Lo trovb che Cedeva (otto di L- 3?4 VITA mi folto ombrofo platano con una vede .groilňlana che non gli copriva neppure lefpalle, difcalzo , che avea per fedile un fedo, moltofmorto, e macilento, con Junga barba , e fňlo . In fito che un rufcelletto gli fcorrea fu la delira de-fcendendo dal colle . Teneva ne fu le gěnocchia in acconcia pofitura un libro, ed altri ancora n'aveva intorno dall'una, e dall'altra parte. Gli Ab-deriti che ne (lavano dappreflb co1 le lagrime fugli occhi dicevano ad Jppo-crate: vedete, » Signore, cht vita fi queft* uomo , quanto vaneggia : non [a ciň che voglia, ne ciň cbe fajft. Perche vedevano aver egli intorno diverfě animali fatti in pezzi : e che dTo talor in fretta mjčttevafi a fcrivere, talor tra-lafciava'V ftando in fé ilefifo lungamente raccolto e meditando . Dappoi fatto quefto forgertdo ne paleggiava , e fi metteva a guardare le vifcere degli animali, e pofate quelle tornava a federe . Fuvvi un certo de'Circo (tanti , che per far chiara la pazzia di Demo* trito fi pofe a farefchiamazzo corsene fa una donna q«alor l'č morto un figliuolo , o come un patteggici-e, che qualche cofa di prezzo perduta n'aveflT©.* Ma Democrito udendo q uč ilo, tralasciato lo fcriver fuo, parte fra.feftef-ib ne rideva, e parte queJU perfooi D' IPPOCRATE. 38? co'le rifate, e con crollate difettane beffeggiava. Il Medico allora fatte fermare le genti che lo circondavano : lanciatemi, ditte loro, in libertŕ, aceto me gli accofti, e riconosca la [uŕ infermitŕ. Se gli approffimň pertanto il buon Ippocrate : il {aiutarono fcambie-volmente e con affetto. Ippocrate di-mandolli la cagion del fuo riderei ed ei lo foddisfece con lunga diceria, che fi rende fnperfluo il narrarla. Lo ri-chiefe altresě Ippocrate che cofa fteCib ferě vendo: ed ei gli rifpofe : Scrivo del-la pazzia, in quefii animali vado rintracciando ciocche ne fia , e dove ftia collocata la bile, che fi č la cagione del furore degli uomini aualora ne fovrab-bonda. Tutt ' infatti l'abbiamo ; chi piů t chi meno : ed altre molte cofe gli fog-giunfe, che non foltezza , ma molto fepere gli dimoftravano. Č voi, 0Ippocrate, ditte dappoi , che fete venuto a fare in quefta folitudine? Per vedere-la voftra perfona , e parlare con ella mandatavi dalla voftra patria, dijje lp-> pocrate. Dopo tenuto infomma , lun-ghiflěmo difeorfo iniěeme . Ippocrate prefe congedo proteflandofi di aver molto apprefo dalla di lui fapienza « E fatto ritorno a qiui che lo afpet-tavano , per intendere la relazione della infermitŕ del Filoibfo: Vi Jfor. d'Jpp. R rin~ ? V r T A ringrazio molto, o Abderitě , diffe, che per voflro mezzo ho parlato con Demo-crito , e molti bei documenti rě ho ap-prefi y che tengo in pregio maggiore di tutto quanto V'oro potejs* io mai acqui-ftare. Conciatevi, e pappiate certo} che egli non č impazzito , ma egl* č uomo favijfimo, prudzntijftmo, dotti/fimo . Per tornare fui filo della Vita d'Jp-pocrate, dopo la morte del padre gli toccb a partir dalla patria , per efle-re flato sccufato , ( fotte calunnia, cppur veritŕ ) che avendo in cufto-dia la pubblica libreria ei n5 aveffeda-ti alle fiamme tutt* i libri antichi di Medicina . Che ciň ei faceflfe difatto non č probabile in un'uomo di tanta integritŕ qual ei n'era; che foffe un* impoftura piuttofto č verifimile, non mancando alle perfone dotte e dabbene gli emoli, e gl'invidiofi di quello fpjendore, che veggion forgere fopra la loro ignoranza . Infomma ne partě dalla patria, e viaggio per molte pro-vincie efercitando l'Arte della Medicina , e acquiftando la cogniEione pili efatta dell' erbe , e de' rimedj proprj delle infermitŕ dell* uomo ; perloche acquidosi gran nome in ^iverfi paefi principalmente nel curare la pefte. Il colmo dellla fua rinomanza fu al tempo di Perdicca Re di Macedonia, •a cui D'IPPOCRATE. 587 a cui ne fu molto in grazia . Regnava altresě nella Perfia Artaferfe Lon-gimano ne'medefiini giorni, che n'era peraltro nemico de'Greci . Aveva quefto Monarca un efercito numero-fillěmo; ma la peftilenza T invafe , e ne faceva firage tale , che V andava confumando a bellagio co la falce della morte . Smaniava difperato Artaferfe non trovandoli fra*fuoi chi fapef-fe poner freno 3 cotefto mal furibondo. Parte dalla pubblica fama, parte da'Prefetti delle Provincie gli fu po-fto d'avanti gli occhi 'ě valore , e la perizia del Medico di Co, perciň prc-fé per efpediente di fcrivere al Prefetto Iftanide di quefto tenore. Il Grande Artaferfe Ré de* Regi ad lfianid; Prefetto del?Ellefponto. „ La rinomanza, che tiene nell'ar-„ te fua Ippocrate Medico di Coo , „ che tira la fua origine da Efcula-„ pio , n*č giunta eziandio alle mie „ orecchie . Darete adunque a lui 3, quant*oroche vorrŕ , e tutto quan-„ to gli farŕ di bifogno, e mandatelo ., a noi : che ne iarŕ equale a' primi „ della Perfia. E fé nell'Europa vifa-„ rŕ qualche altra perfona infigne % „ rendetelo amico della noftra cafa: R 2 „ Rea- 2*8 VITA }) Reale , fenza riiparmio di tefori . „ Stante che ritrovar uomini di con-„ figlio eccellente non č cosě facile . „ State fano. Iftanide fcritfe ad Ippocrate la lettera feguente . „ II Gran Re Arteferfe ha bifogno „ di voi, e ha fcritto a noi fuoi Pre-„ fetti imponendoci che vi diamo ar-„ gento , oro , ed ogn' altra cofa di „ cui afabifognate , e che Ha di vo-j, ftro piacere 3 e che fpeditamente vi „ mandiamo a lui : che vi renderŕ „ eguale a1 primi perfonaggi di Pef-,, fia: perciň non tardate ad andarvi. w State fano. Ippocrate gli die' la feguente ti- \ fpofta . Ippocrate Medico ad Iftanide Pr#-fetto deWEUtfponto* Allegrezza. „ Alla lettera che mi avete invJa-„ ta dicendo che viene dal voftroRe, „ mandategli quefto mio fentimento „ in rifpolta : di vitto , veftito , abi-„ tazione , e di altre cofe pel mio vi-,, vere necefěTario , ne fon proveduto n con fufficiente abbondanza, Dipre- „ valer. D'IPPOCRATE. p „ valermi poi de'tefori de'Perlěani a „ me non conviene j ne venir a li-„ berare dalle malattie uomini bar-s, bari, che de' Greci fono atroci ne-,, mici. State fano . Die'nelle furie il potentifllmo Re vedendo difpregiate le fu e ampliarne offerte, e la fua amicizia da un uomo privato, da un femplice Medico,* perciň confidato nella potenza grande che avea ftimb di far il fuo colpo co* le minaccie, fcrivendo alla Cittŕ di Co la lettera feguente. ' TI Grande^ Artajerfe Re de* Regi a Coi cosě dice . „ Confegnate a' miei Ambafciadori ět Ippocrate " Medico , uomo di mali-„ gni coftumi, e che sfacciatamente )y tratta co'lamiaperfona, e con i Per-,, fiani. Altroché no vi accorgerete, „ che a voi toccherŕ pagare la pena „ del fuo peccato. Stante che metterň 5, in conquaflTo la voftra Cittŕ , e 1* „ Ifola voftra fatta in pezzi conver-„ tirň in mare di modo che neltem-„ pň avvenire Hiun fappia, che in co-„ tefto luogo fia ftata l'Ifola, olŕ „ Cittŕ di Co . Neppure cotefte terribilifrime minaccie fecero il colpo defiderato , per-R 3 che 5p VITA che quei cittadini diedero agli Amba-fciatori Perfiani la prefente coraggio-fa rifpofta. Rifpofta della Cittŕ di Co. „ II Popolo ha giudicato proprio di „ rifponrěere agi' Ambafciadori man-„ datila Artaferfe ne'termini feguen-„ ti. I cittadini di Co non faranno „ mai una cofa che fia indegna di „ Merope, ne di Črcole, ne di Efcu-j, lapio . Perň niuno di noi darŕ Ip-j, pocrate nel'e voftre mani , ancora 3, che tutti della noftra Cittŕ dovef-5, fero perire di morte atrociflěma . „ Effendoche Dario altresě , e Serfe „ avendo fcritto lettere e richiefloda' „ noftri padri la terra, e l'acqua, la 3, noftra gente non diede lor alcuna 3i cofa: vedendo che quegl'ifteffi che ^contro di loro venivano fi erano 3> mortali come gli altri uomini. Pre-„ fentemente ancora ne da la me-„ defima rifpoila . Partite da quefti j, confini, giaccheIppocrate nonvien „ dato nelle voftre mani . Riferitegli „ adunque come Ambafciatori , che „ gli Dii medefimi non trafeureranno 3, la noftra difefa. Fu cotanto grata a'Greci una tal benevolenza verfo la loro Nazione , e la D'IPPOCRATE. 301 eia continenza d'Ippocrate nel rifiuto delle offerte del Re Perdano , che la Repubblica di Atene con folenne pubblico decreto fene dichiarň riconofcen-te , comandando che Ippocrate fotte ammefTo aJ facri mifterj , come Črcole figliuolo di Giove, e che fottecoronato con una corona d'oro dě valore di mille feudi d'oro ; e volle che tutti i figliuoli de'cittadini di Co potettero pafTŕre la fua etŕ in Atene come fé fottero Atenied, per avere la loro patria dato al Mondo un sě grand' uomo . E che ad Ippocrate nel Prita-neo vi foffefempre finche viveiTe r apparecchiata e ftanza, e mantčniaien-to neceirario. Vifle quell'uomo una lunga etŕfem-pre con fo:nma gloria dell'arte fua curando , e infognando a' discepoli con foftenutezza e riputazione , ma non gli ammetteva a'fuoi ammaeftramen, ti fé prima non fi obbligavano adof-fervare il giuramento da e(To fatto , che in apprettň farŕ da noi portato . Jleftituě la fanitŕ a PerdicaRe di Macedonia il quale credevafi , che pie-gaffe a divenir tabido , Ippocrate a-veqdo fcoperto etter il diluě male anzi pattěone amorofa , da tal male la refe fano, onde indi a poi lo tenne quel Re in flima molto maggiore, e R 4 acca- 392 VITA accarezzandolo con beneficenze lo vol-ěe nel fuo regno per qualche fpazio di tempo . VifTe , diflě , vita lunga : dicendo alcuni che arriVafle agli anni 8j. , altri a 90. , altri a 104. ed altri fino a* 109. In cofe di antichitŕ sě rimote convien perdonare in qualche parte fé non fi accertano appunto gli avvenimenti iftorici, come ben provano, quei che flitdiano le antiche cronologie. Morě preflTo i LarifTei , e fu fepel-Jito fra LariflTa e Girtene nella Tef-iaglia : lafciando due figliuoli Teflŕ-JOj e Dracone, i quali n' iftruě parimente nell'Arte fua, che fi dice, ef-ferne riufeiti ancora preftantiflěmi SVIedici. Dicono che fcrive/Te cinquanta tre libri. Di quelli che a' di noftri fi ha cognizione ne raccoglia ino un Catalogo, febbene non tutti fono (limati alTolutamente fuoi parti ; alcuni ef-fendo controverfě , ed alcuni creduti afTolutamente apocrifi. Libri che fi anno d'ippocrate. „ 1. Liber de Arte. 2. De veteri „ Medicina. 3. De decenti Ornatu . „ 4. Praeceptiones. 5. De natura ho-„ minis. 6. De falubri Diaeta. 7. De „ Geni- „ D'IPPOCRATE. 393 „ Genitura. 8. De natura pueri, five foetus. 9. De carnibus . io. De fe- ptimeftri partu. 11. De odimeftri „ partu. 12. De fuperfaetatione . 13. „ De exedione foetus. 14. Da Denti-„ tione. 15. De corporum refe&ione. ,, 16. De corde. 17. De Glandulis . „ 18. De oflium natura. 19. De lo-„ cis in nomine Sedi. IL 20. De ae-„ re, aquis, & locis Sed. II. 21.De „ flatibus. 22. De medicaraentis pur-„ gantibas . 23. De viflus ratione. „ lib. III. 24. Deinfomniis, 2$. De j, alimentisi 16. De humidorum ufu. „ 27. De humoribus . 28. De morbo „ facro. 29. De morbis. lib. IV. 30. „ De affeaionibus Seft. II. 31. De in-„ ternis afFedionibus . Sedi:. III. 32. ,> De Virginum morbis . 33. De na-„ tura muliebri Sed. III. 34. Demor-„ bis muliebribus. lib. IL 3$. De fte-ět rilibus. 36. De morbis popularibus. jj lib.- VII. 37. De viclus ratione in „ morb. acutis Seti. IV. 38. De Judi-„ cationibus. 39. De diebus Judica-„ toriis. 40. Lib. Aphorifmorum Seňl. „ VII. 41. Lib. Praenotionum. 42. lib. „ Praediftionum. IL 43. Coacae prac-„ notiones. SeA. III. 44. De capitis vulneribus. 45. Chirurgiae officina. 46. De fraduris Sed. III. 47. De articulis Sed. IV. 48. De ulceribus R 5 „ 49. „ 394 VITA >j 49- De fiftulis. 50. De haemorroidi-„ bus. 51. De vifu. 52. Epiftolae. 53. 3, De hominis ftructura. Ippocrate , per quanto vien detto , č fiato tradotto in varj linguaggi , e in fpecie nell'Arabico . In franzefe č flato portato da Andrea Dacerio e ftampato in 2. Tometti in Parigi 1' Anno 1697. Non farŕ dunque difcaro a' noftri Italiani , e principalmente a quegli Studio-fi che non poffeggono V intera franchezza della lingua latina, feprefentiamo loro gli Aforifmi volgarizzati nella noftra lingua Italiana col fuo tefto latino di fopra, accio chi trovaffč dell' intoppo , o della ofcuritŕ nel volgare, poflfa farne xicorfo all'originale latino . GIURAMENTO D' IPPOGRATE J)a ojjervarjt da ogni Medico one-fto , e Crtftiano. I. T O giuro ad Apollo Medico , ad Y Efculapio, ad Igea, e Panacea C al Sommo Dio dee dir un Criftiano ) e ne chiamo in teitimonj li Dei tutti, GIURAMENTO 39$ ti , e le Dee ( dite voi li Santi , e h Sante dd "Paradiso ) di o/Tervare efattamente per quanto permetteranno le .mie forze , e i giudizio mio, quello giuramento, e la prefente conteftazio-ne pňfta in quefta carta, e prima: II. A quel Maeftro (0 Miuftri) da cui n* averb apprefa quell'Arte, prometto di tenerli come miei genitori , di rendere la vita mia comune alla loro, e di compartirne tutto ciň che da mepoteOTero aver dibifogno: e quei parimente che nati dal mio maeftro faranno, gli riputerň come miei fratelli carnali ; e fé vorranno apprendere quell'Arte la infognerň loro fcrm mercede, o altro verun patto, eren-derolli participi de'precetti, ed avvilě , e di tutta la medicina! Difciplina cosě i figliuoli miei, e del mio Mae-ftro, anzi faro lo fteflb a* miei' Difce-poli, che mi aflfěcureranno in ifcritto, e fi aftringeranno col prefente giuramento: ad alcun altro poi, oltreque-fti, non giŕ. HI. Ma per quanto n'appartiene al rifanar degl*infermi n' aflTegnerň loro una Dieta, fecondo il mio poter , e mio giudizio, lor adattata, e ne ter-rb lontano tutto ciň ne poteflTe arrecar danno, o ingiuria. IV. Ne le preghiere di alcuno poi R 6 ave- 39<$ D'IPPOCRATE. averanno tal forza pretto di me, di dare il veleno a perfona del Mondo , ne a fare una cofa fimile a veruno fomminiftreronne configlio. V. Slmilmente ad alcuna donna non darň mai ne per bocca , ne da altra parte , cofa che pofla difperdere il concetto, o il feto. VI. Inoltreconferverb lamia vita, e 1* arte che profetň , lontana da o-gni cofa che difonefta ne fia, e difdi-cevole. VII. Neppure faro il taglio a quei che patifcon di pietra, ma Jafcerň operare a'chirurghi che pratici fiano idi tare tal cofa. Vili. Nelle cafe di ehichefia n*entrerň n" avrň la mira al profitto degli ammalati , e mi atterro dal recare qualfifia forta d' ingiuria volontaria, e altra offefa, e principalmente dao-pere di difoneftŕ mi atterrň con ogni sforzo, fé mi accaderŕ di toccare corpi o di femmine , odi mafehi , o di perfone libere , o di fchiavi , che n' anderň per curare. IX. Qualunque cofa poi nel medicare mi accaderŕ di vedere, o udirei anzi ancora che io non fofli chiamato a medicare, e nella vita comune degli uomini perverrŕ alla mia cognizione , fé non faranno cofe che per pro- fitco GIURAMENTO 37 fitto debbano palefarfi, la tacerň , e com' un arcano la terrň celata dentro al mio feno. X. Se dunque puntualmente io n# ofTerverň quefto mio giuramento , e non l'altererň, prego il Cielo di godere felicemente della mia vita , e della mia arte , e che pre/fo tutti gli uomini la mia gloria pubblicata ne venga in perpetuo. Che fé ne farň fper-giuro, e trafgreflfore tutte le cofefud-dette contro al mio defiderio n'accadano. LA LEGGE IPPOGRATE LA Medicina fi č la piů eccellente delle Arti tutte. Ma per l'imperizia di color che 1' efercitano , e la rozzezza del Volgo che perfone tali ne giudica e tiene per Medici , ora-* mai la cofa n' č giunta ad un fegno , che ne vjen riputata per la piů vile di tutte . E quella mi pare che principalmente fiala cagione, per cui un tal error vien commeflň." Attefoche alla fola Medicina nelle cofe pubbliche niuna pena n'č ftabilita, eccetto che d'ignominia 5 ma queft1 ancora non afflig- 598 LA LEGGE affligge , e non tocca coloro, che a bella porta anno afTunto la perfona e la mafchera di efTa. Stante che tali Medici fono fimiliflfimi a cjue'perfo-naggi j che nelle Tragedie s' introducono fu'teatri. Imperciocché ficcome quelli n'anno bensě la figura , 1' abito , e 1' apparenza di coloro che rap-prefentano, ma veramente non fono eglino fteflě : cosě i Medici di fama , e di nome fon molti di numero , di fatti poi, e di operazione fon molto pochi. Attefoche chiunque veramente vorrŕ far acquifto della fcienza della Medicina, bifogna che ne giunga a' fuoi defiderj fotto le fcorte fe-guentii: 9^' la Natura ], co31* a-rnm serraménto, *co*l luogo' atto a ftudiare, col darvifi da fanciullo t co* l'applicazione , e col tempo. La prima di tutte le cofe fuddette bifogna che fia 1' inclinazion naturale . Stante che dove la natura ripugna fi fatica in vano . Laddove fé la natura ci fa ftra-da , T ammaeftramento dell5 arte procede bene, e con facilitŕ, della quale convien far acquifto con prudenza , dimodo che vi fi aggiunga la iftruzion da fanciullo, equefto in un luogo da potervi effcre iftruito . Di piů poi vi fi ricerca l'induftria, Io ftudio per lungo tempo, in cui la Di- ici- D5 IPPOCR ATE. 399 fciplina, o gě' ammaeftramenti appre-fi, ne producano con felicitŕ e profitto i frutti fuoi. Stante che della fcienza Medicinale fi puň dire quello - che fi dice delle cofe dalla terra prodotte con piena fimilitudine: perche la Natura nortra fi č come il campo, grinfegnamenti de'Maeftri quali; i femi, L'inftituzion puerile concorda con quello della terra , che fa d* uopo che i femi fiano fparfi nel campo al fuo tempo opportuno. Il luogo poi, in cui fi da l'infegnamento, n* č come l'aria ambiente, dalla quale ne viene il nodrimento alle cofe che van nafcendo. L* induftria o lo (tu-dio n'č la coltura. Il tempo alla fine corrobora tutte quelle cofe, acciň ne vengano ad una nutrizione perfetta. Portate adunque coteftecofe, e preparatecele per 1* Arte Medicinale , e acquiftata una vera cognizione della medefima, finalmente viaggiando per le Cittŕ non di nome folo, ma co'l'operazione conviene che lě faccian tenere per Medici . Mer-cecche l'imperizia fi č un trifto te-foro, e ricchezze infelici per coloro, che fé la tengon riporta; č un fogno, o per meglio dire, un fognodi-urno, e veriflěmo, privo di allegria, di fiducia, e di un vero giubilo, no- dri- 400 L A L EG G E dritivo di timidezza^ e di temeritŕ » La timidezza denota impotenza , la temeritŕ ignoranza dell' Arte . Imperocché due cofe vi fono, la Scienza, e l'Opinione: la prima delle quali infatti da il fapere, la feconda 1' ignoranza. Ma le cofe facre fi fanno pa-Łefi agli uomini confagrati j a'profani non č conveniente faperle innanzi che fiano ben iftruiti de' mifterj di qualche Scienza. AFORISMI DIPPOCRATE Latini, e Volgari- SEZIONE PRIMA. AFORISMO I. Vita brevis , ars longa , tempus pneceps, experimentum pericu-lofum, judicium difficile . Opor-Ut autem non folum feipfutn exbiberc quée decsnt facientem, [ed etiam qua extsrna funt. I. La Vita (dell'uomo) č breve, T Arte C della Medicina ) č lunga ( da impararjě) il tempo č fugace , l'efpe-rimento porta feco del pericolo , il giudizio fi č difficile . Bifogna poi , che non folo ( // Medico ) procuri di fare quanto conviene , ma 1' infermo altresě, e gli ailěftenti (ali'ammalato) e le cofe efterne , ( vi debbo» concorrere. ) ,, NOTA. Ippocraterende ragione „ in quefto primo Aforifmo per qual „ moti- 4 AFORISMI motivo fi dia a compendiare la Me-„ dicina afofilaicamente, il qual čia ,, lunghezza di tal'arte, la brevitŕ di „ noftra vita ; la velocitŕ del tempo ,, nelle infermitŕ, che non permette „ di andar allora ftudiando gě' infe-„ gnamenti fpariě fu* librj , Racconta „ quante cole concorrono al rifana-„ mento: l'infermo fte.To co' 1' ubbi-„ dienza, e rafTegnazione agli ordini „ del Medico: gli affittenti , col non „ trafgredire gli ordini avuti tanto nel „ dar l'alimento, come ne'medicina-„ li. E che finalmente neppnr tutto-„ ciň bada, ma vi vuoi il concorfo-„ delle cofe efterne : le impreffioni „ dell'aria, le mutazioni delle Itagio-jj ni, ed altre molte che alTimprovi-„ fo ne poffono accadere, ed impedi-„ re non fi poflbno. II. In perturbationibus alvi , iy> vo-mitibus fponte jientibus, fiquidem qua-Ha purgarioportet, purgentur 3 confort, iy> leviter ferunt. Sic <& vaforum va-cuatěo fi quědem talis fuit qualis fieri de-bet, conferě & bene ferunt. Sin minus, vice verfa. Infpicere itaque oportet re-gionem , tb* tempus, i^dstatem^ &mor-bos in quibus convenit, aut non. II. Ne* fconvolgimenti dell' infimo ventre, e ne'vomiti che di per fé ne vengono, fé ne fegua lo fpurgo delle mate- SEZIONE I. 40? materie qual fi conviene, fé ne prova giovamento, e (gl'infermi)felicemente '1 fopportano. Cosě ancora il vuo-tamento de'vafi, fé farŕ feguito come ne conveniva, fé ne prova giovamento, e ( i pazienti) ben il fopportano. Altro che no: tutto il contrario n'avviene . Bifogna pertanto riflettere alla qualitŕ del paefe,alla ftagione, all'etŕ , e quali iěano i mali, in cui ciň ne conviene, o no. „ NOTA . Infettano l'infimo ven-„ tretre mali; ladiarrea ch'č ilfluf-„ fodi feccie fciolte con umori, e con „ qualche mordacitŕ ; la difenteria , )y eh'č flutto di umori acri corroiěvi 3, con fangue, e dolore negl* intefti-„ ni j e la lienteria, eh3 č fluflb fan-„ guigno detto fluflb epatico . Nella 3, evacuazione de'vafi in altro luogo ,} n'ha avvertito che cotefta non č „ bene che fia fatta tutta in una vol-« ta, come nell'idropifia non tutta 1' ,j acqua, ndl' Empiema non tutta la „ marcia dee vuotarfi : perche fi fa-„ rebbe una grand* evaporazione di 3, fpiriti, valevole a recarne la mor-„ te. Cosě ne5 vomiti fpontanei talora „ un vomito mediocre puň giovare , « un maggiore puň nuocere . Onde 3, Ippocrate foggiugne, chele cofeda „ lui dette in querto Aforifmo non bi- . fo- 404 AFORISMI ,, fogna prenderle aflblutamente , ma „ ponderare le forte dell5 infermitŕ , „ fé in effe ciň ne convenga ,o no j „ confiderar l'etŕ, la (ragione, ec. III. In exercitantibus boni habitus ad fummum progredě periculofi funt , fi in estremo fitennt. Non enitn manere póf-funt in eodem, neque quiefeere . Quum vero non quiefeunt, non amplias in militi s augefeere poffunt. Re li quum eft igi-tur ut decidatit in deterius. Ob has igi-tur caufas bonam habitudinem non tar' de folvere conferě, quo corpus rurfus rc~ nutritionisprincipěum fumat. Neque ve* rň collapfiones ad extremum ducere opor-tet , periculofum enim eft . Sed qualis natura eft ejus, qui perferre debet { ad hoc ducere conventi. SimiUter autem ér evacuationes ad extremum ducentes , pe~ riculofa funt, &> rurfus renutritiones in extremo exiftentes periculofie funt. 3. Gli abiti buoni di corpo, quali farebbono ne* lottatori, o altre perfo-ne che ftanno fu V efercizio di forze (od* altre di perfetta falute ) giunti che faranno all'eUremo {grado di fu a bontŕ) ne fono pericolo^ fé ivi ftaran-no. Stanteche non potendo ftare in quiete affoluta, e non potendo divenir migliori, ne vien in confeguenza che ne vadan in peggio. Per tali motivi dunque bifogna fenza dimora feio- glie- SEZIONE!. 405 .gliere nn tal buon abito aceto il corpo incominci di nuovo a nutrirli . Nemmeno le compreffioni ( gli aftringimenti di ventre) debbon ridurfi ali' eltremo, perche porta pericolo. Ma bifogna tirarle al fegno che puň comportare la natura dell'infermo. Similmente pure l'evacuazioni che tendono all'ertremo recan pericolo s ed altresě le renutri-sdoni che fiano in grado eftremo fono pericolofe. „ NOTA. Un abito di buona fa-„ Iute, detto abito atletico, qualor n* ...„ č giunto al fommo di fua perfezio-„ ne ne dee recare fofpetto grandif-„ fimo. Si puň morir improvifamente „ non per altra cagione, che per co-„ tefto abito perfettitfěmamente buo-„ no , tanto che non etfendo i vad „ piů valevoli a refiftere alla pienez-,, za degli umori, debbono romperfi, ,3 o fermandofi i liquidi tutti ad un ěy tempo apportarne la mocte. Perciň „ chi teme in fé tal difgrazia fciolga. „ tal buon abito co' 1' attinenza, e Te „ il medico ne fia ricercato n'impon-„ ga il falaflb, o un purgante, ridu-,, cendo quel corpo a fčgno d' aver yy bifognodi nuova nutrizione. In fom->ĚL ma qui dice Ippocrate che tutti ,, gli eftremi fono viziofi: fianó ema-,» ciazioni fěano rifezioci . La medk>« « eri- 405 AFORISMI 3J critŕ , e la ftrada di mezzo farŕ „ fempre la piů ficura. IV. Tenue's, &> exafli viBus & in longěs femper ttffeBionibus , &> in acu-tis ubi non expedit , periculofi funt , (& rurfus viBus ad extremam tenui-tatem progrejfi difficiles funt . Et re-pktiones ad extremum progrcfěje diffici-les funt.. 4. Gli alimenti tenui, ed efatti ne* morbi lunghi fempre , e negli acuti , quando non convengono per altro, fono pericolofi, e parimente una dieta che fia giunta aireftremo di tenuitŕ , č gravofa, e non facile da praticar* fi . Come pure le ripienezze eftreme. non fono al cafo. ,, NOTA . Né' mali cronici non „ vuole afTolutamente Ippocrate una „ dieta efattamente tenue ,-attefoche le „ forze dell'infermo non reggerebbo» 3> no alla lunghezza della malattia , j, e ne' mali acuti dice talora non 3) convenire una tal dieta cosě efatta, „ che ie poi fiamo in termini che con-„ venga, noi contradice . Parimente .„ afferma che l'eftenuar troppo l'in-,, fermo co* 1* attinenza , e tenuitŕ d* „ alimepti , ne troppo nodrirlo, non „ č mai proficuo, tna che la via mez-%i zana farŕ fempre la piů ficura V. /» tenui vi Su delinquentes. S E Z I O N E I. 407 tantes mctgěs laduntur . Omne enim de-UBum, quod commini poterti , magts magnum committitur in tenui quam in paulo pkniore viBu . .Quapropter eticim in fanis periculojus efl valde tennis, {91 conflětutus, ac exaBus viHus ; Quoniam defitta graviusferunt. Ob hoc igitur tennis , ^» exaflus viBus periculofus eft magis quam paulo plenior.. 5. Gl'infermi che commettono falli nel vitto tenue offefa maggior ne rifentono. Attefoche ogni errore che potrŕ commetterli , rifulta fempre piů grande nel vitto tenue , che in quello eh' č un poco piů pieno. Perloche ne' fani altresě pericolofo fi č un vitto afTai tenue , afTegnato , efatto ; per-che meno reggono agli errori . Onde il vitto tenue, ed efatto porta pericolo maggiore , che il vitto un poco piů pieno. „ NOTA. Tanto gl'infermi-, quan-„ to i fani, dice Ippocrate , in que-3, ilo Aforifmo che fé errano in of-„ fervare una dieta tenue, e appun-„ tata loro 4al Medico , ne rifentiran-,, no offefa piů grave , che fé la die-v ta farŕ un poco piů piena . Perciň „ quefta in generale ne approva x „ accio non il arrechi danno in „ quel punto , che fi pretende gio-a, vare. VI. 4 AFORISMI VI. Ad extremos morbos , exaHe ex* tremň curationes optimi funt. 6. A* morbi eftremi, gii efatti eftre-mi rimedj fono i migliori. „ NOTA . I rimedj eftremi , di „ gran violenza bifogna rifervarli a* „ mali eftremi quando fono neceflarj: „ ne1 morbi non cosě gravi convěen „ attenerli da purganti gagliardi, e „ da copiofe cavate di fangue : le „ quali due cofe qualor non pregili-„ dicano al rifanamento deirinfermi-„ tŕ , pregiudicano al riftabilimento „ delle forze nella convalefcenza. VII. Ubi igitur peracutus efl morbus, ftatim etiam extremos labores babet, is* extreme tenuijfimo viUu uti necefse eft , Ubi non, [ed pleniore villu uti licet , in tantum fubdsfcendetidum eft , in quan~ tum morbus extremis mollior fuerit. 7. Quando adunque il morbo fi č molto acuto , tolto ancora ne ha il fuo termine, ed č necefTario metter in opra un vitto tenniflěmo. Qualor non (č tanto acuto) ma che ptio tifarli vitto piů pieno, fi potrŕ effer indulgenti a mifura che il morbo farŕ piů rallentato ( e piů fontano ) da' morbi e-ftrerrii, < e molto acuti.) „ NOTA . Coftituifce la dieta a* „ mali fovracuti , che in pochi gior-n ni terminano U fuo periodo: agli acu S E Z ě O N E I. 409 „ acutiflěmi un vitto tenuiflěmo , a „ que' poi, che tanto acuti non fono „ condefcende con un vitto un po-„ chetto piů pieno a proporzione di „ quanto il male fi difcofterŕ dair „ ettremo dell'acutezza . Vili. Quum in vigore fiterit mor~ bus , tane tenuějftnto viRu itti neeeffc eft. 8. Qualor il morbo fi troverŕ nel fuo vigore , allora č necefTario ufare «n vitto tenuiflěmo. „ NOTA . Ogni malattia naturale „ fi diftingue in principio, aumento» „ flato, e declinazione , ne puň paf-„ farfi dal principio alla declinazione „ fenza far paffaggio per Y aumento, „ e lo flato. Qui per vigore del mor-y, bo s'intende lo flato quando la na_ „ tura ha piuchemai da fare col ma-„ le a fine di vincerlo, farla fuacri-„ fi, e piegarlo alla guarigione : onde „ non bifogna ritrarrŕ , occupandola „ a digerire gli alimenti 5 ma per ne-„ cefTitŕ convien darle un vitto il1 pi» „ tenue che mai : giacche poco dee „ ftare in una tal pofitura. IX. Simul autem confidare oportet ? att teger ex viHu durare pojftt ad morbi vigorem > (?> utrum ille prius dejěciet , & ex viBu durare non pojftt , aut moir--bus prius deficiet, & obtundetur . Jfflpp. $ o.Neli 410 A F O R I S M I __p. Nel tempo fte/To poi bifogna far congettura fé l'ammalato con tal vitto pofTa durare fin* allo flato del morbo, o fé egli andrŕ mancando prima, e con tal vitto non pofla durare» oppar il morbo prima ne calerŕ, e ne farŕ ribattuto. „ NOTA . Qual debba eflere 1* or-,t dine della dieta dee dal Medico co-„ nofcerfě , per quanto farŕ potŕbile , ,j e il non conofcerfi. puň produrre di-„ verfe calamitŕ , come fcrive Ippo-„ crate lib. 6. de Morb. popular. feti. 8. X* Quibus igitur flatim vigor eft * Bis flatim tenuis věBus exhěbendus eft « Quibus vera vigor pofteriur bis ad illuda <&> paulo ante ěhud tempus , fub« trahsndus eft « Antea vero mitius non deefi porgere Talimento agl'inni fermi : ne fu quel!' ora in cui s* a-„ fpetta la febbre per i motivi detti „ di fopra 5 ma bifogna lafcfare che il „ corpo fia piů libero che 11 puň , e „ piů lontano dalla feguente acceflěo-„ ne, altramente fi reca nocumento * XII. Exacerbationes , (9* conftitutio-nes indicabupt morbi, & tempora anni ($¦> circuituuM^ inter fé collat* incrementa five jquotia^^^me alternis diebus y five per amplěus temporis intervallum fiant . Sed &> ex apparentěbus indicia, pknt j velut in pleuritici* fi fputum fia-tim appareat incipiente morbo, ipfum Abbreviai i Si. vero poflerius appareat % S Z AFORISMI producit. JEt urin longos morbos. 12. L' efacerbazioni ( accezioni ) e Ł le coftituzioni faranno indicate da* morbi fteffi , dalle ftagioni, e dagl" incrementi de' periodi fra di lor confrontati , o di ogni giorno , o di un un giorno sě, 1* altro no , o di tempo piů lungo , che vengano. Di piů gě' indizj fi cavano ancora da cofe vifi-bili : come ne* pleuretici fé lo fputo n* appare fubito che comincia il male, lo accorcia ,' fé poi fi fa vedere piů tardi l'allunga. L*orine altresě , e le feccie del ventre, ed i fudori , cofe tutte apparenti, dimoftrano la buona, o cattiva crifi , e la brevitŕ , o lunghezza del1 male. „ NOTA . Viene a dire da quali >s cofe fi prendano le indicazioni de* yě mali brevi, e lunghi : alcune fona „ occulte ed intrinfeehe come fono le „ impreffioni delle fiagioni , i morbi „ medefimi, le variazioni delle accef-„ fěonJ, ofia di febbre quotidiana, ter» ,," zana, quartana , o di periodo pia „ lungo . Altre fona ma-nifefle , e(t ,, apparenti come lo fpurgo delio fpu--j, to, le orine, Tevacuazioni delven-.. tre, ed i fodori. e tutte cotefle co. SEZIONE I. 4 v, fé accennano la buona , o mala cri „ fi, i morbi lunghi, o corti. XIII. Senes facillime jejuniutn fé-runt. Deinde qui retate conjiftentes funt č Minime adolefcentes, omnium vero minime pfieri , & in ter bos ipfos qui fc ipfis alacriores fuerint . 13. I vecchi comportano faciliflěma-mente 1* attinenza . In fecondo luogo quei che fono regioni , & Che oltre la regola , č ben condo-„ nare qualcofa talora alla ftagione , )% al paefe , all'etŕ, e alla confuetu-„ dine: dovendoli altramente alimen-„ tare un contadino avvezzo a cibi v groffi, e in quantitŕ , e a vita fa-„ ticofadi quello che dee farfi ad una „ perfona civile temperata, e che non „ fatica. XVIII. JEfiate, & autumno cibos dif-fcillime ferunt , byeme facillime , deinde vere. 18. Nella State, e nell'Autunno con Comma difficoltŕ fopportano (i febbricitanti) li cibi, nei Verno faciliflima- men- SEZIONE I. 417 niente, il luogo di mezzo ne tiene la Primavera. „ NOTA. Di (lingue le quattro fta-„ gioni dell'anno, in cui piů o meno „ reggono al cibo i febbricitanti : pa-,, chiilěmonella State, e Autunno, be-„ niifimo neir Inverno , e mediocre-„ mente nella Primavera. XIX. His , qui in cireuitibus exa-cerbantur , nihil dare oportet, neque co* gere, [ed auferre de appofitionibus ante judicatioties. 19. A que' che in giro vengono V efacerbazioni ( / paroffěfmi ) niente bi-fogna dare ne forzare , ma fottrarre delle appofizioni avanti le crifě. „ NOTA. In coloro, a'qualiaten-„ pň determinato vengono le accefllo-„ ni febbrili non conviene V alimenta ,, ma o innanzi, o dopo piů da Jun^i „ del parolfifmo che fia poifibile. XX. Qua judicantur , ls* ]udicala funt integre, neque movere oportet, neque novareě neque medicamenti!, nequ; aliis irritamcntis, fed finire . 20. Ciň che fa, o ha fatto interamente la crifi, non bifogna movere , ne farvi alcuna novitŕ, ne con medicamenti , ne con altri irritanti , ma lafciarlo ftare. „ NOTA. Quando la natura fa la „ crifi č ben lafciarla operare , quan-S J „ do 4i8 AFORISMI }J do T ha fatta non č bene inquie-„ tarla ne con purganti, ne con altra „ Torta d'irritativi. XXI. QuiS ducere oportet , quo maxime repunt , eo ducere oportet per con-'venientes locos. 21. A quelle materie, che convien fare ftrada , bifogna dar loro V efito per quella banda per dove la natura piega piů per luoghi convenienti. ., NOTA . Per due bande poflono ., aver efito le materie fenfibili , o j, per fecefěb, o per bocca ; fé le ma-„ terie peccanti fono rjell' infimo del ,, ventre, es'incamina/no abbaflo, bi-„ fogna ajutar la natura , e co'medi-„ camenti per colŕ efpellerle, fé fono „ piů alte, come nello ftomaco la via „ piů corta farŕ pe' la bocca col mez-3, zo del vomito , e con maggior fol-3, lievo deli* infermo. XXII. Concofta medicamenti* aggredě oportet & movere, non cruda , ne-que in principiis, / non turgeant. Plurima vero non turgent . 12. Co'medicamenti bifogna curare, e metter in moto le materie concotte , non crude , come neppur fu' principi, & non ^ trově 'in effe turgenza . Pe* lo piů perň non 1' anno. „ NOTA . Se non vi fia trabocco di materie che ricerchino u#4 fu- ,, bita- SEZloNE I. 4 „ bitanea evacuazione dice che no11 „ bifogna correre a'purganti con pre-j, cipizio, ma afpettarne la concozio-„ ne , e non metter in rnoto le ma-,, terie crude che farebbe di pregiudi-„ zio all'ammalato. XXIII. Qugiova, e {gě*infermi) con facilitŕ le fopportanp. Altro che no, con idento» „ NOTA. Il contrafegno che l'e-'it vacuazione delle materie fia carni* nata bene , e co5 le dovute conco- zionj, fi č il follievo dell'ammala- to, fé ben ha retto ad una tal pur- ga. Se poi la cofa n' č andata al contrario, fé non fi vede follievo , e l'infermo trovafi incomodato af- fai dall' evacuazione, le cpfe fonp andate malamente, SE- ,, SEZIONE IL AFORISMO I. T N quo morbo fomnus laborem facit J[ mortale. Si vero fomnus profit , non letbale. I. In quel morbo, in cui il fonnQ fi rende laboriofo , fi č mortale . Se poi il fonno reca follievo, none tale. „ NOTA. Deve il fonno riftorare „ le noftre membra j qualorun infer-,, mo prova un fonno che anzi fati-„ ca, ed affanno gli arreca č fegno „ che le cofe fono molto in ifconcer-„ to e pqrb puň temerfi di morte j „ che fé ne fente follievo puň iperar-„ fi la fua falute. II. Ubi fomnus delirium fedat , bů-num efi. i. Qiiando il fonno acquieta il delirio n* č cofa buona. „ NOTA. Qualor il fonno produce „ il fuo effetto di giovare, fempre n* č „ bene, ma principalmente nel deli-„ rio, in cui quando il fonno č molto „ perturbato , e molto fi delira fi č „ un fegno peflěmo. III. Somnus^vigilia>utraque modum excedemia mttlum. 3, lě dormir troppo , il non poter pren- 4 AFORISMI prender Conno , qualor trapaffono i termini del dovere fono amendue cofe cattive. „ NOTA. Si l'una che 1' altra di „ coteftecofe indica fconcerto ne'flui-„ di, e nel capo principalmente, on-„ de non č mai bene , come non lo „ fono mai tutte quelle cofe, chefor-5, partano il dovere. IV. Non fatietas y non fames , neqtte aliud quicquam } quod naturi modum excedaf, bonum efi. 4. Non la inappetenza, non la fame, ne alcun1 altra cofa che formonti il dovere ,n* č cofa buona. „ NOTA. Il non poter mangiare, o „ il mangiar troppo non da buon in-,, dizio fecondo il detto di fopra. V. Lnjfitudines fpontanédd morhts ¦pr&nunciant. 5. Le fiacchezze che fpontaneamen-te ne vengono predicono le malattie. „ NOTA „ Le debolezze che for-,j prendono fenz'aver loro dato moti-„ vo, non danno buon fegno , ma per „ lo piů fono foriere di qualche infer-j,, mitŕ. VI. Quicunque aliqua corporis parts dokntes, plerunque dolores n*n fcntiunt bis mtns agrotat. 6. A tutti quei che anno motivo di fentir dolori in qualche parte del cor- SEZIONE II. 4* corpo, e non li fentono, la mente lor n' č inferma. „ NOTA. Il non difcernere le cofe „ che con pungerci, e lacerarci ne dan-„ no motivo di dolore, čfegno grande „ d'ottufttŕ di mente, d'infermitŕ o d* „ imperfezione della medefima . VII. Qua multo tempore attenuantur corpora lente reficere oporttt , qutf vero brevi, brevi. 7. Quei corpi , che fi eftenuano con lunghezza di tempo bifogna rifto-rarli con lentezza, e quei che pretto fi cftenuano con celeritŕ. „ NOTA. Convien fecondarci paf-„ Ci della natura , e quello che efla „ fa a bellagio non voler far troppo „ prefto a fine di mantener un giufto „ equilibrio, e non caricare quel corpo „ piů di quanto ne puň porta re, ne dar-„ gliene meno di quello che gli bifogna. VII. Si ex morbo cibum capiens quis ncnjiftt validus , fignificat quod corpus uberiore alimento utitun fi vero cibum non accěpěenti ěd contingat, noffe opor-tei, quod evacuatione opus babet. 8. Se dopo la malattia taluno ciba ndofi non fi rimette in forze, č fe-gno che fi ciba oltre il bifogno ; fé poi quefto n'avviene a chi non fi ciba, convien fapere, .che egli «bběfogna di evacuazione. „ NO- 424 AFORISMI „ NOTA . I convalefcenti, che ari* j, no buon appetito, e che mangiano „ troppo, penfando di rimetterti piů „ prello, s'ingannano, (tante che non „ fi rimettono in forze fé non ciban^ ,, dofi con moderatezza. Se poi talu^ „ no cibandoli poco nondimeno non „ ripiglia vigore, da fegno d'aver bi-,, fogno d'ulterior purgazione: attefo-„ che la pienezza de'mali umori non „ lafcia riftorare il corpo convale-„ fcente. IX. Corpora quficunque quis purgare voluerit, fluida facere oportet. 9. Quei corpi che fi vogliono purgare, fa d'uopo renderli fluidi. „ NOTA. Il purgare non č altro „ che con medicamenti efpellere gli „ umori peccanti o in copia , o in }, qualith : psr far ciň farŕ fempre be-it ne render il corpo fluido , accio il 3) purgante non trov"intoppo, ma con j, piacevolezza faccia il fuo effetto ? J} perciň lubricare le prime ftrade con }> un elicere non puň fé non giovare, „ e facilitare la purga. X. Non pura corpora quanto plus nu-~tries, tanto mergis lades. ' io. A'corpi, che puri non fono qua sito pia d'alimento ne darete, tanto piů gli offenderete. „ NOTA. I corpi ammalati quanto „ piů SEZIONE II. 425 ^ piů fi cibano tanto fi fa lor peggio, „ attefoche fi accrefce la materia nor-„ bifica,enon avendo eglino forze ba-„ danti a fare ledigeflioni, ne refta-„ no maggiormente oppreflě. XI. Facilius efl repleri potu , quam cibo, ir. Con piů facilitŕtalunfi riempie di bevanda, che di cibo. „ NOTA . Dopo di aver detto che „ gě' infermi piů che fi alimentano , „ piů fi aggravano, dice che piů fa-„ cilmente poflbno riempierli di be-„ vanda, che di cibi , perche il fluě-,> do pretto fi digerifce, e pafTa facil-„ mente pe'fuoi canali. XII. Qua relinquuntur in morbi* pofi jiuiicationem recidtvam faciunt. 12. Ciň che rimane nelle malattie dopo la crifi , fa ricadere . 3, NOTA . Se dopo la crifi nou re-„ fta il corpo ben purgato, ben netto „ dalla materia morbofa, fi dee teme-„ re la recidiva : eflendoche la natura „ non puň fentirfi aggravata da quel „ che a lei cagiona il male . XIII. Quibufcunque judicatio fit , bis ftox gravis ante exacerbationem . Qua vero fequitur plerunque tolerabilior eft. 13. A que'che fi fa la crifi la notte innanzi al paroflěfmo fi č laboriofa . Quella A AFORISMI la che fé ne fegue poi, per lo piů nr e piů tollerabile . „ NOTA . Innanzi la crifi la natu~ }ě ra fi affatica molto contro ciň che „ l'aggrava, e principalmente lanot-„ te avanti il paroffifmo : onde prova-j, fi i'inquietudine ; fiuta poi la criiě, 3Ě č rimanendo la natura fuperiore la \y notte feguente farŕ migliore . XIV. In alvi fěuxěonibus mutationes eg?-ftěomtmprofittitinon adpravas mutentůr 14. Ne' fluii] di ventre , che fi mutino le feccie a* č di giovamento , fé jl cambiamento non fia in peggio. „ NOTA. Tutte le mutazioni in „ meglio fono fempre buone, non giŕ „ in peggio. Qui perň s'intende che „ meglio č che facciano qualche can-„ giamento che fé perfeveraiTero del-„ la medefima qualitŕ. XV. Ubi fauces Afor. 2a. „ o in quei che anno febbri lunghe „ fez. 7. Af. 6T,. XVI. Ubi farnes non oportet laborare, i<5. Dove ita la fame, non vi vuole neppur fatica. „ NOTA . La fame denota fěian-,, canza di alimento, quefto maneŕn-„ do, mancano le forze , nella raan-„ canza di forze neppur vi vuoi ag-„ gravio di fatica, fé non vogliamo „ che la natura foccomba . XVII. Ubi cibus prater naturam co-piojěor ingefius fuerit , morbum facit . Ofiendit autem fanatio. ij. Qiialor fi č mefTo nello ftoma-co alimento piů copiofo del dovere ne produce infermitŕ. Cofa che lo fa pa-lefe il rifanamento. yi NOTA. Qiialorfi č divoratopiu „ cibo che non fi dee, non potendofi „ digerire, per neceflitŕ ne feguono gě* „ incomodi. E fé ogni cofa eccepiva č „ mala, tanto piů la riplezione . XVIII. Eorum y qua acervatim, & veloci ter nutrtunt, veloce s etiam egtfiio-nesfiunti 18. Di quelle cofe che in cumo-lo prefto nodrifeono, con preftezza e-ziandio fé ne fanno, l'ejezioni. 3, NOTA . I cibi di facile digelHo- ,, ne 428 AFORISMI ,, fie in poco tempo fomminiftrano 1* „ alimento al corpo, e pretto ancora „ ne danno le feccie feparate , ed e-„ fpulfe, dante che la Digeftione al-„ tro non č che una feparazione di „ particelle una dall'altra. Non cosě „ va nelle cofe di dura digeftione ; tar-„ di fi fa da effe la nodrizione , tar-„ di 1'efpuliěon delle feccie a motivo „ che maggior tempo richiedono a di-„ gerirfi. XIX. Acutorum morborum non omni~ no tutae funt praŕiBiones neque mortis , ncque fanitatts. 19. De" mali acuti non fono ficu-re ( certe ) le predizioni ne della morte, ne della fallite. „ NOTA. Di molti altri mali an-„ cora non acuti puň dirli che non „ puň accertarli '] pronoftico , ma qui „ s'intende che tanto piů Tefito degli „ acuti n" č incerto . XX. Quibus dumjuvenes funtventres burně di funt, bis fenefcentibus reficcan-tur? Quěbus verodum jwuenes funtvtn^ tres fieri funt 3 bis fenefcentibus humt-tantur. 20. A quei che mentre fon giovani i ventri loro fon umidi, fu l'invecchiare lě rifeccano , e quei che in gioventů anno i ventri fecchi , nell' invecchiare fi fanno lubrici. » NO- SEZIONE II. 429 o NOTA . Dice quello che perlo ,, piů ne moftra l'efperienza, cosěac-,, cadere, none perň che in tutti fia „ d'inevitabile necefiětŕ. XXI. Fameni vini potus folvit . 21. La fame vien fedata col bere del vino . „ NOTA . Il vino principalmente „ puro n* č nutritivo, alimenta il cor-„ pň 3 e perb dicefi che toglie la fa-„ me. Onde gli aftemi che non bevo-„ no vino fono piů voraci , e piů ci-„ bo richiedefi per loro. XXII. Quicunque morbi ex repktione jiunt, evacuatio fanat. Et quicunque e» evacuatione repktio. Et aliorum contrarietŕ* . 22. Quei morbi che fono prodotti da ripienezza fi curano col vuotare . Eque" che anno l'origine da inanizione fi guarifcono co *1 riempire . E. cosě nelle altre cofe ogni contrario č rimedio del fuo contrario . „ NOTA . Confitte la fanitŕ in u~ „ na g iurta pienezza e di fluidi., e di „ nodrimento, la quale fé abbonda. „ produce infermitŕ, fé ma>nca fimil-, „ mente; onde lo fcopo del Medico „ dovrŕ effcre contrario alla cagione „ del mak , fcemar il troppo ripieno,, fupplire al troppo vuoto, e cosě verifi-herŕ che un contrario,guarifce TaltiTOi xxnu 43P AFORISMI XXIIL Acuti morbi in quatuordscim, dtsbus judicttutur. 23. 1 mali acuti anno il fuo giudizio, o termine in quattordici giorni. ., NOTA. 1 morbi per eifer acuti „ debbon aver Jafua criiě^ ilfuo ter-3, mine fui decimoquarto giorno s al-3i tro che no pattano in cronici . XXIV. Septěmtf quarta index eft .. jiělterius hebdomad<Ł ociava princěpium fji . Confideranda vero eft undscima . Héec eněm quarta eji fecundrf hebdoma^ $ djs . Confideranda rurfus decima fepti-ma. Tpja enim eft quarta quidem a decima, quarta ,feptima vero ab undecima. 24. I! giorno quarto moftra il fet~ timo . Dell' altro fettenario V ottavo, nJč il primo. Si ha poi da ofTervare Tundecimo, ftante che quello fi č il « quarto del fecondo fettenario * Parimente n'č d' averli in confiderazione il decimo fettimo, attefoche egl'č infatti il quarto dal decimoquarto j ed il fettimo dall'undecimo.. „ NOTA • lppocrate viene a tef-„ fčti la ferie de'giorni critici, ne'qua-„ \i la, natura fuol fare le fue crifi , „ riOH perche Ila virtů alcuna nelrru-„ mero; ma perche Cogliono fa jfi nel „ 11 ofěro corpo tali movimenti co'gli „ ordini accennati nell'sforifmo, che •a* fé poi Ja natura cangiafTe giorno a „ e ok SEZIONE 1. 45 „ e ordine , non farebbe miracolo . XXV. jEftiva quartana plerunque funt brsves, Autumnaks vero longre ne fopravenga la convulfěone . „ NOTA. Nella convulsione fi da „ ri(lagno de'fluidi :. queftotalora puň ,, fcioglkrli dalla febbre. Che fé do-„ pň venute le febbri aie Viene la, „ convulfione, n'č manifÉrělOj chele: )y cofe vanno in peggio,, e che flfor-,, mano i riftagni degli umori, che „ debbono fcorrere , XXVII. Hit qua non fecundum ratto nem levant non oportet credere y ne-que valde timer e ea 3 qu& jtrava fiuntě 4 AFORISMI próter rationem. Vleraque enim ex ta-tibus inconftantia [unt , &> non valde permanere, neque morari folent. 27. A3 miglioramenti che feguo-no fenza cagione non convien credere 5 come neppure temer molto de* peggioramenti che non anno motivo. Stante che per lo piu tali cofe fono incollanti j e non fogliono perfiftere, e trattenerli molto in tale itato. „ NOTA. Talor fi vede migliora-„ re l'infermo fenza motivo e dap-„ poi muore : quefto il volgo comune-„ mente chiama il miglioramento del-„ la morte : ed č quello che accenna-# fi in qtieftoAforifmo. Cosě al con-3, trario fé fi peggiora fenza motivo-}} non č cofa da fpa ventar fi 9 attefo-„ che non fono tali cofe durevoli , ,, ma foglion prefto cangiarfi. XXVIII. Febricitantium nan om~ fritto levi ter permanere , ^» něbil minili corpus y aut etiam magis qtutm prň. rathne tolliquari malum eji. lllud enim morbi longitudinem, hoc vero debilita-ttm Jtgnifieat. 28. Ne' febbricitanti di febbre non del tutto leggiera, che il corpo fi mantenga e non fi eftenui, o^pur che fi ftruggapiu del dovere non č bene . Attefoche quello fignifica lunghez» sta di malattia, e queftodebolezza . NO- SEZIONE II. 433 „ NOTA. Nelle malattie gravibi-„ fogna che fi fmagrifca il corpo, il 3) che non facendoti" «ella dovuta bre-„ vita di tempo denota che lunga fi-.„ rŕ la malattia, perche in lungone „ va l'emaciamento. Se poi ě' infer-„ mo fi confuma piů predo del do-„ vere, ne abbiamo debolezza difor-„ ze, mancanza di calor vitale, e di „ buoni,{piriti. XXIX. Itjcipientěbus morbi* , fi quid movendum videtur , move , vigentibus vero quiete/» agere melius eft. 29. Sul principiar de1 mali, fé par che fi debba movere ( co" purganti ) movete allora , quando poi fono nello ftato, meglio fi č lafciar in quiete . „ NOTA . Per movere s incende s, qui metter in moto co'medicamen-„ ti purganti. j "- ¦ XXX. Circa principia , is» prics ommtt debi/iorafuzt. Circa vigores vero far* tiora. 30. Circa i principjj e i finimenti tutte le cofe fono piů deboli. Ne* vigori piů forti » „ NOTA . Tutte te malattie anno „ quattro gradi, cioč principio y au-„ mento, (iato, e declinatone.. Nel-„ lo Rato, o vigoie del morbo anno „ il tuo vigore'le forze , negli altri. ,, trovati maggior debolezza. - - " *" T XXXI, 434 AFORISMI XXXI. JEx (egritudine bene cibttm ac-cěpienti, něhil augefcere corpus malum Ji. Se dopo la malattia taluno mangia bene, e che il fuo corpo non piglia rifarcimento, n'č male. „ NOTA . Si č detto di fopi* che „ ne'mali gravi č neceflario che il „ corpo il estenui, e dappoi col cibo >t conveniente torni a metter carne, „ fé mangiando con appetito il con-,} valefcente non vede profitto del fuo „ cibo, le cofe di fua falute non fono „ in buono (tato. XXXII. Plerunque omnes male haben-tes, ab initio cibumbene capientes, 4s* nihil uugefantes, ad fine/» rurfus cibo* faftidiunt. At ab initio quidem valde cibum averfantes, pofiea vero bene ci-bum capěentes, melius liberantur . 32. Per lo piů tutti gl'infermi, che fui principio bene prendono il cibo, e niente fi aumentano, fui fine di nuovo naufeano il cibo . E quei che fui principio anno naufea grande del cibo , e dappoi prendono bene il cibo, meglio fi liberano. „ NpTA. Due forte di ammalati „ iě diftingue qui, una che fui prin-„ cipio ha in odio l'alimento, e fu la ,, fine del male lo ania, 1* altra che „ fa tutto il contrarie, e dice che la „ prima SEZIONE II. 455 „ prima fotta č di miglior condizio. „ ne, e che piů predo fi libera . XXXIII. In omni morbo vtlerc mtn-, te <Ł$-» bene fé habsre ad ea , qu<Ł jff?-runtur , bonum contrariimi vero m ha-bitui, & tempori mtrbus magis affini? fu;rit, qucim hi , quibus non affini 1 in eliquo borum exiftit. 34. Nelle infermiti in minor pericolo fi trovano coloro , il cui male fi adatta alla loro natura, etŕ, a-bitodi corpo , e alla ftagione, di quei che patifeono un male che in qual-cuna delle cofe fuddette non con» viene. „ NOTA . Sarŕ un male ftravagan-„ ti.Timo e perň di molto pericolo fe f 2 „ non 436 AFORISMI 3, non fi converrŕ ne al temperamene 3) to, e all'abito di corpo dell' infer* 3, mo, ne alla corrente ftagume, ne ,, ali* etŕ $ chefefarŕ unde'mali ,i qua-„ li convengono alle cofe fuddette ,, non darŕ tanto da temere. JtXXV. In omni morbo partes circa timbtlicum & peftinem crajfitudinem ha-bere melius eft . Al vebemens tenuitas &> eliquatiQ prava eft. Pertcu/ofa vero talis eft etiam ad infernas purgationes . 35. In ogni malattia , che le par* ti umbilicali , e circa il pettignone ne reftin grofife č meglio . Che poi molto fi ailňttiglino, e fi disfaccino rrč altresě cofa pericolofa pel purgare per di fotto. „ NOTA. Che Taddomine moltQ, „ fi adottigli nelle infermitŕ non puň „ eflere altro che male, potendo fé-5, guire delle lacerazioni, e dellerot-/, ture . Tanto piů V emaci azione di „' cote ile parti farŕ pericolofa a vo-,^-ler pnrgar per fecefTň. "'XXXVI. Sanahabentes corporadum flii die a inentis purgantur , cito exfolvu»-> tu$. Itemque qui pravo cibo utu»tur. Éj<5. Quei di corpo fano , qualor fi purgano con medicamenti > pretto fi tiifciolgono. Cosě parimente quei che ufi no alimento cattivo . w NOIA, Si proya per efperienzn SEZIONE II. 4*7 „ che pretto fi diftemprano 1 corpi „ fani, fé fi purgano co' medicamen-„ ti, come ancora coloro che ufano „ cibi di mala qualitŕ . XXXVII. Qui bene fé httbent corpo-re , eos operofum efl wdicamsntis purgare , 3<5. Quei che anno il fuo corpo fa-no con maggior difficoltŕ fi purgano con medicamenti. „ NOTA . Le carni diun fano per-„ fettamente, fono piů compatte, pia t, fode , onde piů difficilmente fi pur-„ gano, e fi difciolgono . XXXVIII. Paulo dnerior ŕr potut > ($> cibus verum jucundior , melioribuf quidtm fed injucundioribus prafiriadue cfi. 38. Tanto la bevanda, che il cibo un poco peggiore , ma piů grato dee preferirli alle bevande, e cibi migliori, ma che fono difguftevoli. ,, NOTA. Un cibo che piů gradi-„ ica, e che lo ftomaco bene 1' ab-„ bracci, fi dee anteporre a quello „ che quantunque di miglior qualitŕ „ rendefi difpiaceVole. XXXIX. Senes plsrunque minus j«-venibus gravedincs in laide fcnibtts non concoquuntur. 40. Le raucedini, e le fluflioni del nafo ne'molto vecchi non fi conco-cuono. „ NOTA . Raucedine fi č quando fi „ fa torbida la voce per fluffion ca-ft tarrale; gravedine dicefi la fluflěo-„ ne che cala dal nafo con bruciore, „ ed incomodo. XLI. Qui exfohuntur f rifanati fono fempre in pericolo di „ recidiva. XLItl. Ex bis , qui firanguianůr , autJubmsrguntur , nondutr» antem mor-tui fufit y non reconvalefcunt , quibus [puma circa os fuerit. 43. Quei che vengono flrozzati, o fi fommergono, e non fono ancor morti, fé anno la fptuna alla bocca non rifanano. „ NOTA. La fpuma, cioč le bave ,, fpumofe intorno alla bocca č fegno „ di convulfionefatta, la quale fegui-„ ta che fia, dicelppocrate, che non „ guarifcono. XLV. Crajft admodum fecundttm naturarti magis cito intereunt quumgraciUs. 44. Quei che per natura fono molto groflě ( 0 graffi ) rauojono piů pre-fto de'magri. T 4 „ NO- 440 A F O R.r.S.M I „ NOTA. Quei-che fono affai pin-„ gui anno piů carne , che fangue : „ perciň deetemerfi di qualche ftran-„ gelamento de' vaii itnprovifo , da ,, <:ui, fermato il corfo del fangue ne „ arrechi la morte , come fa vedere „ la fperienza tutto dě : i gracili che „ anno i vafi piů liberi anno il fan-a, gue piů in moto, e non ila tanto „ fcttopofto ad un improrifo riftagno. XLV. fuvenibus comitialibus libera-tionem faciunt mutationes maxime viHuum. 45. Quei che in gioventů patifcono di Epileflěa rifanano principalmente co'la mutazron dell3 etŕ: col cangiar paefe, o variar alimenti. „ NOTA . Molti fanciulli fono e-„ pilettici,e col crefcere rimangonfa-„ ni : il mutar aria , e cangiar ali-„ menti altresě puň conferire al loro „ rifanamento. Si dicegiovani', (lan-„ te che fé T Epileflěa affale nell* etŕ 3, confidente, o piů inoltrata, il ca-„ fo/ č disperato ? anzi che fuol dege-„ nerare in Apopleffia. XLV I. Duobus ŕoloribus fimulfienti-hus non fecundum eundem locum , vehe-msntior obfcurat alterum . 4<5. Qualor due dolori tormentano yna medefima parte, il piů gagliardo non lafcia fentir il minore. .. NO- SEZIONS IL 441 \\ NOTA. E'cofa naturale che p\> ~, fti due fplendori uno affai grande , „ l'altro piccolo, il grande a flňrbifce „ il piccolo : cosě di due fuoni uno „ ftrepitofo , T altro fiacco , il mag-„ giore offutca il piů debole: cosěap-„ punto n'avviene de* due dolori. XLV IL Circa generatiortem puris dolore* , &> febrcs magis conůngunt, quain faBo jam ipfo. 47. Sul farfidella fuppurazione ido-lori, e le febbri n'accadono piů, che quando le marcie fono giŕ fatte. „ NOTA. Farfi fuppurazione č un „ putrefarli una parte viva, e dive-„ nir morta; ondenon č fěupore fé vi „ č febbre, e fentimento di dolore .• „ fatta che fia la marcia n' č refa „ morta, e priva tanto di ricevere , „ quanto di recar dolore . XLVIIL In corporis mota quum in-aepcrit dolere, quiefcere ftatěm lajfttu-dinem eximit, 48. In ogni moto, ( agitazione) di corpo fubito che fi comincia fentire franchezza, colripofare immantinente fi toglie la fiacchezza. „ NOTA. Tutt'i contrarj fono il „ rimedio del fuo contrario, come fu „ detto di fopra , onde fé la fatica „ porta dolore , e moleflia, il ripofo „ ne fomminiftra ilriftoro: frante che T 5 „ vi-n 442 AFORISMI „ vien rimofTa ia cagione che quel 9Ě fintoma ne produceva. XLIX. Adfueti confuetos labore* ferre etiamfi fuerint debiles , aut fenes, non adfuetis fortibus ac Juvenibus facilius ferunt. 49. Quei che fono avvezzi a fare le folite fatiche, ancorché fiano deboli , e vecchi piů facilmente refiftono de' forti, e giovani che non vi fiano avvezzi. „ NOTA. Vedefi ciň tuttodě ne' contadini , e quei eh* efercitano arti „ laboriofe mentre un vecchio avvezzo „ a faticare piů refifte di un giovane yj che non vi fia avvezzo. L. E a multo tempore confueta etiamfi deteriora fuerint, inconfuetis minus mole fi are folent . Oportet tgitur etěam ad inconsueta, tranfmtttationem facerč. 50, Le cofe che da molto tempo fo-np lolite, benché fiano peggiori, foglip-no moleftar meno di quelle, che non ien (olite. Convien dunque ancora far mutaaione alle cofe non confuete. LI. Jkfultum, & repente evacuare , aut replere, aut calefacere, aut frigefa-cere, aut omnino quomodocunque movere corpus periculofum efi. Et omnismul-titudo natura contraria eft . Quod ver» paulatim fit tutum eft tum alias, tur»fi es aitero ad ajferum tranfitus fit. 50. Trop- i SEZIONE II. 44* 51. Troppo , e tutto ad un tratto evacuare, o riempiere, rifcaldare, o rinfreicare , o in tutto e pertutto in qualfifia maniera alterar il corpo , č cofa di pericolo . Ed ogni troppo b contrario alla natura . Quello poi, che faflě a poco a poco ha ficurezza in fé tanto in altra forma quanto qua-lorfi fapaffaggio da una ali'altra delle cofe fuddette. „ NOTA . Purgare , o riempiere „ troppo , ň con troppa celeritŕ, o „ far altre operazioni .nedicinali nella „ detta maniera n'čfempre pericolo-„ fo. Il farle poco alla volta fi č co-„ fa ficura: attefo che il troppo fi č „ fempre nemico della natura. LII. Omnia fecundum rathnem fa-denti fi non fecundum rationcm fi-tnt non tranfire oportet ad aliud , manente eo , quod vifum efl ab initěo. 52. Chi opera fecondo la ragione, fé non avviene fecondo il dovere, non bifogna che pa;Tě ad altro , fia-che perfifte il veduto dapprincipio. „ NOTA . Operandofě prudente-„ mente, fé gli effetti non corrifpondo-„ no come doverebbono , non con-„ viene far paiTaggio ad altra opara-„ zione finattanto che non vien ri-v mofTa la cagione dell' orinazione , „ che il buonefito n'impedifee. T 6 LUI. 444 AFORISMI LUI. Quicunque ventre* bumidos babenty dum quidem juvenes funt3 me-lěus degunt quam bi, qui ficcos babent . Verum ad [enettutem deterius degunt , Rcficcantur cnim plerunque fenefcenti-bus. $}. Quei che da giovani anno il ventre fluido fé la partano meglio di quei che l'anno duro. Stante che fu l'invecchiare lorfi rifecca per lo piů: onde peggio ne Hanno. „ NOTA. Dice che i giovani che „ fogliono avere il benefizio del ven-3y tre Tono di miglior condizione di „ quei-che fono ftitici . In vecchiaja „ poi il ventre loro rifeccafi, e per-3) ciň (e la pattano peggio. Intenden^ „ do fempre non afTolutamente in tut-„ ti, ma per lo piů. LIV. In corporis magnitudine juvefc tutem quidem degere , liberale eft, <& xoft indecorum. SeneButem vero degere inutile, <& deterius parvitate. 54. La grandezza della ftatura nel giovane gli č liberale , decorofa : nella vecchiaja poi gli fi rende inutile , e, peggiore della piccolezza. „ NOTA. Il buono confitte nella „ via di mezzo. Nel mediocremente y) piccolo le forze, gli fpiriti, leope- , razioni meccaniche fono piů ga- sy gliarde, piů riftrette . lě Jungofa SEZIO NE IL 445 r,'; bell'[apparenza fěnch* č giovane J „ ma invecchiando prova maggiori „ incomodi dalla fua lunga datura, „ maggior fiacchezza , e di peggior „ condizione del piccolo. SEZIONE III. AFORISMO I. M Ut attorte s temporum maxime pa-riunt morbos y (&> in tempňribus magna mutationes frigoris, aut caloris & reliqua juxta rationem hoc modo. i. I cambiamenti de'tempi fon quelli che principalmente producono le malattie , e ne1 tempi medefimi mutazioni grandi di freddo, o caldo, od altre cofe che nel modo fleflb per ordinario ne feguono. „ NOTA. In quefta fezione porta „ Ippocrate li mali, che fon prodotti j, dalle ftagioni, e prima dice che le 3, mutazioni che fi fanno al pafěag-„ gio d'una in altra con gran fred-« do, e gran caldo, o nel corfo del-,, la fletta ftagione quando or č mol-„ to freddo , o caldo, producono 'i „ morbi. Ne il freddo , o caldo folo, „ ma Tumido e il fecco, ec. \l. Ndiirarum alta quidem ad tfifia* y ě 44 AFORISMI Urp, *h<6 vero ad byemem bene , aut male [e babent. 2. De*temperamenti, altri fé la paf-fano bene, o male fu l'Ertate , altri nell' Inverno. „ NOTA. Quefta fi č cofa notifli-„ ma dante che altre nature trovanfi „ che amano il freddo , ed altre il cai-„ do : onde fecondo che corre la fta-„ gione lor confacevole fé la pattano „ bene , fé la contraria , male ne „ barino. III. Morborum alii ad aliti tempori bene, aut male fé babent : ératcttes qufi-dam ad tempora , &> regione*, ór viHus. 3. Altre infermitŕ procedono bene, o male in tempi diverti ; e co$\ T etŕ fecondo i tempi 3 i paefi , e forte di alimenti. „ NOTA, Anno le malattie i tem-M pi , ne* quali fcorrono meglio , o 3t Paggio > g^i anno Vetěk, che in cer-„ te ftagioni, in certi luoghi con ci-}, bi determinati fé la pafTano meglio „ degli altri tempi, ec. IV. In temporibus quum eŕdem die modo calor, modo frigus fit autumnales morbos cxpeBare oportet. 4. Nelle Ragioni medefěme , qualor nello fteflb giorno or č freddo, or caldo fi poflono afpettarc malattie autunnali. «NQ- SEZIONE III. 447 „ NOTA . 11 caldo mette in motd „ materie per trafpirare, il freddo le „ trattiene, e n' irrrpedifce la trafpi-» razione. Perciň č forza che fi for-„ mino de' riflagni , delle oftruzipni ,) o fiflazioni di materie , che fono ;, mali proprj d'Autunno, vai a di* „ re, oltinati, e lunghi. V. Aujěri auditum gravante* , cali-gěmfi, caput gravante* , torpidi, dif-Johentes . Quum bic pravaluerit tetti* in morbis patiumur . Si vero Aquilo fuerit, tujjes , fauces , ahi dur-no per partorire fu la Primavera-,-per ogni menoma occafione abortifeono-. SEZIONE III. tf Quelle poi, le quali partoriscono, fanno i bambini deboli, e infermicci, talmente che o muojono fubito nati , o vivono malfani . Agli altri uomini poi difenterie , e oftalmie fecche ne vengono . A' piů vecchi diftillazioni, che predo gli ammazzano. „ NOTA. Quefto aforifmo fi č una „ continuazione di quel di fopra, con-„ tinuando a narrare i morbi proprj di „ ciafcheduna (ragione. XIII. Si vero p/ěat ficca fiat (& aquilonari's y- autumnus autem pluviofus &> au-ftralin capitis dolore* ad byemem fiunt, (?> tufjes, (?, raucedines , ac gravedi-nes, quibufdam etiam tabes. 13. Se la fiate fia fecca e aquilonare , l'Autunno poi piovofo e auftrale fu 1' Inverno fannofi dolori di tetta , toflě, raucedini, fluori dal nafo, e ad alcuni ancora la tabe. v NOTA. Dopo TEftateafciutta un „ Autunno umido apporta i fuddetti „ malori. XIV. Si vero aquilonari*, & aqua-rum exors autumnus fuerit, bis quidem qui humidas naturas babent , <& mulie-ribus commodus erit. Keliquis vero fient lippitudinesficcf ,&febres acuta, i&gra-vedines.Quibufdam vero etiam atrde biles. 14. Se poi l'autunnofarŕ aquilonare, e fenza pioggie farŕ profittevole a quei che ěě JJ 452 AFORISMI che fono di temperamento umida , alle femmine. Agli altri verrannoO talmie fecche , febbri acute , e fluo al nafo . E ad alcuni ancora mali malinconici . „ NOTA. L'Autunno afciuto č di giovamento agli umidi , alle donne che pur fono umide di temperamen-to. A piů af'ciutti ne verranno i fuoi. „ mali accennati nell'aforifmo. XV. Ex anni vero conftitutionibus in fumma ficatatespluviojts [alubriores funt, (^ minus Istbaks. 15. Delle coftituzioni pňi di tutto 1' anno, per dire una parola fola, le decita, fono piů fané , e meno mortifere de'tempi piovofě. „ NOTA. Dice che parlando gene-„ ralmente č meglio il tempo afeiut-„ to, che umido. XVI. Acerbi in pluviojts quidem p lerun~ que jěunt febres longŁě iytalvi fluxiones, &> putredines, &> comitiales , isnfydera-tiones , &> angina. In Jěccětatibus vera tabes , lippitudines , artritides , urin<Ł Jiillicidia, ^ dyfenteride . i(5. I mali che infatti feguonoper lo piů ne'tempi umidi fono febbri lunghe, diarree , putredini, epilefěěe , apoplef-fie , angine . Nelle ficcitŕ poi tabi, oftalmie, mali articolari, e di orina, di-ienterie. » NO- SEZIONE III. 455 „ NOTA. Qui dirtinguele malattie >, de'tempi umidi, e quelle de'tempi 5) afciutti » XVII. Quotidiani vero cofiitutiones , aquilonares quidem corpora compingunt, {ji robufia , <&-> ad motum idonea , & bene colorata , & melius audienti a fa-ciunt) &> ventres reficcant , <& oculos mordent, & fi circa thoracem aliquis do-ěor prius ejt magis afUigunt . Auftrale* autem difsolvunt &> humeB,ant> 4y> grti-vem attdttum , capěttsgravitatem, ($> 'vertigines faciunt . In eca/is autem, &* 'corporibus dsgrtim motum , qui bis te tate cob&rcnt, optimi degunt, i& maxime fani funt, aftate vero & autumno aliquandiu fenes . Reliquo autunno, <& byeme medium atatem babentes, 18. Riguardo alle ftagioni; nella Primavera , e fui principiar della State, i ragazzi, e quei che piů vicini lorfono d'etŕ ne ftanno meglio, e fono piů fani. Nella State e neir Autunno per una parte i vecchi. Nel recante dell' Autunno e neir Inverno ftanno meglio quei che fono di etŕ mezzana. „ NOTA . Diftingue le Stagioni ei* „ etŕ dell'uomo, in qual etŕ fi ftapiu „ fani in queft'o quella ftagione. XIX. Morbi omnes quidem in omnibus temporibus fiunt . Quidem tamen magis in quibufdam ipforum & fiunt&exacer-bantur. 19. Tutte le infermitŕ avvengono iiv^ fatti in ogni ftagione, Alcune perb in certe ftagioni e produconfi, es'inafpri-fcono. „ NOTA . Dopo di aver aflfégnato M le infermitŕ di ogni ftagione confef- SEZIONE III. 455 „ fa che in ogni tempo puň produrfi „ qualfifia malattia-, ma non č perň, „ che in tali determinate ftagioni piů „ non nafcano, o non fi facciano mag-„ giorě le malattie. XX. Vere infantň y <& atri biles , & comitiales , <Ł fanguinis fluxiones , (9* angina, & gravzdines, fy> r(incedines ^ & tujjes &> leprŕi, &• impetigěnes, <Ł?» vi-nligines ,• & puftula ularofe plurima: , isn tuberctita, &> morbus arůcula-ris. 20. Nella Primavera regnano frenesěe , malinconie , epileffie , fluflě fan-gaigni, angine, fluore al nafo, raucedini , totfě, lebbre, petecchie, vitiligini, molte bolle ulcerofe , tumoretti , e Tartritide. „ NOTA . Olii avete ie infermitŕ prň-„ prie della Primavera numerate ad una jy ad una. XXI. JEfiate vero &• quidam ex bis j (y> febres continua (3» ardentes , & ter-tiandě plurima, <& quartana, ^ vomě' tus , & alvi profluvia , pudendorum putredines yiya papilla fudorofie. 21. Nella State alcuni de^ddetti , febbri continue e ardenti, terzane , molte, quartane, vomiti, flutti di Véntrer ottalmie, dolorjjd'orecchie, ulceri dell 45 AFFORISMI. Ja bocca , putrefazioni delle parti pudende , e papillette fudorofe. „ NOTA . Profegue i mali della Sta-„ te come nel feguente que'deu'Aut.un* „ no, e nell'altro quei dell'Inverno. XXII. Autumno autem {$¦> ex fplenes , (?> hydropes , & tabes, <& urěn<Ł ftillicidia, &> intejěinorttm levitate* , is* dyfenter'us &¦ coxendicest érangina isr> anbelationes, &> vohuh, isrifio-mitiales, i& infantň, (^ atrtf biles . 22. Nell'Autunno ne vengono ancora moki-di quei della State e di piů febbri, quartane , ed enatiche , mali di iyi^lza, idropifie, e tabi, mali d'orina, diarree, difenterie >. fciatiche, mali di gola, difficoltŕ di refpiro, volvoli, epi-leifie, frene^e, e malinconie. . ¦ XXIII. Hyeme vero pleuritides r peri" pneumoni toiěě , non prender fon no , paure , infiammazioni dell* Ombelico j umiditŕ delle orecchie. „ NOTA . Arrecati i morM proprj „ delle ftagkmi fi fa paflaggio a que* „ delle etŕ, e prima a quei dell'infanzia .. XXV. Ad dentitionem vero accedenti-bus gingěvarumpruritus, fsbres, conviti-fiones, alvi proflutria , <& maxime ubi dentef caninos producunt tum crafsiijfimir pueris 3 tum bis qui duros wntres b&-be>nt, 25. Avvicinandoli al far i denti ,, perito di gengive, febbri, convulfioni, těttiFi di ventre , e principalmente quando mandano fuora i denti canini, sě a* fanciulli piů craffi , e a quei che anno flitkhezza di ventre. „ NOTA . Mali della dentizion de' „ fanciulli. XXVI. Seniorěbus mitem fientibus-ton-Jtlfa, verticilli in occhio intro luxatio-ne-s , anbelationes, calculorum generatio-ne>s, lumbrici rotundi, afearides, verru-cjs y tumores glandularum circa aure* oblongi ifatirixtfmi appellati;, ftrtimds-, 4$* alia tubercula y maxime vero pvcediBa*. « fa & /j?j». V 16, Qua.» 458 AFORISMI 26. Qualar poi faranno avanzati nell* ctS patifoono ftiangoglioni, luflazionaU* indentro della vertebra della collottola , difficoltŕ di refpiro s gesnerazion di calcoli, vermi tondi, e larghi, tumori bislunghi attorno le glandole degli orecchi, detti fatiriafrai, fcrofole , e altri majoretti^ ma principalmente i giŕ detti. XXVII. Adirne ver» jettěňribus & ad fubertatem accedentibus plerŕque ex biět 4y> fibres diuturno magis , ly> ex ngrh bus fanguinis fluxio»es. 27. Fatti ancora pia grandi, e ap-jjrorfěmandofi alla pubertŕ avvengon lo-to i mali faddetti in gran parte, e Łeb-fbri piuttofto Innglie , e flu0i di fangue dal ntfo. XXVIII. PlurěmdswroaffeBiones putrii judicanrur partir» in quadratinia die-bus yparttm in [eptem menfibut , partun in feptem annis , partirŕ in pubertatero itecedentibus . Qu alii morbi, maxime veropródifti* 29. Ne' giovani accadono jfputi ŕi fangue, tabi, febbri acute, epilellěe , ed altre infermitŕ eziandio , ma principalmente le Suddette- „ NOTA - Da* mali puerili fi fa „ pafTaggio alle malattie de'giovani. XXX. His vero, qui bone ile di fopra, e di Xotto, difenterie , diarree, Hu(fi ,enaorrňidali. M WOTA. Si numerano V 2 4 A F CRISMI „ etŕ confidente per far patteggio ¦ „ nell* Aforifmo fcgu^nte a quei de* vecchi. XXXI. Senibtts autem fpirandi diffi-eultates, ($* defluxionescum tuffi, uri* n<Łfttllicidia, urinoe děffěcultates, arti--culorum doloves , nephritides , vertigi~ nes , fyderrttiones, mali habitus, pruri~ tus totiuscwporisěivigili<&J alvi,ocuto-rum, & natěum humiditates, vifus hebe* tudines ^glaucedmes , auditusgravitate** gě. Ne'vecchi difficoltŕ di refpiro y e diftillazioni con toffe, gocciola-» mento d'orina , difficoltŕ d' orinare , dolori articolari, e nefritici , vertigi^ n-i , apopleffie , cacheflěe, prurito di corpo , poco fonno , ventre fciolto , umiditŕ di occhi, e di nafo, offufca-zio»della vifta, glancedini, forditŕ. „ NOTA . La glaucedine fi č un 5> male degli occhi come fuflufione y 3) proveniente da rifeccamento delle 9} parti , per quanto ne dice Galeno 3, comentando queRo Aforifmo * SEZIONE IV. AFORISMO L "Ty Rtfgrtantgs- medicamentis purgare 9-J~ portet , fi turget bumor, quarto^ «tftf/f > ^ vfque ad fegtimum . Minus SEZIONE IV. 451 *vero bas . Juniores autem & [eniores faetus vererě oportet. 1. Le gravide debbon purgarli con medicamenti, fé vi č turgenza di a-tnore , fui quarto mefe della gravidanza, e fin al fettimo . Quefte pere meno di quelle. I feti poi di avanti, e di dopo quefti tempi conviene non moleftarli. j, NOTA . Incomincia quefta Se-„ zione aflfegnando i tempi di ufar i » purganti, eia maniera di adoperar-j, li. E in quello Aforifmo non vuoi „ che fi tocchino le donne gravide „ prima del quarto mefe, ne dopo al „ fettimo . Sul quarto fé vi č ripie-i5 nezza d'umori, e fui fettimo. II. In medicamentoruin uju talia e covpore ducere oportst qualěa etiam[ponte prodeuntia commoda funt. Contrario autem modo prodeuntia J'edare . 2. Nell'ufo de3purganti convien tirar fuora del corpo le materie quali fon qaelle che n'efcono fpontaneamente fčnza incomodo : quando poi n' efco-no in guifa contraria convien fermarle. „ NOTA . Concorda quello con „ quello che fi dirŕ nell'Aforifmo fé-„ guente. III. Si quali a oportet purgari pur* gemur confert, (y> facile ferunt . Contraria vero dtěficulter . V 3 h «e 4Ó2 AFORISMI 3. Se nelle purgazioni fi purgh\ quello che dee purgarli, giova y. e gJ1 infermi non ne rifentono incomodo . Altro che no ne provano difaftro . IV. Medicamenti* purgare oportet écftate quidem fuperiores magěs : hysme vero inferiore s. 4. Co'medicamenti convien purgare nella State le parti fuperiori: nell' Inverno le parti di fotto. „ NOTA. Si purga per difopracol „ vomito , per bocca , pel nafo, per „ gli orecchi per gli occhi . Per di „ fotto per feceffo, per orina , per 1' „ utero, per remorroidi. V. Sub canemě fy ante canem epe-rofa funt medicamentorum purgationes. 5 Sotto la canicola , e innanzi la canicola fono azzardofe le purgazioni co'medicamenti. „ NOTA . La canicola é il fegno „ celefte dopo il Sol in Lione ,• que-„ fto fi č il tempo piů fervido ditut-3, to T anno » ficche fotto quefti fegni „ u(ŕr purganti fenza gra vidima ur-„ genza fi č cofa di pericolo : ftante „ che gl'infermi fono di forze molto „ abbattute , e fi fanno evaporaeionj », gagiiarde per infenfibile trafpirazio-„ ne, cheinfiacchifcono tanto piů gě' „ infermi. VI. Graciles, (& facile vomentesfur- fum SEZIONE IV. 4S? fum purgare op&rtet, cavertes hysmem. 6. Quei che fon gracili di corporatura, e que'che fon facili al vomito bifogna purgare per di fopra, fcanfan-do fInverno. VII. Difficulter vomente^ &> moderate carnofos, deorfum , vitames circa umbi-licum dolores, <& lumborum dolor , qui ncque a mediccimerto , neque allias jol-vitur in bydropem Jěccum firmatur. 11. Quei che patifeono dolori d'in-teftini, e attorno l'ombelico, edi reni che ne dal purgante , ne in altra maniera fi fciolgono, fi riduce a farli nn idrope fecco. XII. Quibus ahi inteftinorum levitate affčBi, eos hyeme furfum purgare malum eft. 12. Quei che patifeono flufifo di ventre, non č iene che fiano purgati per le parti fuperiori nel tempo iemale, * ' ' F XIII. SEZIONE IV. 46$ XIII. Ad veratritm bis qui non facile furfum purgctntur, ante p&tionem cor-> por a humeRare oportet ampliare cibo , ac qjiiete. 13. Quei che (tentano a purgarti per dě fopra co' 1' elleboro, prima di beverlo bifogna che rendano umidi li corpi loro con cibo piů copiofo, eco* la quiete ? „ NOTA. E'proprio dell*elleboro „ rifeccare come valido purgante: on-„ de convien umettar prima il corpo „ con cibo un poco piů pieno , e col 3, fonno, che ha forza d'inumidire. XIV. Ubi biberět quis vsratrum , ad motus quidem corporutn mctgis ducere» oportet, adfo/nnos autemy & quistsm minus. Declarat autem navigatio, quod motus corpora turbai . ¦ . ' 14. Quando taluno averŕ bevuto I* elleboro bifogna piů condurre i corpi al moto, che al fonno, e al ripofo . Facendoci conofcere la navigazione che il corpo caTelTer agitato fi conturba. „ NOTA. Concorda queflro Afbri-„ fino con quello di fotto. , XV. Ubi volusris magis ducere vera-trum corpus tnoveto. Ubi vero ftftere fo-mnum facito ^ &> ne moveto , 15. Qualor vorrete che I' elleboro piů operi, date moto al corpo . Quan-V 5 do $66 AFORISMI do lo volete fermare , conciliategli '1 Conno, e non lo mettete in moto. XVI. Veratrum periculofum eft carne s fa»as babentibus » convulfionem e#im inducit. \6. L'elleboroč pericolofo a chi ha le carni fané ; ftanteche n3 induce la convnlfione. „ NOTA. Non folo l'elleboro, ma „ ogni gagliardo purgante a chi čfa-„ no non puň far altro, che male, e „ col troppo vuotare produrne lacon-„ vulfione. XVII. Sine febre exiftente cibifafti-dium , is* oris ventriculi morfut , & lertigo, is» os amarefcens, medicamento furfum purgante opus babere Jěgnificat. 17. A chi non ha febbre la naufea del cibo , e morficature alla bocca delloftomaco, vertigine, amarezza di bocca fono tutti fegni che fi ha bifo-gno d'un purgante per le parti di fo-pra. XVIIL polores fupra feptum trans-verfum qui purgatione opus habentjur-fum verfuspurgatione indigere Jignipcant qui vero infra deorfum. 18. I dolori difopra il Diaframma, che abbifognano di purga, fignificano di dover eflfer purgati perdi fopra. I dolori di fotto, per le parti inferiori. „ HOT A • II torace n'č troppo lon-* „ «no SEZIONE IV. „ tano dallf infettino retto , perciň fi „ č meglio purgare per la parte ad „ eftolui piů vicina . Se poi i dolori „ fi fentono nell' addome č piů pro-*, prio efpellere le materie per feceflfb. XIX. Qui in msdicamentorum poth-.Jbus, dumpurgantur , non fitiunt, non cejfant prius quam fitierint. 19. Quei che mentre fi purgano , bevuti i medicamenti non provan fete , non fon ben purgati finattantoche non ne venga la fete. „ NOTA . Effetto del purgante fi „ č trar fuori l'umido , per neceflětŕ „ dunque ne dee feguire la fete, la „ quale non elTendovi, ilmedicamen-„ to purgativo non n' ha fatto il fuo „ pieno effetto. XX. Non febrientibus, fi fiat torment & genuum gravitai, &* lumborum da-lor deorfům medicamento purgante opus hcibere fignijicat. 20. In quei che fenza febbre vengono dolori di ventre , fiacchezza di ginocchia, e dolore alle parti lomba-ri*s#indica d'aver bifogno d' un medicamento purgante per di fotto. „ NOTA. L'indicazione č manife-„ fta: perche ritrovandofi il male ab-a, baffo , per colŕ parimente efpeller )y fi dee. XXI. Bgefiiones alvi nigrét velatfa*» V 6 guů ~A6% A F O R I S M I guis niger, [uŕ[ponte prodeuntes & curri febre, Jt ne febre , pejfim quanto plures fuerint colores r.on malum eft. 21. Le feccěe del ventre nere, come fanguenero, che efchino diperfe, tanto con febbre, quanto fenza febbre fon peflěme ; e quanto piů faranno i colori cattivi tanto peggio fi č. Efpul-fe poi col medicamento farŕ meglio , e quanto piu- faranno- i colori non farŕ male. „ NOTA. Il gettito di materie ne-„ re per di fotto č fempre male qua-„ lor non fiano .efpulfe dal medica-„ mento, che in tal cafo quanto peg-„ giori faranno i colori , tanto rnag-„ giore puň fperarfi 'i follievo. XXII. Quibu[cunque, morbis incipi-entibus , fi atrabilis aut furfum, aut deor[um prodierit, lethale eft. 12. Sul principio di qualfifia male fé fi farŕ getto di atra bile o per di fopra , o di fotto , farŕ fegno mortale. „ NOTA. Evacuazioni di materie „ nere fui principio del male fono „ fpontanee, perciň peflěme, e mor-„' tifere per quanto fu detto di fopra. XXIII. Quěbu[cunque ex morbis acu-tis y aut ex diuturms, aut ex vulneri- bus, SEZIONE IV. bus ) aut alias attenuati* atra bilis, fii "ve qualis fanguis niger fubierit , pojěri-die moriuntur. 23. Tutti quei che fono eftenuati damali acuti, oda lunghi, o per ferite , o in qualfifia diverfa maniera , fé verrŕ loro per di fotto atra bile, o materie nere come fangue nel giorno feguente ne muojono. „ NOTA. Il color nero č fegnodi „ morte: tanto piů ne'molto eilenua-„ ti il getto di materie nere non č „ ftupore fé prenunzj una morte vi-y^ cina. XXIV. Dyfenteria, fi ab atrabile in-cdlperh, letbalis eft. , 24. La Difenteria fé a vera principio da getto di atrabile, fi č mortale. „ NOTA. Seguono i cattivi prono-„ ftici delle nere evacuazioni j onde ,„ non č maraviglia fé una Difenteria „ che incomincj malamente fia mor-„ tale. XXV. Sanguis furjutn quidem qualif-cunque fuerit mai'tis eft , deorfum vero bona funt nigra fubeuntia. 25. l\ fangue che vien per di fňpra di qualfifiacolorefempr'č cattivo. Per di fotto poi le defezioni nere di etto fono buone. „ NOTA . Ogni fpnto di fangue ne „ 4ee recar timpre, Se fi getti poi fé- 47© AFORISMI ^, ceffo fangue nero non č tanto ma. >, le. XXVI. Si a Dyfenteria occupato veduti carncs fubierint, letbah eft. 16. Se ad un infermo per Difente-ria ne vengano per di fotto certi quafi pezzetti di carne, fi čcofa mortale. XXVII. Quibus in febribus fanguinis multitudo erumpit undecunque t bis in refeliionibus alvi bumeBantur. 27. A quei che nelle febbri ne vien molto fangue da qualfivoglia parte, nel rifanare fi rende fluido il ventre. XXVIII. Quibus biliofie funi egejěio-nes, furditate fiente, ceflant. Et fardi-tasy biliojts egefiionibus pentibus, ceffat. 28. A quei che patilcono evacuazioni biliofe , fé ne verrŕ la forditŕ cef-fan elleno. E ceffa la forditŕ , fopra-venendo biliofe evacuazioni . XXIX. Quibus in febribus fexta die rigore* fiurtt , difficulter judicant. 29. In quelle febbri che fui fedo giorno ne vengono rigori , fi fa difficile giudicatura. * ' XXX. Quibus exacerbatěones fiunt t quacttnque tandem hzra febris dimiferity Jt poftridie eadem qua antea bora corri-puerit, difficulter judicant. 30. A quei che vengono le accezioni febbrili > in qualunque ora la febbre lafcierŕ libero , fé nel di feguente a' affa- SEZIONE IV. 471 atfalirŕ ali5 ora fteflfa di prima , il giudizio fi rende difficile. „ NOTA. Qualor la febbre non va-„ ria la fua accezione dimoftra la ca-„ gione morbifica efler ottonata , fé „ poi varia fé ne puň far giudizio buo- » no- X XXI. Delaffatis in febribus ad arti' culos , &> circa maxillas maxime, ab* fcejjus fiunt. 31. A quei che nelle febbri provano franchezza, fi generano afceflě alle articolazioni, e principalmente intorno le mafcelle. XXXII. Quibufcunque refurgentibus ex morbis, fi quid doluerit, iftbic abfcef- fus fiuftt. 32. A' convalefcenti dopo le malattie fé ne verrŕ dolore in qualche parte, coftě fi generano afcefll. „ NOTA . Il dolore vien prodotto „ da foluzion di continuo, e queftada „ un corpo che fi frapponga, e ftiri la „ parte; perciň , nelle convalefcenze „ la natura depone delle materie in qual-„ che luogo, onde fé ne maturano de-„ gli afceflě dove fi fente dolore. XXXIII. Sed etfi ante morbum quid doluerit, iftbic morbus incumbit, 3;. Come ancora fé innanzi alla malattia, fi proverŕ dolore in qualche parte ivi fta filTato il male . » NO. 472 AFORISMI ,-„ NOTA. Il dolore che fentefi in. 9J parte fola determinata n'accenna il Sě male, anche prima dell'infermitŕ. XXXIV. Si a febre occupato, tumt-re non exifiente in faucibus juffocatio de repente contingat, Istbale e/i . 33. Se a taluno che abbia la febbre fenza che apparifca tumor nelle fauci n'accada ferramento di gola improvi-fo, n*čmortale. „ NOTA . Eflendovi la foffocazio-}, ne č legno che il tumore vi č: non „ apparendo il tumor nelle fauci fa „ conofcere che (la internamente, pe-3> rň tanto piů pericolofo*. , XXXV. Si a febre occupato cólluni repente obverfum fuerit, &> vix deglutire poterit, tumore non exiftente, lethak efi. 35. Se a talun febbricitante impro-vifamente fi ftorce il collo e appena puň inghiottire , fenza che fi veda tumor alcuno, č fegno mortale . „ NOTA^ Stante che vi fta peri-„ colo manifesto di foffogazione . XXXVI. Sudores febricitantifii»coe-j perint boni funt tertia die , & quinta , &>feptima, &> nona, iy>undecima, ^ decima quarta , & decima feptima, & *vigefimaprima> (3*vigefimafeptima, & trěgefima prima , iy> trigefima quarti. Jii enimtudores morbos iudicant . Q*** vero SEZIONE IV. 47 'vero non fic fiunt doiorem fignificant, & longitudinem morbi, & recidivai. 36. Se al febbricitante fi movono i (udori, fono buoni quei nel giorno 3. 5. 7. 9. 11. 14. 17. 21. 27. 31. 34. At-tefoche quelli fono i fudoriche moftra-no la crifi . Quei poi, li quali non fan-nofi con tal ordine dimostrano mal la-boriofo , lungo , e facile a recidivare, „ NOTA . Accenna i quali giorni „ n' č bene che vengano i fudori nelle „ febbri con buona criffi ; e in quali „ no. XXXVII. Frigidi [udores cum acuta quědem fibre fisntss 3 mortem fignijiccit -, cum mitiors vere morbi longitudinem . 37. 1 fudori fredar che (caturifcono, fé farŕ in una febbre acuta pronoftican morte; fé in una febbre piů mite, lunghezza d'infermitŕ. „ NOTA. Sndor freddo čfegnoche 3J le fon-e fono oppreiěe , e che il ca-„ lor vitale ne; va mancando; perciň „ effendo debole la natura necefiaria-„ inerte o foccomberŕ , o molto ften-„ terŕ a vincer il morbo. . XXXVilI. Et ubiincorpore fudor eft ibi morbum efse declorai. 38. In quella parte del corpo, in cui fi trova il fudore, ivi ne fta il male an-cora. „ NOTA . Dalla crifi de'fudori paf- „ so 474 AFORISMI „ sb Ippocrate a' fudori freddi io „ qualfifia parte ne fcaturifcano , in ,, quefto Aforifmo defeende a3 fudori , „ che fi fanno in parte determinata , „ dicendo ciocche ne denotino. XXXIX. Et ubi in carpare caliditas aut frigidaas iftibic morbus. 39. E in quella parte, dove trovafi il caldo , over il freddo, ne ila il ma-Je. XL. Et ubi in tato corpore mutatio* nes, & fi corpus perfrigeretur, aut rttr-fus cakfiat, aut color alius ex alio fiat longitudinem morbi figrětficat. 40. E quando feguono variazioni per tutto il corpo, efetalor etto fenta-fi tutto freddo, č'di nuovo ritorni caldo, o fi cangi d'un in altro colore pre-dicefi lunghezza d'infermitŕ. „ NOTA . Quefte incoftanze di fta-„ to, or di caldo, or di freddo, ord* „ un color, or d* un'altro danno ugno „ che la pugna della natura col mor-„ bo fi č varia, e dubbiofa, onde al-, meno la cofa n'andrŕ in lungo, fé „ non accaderanne la morte. XLI. Sudor muttus ex fomno cifra mamfeftam caufam fieni , corpus mult9 alimento uti fignificat . Si vero cibum capienti hoc fiat, figni cat >q uod evacuai ione opus babet. 41. Se dopo il formo ne venga un fu- SEZIONE IV. 475 fudor abbondante fenza che ve ne fia cagion manifefta , fignifica , il corpo nodrirfi con troppo alimento . Che fé poi ciň ne accada ad uno che vada ěcarfo nel mangiare , denota , aver egli bifogno di evacuazione . „ NOTA. Sudňr copiofo (topo la n quiete fenza altro motivo manife-„ fio denota pienezza , e fovrabbon-„ danza d'alimento, XLII. Sudor multus, frigidus , aut calidus femper fiuens , frigidus mays~ rem, calidus minorem morbutn fignifi-cat. 42. Un fudor copiofo che grondi, caldo, o freddo fignifica infermitŕ, il fudor freddo maggiore , il caldo minore. „ NOTA . II fudor freddo fempre „ peggiore del caldo,- ma amcndue „ morbofiě. XLVIII. Febres quacunque non in-termittentes per tcrtiam fortiores fiunt, magts pe}-icuM graveolente* : &¦> biliofdS omnes ma-la funt . At probe fecedtntes, bon: fi labium , aut palpebra, aut fuperci-Imm , aut vculos , au* ?utfui difi 478 AFORISMI tur ] «ut non videat, aut non audiat <Ł-ger, jam debilis exifiens , qujcquid h%-rum fiat propěnqua mors eft. 49. Nella febbre continua fé fi ro veicia il labbro, la palpebra, il ciglio, l'occhio, oJl nafo, o l'infermo non veda piu, o non fenta, giŕ trovandoli debole, qualunque delle fnd-dere cofe n'ayyeuga , Ja morte n* č vicina. L. Ubi infsbrs non intermittente clifi-ficultasjpirandi, &> delirium, fit, le-tbale eft., 50. Qualora nella febbre continua forprende difficoltŕ di refpiro, o de-lifio č fegno mortale- „ NOTA. Due offefe grandi in due „ parti principali i impedimento di „ refpiro che aggrava il polmone : „ e farneticamento che perturba il „ cervello _, dan motivo di temer „ molto. LI. In febribus ahfcejfus qui non fai-vuntur ad primas judicationes> hngitu-dinem morbi Jěgnificaut * 51. Nelle febbri gli afeeffi che non fi rifolvono fu le prime crifi , accennano lunghezza d'infermitŕ. LII. Quěcunquč in febribus., aut alii* éegrituditobus ex lěoluvtate lachryman-tův něhil abfurdi eft . Qui vero non ex •minutate, abfurduto. 52. SEZIONE IV. 479 52. Quei che nelle febbri , o altri mali fpontaneamente lacrimano non vi č fconcerto alcuno . In quei poi , che lacrimano forzatamente vi č fconcerto. LUI. Quibus circa dente* in fsbrě-bus vifcofa adbxxrent ., bis fortiores ftr, bres fiuta. 53. A quei febbricitanti, a*quali intorno a* denti fi radunano certe vi-fcofitŕ,, fi fanno piů gagliarde le febbri-. „ NOTA. Le materie vifcofe fono „ tarde al moto , perciň difficili da „ efpellerfi , onde conviene che la }ě natura faccia sforzi piů vementi per vincer il morbo proveniente da vi-„ fciditl. " LIV. Quibus pkruvque tuffes ficca , parum irritantes . in febribus ardenti-bus % hi nan ita valde fiticubfi funt, 54. Per lo pia quei che anno toflě fecche, di non molta irritazione nelle febri ardenti, non fono troppo tormentati dalla &te. LV. Ex gUn&ulctrum tumoribus fč-•btt* omnes mal rigore accedente, folutěo fit. 58. Ad un invafo da febbre ardente, fé ne venga il freddo , ne fegue la liberazione. L1X. Ternana exaBa iu feptc/n cir-cuitibus ad fummum judicatur, 59. La terzana vera in fette pa-roflěfmi ai piů fa la fua crifi $. e termina . „ NOTA. La terzana pura termi--„ na ofui terzo paroffiftno, o dopo il 0> quarto, o dopo il fettimo 5 talvolta „ pero trŕCcorre fin al nono « SEZIONE IV. 481 LX. Qui bus in febribus aures obCur* duerunt , is [angui* č naribus effufus étut afaus exturbata morbum fofoit. 60. A chi nelle febbri n* č venuta fofditŕ, fé gli efeiri fangue dal nafo» o fi moverŕ il ventre , fi feioglie il male. „ NOTA . Se la natura farŕ il fuo 33 difearico, o pel nafo , o per fecef-„ fo, le orecchie torneranno al fuo fta-„ to naturale. LXI. Febrisntem fi non in diebus im-paribus fibris dimiferit recidivare folet. 61. Se il febbricitante non verrŕ abbandonato dalla febbre in giorni dil-pari farŕ in pericolo di ricadere nell* infermitŕ. „ NOTA. Conbatte la natura col j, morbo, o lo fupera , o ne vien el~ „ la fuperata: recando vinta la natu-,, ra, ha bifogno d' un giorno di ri-„ pofoper tornare al cimento nel gior-„ no difpari, in cui fé abbatte il ma-„ le e fatta la crifi, il morbo n* č „ efpulfo. Che fé lafcia in pari vi re-„ flano reliquie morbifiche , le quali „ rifvegliano la recidiva . LXII. Quibus in fibribus morbus regius fit ante feptimum diem, malum. 52. A quei febbricitanti , che innanzi al giorno fettimo fopragiugne la Itterizia, fi č cattivo fegno. X LXIIL ' 482 AFORISMI LXIII. Quibus in febribus quoti die rigtres fiunt, quotiate fibres fohuntur . 63. Quelle febbri nelle quali ognidě vien di nuovo il freddo, ogni giorno anno la fua terminazione. „ NOTA . Se l'infermo ogni dě fen-„ te venirli il freddo non dee aver .,, dubbio che la febbre non fia inter-„ mittente. LXIV. Quibus in febribus morbus re-gius ftptima , aut nona , aut decima quarta accediti bonum : fi non pracor-dium dextrum durum fiat : fin minus non bxtnum . 64. In quelle febbri , alle quali la Itterizia ne viene nel děfettimo, o nono, o decimo quarto, č cofa buona, fé jldeftro ipocondrio non farŕ divenuto duro: altro che no, n'čmale. LXV. In febribus circa ventrem X- . ftus vehemensy (& cordis, five oris ven-w triculi morfus, malum . L 65. Nelle febbri gran calore nel ventre, e morficature alle parti del cuo-tc, o bocca dello ftonucty, fegno cattivo. LXVI, In febribus ncutěs convulfio-nest & circa vifceradolóre* fortes^ma-ium. 66. Nelle febbri acute le convulfio-ail, e gTan dolori intorno Je vifcere V SEZIONE IV^. 485 „ NOTA. Le febbri acute fono un M gran male in fé, le convulfioninon „ fono mali pěccoli 3 e i dolori atroci „ delle vifcere neppure , onde unite „ quefte tre cofe infreme, non poflfo-„ no efiTere fé non cofa mala. LXVII. In febribus ex fomnis timo» res , velconvulfiones, malutn. 67. Nelle febbri dopo il fonnofe vengono paure, o moti convulfivi 3 male* LXVIII. In febribus fpiritus offen-densy malum, Convulfionem cnimjiini-ficat * 68. Nelle febbri il fiato che offende fi č cofa maia. Stanteche denota convulfione. LXIX. Quibus uri»js crajjrf, grumi» f alia fecundum r o4 ioti e m . 71. A quei che i mali fanno la eri-fi fui fettimo giorno, fui quarto l'orina ha la nuvoletta rotta, e negli altri giorni diverfa fecondo la congiuntura. LXXII. Quěbus tirino pellucido alidi malte. Maxime autem fi in pbrene-ticěs comparent. 72. A quei che vengono orine molto chiare, e bianche , fono cattive . Principalmente fé comparirono ne* , frenetici. '} „ NOTA. Ha fatto patfaggio Ip-j a> pocrate a'fegni delle orine, e fé- i-yě gue a dirne fin' alla fine di quella „ fez ione. LXXIII. Quibus precordi a elevata murrmrant, lumborum dolore accedente, bis ahi bumeBantur, / non flatus erumpant, aut urin& copia prodeat . In febribus autem b craffa & alba prodi-ens , quahs in febribus lahriofis quarta die quibufdam fieri incipit. Sě vero et-iam ex narěbus fanguis eruperit, brevi adtnodum folvitur. 74. Quei che temono fia per formarli afceflb agli articoli, vengono liy berati dalP afceflb con orina copiofa» crafsa , e bianca quale a taluni fuol incominciare fui quarto giorno n^ěle febbri laffkudinarie . Che fé anc, ra n* efcirŕ fangue dal nafo in pochiiri-mo tempo farŕ libero 1* infermo da tal male. „ NOTA . Se fi fa lo fgrav.io cai „ ŕngue eh' efea dal nafo , o che 3i le materie, le quali dovevano fcr-„ mar Tafce.To precipitano per ori-„ na č cofa chiara che feguirŕ la li-)y berazione. LXXV. Si quis [anguinem, ŕut pus měngat renum, aut vefficds exulceratio-nem fignificat. 75. Qualor fi orina fangue, omarcia fignifěca efTervi efulcerazione de* reni, o della vefeica. „ NOTA. Patta alle orine fangui-„ gne, che denotano , il mal eflere „ ne'reni, o nella vefeica. LXXVI. Quihus in urina crafla exi< X 3 Jien- 486 AFORISMI ftcnte caruncula parrŕ, autveluti pit~ fituttl exeunt y bis de renibus excernun tur. 76. Qualor fi fa orina crafla, e in quella apparifcono certi comepezzet-ti di carne , o finalmente come ca-jpelli, tali cofe ne vengono da' reni. LXXVII. Quibus in urina craffaexi-flentc furfuracea qudsdam fimul min' guntur bis ve fica fcabi? affetta efi. 77. Quei che con orina cratfa get-cano certe come fquame di femoja ,. tfanno la vefcica fcabiofa» LXXV1IL Qui [uŕ fponte fanguinem mtngunty hěs in renibus ven grumos, (31 urinŁJiiUěcidium babe-at,&> do/or incidat in imum ventrem, i& ani ac fcroti in ter capedinem parte s circa vejftcttm affeR e fra SEZIONE IV. 487 e fra '1 feiěb, e lo fcroto, il male Ita intorno alla vefcica. LXXXl. Si quis fanguinem, & pu*x měngat, <& fquamas , & odor gravis fit i vejfěcó exulccratěonem fignificat. 81. ňe da taluno fi orinerŕ fangue o marcia, e vi fia fetore , denota V efulcerazione della vefcica. LXXXII. Quěbus in ur in aria fftula tuberculum najcitur , bis fuppuratiofit faci a <& eruptione, Mutio. 82. Se nel canai dell'orina nafco-no tumoretti, fatta che fiane la fup-purazione, e lo fpurgo , refta guarito il male. LXXXIII. JiděBěo noBu multa fenst modicam alvi egejěionem fignificat . 83. Q^ialor la notte fi orina in copia fignifica che fcarfa ne farŕ 1" evacuazione del ventre. X 4 SE- AFORISMI 5E2IONE V. AFORISMO I. , I. A"> Onvulfio ex veratro lethalis eft. \^j La convulfione originata dali' Elleboro fi č mortale. „ NOTA . Da principio Ippocrate „ a quefta Sezione dalle convulfioni, ?, o moti convulfivi, e profeguifce per „ alquanti Aforifmi , e prima dice j, che laconvnlfione, o fpafimo, che p, nafca dall'Elleboro, cioč da unrae-3, dicamento, che troppo n'abbia pur-,, gato, n'č mortifera. II. Convulfio ex vulnere lethalis eft. 2. La Convulfione ( ofpafimo ) proveniente da qualche ferita n'č mortale. III. Sanguine multo effufo convulfio , captili ds capite defiuunt, lethale eft , 11. In quei che fono travagliati dalla tabe, fé lofputo, che tofTendoget-tan fuora , buttato fu carboni accefi rende cattivo odore , ed i capelli cadono dalla tefta , n'č fegno-mortale. „ NOTA. Infegna qui Ippocratea „ conofcere quando la ti<ěcaja č con-„ fermata, e fatta l'ulcera ne'polmo-„ ni : fé lo fpurgo loro fui fuoco ren-„ de fetore, e fi pela la tefta fi puň „ pronofticare la morte. XII. Quibufcunque tabe labordntibus captili de capite defluxerint y hi alvi profluvio accedente moriuntur. 12. A tutti i tifici fé alla caduta de'capelli fopra verrŕ fluffo di ventre la morte non č lontana. „ NOTA. Ne'mali dal petto gene- S E Z I O N E V. 493 *., Talmente che fcorra troppo il venJ ,, tre non č mai bene. XIII. Quicunque fanguinem fpumo-fuvj fpuunt, bis ex pulmone eduftiojit. i?. A quei che fputaao fangue fpu-mofo , quello ne vien fuora dal polmone . NOTA, Se il fangue verrŕ dal-„ lo ftomaco, o dalla tefta farŕpiut-„ torto grumofo non fpumofo , onde ,, vedendoli mefcolato co' 1* aria nJ č ?) fegno certo che ne'polmoni vi fta „ rottura di vafo fanguigno. XIV. A tabe occupato alvi profluvi-um accedens letbale eft. 14. Ad un etico confermato fé fi mova il ventre, n'č fegno di morte. j, NOTA . Conforme fi č detto ne-,, grAforifmi di fopra. XV. Quěcunque ex pleuritide fuppu-rantur, fi in quadraginta diebus repurgati fuerint, ab e a die, qua rupiio fatta fuerit, liberantur . Si vero non , ad tabem tranfeunt. 15, Quei che dalla pleuritide paf-fano alla fuppurazione, fé in qnaran-ta giorni da che fi č rotta la poftema lě ripurgano, rifanano. Altro che no, divengon etici. „ NOTA. I pleurici fi fanno talo-„ ra Empiematici, come fu detto al-„ tra volta , fé purgano tal materia 494 AFORISMI Si fuppurata per quaranta giorni, fon „ liberi. Se no, fanno paffaggio alla „ tifichezza. XVI. Calida frequentar e a utenti bus has noxas inducit , carnium effemina-ticnem , nervorum impotentiam, mentis torporem , [anguints eruptionts , animi deli quia . Hňc , quibus mors . i<5. 11 bagno qaldo a chi l'ufa troppo fpefěTo reca i feguenti nocumenti : effeminatezza di carne , debolezza di nervi , ftupiditŕ di mente , getti di Sangue . Dopo quefte cofe puň venir anche la morte. „ NOTA. Il bagnarfi troppo co'l* „ acqua calda fa una terribile evapo-„ razione di fpiriti, e di materie non „ pronte a trafpkare, perciň nf č cofa „ cattiva: e troppo inumidendo produce „ fopraccennati mali, che nenafcono „ dal troppo umido. XVII. Frigida vero convulfiones an-trorfum, <*c tetrorfunjy diftentiones ^nj-grores, rigorej febriles . 17. Il bagno freddo poi produce le convulfioni ( Emproftotonos , & Opi-fiotonos) attrazioni di nervi, lividure, febbri col freddo. „ NOTA . K bagnarfi, e tuffar fi, o iy lavarli nelle acque fredde la faccia, „ la tefta, e tutto il corpo comefan-„ no taluni ne3 caldi eftiyi , fi č cofa SEZIONE V. 495 5, peffima, che puoprodurne i peflěmi „ effetti detti neirAforifmo . XVIII. Frigida inimica ojfibus, den~ tibus , nervi*, cerebro 3 [pinati medul-l<* . Calida vero grata. 18. Tutte le cofe fredde fono con* trarie agi' oflě , a*denti, a* nervi, al cervello, alla fpinal midolla. Le calde al contrario fono grate , e giovevoli. „ NOTA . Convien guardarli dao-» gni forta di freddo fia cibo, bevan-„ da, vento ec. eflendo peftifero per „ le parti nervofe. Gli olii, e i den-„ ti in fé non anno fenfb, ma lo an-„ no bensě i nervi che lor ftanno at-„ taccati. La fpinal midolla č ilcer-„ vello prolngato giů pel dorfo, per-„ ciň con fomma diligenza convien „ ripararla dal freddo; e tener tutte „ quefte parti competentemente cal-„ de n'č cofa ottima. XIX. Quěcunque perfrigerata funt txcakfacere oportet, prater quam a qui-bus fanguis črumpit, aut erupturus eft. 19. Ciň che n'č raffreddato bifogna rifcaldare eccettuate quelle parti, donde n'efce, o č per ufcir il fangue. « NOTA . Al freddo fi ripara col '„ caldo ; ne'fluori di fangue poi anzi „ col freddo fi rimedia, e fi ferma il „ fuo cariň. XX. 4 AFORISMI XX. Ulceribus frigida mordati, ctt~ tem obdurat, dolorem non fuppurantem facit, něgrefacit, rigore s febriles indu-cit, convlfiones, děftentiones . 20. Alle ulceri il freddo, o acqua fredda fi rende mordace, indurisce la cute, cagiona dolore fenza che fi faccia la fuppuraziono, le fa nere , arreca febbri col freddo, fa convuliěo-nij o attrazioni. „ NOTA. Le ulceri altresě bifo-„ gna difenderle da ogniforta difred-„ do: altroché no fi producono i cat-„ tivi effetti fuddetti. XXI. Quandoque vero in diflentione fine ulcere, juveni carnofo, tifiate media frigidds mult§ affufio caloris revocationem facit. Calor autem hócfolvět. 21. Talvolta perň fi da , chenelfat-trazione de* nervi fenz3 ulcere , in un giovane ben'incarne, di mezza State uno fguazzamento di copiofa acqua fredda revoca il calore : ed il calore fcioglie il male. NOTA. Dopo di aver biafimato „ l'ufo dell'acqua fredda porta un ca-" fo d'attrazione , in cui fuppofte le l, circorftanze addotte coTacquafred- da fi pub rifanare l'infermo. " XXII. Calida fuppuratoria eft non. in tinně ulcere > maximum fignum ad fecu-rit atemi cutimmollitě attenuati do fare i S E Z I O N E V. 497 eximit > rigores , cenvuifiones , diflen-tiones mitigat , capitis gravětatem foě-vit. Plunmum autem confort ad offntm fraHuras maxime denudatas . Ex bis autem maxime bis , qui in capite ulcera habent , &> bis qua a frigěditate mo-riuntur, aut ulcsramur , & berpstibus exedentibus , fedi , pudendo , utero , vefllccs. Bis caltda grata eft , (9* judicans . Frigida vero inimica , <& occidens . 22. L'acqua calda č fuppuratoria , nonin ogni ulcera, fegno grande di fi— curezza , mollifica la cute , Fa flottiglia leva i dolori, le rigidezzes le convul-fioni, e le attrazioni ne mitiga, caccia la ftornitŕdella teda. Moltogiova-poi alle fratture delle ofsa fpecialmen-ŕlle denudate . E principalmente a quei che anno le ulceri nel capo, e a quelle perfone che muojono da frigiditŕ, o fi efulcerano, o agli Erpeti cor-rofivi, al feflb , alla parte pudenda , all'utero, alla vefcica. Atuttequefte parti l'acqua calda č grata, e rifana. La fredda č contraria e mortale. XXII1. In bis frěgida titi oportet, un-de faKguis erumpět y aut erupturus eft, non fu per ěpfas prtrt?s , fed circa ipfrs unde Huit. Ft qu.ecunque T^f!ammttione-sě aut finmmů ardores, ad rubarsm i^ft;!/-crueniumcokrem ex ttovofetnguine tendimi ad eas ip[as , nam vstcres nigrefacit , 498 AFORISMI &> ad fctcrum ěgnem non exulceratfim nam exulceratum lad.it. 23. Nelle feguenti occafioni bifogna ufar l'acqua fredda: ne3fcarrimenti di fangue, o qualor temefi dovere fcorre-re , non fu la parte fteTa, che manda fuora il fangue, ma intorno ad ef-fa. E a qualunque infiamazioni , ofo-cofi ardori , che tendono al rofěTore, e coforfanguino, a motivo di fangue nuovo che vi concorra ; efTendoche le infiamazioni invecchiate fon refe nere» e dal fuoco Sagro che non fia efulce-rato, mercé che l'efucerato ne vien offefo. XXIV. "Frěgida velut nix , gUcier psBori inimica funt, tujjes movent, ér fanguinis eruptiones , ac defluxiones in-ducunt. 24. Le cofe fredde come la neve , e il ghiaccio fono nemiche al petto, muovono la torte, e producono getti di fangue, e fluflfioni. „ NOTA . Le cofe gelate che fi 3, prendono per delizia ne* caldi efti-„ vi, o qualor talun č rifcaldato , „ e fuda , fono peffime , e poflňno 9> produrre non folo i mali accenna-„ ti in quefto Aforifmo , ma quelli „ altresě che fono notati all'Afor. 17. f> e 18. di quefta fezione. XXV. Tumores in articulis, & do- hres SEZIONE V. 49? tores abfque ulcere, <& podagrica* affé-elione s, &> convuljtonffsBorum plurima, frigida multa affufa levat} & attenuaty & dolorem folvit . Torpor enim dolo-rem folvit. 24. I tumori negli articoli r e i dolori fenz* ulcere, e le podagre , e le convulfioni, la maggior parte di quelle cofe fono follevate da un'affufione di molta acqua fredda, che attenua, e feioglie il dolore . Stante che una moderata torpidezza libera dal dolore. XXV. Aqua, qůŕf citň calefcit , & citň refrěgeratur leviffuna eft, 25. Queir acqua che predo rifcal-dafi , e pretto raffreddai* n5 č fra V altre la piů Ieggiera. „ NOTA. Infegna Ippocr.^acona. \t feere 1* acqua migliore : vi fi pub „ aggiugner un altro fegno , ed č „ quando i legumi vi fi cuocono con „ facilitŕ . E quefto dev3 effere il rao-„ tivo, che i legumi non debbon „ falarfi fé non giŕ cotti; perche fa-„ landoli , da principio queir acqua „ fi č refa falfa , e grofla , non piů „ purifljma, e fottile come fi richie-„ de per i legumi. XXVII. Quibus bibendě appetenti,.* noBu valde fitientibttS) fi obdormierint, bonutn. efi. 27.Qi.1ei 500 AFORISMI 27. Quei che braman di bere per la gran lite che patifcono la notte, fé prenderanno Conno-, n* č cofa buona . XXVIII. Udente s ducit aromatumfuf~ fitus . Multis autem modis etiam ad alia commodus ejjet, / non capitis gra-vitatem induceret. 28. Il fufFomigio di aromi provoca le inenfuali purché alle femmine , e ad altre' cole ancora loro farebbe di profitto fé non ne cagiona/Te (torniti di tefta. XXXIX. Vrŕgnantes medicamentis purgare oportet, fi turget bumor, quarto menfe, <ůr ufque ad feptimum. M't-nus vero bas. Juniores vero (s»feniores foetus vereri oporttt. 19. Le donne gravide , fé vi fia turgenza d' umore , convien purgarle con medicamenti nel mefe quarto, e fin al fcttimo. Quefte perň meno . I feti di minor, o maggior tempo bifo-gna rifpetarne. XXX. Afulierem utero gerentem ab aliquo acuto morbo corripi, Istbah eft. 30. Che una donna gravida venga forprefa da qualche morbo acuto n' č pericolo di morte. XXXI. Adulier uterum gersns (e ci fi vena abortii, <&> magis fi major fuertt fietus. ¦31. La J SEZIONE V. 501 31. La donna gravida, cui fi cavi (ŕngue, abortifce: e tanto piů fé il feto n' č giŕ grande. „ NOTA . Quefto non č aflbluta-„ mente vero per fentimento del me-„ defimo Ippocrate. Molte, alle qua-„ li vien tratto fangue non anno ab-„ ortito . ti dee intender qui quelle ,, che fono in pericolo di abortire » XXXII. Mulieri fanguinem vomenti menfibus errumpentibus folutio jět. 32. Se alla donna che vomita fangue vengano le purghe mcnfuali fi libera. XXXIII. Mulieri menfibus deficienti-bus [augninem ex narěbus fluere bonum 33. Se ad una donna, cui ceffate fono le fue purgazioni, verrŕ fangue dal nafo, č bene. XXXIV. Mulieri utevum geflanti, / alvus multum fiuxerit, periculum, efiut abortii. 34. Se ad una donna gravida verrŕ molto fluflň di ventre, ella corre ri-ichio di abortire. XXXV. Mulieri, qua ab uteri ftran-gulationěbus vexatur, aut dijficutterpa- rit, fternutatio accidens, bonum . 35. Se alla donna ch'č tormentata' da foffogazioni uterine, o che (lenta a partorire fopraverranno ftranuta- ti, n'č bene. XXXVJL 5ň* AFORISMI XXXVI. Mulieri menfes de colore* , 4& non eodem tempere femper fientes , ¦purgatione opus effe fignjficaat. 3<5. A quella donna che fluifcono ě tnefi fcoloriti 3 e che non tornano fempre ad un medefimo tempo, fa bi-fogno di purga. XXXVII. Mulieri uterttm gefianti^fi mamm§ graciles repente fiant abortit. 37. Ad una donna gravida fé le mammelle ali* improvifo divengano ilofcie, n'abortifce* XXXVIII. Mulieri uterum gejěanti , fi ulteret mamma gracilis fiat , gemellos geftans alterum abortit. JEt fi quědem dextera gracilis fiaty mafculum^ fi ver9 finiftra, foemellam. 38. Ad una -donna gravida fé una mammella divenga flofcia, ed ella n' abbia due gemelli, fé vien flofcia Ja deftra, abortifce d*un mafchio; ie ia iěniftra , d^ina femmina. XXXIX. Si mulier qua neque pra-gnans efi , neque peperit 3 lac hdbet , menfes ipfius defecerunt. 39. Se una donna ^ la "quale non č gravida, ne ha partorito, fi trova il Jatte nelle mammelle, -eli'ha il lifta-igno delle fu e purgazioni. „ NQTA. La foppreflěone de" mefi j,, cagiona qualche volta il latte alle w donne ; falvo pefrň fempre 1* i» S E Z I O N E V. 50? „ no, da. cui il Medico cfperto faprŕ w guardarti. XL.Atulieribus quibufcunque in mam-mas fanguis coěligitur > infaniatn fignifi-cat. 40. A cnalfivoglia donne , che fi raduni il fan* uč alle mammelle vien pronofticata la frenefia. XLI. Mulěeri, fi ve/ěs cognofcere an prógnans fit, ubi dormire volet > aquam mulfam bibendam dato . Et fi quident tormenbabuerit circa ventrem prógnans jeft, fi vero non, proegnans non efl. 4T. Se volete conoscere fé una donno fia gravida: quando ella farŕ per dormire, datele abere acqua con mie*-le. Che fé ella fentirŕ dolori circa il ventre inferiore , n* č gravida; altro che no, ella non č gravida. XLII. Mulier proegnans fi quidem mafcuěum gč fiat bene colorata e fi. Si vero fcemeilarn, male colorata. 42. Se una donna č gravida di un mafchio, n' ha buoni colori . Se poi di una femmina gli ha cattivi. XLIII. Si mulieri pregnanti ignisfk" cer in utero fiat, lethale efi. 43. Se ad una donna gravida fi faccia nel!* utero 1' eriil^elate, li* č cof* mortale, „ NOTA . Si puň intendere per 4 AFORISMI # (agro cóme alcuni l'interpretano . XLIV. Qujecunque pr<$ter~ naturam tenues exějlentes, uterumgeftant, abor-tmnt priufquam cr/rjfefcant. 44. Tutte le donne che effondo gracili fuor di natura , fono gravide , abortifcono innanzi che mettano car-, ne. XLV. Qujzcunque ter0 moderate corpus habentes aboněunt bimeftres } <& trimeftres fine caufa manififta, bis uteri acetabula muco piena [unt, fe» non pojjunt fietum contenere pr& gravitate , jed abrumpitur. 45. Quelle poi che mediocremente n'anno il corpo loro e abortifcono fui fecondo , o terzo mefe fenza cagion manifefta, anno gli acetaboli dell' u-tero pieni di mocaggine , e dal pefo non poflTono foftenere il feto, ma fi rompono. XLVI. Qu 00. LUI, Quéi: corruptune funt fietus , bis mammagraciles fiunt, Si vero rur-fus dur periculofe , atti ab- Qrtum facientes periclitantur, 55, Quelle gravide che vengono af-falite da febbri, e che molto 1 fi efte-. riuanQ SEZIONE V. 507 nuano fenza manifefta motivo , con difficoltŕ partorikono j e con pericolo, o facendo aborto vanno a pericolo della vita. LVI. In fluxu muliebri convulfio, {$% animi deliqui um fi acce dal malum eft, $6. Nel flutfň muliebre fé aggiun-gafi la convulfione , o la fincope, n* č fegno cattivo. LVH. Msnfibus pluribus prodeuntU bus morbi fiunt, & non prodsuntěbus ab Utero morbi contingunt, 57. Scorrendo troppo le purghe men-fuali ne* provengono infermitŕ, e non ifcorendo morbi uterini n* accado* no. LVIII. E a inteflino reclo, <Ł?> utero infiammato urince flillicědium accedit i ex renibus fuppuratis urin qui bus pr.itcorděa elevata murmu-, Y 3 rant 5 io AFORISMI rant, (&> fiticulofis. Jkfalum {?> quibut uhi egeftiones in febribus acutis funt , i&> quibus fanguinis multi egeftio faBa eft . Conventi autem exhibere tabefcen-tibus, va/de multum febrientibus, isnin febribus longis, debělibus nullo, expréi-děBis fignis pr o infanie. Che fé poi que1 ali' improvifo difparifanttň alle parti dě dietro feguono convulfěoni > e attrazioni di nervi alle parti anteriori infanie , dolori acuti di petto > o fuppurazione -, o difenteria> te principalmente i tumori faranno rofleggian-ti» LX VI. Si in vulneribus fortibus, ac prdvis tumor non appareat , magnum tnalum. 06. Se nelle ferite grandi, e di ma* la qualitŕ non apparite* il tumore li e mal grande. LXV1I. Tumňres ěaxi) boni, crudi » mali. éy. l tumori molli > fono buoni j i crudi cattivi. LXVIII. Dolenti poftériorem capitis partem vena reBa in fronte fefta prň-de fi, 68. A chi duole la parte pofterioré del capo giova l'aprir la vena retta 4el fronte» LXIX. Rigorčs incipiunt, mulieribus quidem ex lumbis magis ¦> <&> per dor-fum ad caputi veruni (?> viris magis pofterioré corporis parte qtiam anterio* re y velut ex cubitěs, ŕefemoribus . Sed & cutis rara eft » Indicat autem pilus ? 69. I rigori alle donne anno pria-pio da* lombi principalmente , e pe* Y 4 la 5i2 AFFOR I.S M I. la, fcbiena ne falgono alla tetta 5 ed jagli. uomini altresě piů della parte po-fěerioredel corpo, che dall'anteriore, come da'cubiti, e da'femori. La cute ancora negli uomini č rara . Come ne dinioitrano i peli » LXX, Qui a quartanis cotripiuntur , non ita valde a convuljěombus corripi-yntur • Si vero prius corripiantur, &? quartana infup0r acesdat} ceffant. 70. Quei che fono invali dalla.quartana non cosě facilmente fono forprelě *Ja convulsioni, Ma fé prima vengano glTaliti dalla convnlfione, eoe fopra-Lyenga di piů la quartana, (i liberano. L}CXI. Quibur cutěs cěrcumtenditur '(irida ac dura, hi fine [udore mo&iuntur. Quibus vero laxa, ac rara cum'.[udore morěuntur.. 71. Quei, a quali fi fa la pelle tirante , arida , e dura fenza fudare , ne mujono. E quei ancora a' qualidi-vien laiTa,e rara cori fudore ne muojono. „ NOTA. Due gran fegni amen-j, due mortali . Coftipandofi la cute „ talmente che non mandi fudore n'č s, fegno mortifero: non facendofi efa-3, lazione profěcua . Se poi ella č ri-9, la/Tata, e co'pori molto aperti con }, unfudor diaforetico, peiTimoancora „ efalandoiě gli fpjriti vitali da quel-., la banda « LXXII. SEZIONE V. 51? LXXII. Morbo regio Ubar ante s Non ita vald? flatuojě.funt.. ¦¦¦ ; . " 72.-Quéi che fon afflitti da Itterizia non patiscono molto di flati. I S E ZI ONE VI. AFORISMO I. IN diuturni* inteflěnorum hvětatěbut ruttus acědus acce de ns, qui prius non erat} fignum bonum. 1. Nelje lunghe lienterie, fé vengono rutti acidi, che prima non vi erano, č fegno buono. II. Quibus nares natura hlunědiores , Ě3* genitura humidior morbofius favi funi: quibus vero viceverfa, falubrius. 2. Quei, a'quali per natura fluifce molto il nafo, e lo fperma loro č piů umido, (acquofo) vivono poco fanir e quei, a'quali n'avviene al contrario , fono piů fa ni. III.?. In longěs intejěinorum levitatěbus cibi faflidium> mafum,: & cum febre , pejus. 3. Nelle lunghe lienterie la naufea del cibo n'č male, e coJla febbre anco peggio. IV. Ulcera circumglabra maligni* funt. Y 5 4. Le 514 AFORISMI 4. Le ulcere pelofe ali* intorno fono di peflěma natura. V. Dolora in lateribus, & in peBo-ribus, is» in aliis peirtibus an multum differant confiderandum efl, 5. I dolori ne'fianchi, ne'petti,ed in altre parti, fé molto diverfi fia-no fra loro devefi da noi confidera-xe. VI. Renum ajfeBiones) {?> qua circa vefficam ccnfiftunt, operofe fanantur in fenibus. 6. I malori de1 reni, e quei che fi fermano intorno alla vefcica con difficoltŕ fi vifanano ne'recchi. VII. Dolores circa ventrem fientes fublimes quidem leves funt, non fubli-mes autcm, levUres. 7. I dolori circa il ventre fé fono nella parte alta fono piů Jeggieri , fé nella palte batta piů gravi. Vili. Hydrůpicis fientěa ulcera in cor-fore non facile fanantur . 8 Se nei corpi degl' idropici vengono ulcere con difficoltŕ fi rifanano. „ NOTA. L'ulcere per guarire con* j, vicn chefirafcinghino, eTacquache 9J ne fta nell'idropico non lafciandolé 3i afciugarenon poflfono neppur guari-,,re. IX. Late puflulf non ixilde pruriginosa funt. f. Le SEZIONE VI. ?j 9. Le puftole (bolle) larghe non arrecano molto prurito » X. Caput dolenti , aut circtimdolentě pus , aut aqua, aut fanguis flutns per nares, autosy aut aUrés folvit můrbum. 10. A chi duole il capo , ovver Je parti intorno al capo, fé fluirŕ marcia, o acqua, e fangue pel nafo, per bocca > o dagli orecchi fé ne fcioglie il male. XI. Atrahěliariis , &» Pbrentticis hómorroides accedente*, bonum. 11. A'melancolici, e frenetic ifefb-' pravengono 1* emorroidi, n* č bene» XII. HdStnůrroidas fananti diutumas, fi non una fervala fuerit, pericuhm efl hydropem, aut tabem accedere. 12. A chi rifana l'emorroide di tempo lungo y (e non fé ne lafcerŕ aperta una almeno, n'č pericolo che venga la idropifia, o la tabe. XIII. A fingultu detentň fremutati^-nes accedentes folvunt fingultum . 13. A chi ha il iěnghio^zo, fé ne vengano fternuti cacciano il finghioz-zo > XIV. Ab hydrope detento ubi aqua in venis ad ventrem confluxit i foluti* fit. 14. Se ad un idropico 1 acqua dalle vene ne cala al ventre , ne fegue Is foluzione del male • Y 6 XY. $16 AFORISMI XV". A profluvio ahi Ungo correpto vomitus [ponte accedens, folvit alvipro-, jěuvium. . 15. Se ad un travagliato da lungo flutto di ventre foproviene un vomita fpontaneo, ne fa ceffate il fiufTo . XVI. Apleuritide , aut peripneumo-ma occupato alvi profluvium accedenst malum. ¦ '¦ 16. A chi č travagliato da pleuriti-i de, o infiammazione de' polmoni fé rie venga flufso di ventje, n' č male. XVII. Lippěentsm alvi profluvio cor-pipi y bonum . 17. Nella lippitudine {mald'occhi) che venga il fluflb di ventre, fi č 0.0 fa buona, XVIII. Fejftcam dijfeBam babenti , MUt cerebrum, aut cor, autfeptum trarf-verfum , aut tenue aliquod inteftinum > giut vsntriculum , aut bepar , lethale ejt. 18. A chi ha tagliata la vefcica, o il cervello, o '1 cuore, 0 il diaframma, o qualcuno de&lJ interini tenui, o lo fěomaco, o il fegato ciň n' čco-fa mortifera. „ NOTA . Raccoglie qui le parti „ principali, che le ferite non poflb-,, no guarire a motivo del loro a0ě-„ duo moto^ che. non lafcia unire le „ parti {gparate. Vi fi potrebbe ag-' ' ¦ §iu SEZIONE VI. 517 '„ giujner il polmone, quando č offefo j, nella fua foftanza , noti neireftre-„ mitŕ de' lobi , che talvolta č rifa-3, nato .-.;¦• XIX. Ubi diffeBumfuerit os, autcar-tilago , aut nervus , aut gendS pcirs tennis , aut prr*- 32. I balbuzienti per lo piu.vreng0f no forprefi da lungo fluflTo di vej*-tre. XXXIII. Acědum ruclutn bŕbentts non ita valde pleuritici jiunt. 32' Quei che mandano fuora rutti acidi non molto :fon9 invali da;pleuri-tide. . .; , XXXIV. Quicunque"calvifiunt, bis 'varěces magn „ NOTA . U angina b T inflam-,j mazione della gola , che minaccia 3) la liifFogazione , ogni qualvolta il ,, male viene alle parti efterne fi č 3, bnonfcgno j quanto fi č male quan-, 3, do fpariice, e cala alle parti inter-}, ne , ali* afperarteria, al polmone, j, ec. XXXVIII. Qtŕbufcutique occulti can~ eri fiunt > eos non curare melius eft . Si enětncurantiir cětius moriuntur .Si'¦ vero non curentur multum tsmpus perdu-rant . ^ 38. Quei che fon afflitti da cancri occulti fi č meglio non curarli ; At-tefoche curati pretto ne muoiono. Se poi non fi curano vivono per lungo tempo. XXXIX. Conuuljio fit aut a reple-itone , aut evacuatane. Sic is* finguU tus . ¦ : 39. La Convulfione fi produce o da ripie- 522 AFORISMI ripienezza , o da evacuazione . Cosě altresě il finghiozzo. „ NOTA. Il Singhiozzo č un moto „ convulfivo del ventricolo: č unfinto-„ ma , che ha per origine il morbo „ medefimo che ne produce la Con-„ vulfione, cioč o troppa pienezza, „ o troppa vacuitŕ di vafi» XL. Quibitfcunque circa prrfco?' děum dolores jiunt abfque inflammatio-ne, bis febris accedens dolorerŕ folvit. 40. A quei che fenz* infiammatione ne vengono dolori circa i precordj (/' ěKtefiino ileo) fé ne viene la febbre toglie il dolore. XLI. "Quibufcunque [uppuratum qtiěd in corpore exiftens fignějicationem de {e non prabet , bis propter puris , aut lo-cě craflětudinem fui figntficationem non exbibet . 41. A quei che anno nel fuo corpo qualche fuppurazione e non apparifce, ciň accade o per la grofsezza della marcia, o della parte fte/Ta. „ NOTA. Stanno celate le marcie, ,, ne facilmente fi manifeltano, o per la ě0 craflězie delle medefime, o per la grof-3, fezza della parte , che le ricopre. XLII. Morbo regio laborantibus he-par durum fieri, malum efl. 42. A quei che anno la Itterizia, che s'induiifca il fegato, n* č male. xmi. SEZIONE VI. 525 XLIII. Quicunque [plenici a dyfentf-ria corrěpiuntur , bis Unga accedente dyfenteria , aut hydrops accediti autin-teflinorum lensitŕs, isr> pereunt* 43. Quei che patifcono di milza, e fono forprefi da difenteria, fé la di-fenteria farŕ lunga , ne vien dietro o l'idropifia, o la lienteria , e ne muo-jono . XLIV. Quěbufcunque ex urěn • '48. A quei che patifeono di milza fé ne venga la difenteria , n5 č bene. XLIX. Quicunque podagrici morbi fiunt, fedata inftammatione, in quadra-ginta diebus^rsftituuntur.. 49. Chi ns č tormentato dalle podagre, calmata che fia l'infiammazione, in quaranta giorni ( al piů) rifa-nano. L. Quěbus cerebrum děfleBum fuerit, hěs necefse efl fébr'em , bilis vomě-tum accedere. { r= ..-r .• 50. A chi n'č ferito nel cervello per neceiěltŕ dee fopravenire la febbre,,e il vomito di bile . LI. Quěbufcunque [anis derepente do-lores jiunt in capite, <Ł?> ftatěm vece in-t§rceptct jacent , a'c fiertunt , in feptem diebui pireunt y fi non febrif \apprebeti-derit. .,':,,. ; ' ¦>'... ..;...' 51. Qhei che fani all'Ymprovifo fo- ¦¦< no S E Ł I 0 ti E VI. 525 ho forprefi da dolore nella tetta, e fubito perduta la parola cadono a terra , e anfano, in fette giorni he iriuo-jono, fé non faranno fopraffatti dalla febbre. ' \, NOTA . Nelle Apópěéfěěe ,'e in „ tutte le Convulfioni n' č^giovevole ,j Jŕfčbbre, comeIppocraté- tihaaVf „ vertito altrove . - hk| LII. Confiderŕte vero pportet tiictm. fub ocuiis apparitiones in fomnis . Si enim albde pariis quid appartieni• \ non] cbmmiflěs palpebri* ; fi id non ex 'ahi" profluvio, ctut medicamentipotěone fue-rii , mah ni figkuht L& ' ixtldé *k t^ale 52. Fa d' uopo altresě confiderŕ ré : { negli infermi ) mentre donfidria' gli ' occhi loro. Stanteche fé non bene uni- ¦ te le pŕlpebre fi vede -H bianco': dell' occhio né ciň derive^- xla flufTo ŕi} ventre, o da qualche purgante prefň, l n5 č fé^nó cattivo > fe'-iěa'plto morti-feroi. ;f:-.iě/:..--i5-uw'..-i'.J^v-f:..^ LUI. Defipientice ctim* rifa quidem fientes fecuriores [un:, cum jhdio verv ferio periculofěores. '" . f3'. 1 delirj che fono accompagnati dalrifo fono piů ficuri , quelli poi , ! che vanno congiunti con nflazion di meftizia riefcono piů pericolofi L1V. In atutis fiffeBionibus , qua cum, 52<5 AFORISMI cum febre fiuni, luRuofe rc[pirationes , malum. 54. Ne' morbi acuti accompagnati con febbre, i fofpirirnefti j fono legno cattivo. LV. Podagrica affe8io»es Vere {?» jěutumno ut plurěmum movsntur. 55. Le podagre ne vengono per Io piů di Primavera, e di Autunno. LVI. Atraběliariis morbis periculoji humorum a loco ad locutn decubitus, tiut [yderationem corporis, aut convul- fionem , aut j»faviami aut coecitatem Jěgnijicant. $6. Ne"morbi malinconici fono pe-ricolofi i decubiti umorali da un ad altro luogo, o pronoiticano paralifia del corpo, o convulfione , o alienazione di mente, o privazione di vifta. LVII. Syderationes vero maxime fi-unt (State a quadragefimo anno ufque ad fexagefimum. 57. Le apopleflěe avvengono principalmente dall'etŕ de'quarantanni fin' al feflagefěrao. LVIII. Si omentum excidsrit necefr ejě putrefar*. ,58, Se ne verrŕ fuora l'omento con- vien che per neceffitŕ fi putrefaccia « LIX. Quibufrunque fi coxenděcum morbo vexatis coxa excědit , &> rurfus inciditi bis muci accedunt, 59. A SEZIONE VI. 527 50. A quei che travagliati da lun" go dolore de'contendici la cofcia efce di luogo, e di nuovo vi rientra , fo, pravengono mncofitŕ, LX. Quibufcunqu? a axendicum morbo diuturno vexatěs coxa excidi t , his crus tabefcit, ^» ctaudicant fi non uftě fuerint do. A quei che fon moleftati da lungo mal de'coflfendici fé ne feguela lufěTazion della cofcia, la gamba fifa tabida, e reflano zoppi , fc non (a* ranno fcottati col fuoco » 528 AFORISMI SEZIONE VII. AFORISMO I. IN tnorbis acutěs frěgěditas extrěma-rum part'mm , malusi. 1. Ne'mali acuti che fredde fiano le parti eitreme, m'č- male. li. Ex ofse oculi rubicundi, malum. 3."Che dietro il vomito ne venga il iěnghiozzo, egli occhiro.Ti, male. IV. Ex [udore horror non bonutn . 4. Che dopo il fudore vengano or-ripilazioni^ non č bene. V. JEx~infania, dyfenteria , aut faj/' drop*, aut meněis e motto , bonum. 5. Che al furore fopravenga la di-fenteria, o 1* idropica, o %hr' alienazione di mente, li č bene . VI. In morbo diuturno cibi faftidium, & mcracfi alvi dejeBiones, malum. 6. In una malattia lunga la naufea' del cibo, e Vevacuazioni fchiette, ir č male. VII. .Ł\y multo potu rěgor , &> deh* fiuta, malum* < , 7. Do- SEZIONE VII. 527 7. Dopo d'aver molto bevuto J'or-ripiiamento, e l'alienazione di mente n'č male. Vili. Ex tuberculi intus ruptěons ex-folutio , vomitus , & animi ddiquium fit. 8. Se internamente fegne lo fcoppia-mento dě un tuberculo ne proviene o la foluzione , il vomito , o la finco-pe. IX. Exfanguinis fluxu delirium, aut etěam convuljio, matum. 9. Se per cagione di Buffo di fan-gue ne vien delirio, o convul(ionea{i č male. X. Ex vohulo vomitus , aut jinguU tus } aut convulfěo , aut delirium ma-lum. 10. Se nel volvolo fi fa il vomito> o il fěnghiozzo, olŕ convulfione, o l delirio, male. „ NOTA. Qpefte trecofe fono fin-?) tomi deiivanti da una medefima ca-„ gione, perche fono tutte convulsioni, „ xorae altrove fi č detto. XI. Expleuritide peripneumoniay ma» lum. 11. Che dopo P infiammazion della pleura s'infiammi '1 polmone : n'č male. XII. Ex peripneumonia phrenitis , matum. 52? AFORISMI 12. Che ali* infiammazion del polmone iopravepga il delirio, male. XIII. Ex ardoribus, vebemenůbus con* vulfio , aut diftentio, tnalum . i$. Dopo ardori veementi che ne venga la convulfione 3 o tenfione, di nervi: male* XIV. Ex plaga in caput flupor, aut deUrium^ tnalum. 14. Che alla ferita di tefla ne foprag-. giunga balordaggine, o delirio , n* č male. XV\ Ex fanguimsfputopuris fputumti malum. 15. Dopo Jo fputo del fangue, che fi fput^ marcia , vi č fegnp cattivo. XVI. Ex puris fputo tabes > 61 flu--tcusy malum. Pojlquam vero fputumfup-primiturě morěuntur. 16. Dopo lo fputo marciofo la ta--be, e M.fluflTo di ventre, tutt'e male. Soprefto poi che ne rimanga lo fputo, l tifici mujono. X;VII. Ex hepatis inflammatione fin^ gultus y malum. 17. Alla infiammazione del fegato (ot s* aggiugne il finghiozzo , ma-, le. „ NOTA «. li finghiozzo come fin-. „ toma, raorbifico in niun cafo č be- xyni.. SEZIONE VII. 52Ł XVIII. Ex vigilia convulfio x aut de* liriunjy malum. 18. Da non dormire che ne venga convulfione, o delirio , fi č male. XIX. Łx ojfis denudatone ignis fa-cer ( eryfipelas. ) 19. Dallo fcoprimento dell* oflň ne viene il fuoco facro , ( l'erisipela , 0 infiammazione .- XX. Ex igm facro putrcfaflio , aut fuppuratio. 20. Dopo tal erifipela putrefazione % o fuppurazione. XXI. Ex forti pulfu in uheribus fan-guinis eruptio. 21. Da una gagliarda pulfazione nelle ulceri fi predice fgorgo di fan* gue. XXIX. Ex dolore diuturna partium circa ventrem fuppuratio « 2-2. Da continuato dolore delle parti intorno al ventre fi fa fuppurazicK ne . XXIII. Mx msracanhiegefiionsl dy~ fenterěa. 23. Da ejezion (incera di feerie, la difenteria. XXIV. Ex ojfis dijjettione ddiriumx fi ad vacuum. ufque procederit. 24. Dal taglio di un offa fi fa il de* lirio , fé il taglio farŕ arrivata Łn' al vuoto. 2 2 XXV. 5 AFORISMI XXV. Ex medicamenti potione con-•vulfio, letbale. 25. Se dopo aver forbito un medicamento purgante ne vien la con-vulfione, č mortale, XXVI. Ex dolore forti partitivi circa vtntrem 3 frigiditŕ/ extremarum par-ttum j malum . 16. In un forte dolore delle parti circa il ventre , che le parti eftreme fěan fredde fi č male. XXVII. Mulieri uterum gerenti te-xefmuj accedens abortire facit. 27. Ad una donna gravida fé le fo-pravenga il tenefmo , la fa abortire. XXVIII. Quodcunque os ptŕtfeBum fuerit) aut cartilago aut nervm in cor-p»re , neque augefeit, neque coalefcit. 28. Qualunque offa, o cartilagine , o nervo farŕ tagliato nel corpo ne piů crefee, ne piů fi unifee, XXIX. Si a pituita alba de tento ve-bemens alvi profluvium accedat, folvit morbum. 19. A chi n"č forprefo dalla l'euco-flemmazia fé fopraverrŕ gagliardo Ruffa 4i ventre, ne fegue la liberazione dal male. XXX. Quibufcunque fpumofie ahi cgeftiones funt in ahi profluvi?* } bis de capite pituita defluii » SEZIONE VII. 5? 30. A quei che ne' fluffi di ventre gli efcrementi fono fpumofi , la pituita gli Huifce dal capo. XXXI. Quibufcunque febricitantibus in urinis fu&jědentidi crajftores polenta partes referente* fiunt, longum morbunt fignificant. 31. A quei febbricitanti, che le loro orine anno un fedimento grotto , che raiTomiglia una farinata , fi pro-noftica mal lungo. XXXII. Quibus vero biliof-e fubjtieft-ti¦ Jt-gněficant. 32. In quei poi che i fedimenti fono biliofi, dopoché dapprima furono tenui, fi attende mal acuto . XXXHI. Qiiibufcunquedifparatde uri* n> tirino fiillicidium ha-heat^ & dolor inc\dit in ani ě ac fcro-ti intereapedinem , & imum ventrem tic pettinem, partes circa vejficam rubor in peflorc accedens, bonum. Fo-ras enim vertitur morbus. 49. Al travagliato da infiammazione di gola fé venga tumor e roffo-xe nel petto, č buonfegno. Sunteche il male fi volta per di fuori. L. Quibufcunque corruptum fuerit cerebrum in tribus diebus pereunt ; fi vero bas effugerint fani funt. 50. Quei, a'quali fi č sfacciato, o corrotto il cervello, in tre giorni ne periscono. Se paflbno poi quefti, risanano , LI. Sternutatio fit ex capite, p$rca~ lefcente cerebro\ aut vacuo quod eft in capite perbumefcente . Asr enim, qui intus eft, foras erumpit. Strepětum vfi-ro edit, quia tranfit per atiguftum . 51. Lo fternuto provien dalla te-ila, qualor č rifcaldato il cervello , o inumidito quel vacuo che nel capo fi trova. Stante che l'aria, che dentro fi trova fcappa fuora : e ne rende lo Crepito y perche paffa per luogo ftretto. LII. Quibufcunque hepar circumcir-ca dokt^běsftbris accedetti folvit do-iorem. $2. A SEZIONE VII. 537 ?2. A quei che ičnton dolore attorno al fegato > fé xie verrŕ la febbre , Ci parte il dolore. LUI. Quibufcuttque fanguintně d; *venis aufirre Conduciti his Vere venam fecare consentě. 53. A quei, a* quali giova feemar il fangue delle vene, conviene che fi falaffino di Primavera. j> NOTA , Un aforifmň fimile ^, trovali ŕncof in altra Sezione * L1V. Quibus inter ventrem , (9* fe~ ptum tranfverfum pituita concluda éft *' {$•» dolotem exbibet non babens exitum ad neutritm *oe-ntrem , his per vsnas ad, vcflěcam converga pituite morbi folutio ^54. A quei, a* quali fta rinchiufa la pituita fra 'ě ventre, e il diaframma 5 e ne caufa dolore non avendo 1* efcita per ninno de3 due ventri ne per quello di fotto , ne per quello di fopra, fé per le vene quell* acqua fi rivolterŕ alla vefcica, fegue la liberazione del male. LV. Quibus hepar aqua replettim ad ňmentum eruperit, bis ventar aqua im-plstur, &> meriuntur. 55. Queij a*cui il fegato pieno d' acqua sboccherŕ nell' omento , riem-piendofi il ventre lóro di acqua, ne muoiono* Z <5 LVI. 538 AFORISMI \JVl.Anxietatem, ofcitatUnem, hor-r&rem , vinum dequali me nfura aquds commixta potum folvit, {?* lac. 5<5. L/anfietudine , lo sbaviglio, l* ©rripilamento una bevuta divino fatto mez' acqua ne fcioglie tal male : e '1 latte ancora. LVII. Quibus in urinaria fflula tu-hercula fiunt, bis fuppurattorie faHa. , ^» etuptione , folvitur dolor. 57. A quei che nel canai dell' oi> na fi fanno de3 tubercoli , co* la fup-purazione, e lo fpurgo, fi fcioglie tal anale, e pa(Ta il dolore. LVIII. Quibus eerebrum eoncuffum fuerit ex aliqua caufsa> eos flatim voce privati ticceffe eft. 58. Quei, a* quali per qualche ca^ gione farŕ percolo il cervello, č ne-ceffario che immantinente ne perdano la parola. LIX. Corporibus carnet humidas ba-bentibus fatriem inducere oportet : fames enim corpora ficcat. 59. A quei corpi, che anno le carni umide convien far patire la fame : ^ttefoche la fame rafciuga i corpi . LX. Ubi in uto corpore mutationes , ({99 corpus perfrigeratur , &> rurfus ca-lefcit, y aut color alius ex alio mutatur , hngituděnem morbi figmficat. 60. Qualor nel corpo accadono can- gia-. SEZIONE VII. 59 giamenti, ed il corpo molto fi raffred da, e di nuovo torna caldo, ofi muta di un in altro colore , predice lunghezza di male. ^ LXI. Sudor rnultus caMus, aut fri-gědus femper fluens, bumcrtm abducere oportere Jěgrŕjěcctt ; forti qui de m fuper-ne j debili vero infsrne. 61. Secopiofo(udore caldo, o fred« do Tempre fluifca, n* accenna doverd purgare Tumore , al robufto per di fopra, al debole per di fotto. LXII. Febres non intermittentes fi per tertictm fortiores fiunt , perěculofcg funi . Quocunque vero modo intermife-rint fine periculo effe fignificant. 62. Le febbri non intermittenti , che fui terzo giorno fi fanno maggiori portano feco del pericolo . In qualunque modo poi faranno intermitten-ri, denotano Scurezza. LXIII. Quibus febreslongajunt, bis aut tubercula, aut ad articuios dolores fiunt. 63. A quei che fono travagliati da febbri lunghe vengono o vomiche, o dolori agli articoli. LXIV. Quibus tubercula diutina , aut ad articuios dolores ex febribus fiunt , hi cibis pluriměs utuntur. 64. Quei , a' quali a motivo delle febbri lunghe fi fanno decubiti di vomiche 54© AFOl'lS M I miche lunghe, o dolori agii artico-» li , fi cibano con vitto troppo co-piofo. LXV» Si quis febrěcitanti tibum dits quem fano exbibet, fano quidem robur, tigrato vero morbus eft , 65. Se taluno fomminěftra al febbricitante quel cibo , che da ad un fano, ficcome al fanoaccrefce le forze , cosě ali* ammalato n* accrefce il male « LXVI. Qu eruentce, i& grave olentes , <&> bilioff omnes malg funt. At probe fecedentes bong, <& per alvum , dr per vejftcam , Ě3» ubi fané quid fecedens conftiterit non purgatum, malum. 69, Nelle febbri non intermittenti tutti i ripurghi lividi , fanguigni , fetidi , e biliofi fono cattivi . Quei poi che fi efcreano di buona qualitŕ, fon buoni tanto fé ciň fegua per feceflň , quanto per orina,- e quando qualche efpurgo (laccato fi fermerŕ non purgato^ fi č male. LXX. 54 AFORISMI LXX. ( orpora r,u?cunque quis pur' gitre voluer.t^ ¦Tv.ěj.x fi cere oportst, (& fi quidem furfu-u , pjěers alvum . Sě vero dsorfum, hutneHare. 70. Qualunque corpo fi vorrŕ purgare, bifogna prepararlo alla fluidezza , e fé ti vuoi purgar per bocca ( ed vomito) bifogna fermar il ventre, fé per feceflň bifogna inumidirlo . LXXI. Somnus , vigělia y utraque modurn excedentia morbus. 71. lě fonno, il non dormire, sě l'ima cofa che l'altra , qualor trapalano i giufti termini, fi č cagione di malattia. LXXII. In non interměttentěbus fé* bribus, fi externa quidempartes frigido fuerěnt , internň vero ardeant , &>fi-bris habeat, letbale eft. 72. Nelle febbri non intermittenti fé difatto le parti eflerne fono fredde, quelle di dentro rifentino grand' ardore , e vi li trovi la febbre, n*č fegno mortifero. LXXIII. In febre non intermittente, fi labium , attt nafus , aut oculus, aut fupercilium difiorqueatur , aut non vi-deat aut non audiat ager jam debilis exiftens, quědquid horum fiat , propinqua mors eft. 73. Nella febbre continua fé fi tor-x H labro, o '1 nafo, o un occhio , SEZIONE VII. 54? o '1 fopraciglio, o l'infermo giŕ debole non vegga , o non oda , qualunque di quelle cofe n'avvenga, la morte non č da lungi. LXXIV. Ex pituita alba bydrops ac-cedět. 74. Dalla Leucoflernazia fi fa paf-faggio alla Idropifia. LXXV. Ab alvi profluvio dyfentericf. 75. Dalla diarrea fi fa pafTaggio alla difenteria. LXXVI. A dyfenteria inteflinorum kvitas ticcedit. 76. Dalla difenteria fi pafla alla li-enteria. LXXVII. Ex corruptione abfcefsus efsis . 77. Alla putrefazione fopragiugne Tafceflb deirotfb. LXXVI1I. Ex'fanguinis vomita tahery ér puris purgatio \'upra . Ex tabe fluxus ex capite . Ex fluxu ahi profluvium, ex alvi profluvio fupprejfw purgttionit furfum verfus , ex fupprejfione mors. 78. Dal getto di fangue per bocca fi patta alla tificaja , e allo fputo di marcia per di fopra. Dalla tificajaal-la diftillazion dalla tetta, dacotedaal flutto del ventre , dal flutto alla fňp-preffione dello fputo, da quetto fi fa patteggio alla morte. J-XXIX. Qualia etiam fint in veficff, {$•> al- 544 AFORISMI & alvi egeftionibus ěnfyicere oportei ^ & in bis qit ficubi alibi a natura rscedat corpus i fi parum parvus efl morbus , fi multum multus. Si *uero valete multus fit recef-Jusě Uthale hoc eft. 79. Convien altresě rimirare quali fiano le cofe, che fi trovano nell* o-rine , e nelle feerie : come ancora in quelle cofe che efeono dalla carne, e fé in qualche altra parte un corpo fi dilunghi dalla natura: fé č poco, il morbo č poco, fé č molto , molto * Se poi il dilungamerito ila molto affai, n'č cofa mortifera. LXXX. Quicunque fupra quadragiti-ta nnnos pbrenetici fiunt non ita valdt [ani jaint . Minus enim periclitanttir quorum naturi <&> (Stati morbus affini* fuerit . 80. Quei che cadono nella frenefěŕ oltre i quarant' anni di fua etŕ non cosi facilmente rifanano •. Attefoche in pericolo minore fi trovano quei > il cui male fi č adattato al temperamento, e all'etŕ loro. LXXXI. Quibufcunque in cegrituŕi-mbus oculi ex voluntate ěacbrymantur > bonum . Quihus vero citra voluntatemy malum. 81. A quei che nelle infermitŕ la-criman gli occhi per lor volere , n' cofa SEZIONE VII. ^5 cofa buona. Se poi lacrimano involontariamente n'č cattiva. LXXX1I. Quibus in febribus quar-tanis fanguis ex naribus fluerit , ma-lum efi. 82. A quei die nelle febbri quartane verrŕ fangue dal nafo , n' č male. LXXXIII. Sudores in dkbus }uŕic&-ěoriis fientes 3 vebementes, veloces , fericulofi [untě qui expelluntur ex fronte velut guttiS , eb* aquos [alientes , ac frigidi *valde, ac multi . NeceJJe e/i e-něm talem fudorem prodire cum viole fi-tia> <&> doloris etcceffu , ac expreflione diuturna. 85. I fudori clie vengono ne'giof-rn critici con vemenza, e velocitŕ fono pericoloiě que' che vengon efpulfi dalla fronte come goccie , e acqua che zampilli, e fěano molto freddi, ed in copia. !*tante cheun fimiliudore per neceffitŕ bifogna che ne fcaturifca con violenza, edeccefTo di dolore, e continuata efpreflfione, LXXXIV. Ex morbo diuturno eticim alvi defluxus^ malum. 84. Dopo di una lunga infermitŕ che ne venga ancor il flutto del ventre , n* č male. LXXXV. Qudecunque nonfanant mt~ dicamenta , ea fgrrum fanai. Qiicefer- rum 54 AFORISMI rum non [anat e a ignis [anat . QudS ignis non [anat, ea incurabiUa pittare oportet. 85. Quel che non rifana co' medicamenti , fi fana col ferro , fé nep-pur col ferro, col fuoco , fé ne anca con quefto convien dire , efler male incurabile. I PRE- 547 I PRESAGJ DĚPPOCRATE LIBRO PRIMO. I. TV /f Eděcum pranotionem adbiberc JLVJL optimum efse mihi videtur. Che il Medico ponga in ufo il pre- fagio a mio parere egl'č ottimo pen- frero. 2. Pr prafentia , & preterita , & futura j &> quce ipfi arroti re-linquunt expmens fidem utique fscerit , quod agrotorum res magis cognofcat. Eflfendo che antivedendo , e-prefa» gendo agl'infermi le cofe tanto pre-fenti, che pattate, e future, e fupplen-do altresě a quello che gě'ideili ammalati lafciano di efporre, darŕ certamente a conofeere, ch'ei delie cofe degl5 infermi pienamente pofěTede la cognizione. 3. Quare audebunt homines ftipfa Medico committere. Onde gli uomini con maggior coraggio fi riporranno nelle mani 4ei Medico.. 4. At 54 I PRČSAGJ 4. At vero curationetn optime fecerit ubi pranoverit futura* affeziones. Sano* čquidem facsre ortnnes nofcernelenatureafin di fapere quan--to le forze de3 corpi ne formonti-no.. 7. Simul vero fiquid divinum in morbis inejt , etiam hujus prdenotionem edifcere . Ita enim merito admir ationi fuerit. y <& rn.edi.cus bonus, extiterit . Nam quos Cuperftites manere pojfibile eft , eos adbuc- magti reB,e conservare poterit , ex multo tempore antea confi-lium adbibens ad fmgula, iy> tum mo-rituros , tum fervandos prdenofcens, ac f>r#dicens a culpa, exors fiterit.. Parimente ppi fe nelle infermitŕ fi trova qualcofa di foprauaturale , anche di quefta bifogna Caperne prefa--gire. Stante che in tal guifa farŕ tenuto in ammirazijDne ragionevolmente, e riufcirŕ buon medico. Imperocché coloro che poffono fopravivere , anche molto meglio potrŕ confervar in vita , potendo da molto, tempo, prima prň vedere a ci.afcheduna cofaj e prefag_endo , e predicendo sě quei che- fon per morire , cacné quei che. fono per rifanare, farŕ efenůe da eflTet<-ne calunniato.. Segni, della faccia». 8.. Considerare porro hoc modo cori'-. venti in morbis acutěs primum quidem. facism rfgroti* an JěměHs fit bis , qu& $5 I ? RE SA G J in fanis funi, maxime vero an ipfa fibi ipfi: ita enim optěma fuerit . Si vero maxime contraria fimili fuerit, horren-dijfuna e fi . Talis autem fuerit . Ne* mali acuti convien difatto in primo luogo ben oflervare la ůccia dell' infermo . Che fé poi. n* avrŕ qualitŕ contraria alla fimile , farŕ orrendiilěma, di cui i fegni ne fono i feguenti. 9. Nafus acums, oculi cavi, tempo-ra collapfa ; aures frigido ac contrattň tir extremitates aurium aver fa . 11 nafo impuntito , gli occhi incavati , le terapie rilaflate , gli orecchi freddi e raggrinziti, e Y ellremitŕ di etti roverfciate. 10. Cutis circa frontem dura 3 &> cěrcumtenta, ac arida, fa> color totius faciei pallidus aut etiam niger y & li-vidus , aut plumbeus . ha. cute intorno la fronte dura, tirante, e fecca, e il color di tutta la faccia pallido, oppur nero, e livido, o di color di piombo. 11. Si quidem ěgitut in princěpi» morbi facies talis fuerit , (& nondum ex aliis conjefturam facere ticuerit, in* terrogare oportet num wgilaverit homo, aut alvi excrementa valde lěvida fině', aut fames aliqua ipfum teneat . Et fi uidem forum aliqutd confiteatur 3 mi- nus D'IPPOCRATE. 55 nus grave effe putandum ejě . Judican-tur autem, <& cognofcuntur talia in diet ite notte fi ob alias cauQas facies talis fuerit. Si vsro nihil borum efse dicat, /teque in prasdiBo tempore c&njtdet, nof-fe convenite in universa, facie , corpors, {& in oculis . Ma fé il male farŕ di piů tempo per tre, o quattro giorni tale ne farŕ ftata la faccia, bifognadomandare le cofe dame impoite disopra, edaltre-Afd'I A4 sě 552 IPflESAQJ sě considerare gli altfifegni sě per tutta la faccia, come nel corpo, e negli occhi. Segni dagli occhia Si eněm lumenrefugiant, aut in-Vatie lacrymantur , aut diftorque-aniur 3 aut alier altero minor fiat} au( albits parta rubčŕtes babeant, aut ve-fiulas lividds > am ritgras in ipfis hab:~ 0nt y aut Um aut cavi vehementér fafli , trut fqualletěies , &> obfcurifuerint, aut col&t totius faciei alterŕtus fuetit, h frěgida , <& ŕlbkantia fatta. Se poi fi farŕ torta ? o ritirata la palpebra, o divenuta livida, o pallida, o i labbri , o il nafo faran tali con alcuno de* detti fegni , convien fapere , 1" infermo efTerne pretto alla morte . Segno mortale ancora fi č i" A a 2 ave- 554 I PRESAGJ avere le labbra ntaffete, pendenti,e fredde, e refe biancaftre. Segni dal decubito. 16. Decumbentem trura modice inflexa habenxem , &•> to~ tum corpus flexibile fitum . Ita enim plurimi ex fanis dscumbunt . Optimi autem funt decubětus qui fanerum de-cubitibus fiměks exiftuni. E' bene che il Medico trovi V infermo giacente in letto voltato o fui deliro , oful finiftro fianco, e co* le manij collo, e gambe un poco ripiegate, e tutto il corpo in unapofitura pieghevole. Attcfoche Ja maggior parte de' fani in tal guifa ne giacciono . E le migliori Umazioni fono quelle , che dal decubitode'fani non fldilungano. 17. At vero fapinum jacere y & ma-. nus3 & cellum, &> crura txtenta ba-> bere ) minus bonum eft. None poi commendevole che l'ammalato ne ftia fupino, e che tenga le braccia , il collo , e le gambe difti- ě rate. * iS. Si vero etiam prcnus fiat, &de ieBo ad pedes dekhamr magěs borrcti- ŕfi D'IPPOCRATE. J55 Egl'č anche da recar maggior timore fé l'infermo non potendoti reggere né cada boccone verfo de'piedi. io. Si vero nudos quoque pedis ha-bere comperiatur, nec admodum calidosě fe> manus, & collum, ac crura dequali ter disotta, &> nuda, malum eft . Che fé parimente fi trova fovente có'pie nudi, equei non caldi competentemente, co'le braccia, il collo , e le gambe tutte difcóperte, e allargate, n'č fegno peifěmo . 20. Lethrtle eft <& hiantem fsmper dormire & crurtt fupini jacentis valdě curvata effey de complicata.-' :l Segno mortale ancora fi č C*he"Pirt-fermň f*mpre dorma a becca aperta \. e che giacendo fupinň n'abbia lo gambe, molto inarcate , e incrociate in-fičme. : - • ir. .At in vsntrem decumbere , fiquit non fit adfuetus , cum fantis- fuit, ita dormire, delirium fignificat} aut dohrem locorum circa ttntrem. Che talun dormi boccone , fé no» fu ufato dormir in tal forma da fa no, fignifica delirio, odoior alle parti circa il ventre. 22. Cceterum erecium fedire velie ce± grum in morbi vigore in omnibus morbit acutěs malum eft, pejftmum aittem in peripneumonicis pulmon* infiammata . •¦•'¦• A a 3 Inol- 55<5 I PRESAGJ Inoltre che l'ammalato VQglia ftar ŕ &d?r dritto fui letto nel colmo del inale in tutti li morbi acuti n'č peflě-ino fegno , ma principalmente nella inflamniazJLon de'polmoni. Qe}h Sgritoinr i denti, %$. Ventibusftridere infěbrěbus qu't-ěfus non famělěaxes id eft a pueris , fu-fiofym tic Ittbak eft. tfe.wm pradictre oportet ab utrjfque periculum futurum, Nelle febbri fgrizzolare i denti , in quei che non V anno per ufo dalla fanciullezza fěgnifica delirio, ed č fegno mortale. Ma convien prefagire il pericolo futuro in amendue quellicafi. 24. Si vero etiam delirus hoc faciat, pe'rniciofum v.ald,e jamexiftit. Che i'c poi ciň n'avviene in pejfo-na giŕ delirante n3 č un fegno perni-ciofiflimo. 25. Ulcus autem five prtos faHum fuerit five in morb/t accederit confifar*-re oportet. St enim periturus eft homo, ante mortem lividum <*c ficcmn erit : aut etiam paUidum &> ficcum . L* ulcere o fiali fatta prima della malattia , 0 fiane fopraggimita deve con- blfPOGRATE. ss; conaderarlě. Stanteche le quell'uomo dee morire, innanzi la morte 1' ulcera farŕ livida, eatida, o altnenopal-lida, e fenza umido. Va* Gefli delle mani. %6. Ac ds manwum lattone ita fentis * In ttfutis febribus , in p>ripneumo-nia, pbrenitide , capitis dolore, fi quir easfaciei admoverit ut inde quidpiam fupervacue vsnetur, autfefiucas carpeit, aut a vefle flloccos, aut de parěet > pale as avillat ' bcis omnes notas inala! effe , ac Istbales. ^Del portar delte mtni akrcsě queflo n*č il mio fentimcnto . Melte febbri acute, iafiammazion de'pai.noni, fr.?-nitide , dolor di capo , fé l'infermo parta le mani alla faccia per cercarvi qualcofa che non v'č, o prenda fe-ftuche , o i fiocchi dalle vefti , o ftrappi da la muraglia le pagliuche : tutti quefti fegni dico efler perniziofi, « mortali. Dalla Refpirazhne. 27. Spiritus frequens dolorern jigni+ ficat aut infiammaiěonem in locis fupra fsptum tranfverfum . Si ver» magnus expiratotr, & per multum temporis in» A a 4 Ur- 55$ I PRESAG] tervallum delirěum indicai . Frigidus 'viro fi č nafo , {?> ore expiretur valdi perniciosi efi . Il reipiro frequente da fegno di dolore, o d'infiammazione ne'(iti fopra il diaframma . Il refpiro poi raro con interpofizione di molto fpazio di tempo denota delirio . Se poi dal nafo , o dalla bocca vien fiato freddo, n' č molto pernisiofo. 28. Eonctm autem fpirationem vctlds magnani vim habere ad falutem in 0-mr,ibus acutis morbis putare convenite qui cum febribus funi T (y> in quadra-ginta dkbus judicantur. Bifd§pa credere , che un buon refpiro fil^ran cafo in tutt' i mali acuti , che vanno accompagnati da febbre, e in quaranta giorni terminano il fuo periodo. Segni dal Sudore. 29. Sudores optimi funt, in omnibus acutis morbis, qui in děebus judicatoris fiunt , & febrem perfette fubmevent . Boni vero funt qui per totuin corpus fientes bominem facilius morbum ferrs faciunt. Qi>i vero tale quid non effece-rint , incommodi funt . Pejjimi autetn funt frigidi is* tantum circa caput , <& facietn fientes, eb* circa cervicem ¦ těs enitn D''IPPOCR \TE. 559 enim cum acuta quidfm fibre mor-tem prjsfigněficant , cum mitiore vero longětuděMm morbi. 1 (udori migliori di tutti in tutti li mali acuti fono quelli , che fi fanno ne'giorni critici, e la febbre perfettamente rifanano. Buoni poi fono quelli, che fcaturendo per tutto il corpo, tanno che meglio T Infermo fegga al male. Quelli poi che una tal cofa non fanno fono inutili . Pelimi fono i fu-dori freddi, e che fi itimo folo circa il capo-, la faccia, e il collo . Imperocché que^i accompagnati co'la febbre acuta fi^niěcano inerte vicina . Con febbre poi pili mite lunghezza di malattia. : 30. Et qui per totum corpus fěuntifi* militer fignifěcant bis qui circa caput . At Viro milioformes, {9* foluni circa col* lum fientes, mali funi . Qui vero cum guitis fiunt, <&• evaporarti , boni funt . Confederare porro convenit fudor in uni~ verfum, fiunt enitn aliqui propter cor-porum exoluůonem , alirpvopter infiam-mationis vigorem. E quelli che fcaturifcono da tutto il corpo prefagifcono ' fimilmsnte co. me quei che vengono d'intorno al capo. Gli altri poi che fono fimili al miglio, e quei che fi radunano intorno al collo, fono cattivi . Quelli A a 5 che 5 molle, iy> dokrofus, peflěmus quidsm eftt fi per totum fuirět prŕScordiunt. Sivs* r» fusrit in attera parte , minus peri" culofus eft in finiftra. 11 tumor in alcuna delle vifcereche fia duro, e dolente fi č il peggiore di tatti fé occupa tutta la vifcera. Che fé farŕ in una parte fola n' č meno pericolofo. 34, Significarti aulem ejufmodě tu-mores , in principio quidsm mortsm brevi affuturam. Coteiti tumori di fatto fu3 principi del male avvifano, la morte eflerne vicina. 35. Si vero viginti dies tranfgredia-tur tumfebris detinens , tum tumor non confidens ad fuppurationsm converti-tur. Se poi paleranno venti giorni , e bojd fi partirŕ ne la febbre, ne il tumore , la cofa s' incarnirla alla fup-puraziene. A a 6 $6. Con- 562 I PRESA G J 16. Contingit autem bis in primo circuita etiam fanguinis eruptio č naribui invalideprodefě. Veruni interrogare conventi , an caput dokat , aut bebetem vifum babeetnt . Si enim borum quid fueritj ad eum locum repit. Accade a cotefti fui primo periodo ancora 1' efcita del Sangue dal nafo, che affai lor giova . Ma bifo* gna interrogarne fé provano dolore di capo, o abbagliamento della vifta . Effendoche fé fi č alcuna, di tali cofe, il Sangues'incamina verfo queir la parte, e fi puň afpeitare 1' efcita di eflň. 37. /Idagij tamen in minoribus quin, que ac trigi»ta annis , fanguims eru-půonem expiBare convenir. Piů pero fi puň attendere V efcita del fangue ne'pili giovani di trentacinque anni. 38. jit vero mollfs tur»ores, &> dolori s txortes, 4y> qui digitp cedunt diu-turniores juděcationes factunt , (y mi-nus ěllis funt borrendi. Ma i tumori morvidi, e fenza dolore, cedenti al tatto terminano in tempo piů lungo, ma recano meno pericolo degli altri. 39. -Si vero tranfgrediatur ftxa-ginta dies fsbris detinens , (y> iunior non confidai , fuppuratum fare jigpi- ficat, D'IPPOCRATE. $63 ficai , & bunc , & eum qui in reliquo ventre efi eodem modo . Se poi la febbre pafla ifeflanta giorni, e il tumor non dia indietro , fi dee afpettare la fuppurazione , sě di quefto tumore come di quei delle al-^ tre parti del ventre. 40. Quicunque igitur tumores dolo-rojě funt {91 duri (y> magni psriculum mortis brivi affbre fignificant. Qui vero molks is* doloris exortts funf , &> digito comprejft cedunt diuturniores il-Us funt. Per tanto i tumori dolenti , duri , e grandi promettono una proifima morte . Quei morvidij e che premuti col dito ne cedono , e non danno alcun dolore, fono piů lunghi. . 4T. CdSterum tumores in ventre mě-nus faciunt abfceffum, quetm hi qui funt in prtScorděěs. Ŕ4iněme vero hiy quifub umbilico confiftunt ad fuppurationem convsrtuntur. Ma i tumori del ventre vengono meno a fuppurazione di quei che fi trovano nelle vifeere. Molto meno poi iě fuppurano quei che elěilono fotto l'ombelico. k .. 1 42. Sanguini! vero eruptionem ex fu-pernis locis maxime expeBare oportet. Omnium auiem tumorum diuturnorum loco; fuppurationes confiderare conventi. Ma 54 S A G J Ma convien attendere Y deitŕ del fangue principalmente dalle parti di fopra, nelle quali ogni tumor lungo per ordinario fěiol aver la fuppura-r zione. Segni dalla Suppliratione. 43. Sunt těutem fuppurationes bine fientef hoc modo confidar anda . Quacun» que extra vertuntur optimi funt, qu* parva funt, dr quam mctxims forai tminentes , (y> in acutum fafligiat<& . Qua vero magna funt &» lata, &¦> minime ili acutum faftigiatapejfimafunt. Le fuppurazioni poi che ne nafco-no debbon confiderarfě nel modo fé» guente. Quelle che fi voltano * fuori fono le migliori, e quelle fono piccole di mole , ed elevate in alto, e impuntite. Quelle al contrae rio che fono larghe , grandi , e pň-chiflěmo impuntite fono le peggio* ri. 44. Qudtcunque vero in tre tumpm-tur, opttma funt, qua niběl cum ex-terno loco eommunicant, fed funt contraffa , <^ doloris exortes, {$* tatus ex-ter*Ms locus eoncohr apparet. Di quelle altresě che rompono per di dentro , le migliori fono quando non apparifeono alla cute, ma ftanno ricon- D' IPPOCRATE. $6$ riconcentrate, fenza dolore, eia parte citeriore fi č fa i]p fqio colori. 45. Avvero pus optimum tfl fi eft album , leve, &> tequale , <& yuammi-nime graveolens. Quo4 vero bure con-trarium ejě, peffimunt eft. Le marcie poi migliori fono quelle che n'apparifeono bianche, leggie-re, ed uguali , e di pochiflěmo fetore. Twttocio ehe 4a ě^el contrario delle colč fuddette fx č di peflěmo LI- 166 LIBRO SECONDO Be' Prefagj dj Ippňcrate . Della Idropěfia. I. V Qua porro inter cutem ex acu-ijti Jl\. 'w morbis obortŁ omnes mal alvi profluvia diuturna ipfos tenent , quon tolgono i dolori ne dagl'ipocon-drj , ne da' lombi, neppur il ventre rendon pm molle. 3. Quibufcunque vero ab hepate a-qua inter cutem oriuntur , bis tufses > tujftendi qus promptitudo accedit, & tiě-hil memorabile expuunt , fe> psdes tu-ment, <& venter non egerit nifi dura &» coaBas, <& circa ctlvum fiunt tumores, alěqui in dextra, aliqui in finiflr a parte tum confidentes, tum confidente* . A quei poi che l'idropitěa viene dal fegato , fi agffiugne la tofle, e prontezza di toflěrc fenea che fputino co-fa di confulerazione , e gonfiano i piedi, e il ventre manda le teccie dure, ed č inobbediente , e intorno al ventre comparifeono tumori, altri dalla banda deflra, altri datila fini'tra sě de' filti, comedi quei che fvanifeono. 4. Caput autem (& manta (y> pides, fi frěgida funt malum eft, ubilfr venter <& latsra calida funt. Segno cattivo fi č altresě ne'mali 1* aver la tefta, le mani, e piedi freddi , quando il ventre č i fianchi fon caldi. 5. Optimum vero eft & totum corpus ealid'u m efse , ac molle . Sei,no fquinto fi e che il corpo tutto fia egualmente caldo, e pieghevole . 6. Con- 5 I PRESAGI 6. Converti autem convenit facile gvotum , <& in attoliando [e levem efte. Che l'infermo fi volti facilmente, che fia leggier in alzarli č cofa ot-.tiiiva. 7. Si vero gravis efse appare at fa» reliquo carpare, (s» manibus , iy> pedi-bus y magis psxieulofum eft. Se poi fenteiě grave sě per tutto il ^orpo j lě nelle mani, e ne*piedi n* č piů pericolofo. 8. Si vero fupra gravitatela ungu.es Cr digiti lividi fiant , mors č veftigio txpeftanda . Che fé oltre Ja pefezezza le unghie ei Uitrdivengon lividi, la morte fla fu la porta. 9. Atfi digiti ac pedes penitus něgre-fcynty.mimis pe-rnicioji junt , quam lividi . Verum ůr alia jignc, confiderare oportet ,fi enim facile forre vědeatur ma-lum , ^5* aliud quoddam ex falutaribus ad h pudenda* rtvulfa dolore* fottes fig»jficant, &> perkutum U-thale. Lo fcroto, e le parti pudent^ ritirate fignificano dolori grandi , e pericolo di morte * Dal Sonno. 11. Quod vero ad fomnof attinet , quemadmodum fecundum naty,ram con-fetum nůbis efi, interŕiu vigilare opor-tet y noeěu dormire . Si vero hoc fuerit trarfmutatum prejus cft . Minime vero tedi eger poterit fidormiat mane adter-tiam partem diei . Qui vero ab hoc tempore fiuxt fomni deteriores funt. _ ^ Per quello che riguarda i fonra 7 fěccome naturalmente (ěamo foliti con-vien vagliare di giorno , dormire di notte . i>Ł fi cangierŕ un tal ordine non farŕ cofa buona. L'infermo peri) meno potrŕ efferne aggravato fé dormirŕ la mattina fin1 alla terza parte della giornata . EfTendoche quei ůwn che fannofi fuori' di tal tempo fono peggiori. 12. Pef- 570 I PRESAGI 12. Pejftmum tamen efi non dormire neque noBu, neque interdiu. Aut enim pr<é dolore y ac ajfli§iionibus vigilia ad-funt, & d&lirěum aderii ab hoc Jěgn&. Segno peflěmo perň fi č non dormi^-re ne di giorno, ne di notte. Stante-che, fé le vigilie faranno per vemenza di dolori , o per travagli fi prona.li» ca il delirio. . < Dagli Efcremsnti del ventre. 13. Egejěio alvi opti ma eft moliti {3* cobderes <& [ecundum horam, in qua et-iam [ano egerebatur. fuxta copiam vi' giliiěs utique contrax.'rit. Si vero [ DMPPOCRATE. 571 ttcervatim egerit periculum efl ne in animi deliqutum incidat. Se poi T evacuazione farŕ liquida farŕ miglior quella fenza Crepito, e non troppo frequente , e che poco a poco vada cefTando. Stanteche l'infermo fi fianca dal troppo fpefTo levar di letto, e5ne perde ilfonno.Che fé evacua in gran copia efpeffň, corre pericolo di deliquio. *5« Q$ěn <&> juxta copictm ingeftorum tgerere op&rtet bis, aut ter in die, &> noBu femej. Plura vero mane quemad* modum in confuetudrne e/i homi ni. Anzi che , a porzione del cibo afc AintOj fta bene evacuare due , o tre volte al giorno , ed una nella notte. La maggior quantitŕ poi la mattina , conforme pe' lo piů iuol fare ciafcu-no. \6. Infpiffari autem oportet egefihnem morbo ad judicationem tendente. Incaminandofi il male verfo il fuo termine, che 1* evacuazione 11 renda piů fěfsa, n'č cofa buona. 17. Sit aatem fubfttlva , i^nonvaě-de grave olens. Ma fia di color giallaftro tendente sŕi' ofcuro , e poco puzzolente . »8. Commodum eft & lumbrrcos r&~ ttttidos cum egeftione prodire, morbo ad judicationem tendente. , 572 I PRB3AGJ Gofa giovevole fi č ancora che ef-fendo per aver fine la malattia co' 1' evacuazione vengano fuora parimente de'vermi rotondi. 15?. Oportet autem in quovts m&rbůmol-Um effe ventrem, &>jufla mole prdsditum. In qualfifia infermitŕ poi n' č convenevole , che il ventre fěa arrendevole, e di una mole edequata. 20. At vero aquofum valete, aut al-bum3 autpalliduniy aut viride, aut ve~ hementér rufuni , atquč fpumófum fter-fus egerere beee omnia, maln funt. Lo fterco poi che fi č acquofo mol-. to, oppur bianco o pallido, verde, ov-ver affai ro(ladro , e fpumofo, n* č, cattivo. 21. Malum infuper eji , &» quod eněguum eji, <ůr vifcofuin, ac album i is* quod fubpallidum , aut jttbvir'tde 3 ac leve* Cattivo aaicňra fi č quello Merco che lě evacua di poca quantitŕ , e vifcofo, Manco , e quello eh* č palJi-daftro, verdaftro, e Jeggiere» 22. His vero magis lethalit farint ftercora nigra, aut pinguia aut liVH da, aut tfruginofa, i$* maleokntia. Segni de' fuddetti ancor piů morta-, li faranno V evacuazioni nere , con graffare, e livide, o di color di ruggine , e fetide affai. 33. Q«* D'ĚPPOCRATČ. 57? 2$. Dune vero varia funt ditttumiora quidefh bis funt, minus tamen perniciosa . Sunt autsm tclia rament ofa &* biliosa & cruenta, & prajina , <*r> nigra alienando fitnul inter fi exeun-tia , altquando partěculutim. L'evacuazioni poi varie denotano infatti la malattia piů lunga , ma reca no rainor pericolo a Quefte fono Blaceicofe, e biliofe > fanguigné, odi colot di porro, e negre che ne ven*. gano faora taJor miftefra loro, tŕlof ^paratamente.. 24. Fldtum porro fin? fttepittt > at crepitii prodire optimum eft . Me~ lěus auttm eft & cum ftrepitu ex ire , quam is bic revolvi.: <& qui. fic prfc grejfus eft flatus , aut dolere quid bo~ minem figniftcat , aut delirare x nifi fu a fponte homo ita jlatum emittat. Il flato che venga fůof* ne con rómoYeggiŕmento , ne coti Iflftepitd č cofai ottima . Benché fi č meglio che efca io tal guifa, efre fi raggiri per entro? e «ftfél flato v chef farŕ cosi ufcito fignifica o che V it^fermo ha, qualche do'oié , o cěft coitiě patifce delirio, fé pe* altfo qifeil*uomo d bella pňrta fiori tfaefle. quella tŕ in tal forma * 25. Cditetum pfŕcordidttoM me ůttěěores jě fuetm tetc'ftiti ů* cum 574 l PRESAGJ cum infiammai ione folvit murmttr in precordio obortum , & maxime qui-4em fi pertranfierit cum fiere or e & urina, ac flatu . Sin minus , etiam ipfum, per [e fi tranfierit , prodeft ; prodeft autemfi defeenderit ad inferno* locos . In oltre i dolori , e i tumori delie vifeere, fé faraano novelli , e fen-za infiammazione, fono fciolti fé na-fca un mormorio in un vifeere, e tanto piů fé patterŕ co' 1' evacuazioni, co'ě'orina, e co'la ventofitŕ , il che fé non accada , fé quello fi tramuterŕ di fito porterŕ giovamento; « tanto piů fc defeenderŕ per le pai ti d'abballo. Da/I'Orine • 2(5. Optima vero eft urina quum fue-rět alba fubfidentia , & levis t &¦> a-qualis per totum tempus donec judica* tus fuerit morbus . Significai enirn &> fecuritatem, &> morbum fore bre-lěem » Si intermiferit, {?> aliquando-quidem pura mingantur , aliquando vera fubfidat album, a-e leve, ajiutur-rJor fit morbujy fa> minus fecurus. Ottima poi farŕ 1' orina di cui per tutto il tempo, finche averŕ avuto il ilio co©pimento la malattia 3 il fedi , D3 IPPOCRATE. 575 mento farŕ bianco, e lieve ; ftantei che dimoftra ficurezza, e brevitŕ del male. Se varierŕ, e tatara rendali pura , e talora il fedimento bianco e lieve ne fia, piů lungo farŕ il morbo , e di minor iěcurezza. 27. Si vero fuerit & ttrina fubru-bray & fubfidentia ipfius Jimilis, &>/f« 73ts, diuturniorem quidem bac morbum> quam prior Jěgnificats fed valde [aiuta-rem. Che fé farŕ V orina roflaftra, e il ŕi lei fedimento fimile , e leggiero predirŕ quella la malattia piů lunga della fopradetta . ma di minor peri* colo. 28. At [ubjidertti tenues valde mal<Ł /»»'. Verutn bis deteriore* funtfurfuracedB\ I fecUmenti nelle orine groflě, e fi-mili ad una farinata fono cattivi . Peggiori ancora fono quei fimili a lamette. Le bianche orine poi e di-Iute fono molto cattive. Ma di que~ fte ancora peggiori fono quelle che qaafi femola ne contengono. 29. Hubecttl aquofěe , 4& nigrdt., iy> croffe. Piů pericolofe poi fono le orine fetenti , acquofe, nere, e craflTe , _?3- -d* tutn- in viri*, tum in mulie-ribus nigrae urin*peffimtf fu»t, In pue* ris autem aquofa. Ma tanto negli uomini, che nelle donne le orine nere fono le pefiime , We'fanciulli poi le acquofe « 34. Quicunque urěnas tenues t ércru* das mingunt multo tempore , fi. alia ve~ luti fuperfiitěbus futuris Jigna fuerint 3 bis abfcejjum expeBwe oportet *ŕd locos infra feptum tranfverfum. Quei che gettano orine tenui ^ « D'IPPOGRATE. 577 crude per molto tempo, e che n'ap-parifcanoaltri iegni buoni dilor vita, pofTono afpettar un afceffň {otto al diaframma. 35. Sed &> pitguetudines fupernein*' ftantesy aranearum tetěs fimiles damna-re oportet, funt enim colliquationisfigna* Ne poco timore ci dee recare quella orina, fopradi cui ne ila del graf-fume diftefo in figura di tele di ragno, comecché dimoftra che colui fi va confumando dalla tabe. 3&* Confiderare veto tormenti in uri" ms9 in quibus nubecul* funt, anfuper-ne, aut infime firn, i& quales babeant colores. Et qu fi č anche maggior fegno di morte . 41. Celerrimam tutem in'trtem figně-ficat/ividus vomitusfi gratseolens fiierit. Che la morte n3č fu la porta Iodi* moftra il vomito livido, edancorpuzzolente . 42. Omnes vero fubputridě , ac fetidi odores in omnibut 'uomitibus mali funt.' Attčfoche tutt' i vňmiti di materie corrotte , e fetenti, non promettond ben alcuno» t>alh Sputo. 43* Sputimi vero in o>iwibus dolori* bus qui circa pulmomm isn cofias funt cito ac facile expuj conventi. Lo fputo poi in tutti li dolori dei polmoni e delle eofte, faifogna che fi faccia con preftezza, e con facilitŕ» - 44. Etflavum fputo valde per mi xt un* ůppŕfere. E che il fangue comparisca molt© mifto co'lo fputo. 45. Si enirn Unge poftea , pofl prin* cěpium doloris expuerět , quod fiavum efi, těut fulvum, aut quod multam tuf. fiminducity <& non valde permixtum efi t deterius efi. Imperocché fé molto tempo dopo il „ Bb 1 prin- 5$o I PRESAGJ principio della doglia fpuerŕ l'infermo materia fanguigna, o di color rufo, e che cagiona molta toffe, o che non ben mirto co'lo fputo fi č di peggior condizione. 46. Nam & fiamm meracum peri-culofum eft, & album (?> vifcofum , (& rotundum inutile eft. Attesoché lo fputo fanguigno, fé farŕ ancora fchietto , reca pericolo? e il bianco, tenace, e rotondo fi č inutile . 47. Malum eft (y> quod viride eft lk, itemque pallidum, (?> quod fpu- mofum. Non buono fi č altresě il molto verde , e quello ch'čfpumofo, e pajlido. 48. Si vero ita fuerit meracum , ut itiam něgrum appareat , hoc ipfum di-teriuj ejt quam illa . Mulum etiam eft fi nibil repurgstur , ncque emittqt palmo , fed plenus forveat in gutture. Se poi farŕ di un color folo talmente che ne comparifca ancor nero, nJ k peggiore di tutti gli altri fputi. Segno cattivo altresě dee riputarli io fputo che non fi efcrea , e il polmone non lo getta fuora, ma per la ripienezza bolle nella gola . , 49. Gravedinej, ts» fternutattones in omnibus circa pulmonem morbis is> an-tecejftjfe, ér luccedere malum eft» ^in aliis D'IPPOCRATE. 581 aliis morbis kthaliffsmis ftemutationes projunt. Le diftillazioni dal nafo, egli ftra-nnti in tntt'i mali del torace tantofe anno preceduto, come fé fono fopra-giunti fon di cattivo prefagio . Benché negli altri mali rnortaliifimi gli ftrannti arrecano giovamento. 50. Sputum autsm fiavum, fanguint pSrmitiěum non multo , fi in pulmonis infěammatione in principio morbi reftcia-tur (alutare efi ac vttlde prodcfi . S. vere fep timo die, aut pofterius minia fe-cttrum efl . Lo fpuro fanguinóletito , a cui paco fangue ne fia mescolato, fé neHi infiammazione del polmone fui principio del male Ci fpurghi n' č faluti-fero, e molto giova. ie poi fi getti fol giorno fettimo, ovver dappoi, e-gl*č meno ficuro . 51. Omnia fputa mala funt qua cto-lorem non fedant. Pejftrfia vero funt ni-gra y velut defcriptum efi . Qua vero dolorem fedant omnium optirna exi-fiunt. Quei fputi che non alleggerifcono il dolore fono tutti cattivi, e peggiori i neri conforme quei che lo dimi-nuifeono fono ottimi, come fi č detto altrove. Bb 4 Dell* l PRESAGI Vatta Suppurazione* $2. Dobres in diBisfedfbus t qui non fedantur neque ad fputorum purgatěo-WS j neque ad ftercorum alvi fubdufiio-nem , neque ad vena fcftiones , &» vi-ftus rat ione m, ac medicamenta, e as ad fuppurationem verti fciendum eft. Tutti li dolori in cotefte parti, che non fi acquietano ne per ripurgo de' fputi, ne per V. evacuazione del ventre y ne per fai affi , ne per una dieta ben regolata, ne per medicamenti , conTĚen fapere, che ne tendono alla fuppurazione. 53. Ex fuppurfltionibus qudscunque r*lum fputum adbuc běliofum efi,fuppu« vantur, perniciofe valae funt , five b'u liofam illud in parte five fimul cum pure expuatur, ůr hcc potijftmum fi morbo ad optimum diem progrefto, fupyu-ratio ab hoc[putoprocedere incipiat. Quelle fuppurazioni che fi fuppu-rano mentre che lo fputo fi č ancora biliofo, fono affai perniciofe, o il biliofo fi efpurghi a parte , 0 mirto co' la marcia , e ciň principalmente fé il morbo giŕ avanzatofi al fettimo giorno la fuppurazione incominci a derivare da quello fputo. 54. Timor autem eft, eum , qui ta- lia D'IPPOCRATE. 58? Ita expuit moriturum effe decima quarta die j fi non aliquod bonum fignum ipfi ticcěderit . Si puň poi temere , che quell' infermo fia per morire nel decimoquarto, fé non ne comparirŕ qualche altro buon fegno. 55. Sunt autsm bona bjec ; facili ferre morbum , bene fpirare , a dolore liberatum effe, fputumfacile tujftendo re-jicere , corpus iyfomnorě Ě3n fudores velut defcriptum eft ; bacfin» gula noffe ctnvenit ctccidere> ut qudS bona fint. Nam omnibus bis fic contingen» tibus homo non morietur . Si vero ali-qua ex bis acce(ferint, aliqua non, non ampliore tempore vita produca, decima quarta die homo p?ribit. Porro mala fi-gnu bis contraria funt: agre forre morbum , fpiritum magnum, ac denfum effe^ dolorem non fedari, fputum vix tuf-fiendo rejicere% valde fittre, corpus in' óqualiter a fibre teneri , ventrem qui-dem ac coftas fortitercalidas effe, fron~ tem vero <ůr manus, ac p;d?s frigidos, urinas autem fo. , mnos, & [udores velut defcriptum eft} b an alterun* altero fit calědius, <& reclinato noftu vero am~ plior , &> fudores multi oboriuntur , tujfefque, ac tujfiendě promptitudo ip-jts adeft, (&> nihil metnorabils expuunt > &> oculi cavi fiunt , & maxillds rubo-rem contrahunt, ($» ungues quidam ma-nuum curvantur, digiti vero calefcunt, <&¦» potijftwum fummi , &> in pedibus tumores fiunt, ,<^ cibos non appetunt, (>» puftuldd per corpus enafiruntur. l fuppurati tutti di ogni forta fi deb-bon conofcere da gě3 infrafcritti fe-gni . Il primo fi č quando la febbre non lafcia libero, ma di giorno n' č piů leggiera, di notte poi piů gagliarda, e ne vengono copioiě fudorj , e torfe , e prontezza anno al to/TJre , ina non fputano cofa degna di conft-derazione, gli occhi diventano incavati , e le guancie diventano rubiconde, e le unghie delle mani fi fan curve, i diti divengon caldi, e prin- cipal- j I PRESAGI cipalmente le fommitŕ , e i piedi s' inumidifcono , "piovano inappetenza di cibo, e nafcon puftole per tutto il corpo. óo. Quttcunque igitur fuppurationes diuturna funt b&c fgna habent , <&> fi-dem ipfis valde b abere oportet . Qu& vero breves fu»t ex bis fignis cognofeere oporteti fi quid etpparueriěex bis> qua' Ha in principiis fiunt . Simul autem fi aliquando dtfficilius fpiraverit homo . Tutte le vomiche dunque , le quali fono per riufeir lunghe , anno i fegni fuddetti, ed č molto ragionevole di dar loro fede . Quelle poi che fono tli poca durata da quefti fegni poflbn conofeerfi ; fé comparirŕ alcuna di quelle cofe, che foglion© comparir fu" principi , e nel tempo ftetfň ancora talvolta l'infermo refpirerŕ con difficoltŕ maggiore. di. yft vero qua ex ip/ts citius & tardiuf rumptóitur , bis Jěgnis cogno [cere oportet. Sě quidem dolor in principiis fiat, & fpirandi difficultas , <&> tujfis, &> fputatěo perfeverans ad vi-gefimum diem pertěngat \ eruptioti?>n tunc expeBare oportet, aut etiam prtus. Si vero quietior fuerit dolor , & alia omnia pio bujus rat ione , eruptio pofte-rius expefěanda e fi. Ntceffe vero e fi accede- D' IPPOCRATE. 5 cedere, is» dolorem , & fpirandi ffi cultatem , (?> fputationem ante puris eruptionem. Ma fra effe, quelle che fi rompono piů prefto, o piů tardi fi puň dedurre da quefti fegni. Attefoche fe il dolore vien fu" principj, e Ja difficoltŕ del refpiro, la toflTe , e lo fputo pertinacemente perfeyereranno fin al giorno ventefimo, a quel tempo fi puň attendere t' apertura , o prima ancora . Che fé poi il dolore fi farŕ mitigata ,, e le altre cofe tutte a proporzione di quello, 1' apertura dappoi fé ne dee afpettare . Stanteche neceflariamente bifogna, che nafca il dolore, e la difficoltŕ del refpiro , o io fputo innanzi all'efcir delle marcie. 62. Ex bis autem maxime fuperftites manent hi, quos febris eodem pofl eru-ptionem die dimiferit, &* qui cibos cito appetiverint, (& a Jět'i liberati fue» rint y (y> fi ve» ter parva &> compaBa egefferit, &• pus album, leve , & ejuf-4em cohris fuerit , fan a pituita ěibe-rum, (s* citta dolorem , ac tujfim for-tem repurgetur. yfc optimč quidsm fic, ac celerrimč liberamur ; Sin minus, hi quibus proxima bis contigerint. At vc~ ro intereunt hi quos febris,non dimiferit, aut ubi ipfos dimifijje putata fuerit rur-fus reedsfctns apparumt, (fe» qui fi. tim 590 I PRESAGJ tim quidem babucrint, cibo? autemnoft. appetiyerint, (& fi verter liquidus fue~ rit, é>- pus pallidum , fiv? viride, is» Hvidum expuerint, aut pětuitofum , & fpumofum. Si bŁc omnia coraigtrint , ' psrsunt . Quěbus vero ex bis quŕdam accefferint, qu fsbrts detinuerit , &> dohr non fedatus fuerit , (&> fputum prň ra-thne non prodierit, ncque bilione , ne-que folutu faciles & meraces alvi ege-jěiones fuerint, neque urina valde multa, i$> multam fubfidentiam babens , indi' catur autem [uperfies futurus ab omnibus 592 I PRESAGJ bus reliquis falutaribus fignis , tunc bujufmodi fore fperandum eft . Ma in queili convien considerare i fottofcritti fegni . Se la Ł:*>bre farŕ pertinace, e il dolore non farŕ quietato, e lo fputo non fi farŕ fecondo il dovere, ne 1' evacuazioni del ventre compariranno biliofc , e focili da fčioglierii , ne di un folo colore , ne T orma farŕ molta , e in quantitŕ il fedimento, fi promette che l'infermo viverŕ dagli altri coutrafegni falutiferi, e tali afceffi fi poflTono fperare. 6$. Fittnt autem partim ad infernas partes, quibustiiddicetin^ammath ali-qua circa pr^cordia affuerit, partim in fuperfiit, quibus prócordium molle , & dolori* exors permarifsrit , {& ubi fpi-randi diffěcttltas , qu foras procedente i ita ficurijfime homo fuperjies evaferit, &> abfceflus abfque dolore ce-lerrims fedabitur . Si vero fputum non bene procejferit neque urina fubftdentiam bonam babens apparuerit pericuhm efi claudum fore articulum , ciut multar» moleftiam exběbiturum^ •, Gli afceflě nelle g«*nbe s nella pe-ripnenmonia gagliarda, e pericolosa , fono profittevoli, ottimi poi fon quelli che fanno fi qualora lo fputo fi trova fui cangiamento. Attefoche fé verrŕ il tumore, e '\ dolore quando invece di fanguigno lo fputo fi farŕ fatto marciofo , e n* efciiŕ. • fuora , con tutta ficurezza l'infermo guarirŕ , el" afeeflň fenza dolore preftiiTěmo terminerŕ. Che fé lo fputo non s' incami-nerŕ di buon fedimento, fi corre ri-fchio che l'infermo ne redi zoppo in tal articolo , o che almeno patifea molti travagli. 6j. At fi evanefeant <& recurrant abfceffus fputo non prodeunte , febriqu; permanente, horrendum e/i. Periculutn enim efi ne deliret homo, &» moriatur. Ma fé fvanifeono gli afeeffi , e dappoi ritornino con ritenfione dello fputo, 594 I PRESAGI to, e con perfeveranza della febbre » n3 č cofa da far temere : ftanteche fi corre rifchio> che l'ammalato cada in delirio ¦> e muoja . 68. Exfnppuratis apnlmonh iftflam* mattone feniores magis intereunt >. Ex aliis autem fuppurationibus junior.es ma* gěs moriuntur. Dalle fup** 'razioni de*mali del polmone i v«c\ * pe' lo ninne muojono,' dalle altrefu^urazioni poi li giovani» 69. Dófores'rusft febre fientes circa ěumbos isn infernas partss , fi feptunt tranfoerfum attěgerint, infernas partes relinquentes perniciofi valde funt . Proinde bis quoque fignis aněmadvertere oportet. Nam fi quod etiam ex aliis fi* gnis malum apparuerit, defptratus efi homo. Si vero a fidente adfeptum tranf* 'óerfu morbo, alia figna non mal a accef~ ferint, hunc fuppuratum fore multa fpes e/i . Quicunque vero fuppurati uruntur, quibusquědem purumpus fuerit, <&>album , (y> non fietidum, hi fervantur 5 quibus autem fubcruentum is* c hoc eoaB#•-. La vefcica dura e dolente (I č da fecar timore, e perniciosi mortalif-fime poi, quelle che fono accompagna* te da febbre continua . Efiféndoche i dolori derivanti dalla fteflfa vefcica ,, fono valevoli ad apportare la morte % e il ventre non manda fuora in que-, fto tempo fé non auaJche poco di ma^ teria dura : e queuo ancke a forza. 71». Sdvit antem urina purulente mi-Mi z 59 I P R E S A G I fi a y qudd albatn, & levem [ubfidentiam babpt. ac:Cfre fc poi l'orina verrŕ marciofa , in cui fia il fedimento bianco, e leg-giero, ne libera dal timore. 72. Siveroneque aburina quicqucim reměferit dolor, neque vjjica molliatur, i$nfcbris continua fuerit, in primis cěr-cuitěbus morbi ógrum moriturum efse timor eft. Se dopo una tal orina non fi placherŕ il dolore , ne farŕ refa moryida la vefcica, e la febbre continua perfifte-rŕ, vi č gran timore che fu'primi periodi del male l'ammalato non fé ne jnuoja, 73. Atque hic modus potijfitnu/n pue-roscorripit feptennesdonec ad quintum-dscinyum antiurti psrvsnerint, E queftofuoleperJo piů accadere a* ragazzi, finche da'fette fiano arriva ti a'cjuindeci anni 4i fua etŕ» L I- 597 LIBRO TERZO Delle Febbri. I. TJ1 Ebres judicantur in iifdsm nu-X? mero diebus , ex quibus & fu-perjiites evadunt bomtnes , &> ex qui' bus pertunt ? O fopraviva, oppur ne muoja l'infermo le febbri terminano in numerň eguale dfr giorni. 2. Etenim plactdiflěmte febres, &> fi-gnis [ecuriff.mis mtentes quarto die de-finunt, aut prius. Stanteche le febbri pia piacevoli , e che portan feco fegni ficuriflimi ne terminano nel giorno quarto , o anche innanzi, 3. JMtaligniJfun- WS 598 I PRESAGI tus ad decimum optimum . Sextus ad vigefimum. r O La prima loro invafionč dunque termina nel modo fuddetto. II fecondo poi fi ftende fin al fettimo. Il terzo fin'all'undecimo. Il quarto al decimo quarto. Il quinto al decimo fettimo . lě fedo al ventčlimo. 5. Hi igitur impetus ex acutijftmis morbis per quatuor ad viginti ex addettone defiriunt. Non poteft autem quic-quam borum integri* diebus exaftenu-merari. Nsque enim annui , & menfes ěntegris diebus numerare pojjunt. Queile accezioni adunque, ne' mali acutiffimi terminano coT aumento per quattro fin a3 venti ; ma un computo sě fatto non puň efattamente nume-farfi di giorni interi . Perciocché nep-pur 1* anno, ne i mefi fletti fi. contano co'giorni interi. <5, Pofteavero eodemmodo juxtaean-dem additionem primus circuitust quatuor & triginta dierum eft , feCundus quadragiuta dierum y tertius fexaginta. SufTeguentemente poi nella fle/Ta guifa fecondo la medefima, aggiunta il primo periodo fi č di trentaquattro, gjorni, il fecondo di quaranta , il terzo di feffanta » 7. At in borum principii! difficili*' eft cognofcere easx ' IPPOCRATE* do? ad aflaiifimi recan la morte . E i giovani di fatto muojono innanzi che 1* orecchio giunga alla fuppufazione . Imperocché fé le marcie verranno daU' orecchio bianche, vi č fperanza che il giovane fia per fopravivere, tanto piů fé ne comparirŕ in e.To qualche altro fegno falutare. 17, Fauces exulcerató cum febre borrendo funt » Ve rum fi quod alma itent fignum, accsdat ex bis, qua anteama* la efse judicata funt inperěculo hominsm verfari pródicendum efl. Se le fauci fiano efulcerate eoa febbre devono recare těaiof non leggie-ro. Che fé vi s'aggiunga qualche fe-gno di quei che prima furono ftimati de'cattivi, bifogna prefagire , che i* infermo trovafi in uno flato perico-lofo. T>etV Angina, » 18. Angina horrendijfimde funt, (3* citijfspie occidunt, qu eretta cervice fpu rat ione m inducunt. Ha etenim eodetn die fuffocant3fecundo itent ac tertio^ quarto* Le angine fono pericolofiffime , e prefto ammazzano principalmente quelle che non comparifeono ne nelle fauci, neppur nel collo, e forzano a re-. C c 3 (pi- <5o4 I PRESAGJ pirarecol collo in alto, ma recano do-lor grande. Sfanteche foffogano il primo giorno, benché talora portano al fecondo, al terzo, ed anche al quarto. 19. Qua vero alioquin fiměliter dolo-rem txběbext, attolluntur autem {?> in faucěbus rubores faciunt, perniciosa qui-detn valde funt , veruni prioribus ma-gis diuturno, firubor fuerit magniis. Quelle poi che per altro recano (ě-niilmente dolore, ma fi alzano , e moicano roflbre nelle fauci fono infatti molto pericolofe , ina tirano piů innanzi delle prime, fé il roflňre ne farŕ grande. IO. Quibu(cU)ique'verňfatices(s*cef'' •w.v jtmul rubuerint, h cervix ér pecěus ruborem habuerit, (3* eryfipelas ignis facri non intra recurverět . A ql^ei che le fauci , e il collo in-fieme caveranno rotte cotelé angine fono pit^ lunghe, ed i pazienti per lo piů guarifcono fé tanto il collo come ancora il-petté-fre" mostreranno rof-fore, e che quella infiammazione non liafi portata nelle parti di dentro. 21. Si vero neque in diebus judica-toriis diffipetur eryfipelas , neque tuber-culum ad externas partes convertatur, neque pus tuffando rejiciat} faeileque, 4tf D* IPPOCRATE. 60$ tic fine dolore dtgere videatur , mortem fignificdt, aut rubóris recidivam . Se poi 1*infiammazione fpirifca in giorni non critici) ne il tumore fi volti a)P infuori ) ne l'infermo in toflendo ef-purghi la marcia, e apparifca che fé la paflěbene e fenza dolore,prenunzia la morte, 0 la ritornata dell* angina. 12. Securius efl autem tumorém, & ruborem quammaxime foras v.'rti . Sě 'vero ad ptěhnoném vertatur , & deli-yium inducit } isn quidam ex ipjěs fup* purant phrunque fiunt. Cofa piů fěctira fi č che il tumore, é la infiammazione ů voltin' all'infuo-ri piucche mai pofTa effere « Stantechc fé prende la ftradŕ de' polmoni > ne porta il delirio ancora j ed alcuni di eflě per lo piů fi fuppurano ¦. 23. Gurgugliones periculofi fttnt ^ ut fe> refecentur, ér fcarificentur , quam-diu rubicundi fuerint magni . Nam in^ammationes ad bos fuccedunt i & fanguims eruptknei . Qudre taks altis macbinaméntis attenuare eonari oportet ¦hoc tempore. Quum verototumjam fue-rit fecretum, quod fané uvam appellam, ly> fiat extrema gurguglionis pars mitěor & rotunda , fuperior autem ttnuěor in hoc tempore tutum eji rem aggredě. Prte- % fiat tamen & alvo fuůdufla , chirurgici * C e 4 bac 6o6 I PR'ESAGJ hac uti ,-fi & temptts psrntittat ér homo non firanguktur. I Gurgulioni fono pericolofi ad ef-fer recilě, ofcarificatifinachefono rof-feggianti, e grandi . Attefochea que-ili ne fufleguqno infiammazioni , e fcaturimenti di fangue . Perloche in tal tempo convien fervirfi di altri fuf-fidj co'tj uŕ li fipofTano piupiccioli ren-derfi. Qualor poi farŕ feparato tutto ciň che chiamano uva , e l'eftremitŕ del gurgulione diventi maggiore, e rotonda, quello di fopra poi pili fottile, allora n'č appropofěto di fare T operazione . Sarŕ perň meglio innanzi che vi fi dia di mano, lubricare il ventre {e il tempo lo permetterŕ , e 1* infermo non fentafi foffogare. 24. Quibus febres cefsant ncque fi-gnis folutoriis apparentibus, neque in diebus judicatoriis, bis reverfuras e/se expeBandum eft. Da quei, a* quali fono ceffate le febbri fenza che vi fiano fegni falu-tiferi , ed in giorni non critici puň afpettarfi, che elle ritornino. 25. Qucecunque febris longiorem mo-retm traxerit , hominc alioqui ad falu-tem difpofito itaut neque deěor teneat ob inflammationem, aut ob alěquam aliam caufsam buie abfcefsum expeflarc opor-tet cum tumore, dolore ad alěqvem er- ticu- D* IPPOCRATE, doj ticulum vel maxime infernum . Piunt eiutem bujufmodi abfcefsus magi* <& in breviori tempore bis qui juniores funt triginta annis. Qualunque febbre farŕ piů lunga ., da cui perb l'infermo per altro fia per guarire, ne fia egli forprefo da dolore a motivo d* infiammazione , ne per altra cagione puň afpettarfi l'afceffoa qualche articolo principalmente degl' inferiori. Seguono poi tali afce.fi piů, fpeflb, e in tempo piů breve in quei che non anno ancor trapalati gli anni trenta dell'etŕ fua. 26. Expsftare vero flatim oportet ttb-fcefsum Jt febrěs detinens vigěnti dies tranfmiferit . Senioribus autem minus fiufit y diuturniore etiam exiftentefebre. Qualor la febbre n* averŕ partati li venti giorni fi puň immantinente af-pettare 1" afceflb . Alle perone vecchie poi non vengono qualor la febbre n'abbia durato ancor maggiore fpazio di tempo. 27. Atvero bujufmodi abfcefsum ex~ pelare oportet y febre contěnua exiftente. Verum ad quartanam deducetur fi intermiferit (& erroneo modo appreben-derit, & fi h§c facěens ad autumnum appropinquarit. . , . Ma tali afceflě fa d' uopo afpčttat-li quando fi č continua la febbre . G e 5 Che 6c$ I PRESAGJ Che fé fi renderŕ intermittente, over erratica, giugnerŕ fin a divenire quartana ; fé facendo tali palli fi accofte-rŕ al tempo autunnale, 28. Quemadmodum autem junior ibus triginta annis abfcefsus fiutiti ita quartana magis bis qui triginta funt anno-rum, <& fenioribus. Ma nel modo che gli afceflě vengono a chi non ha trapalato gli anni trenta, cosě le quartane aflalgono quei che ne anno i trenta , o gli anno pacati. 19. C<Łterum h partes infra, proccordiumfrigida* babuertt, citius ad-huc vomitus aderit. jltfiquidbiberit, atte C e 6 ade- D'IPPOCRATE. 60) tdtntfnbhoc tempus valdecito vomet. A chiunque poi in una febbre non Mortale dirŕ che gli duole Ja tefta , o che gli Comparisce ancora innanzi gli occhi come una tela nera , fé vi lě aggiugneranno ancora morficature della bocca dello ftomaco , gli verrŕ un vomito di bile. Se poi gli verrŕ piů il freddo, e fentirŕ le parti fotto al diaframma fredde, anche piů pre-fto ne verrŕ il vomito. Che fé intorno a quefto tempo n'avefŕ mangiato, o bevuto qualchecofa, quefto pure con prontezza vomiterŕ * 31. Porro quibus dolor fi?ri incceperit primo die, in quarto magis quam quinto premuntuf) feptimo vero liberantur. Plerique téimen ipforum tertio die dolere incipiunt, vexantur autem maxime quinto, liberantur nono, aut undecimo . Qui vero incdiptrint quinto die dolere t alta-que juxta rationem priorum ipjěs fiant , bis ad decimum quartum morbus judi-catur. Per tanto quei che incominciano a fentir il doler fubito fui primo giorno, fui quarto piů che fui quinto s'aggravano, e fui fcttimo reftan fani . La maggior parte di effi contuttocio fui terzo giorno incominciano a fentir il dolore, e fui quinto principalmente fi fentono aggravati , e fi ri- fana* 6io 1 PRESAGJ fanano fui nono , o full' undecimo Quelli poi che incomindano a doler-fi fui quinto giorno, e gli altri fegni a proporzione vi r.orrifpondano , fui decimo quarto il male ne termina. 32. Fiunt autem h in bis , ve* rum magis in continuis febribus, ŕr in (inceri* terttanis. Avvengono poi le cofe fuddette tanto negl'uomini, che nelle donne, principalmente nelle terzane. A'giovani di fatto ne avvengono cotefle cofean-cor in quefte, ma pe'lo piů nelle febbri continue, e nelle terzane fémplici, 3 3 • Quibufcunque vera in bujufmodi febre caput dokntibus prň eo quod ob-fcurum quiddam prdS oculis appareat , věfus hebetudo contingit, autfplendores ab octtlos obverfantur, is»pro ofculi ven-trěs morfu in pracordiorum dextra, aut finiftra parte aliquidtenditur, nsque cum dolore, ncque cum inflammatěone 5 fan?-guinem de naribus bis prň vomitu jlu-xurum effe expeftandum eft . Magis ta-men &> hic in ju venibus fanguinis e-ruptionem expeBare oportett bis autem, qui trigxnta funt annorum i& feniores adhuct měnus. Quei che in tal febbre fénton dolore di tefta, ma gli occhi non veggano D'IPPOCRATE. 6ii no quelle ofcure fembianze fi fa loro debole la vifta, opare di avere degli fplendori negli occhi, e invece delle morficature alla bocca dello ftomaco fi forma qualche durezza o alla parte deftra, o finiftra delle vifcere fen-za dolore, e fenza infiammazione, a cotefti in vece del vomito fi puň af-pettare fluore delfangue; dalnafo,e quefto piů accade a5 giovani ; che fé poi averann© trent' anni, o gli ave-ranno paffati, fé ne dee attendere piů il vomito, che il faugue del nafo. Della Convuljěone , 34, Atvrro pueris convulfiones jiunt, fifebris fuerit acuta , <& venter non e-gefferit, & vigilarint, & terreantur , Ě3r> colorem mutarint <& věridem, fivs pallidum , autlividum, aut rubrum con-traxerint. Fiunt autem b fuperfiite'sfuturos tum pueros , tum alios ex omnibus fignis concettare oportet prout fingu-la de fingulisperfcripta funt. Atque b<ŁC ($1 de acuBis morbis, &i de bis, qui ex ipfis fiunty dico. Pertanto quei che fon per morire * o per guarire , o fieno fanciulli, o altri, bifogna ricavarlo da tutti quei fegni conforme di ciafcheduno fi fono notati. E ciň dico de* mali acuti , e di quelli, che da eflě ne derivano. 36. Qui vero reBe prdenofcere voteti (?> fuperjěitesfuturos t ($>> morituros, & quibus per plures dies , <& quibus ad pAUciores morbus duraturus eft, eumfi-gna omněa edifcere , dr judicare pope conventi , itaut vires ipforUm inter fé conferendo expendat, quemadmodumper-fcriptum eft : tum de aliis, <&> de uri- nis D'IPPOCRATE. $ ras &» de fputis, ubi limiti & pus, &> bilem agrotus tuffando reěece-rit. Chi poi vorrŕ ben prefagire di quei che fon per guarire, o per paflfar al fepolcro, e di quei, a' quali la malattia n' č per riufcire piů lunga, o piů corta, bifogna che porta fapere e giudicare di tutti li fegni, di modo che facendo confronto delle forze di etti fra di loro gli vada ponderando , come di fopra n* abbiamo detto sě degli altri fegni, che delle orine, e degli fputi, qualor 1* infermo ne fputa in toTendo la marcia, e la bile in-fieme. 37. Quin C9* ůnpetus mwborumfem-per popular iter grafiantěum cito animad-vertere oportet, ér temporis cenftitutěo-72Sm non ignorare. Anzi che bifogna avvertire altresě alle invafioni de1 mali che vanno in volta , e con diligenza ofěTervare la condizione delle ftagioni. 38. Probe tamen id mfse expedit de conjeBurisartěs, isnaliis fignis, ignori ignorare quod in omni anno, tornili tempore mala malum 3 (^ bona bo-num fignificant. Bifogna inoltre ben fapere quali fia* no le conghietture certe, e altri fegni , e darli a credere che in ogni anno, 4 I fRESAGJ no, e in ogni ftagione i fegni cattivi prefagifcono male, e i buoni prefagi-fcono bene. 39. Nam <& in Lybia^ is* Dehyis* Scytbia prdefcripta Jěgna vera comperi-untur. Attefoche nella Libia, in Delo , e nella Scizia i fegni detti di fopra fi fono trovati veridici. 40. Vromde fciendum eft minime difficile efse , in iifdsm regtonibus poffe aliquempleraque exipfis aj sequi ^ fi memoria tenens ipfa, judicare, ac rette ex-pwdere fciat. Onde convien faperfě che ne'paefi medefimi facilmente vi puň taluno trovar affai piů offervazioni di quelle , che di fopra abbiamo portato, fé con-fervandole bene neJ/a memoria ne fa-prŕ fare il dovuto giudizio, e la dovuta ponderazione. 41. Cceterumnullius morbi nomende-fiderare oportet , quod hic non eft ad-fcriptum . Omnes enim^ qui in prŕsd'f Bis temporibus judicantur, ex iifdemji" gnis cognofces . Peraltro niun nome di male fi puň defiderare che qui non fia notato . Stanteche tutti limali, che terminano neftempifuddetti, dagriftefli indi-z] ancora conofconfi. IN- INDICE DELLE MALATTIE Delle quali Ippocrate parla ne'fuoi Aforismi . DElla febbre terzana Sezione III. Af. 21. p. 455. IV. 43. p. 475. Quartana. IV. 59. p. 480. II. 25. p. 431. III. 21. p.455. IV. 22.p.45<5. V. 71. p. 512. Quotidiana IH. 17.p.453. IV.5$. p. 482. Della febbre detta Caufone III. 21. p-455- IV. 54. p. 47?. 58.p. 480, VI.2<5. V5* Febbre acuta I. 14. p. 414. II. rp. p. 428. 23.p. 430. III.7. p.448.p.p.449. IL p.450. IV. 37. p. 473-6(5. P.4S2.V. 65. p. 5io. VI.54. p. $26. VII. i.p. 528. Delle febbri lunghe 11.25.^4^.28. p. 432. III. 16. p. 452.27.p.458.IV.35. p. 473.44- P-47^ 5M79-iviV- ^-P-510. Febbre continua. III. 21. p. 459.1V. 45. p. 475.47. p. 477. 49. ivi 49. p. 478* 50. ivi 55. p.480. VII. 66. p. J40. 26. p, 543.77.P.ĚVĚ. Feb- 6\6 Febbre intermittente. I. lě. p. nf« 12.P.412.IV. 30.p.471.43. p.475.52. P. 479*;?3. p. 482. Del ludor delle febbri, ě. 12. p. 4li* III. 6.p. 448.21. p. 455. 36. p. 473. 37. ivi 5^«P- 4^0# Del freddo febbrile* IV. ig. p. 470, 46. p. 475. 58. p. 480.53. p. 482. V. 17. p« 492. 20. p. 497. Convulfion nelle febbri . lě. 26. p. 451. IV. 57. p. 480.66. p.483.67. ivi. 68.ivi V. 5.P.489.71.P. 512» Altri Sintomi delle febbri. II. 28. p. 432.IV.27.p.47o. 31.P.471. ?4.p.472. 3 5. ivi 44. p. 476.47. p. 477- 48- P-ivl ' 49.p. 478.50. ivi 5i.ivi 52.p.479. 53' ivi 54-ivi 55. p.179.6©. p.481.61.p. ivi 52. ivi 64. p.482.65. ivi 66. p. 492.67. p. 483.68. ivi 6^. ivi 75. p. 484. V» 5<*. p. 507.65. p. 5io. VI. 16. p. 519.44.p.623. .50.p. 524,51. ivi 54. p. 526. VII. 32. p. 38 p.533. 44. p. 535-54- P-537- ^-P- 941-Del vitto de'febbricitanti. 1. ix. p. 411.14. p. 414.16. p. 415. 19. p. 417. IV Ů7. p.466. 27.p. 470. V. 65. p. 510. VI. 65. p. 5 io. VI. 3. p. 513. VII. 6?.p.544- Mali particolari fecondo /* ordine datň loro da Rafi. Dolori di Teda. Sez.III. Afor. il* p. 45.1. 17.p. 457. 23.P.456. IV.74-P' 405. 485.V. 22.P.497.2S.P.500.65. P.5T0, 69. p. 51 t. VI. io. p. 510.51. p. 524.VII. 14. p. 528. Letargo. 111.3<\p.450. Apoplelfia. II. 42. p. 439.III. 16. p. 45J3 p.481. Melancoliŕ. III. 20. p.455. 22.p.45<5. IV. 9. p. 463. VI. 11. p. 515. 21. p. 517. 56. p. 526. VII. 5.p. 528. Frenitide. III. 30.p. 459.IV. 72. p. 484. VII. 1.2. p. 527. Balordaggine. VI. 55. P.525.VH. y« p. 528.-9, p.. 527. io.ivi 14. p. 528. i8.p. 529.25. p. 530. Delirio. II.2.p.421. Epileflěaa mal caduco. II.45.p-44O III. Itf.p. 452. 20. d. 455.22. p. 45(5.29. p. 459. V.7.p.49O. De' mali de' Nervi , e prima della Convullěone. II. 26. p. 431. 14.P.25.P. 457.IV.16.P.465.57.P.480.69.P. 483.68. ivi V.1.P.488.2.ĚVĚ 3-p. ivi4. P.4S9.5.P. ivi (5. p.ivi2i.p.495.22.p.497.2b.p.499. 56.P.507.66.P.511.71 .p.512.VI.39.P.527 56.P.526.VII.9.P.527.10.P.ĚVĚ 13.^.528. 18.P.529. Stupiditŕ. VII.14.P.528.41.P.533. Mali degli occhi. Ill.i2.p.451.14.^. 452.17.P.453.31.P.460.IV.49.P.478.52. p.459. VI. 31. p.4<5o.52. P.525.VII.3.P. 5«.p.535. Ma- Mali degli orecchi. III.5.P.497.17.P. LV8 49p47p5i5 e' mali del nafo . II.^o.p. 458. HI. 13.P.451.T4.P.ĚVĚ20.P455.27.P.458.31. P.460.IV.25.P.469.27.P.470.49^.478,60 S85v.33.p.$i?i.49.p.5O5. VI. p.$3 Dello ftranuto. V.3y.p.$oi.V-I.X3.p. V«3^ 5.V«.jpo3 Mali della bocca, e della lingua . III.21.P.4J5.24.P.457.VI.32.P.520.VII. Mali dei denti. III.25.P.457.IV. $3. p.459.V.i8.p.47J. Malli delle gengive, e delle labbra. III.25.P.457.IV.49.P.478. Mali di gola . H.43.P.439.III. i<5.p. 25IV3335 45p455p4j34p4335 ivi V. io.p.491. VI. 37.p.52#. VII.40.P. "533- Mali del petto , e de' polmoni, e prima deH'afma. III.22.P.456.23. ivi. *33tfiv\ 5p4p43 DellaTofle. II.40.P.438.III.5.P.447. 13.P.451.20.P.455.23.P.455.31.P.450. IV.54.P.419.V.24.P.498.VI.35.P.5 20.4*5.. VII^ p5349p53 n Della Voce. V.5.P.489. VI.5Lp.525. VII.51p.525. Sputo di fangue. III.2p.p.459.IV,25 p.469 p4^ p.528. . Pleuritide. I.u.p.412. LII.23.P.455. V.8.p.49©'-i5« p.493. VI. itf.p.<5i/5.33.p. 520.VII.iLp.527. Polmoni infiammati. IH. 2$.p. 456, 30.P.459. VI.15.P.5K5.VII.11.P.527.12. p.528. * Empiema. V.8. p.490. io. p. 491.5.P. 493.20.P.49Ó.68.P.511.VI.41.P.522.VII 3o.p.529.22.p.ivi 39.p.53?. 44-P- 534- Tificaja, oTabe. III.13.P.451.22. 1V85y p459p459p43y9p49 p.492.12. ivi 13.P.493.14.P.ĚVĚ 15.ĚVĚ 64. P.5JO.VI.12.P.515.VII.16.P.528. Cuore. II.35.P.437.41.P.438.IV. I7.p; 4<56.65.p.482.VI.i8.p.4id,VII. 8.p. 527. Mammelle. V.37.P.502.38.ĚVĚ 39.ĚVĚ 10.P.503.50.P.505.53.P.505. Stomaco. I.2.IV? p47p54p5 54-P-537- Sete. Il.u.p.425. IV.19. p.4<57.45.p 477.54.P.479.V.27.P.499.64.P.510. Vomito. L2.p.4O2.III.2i.p.455.29%p 457IV4.p.462.<5.p.4(53.7.ivi 8.rvi i2.p .455.17.p.4<5<5.18. ĚYĚ22.P.458 .V.32.p.5oi.24.i5.p.5i(5.VII.3 p. 5p 532. Singhiozzo-. V.3.p.488.4.p.489« 5&P- 620 Ipocondrj. IV.64.P.482.73 .p.484. V» VI 4p54p5 Fegato. V,58.p.5O7.VI. 18.p.515.42. P.522.VII.17.P.528.45.P.53J. 52.p. 53*. 55-P-537- ldropifia. III. 22.P.456.IV.11.P.464. VI.8.p.514.14.p-516.27.P.519.3 5. p.5 20, VIIS 5p54p54P57 Itterizia. IV.62^.481,(54.P.482.VI. 42.P.522. Milza. III.22.P.456.VI.43. p.5^3.48. p.524. Fluifi di Ventre. II.14.P.425.III.16. IV68 p455p4573p459p4 23. p. 46^.24. p.ivi 26. P.470.28.P.ĚVĚ V V 3.p,5i2.i5.p.5i<5.i<5.p.ivi i7.p.ivi.32.p. 521.43.P. 523.48. P.524.52.P.525.VII.5, P.528.23.P.529.30.P.531.20. p.530,530. 78p54374P54584P54^ 78.p.54374-P-545.84-P-54^ Lienterja. V. 12.^464^1,. 1 .p.513<ŕft P.523.VII.84.P.545. Colica paflěone. III.22.p,45(5.VI.44, P.523.VII.10.P.527. Dplor di Ventre. I.2.p.4O2.IV.ii.p, 454.d6.p.48t.VI.5.p.514.7-p.ivi VII.23. P.529.27.P.530.41.P.533. Mali dell'Ano. IU.3 9.VI.n.p.5i5,2i.p.5i7.22.p.ivi. Mali de'Reni. III.31.P.460JV.75.P. 5(5p48^8.p.ivi. V.5S.P.507. VI, 5323