Received: 2016-5-10 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S DOI 10.19233/AH.2017.36 COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE FILO-JUGOSLAVE IN ITALIA (1948-1962) Federico TENCA MONTINI Universita degli Studi di Teramo, Facolta di scienze della comunicazione, Via R. Balzarini 1, 64100 Teramo, Italia Sveučilište u Zagrebu, Filozofski fakultet, Ivana Lučiča 3, 10000 Zagreb, Croazia e-mail: fftencamontini@unite.it Saša MIŠIC Univerzitet u Beogradu, Fakultet političkih nauka, Jove Iliča 165, 11010 Beograd, Serbia e-mail: sasa.misic@fpn.bg.ac.rs SINTESI Il presente articolo si propone di fornire un panorama complessivo delle attivitá di influenza politica jugoslave in Italia dall'espulsione dal Cominform alla liquidazione definitiva delpartito di orientamento filojugoslavo, l'Unione socialista indipendente. Per fare questo gli autori si sono basati sui risultati delle storiografie italiana e postjugoslave e, in paticolare, su materiali d'archivio ex jugoslavi. Dal momento che l'attenzione dei ricercatori si é concentrata finora quasi esclusivamente sulla vicenda di Aldo Cucchi e Valdo Magnani, i due deputati comunisti che, espulsi nel 1951 dal Partito Comunista Italiano, finirono per essere sostenuti e finanziati dal governo jugoslavo, l'approccio seguito nel presente lavoro fornisce una panoramica piu ampia delle azioni intraprese dalla Jugoslava in Italia, e permette di fornirne un bilancio conclusivo. Parole chiave: Guerra fredda, Komunistička partija Jugoslavije - Partito Comunista della Jugoslavia, Partito Comunista Italiano, terza via, antistalinismo, Valdo Magnani, Aldo Cucchi, Unione Socialista Indipendente, Magnacucchi COMMUNISTS OF A DIFFERENT KIND: THE PRO-YUGOSLAV TREND IN ITALY (1948-1962) ABSTRACT The article aimes to present an overview of the Yugoslavian political influence in Italy from the expulsion from the Cominform till the final discharge of the pro-Yugoslavian Italian party Unione socialista indipendente. The authors based the preparation of the article on the outcomes of the Italian and post-Yugoslavian historiography and in particular on former Yugoslav archive documents. The so far developed researches about the 785 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 topic have been driven by a special attention on the two members of parliament of the Italian Communist Party (Partito Comunista Italiano) Aldo Cucchi and Valdo Magnani that were expelled from their party and basically supported and funded by the Yugoslavian government. Starting from that, the current work provides a broader overview of the actions that Yugoslavia engaged in Italy and it wants also to reach a final evaluation. Keywords: Cold War, Komunistička partija Jugoslavije - Communist Party of Yugoslavia, Partito Comunista Italiano - Italian Communist Party, third way, anti-Stalinism, Valdo Valdo Magnani, Aldo Cucchi, Unione Socialista Indipendente, Magnacucchi INTRODUZIONE Le vicende legate a Valdo Magnani e Aldo Cucchi agli inizi degli anni Cinquanta, inizialmente appartenute all'ambito della propaganda politica nell'aspro scontro con il Partito comunista italiano (PCI), hanno cominciato a venir prese in considerazione dalla storiografia italiana alla fine degli anni Ottanta. In quella fase, caratterizzata dalla crisi del PCI che sarebbe stato presto chiamato a ripensare se stesso dopo la caduta del muro di Ber-lino, la riflessione storica sulla vicenda dei Magnacucchi venne ad assumere un carattere emblematico. In questo contesto vide la luce il convegno del 1989 IMagnacucchi, Valdo Magnani e la ricerca di una sinistra autonoma e democratica i cui atti sono poi confluiti nel volume omonimo (Boccolari, Casali, 1991). Più recentemente, le ricerche sull'Unione Socialista Indipendente (USI) hanno beneficiato del rinnovato interesse sulle dinamiche della Guerra fredda che ha favorito studi come quelli presentati al convegno L'eresia dei Magnacucchi sessant'anni dopo, promosso da Giuseppe, figlio di Aldo Cucchi, nonché il volume Valdo Magnani e l'antistalinismo comunista del 2013 con cui Stefano Bianchini integra e approfondisce la ricerca alla base del contributo alla conferenza del 1989. Sebbene Milovan Bilas nei suoi ricordi pubblicati a Londra negli anni Ottanta (Bilas, 1983) abbia indicato Cucchi e Magnani come esempi di individui che si sono indirizzati verso la Jugoslavia dopo aver lasciato il proprio partito, e questo non in conseguenza della risoluzione del Cominform del 1948 ma per il disaccordo con la politica del partito stesso, la storiografia jugoslava e postjugoslava non hanno mostrato interesse per questo argomento, al di là di brevi menzioni in testi di più ampio respiro come nel caso della monografia di Jože Pirjevec su Trieste e gli sloveni (Piijevec, 2008). Il presente articolo muove dalla necessità di partire dalle vicende di Cucchi e Magnani per porre il focus della ricerca sulle attività promosse dalla Jugoslavia sul territorio italiano 786 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 per contrastare l'offensiva politica ed ideologica del PCI dopo il 1948 e migliorare l'imma-gine del Paese di Tito danneggiata dai cattivi rapporti con l'Italia per via della disputa confinaría che sarebbe stata risolta soltanto nel 1954. Per perseguire l'obiettivo si fa riferimento ad un corpus documentale più ampio di quello su cui si fondano le ricerche svolte finora, affiancando ai documenti rinvenuti nel fondo del gabinetto di Tito quelli della Commissione per i rapporti internazionali della Lega dei comunisti di Jugoslavia (Savez komunista Jugoslavije - SKJ, Komisija za medunarodne odnose i veze - KMOV) e documenti dal fondo segretissimo (Strogo poverljiva arhiva) dell'Archivio diplomatico del Ministero degli esteri di Serbia, ove sono confluiti i materiali relativi al periodo jugoslavo. La metodologia seguita ha permesso di innovare rispetto alle ricerche disponibili finora ricostruendo le azioni intraprese dalla diplomazia jugoslava e dai comunisti ju-goslavi del Territorio libero di Trieste (TLT) nel tentativo di creare un gruppo politico filojugoslavo prima dell'espulsione di Magnani e Cucchi dal PCI, e vengono riportate nuove evidenze rispetto al successivo utilizzo, nei tardi anni cinquanta, dell'USI a Trieste in funzione anti-vidaliana. Nella misura in cui l'obiettivo dell'articolo è la ricostruzione delle attività e del punto di vista della Jugoslavia, la provenienza jugoslava dei documenti non costituisce un elemento fuorviante, mentre si è cercato di neutralizzare gli aspetti di incertezza e propaganda sempre insiti nei documenti diplomatici attraverso l'incrocio delle fonti con altre sia di provenienza jugoslava che italiana - preziosi si sono rivelati in questo senso i materiali del PCI analizzati da Bianchini. ALDO MAGNANI, LA VICENDA UMANA E POLITICA Per comprendere la parabola politica ed esistenziale di Magnani (1912-1982) a partire dall'espulsione dal PCI a seguito del fatidico discorso del 19 gennaio 1951 è necessaria una breve premessa biografica1, senza la quale lo svolgimento degli eventi che lo resero noto mancherebbe di elementi di contesto indispensabili. Nato a Reggio Emilia nel 1912 da una famiglia dalla quale ereditó l'adesione alla fede cattolica e i valori politici del socialismo prampoliniano2, che nella zona aveva esercitato una notevole influenza, militó inizialmente tra le fila dell'Azione cattolica maturando convinzioni antifasciste durante gli studi universitari culminati nella duplice laurea in economia e filosofia. Nel 1936, intanto, aveva aderito al Partito comunista d'Italia. Chiamato a svolgere il servizio di leva nel 1937 a ridosso del confine sloveno, rimarrà in territorio jugoslavo fino alla Liberazione. Dapprima venne stanziato a Lubiana, dove imparó le basi dello sloveno e giunse a tradurre alcune poesie di Prešeren, poi a Dubrovnik e in Erzegovina, per approdare infine, attraverso la divisione Garibaldi di cui fu responsabile dell'ufficio propaganda, alla Resistenza jugoslava. Durante la permanenza in Bosnia si era legato sentimentalmente ad una giovane serba da cui apprese il serbo-croato rimanendo poi segnato dal fallimento della relazione che portó ad un matrimonio 1 Per informazioni biografiche su Magnani si rimanda a Bianchini, 2013, e a Boccolari, Casali, 1991. 2 Sull'influenza del politico socialista Camillo Prampolini sulla cultura politica emiliana si rimanda a Gagliani, 1991. 787 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 durato soltanto un giorno. Complice anche la delusione sentimentale - ebbe a dire che nello scoramento fu il partito, ovvero la militanza, a salvarlo - si dedicó intensamente all'attività politica, ed essendo anche amico di Palmiro Togliatti, che frequentó spesso grazie anche alla parentela con la cugina Nilde Iotti, giunse presto ad una posizione di rilievo con l'elezione a deputato nel 1948. La risoluzione del Cominform di pochi mesi successiva alla sua elezione - 28 giugno 1948 - dovette certamente turbarlo per quanto sia noto che la "scomunica" di Tito non sorti effetti immediati e che il suo pieno significato si sarebbe andato chiarendo nel corso dell'anno successivo, segnatamente in occasione della successiva riunione del Cominform nell'autunno del 1949 in Ungheria. Intanto il cambiamento di strategia internazionale seguito dall'Unione Sovietica (URSS) stava portando ad un progressivo abbandono delle posizioni "frontiste" - cambiamento simmetricamente assecondato da un irrigidimento della politica statunitense in senso anticomunista - causando un restio e difficoltoso riorientamento dello stesso PCI che non a caso veniva accusato dalla dirigenza sovietica di tenere una linea troppo morbida verso la vicina Jugoslavia. Sul finire degli anni Quaranta, dunque, Magnani tiene un atteggiamento riservato e contraddittorio in merito a dinamiche che, al di là del problema jugoslavo, toccavano il cuore del sincretismo ideologico che lo aveva portato ad aderire al PCI a partire da posizioni socialdemocratiche tipiche di un contesto agrario come l'Emilia del tempo. Giunse ad esempio, presumibilmente per la pressione che veniva esercitata sui membri di partito che avevano combattuto in Jugoslavia, a sottoscrivere un documento di accusa apparso sull' Unità nel quale si dichiarava che "Tito e la sua cricca hanno instaurato nel loro paese un regime infame, poliziesco, tirannico, fascista"3, prima di intraprendere un viaggio in Europa centrale, a Praga e Varsavia, che lo colpi per lo sconcertante impatto con il funzionamento del socialismo reale. Al culmine di queste dinamiche, che sul finire del 1950 si erano ulteriormente aggravate per via della lunga permanenza di Togliatti a Mosca dove era stato richiamato, Magnani il 19 gennaio 1951, a conclusione dell'intervento inaugurale al congresso della federazione del PCI di Reggio Emilia di cui era segretario estrasse un biglietto con il seguente messaggio: Si riafferma la politica di rinnovamento nazionale dei comunisti, conseguente al particolare sviluppo storico dell'Italia nel quadro della solidarietà internazionale dei lavoratori contro l'oppressione capitalistica, dichiarando che, pur convinti che i principi della loro dottrina non porteranno mai ad un'aggressione da parte dell'URSS, essi sono per la difesa del territorio nazionale, contro un esercito che da qualsiasi parte, non essendo attaccata l'Italia, varcasse le frontiere e invadesse il 3 L'appello, nella forma di una lettera indirizzata all'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI) nell'anniversario della liberazione di Belgrado, costituiva una risposta all'invito rivolto dalle autorita jugoslave ai partigiani italiani che avevano combattuto in Jugoslavia affinche si unissero ai festeggiamenti per i cinque anni dalla liberazione del Paese. L'iniziativa jugoslava e stata efficamenente spiegata come un tentativo jugoslavo di allentare la morsa dell'isolamento imposto dall'Unione sovietica e Paesi satelliti tendendo la mano all'Italia (Bianchini, 2013, 72-73). 788 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 Paese, riconoscendo che la rivoluzione democrática della classe operaia si fonda con la solidarietà delle forze socialiste nel mondo, sulla forza, sulle capacità, sullo svi-luppo della classe lavoratrice, unica capace di realizzare, in questo periodo storico, l'unità nazionale (Caracciolo, 2012, 3). Si deve concordare con i più qualificati conoscitori della vicenda umana e política di Magnani che l'intervento non fosse tanto problematico per il suo contenuto oggettivo4, quanto per la biografia del relatore e la situazione determinata dalla Guerra fredda montante, la cui delicatezza era acuita dalla crisi del rapporto tra PCI e il Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), per di più nel momento in cui il partito italiano era affidato alla guida di alcuni supplenti in assenza del segretario. In conclusione risulta condivisibile l'interpretazione di Boiardi per cui, in riferimento a Magnani, l'apertura di un confronto, più libero di quanto fosse avvenuto in passato, e su ques-tioni politiche di fondo, l'aveva spinto a prendere posizione senza mettere in conto di trovarsi, da un momento all'altro, proiettato al di fuori del partito. La sua iniziativa prorompeva, del resto, in una situazione segnata da profonde inquietudini (Boiardi, 1991, 194). La mozione di Magnani dunque, oltre a non venir messa all'ordine del giorno e nono-stante il segretario, cedendo alle pressioni subite, avesse accettato di ritrattare, portó ad un autentico accanimento nei suoi confronti tale da costringerlo nello spazio di alcune setti-mane ad abbandonare il partito seguito dall'amico bolognese Aldo Cucchi (1911-1983). Era questi un altro deputato comunista dal curriculum irreprensibile, ufficiale medico durante la guerra in Grecia e poi tra i fondatori della Resistenza bolognese di cui si pose a capo della 7° brigata GAP (Gruppi di Azione Patriottica). Insignito della medaglia d'oro al valor militare, il suo prestigio lo portó ad essere incaricato di proteggere l'incolumità di Togliatti all'indomani dell'attentato del 1948. Disilluso per il burocratismo all'interno del PCI, valutó la decisione di abbandonare il partito già verso la fine del 1950 per poi aderire alla linea di Magnani fin dalla primissima ora (Zappella, 2010, 73-75). La risposta del PCI alla crisi, cui evidentemente in un primo tempo si riconobbe un certo potenziale di destabilizzazione per il partito, costituisce uno dei più chiari esempi di applicazione nel contesto italiano di una strategia di delegittimazione di tipo schiettamen-te stalinista. Di Togliatti, di ritorno a fine febbraio 1951 da Mosca dove la notizia della fuoriuscita di Cucchi e Magnani l'aveva intanto raggiunto è nota la dichiarazione che "anche nella criniera di un nobile cavallopossono esservi duepidocchf mentre l'illustre latinista Concetto Marchesi ebbe la delicatezza di definirli "due cenci umani raccattati in questi giorni per lucidare un patriottismo sconciamente macchiato" (Balzani, 2012, 47) 4 Già nell'autunno 1946, infatti, Umberto Terracini aveva espresso considerazioni simili ad una riuniune del comitato centrale del PCI, posizioni poi reiterate in un'intervista all'agenzia International News Service cui aveva dichiarato che "se la guerra dovesse scoppiare si puà essere certi che questo paese di quarantacinque milioni di individui si schiererà contro l'aggressore, quale esso sia" (Barbagallo, 1991, 113-116). 789 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 e il socialista Rodolfo Morandi escogitó l'epiteto di "bave titine" (Bianchini, 1991, 180). La posizione di Togliatti in particolare merita un approfondimento. Negli anni seguiti alla formazione del Cominform gli orientamenti di direzione del comunismo internazio-nale espressi dall'URSS finirono per entrare in conflitto con il corso impresso al partito in Italia, come ben esemplificano le note critiche subite dai delegati italiani alla prima riunione del Cominform a Szklarska Porçba nel 1947. L'impostazione da parte dei vari partiti comunisti di un'agenda nazionale, strategia ufficialmente caldeggiata dall'Unione Sovietica, era intrínsecamente contraddittoria rispetto al riconoscimento del primato moscovita e poneva ogni partito comunista innanzi al rischio concreto di incappare nella critica dei dirigenti sovietici qualora questi ritenessero che si fosse reso troppo indipendente. Nel caso italiano, il compromesso impostato da Togliatti tra internazionalismo e ricerca di una via nazionale al socialismo causó una prima reazione da parte dei sovietici, che tra le altre cose accusavano Togliatti di aver tenuto un atteggiamento troppo morbido nei confronti di Tito5, e portó ad uno scontro tra due correnti del PCI rappresentate somma-riamente da Togliatti e Secchia (Barbagallo, 1991, 128). L'apice della tensione si registró, come menzionato, proprio a ridosso dell'intervento di Magnani con la convocazione di Togliatti a Mosca per un soggiorno che duró addirittura alcuni mesi e durante il quale si cercó di convincerlo a porsi al vertice del Cominform e abbandonare il ruolo di segretario di quel partito che veniva inteso come la sua succursale italiana. Alla fine Togliatti riusci a resistere alle pressioni e critiche sovietiche e a rientrare in Italia nonostante nel frattempo la Direzione del PCI si fosse espressa a maggioranza per il suo allontanamento. Alcuni elementi suggeriscono che l'uscita di Magnani del 19 gennaio rappresentasse in qualche modo un sostegno alla via nazionale del segretario, considerato anche il fatto che nelle importanti strutture emiliane del PCI Magnani era sicuramente il realizzatore più efficace della politica culturale del "partito nuovo" che Togliatti avrebbe voluto impostare. Si puó dunque ritenere che al segretario, cui nel frattempo a Mosca era stata rinnovata la critica di tenere un atteggiamento troppo morbido verso la Jugoslavia, non fosse rimasta altra scelta al suo ritorno che "sacrificare" Magnani in modo da recuperare un'immagine di fermezza tanto agli occhi del partito italiano che di quello sovietico. 5 Questa interpretazione, oltre che da Renato Mieli, Enzo Collotti, Fernando Claudin e Otello Montanari (Barbagallo, 1991) e confermata dai rapporti inviati dal ministro jugoslavo in Italia Mladen Ivekovic. Poiché la rappresentanza jugoslava a Roma in questo periodo non era ancora stata innalzata al rango di ambasciata si preferisce, qui come in seguito, usare per Ivekovic la qualifica di "ministro" che corrisponde alla dicitura, ricorrente nei documenti jugoslavi, di "poslanik". Nella relazione strettamente riservata del 22 novembre 1950 (AJ, 836, I-3-b/341) si dedica particolare attenzione al "caso Togliatti" e allo scontento di Mosca, di cui si ricostruiscono i precedenti a partire dall'atteggiamento ottenuto in occasione dell'espulsione di Lev Trockij nel 1927. In relazione alla Jugoslavia si riporta che "ci e ben noto il fatto che il PCI non ha condannato il KPJ in occasione della nota lettera del Partito comunista sovietico (bolscevico) prima della risoluzione del Cominform. Ci e noto anche questo, che proprio Togliatti in seno alla commissione centrale del PCI ha piu tentennato in relazione a tale lettera e alla risoluzione del Cominform. E, ancora, Togliatti fino ad oggi nella lotta contro il nostro partito e paese non si e impegnato quanto i capi degli altri partiti comunisti cominformisti. La sua 'calma' e sempre stata sospetta agli agenti di Mosca come Secchia". Si rileva inoltre che poco prima di partire per Mosca Togliatti avesse rilasciato un'intervista a Omnibus "che a piu riprese e stato ufficialmente attaccato dall'Unitá perché 'titoista'" (AJ, 507, IX-48/I/110, 18. 12. 1950). 790 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATE ..., 785-812 Tornando alla persecuzione súbita da Magnani e Cucchi, un compito importante fu affidato all'ANPI, che il primo febbraio, a seguito delle dimissioni presentate dai due il 30 gennaio (assieme a quelle dal PCI) attraverso un apposito comunicato addita al disprezzo dei volontari della libertà e di tutto il popolo italiano il Cucchi e il Magnani come transfughi e traditori della Resistenza e invita le organizzazioni periferiche a smascherare le sporche manovre di tutti i provocatori e traditori di questa risma6. Funzionalmente alla necessità di tamponare un'emergenza che, stante l'indiscusso prestigio umano, intellettuale e di combattenti dei protagonisti, destava una compren-sibile preoccupazione, non si lesinó il ricorso al cospicuo armamentario dei metodi di tipo cospirativo. Anzitutto si cercó di tamponare la falla a livello locale ripristinando la più rigida ortodossia ideologica. Si moltiplicarono cosi "i corsi Stalin e la pressione sugli iscritti affinché frequentassero le scuole di partito, dove si spiegavano i caratteri provocatori della cricca di Tito'" (Bianchini, 2013, 113). A parte questo, Magnani, Cucchi e Riccardo Cocconi, comunista reggiano che si era unito a loro in febbraio - assieme a un modesto seguito di amici ed ex partigiani che avevano combattuto in Jugoslavia - furono da subito pedinati e resi oggetto di una fitta rete di controllo e pressione sociale. Tali manovre, di cui si rende ampiamente conto nel volume della moglie di Magnani Una famiglia italiana (Magnani, 1991), inclusero pressioni esercitate sui familiari, segnatamente il padre e il suocero di Magnani, affinché facessero desistere i congiunti dai propositi scissionisti. Non si disdegnó di corrompere la donna di servizio di Cocconi perché raccogliesse informazioni utili a ricostruirne le manovre politiche mentre, in una fase successiva, si sviluppó il metodo di inviare sistematicamente militanti comunisti ai convegni del Movimento Lavoratori Italiani (MLI) e dell'USI come elementi di disturbo. Con prassi squisitamente stalinista si prese a passare in rassegna le biografie dei protagonisti in modo da individuare in lontani momenti delle loro vite l'origine del tradimento permettendo cosi di squalificarne completamente i meriti. Nel caso di Magnani il "vizio di origine" venne individuato variamente nella remota militanza tra le fila dell'Azione cattolica come negli anni di lotta di Resistenza in Jugoslavia, in un almanaccare che trova la sintesi perfetta nell'affermazione di Otello Ottoneri per cui "non bisogna dimen-ticare che il Magnani seppe unire bene le caratteristiche dello spione titino con i tratti dell'istrione gesuita. Il riso diabolico e la falsa austerità e riflessione gli donavano alla maschera" (Bianchini, 2013, 109). I tentativi di legittimazione e gli attestati di disprezzo, spesso con argomenti del tutto inventati, non rappresentarono peraltro un'esclusiva del PCI e degli ambienti ad esso legati ma si estesero in generale al mondo della sinistra - particolare la virulenza del Partito Socialista Italiano (PSI) - in un atteggiamento che si spiega con la preminenza 6 L'ANPI bolla Magnani e Cucchi traditori degli ideali della Resistenza in (Cucchi, Magnani, 1951, 35) rinvenuto in AJ, 507, IX-48/III-3. 791 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 del mito di Stalin e dell'URSS nell'immaginario di quest'area politica nei primi anni Cinquanta e la diffusione in tutti quegli ambiti politici di una mentalità stalinista7. Infine, il PCI si prodigó per infiltrare il gruppo di Magnani e Cucchi sin dai primi, convulsi giorni seguiti alle dimissioni, in modo di procurarsi informazioni di prima mano sulle loro intenzioni e sul loro operato. Uno di questi agenti, indicato come "Roberto", espulso tatticamente a sua volta in modo da assicurargli una copertura, si rese autore di ben 74 rapporti dettagliati che vennero inviati alla federazione del PCI bolognese nel quale archivio sono conservati. Tali informative fornirono inoltre gli estremi per azioni pratiche, quali sabotare l'apertura di sedi del MLI o lo svolgimento di comizi dei suoi protagonisti (Bianchini, 2013, 131-132). L'accusa di essere agenti jugoslavi è una costante tra quelle mosse ai tre. Ad esempio, oltre al già citato epiteto di Morandi, in un articolo sull'Avanti! del 2 febbraio 1951 lo stesso Pietro Nenni espresse l'idea che "alla radice [della defezione di Cucchi e Magnani] vi è una contaminazione titoista,,s. Il fatto, noto, che i transfughi del PCI abbiano finito per nutrire effettivamente im-portanti rapporti con la Jugoslavia sembra aver conferito retrospettivamente fondatezza a queste accuse, impostazione che riemerge perfino nella pubblicistica più recente, ad esempio nel cospicuo volume di Zuccari dedicato ai rapporti tra comunisti italiani, jugoslavi e sovietici dopo il 1948 (Zuccari 2008, 246-247). In realtà i documenti rinvenuti negli archivi jugoslavi permettono di ricostruire accuratamente la vicenda, che, come si vedrà, collima sommariamente con le dichiarazioni rilasciate già ai tempi dai diretti interessati e più recentemente con la testimonianza di Milovan Dilas (Boccolari, Casali, 1991, 269-271). AFFINITÀ - DIVERGENZE TRA I COMPAGNI JUGOSLAVI ED EMILIANI Al di là dei percorsi che porteranno la Jugoslavia a interessarsi e a finanziare il progetto di Magnani e Cucchi - peraltro con risultati piuttosto modesti sul medio periodo -, le vicende della compagine socialista balcanica e dei transfughi emiliani mostrano interessanti elementi di convergenza. Anzitutto, il già menzionato ostracismo di stampo stalinista riservato dal PCI al duo riecheggia, tenendo presente la portata assai diversa delle due "espulsioni", la pressione esercitata sulla Jugoslavia a seguito della risoluzione del Cominform del 1948. Sorprende la profonda consonanza delle accuse, talvolta farne-ticanti e spesso intrinsecamente contraddittorie, tendenti ad attribuire un'ampia gamma di etichette politiche da "trotzkista" a "socialdemocratico" fino ad apertamente "fascista" con il consueto corollario di accuse di essere al soldo delle più svariate agenzie straniere. Cambia ovviamente il contesto geopolitico, sicché laddove la Jugoslavia fu oggetto di 7 Questi aspetti, inizialmente posti da Bianchini come ipotesi (Bianchini, 1991), trovano una risposta nei termini qui sommariamente descritti nel suo recente saggio dedicato all'antistalinismo comunista (Bianchini, 2013, 110) nonché in Degl'Innocenti, 2005. 8 Sugli articoli della stampa italiana sul caso Magnani-Cucchi, informativa della Legazione jugoslava a Roma (AJ, 507, IX-48/III-2). 792 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATE ..., 785-812 provocazioni alle frontiere e della minaccia di un intervento militare soviético, nel caso di Cucchi e Magnani si puó concordare con il giudizio di Enrico Berlinguer, di molto suc-cessivo, per cui la fortuna di Magnani fu di aver operato nel campo occidentale anziché in quello socialista (Bianchini, 2013, 88) nel qual caso avrebbe probabilmente fatto la fine dei comunisti dissidenti che negli stessi anni per motivi simili vennero condannati a morte ad est della cortina di ferro9. Altre analogie, al di là della lunga permanenza in Jugoslavia di Magnani, risiedono nelle particolarità del contesto emiliano ovvero nelle origini agrarie della particolare cultura politica comunista di questa zona (Storchi, 1991). La circostanza, perfettamente nota, che il PCI raccogliesse negli anni Trenta più iscritti nella periferia emiliana che nei grandi centri industriali dell'Italia settentrionale costitui una costante fonte di preoccupazione per i quadri del partito, propensi a individuare una funzione schiettamente progressista nel solo proletariate industríale. Indubbiamente in Emilia si verificó un travaso verso il PCI del precedente elettorato socialista prampoliniano, la stessa impostazione del padre di Magnani, motivo per cui al partito fu subito chiaro il problema dell'affidabilità ideologica e operativa dei comunisti emiliani (Gagliani, 1991). Allo stesso modo in cui in Emilia il comunismo tendeva a confondersi con l'afflato delle plebi contadine per un miglioramento delle condizioni di vita, in Jugoslavia il Partito Comunista jugoslavo (Komunistička partija Jugoslavije - KPJ), finché gli fu concesso di operare legalmente, raccolse consensi, anche cospicui, tra i contadini poveri di Serbia e Montenegro e non nelle regioni settentrionali in via di industrializzazione (Hosch, 2005, 241), dove, partendo da posizioni marginali, avrebbe saputo guadagnarsi il consenso po-polare per i meriti acquisiti nella Guerra di Liberazione e per la proposta di una soluzione originale alle questioni nazionali di sloveni e croati. Un elemento di un certo interesse, che peró, pur intersecando tanto le vicende jugo-slave che quelle del gruppo di Magnani e Cucchi, sembra invertirne la precedenza, è da individuare nel corollario ideologico del dissenso rispetto alla prassi stalinista. È fatto assai noto che nelle ragioni del dissidio tra Tito e Stalin gli elementi di carattere ideologico non occupino una posizione di rilievo. Gli aspetti, marginali, di differenziazione dell'organizzazione socialista della Repubblica Popolare di Jugoslavia rispetto alla prassi sovietica costituivano un elemento comune nel panorama dei vari Paesi socialisti in Europa centrale e orientale nei primi anni del dopoguerra. L'errore jugoslavo era individuato in un eccessivo protagonismo nel campo della politica estera ma per il resto si deve rico-noscere che la Jugoslavia di quegli anni fosse stata anzi assai più incline ad allineare la propria economia ed assetto istituzionale a quello dell'Unione Sovietica rispetto ai Paesi vicini. A fronte del boicottaggio economico dell'URSS e dei suoi satelliti dopo il '48 la lotta per la sopravvivenza del Paese fu vinta a prezzo di una serie - invero relativamente contenuta sul piano politico - di concessioni agli Stati Uniti e alle loro esigenze strategi-che. Poiché nella logica della Guerra fredda incipiente la collocazione "occidentale" di un 9 È il caso, ad esempio, dell'ungherese Laszlô Rajk e del bulgaro Trajco Kostov, condannati a morte già nel 1949 con l'accusa esplicita di titoismo ovvero per aver difeso posizioni nazional-comuniste non più tollerate dalla politica sovietica (Hosch, 2005, 257-258). 793 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 Paese comunista costituiva un paradosso, l'élite jugoslava reagi con una riformulazione dei propri presupposti ideologici basata su una radicale revisione delle dottrine marxiste e ponendo le basi per una rifondazione della prassi sociale basandola su decentramento e cooperazione. L'esperimento non fu privo di esiti originali e, in un contesto dominato dalla rigidità ideologica e dal feticismo del testo, mise, almeno a livello teorico, la Jugoslavia nella posizione di scatenare un'offensiva ideologica indirizzata al campo sovietico cui fu restituita l'accusa di allontanamento dal marxismo e deviazionismi vari (per es. Pújevec, 2012, 293-294). Differentemente che in Jugoslavia, esisteva in Italia la tradizione di un orientamen-to ideologico, di cui Magnani si rese interprete, che non rappresentava il frutto di un riposizionamento tattico reso necessario da un evento traumatico come quello esperito dalla Jugoslavia nel 1948. Si tratta della visione di comunismo nazionale promossa dal massimo pensatore marxista italiano, Antonio Gramsci. Teorico attento alle specificità dei contesti geografici, sociali ed economici e quindi sostenitore ante litteram di vie proprie per la realizzazione del socialismo, Gramsci avrebbe attraversato la lunga storia del PCI come un "fiume carsico". È riconosciuto che Magnani riponesse una grande considera-zione nel pensatore cui si richiamerà subito "per il nesso tra indipendenza nazionale e internazionalismo socialista, per la centralità di un umanesimo inteso come liberazione dell'uomo attraverso il socialismo" (Barbagallo, 1991, 127) mentre dopo l'espulsione dal PCI gli fu rinfacciato quanto ricordato da certi compagni di partito a Reggio Emilia, ovvero che "spesse volte ha affermato che noi non dovevamo attingere sempre a Lenin e a Stalin, ma a Gramsci e a Togliattf (Bianchini, 2013, 109). Di Gramsci, assai indicativamente, sono le prime parole con cui la nuova formazione politica si annuncia al mondo, ovvero la problematica lettera ai dirigenti sovietici, intrínsecamente antistalinista, da questi inviata nel 1926 e ora posta a campeggiare sulla pagina di Dichiarazioni e documenti del marzo 1951 (Magnani, Cucchi, 1951). Compagni [...] voi oggi state distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il partito comunista dell'URSS aveva conquistato per l'impulso di Lenin; ci pare che la passione violenta delle questioni russe vi faccia perdere di vista gli aspetti internazionali delle questioni russe stesse, vi faccia dimenticare che i vostri doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato internazionale10. "MISSIONARI" JUGOSLAVI Nel 1950, nello stesso momento in cui la Jugoslavia si trovava impegnata in quel processo di riscoperta dell'"originale purezza" degli scritti di Marx e Lenin di cui si è 10 La lettera, inviata da Gramsci al Comitato centrale del PCUS il 14 ottobre 1926, si inserisce nella coeva crisi del partito che vedeva contropposta la maggioranza controllata da Stalin e la minoranza guidata da Trockij. Mai consegnata da Togliatti, è alla base della rottura tra le due più eminenti figure del PCI del tempo, dopodichè la sua autenticità è stata a lungo contestata (Andalo, 2012, XIII—XIV). 794 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 detto, i vertici del KPJ decisero di affiancare all'ordinaria gestione della politica estera filo-occidentale azioni più efficaci delle accuse di deviazionismo scambiate con L'URSS e i suoi satelliti. A sottolineare la complementarietà dei due processi, appena il giorno dopo l'approva-zione della legge sull'autogestione delle fabbriche, 28 giugno 1950, il politburo del KPJ deliberó che fossero sviluppati i rapporti con singoli e movimenti politici operanti nel campo occidentale che avessero espresso posizioni critiche nei confronti dell'egemonia sovietica. Il progetto, sviluppato come di consueto dall'ideologo sloveno Edvard Kardelj, che indicó nell'Italia e nella Francia i paesi più promettenti, previde il rafforzamento della commissione di politica estera del Partito alla cui guida furono posti Aleksandar Rankovic, Milovan Dilas e Svetozar Vukmanovic - Tempo, pur con l'indicazione dello stesso Tito che la rafforzata commissione non avrebbe dovuto trasformarsi in un Comin-form antistalinista quanto costituire una blanda rete di forze politiche interessate ad una piattaforma comune (Bianchini, 2013, 79; Pirjevec, 2008, 397; Bekic, 1988, 164). I contatti intrapresi dalla diplomazia jugoslava non mancarono di evidenziare un certo margine di manovra in Francia e in Gran Bretagna, dove settori del Labour stavano effettivamente cercando approdi ideologici verso soluzioni di politica estera alternativi tanto al sostegno alla NATO quanto all'appiattimento sulle logiche del Cremlino11. In Italia, stando alla testimonianza del capo della diplomazia jugoslava in Italia Ivekovic, la risoluzione del Cominform aveva suscitato nella base del PCI "autentica costernazione e incredulità" per il fatto che la Jugoslavia "godesse di una grande stima e simpatía"12. Le accuse ai danni dei comunisti jugoslavi venivano prese con una "certa dose di insicurezza e malvolentierf per la qual cosa nelle discussioni di partito dedicate alla risoluzione era capitato che alcuni prendessero posizione contro di essa, e altri si fossero rivolti a titolo personale alla Legazione jugoslava dichiarandosi in disaccordo con la posizione ufficiale del PCI sulla questione13. Per quanto gli jugoslavi non giudicassero verosimile che nel PCI si verificasse una scissione per via del conflitto tra Unione Sovietica e Jugoslavia, cercarono di diffondere il più possibile la propria verità sulla risoluzione del Cominform tra i militanti comunisti. Oltre al PCI, ci si impegnó a conquistare anche il PSI suo stretto alleato; inizialmente si ritenne, anzi, che con i socialisti si sarebbe avuto più successo, per via del contegno assai meno risoluto dei dirigenti del PSI rispetto alla risoluzione del Cominform, specialmente nella sinistra del partito. Come con i comunisti, 11 Il rapporto con il Labour iniziô nell'autunno 1950 e fu intensificato nel corso dell'anno seguente, coerentemente all'intento jugoslavo di coinvolgere quei partiti che costituivano il punto di riferimento del proletariato locale (Unkovsky-Korica, 2014). Questo indirizzo porto a trovare un interlocutore nei partiti socialdemocratici. Non si tratto da parte jugoslava di un'azione finalizzata a provocare delle scissioni, ma bensi a rafforzare in seno ai vari partiti le correnti di sinistra in modo che con il tempo fossero queste a guadagnare posizioni fino a conquistarne eventualmente la guida. A Belgrado si era inoltre notato che il fatto che i laburisti inglesi avessero mostrato interesse verso il sistema jugoslavo avesse influito positivamente sui partiti analoghi degli altri Paesi europei (AJ, 507/IX, s/b-4, Verbale della sessione della Sottocommissione per l'Italia, 29. 12. 1950). 12 DA MSP, ss, 1948, busta (b.) 5, documento numero (doc. n.) 672, Rapporto del ministro Ivekovic, 3. 9. 1948. 13 Ibidem. 795 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 gli jugoslavi desideravano penetrare nella base del PSI, ma anche in tutti i "gruppi pro-gressivi" in Italia la cui visione politica si fosse mostrata compatibile a quella del KPJ. Per raggiungere l'obiettivo vennero usati vari metodi. Il primo, seguito a partire dall'estate del 1948, fu la distribuzione a una moltitudine di indirizzi in tutta Italia di una quantità di materiale edito14. Nonostante i responsabili jugoslavi sottolineassero che questo aspetto di propaganda soddisfacesse le attese15, in realtà quest'azione non diede i risultati sperati e fini per assomigliare piuttosto ad una valanga incontrollata che, senza alcuna selezione, inondava i comunisti italiani e in genere le personalità di sinistra a tutti i livelli, ingombrando costoro di una massa enorme di brochure, volantini e trascrizioni dei discorsi dei leader jugoslavi. Per questo motivo si cambió strategia prediligendo i contatti personali. Questa nuova tattica (come possiamo dedurre da molti documenti della diplomazia jugoslava in Italia) si basó su due aspetti: il primo consistette nell'invio di agitatori in numerose città italiane perché entrassero in contatto con quanti ritenevano potessero conquistare alla propria causa, il secondo nell'invito in Jugoslavia di gruppi e singoli affinché si sincerassero dell'infondatezza delle affermazioni dei vertici del PCI per cui la Jugoslavia avrebbe abbandonato il comunismo e sarebbe passata nel "campo imperialista". Per questo fine venne fatto particolare affidamento sugli ex partigiani, spe-cialmente quelli che avevano combattuto nelle fila dell'Esercito di liberazione popolare jugoslavo (Narodnooslobodilačka vojska i partizanski odredi Jugoslavije) i quali, stando alle stime, erano più di diecimila16. Oltre ai partigiani, vennero avvicinati altri gruppi, dagli intellettuali progressisti ai lavoratori pubblici, agli studenti, agli invalidi di guerra, e si procedette alla fondazione di circoli di amici della Jugoslavia, affinché fungessero da "focolai" da cui stabilire legami con tutti gli individui "liberi" d'Italia17. I partigiani, comunque, erano ritenuti la meta privilegiata, specialmente quelli che avevano combattuto nella Divisione Italia che, tra le altre cose, aveva partecipato alla liberazione di Belgrado e contava 4000 partigiani. Per questo motivo la Legazione jugoslava a Roma nel corso del settembre 1949 aveva iniziato ad organizzare il viaggio di una rappresentanza partigiana italiana in Jugoslavia18, viaggio che fu al centro di varie contromisure del PCI tra cui un appello dell' Unità sottoscritto da Magnani di cui si è detto. Gli jugoslavi, ad ogni modo, riuscirono nell'intento di portare in Jugoslavia un certo numero di partigiani capitanati dal comandante della Divisione Italia Giuseppe Marassi. Per realizzare questo fine non badarono a spese, accettando di ripianare i considerevoli debiti personali del commissario politico della brigata Carlo Cutolo, che fu coinvolto attivamente nella preparazione del viaggio incoraggiando anche i suoi compagni d'armi a 14 Sulle attività di propaganda si veda, tra gli altri, Izveštaj o rasturanju našeg propagandnog materijala u Italiji (DA MSP, ss, 1949, b. 8, doc. n. 694). 15 DA MSP, ss, 1949, b. 9, doc. n. 1965. 16 DA MSP, ss, 1949, b. 8, doc. n. 1911. 17 DA MSP, ss, 1949, b. 1, doc. n. 1965, Trascrizione della riunione ristretta del collegio della Legazione a Roma, 28. 9. 1949. 18 DA MSP, ss, 1949, b. 8, doc. n. 1911. 796 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 raggiungerlo a Belgrado19. Una volta in Jugoslavia i partigiani furono coperti di attenzio-ni, culminate nel ricevimento al cospetto di Tito in persona20. I vertici del KPJ ritennero che con la visita della delegazione italiana si fosse raggiunto un grande successo e di aver sfondato il muro che aveva fino a quel momento circondato il Paese. Speravano che dopo l'evento gli elementi "rispettabili e progressivi" sarebbero rapidamente passati a sostenere la Jugoslavia nella lotta contro il Cominform21. Per que-sto motivo si giunse a progettare un'azione propagandistica più ampia di quella intrapresa fino a quel momento, la quale incluse numerose attività tra cui l'allargamento della rete di contatti in ambienti partigiani attraverso il conferimento di aiuti economici e riconosci-menti onorifici, l'intensificazione dei rapporti con associazioni sportive e culturali nonché la penetrazione tra le fila del PCI e soprattutto far proseliti tra i comunisti interessati a commerciare con la Jugoslavia. Infine, si progettó l'invito nel Paese di delegazioni più numerose e rappresentative. Mentre la Jugoslavia era assorta in questi preparativi, l'Italia veniva attraversata da agitatori afferenti a speciali missioni con il compito di entrare in contatto con comunisti di orientamento filojugoslavo e conquistarli alla causa. Si trattava di veterani di guerra provenienti per lo più dalle fila degli sloveni triestini che si erano resi celebri all'interno del movimento partigiano. In varie missioni di questo genere fu inviato Franc Štoka, che visitó numerose città tra cui Roma, Torino, Milano, Napoli, Bologna, Savona e Bergamo ove saggió la situazione del PCI e l'umore della classe operaia, oltre ovviamente all'at-teggiamento verso la Jugoslavia. In una di queste missioni a Genova, intrapresa nella primavera del 1950, venne accompagnato dal comunista triestino Anton Ukmar - Miro, che aveva combattuto a capo di una delle divisioni che avevano partecipato alla libera-zione della città ed era estremamente popolare tra il partigianato locale22. Un altro degli emissari fu Eugenio Laurenti23. L'attività di questi "missionari" era peraltro nota ai vertici del PCI, informati che soprattutto Štoka e Laurenti smistassero finanziamenti e direttive al loro passaggio (Gori, Pons, 1998, 376). Nel corso del 1950 gli jugoslavi presero a lavorare sempre più intensamente per riuni-re tutti i dissidenti del PCI e degli altri partiti di sinistra. Il tutto era coerente alle direttive emanate da Kardelj alla fine del 1949 per le quali non ci si doveva più rivolgere ai vertici del PCI, ma bensi alla più ampia base del partito24. Belgrado riteneva che, per cominciare, la cosa migliore fosse collegare tutti gli elementi di sinistra projugoslavi presenti in Italia attorno ad una rivista attraverso la quale diffondere le proprie posizioni; per questo nel 19 DA MSP, ss, 1949, b. 8, doc. n. 2205, Rapporto del ministro Ivekovič da Roma, 11. 11. 1949. 20 AJ, 836, I-2-a/48, Ricevimento dei rappresentanti degli ex partigiani italiani in Jugoslavia presso il Maresciallo Tito, 25. 10. 1949. 21 DA MSP, ss, 1949, b. 8, doc. n. 1911, Rapporto del ministro Ivekovič da Roma, 24. 10. 1949. 22 AJ, 507, IX-48/I-98, Rapporto sui viaggi in Italia. 23 Ibidem. Missioni simili vennero effettuate pure dai diplomatici jugoslavi, come il segretario della Legazione a Roma Božidar Stantič che durante un viaggio ufficiale in Sicilia nell'autunno del 1950 aveva contattato singoli partigiani e simpatizzanti jugoslavi per creare contatti personali da invitare alla collaborazione con la Jugoslavia (AJ, 507, XIII-36). 24 Per le dichiarazioni di Edvard Kardelj si veda: Izvori SKJ, 469-482. 797 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 corso dell'anno furono acquisite alcune testate. A Milano fu acquistato il settimanale illustrato Omnibus, mentre a Roma vi fu la rivista Politica nuova. Nello stesso periodo a Trieste cominció ad uscire il filojugoslavo Corriere di Trieste. Nel lavoro di collegamento dei "dissidenti" - cosi venivano chiamati tutti i militanti italiani di sinistra in disaccordo con le tesi ufficiali del partito e allineati su posizioni filojugoslave - furono naturalmente coinvolti i rappresentanti diplomatici jugoslavi a Roma e Milano. Per lo stesso fine, come già menzionato, erano mobilitati i comunisti "ti-toisti" triestini con in testa Branko Babič. Inizialmente i vertici del KPJ avevano stabilito che il bastione dell'impresa fosse proprio il partito triestino25, sicché i suoi rappresentanti riuscirono a creare una propria rete il cui centro era Torino. Qui formarono il movimento comunista Ordine Nuovo il quale raggruppava una varietà di gruppi dissidenti in tutto il nord Italia, tra cui trockijsti, anarchici, ma anche varie personalità che gli jugoslavi so-spettavano di spionaggio a danno della Jugoslavia, per il quale motivo il gruppo torinese non godette mai di piena fiducia. Poiché gli attivisti triestini, tra cui Laurenti che fungeva da collegamento26, erano coinvolti nelle attività del gruppo in maniera scoperta, esso fu subito noto al pubblico italiano come una filiale jugoslava e un gruppo "titoista"27. Venendo all'attività delle sedi diplomatiche, queste riposero la propria fiducia in un gruppo costituitosi a Roma attorno a Davide Domenico, ex segretario della sezione del PCI di Soriano e membro del comitato provinciale del partito di Viterbo. Con Domenico entró anzitutto in contatto l'attaché per la stampa della Legazione romana Josip Defrančeski, a cui dal maggio del 1949 subentró Ivekovic28. Per il disaccordo con la politica del PCI verso la Jugoslavia, Domenico ne era stato bandito nel corso del 1949, per poi recarsi in Jugoslavia accodandosi ad un gruppo di agricoltori in visita e intensificare da quel momento la collaborazione con Belgrado. Del gruppo romano fece parte anche Comunardo Morelli, sindaco comunista di Terni dal 1946 al 1948, espulso dal partito per simpatie jugoslave e sul quale circoló addirittura la notizia che, nel 1949, intendesse fondare il "Nuovo partito comunista italiano" di orientamento anticominformista; infine Pierleone Macini, quadro del PCI a Tivoli. Sarà il gruppo attorno a Davide Domenico a dare l'avvio a Politica Nuova. Questo gruppo romano avrebbe dovuto avere il ruolo di matrice per la formazione di gruppi simili in tutta Italia. Il fine era la convocazione di una conferenza nella quale si sarebbe dovuta elaborare una piattaforma con un programma minimo di lavoro. Tutti i gruppi riportati ricevevano da Belgrado cospicui finanziamenti, sia per le attività politiche che per il lavoro dei quadri29. 25 AJ, 507, IX, s/a-3, Verbale della sessione del KMOV, 20. 12. 1950. 26 AJ, 507, IX-48/I-103, Rapporto dall'Italia, 10. 10. 1950. 27 II ministro jugoslavo a Roma defini le attività dei comunisti triestini nella seguente maniera: "I compagni di Trieste non capiscono cosa si possa dire, e cosa di debba tacere agli italiani. Hanno parlato di cose di cui non dovevano. A Torino si sa che la risoluzione del gruppo torinese è stata approvata da Kardelj, e la stampa del PCI l'ha perfino scritto" (AJ, 507, IX-s/b-4, Riunione della sottocommissione del KMOV per l'Italia, 29. 12. 1950). 28 DA MSP, ss, 1949, b. 9, doc. n. 940, Trascrizione dell'incontro tra il ministro jugoslavo a Roma e il segretario della sezione del PCI di Soriano e membro della federazione provinciale del partito di Viterbo Davide, 6. 5. 1949. 29 AJ, 507, IX, s/a, doc. n. 3. 798 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATE ..., 785-812 Senza rispettare il primato nell'organizzazione dei gruppi dissidenti conferito ai co-munisti triestini, le sedi diplomatiche di Roma e Milano presero ad agire per conto loro, il che portó a conflitti di competenza e al palesarsi di rivalità e gelosie30. Il salto di qualità, consistente nella decisione di raggruppare tutti i gruppi filojugoslavi in un'unica formazione, fu preso sullo scorcio del 1950. Il primo passo concreto in tale direzione fu fatto il 12 dicembre 1950, quando si tenne a Roma una riunione con i filojugoslavi da varie città italiane (alla riunione erano presenti rappresentanti da una decina di gruppi da Roma, Milano, Torino, Genova, Tivoli, Ancona e Trieste) durante la quale ci si accordó sulla piattaforma di lavoro futuro. Si trattó nella quasi totalità di dissidenti del PCI, mentre un solo gruppo proveniva dalle fila del PSI31. Alla conferenza, alla quale presero parte Babic e Laurenti, si con-venne che il punto di riferimento per il lavoro futuro fosse la rivista Política nuova e il suo leader Davide Domenico. Riuniti nuovamente il 15 dicembre hanno emesso una risoluzione, sulla quale si doveva discutere fino all'organizzazione di un congresso nazionale che avrebbe nominato i vertici dell'organizzazione e ne avrebbe costituito la struttura in una forma più definita32. In prospettiva si prevedeva la creazione di un mo-vimento ben più ampio che avrebbe abbracciato l'intero spettro politico dai comunisti ai socialisti fino ai socialdemocratici. Il telegramma con cui Ivekovic fa rapporto a Belgrado sulla riunione del 15 dicembre si conclude con l'annuncio di un viaggio del ministro nella capitale jugoslava assieme a Babic a fine mese e con la richiesta di un finanziamento immediato di un milione di lire (corrispondente a circa 16.000 euro attuali33). Questo dimostra che il progetto fosse ormai ben strutturato34 e dovesse aver ricevuto il placet delle più alte sfere. Una simile interpre-tazione trova sostegno in un altro telegramma, purtroppo senza elementi di attribuzione, in cui, in riferimento all'informativa di Ivekovic del 30 ottobre in cui si chiedevano finan-ziamenti per le riviste che, a dispetto della recente fondazione, "si trovano innanzi alla chiusura", si sollecitano i fondi mai giunti sebbene approvati dalla Commissione esteri 30 Ivekovic si distinse per le critiche alle modalita operative dei comunisti triestini. Egli riteneva che il loro leader Branko Babic cercasse nell'organizzazione dei gruppi dissidenti in Italia una via d'uscita dalle scarse prospettive di successo a Trieste, per cui proprio il lavoro politico nel capoluogo giuliano finiva per essere trascurato. In un colloquio con Ivekovic, Babic aveva, del resto, giustificato la propria politica menzionando varie direttive ricevute da Lubiana e Belgrado. Mentre dalla Slovenia gli si chiedeva di concentrarsi sul lavoro a Trieste, da Belgrado, al contrario, si pretendeva che si dedicasse all'Italia (AJ, 507, IX-s/b-4, Riunione della sottocommissione del KMOV per l'Italia, 29. 12. 1950). Un'altra traccia di tale rivalita e contenuta nel giudizio di ambienti belgradesi per cui, negli stessi giorni, Babic stesse preparando una conferenza del gruppo di Torino "nonostante l'accordo con Ivekovic per un'azione unitaria". Si legge nel telegramma che "se le informazioni in nostro possesso sono corrette, allora riteniamo di stare disperdendo le energie, la qual cosa presto si ripercuoterá su di noi" (AJ, 507, IX-48/I-111, unico documento nella cartella). 31 AJ, 507, IX, s/a-3. 32 AJ, 507, IX-48/XIII-41, Resolucija. 33 Fonte Istat: il coefficiente di rivalutazione e stato ottenuto in base all'andamento degli indici del costo della vita che dal 1968 hanno assunto la denominazione di indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. 34 AJ, 507, IX-48/I-109, 13. 12. 1950. 799 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 del Comitato centrale del KPJ, con la considerazione che "sarebbe dannoso abbandonare ora queste operazioni che finora hanno richiesto molto impegno e soldi"35. Eppure, già dall'inizio erano evidenti gli elementi di debolezza dei "compagni ita-liani" stretti attorno a Politica Nuova, evidenziati nel settarismo, nel mancato desiderio di intraprendere azioni di ampio respiro e integrare i transfughi dei vari partiti, nella mancanza di personaggi illustri che dessero visibilité al movimento. Sembrava che le prospettive del "movimento progressista" fossero già dall'inizio poco luminose, destino del resto condiviso dai tentativi jugoslavi di organizzare i propri simpatizzanti in altri paesi europei, come ad esempio nella Repubblica federale tedesca (Dimic, 2015). BELGRADO CHIAMA REGGIO Tornando ai "Magnacucchi", il rapporto inviato da Ivekovic al Ministero degli esteri il 3 febbraio 1951 costituisce la prova dell'estraneità jugoslava rispetto alla mozione di Reggio Emilia e alla successiva espulsione. In esso si fa riferimento a una cena offerta la sera prima, presso la Legazione jugoslava a Roma, a vari diplomatici stranieri oltre che a Vittorio Zoppi e Gastone Guidotti, nel corso della quale "tutti parlavano e si interessa-vano al caso dei dirigenti comunisti Cucchi e Magnani ritenendo che ne siamo coinvolti. Purtroppo non lo siamo [in orig.: "Na zalost nismo"]."36. L'emozione suscitata dall'espulsione di Magnani, dunque, viene a sparigliare inaspet-tatamente le carte di un'operazione che, per quanto incerta nella realizzazione e negli esiti, risultava già avviata. A sostegno di tale interpretazione, nel primo messaggio dispo-nibile in cui Ivekovic affronta il caso di Magnani e Cucchi, risalente al primo febbraio, si cerca di innestare idealmente i due transfughi nel progetto già in atto e in una cornice concettuale, sviluppata nel corso dell'anno precedente, incentrata sulla crisi del PCI come processo certo e ineludibile37. Nel documento il ministro esprime la considerazione che agli emiliani "non resti che unirsi al gruppo di Politica nuova". Le riviste filojugoslave, peraltro, vengono idealmente messe a disposizione del gruppo affinché vi pubblichi le proprie dichiarazioni, mentre l'intervento di Magnani a Reggio viene definito estremista perché "nella tesi sulla protezione del Paese da qualsiasi aggressione [...] avrebbe fatto meglio a prendere posizione solo contro l'aggressione, e non menzionare la difesa,'3S. Nella stessa direzione il rapporto inviato il giorno successivo, nel quale, oltre a rilevare, a ulteriore conferma di una mancata concertazione, che "il luogo ove Magnani soggiorna è ignoto" e che "permangono molti aspetti oscuri" sulla vicenda si riporta che "i sintomi della crisi del PCI sono sempre più fortf e che "il movimento di solidarietà con le affermazioni di Magnani si diffonde, sebbene manchino atti concretf aggiungendo che "finché non escono allo 35 AJ, 507, IX-48/I-111, unico documento nella cartella. 36 DA MSP, ss. 1951, b. 25, doc. n. 41536. Magnani aveva effettivamente acconsentito ad un colloquio con i diplomatici jugoslavi il 17 luglio 1950 a Roma, colloquio rimasto pero privo di esiti (Bianchini, 2013, 81-83). 37 AJ, 836, I-3-b/346, 1. 2. 1951. 38 AJ, 836, I-3-b/346, 18. 1. 1951. 800 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 scoperto non possiamo dir nulla del loro successivo sviluppo, sebbene non escludiamo nuove sorprese da parte loro"39. La messa a disposizione delle testate finanziate dalla Jugoslavia avrebbe portato a ri-cadute immediate; la fiducia preventivamente riposta nel gruppo emiliano viene espressa già il 3 febbraio con un articolo su Politica nuova intitolato Perché Cucchi e Magnani hanno lasciato il PCI. Il settimanale, di pur limitata diffusione e influenza, testimonia il tentativo di controffensiva ideologica jugoslava: dopo un attacco alla campagna denigra-toria cominformista subita dai dissidenti e la considerazione che "i metodi di Botteghe Oscure [ovvero la direzione del PCI, la cui sede centrale era, appunto, a Roma, in Via delle Botteghe Oscure] non sono cambiati neppure davanti alla più chiara realtà" ci si sofferma sul passato irreprensibile di Cucchi e Magnani e sul loro ruolo nella Resistenza, per attaccare l'atteggiamento del PCI con la considerazione che aprire un dialogo su quelle tesi "sarebbe stato in linea con la prassi marxista, ma il marxismo non aleggia più su Botteghe oscure" la cui preoccupazione è proteggere gli interessi dell'élite sovietica "che è nazionalista, invaditrice e antimarxista, la cui casta burocratica ha reclamato a sé tutto il potere abusandone sia in politica interna che estera limitando lo sviluppo rivoluzionario nel mondo e diventando cosí corresponsabile del più avido imperialismo a danno delle masse proletarie". L'articolo si conclude con un appello alla fondazione di un partito che, anziché prendere ordini da Est o da Ovest, si erga a interprete dei veri bisogni dei lavoratori italiani, seguito dall'invocazione dai toni attivistici per cui "innanzi a noi vi è un grande compito e spetta a noi realizzarlo"40. Già la settimana successiva, in un rapporto redatto a commento della dichiarazione rilasciata alla stampa da Magnani e Cucchi sul voler procedere verso la formazione di un gruppo autonomo Ivekovic rovescia completamente le aspettative iniziali nel constatare che "Magnani e i compagni non si uniscono a nessuno dei gruppi e partiti esistenti mentre desiderano unificare tutti gli elementi rispettabili sulla base dell'unità socialista, indipendentemente da qualsiasi partito". L'adeguamento dei paradigmi interpretativi della Legazione jugoslava alla realtà della situazione, al prezzo di dare l'impressione di una certa subordinazione, è immediato giacché si giudica positivamente che "non abbia-no intenzione di creare un movimento titoista né unirsi ai titoisti esistenti, e con questi evitano di avere rapportf ", e anzi si ritiene ora che siano gli elementi ruotanti attorno a Politica nuova ad essere destinati ad unirsi ai dissidenti emiliani. Il rapporto chiude con la notizia della venuta di Magnani a Roma in settimana, nella quale occasione è previsto un incontro con il segretario personale di Tito, Nikola Mandic41. Pur accondiscendendo in realtà ad una linea espressa autonomamente da Magnani e Cucchi, sembra essere questo il momento in cui ci si emancipa dalla precedente let-tura ideologica e ci si rende conto che i due dissidenti emiliani offrono prospettive di successo più attendibili rispetto al personale politico disponibile fino a quel momento. Questa ipotesi troverebbe conferma nel fatto che Politica nuova e Omnibus vengono 39 AJ, 836, I-3-b/346, 4. 2. 1951. 40 AJ, 507, IX-48/III-2, 3. 2. 1951. 41 AJ, 836, I-3-b/346, 12. 2. 1951. SGi ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 rapidamente liquidati per lasciare spazio al più convincente Risorgimento socialista, settimanale ufficiale del MLI che avrebbe visto la luce il 16 giugno 1951 qualificandosi subito per la qualità e l'alto valore informativo dei contributi pubblicati soprattutto per la politica estera - vi collaborarono tra gli altri Erich Ollenhauer, leader storico della socialdemocrazia tedesca e l'intellettuale ungherese François (Ferenc) Fejtö - nonché per un discreto successo di vendite42. Il 21 febbraio, in una relazione indirizzata personalmente a Kardelj, Ivekovic rende conto dell'avvenuto incontro tra Mandic e Magnani il quale "sapeva in anticipo che avrebbe incontrato le nostre simpatie ed aiuto". Si ribadiscono le considerazioni sulla creazione di un movimento unitario antistalinista che si sarebbe basato, oltre che sui grup-pi e singoli già disponibili, su certi socialisti con cui Magnani dichiara di avere contatti. La cosa sembra sul punto di approdare a risultati tangibili con la promessa di Magnani di recarsi presto a Roma per organizzare il comitato di iniziativa del nuovo progetto politico43. Per evitare di attribuire alle consultazioni jugoslave un significato diverso da quello che oggettivamente ebbero, è di grande importanza il lungo elaborato inviato da Ivekovic a Belgrado il 23 febbraio e significativamente intitolato Crisi del partito comunista italiano e nascita del movimento di Unità socialista. Il lungo documento, di ben 26 pagine, costituisce il terzo di una serie di rapporti semestrali redatti dalla Legazione sull'argomento. In questa lunga ricognizione della situazione italiana, pur basata su dati reali, l'interpretazione degli eventi subisce una torsione finalizzata all'in-dividuazione di una crisi potenzialmente fatale del PCI e dei migliori presupposti per il successo del gruppo di Cucchi e Magnani, a prezzo della sistematica esagerazione degli spazi di manovra politica aperti dall'appiattimento della Demorazia Cristiana (DC) su posizioni atlantiste e dai movimenti interni al Partito Socialista Unitario (PSU). Leggendo il documento non si puô evitare l'impressione che, in una cornice concettuale perfettamente marxista-leninista, e quindi permeata dal determinismo storico, i vertici jugoslavi abbiano posto il regime sovietico sullo stesso piano del capitalismo, sicché se il secondo è condannato a soccombere per via delle sue contraddizioni interne, sul versante cominformista, invece, nel momento in cui la classe operaia subisce umiliazioni quotidiane nella lotta contro la reazione e il capitale grazie alla politica e tattica opportunistica e controrivolu-zionaria della dirigenza del PCI, e quando si rende sempre più evidente che questa stessa dirigenza asseconda in politica interna ed estera gli interessi della diplomazia e dell'aggressiva politica sovietiche, in questa situazione era necessario che prima o poi scoppiasse il conflitto tra le forze rivoluzionarie e la burocrazia all'interno del partito, e alla ricerca di nuove vie per unire tutte le forze socialiste del Paese 44. 42 Per le vicende di Risorgimento socialista si rimanda al saggio di Luciano Casali (2012). 43 AJ, 836, I-3-b/346, 21. 2. 1951. 44 AJ, 836, I-3-b/346, 25. 2. 1951. Documento citato anche da Stefano Bianchini (2013). 802 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 Quest'affascinante interpretazione, per cui le élite jugoslave si pongono al vertice del progresso storico e alla vera avanguardia della classe operaia, rimane peraltro assai fumosa nelle prospettive concrete del movimento che pur vengono giudicate ottime. L'entusiasmo per Magnani, ad ogni modo, si rafforza a mano a mano che la sua espul-sione viene reclamizzata. Per tutto il mese di febbraio si assiste al dilagare di indiscrezioni sensazionalistiche sulla stampa italiana e in ambienti di intelligence americana45. Indicativo è in tal senso che perfino gli ambienti diplomatici statunitensi siano stati inclini in un primo momento ad attribuire alla cacciata di Cucchi e Magnani un'importanza del tutto sproporzionata, ritenendo che "il malcontento che bolle da tempo dentro il PCI" avesse finalmente trovato in Magnani e Cucchi degli interpreti di rango e potesse preludere alla disaggregazione del comunismo italiano e alla riarticolazione della sinistra su basi neutraliste o addirittura filo-atlantiche (Del Pero, 2013, 169). L'entusiasmo delle prime reazioni della diplomazia statunitense mostrano quasi di convergere, sul piano interpretativo, con quelle della diplomazia jugoslava. A differenza che in Jugoslavia, peró, l'ottimismo degli americani si smorzó prestissimo di fronte all'evidenza sia del limitato impatto della formazione politica dei transfughi sia del fatto che Cucchi e Magnani non avessero affatto ripudiato le loro convinzioni comuniste (Del Pero, 2013, 174). La Legazione guidata da Ivekovic non poteva rimanere immune a un simile entusiasmo. L'attività attorno al gruppo emiliano si intensificó, come si intuisce dalla compi-lazione di lunghe rassegne stampa (conservate in vari documenti della rappresentanza jugoslava) con gli articoli in cui si dà copertura alle vicende del gruppo scissionista. La primavera del 1951 culmina con la fondazione prima dei Comitati per l'unità e l'indipendenza del movimento operaio e infine del MLI. Gli entusiasmi iniziali, peró, sembrano essere già in procinto di scemare, dacché in un'informativa dell'ottobre 1951 si riconosce che nonostante il movimento disponga ormai di una discreta rete organizzativa non stia riuscendo ad assumere un carattere di massa e sia praticamente sconosciuto ai lavoratori anche per via della scarsa presenza a livello sindacale46. I risultati ottenuti dal gruppo, infatti, prima con le elezioni amministrative del 1952 che avevano costituito una specie di test, e poi con le politiche del 1953, deludono le aspettative. Nonostante i finanziamenti, sia diretti che attraverso la ditta OPIMES47 e l'aiuto prestato dalla diplomazia jugoslava, che si prodigó per allargare la rete di contatti a disposizione di Magnani, i risultati elettorali del partito, intanto rinominato Unione socialista indipendente con la confluenza dei reduci del Partito cristiano sociale, avrebbe 45 Per una rassegna delle valutazioni su Cucchi e Magnani espresse dagli ambienti diplomatici statunitensi si rimanda al saggio di Mario Del Pero (2013). 46 AJ, 507, IX-48/III-9, 30. 10. 1951. 47 Fondata nella primavera del 1954, la OPIMES fu una società per il commercio di legname e carne congelata apparentemente fondata su iniziativa di Magnani (AJ, 507, IX-48/III-16, Zabeleška o razgovoru sa drugom Cocconi - 7. i 13. aprila 1954 godine). L'impresa commerciale, della quale si occupava Cocconi che per questo prese a recarsi in Jugoslavia con cadenza mensile non sembra aver conseguito risultati commerciali apprezzabili, anche per via delle risicate quote di beni previsti per l'esportazione dalla pianificazione economica jugoslava. Da alcuni documenti si ricava inoltre l'impressione che sia stata usata per finanziare l'USI in maniera surrettizia, tanto che solo Magnani era al corrente della vera situazione finanziaria della ditta. BG3 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 Conlro ¡ iliríi'orilí socialcomuiiisli uwrrvili ¡illa Kiis^ia c i dirigen)i social dcniorrisf ¡«ni hsmtvIií dl'AmericO Vota SOCIALISMO IMHI'FAUEVTK Fig. 1: Manifestó elettorale dell'USI per le elezioni del 1953, tratto da Risorgimento socialista del 7 giugno 1953 (per l'immagine si ringraziano Learco Andald, dalla cui collezione personale il materiale è tratto, e la Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna per averla trasmessa agli autori). dimostrato che con 225.000 voti e il fallimento di svariati tentativi di proporre liste unitarie con il PSI e il PSU le istanze rappresentate dal gruppo di Magnani non avevano intercettato quote di elettorato significative, e questo per alcuni motivi. Anzitutto la po-larizzazione determinata dalla Guerra fredda erodeva lo spazio di manovra politica per forze indipendenti che, sganciandosi dalla logica dei blocchi, venivano a trovarsi prive dei cospicui mezzi finanziari a disposizione invece dei partiti sostenuti da Stati Uniti e Unione Sovietica, con i quali la Jugoslavia non poteva certo competere. Secondariamente la stessa esigenza "nazionalcomunista" espressa da Magnani, pur avvertita con urgenza da un nutrito numero di intellettuali, trovava scarso riscontro nell'elettorato comunista rassicurato dalle prospettive già reali del socialismo in Europa centro-orientale e dal mito dell'URSS. A poco valse la consolazione che con il suo magro paniere di voti l'USI avesse contribuito a impedire alla DC e ai suoi alleati di beneficiare del premio di maggioranza previsto dalla "legge truffa". All'indomani della morte di Stalin, in ogni caso, il progetto di un partito italiano non allineato alla logica dei blocchi aveva perso gran parte della sua 804 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATE ..., 785-812 Fig. 2: Particolare di un manifesto elettorale dell'USI distribuito come supplemento al Risorgimento Socialista del 7 giugno 1953 (per l'immagine si ringraziano Learco Andald, dalla cui collezione personale il materiale é tratto, e la Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna per averla trasmessa agli autori). attualitá. Un ulteriore aspetto di criticitá nella strutturazione di un progetto politico estra-neo alle logiche della Guerra fredda riguarda l'espressione di un orientamento coerente. L'allineamento alle superpotenze finiva per semplificare la dialettica interna ai partiti relegando ai margini le voci di dissenso, come lo stesso Magnani aveva ben sperimentato all'interno del PCI. Per questo motivo, un partito di transfughi raccogliticci come quello di Magnani non riuscirá mai, al di lá delle premesse, a trovare una linea si sintesi delle proprie posizioni, il cui riflesso piu evidente fu la forte conflittualitá interna tra le varie componenti. Limitandosi ai protagonisti piu noti, e assai indicativo che Magnani sarebbe tornato al PCI solo dopo alcuni anni trascorsi nel PSI, Cucchi raggiunse il PSDI mentre il grosso del partito rimase all'interno del PSI nel quale fu decretata la confluenza nel 1957. Il sostegno espresso dall'USI all'"italianitá di Trieste" (Bianchini, 2013, 141-142) simboleggia bene la debolezza strutturale del concetto di un'unione tra non allineati, vale a dire l'impossibile soluzione della contraddizione, in assenza di coercizione, tra principi generali di politica estera e una pluralitá di istanze nazionali concrete. Anton Vratusa, uno dei piu fini conoscitori della realtá comunista italiana, apprezzo che dopo le elezioni del 1953 "l'USI ha smobilitato quasi tutto il suo apparato organizzativo" nonostante "ries[ca] a mantenersi e a palesarsi almeno in qualche modo nella vita politica sebbene si trovi tra i due blocchi,,4S. Di li a pochi mesi le elezioni provinciali in Sicilia, per le quali l'USI stimo la necessitá di cinque milioni di lire in aggiunta ai diciotto milioni (pari a circa 34.0000 euro attuali) giá presi per la prima metá del 1954 (in parte prelevati dalla 48 AJ, 507, IX-48/III-17, Zabeleška o USI, 9. 6. 1954. 805 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 OPIMES e in parte attraverso la "solidarietà socialista della Lega dei comunisti jugoslavi", ovvero versati direttamente dal governo jugoslavo), avrebbero sancito la debacle elettorale definitiva - con la perdita di un quarto dei voti rispetto alle elezioni politiche dell'anno prima - e la regressione a movimento di opinione. Nonostante l'opinione di Vratuša solo pochi mesi prima che "i compagni dell'USI comunque meritano ancora il nostro supporto"49, a fronte delle mutate condizioni geopolitiche e della mancanza di prospettive dell'USI i finan-ziamenti sarebbero presto mancati. Cosi la proposta di Magnani, in vista della confluenza nel PSI, di finanziare questo come miglior mezzo "affinché Nenni si separi da Togliattf, avanzata nell'autunno del 1955, incontra un secco rifiuto di Belgrado50 e nel 1957 gli jugoslavi stabilirono di coprire le spese per l'ultimo congresso USI "e con questo farlafinita"51 come sarebbe avvenuto in effetti poco più tardi con il saldo dei debiti pendenti. L'USI A TRIESTE Di una possibile funzione del gruppo di Cucchi e Magnani a Trieste, città che il trattato di Pace aveva posto a capitale del TLT, in cui, successivamente, la risoluzione del Cominform aveva consegnato il partito comunista locale alla guida di Vittorio Vidali che vi impose una linea rigidamente antijugoslava, si era parlato nel già citato rapporto di Ivekovic del 12 febbraio in cui si rileva che riteniamo che in questo momento sarebbe dannoso che i compagni di Trieste si espon-gano eccessivamente in Italia. Riteniamo che farebbero meglio ad evitare di mostrarsi troppo in giro, [con probabile riferimento alle abitazioni degli interessati] come invece stanno facendo, perché il PCI tende appunto a dipingere il nuovo movimento come una nostra emanazione. Questo finora non gli è riuscito ma la partecipazione dei compagni di Trieste darebbe al Cominform un'ottima carta da giocare [in orig.: "jake adute u ruke"]. Ritengo sarebbe meglio che per un certo periodo non si facessero affatto vedere in Italia. Successivamente, quando il movimento avrà raggiunto un certo livello di svi-luppo, sarà perfettamente logico che essi vi prendano parte come anche altri gruppi52. La situazione non sarebbe cambiata che a ridosso del Memorandum di Londra (firma-to il 5 ottobre 1954), quindi in un momento in cui, essendo esaurita la funzione nazionale dell'USI, i vertici jugoslavi ritennero di avvantaggiarsene in chiave locale per un fine diverso rispetto a quello inizialmente previsto, vale a dire offrire un approdo politico alla minoranza slovena il cui destino appariva incerto all'interno dello Stato italiano. Nell'estate del 1954 gli eminenti politici sloveni Boris Kraigher e Miha Marinko, rispet-tivamente Presidente del Comitato centrale del partito comunista sloveno e Presidente del governo della Slovenia, incontrarono alcuni alti funzionari del partito di Babič. In 49 Ibidem. 50 AJ, 507, IX-48/III-22, 19. 6. 1955. 51 AJ, 507, IX-48/III-37, 28. 1. 1957. 52 AJ, 836, I-3-b/346, 12. 2. 1951. 806 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 quella sede i lubianesi esercitarono una pressione sui riluttanti triestini affinché questi entrassero compattamente nel partito di Magnani - il quale, a giudicare dagli sviluppi successivi, non doveva esserne stato perfettamente informato. La proposta di Lubiana prospettava una possibile via di uscita dal dilemma per la minoranza che si trovava al bivio tra la perdita di una chiara fisionomía nazionale attraverso la partecipazione alla vita politica dei partiti italiani e il ripiegamento su posizioni "etniciste" chiaramente espresso da Kraigher ai suoi interlocutori triestini nel monito "se rimarrete un partito politico su base nazional-minoritaria, rimarranno in esso soltanto i contadini conservatori [...] che tenderanno a collegarlo al movimento politico reazionario in Italid" (Bianchini, 2013, 144; Pirjevec, 2008, 426). In definitiva il partito di Magnani consentiva nel contesto locale la creazione di un organismo politico controllato dagli sloveni ma di più ampio respiro progressista, adatto, secondo le intenzioni di Kraigher, a "far emergere il contributo del popolo lavoratore sloveno di orientamento democratico nella battaglia per introdurre in Italia rapporti socialisti e democraticf" (Bianchini, 2013, 144; Pirjevec, 2008, 426), ampliando la risicata base di consenso che aveva consegnato al Fronte Popolare Italo-Sloveno, in occasione delle elezioni del 1952, appena il 2,72 % dei voti nella città di Trieste, con risultati più consistenti nelle località del circondario. La creazione dell'USI triestina sarebbe avvenuta nell'autunno del 1955 previa fondazione del Comitato di iniziativa dell'Unione dei socialisti indipendenti in luglio, comunicata a Belgrado da Ivekovic, che ne aveva avuto notizia dal console jugoslavo a Trieste Mitja Vošnjak53. In questa fase la situazione a Trieste permette di essere ricostruita in maniera soddi-sfacente attraverso il resoconto di Anton Vratuša di un incontro con Magnani avvenuto in due fasi - 29 e 31 luglio. In tale occasione Magnani, dopo le consuete considerazioni di carattere generale sugli sviluppi di politica internazionale, rileva le proprie perplessità per il fatto che "nel nuovo movimento sono confluiti tutti i membri del comitato centrale dell'expartito diBabič" annunciando che avrebbe tentato di convincere almeno una parte di questi a desistere dall'adesione. Il giudizio espresso sui comunisti triestini filojugoslavi è peraltro negativo dacché si ritiene che con il loro ingresso nel partito vi porterebbero anche la loro conflittualità personale e si indica che molti avrebbero invece preferito rientrare nel partito vidaliano. Un altro elemento di criticità viene evidenziato da Magnani nella considerazione che dalla collaborazione con la minoranza slovena sarebbero sorti problemi derivanti dai "pregiudizi sciovinisti" dei suoi dirigenti. Nelle conclusioni Vratuša suggerisce di riconsiderare il rapporto di Lubiana con i comunisti della fazione di Babič perché lo stesso Magnani ritiene che Trieste sia una zona in cui siano da tutelare primariamente gli interessi jugoslavi anziché quelli del movimento dei lavoratori italiani. Di particolare importanza, stante la sottolineatura, la considerazione che "penso che in nessun caso avrebbe senso collegare con l'USI il Corriere di Trieste, e ancor meno il Primorski Dnevnik. Ma questo sarà difficile da ottenere se i dirigenti di questi organi saranno gli stessi del comitato dell'USI a Trieste"54. 53 AJ, 507, IX-48/III-20, 16. 7. 1955. 54 AJ, 507, IX-48/III-21, 23. 8. 1955. 807 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 Al di là delle pur comprensibili perplessità è presumibile che in questa fase il potere contrattuale di Magnani fosse assai ridotto; fu infatti egli stesso a celebrare la conver-genza delle due forze politiche con un comizio organizzato a Trieste, al Cinema Aurora, nell'ottobre 1955. L'USI triestina sarebbe ritornata a far parlare di sé a ridosso della confluenza del mo-vimento di Magnani nel PSI. Nel corso di un incontro tra Kardelj e Laurenti, il direttore del Corriere di Trieste di orientamento indipendentista, risalente al gennaio del 1957, l'autorevole leader sloveno denuncia la mancanza di senso nella confluenza a livello locale in un partito, il PSI, che a Trieste "è stato fondato da Vidali nel 1948, e non ha tradizione né influenza". Continua Kardelj che "è opportuno che l'USI triestina subito dopo la liquidazione dell'USI nel resto d'Italia rilasci una dichiarazione in cui esprime accordo con la posizione di Magnani, ma che la situazione dell'USI triestina necessita di una diversa soluzione", che viene individuata nella creazione di un organismo politico autonomo con la prospettiva eventuale di una confluenza nel PCI, ma con l'avvertimento che "la fusione va evitata il più a lungo possibile"55. Lo scenario evocato da Kardelj è quello di una possibile uscita di scena di Vidali56, sul quale, nella previsione di una confluenza del PCTLT nel PCI, che tardava ad avvenire nonostante la città fosse stata restituita all'Italia da più di due anni, vengono riportate voci di un possibile ritorno in Messico, nel quale caso l'USI avrebbe potuto esercitare una notevole influenza sul PC locale privo della sua guida carismatica (in realtà Vidali sarebbe rimasto alla guida del partito anche dopo la confluenza, decretata nel giugno dello stesso anno). Con le compite lamentele espresse dal direttore di Risorgimento socialista presso l'Ambasciata jugoslava a Roma il 23 febbraio 195757 in merito alla scarsa trasparenza nella gestione dei fondi, determinata dal fatto che gli jugoslavi abbiano sempre gestito questo aspetto con il solo Magnani, si concluse simbolicamente la parabola politica dell'USI, resa progressivamente una fonte di intralcio, se non di aperto imbarazzo, in un contesto internazionale profondamente mutato a seguito della morte di Stalin (marzo 1953), della relativa normalizzazione dei rapporti tra la Jugoslavia, l'URSS e i partiti comunisti europei, in primis quello italiano, nonché dalla chiusura della vertenza triestina e dall'apertura di scenari di protagonismo jugoslavo in politica estera assai più promettenti, quali quelli prospettati dal Movimento dei paesi non allineati, in quegli anni in piena espansione. L'ultima emanazione dello strappo di Reggio Emilia sarebbe sopravvissuta nella sola Trieste fino alle elezioni del 1962, lo stesso anno in cui, per coincidenza, Magnani era riammesso nel PCI (dopo aver fatto "autocritica"), mentre Cucchi come già menzionato aveva raggiunto il PSDI sei anni prima (per lui lo strappo con Togliatti e compagni era del tutto insanabile). 55 AJ, 507, IX-48/III-36, 11. 1. 1957. 56 Poco più di un anno prima, nel dicembre del 1955, ad un incontro cui parteciparono Giancarlo Pajetta e Anton Vratuša il dirigente del PCI chiese apertamente che la Jugoslavia ponesse fine al sostegno al gruppo di Magnani, poiché questo, alimentando lo scontro tra comunisti filoitaliani e filojugoslavi a Trieste finiva per alimentare il radicalismo di Vidali ormai superato dai nuovi orientamenti del partito nazionale (Bianchini, 2013, 151). 57 AJ, 507, IX-48/III-37, Visita di Andreoni e Libertini all'ambasciata jugoslava a Roma, 23. 2. 1957. SGS ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 CONCLUSIONI Le attività di influenza politica intraprese dalla Jugoslavia in Italia sono state paradi-gmatiche delle contraddizioni del mondo comunista tra spinte localiste e necessità pratica di un coordinamento a livello centrale. Se nel 1948 era stata la Jugoslavia a subire la condanna di Mosca per aver impostato una politica autonoma dalle esigenze del Cremlino, la decisione del politburo del KPJ di stabilire una rete di rapporti con le forze progressiste antistaliniste europee senza peró addivenire alla creazione di un "Cominform antistalini-sta" non ebbe semplicemente possibilité di successo, e questo per due ragioni. Anzitutto il desiderio di non interferire sugli orientamenti espressi dai movimenti politici nella sfera di influenza jugoslava finiva per creare una situazione in cui essi di fatto erano cosi diversi da non rappresentare alcun fenomeno unitario. Secondariamente, il mito dell'Unione Sovietica e la capacité di mobilitazione e coinvolgimento dei partiti comunisti "classici" lasciavano uno spazio di azione esiguo ad organizzazioni ugualmente comuniste che da essi si differenziavano per questioni ideologiche difficilmente apprezzabili all'elettorato. È questo il giudizio espresso, a decenni di distanza dai fatti, da Vladimir Velebit, che nel corso del 1951 subentró a Ivekovic quale capo della Legazione jugoslava in Italia. Riporta infatti il diplomatico nelle sue memorie che si palesd una coppia di parlamentari comunisti italiani che si erano separati dal partito e impegnati a crearne uno parallelo che fosse indipendente da Stalin e dalla sua conduzione del movimento proletario mondiale. Ma questo tentativo non aveva alcuna speranza di successo. Ai lavoratori questi conflitti astratti tra intellettuali di sinistra sembravano incomprensibili e dannosi. Il riferimento alla grande e allora ancora assai potente Unione Sovietica sembrava loro assai piu reale e sicuro che il dibattere sulla democratizzazione del partito (Velebit, 2016, 529). Il partito di Cucchi e Magnani rappresentó comunque, al di là dell'estraneità della diplomazia jugoslava rispetto alla mozione presentata al congresso della Federazione del PCI di Reggio Emilia il 19 gennaio 1951 (estraneità che si ritiene di aver provato in maniera consistente) il momento di maggior successo del tentativo jugoslavo di orga-nizzare una sinistra europea antistalinista. In assenza del patrocinio jugoslavo accordato ex-post ad una situazione che si deve ritenere variante locale delle menzionate tensioni tra comunismo nazionale e internazionalismo, l'azione jugoslava di proselitismo politico si sarebbe quasi certamente limitata a forme poco efficaci di agitazione tra i partigiani che avevano combattuto in Jugoslavia. Tra antistalinismo e necessità di rappresentare qualcosa di diverso dalla socialdemo-crazia, il desiderio di un comunismo democratico si sarebbe palesato ancora in futuro, sia negli esperimenti di democratizzazione in alcuni Paesi del blocco comunista che incapparono nella repressione sovietica che, da ultimo, nella formulazione poco chiara di "eurocomunismo" abbracciata dai partiti comunisti italiano, spagnolo e francese nei tardi anni Settanta. 809 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATIE ..., 785-812 KOMUNISTI DRUGE SORTE: PROJUGOSLOVANSKE SIMPATIJE V ITALIJI (1948-1962) Federico TENCA MONTINI Universita degli Studi di Teramo, Facolta di scienze della comunicazione, Via R. Balzarini 1, 64100 Teramo, Italija Sveučilište u Zagrebu, Filozofski fakultet, Ivana Lučiča 3, 10000 Zagreb, Hrvaška e-mail: fftencamontini@unite.it Saša MIŠIC Univerzitet u Beogradu, Fakultet političkih nauka, Jove Iliča 165, 11010 Beograd, Srbija e-mail: sasa.misic@fpn.bg.ac.rs POVZETEK Politična aktivnost, ki sta jo na začetku petdesetih let vodila Valdo Magnani in Aldo Cucchi — zlasti z ustanovitvijo stranke Unione Socialista Indipendente —, je bil najbolj očiten poskus jugoslovanskega vmešavanja v italijansko notranjo politiko v obdobju hladne vojne, potem ko je bila Jugoslovanska komunistična partija izključena iz Informbiroja. V pričujočem članku avtorja opišeta najprej prve poskuse Jugoslavije leta 1948, in sicer preko jugoslovanskega poslaništva v Rimu in projugoslovanskih krogov na Svobodnem tržaškem ozemlju. Na začetku naj bi predvsem vplivali na številne nekdanje italijanske partizane, ki so se med drugo svetovno vojno bojevali v okviru Titovega odporništva, nato pa je bila želja postaviti na noge skupine disidentskih komunistov, ki naj bi bili povezani s projugoslovanskim tiskom, zlasti revijama Omnibus in Politica Nuova. V naslednji fazi naj bi vlogo projugoslovanskega pogleda prevzela stranka Unione Socialista Indipendente, čeravno — kot dokažeta avtorja — beograjska vlada ni neposredno vplivala na njeno ustanovitev, pozneje pa jo je finančno podpirala. Poskusi niso bili najuspešnejši in jugoslovanske oblasti so pomoč t. i. skupni Magnacucchi leta 1957 v bistvu opusitile, saj se je med drugim mednarodni geopolitični kontekst spremenil. Avtorja sta upoštevala najbolj relevantne podatke italijanske in bivše jugoslovanske historiografije, predvsem pa sta analizirala vrsto neobjavljenih primarnih virov, ki jih hranijo beograjski arhivi, se pravi Diplomatski arhiv ministarstva spoljnih poslova in Arhiv Jugoslavije. Ključne besede: hladna vojna, Komunistična partija Jugoslavije, Komunistična partija Italije — Partito Comunista Italiano, tretja pot, protistalinizem, Valdo Magnani, Aldo Cucchi, Unione Socialista Indipendente, Magnacucchi 810 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • S Federico TENCA MONTINI & Saša MIŠIC: COMUNISTI DI UN ALTRO TIPO: LE SIMPATE ..., 785-812 FONTI E BIBLIOGRAFIA AJ, 836 - Arhiv Jugoslavije, Beograd (AJ), fond Kabinet Maršala Jugoslavije (836). AJ, 507, IX - AJ, fond Savez komunista Jugoslavije (507), Komisija za medunarodne odnose i veze Centralnog komiteta Saveza komunista Jugoslavije - KMOV (IX). 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