ANNO XXVIII. Capodistria, 1 Settembre 1894. N. 17 INCIA DELL'ISTRIA Esce il 1.° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; trimestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Documenti per la conoscenza Selle cose Istriane Il Podestà Capitano di Capodistria dà informazioni particolareggiate intorno alla fabbrica di panni eretta di recente in Cerè dal Conte Carli. 1762. Capodistria ') Illustrissimi, ed Eccellentissimi signori, Signori Colendissimi Nella premura di rendere ben eseguito il Commando dell'Eccellenze Vostre ingiuntomi nell'inchinate Lettere loro 10: Maggio corrente, internato mi sono ne modi più cauti e colle maggiori desterità ad investigare, come proceda !a Fabrica erretta in Cerè dal Conte Carli, con quanti Capitali piantata, quante siano le persone, che vi si esercitano, quale e quanto il lavoro, se proveduta di Tintori, da qual parte li abbia procurati, ed ogni altro lume, che degno fosse de riflessi di Vostre Eccellenze. Raccoltesi dunque dalla pronta mia ubbidienza col mezzo di persone disinteressate, d'integrità, e fede, e di precisa cognizione le notizie occorrenti intorno quella Fabrica, non ommetto di assoggietarle alla loro maturità anco negli ultimi periodi di questa mia Reggenza. Dodici Tellari sono quelli, che presentemente lavorano, uno de quali ad uso de Panni Padovani, tre all'uso di Ceneda, cinque a Saggie, due a Fanelle, ed uno à Baraccani ; nè vi si impiegano in essi di presente più di cinquanta persone circa, tutte procurate dalle Fabriche della Fullina, Miane, Soligo, Barbisan, Salzan e Conegliano. A ottanta pezze circa di Panni alti di 70: brazzi l'una, però grezze,e cento trenta pezze tra Baraccani, Saggie e Fanelle ascendono le manifatture da essa Fa-brica sin ora prodotte, ne fu dato principio alli lavori, se non verso il Mese di Settembre prossimo decorso. Tuttavia rimane da errigersi la Fentrina, per cui si va disponendo le necessarie proviggioni, ed essendo stato data mano al Follo, questo è presso che ad essere terminato, ma intorno alli Capitali della Fa-brica niente di preciso ho potuto raccogliere. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti antecipati. In seguito alle riverenti mie 17: novembre pur-decorso, mi sarei umiliato a lume delle Eccellenze Vostre qualche ulterior notizia intorno gl' individui progressi di questa Fabrica, se essendo ancora in a-spettazione, e nascente avessi potuto ritraere, e formar alcun ragionevole fondato preludio della sua sussistenza, dilatazione, e per quali luochi ne sia per essere procurato 1' esito delle Manifatture. A merito del mio successore caderanno quelle ulteriori notizie che reputassero conferrenti, e adatate all' interessante argomento, e mentre ne rassegno a Vostre Eccellenze questo devoto dettaglio in riscontro all' essecuzione prestata al cenno, baccio a cadauna di loro divotamente le mani. . .CamüstaiäJüJS. Maggio.. M£ß.. ^ Vincenzo Gritti Podestà e Capitano -;---E^fgi^gvpy®-------— IbT o t i z i e La direzione della Società istriana di archeologia e storia patria invita i soci al congresso generale che verrà tenuto a Parenzo il giorno 6 settembre a. c. alle ore 11 aut., nella sala dietale gentilmente concessa dalla Giunta provinciale, col seguente ordine del giorno. 1. Resoconto morale della Società per gli anni 1893 e 1894. — 2. Esposizione dei conti consuntivi degli anni 1892 e 1893 e di quello di previsione per l'anno 1895. —- 3. Elezione della direzione per la durata dell' unde-cimo anno sociale. — 4. Eventuali proposte dei soci. Salutiamo, con gli auguri di prosperità, un nuovo periodico L'Alba, uscito in Rovigno giovedì 23 agosto p. d., e subito sequestrato nella prima e seconda edizione d'ordine di quella i. r. Procura di Stato. --- Coinè si possa ìnpntilire il Terrai. Nella Relazione generale del Consiglio agrario pro 1887 scrivevamo le seguenti linee. „Impressionata sinistramente dallo sfavorevole giudizio emanato dalla giuria dell'esposizione enologica austriaca 1886 in Bolzano, intorno ai caratteri specifici ed al modo di preparazione dei vini di Terrano, i quali furono colà trovati eccessivamente acidi, ruvidi, grossolani, poco alcoolici ed ammessi con difficoltà all'assaggio; questa Presidenza, vedendo seriamente minacciata la industria vinicola di un vasto territorio della Provincia, pel possibilissimo caso che, colla ricostituzione dei vigneti distrutti dalla fillossera in Francia, a mezzo dell' innesto delle viti americane, questa non abbia ulteriormente bisogno di ritirare dalla Dalmazia e dall' Italia meridionale dei vini da taglio, e che perciò una massa enorme di vino dalmato ed istriano abbia in breve a contendere ai vini d'Italia l'unico loro mercato di consumo, la piazza di Trieste; desidera di tentare l'esportazione dei Terrani come vini da taglio, in Bordeaux, provocando un giudizio dei periti di quella piazza." Valendosi dunque della gentile cooperazione dell'inclito i. r. Consolato austro-ungarico in Bordeaux, il quale volle assumersi l'elfettuazione dell' assaggio per opera dei più distinti periti locali, nel maggio 1887 veniva colà spedita una collezione di 30 varietà di vini da taglio istriani, previamente scelti, degustati ed analizzati nel Laboratorio dell'Istituto agrario provinciale. Questa collezione rappresentava le migliori cantine di Parenzo, Torre, Capodistria, Dignano, Pola, Verte-neglio, Cittanova, Yisinada, Bilje, S. Lorenzo del Pase-natico, Rovigno, Pirano, Orsera, Cherso ed Umago. Il giudizio qui trasmesso con Nota consolare N. 5872 fu sfavorevolissimo tanto dal lato dei caratteri del vino, quanto sotto l'aspetto del suo valore commerciale. Ad eccezione del N. 19 (vino di uve miste di Capodistria) dichiarato soffice, puro di gusto e il migliore di tutti i campioni; del N. 20 (vino di Vertenegl'o) trovato di assai buon gusto e soffice ; e fatto pur cenno dei vini N. 18 (terrano di Pai'enzo) che pur trovava aspro e un poco zolfato e N. 13 (Terrano di di Dignano) che trovava di assai buon gusto, ma con un poco di odore di terra ; per tutti gli altri 26 campioni il rapporto si vale dei termini seguenti : Non puro di gusto, odor di terra, di zolfo, cattivo, estremamente aspro, crudo, lavato, acquoso, insignificante, gusto farmaceutico, leggero, alterato, poco consistente e simili. „La costituzione generale di questi vini, nota il suddetto rapporto del Consolato, cioè a dire, corpo, colore, forza alcoolica, estratto secco e nettezza di gusto, che trovansi in quasi tutti i campioni, potrebbe senza dubbio renderli atti ad essere impiegati in Francia, se non vi fosse nello stesso tempo in tutti questi vini una asprezza straordinariamente pronunciata e che in qualche tipo va fino alla crudità e alla acidità. Questa asprezza, crudità ed acidità costituisce un difetto capitale nei campioni presentati. Se il carattere dei vini istriani è sempre così aspro e crudo, conclude il rapporto, come apparisce nei campioni, questo Consolato deve dire, in conclusione, che gli sembra difficile che questi vini possano trovare uno sfogo di importanza sulla piazza di Bordeaux, a meno di venderli a prezzi vili.» Riportato questo giudizio di eccezionale valore, perchè emanato dalla piazza vinicola più autorevole e competente che esista, noi venivamo allora a concludere come appresso: — «Il giudizio di Bordeaux parla dunque a chiare note. La massima parte dei vini neri istriani, nemmeno come vini da taglio, non possono competere coi vini della Dalmazia, tanto per la straordinaria loro acidità ed asprezza, quanto per l'eccessivo loro prezzo. In ciò questo ultimo rapporto concorda perfettamente con gli analoghi giudizi già stati pronunciati negli anni prima da Babo, Vizetelly, Schmarda, Hamm, Cer-letti e Mach, vale a dire dai più distinti enologi inglesi, tedeschi ed italiani, come pure dalle giurie delle esposizioni di Vienna, Trieste e Bolzano. V eccessiva asprezza qui lamentata è la risultante di una serie complessa di cause, in cui hanno per certo la loro parte anche il terreno e il clima locale ed un poco pure, ma in assai minori proporzioni la vendemmia antecipata; la causa prima sta però nel vitigno Terrano, che tanto in terra bianca quanto in terra rossa dà mosti eccedenti il limite normale di acidità tollerato dal grande commercio. 11 rimedio radicale, concludevamo allora a nostra volta, è indicato nella nobilitazione del vitigno; cioè nella graduale sua sostituzione con altre varietà, che giovino a correggere e a sopprimere cotale capitale suo difetto di una acidità ed asprezza intollerabile.» Sette anni sono ormai trascorsi, dacché noi sostenendo il formidabile urto dell'opinione pubblica affatto contraria alle nostre vedute, e a costo di accrescere la impopolarità dei nostri insegnamenti, vergavamo quelle parole. — Eppure, dopo sette anni, quelle nostre franche ammonizioni non furono per anco contraddette, nè dimostrata menomamente l'erroneità dei principi di base da cui allora partivamo, per ripetere la ingrata profezia di Cassandra! In una solenne visita officiosa, domandati una decina d'anni or sono, da un eminente personaggio, del nostro parere sul terrano, non esitammo a ripetere pubblicamente che quale vino da pasto, l'odierno tipo Terrano è la negazione del vino. Per quel nostro aperto e schietto giudizio, molti se 1' ebbero a male, e ci procurarono poi noie e disappunti non lievi. — Eppure oggi quel giudizio, tale e quale, ancora lo sosteniamo e lo ripetiamo ! Ma il Terrano tuttora c'è e regna, ed a farlo sparire da oggi al domani, dall'immenso mare di vigneti che esso ricopre, sarebbe follia solo il consigliarlo. Convien dunque fare buon viso a cattivo giuoco e non istancarsi dal ricercare come si possa, almeno in parte, nobilitare cotal vino, tanto grezzo e primitivo! Dodici anni di continuate prove in questo senso, ne autorizzano a dichiarare molto difficile la soluzione di codesto problema. Tuttavia due ne parrebbero i mezzi da porsi specialmente in opera per tentare la riuscita, e cioè : 1. La soppressione del mozzamento insensato delle estremità dei tralci, epperciò l'esportazione dal vigneto di una massa enorme delle foglie terminali, specialmente ricche di zucchero, che ora si pratica da tutti in questi giorni, col pretesto inutile di esporre l'uva al sole; 2. l'uso di un fermento selezionato. Lo zucchero, che va poi nei grappoli, è previamente elaborato e fabbricato dalle foglie. Di tutte le foglie dei tralci, le più ricche di zucchero sono quelle immediatamente sovrapposte ai grappoli; mentre ne sono relativamente più povere le altre foglie, che vanno impostate al di sotto dell'uva. Svettando ora i tralci, si buttano a terra le foglie più zuccherine, e si lasciano le altre, per accrescere così a dismisura l'acidità e la povertà dei mosti. Per applicare la selezione del fermento con un metodo pratico, e che, nell'attuale stadio delle ricerche sui fermenti puri, riesce ancora il più consigliabile, si operi come segue. Quarantotto ore prima almeno della generale vendemmia, si raccolga il 5 per cento della quantità di Terrano, che si verrà poi in media a vendemmiare ogni giorno, scegliendo tra le varietà migliori a raspo rosso e spargolo, in terreno e posizione già conosciuta come la migliore per avere un vino più gentile e fine, togliendo unicamente i grappoli sanissimi, senza traccia alcuna di muffa o di marciume, e separandone anche gli acini rotti o dissecati. Si faccia questo lavoro alla mattina, dopo sparita la rugiada, e si porti immediatamente l'uva a casa, senza romperla. Sgranata, come al solito, l'uva, la si pigi accuratamente in locale asciutto e sano, e in un recipiente disinfettato all'acqua bollente, e se ne ripongano le buccie e il mosto in damigiane o in caratelli pure disinfettati all'aqua bollente, a fermentare in un locale riscaldato a circa 25° Centigradi, aiutandosi al bisogno con una stufa. Dopo un paio di giorni, questa uva si troverà in piena fermentazione, e rappresenterà così un lievito attivissimo e molto più puro di quello che naturalmente si sarebbe sviluppato nel monte delle uve che si ammosterà nei giorni seguenti. Al secondo giorno si vendemmi la massa, e a guisa di lievito, via via che si riempiranno i tini, si aggiunga al mosto ancora freddo tanto del mosto già fermentato nelle damigiane o nei caratelli, da versare in ogni tino circa il 5% della capacità dello stesso che deve venirvi occupata dal mosto e dalle buccie. Così per un tino di 40 ettolitri, basterà preparare 48 ore prima tanto lievito di mosto, che corrisponda a circa 2 ettolitri. Chiuso il tino, lo si manipolerà colle solite cure non esagerando troppo nella durata della macerazione delle vinaccie, per avere maggior colore, e provvedendovi piuttosto con ripetute ed energiche follature, al finire della fermentazione tumultuosa. Dopo altri 2 giorni, il primo o i primi tini già conciati col lievito, saranno essi pure in completa fermentazione. Questi primi tini potranno servire alla loro volta da lievito per conciare quelli, che al secondo giorno si riempiranno di mosto freddo; e così via, via, coi tini già fermentati, si darà il lievito ai successivi, fino a vendemmia ultimata. Dalle prove da noi qui ripetute da quattro anni possiamo dichiararci soddisfattissimi di questa pratica, che migliora alquanto il Terrano. Un miglioramento poi ancora giù sensibile si avrà adoperando, per apparecchiare il lievito, delle uve più fine del Terrano, ad esempio il Cabernet frane o il Cabernet sauvignon, sempre nella dose del 5% della massa della vendemmia. Trattandosi poi di uve guaste per grandine, mar- ciume, umidità soverchia, muffe ecc. l'uso di un buon lievito d'uva sceltissima sarà doppiamente indicato. Per dare una qualche ragione della pratica ora consigliata, e non potendo qui entrare in particolari troppo scientifici, ci limiteremo ad osservare, che nella vinificazione, come in ogni altra industria, cooperano i seguenti tre fattori: materia prima, macchinario, processi industriali. Per noi la materia prima è l'uva, i processi sono quelli di cantina, e il macchinario si divide nel materiale morto (tini, botti, torchi, filtri ecc.) e in un materiale vivo, che è il fermento, costituito da quei funghi microscopici speciali, che si dicono saccaromiceti, o funghi dello zucchero, cui è dovuto lo sdoppiamento della parte zuccherina del mosto in alcool, acido carbonico, glicerina, acido succinico ecc., e la finale sua trasformazione in vino. Questa macchina viva, rappresentata dal fermento, ha una preponderante importanza sulla riuscita del vino; perchè essa è il meccanismo che virtualmente trasforma il mosto, facendolo fermentare in modo vario da razza a razza. I germi di questo fermento si trovano deposti sulla buccia dell'uva in autunno, e sopra di una medesima uva si trovano mescolati in un numero grande di varietà e di razze, le une più nobili, e le altre meno nobili e più selvagge. Col processo qui indicato, si tende, a fare prevalere nella composizione del fermento, e quindi del lievito da versarsi nei tini, le razze di fermento più nobili, a detrimento delle selvatiche; oltre ad eliminare dal fermento stesso tutte le impurità nocivissime, rappresentate dalle spore delle muffe dell' uva e dai batteri delle diverse alterazioni, che poi si riscontrerebbero nei vini (germi delle fermentazioni acetica, lattica, tartarica ecc.) lasciando operare il fermento grezzo naturale. Come poi si riesca ad ottenere, con tal metodo la prevalenza delle razze nobili di fermento sulle selvatiche, ciò si spiega col principio della lotta per 1' esistenza preconizzato dal sommo Darwin. — Ed invero versando nel mosto freddo le innumerevoli colonie di fermenti nobili ottenute colla preparazione del lievito d'uva scelta, già in piena ed attiva moltiplicazione, nascerà una lotta per l'esistenza tra queste colonie già attivissime, e i germi degli altri fermenti, che appena allora si risve-glieranno a vita nel mosto, nei primi moti fermentativi; lotta in cui, per forza di numero e di potenzialità, non tarderanno a prevalere i primi arrivati, che soli resteranno padroni del campo debolmente loro contrastato da ogni altro fermento meno nobile od impuro. Parenzo, 23 agosto 1894 Hugues -—-m—--— Appunti bibliografici F. P. Cestaro. Studi storici e letterari. L. Roux e C. Torino Roma 1894. Un volume in sedicesimo di pag. 387. Yale Lire 4.50. Il signor Cestaro, già favorevolmente noto per molti suoi lavori storici e letterari pubblicati in vari periodici, ha avuto la fortuna (ciò che non tocca a tutti) di trovare un solerte ed intelligente editore, che ha raccolte le fronde sparte ; e 1' autore da parte sua ci ha messo quella discrezione che è necessaria per non gonfiare, come di sovente accade, con la zavorra di note e di documenti la materia d'una qualche memoria accademica o d'un articolo da rivista, ed ha nello stesso tempo, pur con la varietà delle materie trattate, dato a divedere l'unità degl'intendimenti. Di ciò il lettore è reso avvertito nella prefazione. E per vero — Le rivoluzioni napoletane nei secoli XVI e XYII — Il R. Istituto orientale e il suo fondatore — Le memorie d'un patriota romagnolo scritte da sua figlia — I ruderi politici medioevali a proposito del libero comune di San Marino con un — Episodio della vita del cardinal Alberoni — Il vescovo di Policastro e la reazione borbonica del 99 sono un ottimo contributo per la storia italiana ; e tutto per vie diverse concorre a spiegare, ad illustrare il più grande avvenimento della storia contemporanea italiana. Così nello studio sul vescovo di Policastro e sulla rivoluzione borbonica del 99, l'autore piglia occasione a notare da quali avvenimenti disparati, la parte sana del popolo napoletano sia stata educata per accogliere l'ultima liberazione ed entrare nella grande famiglia italiana. Questo studio poi sul vescovo di Policastro, degBO luogoteuente del cardinal Ruffo, giova a dimostrare un'altra volta questa grande verità. "L'azione storica è il risanamento dell' opera collettiva, legata, a sua volta, alle condizioni del mezzo 'fisico e di quello morale, che per l'alterna forza degli avvenimenti, lentamente si trasformano e si modificano" (pag. 318). Invece gli storici della scuola classica, più intenti a fare opera d' arte che di scienza, ogni studio ponevano nel narrare del protagonista, non occupandosi dei personaggi di secondo ordine, e meno che meno del coro che non aveva voce in capitolo. Oggi è di moda, forse anche troppo la ricerca minuta e paziente delle cartacce, tenute assieme da uno stile a bracaloni, ed anche i gregari hanno il diritto di presentare le loro carte di visita, allo storico. Il signor Cestaro batte la via di mezzo, e quindi questo suo scritto condotto su' documenti nuovi e corredato d'un saggio di poesie sanfedistiche del tempo, si legge con piacere ed utile insieme. L'autore a buon diritto si lamenta dello storpio dei nomi che fanno gli scrittori della storia napoletana del 99, ed esclama in nota: Miracoli tipografici, possibili solo in Italia ! solatium miseris socios balere poenarum, esclamo anch'io alla mia volta! L'Istria ed il Napoletano, situati agli estremi opposti del classico stivale posson ben darsi la mano. Per non dire degli spropositi stampati e ristampati, in passato, basterà rammentare lo strafalcione commesso testé da un periodico che si occupa ex professo di storia, e che collocò Capodistria in Dalmazia, e Gorizia in Carniola (Nuovo Archivio storico veneto). Questo libro del Cestaro s'intitola — Studi storici e letterari; e per la storia della letteratura porta il suo contributo col seguente studio — La storia nei Promessi Sposi — del quale ho tardato di scrivere, perchè mi propongo di esaminarlo subito con particolare diligenza. Anzitutto il titolo stesso dello studio mostra la particolare tendenza dell' autore ; e perciò 1' argomento letterario non stuona, ma giova all' intonazione del libro. L'autore prende le mosse delle seguenti domande che rivolge a sè stesso. "Perchè composti i Promessi Sposi rinnegò il Manzoni il tipo letterario sul quale li aveva modellati ? E quel tipo era vero o falso? E i Promessi Sposi riuscirono o no, in tutto o in parte, conformi ed esso ? Una questione vecchia, quella del romanzo storico, con un intento nuovo : l'intento di studiare l'intima composizione del romanzo manzoniano nei suoi due elementi costitutivi, la* storia e l'invenzione in rapporto con le teorie critiche, professate, prima e dopo dall'autore« (pag. 270). Dice bene il Cestaro; la questione è vecchia; e in relazione col romanzo del Manzoni fu già trattato da molti, dal Goethe, da Marc Monnier e in Italia con più o meno competenza dal De Sanctis, dal De Gubernatis, dal d' Ovidio, dal Rovani, e da moltissimi altri che nell' anno della morte del Manzoni ne scrissero la biografia. Meglio di tutti forse ha sciolto il nodo della questione Marc Monnier il quale col solito brio francese, facendo suo il motto d'un celebre drammaturgo, sentenziò "L'histoire est un clou où je pends ma pièce.„ Po' su, po' giù, della stessa opinione era Goethe. (Revue des deux moudes. 15 Iuillet 1873, nell'articolo: Le Poète Manzoni pag. 367). La questione pare adunque risolta ; ed è anche alquanto de lana caprina. Perchè, lo si noti bene, a me non importa sapere di quale opinone sia stato il Manzoni dopo scritti i Promessi Sposi. Se egli prima di comporre la sua opera immortale fosse stato del parere di fare cosa contro 1' arte e la logica, allora sarebbe un' altro paio di maniche. Quello è certo si è che nell' atto del comporre, 1' autore incoraggiato dagli esempi di Walter Scott e di tanti altri celebri scrittori di romanzi storici, senza tante fisime, senza tanti discorsi, non dubitò punto della bontà del genere, e scrisse quello che tutti ammiriamo. Se poi più tardi "pensandoci su, come sapeva pensare lui, ha condannato 1' opera sua, o meglio il genere di componimento, ciò potè provenire o da un enorme abuso di dialettica, se-tondo crede il Cestaro, o da una predizione dei moderni studi sull' evoluzione delle forme letterarie, qualmente crede il D'Ovidio. Quello è certo si è che i Promessi Sposi sono una felice contraddizione alle teorie del loro autore: in ciò sono pienamente 'accordo col signor Cestaro. Ma fino a che punto? domanda ancora il Cestaro. L' artista e il critico non litigarono nel comporli ? E non vi è rimasta nessuna traccia del loro contrasto ? Poco e non di proposito si è studiata la intima composizione dei Promessi Sposi : in qual proporzione cioè e in quali relazioni colla poesia vi entri la storia. È questo il tema propostosi dall'egregio critico; e benché altri, come si è detto di sopra, abbia qua e là accennato a tale questione, pure, egli si è messo a guardare alla scena, svolta nei Promessi Sposi, da un punto nuovo; ed ha composto quindi un diligente studio sul romanzo immortale. Mi permetta però l'egregio critico un qualche appunto. Prima di tutto mi si conceda di accettare con qualche riserva, tutto ciò che gli amici hanno ripetuto sull'idea generica e specifica venuta al Manzoni dalla lettura della Scienza della legislazione e dalla Storia Milanese del Ripamonti. Gli autori, per quanto riservati, si sa, hanno sempre l'abitudine lodevolis-sima di aprire P animo agli intimi ; ma gli amici hanno anche spesso abusato di questi sbottonamene degli autori, e detto qualche volta cose che non erano in mente dell'illustre amico per quel naturale desiderio di metterci qualche cosa del loro, e tirate così le confidenze a conclusioni che non passarono neppure per la mente dell' autore. I discorsi di qualunque genere, sono sempre discorsi ; viaggiano per le poste, e tornano spesso all'orecchio di chi prima gli ha pronunciati ornati di molte frange. Tali le storielle del vescovo Tosi, e della parte che avrebbe avuto nella composizione della favola manzoniana. Ma di ciò a suo luogo. Io non nego l'inspirazione o meglio la spinta al comporre data al Manzoni dai due libri succitati : nego però tutte le conclusioni che se ne dedussero ; e più che tutto il presunto contrasto tra 1' artista ed il critico e i litigi tra la poesia e la storia nell' atto di comporre il romanzo. "Nella produzione dei Promessi Sposi hanno collaborato con mirabile accordo, sono parole del Cestaro stesso, il poeta e lo storico. Il loro autore possedeva, quasi nello stesso grado di elevatezza, le facoltà geniali dell' artista e quelle positive del critico : aveva egualmente vivo e profondo il seuso del reale e quello dell'ideale,. Dunque niente contrasti, niente litigi; se mai sono queste alzate d'ingegno dei critici; sono cose che vediamo noi di seconda mano, avezzi a studiare e a voler intendere il Manzoni, dopo aver letto il suo celebre discorso sul romanzo storico. I Promessi Sposi invece uscirono, data un' occasione qualunque, limpidi, freschi, dalla mente dell' autore, se non belli e armati come Minerva dal cervello di Giove, certo circonfusi da una viva luce, e con un proprio organismo; non aborti, non feti, ma con tutti i requisiti necessari per reggersi sulle proprie gambe senza bisogno che la storia venisse a sostenerli con la sue dande. E se la storia c' entra, e se centra ! lo fa per conto suo, perchè così voleva il genere di componimento scelto dal Manzoni ; ma senza contrasti, senza litigi, e non c' è punto bisogno che la ragione venga ogni tanto a ripetere il suo quos ego ai fantasmi del poeta, e ad un poeta quale era il Manzoni. Tutto ciò premesso, cadono una dopo l'altra le supposizioni del Cestaro. Il romanzo, sempre secondo le chiacchere di quei famosi confidenti dovea servire alla maggior gloria di Dio e della santa chiesa e leggersi con molta edificazione negli educandati delle monachelle. Perciò l'Innominato nel primo abbozzo del romanzo dovea essere il protagonista, e il ratto di Lucia servire alla grande opera della conversione; e i casi dei Promessi non formavano che l'azione secondaria ; con la liberazione e col voto di Lucia il romanzo si poteva dire terminato; e finalmente per consiglio, anzi per comando di quel terribile padre Tosi la signora di Monza non potè più comparire nel romanzo per non recare scandalo alle pie monachelle come sopra. Tutto questo sta nel mondo dei possibili; ma non dei probabili e non regge alla critica la più elementare ; e bene fece il Cestaro a lardellare di molti forse lo stillato delle chiacchere degli amici e confidenti del Manzoni. Ad uno, ad uno conviene abbattere questi castelli di paglia. I/innominato il protagonista del racconto! I Promessi Sposi al livello della celebre storia del brigante Mastrilli ! ! Questo poi passa la parte. Che ! dalla lettura della conversione dell' innominato sia 'balenato alla mente del Manzoni l'idea di scrivere I un romanzo può darsi, ma che egli, pensandoci su i si sia proposto di sciegliere quel facinoroso feuda-l| tario a protagonista è un' ipotesi che vuol essere ( subito scartata. La educazione ricevuta dalla madre, le nuove idee della rivoluzione francese, il suo amore al trionfo della libertà, dell'eguaglianza, già da lui manifestate in un componimento poetico giovanile, i suoi intendimenti letterari lo portavano necessariamente a scegliere i protagonisti fra vpopolani e non nella classe dei nobili che ci fauno nel suo romanzo una gran brutta figura. Il Manzoni è convertito sì alla fede cattolica, ma è sempre l'uomo del suo tempo ; senza dire che il cattolicismo, anziché combattere le nuove idee le incoraggiava, come sue, e da lui annunziate al mondo pagano. E poiché tra la condizione delle persone delle quali si raccontano i casi e lo stile dell' autore nell' esporli ci corre una strettissima relazione, è evidente perchè il Manzoni, (il quale voleva sbarazzare la lingua dai fronzoli della vecchia rettorica, e lo stile dalle futilità aristocratiche dell'Arcadia), abbia scelto a protagonisti due umili contadini. È questa l'originalità del Manzoni, qui egli è tutto lui; è solo. Gli imitatori non l'hanno capito, i protagonisti dei romanzi della sua scuola sono tutti marchesi, conti, duchi, guerrieri : il Grossi stesso che più gli è andato vicino, ci ha narrato le avventure della figlia del conte del Balzo, il quale, benché sia in arte fratello di latte di don Abbondio, è poi sempre un conte, e vive in mezzo alla più eletta aristocrazia. Cade così quell'altra ipotesi del Cestaro — „Con la liberazione di Lucia il romanzo si può dir terminato". Sì, se il protagonista fosse l'innominato; ma così come stanno le cose, no, mille volte 110. Yi si opponeva l'idea della giustizia riparatrice, accarezzata fino all'eccesso, dice lo stesso Cestaro, e l'armonia morale perfettissima nel romanzo. Quello che più dispiace notare in questo studio critico si è poi la ripetuta accusa di tagli e di modificazioni introdotte nel romanzo per i consigli di un asceta, del padre Tosi; e la ripetizione di tutte le storielle messe in giro dai pretesi amici del Manzoni. A sentire questi, il Manzoni era dominato interamente dal confessore e obbligato a torture fisiche e morali ecc. ecc. e simili altre pappolate. Che un degno ed illuminato sacerdote abbia avuto un qualche ascendente sull'animo pio del poeta si concede; ma che il giogo sia stato tirannico, ed il Manzoni guidato come un fanciullo che si apparecchia alla prima comunione è una storiella da muricciuoli. Basta esaminare attentamente il romanzo per esserne persuasi. Prima di tutto si ha a sapere che, secondo il Cestaro ed altri critici, alla fine del romanzo la signora di Monza pentita delle sue colpe dovea ricomparire per riparare al mal fatto e accomodare ogni cosa, e fare la parte insomma di quel marchese zio, personaggio sbiadito, e che comparisce nell' ultima ora. Ma vi si oppose il padre Tosi, comandò al suo penitente il taglio, e il taglio fu fatto. Ma qui è ovvia la domanda. Come mai il Tosi ha poi lasciato passare tutto il resto sul conto della signora di Monza, la seduzione, la caduta e persino l'uccisione d'una conversa? Quale scandalo per le anime pie alle quali era destinato il libro, sempre secondo quella tale leggenda. E il Tosi, dopo aver permesso il racconto di quel po' po' di scandalo, avrà poi proibito al suo penitente di raccontare la conversione della rea a maggior gloria di Dio, e salute dell'anime? Una delle due, di qui non si esce. 0 il Tosi era un imbecille, e dopo aver lasciato correre il più, ha impedito il meno, o il Manzoni, non si è lasciato mettere le briglie da nessuno, e ha operato il taglio, se pur taglio ci fu, per ben altre ragioni.. Ma il Tosi fu un sacerdote zelante sì, erudito però, e non di una imbecillità così fenomenale. Rimane adunque vera la seconda parte del dilemma. Ragioni poi per escludere la signora di Monza della catastrofe dei Promessi Sposi, l'autore ne avea d' avanzo, e tutte ragioni d'arte. Già, come fu bene osservato, P episodio della signora di Monza è lungo parecchio ; e se gli episodi si possono introdurre nel principio e meglio ancora nel mezzo dell'azione, si devono escludere alla fine dove il lettore non vuol essere distratto, ed attende la soluzione. E poi con quali mezzi dovea riparare la signora alle sue colpe? Un po' era questione d'argent; conveniva dare ai promessi il mezzo di piantare altrove casa. A tutto ciò ha pensato quel buono zio d'America alla rovescia; personaggio tutto altro che inutile, e sbiadito come avrò il piacere di dimostrare in un'altra occasione. La signora di Monza, una volta sepolta viva nell'i» pace era un personaggio morto al mondo, e non poteva più far nulla pei promessi senza offendere la storia. Anche secondo la teoria di Max Nordau quel benedetto chiodo è sempre un chiodo, e non si può pretendere che abbia a sostenere troppa roba. Quanto poi all' essere la signora di Monza una meravigliosa figura femminile, sono pienamente del parere del Cestaro. Tutto sommato, il Manzoni credente, ma non bacchettone e che non ha certo chiesto consigli a nessun padre Tosi per accettare P unità d'Italia, e Roma capitale, meno che meno si è lasciato sforzare la mano nello scrivere il suo immortale romanzo. In altre questioni di secondo ordine non sono del parere dell' egregio Cestaro. La conversione dell' innominato pare a lui repentina, non preparata, e un miracolo della provvidenza (pag. 293). Testé ha dimostrato proprio il contrario il signor Graf in un bellissimo articolo nella Nuova Antologia (1 Maggio 1894). Le premesse alla conversione sono un capolavoro, e dimostrano nel Manzoni una profonda conosenza del cuore umano. Quel fatto, benché meraviglioso a prima vista, non è che l'esito naturale di tutto un progresso psichico, naturale. E che il Manzoni non vedesse miracoli da per tutto si può provare col testo alla mano. Haec mutatio dexterae Excelsi ha detto il il cappellano crocifero, non il Manzoni direttamente, e ciò per far parlare i vari personaggi con la massima oggettività secondo il loro carattere. Anche il sarto credeva al miracolo della conversione dell' innominato, e della conseguente liberazione di Lucia; ma sentite il Manzoni. "Né si creda che fosse lui solo a qualificare così quell'avvenimento, perchè avea letto il Leggendario; per tutto il paese non se ne parlò con altri termini, fin che ce ne rimase memoria. E, a dir la verità con le frange che vi $' attaccarono, non gli potea convenire altro nome.u Oh gl'ipercritici! E quando si richiamano alla mente le accuse eli bacchettoneria già fatte al Manzoni per la storiella del miracolo delle noci messo in bocca di Fra Galdino con tanta ammirabile efficacia e riproduzione d'un tipo ; e la petulante domanda fatta già a Firenze da uno scrittore celebre, letterato celebre, e pedante celeberrimo che investì il Manzoni con questa domanda: Signor Alessandro, lei ci crede proprio ai miracoli? viene la voglia di domandare ai domandatoli: E la fina fina ironia del gran lombardo la intendono loro, signori? Il signor Cestaro dice altrove che" al contrario che ne' moderni romanzi naturalistici la gente dei Promessi Sposi vien su come i funghi; e che nel romanzo non ci sono padri" (pag. 300). Osservazione lepida anzi che no, ed un' alzatina d'ingegno con relativa cianchetta. Aggiunge però subito che ce ne sono due: don Ferrante e il principe, indegni per altro del nome di padre. Continuando però l'e-satne se ne potrebbero trovare tanti altri e tutti degni di tal nome: il sarto che ha una nidiata intorno, e il compiacente Ambrogio Fusella di professione spadajo con moglie e quattro figliuoli, e il marchese zio, inconsolabile per la perdita di due figli ecc ecc. C' è eccesso di giustizia distributiva, ed abuso di mezzi nel romanzo, dice altrove il critico (pag. 309). Aggiunge però subito molto bene "Ma c'è coerenza in ordine al concetto di simmetria morale che governa tutta l'opera. Se i Promessi Sposi lasciano il desiderio di una maggiore unità estetica, la loro armonia morale è perfettissima» (pag. 316). Aggiungerei che tutto ciò dipende dal modo di vedere, e dal concetto si è formato l'autore dell'ordine provvidenziale regnante nel mondo, e dal fine propostosi nello scrivere. Secondo il Manzoni, se Iddio non paga il sabbato. paga il lunedì, o in qualche altro giorno della settimana certo. Quindi secondo questo concetto ha immaginato la catastrofe felice; e condotto il racconto, sia pure con qualche abuso di mezzi. Tutti i gusti son gusti: Tra un genere oggi di moda che inventa i Deus ex macchina, per dare una schioppettata finale di qua e far cadere qualche bolide sulla testa dei personaggi di là; e quello del Manzoni che manda tutti contenti a casa loro, provvisti della buona massima morale di giunta — la fiducia in Dio raddolcisce i mali e li rende utili per la vita migliore — e data come il sugo di tutta la storia; tra questi due generi opposti, dico, io scelgo l'ultimo per molte ragioni. Risparmiando tutte le altre una solo ne adduco: è più popolare. Il popolo, anche oggi, dopo tante tentate distruzioni della vecchia morale, ha sempre vivo il sentimento del buono e nei drammi della domenica, nei romanzi d'appendice esige dall'autore, che questo suo sentimento sia soddisfatto: se no fischi all' autore, e al tiranno trionfante getto di vegetali, ed urli che scuotono il lampadario. Questi appunti non scemano il valore dello studio dell'egregio Cestaro; studio in generale ben fatto, ed anche con qualche novità d'intendimenti. In altri appunti fatti al Manzoni sono anche io pienamente d'accordo, chè non vorrei passare per uno dei soliti manzioniani, in ginocchio dinanzi al loro idolo: da Omero in poi in letteratura non ci sono idoli; tutti i grandi sono soggetti a un qualche sonnettino. Così ammetto che nella seconda parte del romanzo troppo luogo sia fatto alla storia: cosa del resto già notata dal Göthe e da moltissimi altri. Che poi il Manzoni poeta non abbia sempre ceduto alle esigenze del critico ; e fatto per esempio mangiare le polpette di Venerdì a Renzo, e lo stufato in sabbato, non pensando che i critici gli avrebbero cercato il pelo nell'uovo, sapevamcelo; e non occorreva che il Checchi venisse ad esporci la gran novità nel Fanfulla della Domenica (22 Gennajo 1893). Gli ipercritici dell'avvenire, dice bene il Cestaro, troveranno nel romanzo tre o quattro romanzi, tre o quattro rapsodie. Ma intanto i critici del presente, i critici delle polpette mi squartano l'opera immortale del genio, l'assoggettano ad una minuziosa analisi, e per poco non ispingon l'anfanamelo delle ricerche fino a calcolare la lunghezza della collana di granati sul collo di Lucia, e dei mustacchi del Griso. E qui per non essere da meno degli altri to' raccontare anche io la mia. Ecco altra proTa dei postumi scrupoli storici del Manzoni. Nella prima edizione dei Promessi Sposi il mercante racconta così nell' osteria di Gorgonzola la fine della sedizione — "Indovinate mo chi sopravvenne. Tutti i monsignori del duomo in processione, a croce alzata, in abito corale, e monsignor arciprete cominciò a predicare da una parte e monsignor penitenziere da un altra ecc. „ — E nella seconda edizione, invece :" e Monsignor Magenta arciprete ... e monsignor Settala penitenziere". Meglio di primo getto senza nome e cognome perchè non è naturale, che il mercante sappia a memoria, e venga ad esporre ai villani di Gorgonzola i dati statistici del clero della città e diocesi di Milano. Lo stesso dicasi di Bortolo che raccontando la prima volta a Renzo dei passi fatti a Venezia dalla città di Bergamo, per avere frumento, dice semplicemente: Che fanno i Bergamaschi? Spediscono a Venezia un uomo che sa parlare. E dalla seconda edizione sappiamo poi che questo uomo, questo omone fu Lorenzo Biava. Ma non si creda per amore del cielo, che tutti questi scrupoli abbia sentito il Manzoni nell'atto del comporre, in continuo letigio con sè stesso. Sono pazienti ricerche, sono studi posteriori, un po' anche pedanterie da letterato delle quali, il genio si compiace, quasi a riposo della fantasia affaticata nei liberi voli. E fluisco subito per non entrare quale criticonzolo delle cartacce nel branco dei critici delle polpette. E veniamo che è ora ad una conclusione. Dopo quanto fu scritto dal Manzoni contro il romanzo storico, e le disquisizioni e i discorsi che si sono fatti poi, il romanzo storico è poi proprio bello e spacciato? Pare di no, perchè tutto ciò che è bello ha diritto di esistere ; perchè tutti i generi, fuor che i noiosi, si accolgono; perchè di romanzi storici veramente belli ce ne furono molti, e fu questo 1' argomento in favore del genere che diede più da fare al Manzoni stesso. Ora è di moda il romanzo intimo, analitico, realistico ecc. ecc. ; ma poi? Multa renascentur quae jam cecidere .... E già si vedono certi segni della prossima resurrezione del romanzo storico nell'Inghilterra; ed uno scrittore francese, M. T de Wyzewa ha trattato ampiamente la questione in uno studio -intitolato — La renaissance du roman historique en Angleterre (Revue des deux mon-des 1. Ianvier 1890). Secondo questo scrittore "il romanzo storico contiene di molte verità, ed è più oggettivo. Il passato è più facile a conoscersi che il presente. Come si può ben descrivere il passato quando si è obbligati a vederlo, attraverso alle nostre passioni, e ai nostri interessi particolari ? Ma se voi opponete che nè i romanzi di W. Scott, nè Notre Dame nè i Tre Moschettieri riuscirono a dare una immagine viva del passato, si risponderà che ciò prova l'impotenza degli autori citati, e non del genere,,. Io non ci metto nè pepe nè sale; solo aggiungo che il romanzo storico di Alessandro Manzoni ci ha dato un'immagine vivissima del passato; e che il secolo XVII è una di quelle epoche storiche che meglio si prestano ad una ricostruzione psi-' cologica, perchè nè troppo lontana, nè troppo vicina e di un grande ammaestramento per noi italiani. E che cosa vogliono dire da ultimo tutti gli studi anche recentissimi, e spesso nuovi e buoni, quale è questo del Cestaro? I Romanzi si pubblicano a centinaia ogni anno, attirano per un momento con la stranezza del titolo, greco-latino e la copertina civettuola la curiosità dei passauti, e poi muoiono J Alcuni hanno pure delle ottime qualità, e inerite-; rebbero sorte migliore ; ma nessuno che abbia tanta potenzialità da creare un tipo permanente, un personaggio rimasto col suo nome, usato per antonomasia, a significare gli individui della medesima specie, come Perpetua e don Abbondio. Ed il Manzoni vive, vive sempre, anche dopo le critiche del Settembrini, e la diatribe della pedanteria filosofica. Segno evidente che il Manzoni è salito coi Promessi Sposi sulle più alte cime dell' arte, e, piaccia o non piac-j eia vi sta. p. t. \ ---—---I PUBBLICAZIONI Luigi Goracci — Le Metamorfosi di Ovidio,. Firenze, Le Monnier. Due volumi. —-----—---1 Pregati pubblichiamo : RINGRAZIAMENTO La famiglia del compianto onorevole Domenico De Mori rappresentante comunale, morto nel fiore dell'età; nel suo immenso dolore adempie l'obbligo di ringraziare tutte le spettabili Autorità cittadine, gli amici e conoscenti per le tante dimostrazioni di stirila e di affetto tributate al loro caro defunto in occasione dei funerali. Famiglia de Mori Capodistria, agosto 1894_ Pietro Madonizza edit. e rerìat. responsabile