ANNO XXVI. Capodistria, 1 Dicembre 1892. N. 23 LA DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3 ; semestre e qua-Irimeetre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Sedazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gra tritamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Od numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. Perchè la causa slava non sia simpatica Perchè mai, si domanderà, la causa slava desta poca simpatia, generalmente parlando, nel mondo civile, e in particolare nella gente italiana ? E non si è lottato in tutta Europa in questo secolo per l'indipendenza delle nazioni ; e non è con questo principio che si è costituito il Regno d'Italia e l'Impero Germanico ? E con qual giustizia poi si nega alla nazione slava di fruire di quegli stessi benefizi che altri hanno conquistato per sè ? Il lamento è giustissimo, e a meno di ammettere a priori che un Joudo d'egoismo. in taqtn. luce di civiltà, governi le nazioni civili, "bisogna pure riconoscere che queste abbiano delle buone ragioni per giudicare con due pesi e due misure, a rischio di togliere valore agli argomenti addotti a sostenere il diritto. É prezzo dell' opera esaminare queste ragioni ; per allontanare da noi Istriani specialmente, la taccia d'incoerenza. E queste sono : la tendenza aggressiva al diritto altrui, e la poca civiltà, anzi diciamolo chiaro, lo stato di semi-barbarie in cui vivono ancora gli Slavi in molte regioni, in onta ai lodevolissimi sforzi di scrittori e legislatori di loro nazione. Cominciamo dalla prima. Egli è un fatto (e noi Istriani lo deploriamo ogni giorno) che gli Slavi non paghi di reclamare per sè il diritto nazionale, dove per ragioni etnografiche e storiche prevalgono ed offrono un tutto compatto, tendono a prevalere sugli altri popoli, e vorrebbero se possibile, distruggere ogni altra nazionalità che si trova con essi a contatto : la Germania e l'Italia informino. Gli sforzi quotidiani e la guerra continua degli Czechi in Boemia, dei Croati nell' Istria, e dentro ai confini dello stesso Regno d'Italia nel Friuli, sono troppo noti. Ciò proviene, sono pronto ad ammetterlo, oltreché da difetto, che più o meno si trova ingenito in tutti i popoli, anche da ragioni storiche. Poveri e dispersi nel Medio Evo, non hanno avuto mai tanta forza da penetrare compatti e con un intento ben chiaro in casa altrui, come gli Arabi ed i Tedeschi, ma si limitarono a frequenti e selvagge scorrerie, e a penetrare alla spicciolata qua e là, dove si spresentava 1' occasione, prendendo specialmente possesso dei luoghi sterili e incolti, che i vecchi padroni cedevano loro non senza però qualche rigorosa protesta ; simili in ciò a un torrente che, i,.Uata-una forte diga, si arresta; ma non cessa di gorgogliarvi intorno, e di penetrare di là sul difeso terreno per frequenti rime, in forma di rigagnoli, e producendo piccoli laghi ed acquitrini. Così si distesero al nord nei paesi germanici, e nella regione italica, nell' Istria e nel Friuli. La nostra storia in ogni pagina è là a dimostrare questo fatto ; le cronache parlano di scorrerie e devastazioni di SI" ";C i Gr~orio Pap^ lamentavi ci rm ves'civc . ■ w, de SI ; or uni gente, qu 3 vobis v "de i emiri '..... conturbar quia per Istriae acitu , ja j l, /.,..' n inir::re coeperunt ; il placito di Risano n' è una selenio conferma, senza dire di quegli altri che la Repubblica Veneta improvvidamente chiamò a riempire i vuoti delle pestilenze nelle i.ostre desolate campagne. Il fatto poi del trovarsi qua e là sul suolo germanico ed italiano delle isole di tribù slave penetrate sul suolo altrui, nel modo che si è detto di sopra, contribuì ad infiammare vieppiù la fantasia degli Slavi e ad accrescere questa loro ingenita tendenza aggressiva in modo, che molti, nella beata loro ignoranza e semplicità, si danno anche oggi a credere in buona fede che mezzo mondo sia slavo. Le storielle di Adamo ed Eva parlanti una lingua affine e dei Serenissimi della Repubblica Veneta, slavi della più bella acqua in origine, si prestano benissimo alla canzonatura ; ed agli eruditi di Germania e d'Italia danno occasione di ridere, senza prenderle neppure per un momento sul serio ; sta il fatto però che da questa gente così fanatizzata gravi danni è ragionevole temere ; ed ecco così spiegato, come a dotti ed indotti simile gente rompa parecchio le scàtole e perciò ci sia diventata cordialmente antipatica. Nessuna meraviglia adunque se le venga (se a diritto o a torto non sempre mi trattengo a discutere) negato 1' uso di un diritto comune, e il godimento di quei beni che abbiamo così cari. Si ha un beli' invocare gli articoli della costituzione, e i paragrafi del codice ; sta il fatto però che, dacché mondo è mondo, la natura umana è costituita così, che quando altri costantemente tende a rapirci il nostro, noi trascorriamo a render pan per focaccia. Non è l'ideale pur troppo questo dell'umanità; ma io noto semplicemente il fatto, e sto al positivo, al fatto col Machiavelli, i principii del quale non sarà forse possibile eliminare del tutto. Questa notata antipatia per la causa slava vuol essere esaminata poi sotto un altro aspetto. Se gli slavi si presentassero sulla carta d' Europa in un tutto ben compatto, se la regione da essi abitata potesse formare col tempo uno stato o una federazione di stati arrotondati, e distinti, sarebbe un' altra faccenda : ma così come sono, divisi e frastagliati di necessità devono subire le influenze altrui, e addattarsi, senz' altre pretese a riconoscere la supremazia di quelli che per coltura e ragioni storiche vantano maggiori diritti di loro. Sempre nei paesi di nazionalità mista, i più colti hanno avuto ragione ; e iu certi casi la civiltà e il diritto storico prevalsero anche sul numero. Andate un po' a persuadere i Tedeschi e gli Ungheresi a rinunziare al sacrosanto diritto di trattare dei loro affari in parlamento a Berlino, a Vienna, a Pest solo in tedesco od iu ungherese, per la ragione che nella Slesia, nell'Austria, ed in Ungheria ci sono anche degli Slavi. E quanto a noi Istriani non vogliamo certo rinunziare all' antica nostra civiltà e alla lingua, perchè di straforo sulle nostre campagne un tempo tutte latine, penetrarono gli Sloveni, i Serbi, i Croati, e non so quante altre tribù ; con la stessa logica degli Ungheresi e dei Tedeschi abbiamo il diritto di lamentarci se la scuola, la dieta, il foro vengono mutati ili una babele, in nome di un diritto riconoscibile in dati casi, ma nullo quaudo invade il diritto comune. E ciò per la semplice ed elementare ragione costitutiva di ogni società. Come ogni società non è umanamente possibile, se i singoli membri non sono pronti a sacrificare alcuni loro diritti pel conseguimento d' un bene comune, così dicasi anche della società politica.' Padronissimi i Croati di trattare in Istria in croato dei loro affari, di vendere e barattare il loro bestiame ; ma quando trattasi del bene di tutta la Provincia, la più elementare nozione del diritto, e della forma della società esige un sacrifizio da parte loro, sempre nell' interesse generale ; che diventa così anche particolare. Ed ecco perchè queste esorbitanti pretese hanno resa la causa slava tanto antipatica a tutti quelli che hanno la mala sorte di convivere con essi, e si vedono minacciati nei loro più vitali interessi ; ecco perchè i Tedeschi, gli Ungheresi e gì' Italiani vedono di mal occhio il presente risveglio della nazionalità slava, che in altre circostanze verrebbe da essi salutato come indizio di civiltà e prodromo di pace universale. La seconda causa della lamentata avversione è da ultimo il lento progredire della civiltà presso quei popoli, e lo stato semi-selvaggio in cui si trovano i paesi ai quali essi oggi rivolgono gli sguardi come alla Mecca delle loro aspirazioni. Quanto agli slavi che abitano in Prussia, nell'Austria e nell'Ungheria, siamo pronti a riconoscere--e—»dr ammirare i rapidi loro progressi ; e ciò tanto più volentieri elio sono opera nostra in gran parte. Fin P altro giorno gli Slavi del nord ebbero a maestri i Tedeschi, e quelli del sud gl'Italiani; ed è naturale, che i discepoli, divenuti ad uu tratto riottosi ed ingrati, siano contraccambiati coti la più spiccata antipatia da professori che trovano troppo ostico 1' antico latino del sic vos non vobis. Ammirabile fu poi la docilità degli slavi fin 1' altro giorno a farsi catechizzare, specialmente dai Tedeschi. E così era sentita da loro l'inferiorità iu confronto delle altre nazioni che non sapevano immaginare neppure potesse esservi a questo mondo persona civile, se oltre alla propria lingua non uè sapesse almeno, almeno un' altra ; implicita confessione questa della loro inferiorità, e della cultura che dovevano tutta alla scuola tedesca. Rammento un fatterello iu proposito. Era il 1S48; ed in un certo istituto babelico di educazione che doveva essere ecclesiastica, con diverse lingue e orribili favelle, croati, sloveni, tedeschi ed italiani più che di teologia disputavano di politica. Sorta un giorno questione tra un croato ed un italiano; taci, gridò il primo in tedesco, e rivoltosi a' suoi: se non sapesse un po' d'italiano, il monello dovrebbe abbaiare. — Er solite bellen. E 1' altro di rimando : io canto, e tu in ogni caso abbai sempre. S'immagini il putiferio ! Molti anni sono passati ; al primo, girando il mondo e destreggiandosi tra croati e tedeschi piovve una mezza mitra sulla testa ; l'altro abbaia tuttora il suo italiano, e o bene o male lo mette anche in carta. Tornando a noi, quell' insolenza urlata da un Croato ai Croati in tedesco, e nel 1848! in ultima analisi vuol dire — se non sapessimo un po' di tedesco, ci toccherebbe abbaiare anche a noi. L'aneddoto ha un alto significato. Va da sè che con questo non si nega F utilità del possesso di varie lingue ; si studino pur molte, ma non si trascuri la propria, e anzitutto le straniere si apprendano per mezzo della propria, condizione necessaria per un buon risultato. Ma ciò che più rende sospetto il movimento slavo si è quel mirare continuo dei corifei alla Russia, come al paese donde ha da venire la gran parola d' ordine : la civiltà latina e la germanica non possono non preoccuparsene, pensando ai futuri pericoli per la causa della civiltà e della libertà. Pur troppo nel vasto impero del nord si agitano ancor popoli ribelli ai benefizi civili ; le saggie e benefiche istituzioni de' suoi legislatori, 1' affrancamento degli schiavi, le strade ferrate fruttarono finora la mancanza di lavoro, il deterioramento delle terre e la fame. Gli orrori delle carceri in Siberia, l'orribile stato dei lebbrosi, come ci fu descritto in opere recentissime destarono un grido di riprovazione in tutta l'Europa. Ed è questo 1' Eldorado promesso alle povere plebi dell' Istria dai corifei del partito slavo, e dagli scrittori del Diritto Croato propugnato in italiano ; altra prova dell'inferiorità di cui si toccava di sopra? Provvedano adunque meglio ai loro interessi gli Slavi ; anziché accapigliarsi tra loro (gli odi di Bulgari, Serbi, Croati e Sloveni sono troppo noti) cerchino per ora un centro migliore di gravità, diano prova di volersi fondere con tutti quei mezzi che furono usati da altri popoli per difendere la loro nazionalità, e sopratutto smettano da quel malaugurato vizio di usurpare il diritto altrui e di cacciarsi da per tutto dove c' è qualche tribù dei loro che balbetta un dialetto di una lingua che non hanno ancora trovato ; e solo allora, date certe condizioni, si potrà intendersi ; e la loro causa diventerà, come ogni altra, simpatica per ogni popolo civile. Semper ego o tizi e Onoranze a Domenico Rossetti Nel cinquantesimo anniversario della morte di questo illustre comprovinciale, compiutosi il giorno 29 novembre, Trieste sua patria ne fece la solenne commemorazione. Unitosi il Consiglio della città alle ore 12 mer. l'on. cav. Pasquale de Rossetti-Scander, nella sua qualità di curatore della Fondazione dei premi municipali, è invitato a prendere posto presso il seggio presidenziale; quindi l'assessore Artico legge la relazione della commissione aggiudicatrice del premio municipale e rispettivo conferimento, della quale risulta come al I premio municipale, messo in concorso con 1' avviso del 18 aprile 1891, abbia aspirato un solo concorrente, e precisamente Giuseppe Caprin, con le due opere a stampa : 1 nostri nonni e Tempi andati ; dà lettura del parere favorevolissimo emesso in proposito dall' insigne Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, il quale conclude colla proposta che il Municipio di Trieste conferisca il premio al lodato concorrente per la sua opera : Tempi andati. — Partecipa poi che la commissione- aggiudicatrice, composta degli onor. I Vicepresidente Luzzatto, II Vicepresidente Dompieri e de Burgstaller-Bidischini, in concorso al curatore della fondazione cav. Pasquale de Rossetti-Scander, deliberava a voti unanimi, in base al preaccennato giudizio, che il premio suddetto fosse aggiudicato all' egregio Giuseppe Caprin, per il suo libro : Tempi andati. Quindi il podestà proclama tra gli applausi ripetuti, premiato Giuseppe Caprin, e propone un atto di ringraziamento che è votato da tutti, all' illustre Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti per la squisita cortesia ond' esso ha corrisposto alla domanda del Consiglio ; quindi lo stesso sig. podestà pronuncia il seguente discorso di commemorazione per il 50 anniversario del giorno della morte di Domenico Rossetti : „I1 conservare è il primo passo al fare, e chi cerca e conserva con utile intendimento, è il primo autore del bene, che altri sapranno farne scaturire,. Così diceva Domenico Rossetti. Noi dalle memorie di lui, con provvido riguardo del futuro cercate e conservate, facemmo scaturire quel bene, che sopra ogni altro è caro, la coscienza nazionale. (Vivissimi applausi) Per lui, oggi son sacre a noi la storia patria, la tradizione gloriosa, e quella riverenza alle virtù degli avi, d'onde procede, si svolge e si consolida la forte operosità dei nepoti. E poiché in Domenico Rossetti è venerato il poeta il critico, il bibliografo, lo storico, l'archeologo, il giureconsulto, il patriota, che per questa sua e nostra amatissima terra adoperò fortuna e vita, tutti quelli a cui sta a cuore il decoro cittadino, colgono premurosi ogni occasione per ravvivare le memorie di lui e rinnovargli il tributo di riverenza e gratitudine. Oggi o Signori, si compiono cinquaut' anni della morte di Domenico Rossetti, ed oggi nell' anima di Trieste palpita più vivo 1' affetto a quell' illustre e generoso patrizio. Ancorché 1' anniversario ci richiami alla memoria un giorno di lutto, la compiacenza di poter dire altamente, essere Domenico Rossetti gloria tutta nostra, vince il naturale rimpianto e fa sì, che ai Triestini riesce cara e più solenne la ricorrenza, mentre ognuno sa, che la grandezza di lui, onorando la patria, tutti i cittadini onora. (Bravo, bene.) Questa giornata nou poteva dunque passare senza che Trieste ricordasse quell' uomo, il quale lasciò documenti imperituri della operosa sua esistenza, consacrata interameute al bene ed alla prosperità del natio loco. Che se il 29 novembre 1842 fu giorno di grande cordoglio per i Triestini, oggi, trascorso mezzo secolo, vivono le virtù del defunto nel copioso retaggio di sua sapienza e filantropia, risplendono le raccolte letterarie e quel preziosissimo dono eh'è la Petrarchesca; attestano i meriti di lui il Gabnietto di Minerva e 1' „Archeografo Tristino", entrambi di sue creazione, e il Museo lapidario e i premi municipali, e gli asili di carità, mercè sua fondati, e parlane di lui gli iunumerovoli autografi di altissimo pregio, fra i quali, strana e desolante antitesi coi giorni nostri le sue Meditazioni sulle franchige di Trieste. (Bravo, applausi). Quest'Inclito Consiglio, interprete del sentimento cittadino, volle onorata in modo condegno la memoria di quell'illustre, accrebbe il capitale per la erezione del monumento, fece porre una lapide marmorea sulla casa ov' egli morì, e va ora ad inaugurare solenuemeute la leggenda. Saggio e pietoso fu tale pensiero, che trova una eco simpatica nel plauso della cittadiuauza, mentre il nome di lui sta impresso nel cuore di tutti, perciocché il più grande, il più costante amico suo fu il popolo triestino. Come gli avi ne tramandarono il culto a noi, così noi lo tramandiamo ai nepoti, e ci è caro affermare, con atto di profondo ossequio e di ben giusto orgoglio, la riconoscenza di Trieste verso chi a Trieste ha dato si tergo tesoro di opere insigni, di nazionali affetti, di virtù cittadine. E poiché la venerazione dei posteri eh' è la migliore ricompensa dei grandi, riesce efficace cagione ad imitare questi, e poiché 1' amor di patria si accende al foco dell' onore, noi andiamo a discoprire, inciso sul marmo, quel nome, dal quale brilla tanta luce di onore acciocché i viventi s'incorino ad amare la patria, come Domenico Rossetti 1' amò. Ed ora, Signori, rechiamoci uniti alla inaugurazione della lapide commemorativa. (Fragorosissimi prolungati applausi). La seduta è chiusa alle ore 12.30 pom. e il Consiglio si reca in corpore allo scoprimento della lapide commemorativa. Raccoltisi il Consiglio della città, i rappresentanti del Magistrato civico e gran folla di popolo sotto la facciata prospettante il Canal grande della casa N. Civ. 1 di via dei Carradori, sorta sull' area già occupata da quella in cui Domenico Rossetti morì, il Vicepresidente della città on. avv. Carlo Dompieri, pronuncia le parole seguenti: Onorevoli Colleghi! Poc'anzi nella grande aula del palazzo municipale il magnifico nostro Podestà con la facondia che gli è propria, ha ricordato i meriti di Domenico de Rossetti come cittadino e come letterato, le istituzioni sorte mercè il suo impulso, il dono della Petrarchesca, i premi municipali e in genere la indefessa opera onde nella generazione nostra s' accrebbe P amore della nostra nazionalità. Per deliberazione presa dal Consiglio della città nel dì 13 dello scorso ottobre, ci siamo ora recati dinanzi a questa- casa, che sorge nèl luogo di quella ove abitò il Rossetti e ove mori, per inaugurarvi una lapide murata in suo onore, quest' oggi mentre si compie il 50.o anniversario della sua morte. Fu opportuno e savio il voto del consiglio cittadino, che precisamente in questo loco e in questo tempo fosse ricordato ai posteri Domenico Rossetti. In questo loco, in mezzo al borgo delle saline, ora città nuova, dove scese il patrizio dal colle della cerchia antica di Trieste, quasi apostolo di civiltà a" portare alle nuove genti qui convenute per esercitare i commerci il verbo fecondatore, di una tradizione che a traverso le vicissitudini di XX secoli di storia, risaliva per titoli incontestabili alla antica Roma. (Vivi applausi) In questo loco, ov' egli, infiammandosi della febbrile attività richiesta dalle nuove condizioni, moltiplicò se stesso, e in dotte carte, con innumerevoli epistole, con l'animata parola, combattè sempre per la nostra lingua e per la nostra italiana coltura, (vivi applausi) e propugnò ogni incremento delle lettere, delle scienze, delle arti fra noi, e tutto ciò che valesse a rendere più bella e più prospera la nostra città. Due erano i concetti supremi nella mende di Domenico Rossetti ai quali ogni altro concetto era subordinato e che costituivano per così dire i due poli, intorno ai quali roteavano tutte le scintille del suo possente ingegno : il concetto della autonomia municipale di Trieste e quello della sua libertà commerciale. Rivendicare ai nostri ordinamenti cittadini quella indipendenza che era stata annientata nelle occupazioni francesi, e far rivivere con la autonomia municipale l'antico stampo italico del nostro comune, la gentilezza e la coltura avita, e d'altro canto consolidare le basi della nostra prosperità materiale sfruttando quella benefica istituzione del portofranco, onde per la saviezza dei maggiori eravamo stati dotati. In ciò si riassume la mente e 1' opera di Domenico Rossetti. E in questo tempo ci giunge opportuno assai, quasi monito d' oltre tomba il ricordo di lui. Se in oggi, dopo 50 anni dalla sua morte ci facciamo a misurare il cammino compiuto per le vie ove egli ci fu duce, troveremo bensì qualche cagione di rallegramento perchè assai strada s'è fatta e molti ardui passi sono stati superati, ma ben più ci metterà in pensiero il tratto che resta ora a percorrere, irto d'impedimenti che ogni giorno si fanno maggiori. 11 portofranco quella secolare istituzione, che il Rossetti stimava, e noi stimavamo con lui, il palladio della floridezza economica di Trieste, è stato tolto (approvazioni) ; le cure materiali per l'indomani ci opprimono ;'ci flagella intanto una ondata di passioni che in addietro sarebbero parse impossibili, e a vista d' occhio cresce la baldanza di coloro, che con insana smania demolitrice agognerebbero a distruggere il retaggio del passato (applausi), a spezzare il filo della tradizione che ci lega con quelli che prima di noi bagnarono di sudore e di pianto questa nobile terra. (applausi fragorosi). In buon punto dunque a nostro conforto, a insegnamento per i posteri, evochiamo e perpetuiamo la memoria di Domenico Rossetti. Epperò sia scoperta e bene augurata la inscrizione che il municipio di Trieste ha dedicato al grande cittadino 189-2 IN ONORE DI DOMENICO ROSSETTI VISSUTO ALLA PATRIA ♦ QUI MORTO NEL 1842 IL MUNICIPIO (.4 questo punto viene lasciata cadere la tela che velava la lapide. Tutti si scoprono. Vive acclamazioni). Breve inscrizione, ma che compendia in sè il miglior elogio che uom possa desiderare. Vissuto alla patria ! Mutano i tempi, cambiano le costumanze e le idee degli uomini, tramontano gì' idoli di un giorno e passa il torrente della storia travolgendo seco uomini, cose e istituzioni. Ma il dolce amore del natio loco non passa e non invecchia ! (applausi). Fino a che vi saranno umane famiglie attaccate a una glebà da esse fecondata, la carità di patria resterà una delle molle più possenti che faccian battere il cuore umauo, e benedetta sarà la memoria di chi a questo santo affetto avrà uniformato gli atti e la vita. (Applausi) E benedetta sempre fra noi sia la tua memoria o Domenico Rossetti ! Noi non dimenticheremo i tuoi ammaestramenti. Tu fosti " Di viver pria che di ben far lasso „ e noi, ciascuno secondo le nostre forze, procureremo imitarti. Se infausti volgono i tempi, se tendenze e propositi per noi esiziali ci urgono da ogni lato, non abbandoneremo sfiduciati il terreno che siam chiamati a difendere, ma alta e serena la fronte, e rattempran-doci o illustre triestino all' esempio delle tue virtù e della tua adamantina costanza, dureremo sulla breccia finché venga a rivelarci chi dalla nostra bocca deve raccogliere la parola d'ordine che tu ci hai trasmessa. (vivi applausi) Onore a Domenico Rossetti, vissuto alla patria, onore a lui fino a che il sole di civiltà illumini i colli e le marine della nostra vetusta e gloriosa Tergeste. (Applausi fragorosi).---- Di sera nella sala del Gabinetto di Minerva, dinanzi a eletto pubblico il dottor Lorenzo Lorenzutti presidente, scoperse il busto marmoreo di Domenico Rossetti, opera egregia del Barcaglia; quindi prese la parola Attilio Hortis "di Domenico Rossetti legittimo insigne successore, come lo battezzò nel suo discorso della mattina il primo cittadino di Trieste ; e pronunziò un discorso : un complesso meravigliosamente riuscito — come scrive "l'Indipendente, — nel quale non si sapeva se maggiormente ammirare la franca ed animosa affermazione nazionale, la immensa dottrina storica e letteraria, la potenza e la perspicuità della sintesi, la sicura acutezza critica, o la suprema elevatezza e nobiltà della forma, artisticamente finita, classicamente pura ed elegante, degna del nome che si onorava e dell' altissima fama dell' oratore, Più tardi nel vasto politeama Rossetti affollato ebbe luogo la commemorazione popolare organizzata dalla solerte direzione teatrale. La serata fu una lunga serie di acclamazioni fu tutta uno sfogo di letizia della cittadinanza per trovarsi riunita una volta ancora in una comunanza d' entusiasmi, nell' omaggio ad uua delle memorie patrie più venerate. ----—--- Cose locali La sera di martedì 29 novembre p. p. per iniziativa di alcuni concittadini (onor. signori Cadamuro-Mor-gante Francesco — Del Bello Dr. Nicolò — De Rin Francesco — Gallo avv. Augusto —Madonizza Pietro — Totto conte Giovanni), si raccolsero molti elettori nei locali del municipio onde concertarsi per le prossime elezioni della rappresentanza comunale ; costituirono subito un comitato elettorale numeroso e nominarono un comitato ristretto con l'incarico di proporre i candidati da presentare agli elettori, con pieno mandato di fiducia. In seguito alla costituzione di questo comitato è oramai accertato il buon esito delle elezioni, intendiamo dire che la grande maggioranza voterà concorde e col solo intendimento di costituire la migliore rappresentanza possibile; il solo fatto dispiacevole che dobbiamo rilevare e deplorare, è 1' astensione in cui vollero tenersi alcuni onorevoli concittadini, e precisamente di quelli che nella cessata rappresentanza non si trovarono del tutta, d' accordo col maggior numero dei colleghi nella compilazione del conto preventivo. La rappresentanza futura per ciò sarebbe privata di persone rispettabili delle cui opinioni avrebbe potuto giovarsi assai ; se non che ancora ci lusinghiamo che vogliano desistere dal loro proposito. La egregia famiglia del signor Nicolò de Baseggio fu colpita la settimana scorsa da grande sciagura per la morte della signorina Maria bella quanto buona e gentile. Le nostre sentite condoglianze --——-----w:—- Appunti bibliografici «Atti e memorie della Società ■ istriana di Archeologia e storia patria. „ Volume Vili, fascicolo 1 e 2. Dott. Bernardo Benussi. Privilegio Eufrasiano. Studio critico. « Prima di tutto, tirando un po' 1' acqua al mio mulino, mi trattengo a dire di quei famosi pranzi che, secondo il Privilegio Eurasiano, il Vescovo parentino dovea imbandire a' suoi canonici. Dice il testo che il quinto pranzo s'imbandiva in Carnis levamine, cioè l'ultimo giorno di carnevale. Fermiamoci un momento sull' origine di detta parola. Alcuni vogliono derivi da Caro vale ; altri da Cam' o vai ; la carne sen va, commenta il Du Gange. Ma questi giuochetti ' di parole sono alzate d'ingegno dei dotti, e il popolo ha un modo più spiccio e semplice nell' inventare i vocaboli che gli sono necessari. La frase in Carnis levamine del privilegio eufrasiano parali invece buona spia a conoscere la vera origine del vocabolo. E per vero levamen non è qui adoperato per sollievo come nel latino classico, ma viene dal latino barbaro - levare per togliere, educere, abdu-cere (vedi Du Gange). E vi si cita 1' esempio : levare nemora, portar via le legna. Emptores tenentur empta nemora levare infra quatuor menses. Quindi 1' italiano levare per togliere. Carnis levamine nel citato testo vuol dire adunque togliere l'uso delle carni ; e così chiamavasi il giorno precedente le ceneri, e in cui si faceva un po' di scialo. E si noti che 1' in carnis levamine significa, come dal testo eufrasiano, un determinato giorno, cioè il nostro Martedi grasso, e non già tutto il tempo dedito ai solazzi dall' Epifania alla Quaresima ; chè questo prolungamento delle feste avvenne più tardi, e un po' alla volta, specialmente per opera dei Medici in Firenze. Adunque da in carnis levamine con una naturalissima metatesi e la solita apocope si fece poi carnevale ; e questa ritengo, senza altre alzate d'ingegno la vera origine di tal voce. Mi perdoni il lettore queste mie velleità filologiche, e mi segua senz' altro nell' esame dello studio del signor Benussi. il quale da par suo batte a fondo con ottime armi contro 1' autenticità del privilegio eufrasiano. Ed eeco in poche parole di che si tratta. Il vescovo Eufrasio, noto fondatore della terza basilica, secondo l'antico documento avrebbe ottenuto dall' Imperatore Flaviano il diritto di riscuotere la quarta parte dei frutti su tutto il territorio parentino, del quale sarebbe stato il vero signore. Molto più tardi il vescovo Adalper, essendo consunto dal tempo detto privilegio lo fece in buona fede rinnovare ; ed è in base a questo che i vescovi parentini sostennero poi contro il comune, il loro possesso sul patrimonio di San Mauro, ossia della chiesa parentina. Il Benussi adunque con validissime ragioni, frutto di una critica assennata, nega l'autenticità del privilegio, e comincia dall' opporsi al Kandler il quale scrisse che il testo eufrasiano esisteva fino alla fine del secolo passato, ed in un giorno dell' anno esponevasi in chiesa fra ceri ardenti. Alle contraragioni del Benussi aggiungo la seguente. Per quanto sia grande la confusione del temporale con lo spirituale, un atto che regolava i diritti del vescovo, e perfino la consuetudine dei pranzi, non sarebbe mai stato esposto come cosa sacra tra ceri ardenti. La carta esposta era invece, come bene notò anche il Pesante, la bolla dell' ultima consacrazione della chiesa, e quindi, osservo, esposta non tanto quale memoria della consacrazione ; ma più dell' indulgenza parziale o plenaria concessa in detto giorno a chi visita la chiesa ; e perciò onorata di un qualche culto come anche oggi si usa in molte chiese. Passa quindi il Benussi a correggere la lezione — imperante Flaviano, e vi sostituisce — Giustiniano, in ciò pienamente d' accordo col Kandler. Strano davvero come molti documenti dati per autentici in Istria, abbiano di questi sfarfalloni : acqua in bocca e non ridestiamo vie sopite ! Ma vi ha ben altro ancora, e a dire di tutti gli argomenti addotti dal Benussi per negare 1' autenticità, del privilegio si passerebbero i confini d' una semplice recensione. Toccherò solo di alcuni. Il titolo che porta il maestro dei militi, di advocatus Ecclesiae Sancti Mauri è un vero anacronismo : nel secolo VI si chiamavano defensores, e non avvocati. E se mai non advocatus ecclesiae Sancti Mauri, ma beatae Ma-riae Virginis et Sancti Mauri. Ed è poi supponibile che nell' anno di grazia 543, i Vescovi parentini fossero già divenuti signori della città di Parenzo, anzi, peggio, che tali fossero stati molti secoli innanzi ? E si può, continua il Benussi, supporre che in un' adunanza così solenne si fosse stabilito e registrato una cosa di tanta futilità, cioè 1* obbligo dei dodici pranzi all' anno ai canonici ? E vi ha di più. Nel secolo VI non si erano neppure istituite ancora le feste d'Ognissanti, dell' As- sunta, ecc. — dunque il privilegio è apocrifo senz'altro. E quanto all'Assunta, aggiungo io, senza perciò combattere la pia tradizone, tanto è vero che nel secolo VI non era ancor adottata dalla chiesa romana, che quando fu poi introdotta nel secolo seguente, non avendo di meglio da far leggere nella solenne offìciatura dal clero e dal popolo, nè potendo addurre, come in ogni altra festa, testimonianze di padri antichi, non omelie di Leone, non di Gregorio; si dovettero riferire scritti di Giovanni Damasceno prete nato nel 676, morto verso il 756. Sorpassando molti altri argomenti conchiudo col Benussi che del contenuto del privilegio sono attendibili soltanto - 1' introduzione, cioè la solenne adunanza per stabilire i diritti della chiesa episcopale di Parenzo, 1' obbligo dei Parenzani di corrispondere le decime, e che tutto il resto è una interpolazione praticata nel sesolo XIII. (*) Ma quale plausibile ragione si dà di questa contraffazione ? Il Benussi, da storico consumato, sviscera l'argomento benissimo ; e dimostra che il vecchio privilegio fu rinnovato e alterato dai vescovi stessi, quando era piii viva la lotta fra la curia e il comune di Parenzo per la giurisdizione territoriale. E sostiene il suo asserto con 1' esempio di altre' contraffazioni celebri, come la fabbricazione del Costituto fra il 752 e il 754 e le famose decretali isicloriane. Se non che i teologhi della cuna, che di cavilli ne hanno a josa, rispondono essere dette carte sì false e viziate nel-l'origine, ma nel contenuto vere, perchè accennano ad un fatto storico certo, inconveniente-mente provato -con un documento falso ; ma sostanzialmente vero. E non mi meraviglierei o niente, se anche dopo, provata la falsità del privilegio eufrasiano, taluno uscisse a dimostrarlo vero con altre ragioni, e dimostrasse storico tino dai primi secoli il possesso temporale del vescovo parentino. Non era del tutto pessimista Beniamino Constant quando scrisse : « Neil' immenso arsenale dei fatti eccentrici vi sono degli argomenti per tutte le cause, delle armi per tutti (*) Singolare poi che tra i vescovi che in processo di tempo aggiunsero la loro firma a quella di Eufrasio, manchi tra gli altri quella di quel Maurus martire secondo il Kandler e il Canonico Pesante. Potenzainterra ? Ad un atto cosi importante manca la firma di un vescovo santo ? Ma questo prova due cose : la interpellazione del privilegio eufrasiano, e la non esistenza di un vescovo Mauro, martire nel sesto secolo !!! i partiti ; secondo la maniera di aggrupparli, di farli manovrare si può scrivere con documenti autentici due storie in senso diametralmente opposte.» E il Dottor Azzeccagarbugli diceva : « a sapere bene maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente.» Se non che nel caso nostro, si tratta di un documento evidentemente alterato ; e poi per onore dell' umanità conviene bene conoscere che i sofismi e i cavilli non si hanno a confondere con le ragioni, e che basta il buon senso a distinguere quelle da queste. In ogni modo se al signor Benussi daranno filo da torcere, saprà ben lui districare la matassa arruffata. Un' altra dote dell' egregio critico si è poi la moderazione. Egli esamina, vaglia, ma non ha la smania moderna di tutto distruggere come gì' ipercritici. Abbiamo veduto riconoscere egli nel privilegio eufrasiano qualche cosa di vero. Anche l'illustre Kandler scrisse - Dobbiamo dire che 1' esame di carte antiche della provincia ci ha portato a convincimento come spesso sieno piuttosto viziate che false. — Se non che nel privilegio eufrasiano tante sono le cose false aggiunte, che ci vuole un buon discernimento a distruggere il poco vero dal falso. Onore al Benussi, che tanto lume ha gettato sulla quetione. Adele Butti. Di Giovanna d'Arco resuscitata dagli studi storici, e del vecchio poema di Giovanni Cliapelain. — Trieste, Balestra 1892. Un fascicolo di pagine 85. Da un critico calmo, ad una poetessa che con lirico movimento e caldo stile da conferenziere rivendica i santi entusiasmi della vergine d' Orleans non è così diffìcile il passaggio. La Butti già nota pe' suoi versi fortemente pensati e per le applaudite sue conferenze, attende come sappiamo dalla prefazione a compilare un' opera, in cui ci tesserà la storia della condanna e della rivendicazione di (iiovanna d'Arco ; e come a saggio del suo lavoro e degli intendimenti manda innanzi questo studio in cui accenna alle opere degli illustri francesi contemporanei che resuscitarono la celebre eroina; e nello stesso tempo piglia in secondo luogo occasione a dire diffusamente del vecchio poema di Giovanni Chapelain. Senza togliere nulla dell' intero scritto, dirò che la seconda parte viene specialmente interessante e nuova per molti lettori, e spiega come un grande francese il Voltaire abbia potuto attentare alla fama della eroica sua connazionale. Lo scherno del Voltaire di fatti è nato come di seconda mano ; più che pigliarsela direttamente con la eroina, egli cercò di attentare la fama scroccata dello Chapelain, pedante secentista portato in palma di mano a suoi tempi. Come si scorge subito da questo opuscolo, il pensiero direttivo della Butti è quello di mostrarci la donzella in ciò che più vivamente ha colpito lei donna e poetessa, cioè la fede larga ed indomita della eroina in sé medesima. La Butti non accoglie ad occhi chiusi tutte le conclusioni razionali date alla sua vita alla sua missione, nè la vede d'altra parte solo un'arma di partito per combattere o al contrario sostenere viete superstizioni ; no, indipendente ed originale ella vuole additarla «nell' alta onestà, nell' amore, nella bontà profonda del suo amor femminile.» Non tanto è adunque la rivendicazione della Pulcella ; più in lei mira la Butti 1' apoteosi, la difesa della donna ; opera utilissima e degna della gentile poetessa, oggi che è di moda predicarne l'emancipazione dalla virtù; e che il vero cercato nel brutto, offende 1' ultimo avanzo di gentilezza cavalleresca ereditato dal cristianesimo, e dal genio germanico. Da ciò è facile comprendere ancora quali siano i principi direttivi che regolano la gentile poetessa nella esplicazione del suo talento poetico. Aspettiamo adunque- con vivo desiderio l'opera promessa, e la preghiamo con Dante di concederci il cibo di cui ci ha largito •of p;-c ente .opuscolo tanto desiderio. P. T. arietà. Detti franchi ed arguti Per dare varietà al periodico, apriamo questa raccolta di detti franchi ed arguti di uomini celebri, ed anche di nostri comprovinciali. 11 buon vescovo Peteani, a chi lo accusava di aver ordinato dei preti ignoranti, rispose : Nella vigna del Signore occorrono anche i pali. Passino i pali ; ma non le piante filosserate che sterminano la vigna, V Istria informi. Cicerone, veduto tra i senatori uno che cercava luogo di sedersi in senato, disse : Ti farei posto se non mi trovassi anch' io sosì stivato — alludendo ai tanti senatori creati da Cesare. — Ma 1' altro più argutamente rispose: Non mi meraviglio che ti trovi allo stretto tu avvezzo a tenerti su due sedie. Benedetto XIV, avendo offnrto ad un frate una presa di tabacco, si sentì dire: Santità non ho di questi vizi. Ma di botto gli rispose: Taci, frate; se fosse un vizio 1' avresti anche questo. Quando Voltaire portò a Federico il grande i saluti de la plus charmante dame de France (la Pom-padour, bagascia di Luigi XV), rispose : le ne la connais pas. — E dire che molti Principi e Imperatrici celebri" la chiamavano allora cugina. Domandato essendo a Nicolò Barbieri, celebre comico del secolo decimosesto, da una principessa, se i confessori assolvevano i commedianti, rispose: Assolvono i principi, e loro officiali che fanno piangere, e non vuole Vostra Altezza che assolvano coloro che fanno ridere le brigate ? Victor Hugo disse la seguente spacconata — Grand'uomo quel Bacine, se non avesse scritto tragedie. Un vescovo della Corsica disse a Napoleone, il quale voleva dargli la croce di cavaliere : Grazie, Maestà ; la croce vescovile mi pesa già troppo. Il celebre poeta Uhland, fiero e punto vanitoso,, donato di una corona d'alloro da una città, appese il dono a nna quercia dicendo alla moglie : Vorrei vedere un po' che viso farà il primo contadino che pass rà di qui, e vedrà germogliare foglie d'alloro da ■ \ ri-sro di quercia. --:---2»?------ PUBBLICAZIONI Nozze Lazzarini- Scampicchio —• Albona 16 Novembre 1892. Egloga Pastorale di Antonio Maria Lo-renzini di Albona, pubblicata dal cav. Tomaso Luciani. — Capodistria tip. Cobol-Priora. La Famiglia Scampicchio — Notizie e Documenti — Per le faustissime nozze della nobile Lina baronessa de Lazzarini-Battiala col nobile Dott. Vittorio Scampicchio — omaggio di Ernesto Nacinovich. — Stabilimento Tipo-Litografico di E. Mohovich in Fiume.