L'ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4, Semestre e trimestre in proporzione Si pubblica ogni sabato. II. ANNO. Sabato 1 Maggio 1847. M 29 — 30. Della chiesa di S. Maria Maggiore in Trieste UN TEMPO dei Padri della Compagnia di Gesù. La Compagnia di Gesù, fondata già da S. Ignazio Lojola, erasi diffusa nell'Austria nella residenza imperiale di Ferdinando I in Vienna per l'opera dei padri Laynez e Bobadilla, ed era venuta sì gradita ai principi che fu loro affidata l'educazione di quel Ferdinando di Stiria, che salito al trono imperiale sotto nota di II fu celebrato per le vicende che segnarono il suo impero, ben altro che tranquillo. I Gesuiti, consiglieri del principe non meno nelle cose di religione che di stato, dovettero partecipare alle vicende che accompagnano le cose temporali. Nella Boemia gli stati tumultuavano, e prendevano a motivo di loro pretese le condizioni politiche e religiose; venuti ad aperta ribellione chiamavano a re 1' elettore Federico Palatino, protestante di religione, i-netto a comandare battaglie ed a dirigere consigli di stato, abile assai a regolare feste da ballo e conviti in tutta pompa; effimero rivolgimento che ebbe termine con una sola battaglia sulle alture di Praga, e che portò sventure a quel reame. Banditi da quel regno i Padri della compagnia, due di quei tapini passarono per Trieste l'anno 1619: il padre Giuseppe Metzler svevo, ed il padre Gregorio Sala-teo goriziano, i quali andavano a stabilirsi in Italia. Accolti ospitalmente nella casa del dott. Annibale de Bottoni, la loro presenza risvegliò antico desiderio di avere in Trieste scuole migliori che non la grammatica e le belle lettere (latine s'intende); fe' ricordare come ancora nel 1382 erasi desiderato di vedere trapiantarsi in Trieste l'ordine di S. Domenico per le scuole di filosofia; e trattasi la cosa nel consiglio dei quaranta fu stanziato di pregare i padri a fissarsi in Trieste e di aprirvi collegio. 11 consiglio medesimo assegnava ai padri, cominciando dal primo luglio 1620, la casa pubblica delle scuole; quegli annui fni. 200 che aveva il pubblico precettore; annui fiorini 200 che si davano a' Triestini studenti in Padova od in Bologna; la cappellania di S. Pietro in piazza che rendeva da 100 fni.; 3000 fni. per una volta tanto; e provvisoriamente la casa del pubblico bombardiere e 200 fni. tolti alla cappellania di S. Pietro, cioè ! a dire 500 fni. di annualità, e casa per uso della scuola; abitazione e sussidio temporaneo per i primordi, 3000 fni. per avviare il collegio. La deliberazione del consiglio fu accettata dai padri, sancita dall'imperatore, il quale fece per dono di capo-d'anno (primo gennaio 1621) l'assegnazione di una rendita perpetua di annui fni. 600. Lo stabilimento gesuitico ebbe tosto vita negli anni 1620 e 1621, e vi fu superiore Giovanni Battista Posarelli; la fondazione del collegio è dovuta alle sollecitudini del padre Giacomo Rampelli di illustre famiglia da Pisino, il quale divenuto rettore nel 1(^22 seppe maneggiarsi per modo che i padri aulici (così li chiamavano) persuadessero il principe Udalrico di Eggenberg duca di Krumlau, favorito dell' imperatore ad essere fondatore del collegio. Era questi presidente del consiglio aulico, governatore come diremmo oggidì, della Stiria, della Carintia, e del Car-nio; cavaliere del Toson d'oro; la famiglia divenne poi sovrana di tutto lo stato così allora detto di Gradisca (tutto il piano del Friuli austriaco) per comprita fatta nel 1647 dallo stesso Ferdinando II, stato che ritornò per diritto di devoluzione alla serenissima casa d'Austria nel 1716 alla morte dell'ultimo di quella casa, del giovanetto intisichito principe Giovanni Cristiano Antonio. A merito del nostro comprovinciale padre Rampelli, il principe Eggenberg donò 50000 fni. di Augusta, dei quali 20000 nel 1622; il residuo nel 1624 cedendo un suo credito ipotecario, per cui la signoria di Kal-tenbrunn presso Lubiana venne in dominio del collegio gesuitico di Trieste. Questa dotazione venne dal principe assegnata al collegio, alla chiesa ed alle scuole, per cui ebbe titolo di fondatore del collegio di Trieste. Ferdinando I arricchì tosto il collegio di grazie e di e-senzioni, e la liberalità di private persone venne in soccorso. Si diè tosto mano alla costruzione della chiesa, comperando le case, convenendo col pubblico per le vie tolte o girate, e si procedè per modo che nel 1627 nel dì 10 ottobre potè porsi la prima pietra dal vescovo Rinaldo Scarlicliio. Però non fu compiuta nei muri principali e nel coperto che nel 1682; difatti per quaranta anni continui vedonsi ancora assegnazioni d'annui fni. 500 fatte dall' imperatore. Altre opere parziali sono di epoca più tarda, alcune non poterono effettuarsi nè al cessare della società, nè più tardi. La chiesa venne progettata dal padre Pozzo; l'esecuzione venne poggiata al padre Giacomo Briani da Modena, noti ambedue per opere architettoniche assai lodate. La memoria della prima fondazione venne segnata su tavoletta di piombo rinvenuta poi dietro 1' altare della Madonna. In essa si legge: (Fronte.) .JOANNES VDALRICVS PRIN ceps . sacri rom : imp : dvx crvmlovii et ec ciienperg . styriae . carint : carniolae gv rernator . &c collegii societatis jesv ter gesti fvndator . pro sva in devm deipara51 qve religione et in societatem jesv affec tv templvm iioc immacvlatae conceptio nis nomine a fvndamentis extrvebat an no dni ci3.dc.xxvii . die . decimae oct : fon tifice max : vrbano vili . imperatore sem per avgvsto ferdinando ii . mvtio vitel lesco societatis jesv praeposito genera li vi . provinciali ciiristophoro dombrino sacris operante ill.mo ac r.mo reinaldo sciiar lichio comite ac episcopo tergestino (Tergo.) COLLEGII rectore r.do p. jacobo rampelio . pisinesi. ministro p. petro de fabris . goritiesi. sp1ritvali p. lavrentio chrysogono . spalatr: jp. sebastiano janeschizh. carnio: mm carn. magistri ) p. bartholomeo vitsiiitsh. ternov: ) simone ster . carniol . litopol fabricae praef: jacobo briani. modinensi. sacrist: bartholomeo binterlaiter . styro coqvo et dispensi andrea rvgentaler. carint: bartholomeo trebitio . credentiar: gorit: La consacrazione fu fatta dal vescovo Gorizutti nel dì 11 ottobre 1682, e durò la fabbrica 55 anni. Quaranta giorni più tardi, nel dì 21 novembre 1682, il fuoco scoppiato in torchio d' olio prossimo, si propagò alla chiesa, ed arse la cupola, insieme al tetto sopra l'altare maggiore; in tempo di dodici giorni il tetto veniva restituito per cura del padre Schenderich; la cupola non venne rifatta che nei tempi nostri ed in altra forma. Il padre Michele Stella triestino fu il primo a celebrare messa, ed altresì il primo ad esservi sepolto. L'interna decorazione della chiesa è dovuta in gran parte a privata divozione. Nel 1659 il conte Nicolò Petazzi, capitano o governatore di Trieste, e la contessa Beatrice sua moglie nata baronessa di Dornberg, quello di antica illustre famiglia triestina, uno della quale, il conte Giovanni, moriva sui campi di Lipsia nel 1640 tenente colonnello di un reggimento di corazze, questa di famiglia illustre goriziana non ignota a Trieste, alzarono P altare di san Francesco Saverio ed ornarono il braccio di navata nel quale trovasi collocato. In due piedestalli di fianco all' altare medesimo si leggono in caratteri dorati sopra marmo di paragone le seguenti inscrizioni. A sinistra: NICOLAVS S. R. I. COMES PETTAZ CAESAREVS TERGEST. & GORITIAE CAPITANEVS HAC D. XAVERIO DICATA ARA SIBI DEARRHAVIT AETERNITATEM ET QVAMVIS SEMEL OCCIDENS PVLLATO SVB MARMORE CONQVIESCAT MORTALIS IN HOC TAMEN SVAE ILLVSTRISSIMO PIETATIS TROPHAEO SEMPER ORIENS RESPIRAT IMMORTALA. A destra: COMITISSA BEATRIX, NATA BARONISSA DORNBERG, VT VIVA THALAMI SIC MORITVRA TVMVLI INDIVIDVA CONSORS PETTAZIANA IVGITER HOC SVO XAVERIANO MNEMOSYNO VT IN PIETOSO MERITO MARITO COMPAR SIC IN PERENNATVRA MEMORIA CONVIVA BEATRICI SPIRAT IMMORTALITATI Nel 1689 l'illustre famiglia dei Conti, la quale diede benemeriti personaggi alle magistrature, alla milizia, alla chiesa, all'ordine Lojoleo, e fu propensa a questo, alzava a sue spese 1' altare di S. Ignazio che è nel braccio a diritta della navata traversale. Questi due altari che stanno l'uno dirimpetto all' altro sono invero grandiosi perchè in proporzione ai bracci della navata traversale entro cui sono collocati, e per la ricchezza dei marmi, testimonio della pietà e dèli'opulenza dei donatori. Il santo vescovo Giovanni Miller che sedè dal 1692 al 1720 alzò a proprie spese i due altari laterali al maggiore, l'uno dedicato al Ss. Crocefisso, l'altro alla Reata Vergine della Salute, simili ambedue di marmo. L'imagine della B. V. si vuole del Sassoferrato, ed in pregio. L'altare della Madonna sembra essersi fatto dal comune; sulla tela si veggono i nostri santi protettori. La famiglia Calò alzò l'altare del Santo Angelo Custode. Sembra che appena alla metà del secolo passato, abbandonata la speranza di poter prossimamente mandare ad esecuzione 1' abside dell' altare maggiore, si facesse questo nel modo che le circostanze permettevano. Nel muro che chiudeva la navata longitudinale, fu dipinto a fresco l'altare maggiore quale si aveva in animo di eseguirlo, della forma assai usitata nelle chiese dei gesuiti, e fu opera di Antonio Werles del 1753. Al cessare della società gesuitica nel 1773, il tempio non era compiuto, nè per ciò che riguarda la costruzione, nè per ciò che riguarda le decorazioni. La navata longitudinale doveva misurare tanto dal centro della cupola verso la porta d'ingresso, quanto verso la muraglia che avrebbe chiuso il nicchione, per modo che la cupola sarebbesi collocata nel centro della chiesa (se non prendiamo equivoco nel giudicare dalla pianta). 11 nicchione per l'altare maggiore sarebbe stato in pianta, quadrilatero; nella parte superiore sarebbe stato aperto alla luce in semicerchio quanto è l'ampiezza della volta. L'altare sarebbesi collocato fuori del terreno occupato oggidì dal santuario; perchè ad eseguire questo conveniva estendere la chiesa sulle case che stanno nella parte postica. Preghiamo il lettore di prendere sott" occhio la pianta della chiesa pubblicata nel numero precedente, e per completare il santuario, di figurare ripetuta dalla cupola verso il santuario, quella distribuzione che è verso la porta d'ingresso segnando due arcate e tre pilastri doppi, che così avrà la pianta completa nello stile in che è dettata 1' architettura della chiesa. La decorazione sovra 1' altare maggiore doveva essere grandiosa nelle dimensioni, arrivando a riempiere tutta l'arcata, sontuosa nei marmi, e doveva ripartirsi in due scompartimenti; l'inferiore figurando ordine di colonne corintie disposte quasi a nicchia, in mezzo a cui la Beata Vergine concetta senza peccato, in alto di gloria; lo scompartimento superiore che rastremando essere doveva il compimento dell' inferiore, avrebbe accolto la sacra Triade. La cupola si era incendiata nel 1682; però sia lecito il dubitare che fosse in allora costrutta in pietra, dacché avrebbe resistito all'incendio non -tale da calcinare muraglie, e meno poi da distruggere mattoni; la notizia giunta a noi accenna piuttosto il sito destinato a cupola coperto da tetto incendiato. La distribuzione della cupola sarebbesi fatta così: Sulla cerchia sostenuta dai pennelli doveva alzarsi un ordine di colonne binate corintie sostenenti una cornice all' ingiro ; su questa cornice sarebbesi alzato il catino, su questo il lanternino; fra i colonnati dovevano aprirsi finestre ampie, quadrate, corniciate. Nell'interno del tempio, il solo braccio dell' altare di S. Francesco Saverio era stato completo nella decorazione. ma con tale sovracarico di stucchi e di gusto sì eccedente da dubitare se tutto il tempio dovesse farsi così. I capitelli, meno che in questo braccio ed in quello dell'altare maggiore, non erano lavorati; vi si vedeva segnato soltanto il timpano: nelle frequenti nicchie fra i pilastri dovevano collocarsi statue, e ve ne avevano parecchie tagliate in contorno su tavola e dipinte. O non v' era organo, o piccolo e provvisorio. Quanto all'esterno, i lavori trovavansi ben meglio progrediti; la facciata in pietra bianca per ciò che è rilievo era completa; il difficilissimo quesito dei campanili sembra avere esercitato l'ingegno dell'architetto; si dispose di farli sulla facciata della chiesa e a due, ad uso tedesco; poi abbandonata l'idea, si pensò di collocarli nella parte postica, e se ne fece un solo, in sito che non è sì facilmente visibile, e con niuna cura maggiore di quella di fare una semplicissima torre campanaria, nè alta nè decorata. La chiesa di S. Maria Maggiore, quale l'hanno lasciata i padri della compagnia, se lascia desideri nello stile delle decorazioni, accenna nella pianta, nell'esecuzione assai sapienza di architettura cristiana e di arte edificatoria. Nella decorazione interna non piace, a dir vero, quella soverchia quantità di membrature nelle cornici, quel frastagliato; nell'esterno quel rompere di linee, e quel pesante che sembra piuttosto destinato a vedersi da lontano; però ciò vuoisi detto del dettaglio di ornamenti, che altrettanto non può dirsi delle forme di parti maggiori, che anzi sono commendevoli. La pianta non è quella di antica basilica quale la ebbero i primi cristiani allorquando fu dato pubblico culto ; nè di templi che si vollero su tipo che dissesi bizantino, ma piuttosto su quel tipo che seguito al bizantino fu più prediletto perchè segnava la forma di croce, e fu quasi essenziale caratteristica delle chiese italiane nella ristaurazione dell'arte. Il tipo della pianta si vede traspirare in gran parte nella distribuzione del fianco della chiesa verso il largo di S. Silvestro, e meglio ancora mentre le muraglie erano in istato grezzo. La distribuzione a croce tolse la continuità delle navate laterali, le quali anzi sono convertite piuttosto in sei sacelli, ad ognuno dei quali sembra essere stato in origine destinalo un altare. E ciò bene si combina colla distribuzione nell'alzato essendosi disposti sui sacelli praticabili quasi cori, che hanno prospetto nella chiesa. Di-I remo poi che l'ordine architettonico di interna decorazione discorda dall' ordine della facciata, e che segna quel canone di perfezione che le menti d'allora avevano ; adottato. E quanto a costruzione diremo essere solidissima, presso che tutta di laterizi appositamente cotli nel Friuli vicino, sebbene 1' arenaria abbondi in Trieste. Aggiungeremo cosa che non ci sembra generalmente nota. Ogni chiesa dell'ordine Lojoleo aveva segno mistico preso dall' arto edificatoria, i di cui significati ci sono del tutto ignoti; questi segni applicavansi o nella facciata o nel nicchione dell'altare maggiore in sito nè appariscente nè difficile a rintracciarsi. Questa chiesa di Trieste ha il martello inserito nella ferrata a mezzaluna della porta maggiore, quasi a vezzo di ornato, sebbene le intrecciature non lo esigano nè sembrino ammetterlo. Allorquando nel 1772 l'ordine Lojoleo veniva a cessare in tutto l'orbe cattolico, grande si fu l'afflizione di questo popolo triestino, il quale vedeva nei Gesuiti gli educatori della gioventù, i consiglieri della virilità, vedeva nell'ordine la sapienza unita alla religione. A lungo durò il detto: "mai più bene dopo la soppressio- ne dei Gesuiti,. E le imputazioni che si davano a questi erano di cose affatto sconosciute ed impraticabili in piccola città com' era allora Trieste; e quei padri institui-vano la gioventù non solo nei costumi e nelle lettere umane, ma altresì nelle scienze matematiche e nautiche, ed erano in fama grandissima per sapere. Si pensò e si disse che la religione ne avrebbe sofferto, e cercavase-ne conferma nelle forme novelle che si davano poco stante al culto, nelle dottrine che poco dopo prevalsero ; si pensava che quell' edifizio alzato con tanta cura dai padri, e che appena col decorrere di secoli sarebbe stato portato a compimento per la perseverante pietà anche dei Triestini, dovesse rimanere in quello stato ove i Gesuiti 1' avrebbero lasciato, da che nè persona avrebbe più avuto animo di farlo, e la sorgente delle largizioni tenuta fino allora viva sarebbesi diseccata. Così non fu; anche dopo la cessazione di quell'ordine le vòlte ne risuonarono delle lodi di Dio nella sontuosità dell'antico rito; il Barbaro, il Rado, il Barbieri per tacere di tanti altri insigni oratori salirono il pergamo in cui ebbero palme i Gesuiti. Ancor settant' anni più tardi costumasi di rendere grazie solenni a Dio nel dì ultimo dell' anno come i Gesuiti primi introdussero in Trieste; ancor quel tempio è dei più insigni, più frequentati della città, che triplicò per numero di popolo. Per le cure del defunto paroco D. Giuseppe Millanich, per le liberalità sue e dei devoti costruivasi in pietra la cupola, si compiva la decorazione dei capitelli, si dipingevano dal Bisson nei quattro pennelli gli Evangelisti; poi si collocavano novelle campane, poi novello organo di eccellente lavoro del Callido da Venezia. — Il paroco D. Bartolomeo Legat, fattosi esecutore di pia volontà, rifaceva 1' aitar maggiore in nuova forma, costruiva 1' abside per l'altare la cui parete interna veniva dipinta a fresco dal veneto Santi; per private e sue liberalità ristaurava l'esterno tutto, lo forniva di belle e nuove suppellettili. Un' ima-gine di rilievo del Ss. Crocefisso in avorio, è bellissima cosa; bello e di insigne pennello il quadretto di N. S. che il defunto dott. Domenico de Rossetti donava alla chiesa in segno di sua devozione riavutosi da pericolosa malattia che l'aveva tratto all'orlo della tomba; società di divoti promosse ad ogni poter suo il pubblico culto. Così la chiesa di S. Maria Maggiore è testimonio della religione dei nostri padri, ma lo è altresì della religione dei viventi; non nella materialità delle opere soltanto, ma nella assiduità e decenza del culto. Le trepidazioni che ebbe il secolo passato non hanno avuto compimento; anzi l'intenzione pia del principe Uldarico de Eggemberg nell'alzare la chiesa, non fu priva di effetti, anche dopo tanti rivolgimenti, anche dopo l'estinzione della sua casa, anche dopo che il suo nome passò in dimenticanza. Soggiungiamo a chiusa i nomi dei Rettori di questa chiesa. Nel 1620 e 1621 Gio. Battista Posarelli, col solo titolo di superiore. 1622 Giacomo Rampelli, rettore. 1631 Francesco Antonelli. 1638 Lodovico Vinchiarutti. 1643 Andrea Bernardini. Nel 1647 Giovanni Zanoni. 1649 Antonio Giovanelli. 1652 Luigi Attimis. 1656 Enrico Herding. 1659 Giovanni Saymondt. 1661 Francesco Baselli. 1664 Marsilio Coronini. 1667 Paolo Moretti. 1670 Giusto Locatelli. 1673 Giovanni Battista Baroni. 1673 Carlo Vitelli. 1680 Michele Schenderich. 1682 Eusebio Stainer. 1686 Antonio Gregorini. 1690 Giovanni Staidler. 1692 Nicolò Quaresima. 1695 Antonio Ferricioli. 1699 Giovanni Paolo Studena. 1702 Eusebio Stainer, per la seconda volta. 1705 Francesco Saverio Barcich. 1708 Francesco Saverio Campi. 1712 Antonio Sorba. 1715 Luca Slataper. 1719 Francesco Saverio Petris. 1722 Simone Sommavilla. 1725 Francesco Saverio Barci. 1728 Francesco Saverio Petris, per la seconda volta. 1729 Nicolao Percotti. 1730 Francesco Corradini. 1732 Simone Sommavilla, per la seconda volta. 1735 Uldarico Bombardi. 1738 Francesco Saverio Petris, per la terza volta. 1741 Francesco Corradini, per la seconda volta. 1744 Francesco Saverio Petris, per la quarta volta. 1747 Antonio Jancovich. 1751 Uldarico Bombardi, per la seconda volta. 1754 Gaetano Orsi. 1757 Francesco Bradicich. 1760 Stefano Pepeu. 1764 Giuseppe Carina. 1766 Antonio Bosizio. 1769 Giuseppe Carina, per la seconda volta. A questi uniamo i nomi dei parochi che vi furono preposti dopo la soppressione dell' ordine : Nel 1777 Don Marco Sadnec. ' 1795 Don Francesco Saverio Millanich. 1809 Don Giuseppe Millanich. 1837 Don Bartolomeo Legat, or meritamente vescovo di Trieste. 1845 Don Michele Fleischer. Chiese e cappelle d'Isola e del suo territorio. Siccome la luna ha il suo argento e le sue macchie, così ogni età le sue virtù ed i suoi vizi. — I monumenti eretti dai terrestri ad onore e gloria dei celesti furon sempre, sono e saranno incessantemente facondi oratori che nel loro muto linguaggio diranno al cuore j de' viventi in questa terra di esiglio la pietà e 1' opulenza degl' individui e delle famiglie, che s'immersero nell'indefinito oceano dell'eternità. Povero, se non di beni fugaci, almen di nobili e sublimi sentimenti, esser dee quel popolo, il quale non può mostrare ai posteri ed agli estranei segni sensibili della sua religione. Che i nostri maggiori, ne' secoli preteriti, sieno stati pii e doviziosi ne fan fede e le chiese e le cappelle e le are ed i cenotaffi ch'ersero e dedicarono al Padre delle misericordie, alla Madre delle grazie, ai campioni del cristianesimo: chè se '1 sentimento religioso sprona l'uomo, la famiglia, il popolo ad innalzare un monumento, ci vuole anche il mezzo materiale per realizzare l'idea. Ma in quella guisa che l'erezione e la conservazione dei sacri monumenti sono segni visibili di pietà e di dovizia; non altrimenti il difetto e la decadenza dei medesimi son prove o di ralTreddamento in materia di religione, ovvero d'inopia. Sia lode al vero. Se lice inferire dagli effetti alle cause, se dalle frutta si conoscono gli alberi, dobbiamo ingenuamente confessare, 1' età trascorse essere state più della nostra feraci di sentimenti religiosi, dedita più agi' interessi materiali che agli spirituali. Tutte le città, tutte le borgate van superbe di monumenti eretti dai nostri antenati, dei quali altri ancor torreggiano a loro encomio, altri non presentano più all'occhio stupefatto che muri cadenti, rottami e macerie, altri onninamente dalla faccia della terra sparirono. Guardate Isola, che non ha nemmen quattro mila abitanti: guardate il suo ben coltivato territorio, e dai sacri monumenti quà e là seminati, vi verrà fatta di conoscere la divozione di questo popolo alla Vergine Madre ed ai santi del paradiso. Affinchè resti almen qualche memoria scritta, ed i figli apparino la pietà dei loro padri verso i beati abitatori del cielo, entro i limiti della nostra povera possibilità, ci siam proposti di descrivere le chiese e le cappelle d'Isola e del suo territorio ; cioè quelle che sussistono, ed anche quelle che cessarono di sussistere. La chiesa precipua e maggiore di tutte le altre, intitolata ai Ss. Mauro e Donato, è in capo al paese verso Trieste. L'attuale edifizio è opera del secolo XVI, come si rende manifesto da una memoria scritta che si conserva nel comune d'Isola, e cui noi qui riportiamo senza alterare un'acca: "Essendo la chiesa di S. Moro „(S. Mauro) d'Isola vecchia, mal conditionata, e non ca-„pace a ritener il popolo nella celebrazione delli Dni (divini) offizi, parve all' università e popolo divoto, e molto ^inclinato al culto divino di riffar la detta chiesa in più „bella e ampia forma, e per far questo suo divoto e buon „voler, e non poco importante avesse a sortir questo al ^debito effetto, esistente il molto devoto M. Pre Do-„menego de' Vascotto benemerito Pievano di detta chiesa, »però elletto il Prudente e Mto honorato M.r Piero de „Manziol q.m Balsamino con l'ingegnoso M.r Niccolò „suo nipote q.m Marco Procuratori, e dispositori sopra sdetta, devota, e laudabil opera; con Giacomo de Man-,ziol q.m Piero sinciero, e fido cassier, e governator „delli Danari, si haverà a spender nella detta fabbrica, »sicché attrovati li danari per pagar tutte le cose spettanti, e pertinenti a quello e questo modo. Che tutte le „scuole e fraternità d'Isola molto devote e desiderose „di onorar il sommo onnipotente Iddio della propria en-„trada volontariamente s'offersero. Tutte le scuole hanno »contribuito. Sacramento. Cameraria di s. Moro. Scuola „di s. Moro. S. Donà. S. Michiele. S. Iseppo. S. Antonio „Abbate. S. Maria. S. Rocco. Sumano tutte le soprascritte partite Lire 4178:7, di che con li predetti danari „furono comprati li legnami, le pietre, le coione, i cop-„pi, e tutte le altre cose, che bisognava per espedir „detta opera, e la pietra di bella sorte, per far 14 codione che li andava. Li prefatti procuratori cercarono di „trovar uno il più ingegnoso Maestro di Fabbrica di „Chiesa, che si trovasse in Venezia molto laudato e pro-„bato da tutti, che fu Maestro Lunardo Mazzafuogo con »Maestro Francesco da Cologna habitante in Capodistria »Maestro di legnami, e di muro ancora, alli quali fu ^statuito e dato il suo merito prezzo secondo il loro ^accordo, e comunemente li furono date le opere ma-unitali sì nel disfar detta chiesa e nel fabbricar di quella „de tutta l'università e popolo d'Isola, secondo l'istes-„so e facoltà di cadauno nemine excepto, e fu dato principio al disfar delle detta chiesa alli 15 del mese „di Giugno 1547, e fu messa la prima coIona li 5 del „mese di Luglio. 4 Ottobre fu compita la mazzaria della „chiesa, le alle veramente addì 20 Novembre. Posti li „allari, fatta la porta e serrata la chiesa addi 14 Xbre, „1547. "Ego Petrus Coppus F. Domìnus Cois Insularum ..rei/uisi/us scribere ad futuram memoriam scripsi„. Sopra la porta maggiore fu posta la seguente i-scrizione riferita dal Naìdini nella sua Corografia p. 323: THOMAS • STELLA EPISCOPVS • JVSTINOPOL1TANVS ECCLESIAM • HANC IN • HONOREM • S • MAVRI • MART. DIE • X • AVGVSTI • MDLIII CVM • SOLITIS • INDVLGENTIIS CONSECRAVIT. Da cotesto documento, scritto a perpetua memoria da Pietro Coppo Vicedomino del comune d'Isola, si rileva che la primitiva chiesa, dedicata al glorioso martire S. Mauro, era già vecchia, crollante ed angusta a segno di non poter contenere la crescente popolazione; che, essendo paroco don Domenico Vascotto, uomo pio e benemerito, i signori Pietro, Nicolò e Giacomo Manzioli, d'accordo con tutta la popolazione chiamarono da Venezia il proto Mazzafuoco, e da Capodistria il maestro Francesco da Cologna per ingrandire la chiesa e darle novella forma; che tutte le confraternite allora esistenti in Isola, e tutte le famiglie, secondo i loro proventi e le loro forze, contribuirono alla santa opera; che il lavoro fu principiato nel mese di giugno del 1547, e continuato con grande celerità; che la chiesa, a termine condotta, fu consecrata il 10 agosto 1553 dall'illustriss. e reverendiss. mons. Tomaso Stella, vescovo giustinopo-litano, colle solite indulgenze. Quando Isola era soggetta alla veneta dominazione, la chiesa fu elevata al gra- do di collegiata; ma in tempi più tardi cessò di esser tale, ed ora ha un paroco con due cooperatori. Ha tre navate, e ciò che merita considerazione si è che, siccome nei primitivi tempi del cristianesimo, gli uomini nelle sacre funzioni son sempre dalle donne separati; poiché quelli occupano la navata di mezzo, queste le navate laterali. Si veggono in essa sette altari di marmo, e delle pitture di pennelli non ordinari. Secondo il Manzuoli tre pale sono del Palma, e fra queste trae gli intelligenti in ammirazione quella dell'aitar laterale rappresentante il nostro Salvatore dopo la deposizione dalla croce. Ha copia di ornamenti pei dì solenni, e fra le cose rare si annovera un messale donatole dal nob. sig. Pasquale Besengo degli Ughi nel 1799, avente i cartoni coperti di velluto chermisino con molto argento lavorato. Fino ai nostri tempi le spoglie dei sacerdoti e delle persone più distinte del paese si tumulavano in chiesa: intorno la chiesa vi era il cimiterio murato, ove in altre tombe profonde e coperchiate si seppellivano gli altri abitanti, che passavano dal tempo all'eternità. Quando era uopo estraevasi dai sepolcri la polve dei defunti, e la si riponea in un luogo cinto di muro accanto al campanile. Presentemente la funerea campagna di croci sparsa, è alla sponda del mare, non lungi dalla chiesa pa-rocchiale. Dopo la parocchiale è degna di riflessione la chic- ; sa sacra alla madre del Verbo, sita sulla piazzetta d'A-lietto allato al palazzo del podestà, il quale, senza sortire, da una finestra può assistere al santo sacrifizio della messa. Ha tre altari di marmo ed il battistero. "Eriberto (son parole del Naldini) vescovo di Trieste ed amministratore della chiesa giustinopolitana, per dimostrare al capitolo di questa cattedrale gli effetti della sua generosa beneficenza, gli donò nel 1082 il pio-vanato di S. Mauro d'Isola, coi quartesi delle decime, con le primizie spettanti alla chiesa, e col sacro fonte battesimale, dagli Isolani già richiesto e sin allora non conseguito, obbligando questi a portare i loro bambini al battistero di Capodistria, secondo lo stile antico, e da loro prima osservato; del che se ne legge il chirografo in ampia ed autentica forma.,. (Baldini Corograf. p. 335). Essendo la chiesa parocchiale esposta al furibondo aquilone, affinchè i teneri bimbi nell' inverno non soffrissero portandoli al santo lavacro, gli Isolani, ottenuta la facoltà di avere proprio battistero, prudentemente Io collocarono nella chiesa, che all'ire de'venti non va tanto soggetta. Non ha guari che, colle spontanee oblazioni de'fedeli, fu ristorata ed a miglior condizione ridotta. Trovandosi in comoda situazione, sì nei giorni festivi che feriali è molto frequentata. La terza chiesa è dedicata a S. Caterina vergine e martire, ha tre altari di legno dorato, ed è situata nella contrada che porta il nome della santa. I Benedettini a-veano quivi nel secolo XII un ospizio o cenobio, che nel XV passò pria all' ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, e poscia a quello de'Serviti. Ecco come ne parla il Naldini nella sua Corografia p. 347: "Il sacro ordine Cassinese possedea un piccolo ospizio, detto di santa Caterina dal titolo della propria chiesa. Quando principiasse questa monastica giurisdizione, rimane sepolto nell'oblio. Può solo congetturarsi seguita dopo la dona- zione fatta da Vernardo vescovo di Trieste ed amministratore di Giustinopoli all'abate ed al monastero di S. Giorgio di Venezia della chiesa e della villa di S. Maria di Monte di questa diocesi nel 1152. Ha del verisimile, che per 1' assistenza della chiesa di Monte, e manutenzione delle sue rendite s'ergesse in Isola, dalla villa di Monte distante soltanto intorno due miglia. E ben certo che questo possesso in Isola continuò sino al 1429, nel qual anno il vescovo Francesco Biondi con pastorale zelo tentò frenare dall' improvvisa partenza del governo di quella chiesa un tale Antonio Sarzana; ed appunto per la lunga assenza del superiore tracollò 1' ospizio, o forse monastero. E come potea reggersi in piedi senza capo? Quindi incorporato da Martino V pontefice massimo alla sacra religione de' Cavalieri Gerosolimitani, e da questa conferito poi in commenda al cavaliere Domenico Pavanello patrizio padovano. Questi che nodriva sentimenti propri di un animo religioso, conoscendo quanto per la sua assenza deteriorassero il culto della chiesa e le rendite del priorato, risolse sgravarsene colla libera cessione all'ordine de'Servi, e concorrendovi l'assenso pontificio, se ne stipulò solenne ("strumento alli 7 di ottobre 1473. Chi di questi religiosi cooperasse a tale rinunzia, nemmeno consta. Pare doversi attribuire alla sollecita vigilanza di Cristoforo Torniello, il quale come in | quei tempi introdusse la sua religione in Capodistria, così l'estendesse in Isola. E però negli annali dell'ordine Servita ad esso si ascrive la gloria di una provincia fondata nell' Istria, mercè altri conventi aperti in Montona, Rovigno, Umago, ed altri luoghi,. In tempi di riforme ecclesiastiche, avversi agli ordini monastici, l'ospizio o cenobio fu soppresso, ed il benemerito monsignor Antonio Pesaro, avendo verso la fine del passato secolo ottenuto in dono dalla veneta repubblica i beni spettanti ai Serviti, costruì novello edifizio, ed aprì ivi le scuole elementari, ginnasiali e filosofiche, che durarono fino alla di lui dipartita da questo mondo. (Vedi il doppio Nro. 33-34 p. 134 dell'anno scorso di questo giornale). Ora i parvoli apparano soltanto gli elementi delle lettere, e nella chiesa di santa Caterina assistono alla santa messa. Sulla piazza grande, al fianco della casa Contesini, or Marini, sopra 1' arcata era la cappella intitolala a san Bartolomeo, ed il vicolo, che ivi comincia, ha la denominazione di questo santo. Da lungo tempo è cangiata in privato abitacolo. In sulla via, che dalla piazza grande conduce alla chiesa parocchiale, a sinistra, poco più in su della casa appartenente alla famiglia Zanon, era la chiesetta di santo Antonio abbate. Anche questa è mutata in dimora di private persone. Nella medesima via a dritta, là ove due contrade s'incrocicchiano, sta ancora la chiesuola dedicata al Precursore dell'Uomo-Dio, consacrata da monsig. Gabriele de Gabrieli, antistite giustinopolitano, il 18 aprile 1459; ma minaccia ruina. La chiesa sacra al principe degli apostoli, guernita di qualche buon quadro, e non molto discosta dalla parocchia, sta sullo scoglio all' oriente donde 1' occhio dello spettatore spazia con piacere sull'anfiteatro naturale, sulle ridenti colline, sui promontori e casini che fan corona all' emporio, sul golfo sempre ingombro di bastimenti e di barche e che al sole scintilla come una lama d'argento, sull'opposto lido e sulla terra ove ancor si veggono i resti della famigerata città, la cui grandezza e decadenza ingegnosamente espose un poeta vivente nel seguente sonetto: Emola a Roma una città superba D'uomini, d'armi e di ricchezze piena Qui surse un dì; ahi rimembranza acerba! Ora qui fu, dir si potrebbe appena. Li pochi avanzi che di sè pur serba Giacciono infranti sulla nuda arena, E sulle tombe illustri a pascer 1' erba L' avido armento il pastorel vi mena. Aquileja infelice! Or ove sono L'eccelse moli, e l'arti peregrine Che fér sì chiaro di tua fama il suono? Ahi! tacendo ella dice: inchieste vane! China lo sguardo, e nelle mie rovine Il nulla osserva delle glorie umane. Vicino alla chiesa di s. Pietro eravi un romitorio ed i più vecchi si ricordano che ivi vita viveano due religiosi, dediti alla contemplazione delle verità eterne, all'orazione ed alle opere di penitenza, onde farsi scala per salire al regno della gloria non peritura. La chiesa sussiste, ma del romitorio non è che la memoria. Fra la chiesa di S. Pietro e quella di S. Caterina soprammentovata esisteà il tempietto dedicato al serafico patriarca S. Francesco con contiguo cenobio de'Minori Conventuali. Ambedue questi -edifizi erano construiti nel fondo donato dal sig. Nicolò Manziol del fu Vincenzo, come si rileva dall' atto di fondazione che si conserva nel libro capitolare del comune d'Isola. In una pietra posta nel muro [della chiesa, era scolpita la seguente iscrizione riportata dal Naldini: EX VOTI SPONSIONE, DVM VENETIIS PESTE FVNESTA ET NOBIS DEVS IN PRECIBVS ET OPTATIS OCCVRRERET, INSVLARVM OPID. SINGVLABI PRESIDIO TVERETVR, HOC DELVBRVM, C(ENOBIVMQVE, PROPRIA CVM ELEMOSYNIS CONFLATA PECVNIA, FR. FIRMVS VLMVS VENET. THEOLOGVS MINORITÀ MAGNIS LABOBIBVS FVNDAVIT M-D LXXXII PRID. KAL. NOVEMBRIS. Da cotesta inscrizione apparisce, che, mentre la peste menava strage in Venezia, il popolo fece voto a Dio affinchè preservasse Isola dall'orrido flagello, e che nel 1582 il reverendissimo padre Fermo Olmo, minore conventuale, teologo veneto ed inquisitore dell'eretica pravità, con molte limosine e molte fatiche fondò la chiesa ed il cenobio. Soppressi i religiosi, il tempietto ed il convento furono venduti e demoliti, e sulle loro ruine surse una casa che assieme col bel vignone cinto di muro appartiene alla famiglia Speranza domiciliata in Trieste. Sulla piazzetta, che si presenta agli occhi di chi entra in Isola per la via di terra, a destra, havvi la cappella sacra alla Madonna della Neve, cui dotò il nob. sig. Domenico de Moratti. Per le cure della cospicua famiglia de Moratti è tenuta in buon ordine, provveduta del necessario ed in certi giorni dell'anno si celebrano i divini misteri. Dirimpetto alla Madonna della Neve era la cappella di S. Marina, cui la famiglia Parentin legava una porzione del suo retaggio, per sostentare un cappellano; di essa oggidì non si scorge veruna traccia. L'arcata della porta, per cui ne' tempi passati si entrava in Isola, sostenea la cappella di S. Andrea, con-secrata da monsig. Giovanni Loredano, vescovo di Capodistria, il 7 ottobre 1400. Atterrata la porta, sparì anche la cappella. Dopo aver fatto il giro d'Isola, facciamo una gita nel suo agro. Fuori la porta d'Isola era la chiesetta di S. Rocco, di cui non si vede più verun vestigio. Gli a-bitatori d'Isola, in passando, porgeano un breve prego al santo, affinchè colla sua intercessione allontanasse dalla loro patria i mortiferi malori. Quasi sulla vetta del monte, che ha il nome del santo, era stata costrutta la chiesuola di S. Donato, consacrata la prima volta il 12 novembre 1273 da monsig. Buono Azone, vescovo giustinopolitano, e la seconda volta, dopo essere stata rifatta, il 6 agosto 1452 da monsig. Gabrielo Gabrielli pure prelato di Capodistria. Quivi la processione delle rogazioni facea sosta, ed uno de' sacerdoti offeriva sull' ara all' eterno Padre 1' ostia santa di propiziazione e di pace. Anche questa chiesuola logorata dall'azione del tempo, battuta dai turbini, dalle pioggie e dalla grandine, rovinò. Nella valle Darniga, volgarmente detta Valderniga, il rever. don Balsamino Manziolo, sacerdote spettante ad una famiglia d'Isola, nel centro d'un suo podere gettò le fondamenta e drizzò una chiesettina in onore di S. Elisabetta, riservando al suo benemerito casato il jus pa-tronatus. Questa chiesettina fu solennemente consagrata dall' illustriss. e reverendiss. monsig. Giacomo Valaresso, vescovo di Capodistria il 7 giugno 1487. Vivono ancora dei preti che ivi celebrarono la santa messa; ma ora l'occhio del passaggiero non vede che qualche resto di muro. La chiesa intitolata all' apostolo S. Giacomo sta ancora sul dorso del monte, che ha dal santo la sua denominazione. Quando era in essere la chiesetta di San Donato, nella suaccennata processione si celebrava la seconda messa, ed ora si celebra la prima; la quale terminata, uomini e donne, giovani e adulti, piccoli e grandi si pongono a sedere sull' erba all' ombra di una quercia, o di qualche altro albero per ischermirsi dai raggi del sole, e fanno una buona colazione consistente in pane, camangiare e vino. Non lungi dalla strada, che da Isola conduce alla or lodata chiesa di S. Giacomo, fu costruita la cappella di S. Fosca; ma minaccia ruina, e forse la presente generazione non vedrà che un mucchio di sassi. Al fianco sinistro della via distrettuale, che da Isola conduce a Pirano^nella contrada denominata Mar- zane, sussiste la chiesa dedicata alla B. V. Maria di Loreto, e sopra la porta maggiore sta scritto: MORO DELISE CONDID1T AN. 1440. Il Naldini poi nella sua Corografia ecclesiastica riporta la seguente iscrizione: ECCLESIAM HANC A JOANNE DE LISE ERECTAM ET DOTATAM, PETRVS MORARIYS EPISCOP. JVSTINOP. DIE X AVGVSTI AN. MDCXXXIV SOLEMNI POMPA CONSECRAYIT. Secondo l'iscrizione tuttora leggibile sopra la porta della chiesa, questa fu fabbricata nel secolo XV da Mauro Delise: secondo il Naldini, da Giovanni Delise. Donde sia venuta questa differenza di nome, noi non lo sappiamo. Può essere che il Naldini abbia pigliato qualche granchio, siccome avvenir suole, specialmente nelle cose storiche, ad ogni uomo pellegrino, fallibile e mortale. Sia come si vuole, dalle antidette iscrizioni veniamo accertali, che la famiglia Delise d'Isola eresse e dotò la chiesa dedicata alla Madonna di Loreto, e che nel 1634 fu da monsig. Pietro Morario, vescovo giusti-nopolitano, con solenne pompa consecrala. Questa chiesa è l'utima di campagna che visita la processione delle Rogazioni, e don Giovanni Delise, paroco benemerito, se mal non ci avvisiamo, vi va ogni settimana una volta ad offerire l'incruento Sacrifizio. Ci venne narrato, che non lungi dalla chiesa fino- al 1720 esisteva un romitaggio, in cui anticamente due religiosi menavano vita contemplativa e penitente. Al lido del mare, non molto distante da Isola, i pii antenati aveano eretto una chiesuola in onore dell' apostolo S. Simone, di cui non si veggono più nè tetto, nè muri, nè macerie: il dente del tempo che tutto rode in terra e le più belle opere dell'uomo rovina, tutto divorò.— in questo luogo i villici, dissodando profondamente la terra, spesse volte trovano delle monete romane ed altre anticaglie. Il proprietario dei campi ci raccontò che ivi furono trovati dei nummi coli' impronta di una donna in barca munita d'ancora, e qualche pezzo di mosaico. Finalmente non lungi dalla fontana, della cui acqua si servono gli abitanti d'Isola pei bisogni della vita presente, presso la via distrettuale che da Isola conduce a Pirano verso il mare, era la cappella sacra al glorioso S. Lorenzo. Sono in piedi i soli muri, che indicano ai diligenti osservatori, essere ivi stato un tempierello. Sommando, fra chiese e cappelle erano undici in Isola ed otto nel suo territorio, erette dai nostri maggiori, delle quali ora si trovano cinque nella terra e due nell' agro, in cui si celebrano i divini misteri. Ponete in bilancia ciò che si fece nei tempi passati per l'onore di Dio, della Vergine madre e dei santi, e ciò che si fa nel tempo presente :-dai fatti giudicate i secoli, e ricordatevi che contra logicam fcictorum non datur logica. P. C. Estratto dalle Memorie Storiche del Dottor PROSPERO PETRONIO e dai frammenti di esse già veduti in casa Petronio a Capodistria. (Continuatone J Delle Academie e Ginnasi In Capodistria. Fa menzione monsignore della Palladia, o de'Palladi antichissimi academici già quivi uniti per ingannare il tempo, e per indagare tra le virtù la felicità: di questa però per la consumazione di un tèmpo lunghissimo, non s' ha altra parlicolar memoria. Sorse poscia 1' anno 1553 quella de'Desiosi, di cui ne parla, anzi ne fa gran strepito il Muzio entrato in sospizione, che non fosse tra loro (per il precetto che aveano di non dover nei loro congressi parlare di religione) mescolato qualche eretico, e lo fa nel f. 3." delle sue Lettere cattoliche, lettera prima e seconda a p. 153 e 158. - Oltreché allora andava serpendo qualche veleno per la città, girava la peste de' colloqui di Erasmo, e la rettorica di Melandone. Platone diede attributo di felicità solamente a quella repubblica nella quale regnassero gli academici, e filosofassero i re. Aristot. t'otitic. libro V, capit. 9.° dice che importa molto 1' aver vassalli dotti, ed in effetto che riputazione sarebbe quella del principe che dovesse tenere il dominio sopra uomini rozzi ed imperiti? Homi-nes enim imperiti sola forma a bestiis differunt.— Clanthes apud Stobaeum. — Si ravvivò nel 1646 con grido di immortai fama quella dei Risorti, mercè al benigno fomento prestato dall' eccellentiss. sig. Marco Antonio Grimani già podestà e capitanio di questa città, e protettor perpetuo di essa academia. L'eccellentissimo Senato concorse ad approvare con sapientissimo decreto l'istituzione di essa academia, e confermargli a sostenimento una entrata perpetua sopra gl'istromenti, sentenze, incanti ed altre pubbliche faccende. L'impresa dell' academia è un tronco secco di olivo, che riscaldato dal sole (nel cui corpo è figurala 1' arma Grimani) dà fuori alcune foglie e germogli col motto Rediviva calore. Si vede nello statuto all' anno 1423 che il principe accordò una sovvenzione per le scuole pubbliche, posto che la città avea dato al sovrano tutti i suoi e-molumenti. Si eresse in seguito un collegio. Fu comandata dalla maturità dell' eccellentissimo senato la corrisponsione dei ducati 500 sopra le 460 scuole della provincia, proporzionatamente, e secondo le entrate di cadauno. Oltre di questi vengono assegnati dalla città altr ducati 300, che in tutti sono ducali 800, e di questi primi ducati 500 se cavano 200 dai luoghi di giurisdizione della città, cioè territorio, marchesato e due castelli, sicché tutta la provincia non corrisponde che ducali 200. CContinuerà.)