Received: 2018-05-19 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 DOI 10.19233/AH.2018.32 AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI RAPPORTI DI VICINATO CON L'AUSTRIA E L'ITALIA (1968-1978) Karlo RUZICIC-KESSLER Libera Universita di Bolzano, Centro di competenza Storia regionale, Via S. Croce, 7, 39042 Bressanone, Italia e-mail: karlo.r.kessler@gmail.com SINTESI Le relazioni della Jugoslavia con l'Austria e l'Italia dal 1968 al 1978 sono un caso particolare della distensione durante la guerra fredda tra paesi divisi dall'ideologia e da conflitti storici. L 'articolo dimostra attraverso fonti jugoslave, austriache ed italiane, che le relazioni di Belgrado con i suoi vicini occidentali si svilupparono in parallelo e che anche durante le fasi piu difficili nei rapporti di vicinato, tutti i paesi interessati cercarono di mantenere un livello di cooperazione che permettesse loro di rilanciare l'integrazione nella regione, non appena i problemi internazionali si fossero risolti. Parole chiave: Relazioni internazionali, Italia, Austria, Jugoslavia RAPPROCHEMENT AND INTERREGIONAL COOPERATION: NEIGHBOURLY RELATIONS OF YUGOSLAVIA WITH AUSTRIA AND ITALY (1968-1978) ABSTRACT The relations between Yugoslavia and Austria and Italy from 1968 to 1978 are a special case of détente during the Cold War in Europe, as they cover countries divided by ideology and past conflict. The article demonstrates through Yugoslav, Austrian and Italian sources, that the relations between Belgrade and its neighbours in the West developed similarly, and that even in phases of conflict, all countries were interested in maintaining a level of cooperation that would allow them to seek further integration in the region, once all international problems were solved. Keywords: International relations, Yugoslavia, Italy, Austria 787 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 INTRODUZIONE La decade dal 1968 al 1978 fu caratterizzata dalla crisi economica globale della prima metà degli anni settanta e dalla fine dell'era della distensione tra est e ovest, culminata nell'intervento sovietico in Afghanistan del 1979. Il sistema jugoslavo fu messo a dura prova durante questi anni della guerra fredda. Lo slancio economico che portó grandi cambiamenti nel settore industriale durante gli anni sessanta, non continuó con lo stesso vigore. La transizione da una società agricola a un paese industríale non fu realizzata in tutto il paese. Inoltre, il sistema della cosiddetta "autogestione delle imprese" non portó al balzo economico intraveduto dal regime di Josip Broz "Tito". Infine, la questione del conflitto nazionale e la concorrenza tra le Repubbliche Federali, sfociarono in diversi moti di critica alla guida della Jugoslavia, il più importante tra gli esempi è stato la cosiddetta "primavera croata" del 1971/72. Davanti a queste difficoltà economiche e sociali, il sistema jugoslavo si trovó difronte ad una grave crisi. L'età avanzata del fondatore e padre della Jugoslavia socialista, Tito nacque nel 1892, era un altro elemento di disagio non solo all'interno del paese, ma anche per gli spettatori alle sue frontiere. Per questo motivo le relazioni con i paesi vicini e con economie più avanzate era un'importante risorsa per stabilizzare il paese. Quest'articolo analizza le relazioni tra Belgrado e i suoi vicini occidentali, Austria e Italia, durante questi anni di crisi e di difficoltà economiche in Jugoslavia e in Europa. Lo scopo di tale studio è di comprendere quali furono le motivazioni non solo di Belgrado, ma anche di Roma e Vienna, per intensificare la cooperazione tra questi paesi vicini ma divisi dall'ideologia e da gravi conflitti dopo la fine della seconda guerra mondiale. Gli alti e bassi di queste relazioni durante gli anni settanta sono analizzati attraverso fonti di provenienza jugoslava, italiana e austriaca, dimostrando che anche durante le fasi più difficili nei rapporti di vicinato, tutti i paesi interessati cercarono di mantenere un livello di cooperazione che permettesse loro di rilanciare l'integrazione nella regione, non appena i problemi internazionali si fossero risolti. Sarà cosi possibile comprendere le motivazioni che risultarono in un processo d'integrazione interregionale in una parte d'Europa che si era per molti anni contraddistinta per una situazione di conflitto. In effetti, si puó dimostrare che le relazioni di Belgrado con i suoi vicini occidentali si svilupparono in parallelo, un dato che non era una coincidenza ma risultato di evoluzioni interne ed internazionali. LA SITUAZIONE DOPO IL 1945 Per comprendere meglio gli sviluppi nei rapporti di vicinato della Jugoslavia di Tito dopo il 1968, è necessaria almeno una breve analisi di questi rapporti nel secondo dopo-guerra. La Jugoslavia, infatti, formava un caso speciale in Europa. Dopo la rottura tra Stalin e Tito del 1948 (Banac, 1988; Pirjevec, 1990; Markovic, 1996; Procacci, 1994; Gibianskii, 2005; Zuccari, 2008), Belgrado cercó l'appoggio dell'occidente per continuare sul cammino dello sviluppo di una società industriale e per salvaguardare la sua indipendenza da Mosca (Dragišic, 2013, 111-125; Dedijer, 1980, 141s). Ne risultarono ingenti aiuti economici e militari, soprattutto dagli Stati Uniti, a fine degli anni quaranta e durante gli anni cinquanta, nonché l'adesione della Jugoslavia al Patto Balcanico insieme ai membri della NATO Grecia 788 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 e Turchia (Bianchini, 1995, 23-26, Heuser, 1989, 26-42; Lees, 1997, 48-79; Mates, 1976). Insomma, questa manovra del regime di Belgrado, creó una realtà nuova nell'Europa divisa dalla cortina di ferro e rese la Jugoslavia una pedina importante su scala internazionale. La situazione ai confini occidentali della Jugoslavia non era semplice. Con l'Italia e con l'Austria, la Jugoslavia mantenne rapporti difficili, dati i contenziosi della questione di Trieste e della Carinzia (Bucarelli, 2008, 21-22; Dragišic, 2013). Nonostante ció, dev'es-sere affermato un aspetto molte volte trascurato nell'analisi delle relazioni internazionali in questo periodo della guerra fredda. Anche se la questione di Trieste o quella della Carinzia influenzarono i rapporti politico-diplomatici di vicinato - qui sarebbe anche da menzio-nare il problema dell'Alto Adige tra Italia ed Austria (Di Ruzza, 2009; Steininger, 1999, 255-384; Steininger, 1997; Gehler, 2009; Gehler, 2012; Stadlmayer, 2002; Pallaver, 1993) - il processo di avvicinamento economico, fu un interesse comune, e lo sviluppo di questi scambi precedette la soluzione di problemi diplomatici e rimase, durante gli anni, sorprendentemente stabile, senza mostrare crisi dovute a conflitti di matrice politico-diplomatica (Bucarelli, 2018). Migliori rapporti di vicinato con i vicini occidentali della Jugoslavia, furono infine resi possibili grazie a due accordi che sancirono la fine - anche se provvisoria - dei contenziosi con l'Italia e l'Austria. Si trattava da una parte del Memorandum d'intesa di Londra tra l'Italia e la Jugoslavia, firmato il 5 ottobre 1954 (Bucarelli 2008, 29-31; Cattaruzza, 2007, 321; Monzali, 2004, 46), e dall'altra parte della firma del Trattato di Stato austriaco il 10 maggio 1955 (Dragišic, 2013; Höll, 1988; Jesih, 2004; Stourzh, 1998; Suppan, Stourzh & Mueller, 2005). Anche se per la frontiera italo-jugoslava fu solo sancita l'amministrazione italiana nella cosiddetta "Zona A" della Venezia Giulia e quella jugosla-va nella "Zona B", senza decidere definitivamente sulla sorte della regione, si trattava di un accordo fondamentale per migliorare il rapporto tra i due paesi. Questi due documenti facilitarono la diplomazia tra Belgrado, Vienna e Roma e resero possibile l'intensificazione degli scambi. Inoltre, durante questi stessi anni, si distesero i rapporti tra Belgrado e Mosca grazie alla linea adottata da Nikita Chruschev, che dopo la morte di Stalin cercó una nuova via nella politica internazionale (Lampe, 2000, 267-269; Lees, 1997, 155-161). Nell'ambito dei rapporti di vicinato con l'Austria e l'Italia, furono fatti importanti passi in avanti durante gli anni sessanta, che possono essere definiti "la luna di miele" nei rapporti tra Belgrado e i due paesi vicini durante la guerra fredda (Portmann & Ruzicic-Kessler, 2014). Questi passi non erano peró una mera coincidenza. L'importanza dell'Austria e dell'Italia per il mercato Jugoslavo non dev'essere sottovalutata. Sia l'Austria sia l'Italia approfondirono i loro rapporti commerciali con la Jugoslavia dopo il 1954/55. L'Italia divenne il più importante mercato d'esporto per Belgrado nei primi anni sessanta (Garzia, 2004, 10). Inoltre, gli scambi tra l'Austria e la Jugoslavia si raddoppiarono dal 1955 al 1965 (Urban, 1988, 345). L'avvento dei primi governi di centro-sinistra in Italia nel 1963, sotto la guida di Aldo Moro, migliorarono i rapporti di vicinato, spianarono la strada per risolvere la questione delle minoranze e le visite ufficiali tra i due paesi si moltiplicarono (Ruzicic-Kessler, 2014; Garzia, Monzali & Bucarelli, 2011)1. Inoltre, più che miglioravano i rapporti con i vicini occidentali, più Belgrado si poteva sentire sicura nei rapporti con 1 Per questa fase nei rapporti adriatici si veda la documentazione nel fondo Aldo Moro, ACS, AAM, b. 66. 789 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 l'Europa dell'est. La Jugoslavia aveva cercato di migliorare i suoi rapporti con la Comunità economica europea (Cee) sino dalla sua fondazione nel 1957. Durante gli anni sessanta, nei quali la Jugoslavia sviluppó un deficit endemico nel commercio con la Cee (Jakir, 2013, 83-85; Obadic, 2014, 332; Zaccaria, 2016; Ruzicic-Kessler & Dragišic, 2016), l'Italia fu uno sponsor di questi rapporti e si applicó come membro fondatore della comunità per un'apertura di Bruxelles verso Belgrado. Uno dei risultati fu il primo accordo commerciale tra le due parti nel febbraio del 1970 (Ruzicic-Kessler, 2014; Zaccaria, 2016). Infine, l'apertura del mercato jugoslavo per gli investimenti diretti dall'occidente, sotto forma di "joint-venture", adottato negli anni sessanta, apriva la strada per un'intensa cooperazione con aziende italiane e austriache (Getter, 1990; Goldstajn, 1981, 571). Altro importante fattore di questo sviluppo era la situazione interna nella Jugoslavia di Tito. In effetti, gli anni sessanta possono essere visti come il periodo del più grande successo per l'esperimento della Jugoslavia socialista e non allineata. Tra il 1953 e il 1965 il prodotto nazionale della Jugoslavia sali in media di 8,1% per anno. La produzione industríale aumentó del 12% e i salari del 5,3% (Sundhaussen, 2007, 355). In effetti, il balzo verso una società industriale riusci almeno nelle zone più ricche, nel nord del paese. L'esperimento jugoslavo per un'economia di mercato sociale e con l'autogestione delle imprese sembrava funzionare e lo standard di vita della popolazione miglioró di anno in anno. Inoltre, nell'ambito della politica interna, la Jugoslavia si trasformó grazie alla rimozione nel 1966 del capo della polizia politica, Aleksandar Rankovic, e anche grazie a un importante programma di riforme economiche che dovevano dare alle singole repubbliche più indipendenza (Dimitrijevic, 2000, 400). In connessione con l'instaurazione di una cultura politica relativamente liberale, e soprattutto grazie agli accordi con l'Italia e l'Austria per la circolazione senza visto a metà degli anni sessanta (Portmann & Ruzicic-Kessler, 2014), questa fase dello sviluppo della Jugoslavia cambió radicalmente e velocemente l'aspetto del paese. In effetti, fu proprio negli anni sessanta che la politica di non allineamento di Tito raggiunse il suo apice (Grothusen, 1975, 172). Guardando dunque a questi sviluppi interni e nella politica internazionale, la reputazione della Jugoslavia di Tito era migliorata cosi tanto, da diventare un paese di riferimento per molti politici della sinistra europea (Liedermann, 2002). Questi fattori determinarono anche la possibilità di migliori rapporti di vicinato con l'Italia e l'Austria e in generale, una politica internazionale attenta ed attiva. Nonostante ció, peró, la Jugoslavia non intendeva dimenticare le sue richieste di ulteriori diritti per le minoranze che considerava "sue" in Italia e Austria. VERSO L'INTENSIFICAZIONE DEI RAPPORTI DI VICINATO: IL 1968 NELLA SUA DIMENSIONE INTERREGIONALE L'andamento positivo dei rapporti di vicinato della Jugoslavia era uno dei punti cruciali per lo sviluppo dei medesimi rapporti in chiave di una grave crisi internazionale. Dopo che le riforme in Cecoslovacchia e lo sviluppo di un "socialismo dal volto umano" di Alexander Dubček, avevano portato Praga vicino alla rottura con Mosca e i suoi alleati orientali, le truppe del patto di Varsavia intervennero nell'agosto del 1968, stroncando lo sviluppo del movimento riformista cecoslovacco. Per la Jugoslavia di Tito questi eventi erano troppo 790 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 vicini e l'introduzione della dottrina Brezhnev, che richiedeva l'intervento dell'Unione Sovietica per salvaguardare le democrazie popolari, non era di buon auspicio per l'ex alleato di Mosca. In questa situazione delicata, Belgrado si concentró e si appoggió sulle buone relazioni instauratesi con i paesi occidentali (Mišic, 2008; Bajc, 2014). In effetti, l'interven-to in Cecoslovacchia aveva colto Belgrado durante un momento delicato del suo sviluppo. La formula dell'autogestione all'interno della Federazione Jugoslava stava dimostrando di non funzionare come previsto. La divisione tra i vari gruppi "etnici" fu discussa nell'ambito della politica economica e il divario tra le più ricche repubbliche nel nordovest e quelle più povere nel sudest del paese si stava inesorabilmente allargando (Artisien & Holt, 1980; Vukovic, 1989). Le riforme dei primi anni sessanta avevano prodotto un tasso d'inflazione elevato, anche se il modello jugoslavo non era ancora in pericolo, come lo fu durante gli anni ottanta. Effettivamente, l'intervento sovietico produsse solidarietà tra opinione pubbli-ca e di partito (Lampe, 2000, 300). Tutto questo era anche dovuto alle minacce albanesi e bulgare ai confini della Jugoslavia. In questo contesto, l'importanza delle relazioni di Belgrado con Roma e Vienna diventa evidente. A Roma, rappresentanti della Jugoslavia incontrarono il leader socialista Pietro Nenni. L'ambasciatore jugoslavo fu rassicurato che gli interessi italiani e jugoslavi nella questione dell'intervento sovietico erano identici (Nenni, 1983, 221s). Il ministro degli esteri italiano, Giuseppe Medici, si spinse ben oltre, dando una garanzia sul confine italo-jugoslavo a settembre del 1968, permettendo cosi il trasferimento di armi e soldati verso l'est del paese (Maccotta, 1993, 58; Monzali, 2004, 52s)2. Rammentando che la linea di confine tra i due paesi non era ancora definitivamente tracciata, si trattava di una mossa perlomeno audace, che dimostrava peró in complesso la fiducia instauratasi nei rapporti adriatici durante gli anni sessanta. Simile fu anche l'esito della visita in Jugoslavia del presidente austriaco Franz Jonas, accompagnato dal suo ministro degli affari esteri Kurt Waldheim, nel settembre/ottobre del 1968. Anche qui i fatti di Praga si trovarono in primo piano. La questione delle minoranze fu si discussa, peró entrambe le parti s'impegnarono per non creare tensioni, sottolineando l'atmosfera cordiale e di amicizia durante i colloqui (Höll, 1988, 429). La situazione in Cecoslovacchia ebbe dunque un importante rilievo e Tito sottolineó durante l'interlocuzione con Jonas, che l'Unione Sovietica e le truppe del patto di Varsavia mettevano a repentaglio il processo di avvicinamento tra est e ovest3. Cosi il leader jugoslavo dimostró che la cooperazione con Italia e Austria era di gran lunga più importante delle questioni irrisolte con i vicini occidentali. In effetti, gli incontri dell'estate e dell'autunno 1968 ebbero un grande effetto sulla situazione regionale tra Belgrado, Roma e Vienna. Le discussioni aperte tra i rappresentanti politici e diplomatici testimoniavano dei buoni rapporti nella regione. Cosi, anche le dispute che datavano dalla fine della seconda guerra mondiale, sembravano facilmente risolvibili. Inoltre, l'Italia e la Jugoslavia aprirono i negoziati per la cooperazione militare sull'Adria-tico. Si trattava di un passo impressionante, considerando la questione aperta di Trieste e le 2 Podsetnik o Italiji i jugoslovensko-italijanskim odnosima (povodom prijema ministra inostranskih poslova Pietra Nenija), 26. 5. 1969, AJ 837, KPR, I-3-a/44-43. 3 Österreichische Zeitschrift für Außenpolitik, 8, 5, 1968, 315. 791 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 differenze ideologiche tra i due paesi. Dal 1968 in poi, rappresentanti militari italiani e ju-goslavi s'incontrarono regolarmente per tenere consultazioni strategiche, mentre le marine dei due paesi visitarono porti reciprocamente. Inoltre, ufficiali dello stato maggiore tennero conferenze presso le accademie militari dei due paesi. Infatti, i circoli militari jugoslavi suggerivano il raggiungimento di una cooperazione "di più importante livello" con l'Italia, considerando la vicinanza dei due paesi4. La dinamica d'intensificazione dei rapporti bilaterali, si puô anche accertarla tra Belgrado e Vienna. Mentre lo statuto del Trattato di Stato austriaco non permetteva un passo simile a quello con l'Italia in ambito militare, i due governi coordinarono comunque azioni dirette sia al livello nazionale che a quello internazionale per dimostrare l'importanza e il livello dei rapporti tra i due paesi. Nell'ottobre del 1969, Tito e Jonas aprirono solennemen-te il "Ponte dell'Amicizia" sul fiume Mur. Il ponte collegô Gornja Radgona in Slovenia e Radkersburg nella Stiria austriaca. Quando i due capi di stato passarono il ponte, Tito sugge-ri di ribattezzarlo in "Ponte Francesco Giuseppe". Il presidente socialdemocratico austriaco chiese incredulo il perché di questa idea, al quale Tito rispose: "Semplice, Francesco Jonas e Giuseppe Broz Tito" (Ivanji, 2007, 33). Si trattô, insomma, di un'altra dimostrazione del buon spirito che si era riuscito a instaurare oltre la barriera ideologica della guerra fredda in Europa, dopo che Tito aveva visitato Vienna per la prima volta solo nel 19675. Questi rapporti di vicinato aprirono anche la strada per consultazioni dirette tra rappresentanti della Stiria e della Slovenia su questioni che riguardavano la prospettiva di coordinare la pianificazione territoriale tra le due regioni, un passo decisamente notevole (Ableidinger, 2005, 151). Simile fu anche il tono durante le visite del ministro degli esteri italiano Pietro Nenni, e del presidente Giuseppe Saragat, rispettivamente durante i mesi di maggio e ottobre del 1969. Si trattô di due visite che misero in rilievo l'importanza dei rapporti di vicinato tra i due paesi. I due rappresentanti italiani erano entrambi socialisti, anche se l'uno di stanza socialdemocratica, e l'altro socialista. Inoltre, si trattava anche di due personaggi chiave per l'avvicinamento tra l'Italia e la Jugoslavia durante gli anni sessanta. Durante le conversazioni tra i due ministri degli esteri il 27 maggio, Nenni chiese a Mirko Tepavac d'informarlo sulla situazione in Jugoslavia ed in particolare sul pericolo emanato dai paesi dietro alla cortina di ferro. In effetti, come sottolineô Nenni: "se c'è un rischio per la Jugoslavia, allora c'è n'è uno anche per l'Italia.6" Nenni spiegô anche l'importanza della Jugoslavia per l'Italia, mettendo in primo piano il fatto che la sua visita in Jugoslavia doveva anche essere compresa come una risposta all'ambasciatore bulgaro a Roma, il quale aveva accusato Belgrado di creare un conflitto tra i due paesi. Inoltre Nenni spiegô come la questione del confine tra Italia e Jugoslavia non era, oramai, tanto importante7. La visita di Saragat segui la stessa rotta, professando più intensi e migliori rapporti sull'Adriatico. Tito spiegô che 4 Državni sekretarijat za inostrane poslove, Uprava za Z. Evropu (br. 439496), Informacija o Italiji i o Stanju Jugoslovensko-Italijanskih odnosa, 25. 11. 1970, AJ 837, KPR, I-2/48-1. 5 Il Kreisky Archiv di Vienna contiene la documentazione su questa visita: Staatsbesuch des jugoslawischen Präsidenten Tito in Österreich vom 13. bis zum 17. Februar 1967, KA, VII.1 Länderboxen, Jugoslawien, Box 2. 6 Razgovori „u četiri oka" sa Nenijem, DSIP (str. pov. 416157), 27. 5. 1969, AJ 837, KPR, I-3-a/44-43. 7 Razgovori „u četiri oka" sa Nenijem, DSIP (str. pov. 416157), 27. 5. 1969, AJ 837, KPR, I-3-a/44-43. 792 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 il buon vicinato avrebbe portato alla soluzione di tutte le questioni aperte in poco tempo (Nenni, 1983, 386; Vrhunec, 2001, 62-66).8 NUOVI, VECCHI PROBLEMI Dopo una fase d'intenso miglioramento dei rapporti bilaterali con Roma e Vienna, i primi anni settanta si mostrarono difficili alla frontiera occidentale della Jugoslavia. In effetti, mentre le basi economiche dell'avvicinamento a ovest erano molto salde, questioni politiche e diplomatiche potevano ancora sempre svelare differenze. In questa fase difficile dei rapporti di vicinato con l'occidente, i toni s'inasprirono al livello internazionale, mentre la cooperazione economica rimase un fattore ricercato in tutta la regione di frontiera, un fatto al quale è dovuta la veloce transizione dal conflitto alla rinnovata integrazione interregionale. Nel 1970, la stampa jugoslava rispose con indignazione alle festività del cinquantenario del referendum sulla Carinzia, tenutosi nel 1920, che aveva sancito l'appartenenza della regione all'Austria dopo la fine della prima guerra mondiale. Anche se la stampa, comunque controllata, dimostrava poca comprensione verso il vicino settentrionale, una comunicazio-ne interna governativa, chiariva che l'orientamento di principio nelle relazioni di vicinato non doveva essere messo a rischio9. In effetti, si trattava di una manovra dedicata al livello nazionale e non di una provocazione. Cosi il nuovo cancelliere austriaco, Bruno Kreisky, invitó il presidente del consiglio esecutivo jugoslavo, Mitja Ribičič a visitare Vienna, l'anno successivo10. In questo stesso periodo, anche le relazioni adriatiche si dimostrarono complicate. Tito doveva visitare l'Italia nel 1970 dopo la visita di Saragat in Jugoslavia dell'anno precedente. Alcune settimane prima della visita, sia rappresentanti della Venezia Giulia, come anche i parlamentan dell'estrema destra, misero sotto pressione il governo italiano, accusandolo di negoziare con la Jugoslavia e di rinunciare a territori italiani. Il tutto culminó nel noto articolo in Il Tempo del 28 ottobre 1970, nel quale furono citate fonti, che confer-mavano che si stava per chiudere la questione della Venezia Giulia con la rinuncia italiana alla "Zona B" (Bucarelli, 2008, 53; Cattaruzza, 2007, 336s). Questa polemica risultó in un'inchiesta parlamentare e alla domanda se la visita di Tito era in effetti destinata a portare ad un accordo sulla questione della frontiera orientale italiana11. Il ministro degli esteri Aldo Moro rispose che le visite di stato del 1969 come anche quella futura di Tito, erano di grande importanza per le relazioni di buon vicinato e che ognuno poteva assicurarsi che da parte italiana non si sarebbe rinunciato a "legittimi interessi nazionali"12. Dopo queste dichiara-zioni il governo jugoslavo si mostró offeso. Ovviamente le parole di Moro potevano essere interpretate in diversi modi. Per Belgrado la "Zona B" faceva parte del territorio nazionale 8 Razgovor izmedju državnih delegacija SFRJ i Republike Italije održanih u zgradi SIV-a, 3. 10. 1969, AJ 837, KPR, I-3-a/44-46. 9 Austrija: Podsetnik o Austriji i jugoslovensko-austrijskim odnosima, 12. 9. 1972, AJ 837, KPR, I-2-a. 10 Zabeleška o razgovoru sa predsednikom austrijske vlade dr. B. Kreisky, dana 27. novembra 1970. godine. AJ 507, CKSKJ, IX 6/II-128. 11 Per una complilazione della questione vista da Belgrado e la risposta di Moro si veda: AJ 507, CKSKJ, IX 48/I-475. 12 AJ 507, CKSKJ, IX 48/I-475. 793 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 e qualsiasi richiesta italiana rappresentava uno scandalo. Inoltre, bisogna ricordare che la situazione nelle Repubbliche Federali di Slovenia e Croazia era molto cambiata e che moti nazionali(stici) potevano destabilizzare il paese. Belgrado non poteva dunque permettersi di perdere la faccia a livello internazionale e rischiare gravi conseguenze su scala nazionale, considerando che la "Zona B" si trovava su territorio abitato predominantemente da Sloveni e Croati. In tale modo, non sorprende che da parte Jugoslava la visita di Tito fissata per il dicembre del 1970 fu cancellata13. Peró, anche in questo caso, come in quello della Carinzia, la Jugoslavia non voleva "drammatizzare gli eventi attraverso una forte campagna contro l'Italia [...] Il nostro paese continua a volere intensificare i suoi rapporti con l'Italia [...] che è nell'interesse di entrambi i paesi [.] La cancellazione della visita del presidente non deve interferire negativamente nelle nostre relazioni con l'Italia.14" Cosi, nel gennaio del 1971 entrambi i governi, italiano e jugoslavo, pubblicarono prese di posizione che ribadivano la volontà delle due parti di procedere con il miglioramento dei rapporti bilaterali, rispettando accordi firmati in precedenza, come anche il Memorandum del 1954 (Bucarelli, 2008, 58). Infine, Tito visitó l'Italia nel marzo del 1971. Il presidente Saragat riaffermó che il Memorandum aveva creato dei fatti e che la soluzione era una mera questione giuridica. Tito, dal canto suo, dichiaró che la Jugoslavia avrebbe dimostrato pazienza, nel miglior interesse dei due paesi (Vrhunec, 2001, 104s)15. Una nuova crisi nelle relazioni jugoslavo-austriache si verificó nel giugno del 1972, quando un gruppo di 19 uomini che si identificava con il regime ustascia croato che collabo-ró con la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale, varcó il confine tra Austria e Jugoslavia. La stampa jugoslava accusó Vienna di aiutare terroristi croati. Il governo di Belgrado mandó una lettera al governo di Vienna ad agosto, chiedendo spiegazioni sulla situazione e accusando le autorità austriache di non avere fatto il loro lavoro. Da parte austriaca fu chiarito che l'Austria era contraria a qualsiasi atto di terrorismo proveniente da quale parte che si voglia e diretto contro chi si voglia. Inoltre, le accuse di Belgrado furono definite ingiuste, dato che il solo fatto che un gruppo organizzato all'estero avesse varcato il confine tra Austria e Jugoslavia, non dimostrasse in nessun modo uno sbaglio delle au-torità austriache.16 Inoltre, nell'autunno del 1972, gruppi nazionalisti carinziani distrussero alcuni, dei recentemente installati, cartelli di località bilingui tedesco-sloveni (Gstettner, 2004; Pirker, 2010). La paura verso richieste territoriali jugoslave fu presa come scusa per questi avvenimenti. Questi eventi risultarono in un ulteriore peggioramento nei rapporti di vicinato. Ne segui una lettera del ministero degli esteri jugoslavo, diretta all'ambasciata austriaca a Belgrado. La Jugoslavia accusó Vienna di non rispettare l'articolo 7 del Trattato di Stato che garantiva i diritti delle minoranze in territorio austriaco (Matscher, 2005), mentre 13 Informacija o Jugoslovensko-Italijanskim odnosima povodom odlaganja posjete Predsjednika Tita Italiji -sa sastanka Izvršnog biroa Predsedništva SKJ, 9.12.1970, AJ 507, CKSKJ, IX 48/I-475. 14 AJ 507, CKSKJ, IX 48/I-475. 15 Zabeleška o razgovoru Predsednika Republike sa Predsednikom Republike Italije G. Saragatom, 25.3.1971, AJ 837, KPR, I-2/48-1. 16 Bundesministerium für Auswärtige Angelegenheiten, Aide Mémoire für die Beantwortung des am 18. August 1972 überreichten aide mémoire der Föderativen Republik Jugoslawien, KA, VII.1 Länderboxen, Jugoslawien, Box 5. 794 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 s'interessava sempre dei diritti della popolazione di lingua tedesca in Alto Adige17 - proprio nel 1972 le prime clausole del "pacchetto" per l'Alto Adige, stipulato nel 1969, furono applicate (Steininger, 2003; Steininger, 2011; Pombeni, 2015). La retorica di Belgrado diventó ancora più aggressiva nel discorso tenuto dal ministro della difesa Nikola Ljubičic poche settimane dopo, nel quale il ministro sottolineava la forza dell'armata jugoslava in connessione con gli eventi nella Carinzia18. L'Austria s'impegnó a calmare gli umori nella vicina Jugoslavia. Una risposta del ministero degli affari esteri a riguardo delle tensioni associate agli eventi dell'autunno 1972, rammentava che l'Austria voleva mantenere buoni rapporti con tutti i suoi vicini e che la Repubblica Austriaca lo comprendeva come una necessità di salvaguardare i diritti dell'intera popolazione, le minoranze etniche incluse. Per questo motivo una commissione di esperti sarebbe stata istituita con lo scopo di verificare le clausole del Trattato di Stato e il loro adempimento19. La crisi nelle relazioni bilaterali persistette peró ancora per un lungo periodo. Nell'ottobre del 1974 la Jugoslavia accusé la necessità di risolvere ben dodici punti ancora aperti per ristabilire buoni rapporti con l'Austria (Yugoslav Survey, 1974). Da parte austriaca si rispose ai numerosi interventi di Belgrado in quel periodo, con assicurazioni delle buone intenzioni di Vienna e dell'impor-tanza delle buone relazioni di vicinato20. Nell'ambito delle relazioni adriatiche, la situazione che si era instaurata all'inizio degli anni settanta fu seguita da nuove discordie nel 1974. La Jugoslavia e l'Italia avevano iniziato trattative bilaterali per risolvere la questione del confine nel 1971. I negoziati continuarono in diverse sedi durante l'intero 1973. Il risultato fu la compilazione di una proposta per parte su come risolvere i problemi tra i due paesi. I rappresentanti italiani presentarono un piano che includeva più o meno tutte le questioni aperte e che dunque era un pacchetto completo. Da parte jugoslava, invece, si presentó un numero di domande e richieste che potevano essere la base per ulteriori negoziati (Bucarelli, 2008, 64s). Mentre una delle due parti aveva dunque in mente una soluzione finale della discordia adriatica, l'altra vide il processo di avvicinamento appena al suo inizio. Aggiungendo un'altra di-mensione alla delicata situazione, all'inizio del 1974 la Jugoslavia piazzó cartelli nell'a-rea che delimitava le Zone A e B con la scritta "Repubblica Federale di Jugoslava". Cosi facendo, Belgrado segnalava che considerava la "Zona B" appartenente alla Jugoslavia. L'Italia reagi con una protesta ufficiale, che venne interpretata a Belgrado come pretesa italiana sulla "Zona B" (Maccotta, 1993, 60-62). Il risultato furono proteste da entrambe le parti della frontiera. Tito dichiaró inoltre ad aprile a Sarajevo che la Jugoslavia respin-geva le pretese italiane e che il governo di Belgrado avrebbe difeso il suolo jugoslavo. Infine, truppe jugoslave furono concentrate alla frontiera con l'Italia (Bucarelli, 2008, 68s; Cattaruzza, 2007, 336s; Monzali, 2004, 56s). 17 Nota 6 Novembre 1972, AJ 507, CKSKJ, IX 6/V-73. 18 Political Relations Between Austria and Yugoslavia. Letter from the British embassy in Vienna to the Foreign and Commonwealth Office, 21 December 1972, TNA FCO 33/1676. 19 Antwortschreiben an das jugoslawische Außenministerium, Entwurf, Jänner 1973, KA, VII.1 Länderboxen, Jugoslawien, Box 5. 20 Per dettagli si vedano i numerosi interventi jugoslavi e le risposte austriache, contenute nel fondo Jugoslavia dell'archivio Kreisky: KA, VII.1 Länderboxen, Jugoslawien, Box 5. 795 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 Anche se questa fase fu contrassegnata da toni molto aspri nelle relazioni di Belgrado con Roma e Vienna, alcuni sviluppi dimostrano come le parti in causa non intendevano certamente gonfiare ulteriormente il conflitto. In Italia e Austria la situazione aveva prodotto riflessi nazionalisti verso Belgrado. L'Italia si trovava in un periodo nel quale il dominio della Democrazia cristiana (Dc) nella politica nazionale fu messo in dubbio. L'estrema destra (Msi) e sinistra (Pci) guadagnavano sempre più consensi a livello nazionale e la questione irrisolta della frontiera orientale metteva in difficoltà i governi guidati dalla Dc, producendo riflessi notevoli nelle relazioni con Belgrado (Zaccaria, 2018). In Austria, il problema della minoran-za slovena fu dibattuta a livello nazionale fin dalla fine della seconda guerra mondiale e nella Carinzia tradizionalmente guidata dalla socialdemocrazia, la sinistra non voleva permettersi di adottare una chiara posizione in favore delle clausole previste nel Trattato di Stato per le minoranze etniche. Nei due paesi, peró, vigeva anche la necessità di rilanciare l'economia delle regioni limitrofi alla Jugoslavia. La produzione industriale nel sud dell'Austria stava sof-frendo sempre di più sotto l'evoluzione dell'economia su scala internazionale, mentre in Italia non si era ancora trovata una soluzione per dare più peso all'industria della periferia orientale (Cattaruzza, 2007). In questo contesto si comprende meglio, come le tensioni dei primi anni settanta non crearono un clima completamente avverso ai contatti economici tra le regioni confinanti tra Austria, Italia e Jugoslavia. Infine, un fattore decisivo per il miglioramento dei rapporti con la Jugoslavia era sia per l'Italia che per l'Austria la paura di una destabilizzazione della Jugoslavia dopo la morte di Tito (Zaccaria, 2018, 71s). Per entrambi i paesi si trattava di una prospettiva pericolosa. Nonostante i problemi nei rapporti di vicinato, Roma e Vienna erano riuscite ad instaurare buoni rapporti con la Jugoslavia comunista. Quindi, ogni pertur-bamento della situazione interna jugoslava, poteva solo nuocere ai due vicini di Belgrado. In effetti, nello stesso periodo, nel quale la situazione internazionale stava precipitando, rappre-sentanti della Stiria, Slovenia, Croazia e del Friuli-Venezia Giulia crearono una connessione interregionale, detta "Quadrigon". Si trattava di un'operazione per raggiungere legami più stretti nelle regioni di frontiera e per creare una piattaforma che permettesse la discussione su progetti d'infrastruttura e ambientali (Ableidinger, 2005, 151s). Tutti gli episodi del periodo difficile nelle relazioni tra Jugoslavia e i vicini occidentali sembrano inoltre dimostrare una forte sensibilità da parte jugoslava verso questioni etniche e territoriali. Uno sguardo all'evoluzione interna della Repubblica Federale dimostra peró, che Belgrado si trovava in un momento molto delicato durante i primi anni settanta e che queste vicende di vicinato erano un riflesso della debolezza del regime e non uno sfogo diretto in primis contro i vicini in Italia e Austria. La Jugoslavia, infatti, stava passando un periodo che metteva a rischio l'intera costruzione dello stato federale. La costituzione del 1965 aveva portato alle redini di diverse Repubbliche, come la Slovenia, la Croazia e la Serbia, politici liberali. Questi erano interessati a una decentralizzazione dello stato e all'ampliazione delle competenze delle singole Repubbliche Federali. Il tutto culminó nella cosiddetta "primavera croata", che aveva portato forze moderate al potere del par-tito comunista croato e che fu seguita dal "movimento di massa" (Masovni Pokret) per raggiungere il suo traguardo di trasformazione dello stato (Calic, 2010, 237-255; Halder 2013, 110-118; Ramet, 2006, 227-262, Sundhaussen, 1982, 188s). Mentre i sostenitori della "primavera croata" appoggiavano una riforma e un'ampia autonomia per la Croazia, 796 ACTA HISTRIAE • 2G • 201S • S Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 questi non intendevano mettere in discussione l'esistenza della Jugoslavia - anche se idee nazionali e nazionaliste apparirono in questo periodo. Nonostante questo cammino riformista dell'intera Jugoslavia, i movimenti instauratisi a cavallo degli anni sessanta e settanta furono visti come una minaccia per il futuro del sistema jugoslavo. Ne risultó la denuncia e disfatta dei movimenti riformisti. Nel 1972 più di 20.000 membri della Lega dei Comunisti di Croazia furono espulsi, e alcune migliaia processati. Su scala nazionale i processati furono tra i 30.000 e i 150.000 (Spehnjak & Cipek, 2007, 268; Calic, 2010, 253; Halder, 2013, 118). Le forze liberali delle Repubbliche di Slovenia, Croazia e Serbia furono scambiate con conservatori. In questo stesso periodo, la crisi economica della Jugoslavia s'intensificó. L'avvicinamento alla Cee, che portó a un accordo bilaterale nel 1973, venne seguito da un embargo agli importi di carne dalla Jugoslavia nel 1974 (Zaccaria, 2016). Già prima di questo sviluppo, la Jugoslavia soffri a causa delle cifre non soddisfacenti negli scambi con la Cee21. Il risultato fu un drastico incremento del deficit jugoslavo verso la comunità di 500 milioni a 1,4 miliardi di Dollari22. Insomma, la Jugoslavia stava passando un momento difficilissimo all'interno e cercava di trovare coesione con una politica estera più aggressiva, il risultato furono le discordie con l'Italia e l'Austria. Dopo questi tumultuosi anni, la Jugoslavia decise l'attuazione della sua quarta ed ultima costituzione nel 1974, che assicuró più poteri alle repubbliche e alle provincie autonome. A parte la politica estera, solo poche agende rimasero saldamente in mano delle istituzioni federali. La questione nazionale, per lungo tempo creduta risolta grazie alla nuova Jugoslavia socialista, diventó un punto di discussione per intellettuali e politici. Con la nuova costitu-zione, Belgrado si dimostrava fiera della sua politica verso le diverse nazioni e minoranze nazionali nel paese (Sekelj, 2001, 165). Ogni istituzione ed ogni comitato economico, cosi come ogni istanza doveva rappresentare il complesso delle nazioni jugoslave. La nazionalità diventava cosi anche una condizione per la promozione professionale. Considerando il rapido declino economico della Jugoslavia dopo la morte di Tito nel 1980 (Sundhaussen, 1982, 379)23, fu semplice per le élite nazionaliste, che si instaurarono nelle repubbliche, dichiarare un'altra nazione colpevole dei problemi affrontati. Dunque bisogna sottolineare ancora, che le pretese jugoslave verso l'Italia e l'Austria non erano mere coincidenze, ma facevano parte di un complesso sistema di problemi interni alla federazione e che in tutti i casi le crisi di vicinato erano dovute al declino economico e alla situazione interna. Questa situazione interna ai tre paesi vicini era peró anche il motore per la ricerca di nuovi contatti interregionali. VERSO LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI E NUOVI IMPULSI INTERREGIONALI Dopo questa fase molto intensa e difficile nelle relazioni della Jugoslavia con i vicini a occidente, fu attivato con l'Italia il "canale segreto" stabilito tra le due parti nel 1971, 21 Die Zeit, 10. 5. 1974: Rindfleisch - zu viel, zu teuer, 22 Materijal SSIP i SSST, Informacija o odnosima i saradnji SFRJ sa EEZ, 24.12.1974, AJ 837 KPR, Ill-b-2-a, K72a, 23 In effetti, nel 1985, le spese della vita erano nove volte piu alte che nel 1979, mentre la media dei salari era solo salita del 27 percento e la produttivita del 9 percento. Il numero di disoccupati oltrepassava il million nel 1985 e il debito pubblico era di 21 miliardi di dollari. 797 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 proprio in caso se le consultazioni bilaterali si arenassero. Per questo canale furono scelti Boris Šnuderl ed Eugenio Carbone, entrambi esperti ufficiali nei rispettivi ministeri dell'e-conomia. Sembrava logico cercare una soluzione attraverso l'appoggio di due personaggi che non erano toccati dalla politica diplomatica e che potevano ragionare in un contesto piu neutrale. Nel luglio del 1974 cominciarono le trattative, che furono decisive nel complesso della questione del confine italo-jugoslavo. Nel novembre del 1974 le due delegazioni -gli esperti economici furono sostenuti da diplomatici di carriera - avevano preparato un accordo che conteneva numerose clausole economiche e la creazione di una zona di libero scambio nei dintorni di Trieste, su territorio jugoslavo (Maccotta, 1993, 62-65; Bucarelli, 2008, 71-73; Mišic, 2018; Zaccaria 2018). La creazione di questa zona era un prerequisito da parte italiana per una chiara rinuncia ai territori della "Zona B". Anche se questa prima stesura del documento finale aveva ancora bisogno di qual-che adattamento, tutto fu preparato per la chiusura della questione con il Trattao di Osimo, concluso nella provincia di Ancona il 10 novembre 1975. Il tratto consisteva di articoli che delimitavano definitivamente la frontiera tra Italia e Jugoslavia e conteneva clausole eco-nomiche per intensificare il commercio tra i due paesi. Le clausole finanziarie contenevano compensazioni per gli italiani le quali terre furono nazionalizzate dalla Jugoslavia. I diritti delle minoranze "jugoslave" furono stabiliti in connessione con la giurisdizione nazionale italiana, rispettando lo statuto speciale accordato giá nel 1954. Dopo la sua ratificazione, il trattato entro in vigore nel 1977. Inoltre le parti s'impegnavano ad intensificare gli scambi commerciali (Cattaruzza, 2007, 338-341; Monzali, 2004, 58-60; Mišic, 2018)24. Nel caso delle relazioni austro-jugoslave, il cancelliere federale Bruno Kreisky visito Tito nel dicembre del 1975. Anche Edvard Kardelj fu presente durante i colloqui di natura lavorativa (Yugoslav Survey, 1985, 130). Dopo questo incontro, il diplomatico e giornalista jugoslavo Bogdan Osolnik, fu ricevuto da Kreisky nel maggio del 1976. Gli intensi colloqui tra i due toccarono la questione delle tabelle bilingui, il censimento austriaco delle mino-ranze e la cooperazione bilaterale. Kreisky defini se stesso come "amico degli sloveni"25, anticipando che una nuova legge per le minoranze (Volksgruppengesetz) avrebbe creato frizioni sia a Vienna che a Lubiana. Nonostante cio la legge fu decisa nel luglio del 1976, de-finendo l'uso della lingua slovena e regolando l'applicazione di segnali bilingui in comunitá abitate dal 25 percento di popolazione di lingua slovena. Da parte jugoslava questa legge fu definita non necessaria, troppo restrittiva e persino una violazione del Trattato di Stato26. Nel giugno del 1976 una lettera jugoslava definiva sette punti che dimostravano che la nuova legge avrebbe solo aiutato la snazionalizzazione degli sloveni e croati dell'Austria27. Persino Edvard Kardelj defini la situazione delle minoranze in Austria come il piu grande ostacolo nelle relazioni tra i due paesi (Osolnik & Jančar, 1977, 180). Solo nel 1977 furono 24 Legge 14 marzo 1977, n. 73, Ratifica ed esecuzione del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, firmato ad Osimo il 10 novembre 1975 (GU, n. 77, 21. 3. 1977 - Suppl. Ordinario). 25 Zabeleška o razgovoru sa saveznim kancelarom Brunom Krajskim u Beču 19. maja 1976. godine, potpisan Bogdan Osolnik AJ 507, CKSKJ, IX 6/V-76. 26 Lettera di Stane Dolanc a Bruno Kreisky, 16. 5. 1976, AJ 507, CKSKJ, IX 6/V-78. 27 Aide-Memoire, giugno 1976, AJ 507, CKSKJ, IX 6/V-78. 798 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 eretti i segnali bilingui, un fatto che puó essere definito sensazionale considerando che ne Vienna ne Belgrado riuscirono a calmare gli animi in questa questione. Nonostante ció, questa soluzione era un buon passo per lasciare dietro di sé un problema che datava dalla fine della seconda guerra mondiale, come anche la questione della frontiera italo-jugoslava. Insomma, un risultato non completamente soddisfacente era comunque un buon segno per continuare una positiva politica di vicinato nella regione. Una volta che queste questioni bilaterali furono chiarite, si apri la possibilità per un'in-tegrazione regionale più approfondita. Tutto sommato, sia Jugoslavia, che Italia e Austria, avevano bisogno dell'appoggio reciproco per rafforzare le loro economie e trovare nuovi sbocchi economico-finanziari nelle regioni di confine. Infatti, solo pochi mesi dopo la so-luzione dei problemi internazionali, un legame coltivato da anni nelle regioni di frontiera, risultó nella creazione della "Comunità di lavoro Alpe Adria". Le Repubbliche Federali di Slovenia e Croazia, le regioni italiane Veneto e Friuli-Venezia Giulia, come anche i Bundesländer austriaci, Stiria, Carinzia e Alta Austria, crearono nel novembre del 1978 a Venezia (CNEL, 1992; Poropat, 1996; Vrsaj, 1975; Klabjan, 2013) una nuova comunità, che intendeva dare slancio a una cooperazione interregionale, lontana da problemi di matrice bilaterale e concentrata sul dialogo tra comunità che per molto tempo facevano parte di un mercato comune sotto la monarchia asburgica. Il compito era dunque la coordinazione di processi che erano nell'interesse di tutti i membri della comunità e specificamente il traffico transalpino e nei porti, la generazione e trasmissione di energia elettrica, l'agricoltura, la foresteria, la gestione delle acque, il turismo, la protezione ambientale, lo sviluppo regionale, le relazioni culturali e i contatti scientifici. Si trattava dunque di un programma ambizioso, che peró dava la possibilità di contatti nei diversi settori industriali, scientifici e culturali, permettendo una più ampia integrazione interregionale sotto diversi aspetti della vita nella Comunità Alpe Adria (La dichiarazione di Venezia, 20. 11. 1978). Lo scopo di questa comunità era dunque di servire come piattaforma comune per le relazioni tra regioni vicine, senza impedire ulteriori contatti su scala nazionale. Si trattava dunque di "ricostituire" una base comune tra regioni che furono "artificialmente separate" per quarant'anni, dovuto al fatto che si trovavano in scenari ideologici diversi. Altrimenti, cosi la prospettiva della comunità, queste regioni avrebbero potuto essere integrate come le regioni di frontiera di Francia, dei paesi del Benelux e della Germania (CNEL, 1992, 14). Il motore di questo sviluppo erano soprattutto le regioni austriache e la Slovenia, che avevano interesse allo slancio economico in nuovi territori e che capivano come una cooperazione e integrazione interregionale pote-va dare frutti e aiutare tutte le regioni nel loro sviluppo. In effetti, la cooperazione produsse dei risultati abbastanza impressionanti sul piano culturale, mentre le ambiziose proposte di sviluppo economico e infrastrutturale non poterono essere colmate da successo prima dello smembramento della Jugoslavia socialista (Bucarelli, 2008, 78s; Cattaruzza, 2007, 353s). Nonostante ció, la creazione di questa comunità non sarebbe stata possibile se le nazioni e le regioni interessate non fossero riuscite a creare un legame di fiducia negli anni che precedettero la firma della dichiarazione di Venezia nel 1978. Si trattava dunque di una distensione a livello nazionale e regionale che riusci grazie alla politica di Belgrado, Roma e Vienna negli anni settanta. In effetti, un prerequisite fondamentale per la distensione e la cooperazione interregionale, era proprio la possibilità data dai governi nazionali alle 799 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 regioni, per lo sviluppo interregionale (Knodt, 2001, 67). Nel caso italiano, le regioni rag-giunsero più autonomía nel 1970. In Austria, la quale aveva comunque una lunga tradizione federale, ai Bundesländer fu permesso di firmare "accordi di stato" nel 1974. Infine, la costituzione jugoslava del 1974 aveva rafforzato il ruolo delle repubbliche, dando anche a queste la possibilità di creare nuove connessioni a livello interregionale (Ableidinger 2005, 147-163). Dunque, in breve, un livello elevato di cooperazione come quello necessario per la creazione della Comunità Alpe Adria, necessitava di iniziative regionali, nazionali ed internazionali, presupponendo comunque la volontà di distensione nei paesi interessati anche durante periodi di crisi come la prima metà degli anni settanta (Valentin, 1998). Le consultazioni all'interno della comunità furono sfruttate per sviluppare la fiducia reciproca e per intensificare la cooperazione culturale ed economica. I più importanti risultati di questa cooperazione trilaterale furono senz'altro l'organizzazione di eventi culturali, come rappresentazioni di teatro, la connessione delle università nella regione Alpe Adria, l'organizzazione di simposi scientifici, la creazione di borse di studio per studenti, l'impegno in programmi infrastrutturali come l'autostrada Alpe Adria tra Udine e Villacco. Nell'estate del 1984 i rappresentanti della Slovenia, del Friuli-Venezia Giulia e della Carin-zia riconobbero che non esisteva una simile cooperazione in nessun altra regione europea, specialmente considerando le differenze tra le nazioni partecipanti alla comunità (Kärntner Landeszeitung, 20. 12. 1984). Persino l'idea di un'applicazione per i giochi olimpici del 1992, sotto forma di cooperazione trilaterale fu pensata, anche se non portó a risultati concreti. CONCLUSIONE Il 4 maggio 1980, giorno della morte di Tito, la Jugoslavia poteva considerare i suoi vicini occidentali, Italia e Austria, come paesi amici. Questo risultato era dovuto a diversi sviluppi durante la guerra fredda e dalla volontà reciproca di trovare una forma di coope-razione interregionale al beneficio dei tre paesi. Mentre le relazioni tra questi vicini erano messe in difficoltà da problemi che datavano dalla fine della seconda guerra mondiale, i governi di Belgrado, Roma e Vienna aprirono la strada per stretti rapporti di vicinato durante gli anni del boom economico fino al inizio degli anni settanta. Crisi che apparirono nei rapporti di Belgrado con i vicini occidentali negli anni settanta, erano soprattutto un riflesso della difficile situazione interna della Jugoslavia e dei problemi nelle due repubbliche al suo occidente. Nonostante ció, come si puó intravedere in questo articolo, la cooperazione, al di là delle questioni ideologiche e dei problemi di frontiera, era una costante nei rapporti di Belgrado con Vienna e Roma. In effetti, questa cooperazione fu intensificata su scala regionale, persino durante i periodi difficili a livello bilaterale. Solo cosi si puó spiegare il rapido ritorno alla normalità nei rapporti di vicinato a metà degli anni settanta e la ricerca di nuovi orizzonti per lo sviluppo di rapporti economici ancora più intensi negli anni successivi. 800 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 PRIBLIŽEVANJE IN MEDREGIONALNO SODELOVANJE: MEDSOSEDSKI ODNOSI JUGOSLAVIJE Z AVSTRIJO IN ITALIJO (1968-1978) Karlo RUZICIC-KESSLER Libera Universita di Bolzano, Centro di competenza Storia regionale, Via S. Croce, 7, 39042 Bressanone, Italija e-mail: karlo.r.kessler@gmail.com POVZETEK V članku so analizirani odnosi med Jugoslavijo in njenimi sosednjimi državami, Avstrijo in Italijo, med leti 1968 in 1978, torej v času, ko so se Jugoslavija in obenem evropske države soočale s krizo. Namen te študije je razumeti, kateri dejavniki so v Beogradu, Rimu in na Dunaju prispevali k povečanju sodelovanja med tremi državami, ki so se po koncu druge svetovne vojne razlikovale po ideološkem ustroju in geopolitičnih opredelitvah, večkrat pa so se tudi znašle v medsebojnih sporih. Analiza vzponov in padcev teh odnosov v sedemdesetih letih je prikazana na podlagi preučevanja jugoslovanskih, avstrijskih in italijanskih virov, ki dokazujejo, da so kljub težavnim medsedskim odnosom države poskušale ohranjati dobro raven sodelovanja, kar bi lahko olajšalo ponovno vzpostavitev medregionalnega povezovanja, seveda potem, ko bi bili rešeni zunanjepolitični problemi. Tako je moč razumeti procese, ki so vodili k medregionalnem povezovanju v tem delu Evrope, ki so ga mnogo let pretresala trenja in spori. Zatorej je možno reči, da so se odnosi Beograda do njenih sosednjih držav na zahodu razvijali vzporedno, kar ni bilo naključno, ampak je na to vplivalo dogajanje tako znotraj držav kot tudi po svetu. Ključne besede: mednarodni odnosi, Jugoslavija, Italija, Avstrija 801 ACTA HISTRIAE • 26 • 2018 • 3 Karlo RUZICIC-KESSLER: AVVICINAMENTO E COOPERAZIONE INTERREGIONALE: LA JUGOSLAVIA NEI ..., 787-806 FONTI E BIBLIOGRAFIA ACS, AAM - Archivio Centrale dello Stato, Roma (ACS), Archivo Aldo Moro (AAM). AJ 837, KPR - Arhiv Jugoslavije, Beograd (AJ), fond 837, Kabinet Predsednika Republike (837, KPR). AJ 507, CKSKJ - AJ, fond 507, Centralni komitet Saveza komunista Jugoslavije (507, CKSKJ). CNEL (1992): Documenti del CNEL. La comunita di lavoro Alpe Adria. Roma, CNEL. Dedijer, V. (1980): Dokumenti 1948, Vol. 3. Beograd, Rad. Die Zeit - Hamburg. KA - Kreisky Archiv, Wien. Kärntner Landeszeitung - Klagenfurt. GU - Gazzatta Ufficiale della Repubblica Italiana. 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