Soldi IO al numero. L'arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale - Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 77 — 25 settem, 78 importa fior. 3 e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a benefìcio dell' Asilo d'infanzia L'UNION CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE. si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore I V integrità di un giornale consiste nell' attenersi, con costuma ed energia, al vero, all' equità, alla moderatezza- ANNIVERSARIO — 13 Febbrajo 1876. — muore a Roma Maurizio Quadrio — (V. Illustrazione.) La Famiglia Reale italiana UMBERTO I, Re $ Italia il 9 gennaio 1878 ; nato il 14 marzo 1844; sposato il 22 aprile 1868 colla principessa Margherita di Savoja, nata il 20 novembre 1851, figlia del principe Ferdinando duca di Genova, che morì nel 1855. Figlio del Re: Vittorio Emanuele, principe di Napoli, nato a Napoli 1* 11 novembre 1869. Sorelle del Re: Principessa Clotilde n. il 2 marzo 1843; maritata il 30 gennaio 1859 col Principe Napoleone Buonaparte. Hanno due figli ed una figlia. — Principessa Pia, n. il 16 ottobre 1847; maritata il 6 ottobre 1862 col Re Luigi di Portogallo. Hanno due figli. Fratello del Re: Principe Amedeo, duca d'Aosta, Luogotenente Generale, n. il 30 maggio 1845. L'I] febbraio 1873 depose la corona di Spagna che aveva accettata il 4 dicembre 1870. Vedovo della principessa Maria Vittoria de"a Cisterna, sposata il 30 maggio 1867, morta l'8 novembre 1876 a 29 anni. Fratello della Regina: Principe Tomaso duca di Genova, n. 6 febbraio 1854. testé nominato Capitano di Fregata di lì classe. Madre della Regina: Principessa Maria Elisabetta duchessa di Genova, n. il 4 febbraio 1830, figlia del Re Giovanni di Sassonia; nel 1850 maritata col principe Ferdinando morto nel 1855. Cubino del Re: Eugenio di Savoia, principe reale di Carignano, Ammiraglio. Nato il 14 aprile 1816. Figli del Principe Amedeo: Giuseppe, duca delle Puglie, n. il 13 gennaio 1869 — Vittorio Emanuele, conte di Torino nato il 24 novembre 1870 — Principe Luigi Amedeo>, n. a Madrid il 31 gennaio 1873. PRODROMO *) DELLA STORIA DELL' ISTRIA (V. il N. prec.) Nuova invasione dalle Alpi Giulie scendeva nell'anno 476 d. C. — Odoacre con grande esercito di Turcilingi, Eruli, Rugi, Sciti ed altri Barbari occupò l'Italia, e sembra che l'Istria corresse la comun sorte. Quando infatti nell'anno 489, d. C. Teodorico re degli Ostrogoti, mosse al conquisto d'Italia, Odoacre fu in armi all'Isonzo. Ivi restò sconfitto, e l'altro si fece padrone d'Italia: regno in che entrava certo anco l'Istria e che governavasi allo stesso modo dell'Impero d'Oriente. Anzi il reggimento repnbblicano d'ogni singola città prese tosto più spedito andamento. E qui cade in acconcio il notar cosa che non solo si riferisce alla storia dell'Istria sotto il regno di Teodorico, ma che porge mezzo altresì a chiarire la provinciale costitu- zione così dei tempi addietro come pure di quelli succedutisi fino a Carlo Magno, e più oltre ancora fino al cangiamento della fraternità ed alleanza con la Venezia in protettorato e quindi in dominio di questa su quella. La nostra provincia fu bensì parte, com' è detto del regno italiano di Teodorico, ma ritenne non meno delle altre d'Italia il proprio democratico reggimento, in un medesimo che al pari dello stesso re serbava all'imperatore d'Oriente una sembianza di soggezione d'onore. Siccome poi il reggimento Veneto-Istriano era più libero che ogni altro d'Italia, così si spiega la maggior libertà goduta dalle Venezie ed Istrie e sotto Teodorico e sotto i mutati governi dei tempi posteriori. Esse non avevano a capo alcun regio magistrato o governatore, e cessata era pure la giurisdizione dei consolari e dei correttori. Pagavano il tributo, ma ogni pubblico affare veniva dicusso e deciso indipendentemente in un generale convocomento : ed il popolo eleggeva Vescovi, Magistrati, Tribuni, Vicari, Locopo-siti, ed anche Ipati o Consoli, oltre al ricordato Maestro dei Militi residente in Pola. Ma già altre vicende dovevano incalzarsi. Belisario generale di Giustiniano riconquista anche l'Istria sui Goti, che distruggono quanto non valgono a difendere, e l'assoggetta agli Esarchi di Ravenna congiunta alla Venezia marittima e governata al pari di essa da un maestro dei militi con Tribuni per ogni città e con Vescovi rivestiti, come portavano que' tempi, anco di poteri civili. 539 d. C. Richiamato Belisario, Narsete rafferma il dominio dell'impero d'Oriente in Istria, quando nelle vicine province deH'Illirio cominciavano a comparire le torme degli Slavi, e nelle confederate Venezie s'erano avanzati i Franchi. Ma nè questi nè quelli penetrarono nella nostra provincia, poiché gli uni furono sconfitti, gli altri rattenuti ancora dai monti. 552 d. C. (568 d. C.) A Narsete, tolto al governo d'Italia, subentrò Longino col nome di Esarca. Fu a quel tempo che Alboino condottiero de' Longobardi, chiamato o meno da Narsete, imprese la conquista d'Italia, disceso dal monte Re che serge sopra Trieste 565 d. C. L'Istria al pari di molte altre Provincie d'Italia fu bensì corsa da Alboino e molto danneggiata, specialmente nella parte superiore, ma non occupata. Anzi la sua popolazione, come avvenne pure nella Venezia marittima si aumentò allora di nuove genti italiane qui riparatesi, e specialmente in Capodistria, città che in quel tempo aveva cangiato il suo nome di Egida in quello di Giustinopoli, datole dall'Imperatore Giustino II. Fu nel 588 d. C. che il re Autari a-spirando alla signoria di tutta la provincia delle Venezie ed Istrie, si avanzò pure contro di queste con esercito guidato da Evino duca di Trento. Ma la spedizione non ebbe compimento, avendo gl'Istriani ottenuto una tregua, la quale portò per conseguenza che E-viuo si ritirasse, fortificando l'isola Amarina presso Monfalcone. Causato quel pericolo, altro ne insorse da parte degli Slavi venuti sull' orme dei Longobardi, uè contro questo bastarono tanto gl'Istriani da impedire l'Istria interna venisse saccheggiata con eccidio della popolazione. Gli Slavi non vi si soffermarono a quel tempo, ma si diedero a molestare il vicino Friuli. 604 d. C. Anco gli Avari corsero l'Istria senza dimorarvi, e mentre il resto d'Italia veniva sempre più signoreggiato dallo genti barbariche, l'Istria e la Venezia marittima si accrescevano nuovamente e sempre più di genti italiane. 615 d. C. Ed era appunto con la Venezia marittima che la nostra provincia sì per l'abbandono a cui l'impero d'Oriente lasciava i nominali suoi posssedimenti d'Italia, sì per la costituzione cittadina più sopra notata, costituiva pressoché uno stato indipendente coi reciproci nodi di fraternità e di alleanza. Fin d'allora infatti l'Istria era soggetta allo stesso doge: dignità instituita in luogo di quella del Maestrato dei militi sulle proposte del patriarca Cristoforo da Pola (697 d. C.) E convien credere che i Veneto-Istriani fossero già saliti a rinomanza di potere, avendosi dalla Storia, essere stato da papa Gregorio II, quando i pontefici tenevano il carattere di vicari imperiali d'Italia, (726 d. C.) confermato loro il dominio dell'Adriatico iu nome dell'imperatore d'Oriente: altro indizio che la signoria di Bisanzio era di sola apparenza, nè toglieva che il grande pontefice si ponesse a capo di città libere contro l'ereticale tirannide dei teologi di Costantinopoli, ed iniziasse quindi il sistema, perfezionatosi poi nel Comune italiano. Ma se da tutto ciò può argomentarsi che l'Istria, quantunque infestata essa pure e depredata da scorrerie di barbari fosse rimasta abbastanza forte, non poteva trovarsi alquanto decaduta dalle pristine sue condizioni, e per le passate vicende, e per terremoto certo fortissimo, (740 d. C.) se l'isola di Cissa non lunge da Rovigno sprofondava così che la vetta del suo colle rimaneva a quindici tese sott'acqua. Poco dopo di questo infortunio i Longobardi, già impadronitisi di Ravenna e di tutto l'Esarcato, si conducono anco in Istria guidati dal loro re Astolfo (752. d.] C.) Ma tutta non la occuparono, chè Giustinopoli con altri luoghi specialmente marittimi continuano a restarsene collegati a Venezia. Il pontefice Stefano V. scrivendo al patriarca di Aquileja e riconfermando l'unione della Venezia;e dell' Istria in una sola provincia, fa sperare che Pipino sarebbe venuto a liberarle. Intanto i Longobardi posero nella parte occupata dell'Istria un duca, e fu appunto duca d'Istria quel Desiderio che seguì Astolfo nel regno con lui caduto sotto la spada dei Franchi. Ed ecco e Franchi e Longobardi e Greci, gli uni quali nuovi invasori d'Italia, gli altri pel ducato dell'interno dell'Istria e i terzi per la nominale loro signoria, scendere ad accordi circa la nostra provincia, riconosciuta allora, e di appartenenza bizantina, e soggetta al doge di Venezia, e da consegnarsi coli'Esarcato al pontefice. Basti rammentare quanto si è notato più sopra riguardo all'apparente dominio di Bisanzio, alla reale unione della Venezia e dell'Istria, e al vicariato imperiale dei papi, per trovare una spiegazione di questi strani avvolgimenti propri soltanto di quel tempo. Al cadere pertanto del regno de1 Longobardi, l'Istria si trovò in quella stessa condizione d'indipendenza, di che aveva per lo addietro goduto. 774 d. C. E qui prima di proseguire la storia profana con l'epoca di Carlo Magno arrestiamoci a riguardare alcuni fatti notevoli della chiesa della nostra Provincia, la quale giusta le tradizioni aveva cominciato a convertirsi al cristianesimo fino dall' anno 50 dell' era volgare per opera di Santo Ermagora, ed aveva veduto parecchi de' suoi, martiri della fede fino al compiersi del III secolo. Allorché Costantino nel 313 diè libertà al cristianesimo, esistevano già molte comunità cristiane nell'Istria, si erigevano chiese, e si trasformavano in templi cristiani i pagani. Il vescovo di Aquileja ebbe da prima per diocesi l'unita provincia della Venezia e dell' Istria : fatto questo che conviene rammentare come origine delle pretensioni della chiesa d'Aquileja, e quindi di non poche ecclesiastiche scissure. Quando pois'instituirono anco nell'Istria i vescovati nell'anno 524, quello di Aquileja era già fino dal 369 arcivescovato, ma non metropolitico dell' istriana provincia. Soltanto verso la metà del VI secolo la chiesa di Grado, a cui di solito rifuggiavansi gli arcivescovi di Aquileja nelle invasioni dei Barbari, venne riconosciuta nel Concilio La-teranense metropolitica dell'Istria. Tali sono le precedenze da indicarsi a meglio discorrere della importanza del così detto Scisma istriano. Esso ebbe origine dalla nota decisione del V Conciglio Ecumenico (II Costantinopolitano) che condannava i tre famosi capitoli, sorpassati nel IV Concilio tenutosi in Calcedonia. I vescovi dell'Istria e molti altri segnatamente della Venezia e della Liguria non accettarono la condanna e spinsero tant'oltre la dissidenza da separarsi dalla comunione del pontefice e degli altri vescovi assenzienti, dopo radunatisi presso Paolo metropolita d'Aquileja, ed eletto questo a loro patriarca in luogo di pontefice (loco pontificis). Nacque così lo scisma, il quale dalla maggior resistenza dei vescovi istriani, avvegnacchè comune a molti veneti e a parecchi d'altre Provincie d'Italia, prese nome di scisma istriano. A stornarlo fu l'esarca con apposita flotta l'anno 586 a Grado, ove risiedeva Severo patriarca di Aquileja, e fattolo prigione coi vescovi di Trieste, di Parenzo e di Cissa, li tradusse a Ravenna. Durava ancora la opposizione degli altri vescovi istriani, quando S. Gregorio Magno ne ricondusse alcuni alla cottolica unità (604). Così e tra gli stessi vescovi dell'Istria vi fu scissura. I convertiti per opporre altro patriarca a quello di Aquileja conferirono un tal carattere a Candidiano e gli assegnarono a sede patriarcale quella di Grado da cui era stato tolto il prigioniero Severo. Di siffatta guisa ebbero origine i due patriarchi di Aquileja e di Grado, distinzione che durò anche dopo l'adesione al V Concilio Ecumenico degli altri vescovi dissidenti, seguita nel 698 con la fine dello scisma. Anzi i due patriarcati si trovarono per secoli a conflitto di giurisdizione, durante il quale i vescovi dell'Istria propendettero quasi sempre per quello di Grado, esteso sulla Venezia e che veniva riconfermato più volte metropolitico dell' Istria dai pontefici e dai concili. Avvertasi per ultimo non aver lo soisma istriano lasciate all'infuori di questi litigi altre conseguenze religiose; chè anzi sorse calda l'opposizione della Venezia e dell'Istria al decreto dell'imperatore Leone Isaurico 1' iconoclasta, ama-nata nel 726 contro le imagini de'Santi. {Continua) Scritti inediti di FRANCESCO PATRIZI — (1529-97) (Cont. V. i N.i 4, 5 e 7) (Foris) All'Ili.™ S.r mio oss.mo il S.r Cor-neglio Bentivogli. (Intus) Ill.mo S.r mio oss.mo Sono stato più volte per ragionare a V. S. Illm» a solo di servitio non meno suo che di S. A. e non l'ho mai trovata dissocupata : però ho pensato esser bene dirle in scrittura in breve ciò che a S. A. ho scritto più a disteso, acciochè ella a suo comodo possa vederla e maturamente considerarla. La mia inventione di separar Beno in Po della qnale credo le sia già stato dato parte non ha da essere nè di pietra nè di terra nuda, ma di barconi carichi di terra lunghi e larghi et alti più o meno del bucintoro di S. A. col foudo acuto acciò si caccino sotto terra nel fondo di Po, della forma che entri l'un nell'altro confitti et incatenati insieme di dentro e di fuori acciò faccino un corpo Bolo con una palificata di dentro di otto pali per barcone, le teste de' quali pali siano calcate da un trave confitto a loro e al barcone, acciò che essi non possano mai venir su, e si caccino sempre più in terra quando il barcone per il suo peso andrà più giù. Et saranno coperti acciò le piene di Po non portino via il terreno che sarà dentro, et alto tanto il coperto in piovere che Reno non lo cavalchi. Non è dubbio che staranno fermi et saldi perchè saranno fitti in terra col lor fondo acuto, poi con otto pali, poi col peso grandissimo del legno che andrà a fondo, et del feramento, vt della terra di che saranno carichi. Si come sono state salde a molte piene di Po senza niuno di questi aiuti due barche di queste da Ferrara assai piccole affondate l'una alla ripa del borgo di S. Luca già circa un anno, e 1' altra bora in contro al Bondeno. Hanno da essere di arese legno che in acqua non marcisce mai, et che per sua natura va al fondo, et si troverà tante asse e travi che faccino tutta l'opera a Venetia, a Verona et nel lago maggiore e iu quel di Como. E i pali saranno pur di legno che non marcisce in acqua, si troveranno sul stato di S. A. in luogo ch'io so. Et acciochè Beno non urti per fianco l'opera ma in sbrissone anderà smozzato il labro di sotto et voltato in giù, et perchè non volti in su va un paro di porte di semplici asse a pali che esso medesimo in quel caso si serrarà avanti. Tutta questa opera poiché sarà condotta la materia ove si haveranno a fare i barconi, si farà e metterà al luogo e fondarà in meno di sei mesi, et subito poi si potrà dar esito all'acqua di Bologna in Po, e seccar in un anno le valli e ridurle a coltura. Il che sarà molto più vantaggioso a V. S. Ill.ma per le sue Tombe che aspettar molti anni che sia fatto l'alveo nuovo e incaminato Beno e gli altri fiumi in Po. Bolognesi non potranno contradirio perchè non si contrafa al loro istr.to, non si toccano i loro terreni non se li pongono in pericolo, non se li empie le valle, non si impediscono i lor molini, nè se li guasta la navigatione manteneudosi con Reno et con por tien di Po quella del Po d'Argenta, et restando la loro intera. Con questi particolari io credo che sia levato ogni dubbio nell'animo di V. S. Ill.ma che n'è intentissima. Et pur se alcuno scrupolo le restasse se comanderà io verrò a levarglielo a mio potere. Et con questo fine le bacio riverentemente le mani. Di casa alli 16 Dio.1»« 1581 Di V. S. 111."» aff.mo Ser.tor (Foris) Al Ser-"0 sig. Duca di Ferrara (lntus) Serm0 mio Signore. Alli 23 baciai il piede a N. S.re e li feci P imbasciata che V. A. mi comandò eh' io facessi eh' ella era divotissiino e humilissimo servitore di S. S.tà e che quando le piacerà di comandarle che la troverà prontissima e conoscerà ch'ella era di più fatti che di parole, e che le baciava il piede. Mi rispose che è gran tempo che egli conosceva il buon animo suo verso se e verso questa santa Sede, e che era pronto a farle ogni piacere, levato quello che il suo ufficio non comporta. E che la dovessi salutare per suo nome, E così fo con la presente con la quale anche fo a V. A. Ser.ma humilissima riverenza. Di Roma alli 25 aprile 1592 Di V. A. Ser,"» humiliss,m» ser.*«® (foris) Al Ser.mo Sig." Col.100 il S.' Duca di Ferrara (lntus) Ser.mo S.r Col.mo Quanto mi ha detto per nome di V. A. Ser.ma il S.r Conte Girolamo Giliolo tutto ho oreduto facilissimamente perchè da già tanti anni molto bene m'è nota la infinita benignità che V. A, Ser.ma ha sempre usato verso di me e di altri senza numero, e sicurissimo mi rendo che nelle occasioni userà la gratia sua meco. Con che infinitamente mi obbligherà in perpetuo e potrebbe ora presentarsele occasione, perchè qui ho inteso che il Decano Silvestri stava non molto bene, e in caso che piacesse al Signor Dio di levarlo, con ogni humiltà la supplico a ricordarsi di me e della sua gratia meco. All' A. V. Ser.ma con tutto il cuore facendo riverenza me le inchino e bacio le mani. Di Roma li 13 aprile 1594. Di V. A. Ser.1"» Divot."><> e obblig.m» Ser.*« dev.mo Ser.r» (Continua) SONETTO CAUDATO Affumicata stanza, d'ozio sede, Ove la palma il cicalon riporta E a sdottorare l'insipiente siede. Caffetteria si noma e noia apporta Al saggio eh' util favellare chiede Allor che per svagarsi là si porta. Là, talun, gran politico si crede: Provincie dà e toglie e confin trasporta Onde la mente sua mostrar accorta. Chi del Comune sparla a tutte l'ore Senza, spesso, del senno aver la scorta. Laido altri ciancia, qualcun legge o gioca, Chi arguzie medita per farsi onore, V'è chi maligna e chi a dormir si loca; Nè mai vi manca l'oca Che, a conversar da spia gentil tirato, Dica quel che amor patrio vuol celato ; E il padrone garbato Danza, sorride, e tutti inchina; e turco Co' turchi ognor si fa, e co'lurchi lurco. Pisino, gennaio 1878 Ausonio. (*) L'ottimo giovane pisinese checi spedi questo sonetto, l'accompagnò con una lettera tutta trepidità, mettendoci, tra le altre, quale condizione assoluta per ,,1'eventuale, inserzione" l'obbligo d'impetrargli indulgenza dai lettori, e di dichiarare a nome suo ch'egli non intese di fare alcuna allusione alle caffetterie della sua città natia (perchè in molti luoghi piccoli s'|ha invero l'insensata consnetn-dine di sospettare); ma che invece si propose di descrivere uno dei varii ritrovi pubblici da lui frequentati nei suoi vi aggetti. E questi obblighi noi li adempiamo con tutto il piacere. Vuole innoltre che gli si conservi l'anonimo. Non lo vogliamo scontentare: fiat dunque volnntas sna. Peraltro sentiamo il dovere di raccomandare allo studioso giovano di essere meno modesto, ovverosia meno timoroso, chè se la modestia, non smoderata, è uu pregio, la trepidazione continua è difetto che a lungo andare finisce col farsi connaturale; e la trepidazione, specialmente in fatto di letteratura, divenuta connaturale, è spesso nn breve ponte che conduce all'infingardaggine e poi alla misantropia. Nella nostra provincia, pur troppo, gli esempii non mancano : occorre perciò vincerla per tempo. RIVISTA GEOGRAFICA'" (V. i N.i 4, 5, 6 e 7) La spedizione italiana nello Scioah. — Smentite le vooi di morte. — Martini torna, Antinori prosegue. — Gessi e Matteucci. — Ferrovia pel centro dell' Africa. — Il deserto è poco sicuro. — Morte di E. von Bary. — Spedizione portoghese. — Brazza e Semellè. — Ritrovi e studi in Palestina — L'oro di Madian. — Vane illusioni del Burton. — Ujfalvy dell' Asia centrale. — Una grande opera sulla Cina. Mentre una spedizione'geografica italiana, cominciata con umili principi», s'addentra vieppiù nell' Africa e promette assai bene di sè un' altra, corse voce che la terza alla quale s'erano consacrati entusiasmi, somme cospicue e speranze di gloria e di fortuna commerciale, fosse in sulla via del ritorno in Italia. La voce corse, mentre in cor suo *) Proprietà letteraria dell' Illustrazione Italiana (N.° 27 gennaio). — V. la nota fatta nel N* 25 novembre dell' Untone. ciascuno dubitava perfino della vita del suo capo, così che, nel dubio amaro, si tenne per ventura quella che poteva essere vergogna e danno. 11 capitano Martini ed il capitano Cecchi avevano perduto lungo la via disagiata e contrastata, tutti il rammentano, buona parte del materiale, che doveva compensare i nostri e dar loro modo di fondare la prima stazione civile in quel regno semiselvaggio. "Che abbiano perduti» tutto il resto e siano arrivati poveri in canna, e per poco non dico, come quasi toccava all'Antinori nel primo viaggio, in camicia? Che la spedizione, la quale si aspettava con le mille ansietà del bisogno, anziché ajuti, ne abbia avuti impacci nuovi? Che que' due caratteri, i quali qualche-duno avrebbe avuto l'obbligo di sapere qnanto inconciliabili, del Martini e dell'Antinori siano venuti alle prese così da rendere inevitabile una rottura? Ma azitutto l'Antinori, il cui solo nome udiamo tra i reduci, torna veramente solo? Od è con lui il Chiarini, o forse si trae egli dietro tutta la spedizione, come dire tutte le nostre speranze? E torna fuggiasco o ambosciatore di Ee Menelik, pieno di speranze nuove o di delusioni amare, per ritentar la prova o per dirci, che non è possibile ed abbiamo errato nel piano, nella scelta dei mezzi e delle persone, in tutto?» Senonchè, mentre correvano su tutte le bocche queste ed altre dimande, la notizia del ritorno venne insperatamente smentita. Cioè, ritorna il cap. Martini che è proprio la gran fortuna, perchè non ci è sembrato mai uomo adatto all'impresa; ma l'Antinori col Chiarini e gli altri, non solo vivono non solo restano in Africa, ma sono partiti per il sud, farse per Kaffa ed Enarea, alla scoperta di nuove regioni, a compiere i voti e le speranze d'Italia. Il Martini torna con le collezioni naturali, con le notizie raccolte nello Scioah, coi risultati promettenti d'altri maggiori, e noi possiamo ancora sperare che 1' impresa sia degna d'Italia. La partenza della prima spedizione per il mezzodi sarà presto nota al cap. Gessi ed al Matteucci, i quali scrivono a poche tappe ormai da Chartum, che è ancora, ad onta delle lustre civili del Khedive, alla soglia dell'Africa salvaggia. Hanno traversato il deserto di Corosco in quindici giorni, e, in verità, la mi pare assai lodevole impresa. Il Matteucci scrive a lungo di tutto, con molta diligenza, e sebbene dobbiamo avere ormai imparato a non volare tanto alto, parmi di poter presagire che andrà a prendere nelle nostre speranze e negli augurii un posto onorevole. E non solo scrive, ma invia quanto i gli vien fatto raccogliere, ed abbiamo avuto uno scheletro e due cranii vecchi come l'era volgare, una iscrizione, ed altri importanti a-vanzi archeologici. Da Assuan a Berber, traverso il deserto di Corosco, i nostri viaggiarono con una comitiva d'Inglesi, i quali vanno nel Senaar alla caccia del leone. Il Gordon, invece, é a Dongola, di dove condurrà nel Mar Eosso la crociera contro gli schiavi; Matteucci, mentre deplora gli manchi così la fida protezione, non sa capire "come il Gordon si presti ad una buffonata destinata a dar polvere negli occhi all'Europa,. La questione d'una rapida via di comunicazione, la quale metta il centro dell'Africa in rapporto coli'Europa civile, ha fatto un altro passo. Il colonnello Champanhet ha presentato alla società geografica di Lione un rapporto, nel quale mostra l'importanza, tutta francese, d'una linea, che da Algeri per Boghar, El Goleah, Insalah e Timbuctu, riuscisse al gomito del Niger, dove il fiume lambe il deserto, per irrigare poi a monte ed a valle fertili e promettenti regioni. La società ha trovato che la proposta era ottima e si doveva invitare il governo ad avviare gli studi, offrendo il concorso, che la scienza può fornire. I commercianti di Marsiglia hanno appoggiato ancor essi la proposta e si capisce, trattandosi d'una impresa, la quale metterebbe quasi alla loro porta l'Africa centrale, e darebbe alla Francia il monopolio di quasi tutti i commerci del deserto, da tanto tempo agognato. Ma la difficoltà starà appunto qui ; le pacifiche spedizioni come quella di Largeau, non riescono a penetrare nelle oasi gelose e inferocite contro i Cristiani, e sarebbe necessaria la conquista militare. Ora l'Algeria può dire quanto ciò sia difficile, a tacere delle difficoltà internazionali che si troverebbero probabilmente allargando di tanto i confini di quella colonia. Una prova della rinata ferocia di tutte le tribù del deserto si è avuta nella morte di E. von Bary, giovane e valoroso naturalista tedesco. Era arrivato a Ghàt il 1 ottobre colla carovana di Air, composta di 600 cammelli, la quale suole recare a quella fiera gli schiavi che poi, per Tripoli, sugli occhi dell'Europa, così piena di vagiti umauitarii, si portano a vendere in Oriente. Aveva studiato la configurazione e la costituzione geologica d'una parte del deserto e recava nuovi documenti contro la teoria dell'antico mare Saharico. A Ghàt trovò lettere e materiali attesi d'Europa, e il giorno prima di morire scriveva si sarebbe tosto preparato a recarsi nel Sudan colla carovana che doveva ritornarvi traverso il deserto. Vi è chi dice sia morto per abuso dei narcotici adoperati contro la dissenteria ; altri, come avvenne a parecchi della sua scorta, per l'acqua cattiva bevuta nel deserto. Ma vi è una terza opinione, alla quale danno credito le condizioni presenti dell'Africa mussulmana, ed è che sia stato avvelenato. Certo non e prudente per gli europei, sino a che non si metta pace in Turchia, avventurarsi dovunque arrivano il grido e la rabbia delle sconfitte ottomane. La spedizione portoghese è entrata invece nel continente che sarà il teatro della sua impresa. L'itinerario non è ancora ben determinato; "vi posso dire, — scrive in una delle ultime lettere il maggiore Serpa Pinto, — che una volta arrivati a Bihé e dopo aver compiuto 10 studio delle sorgenti del Quanza, del Cunene e del Cubanzo, s'avrebbe l'idea di seguire questo fiume fino a Lyanti, traversare la regione fra questo fiume e il lago Bangueolo ed esplorare il lago. Questo itinerario presenta 4 importanti vantaggi, perchè ci metterà in grado di studiare le sorgenti di tre importanti fiumi; 11 corso del Cubanzo, il corso superiore dello Zambesi, e tutto il lago Bangueolo." Del Savorgnano di Brazza non abbiamo più avuto notizie; ma è facile presagire che non tarderà a tornare in Francia, recando la conferma, o più probabilmente la smentita della voce messa fuori intorno alle origini dell'0-goué. Se fosse, come dice il Marche, che pur fu compagno al Brazza su questo fiume, e lo era stato al Compiègne, se fosse un ramo del Congo, il suo regime idrografico sarebbe meno diverso da quello del gran fiume, e Stanley lo avrebbe veduto probabilmente ripartirsi cosi lontano dall'oceano. Il luogotenente di Semellè è in sulle mosse pel Niger, pieno di speranza. ( Continua) Attilio Brunialti Luigi Magri. Lettere ad un operajo bergamasco. — Bergamo, Stab. Caffuri e Gatti. "Fu ascoltante giudiziario a Capodistria, a Pola, a Trieste, e alla prima di codeste città si affezionò sopra tutto, perchè ivi non solamente trovò amici sinceri e costanti, che ancora oggi lo ricordano con affetto, ma conobbe e amò la fanciulla, che doveva poi divenire sua moglie, ed ivi perdette la madre, che adorava e che da Bergamo era andata a raggiugerlo e a stabilirsi colà. Dopo il 1859 ... ritornò in Lombardia.^ È questo un brano della biografia del nostro povero Magri, che perdemmo nel 1874; brano preposto alla raccolta delle lettere sopra accennate: lo abbiamo riportato per farlo noto non ai nostri concittadini e comprovinciali, i quali di lui conservano memoria carissima e lo amaro- no per la grande simpatia che qui destò e pel suo carattere integro e dolcissimo, ma ai pochi che, sorvenuti, o allora giovanetti, ne avessero scarsa contezza. Le lettere sono una serie di consigli e d'istruzioni morali da lui dirette, o in realtà o per finzione, a certo suo concittadino Battista F., operaio : giovanotto ventenne e per conseguenza inesperto che si lasciava agevolmente infervorare dai discorsoni sull'emancipazione, sui diritti, sulle riforme sociali ecc. Queste lettere le vorremmo vedere numerose nelle librerie delle Società Operaie: servirebbero a stenebrare le menti coi raggi di una morale sanissima., rendendo pacati e contenti gli operai fantastici e sdegnosi, a cui non è dato di comprendere come debba compiersi a loro vantaggio la cominciata evoluzione, e fin a qual punto, per le ineluttabili e necessarie circostanze, essa possa giungere. Il Magri, oltre di avere pertrattato sopra diversi periodici argomenti morali, pubblicò pure, quantunque affollato dai suoi doveri d'ufficio, Lamico del popolo e dei fanciulli, dodici volumetti, in cui con ammirabile dicitura popolare dà ordinate cognizioni dei principali rami dello scibile; e l'ultimo suo lavoro fu la Scelta dello stato, commessogli dall'editore Carrara. Tutte pubblicazioni auree, atte tanto ad istruire ed ammigliorare il popolano maturo, quanto a formare al fanciullo un cuore franco e magnanimo ed un intelletto svegliato. Lasciò un figlio che si chiama Vittorio, e che vive a Trieste sotto la vigilante educazione dell'ottima madre. Quel vispo giovanetto, che ora impara ad amare l'Istria, si troverà certo un giorno nella schiera de'suoi più animosi. Novità della Scienza, note e memorie di Gerolamo Boccardo (con 36 incisioni) — Milano; Fratelli Treves editori, 1878. Libro interessantissimo, nel quale effettivamente come chiedeva l'egregio D.r Emilio Treves al celebre autore, sono esposte con somma chiarezza "alcune delle più recenti e delle „più caratteristiche fasi del pensiero scienti-„fico dell'epoca nostra.. Esso va quindi raccomandato a tutti coloro che desiderano di tenersi a giorno delle principali vittorie scientifiche. La briosa prefazione ci speranza che d'ora innnazi abbia a comparire ogni anno un libro sullo stesso argomento. Ed affinchè i lettori possano farsi un'idea delle varietà contenutevi, ci permettiamo di riportare la seguente. Un vino di 1500 anni Esisteva a Marsiglia, nel Museo Borely* un vaso di vetro chiuso a fusione e contenente un liquido d'ignota natura. Il sindaco di quella città, signor Maglione, accordò al celebre chimico Berthelot la chiesta licenza di aprire quel vaso e di estrarne il contenuto. Il vaso è uu lungo tubo di vetro, soffiato dapprima a forma di ampolla, curvato poscia ad angolo retto e formante un secondo rigonfiamento, terminato a sua volta in punta ripiegata. Probabilmente questa foggia singolare gli è stata data affinchè lo si potesse deporre a terra, senza che si abbattesse, nel sepolcro ove è stato trovato come ora diremo (fig. 35). La lunghezza dell'oggetto è di 35 centimetri La capacità totale delle due ampolle, riunita a quella del tubo è 35 centimetri cubi circa; il volume del liquido contenutovi 25 centimetri cubi. Il recipiente, di vetro, dopo che vi fu introdotto il liquido, venne saldato a fusiono affatto simile a quella che noi operiamo con la lampada. L'antichità del vaso è fatta manifesta della patina caratteristica dei vetri sotterrati per secoli; il vetro si soglia qua e là. Avendo tentato di risaldarlo alla fiamma della lampada, il signor Berthelot non vi è potuto riuscire: il vetro, svetrificato all'interno si fendeva e diveniva di un bianco opaco sotto il guizzo del cannello, segno anche questo di alta antichità. Questo oggetto fu trovato negli Aliscamps (Campi Elisi ?), presso Arles, nella vasta regione che servì di cimitero nell'epoca romana. Un colpo di aratro lo ha messo a s sistemi e teorie; ma sviluppa con singolare acume i principii d'una geografia scientifica della Cina, come vennero dedotti da tanti anni di viaggi e di studii. Il primo volume è tutto dedicato alla terra, alle sue grandi linee, ai suoi rapporti colla configurazione generale dell'Asia, e solo nel secondo incomincerà a parlarci degli uomini e degli elementi, esponendole sue conclusioni sulla popolazione, sui climi, sulle proporzioni ipsometriche, le forme geologiche e le apparizioni climateriche del paese. E nei successivi volumi descriverà minutamente i vasti giacimenti carboniferi; i rapporti fra la storia del paese e la sua presente e passata configurazione; la distribuzione dei varii prodotti e la loro trasformazione commerciale ; la paleontologia, affatto sconosciuta, dell'immensa regione, che sarà illustrata, a questo riguardo, dai più competenti specialisti di Germania. Nessuna opera più adatta ad alimentare il grande interesse col quale'si studia da qualche tempo l'estremo Oriente, specie la Cina, che il Richthofen ha trovata quale ci venne grossolanamente descritta dai Gesuiti. L'interesse aumenterà, se nel frattempo gli Europei avranno sempre maggiori agi di penetrare nell'interno di quel mondo cinese, dal quale pur si diffondono in America e negli Arcipelaghi d'Asia e d'Oceania emigrazioni vaste, utili forse a tener luogo d'altri freni maltusiani troppo e-levati per un popolo, che ha provato per secoli soltanto quelli della fame e delle stragi fraterne. A. Brunialti. Inscrizioni poste ai lati del catafalco, che sorgeva la mattina del 16 febbraio nel Pantheon, duraute il solenne ufficio di requiem. Pacificatore delle discordie italiane — Esempio d'immacolata lealtà — Suggellò colla sua morte la fede della sua vita — Conciliò la civiltà col vangelo — Combattè tutte le battaglie della patria — Fedele alle tradizioni della sua casa. Percursore della pace perpetua — Inaugurò il nuovo diritto naturale delle genti — Lasciando alla nobile regione —Che custodisce le ossa dei suoi maggiori — Libertà di ricongiungersi alla madre patria. _ In questo tempio augusto — Testimonio della sapienza e potenza romana — rl-consacrato nel nome di tutti i martiri della fede — riposa degno delle antiche grandezze — Il figlio del re martire — Che vendicò santamente il padre — Fondando la concordia italiana. PRODROMO *) DELLA STORIA DELL' ISTRIA (V. i due Nri. prec.) Ravviandoci ora negli avvenimenti della Storia profana, diremo come Carlo M. dichiaratosi re 789 d. C. de'Longobardi movesse ad occupar l'Istria, ed occupatala vi ponesse un duca unendola al regno longobardico, ed assoggettandola a quelle fogge di governo quasi fosse terra educata a straniere istituzioni, illuso dalla effimera signoria esercitata dai re Astolfo e Desiderio. Imperocché si sa bene, che Carlo M. nou distrusse da prima il regno longobardico, ma vi lasciò i duchi, e ne mutò solo il re che fu egli. Giustinopoli però e alcune altre città marittime non cangiarono modo nel governo. L'Istria si trovò divisa nelle sue sorti. L'interna con parte della marittima aggregata al regno longobardo seguiva gl'imprendimenti del suo conquistatore, e l'altra |parte marittima serbavasi nella solita sua condizione con la Venezia. Ma l'ima e l1 altra aveano comune quella popolazione italiana che le rendeva distinte tra le Provincie della nuova Longobardia. Questo fatto è di grande storico momento, poiché da esso soltanto può spiegarsi il ritornare che fece l'Istria, non appena compresa nel regno longobardico di Carlo Magno, al primiero suo reggimento dietro il Placito nell' 804 d. C. al fiume Risano, tenuto dai messi di Carlo M. allo scopo di udire i lagni degli Istriani, e contro il nuovo governo, e contro l'introdnzione di qualche tribù slava seguita allora la prima volta per volere del duca Giovanni, il quale avea posto opera a creare il feudalismo longobardico, e di più allargarlo secondo i costumi de' Franchi. Il politico conquistatore sapeva bene che le recenti conquiste non si assodano col contrastare alle antiche consuetudini del paese, e però appunto, come fece in altre parti dell'Italia, restituì all'Istria, che riconobbe d'indole veneta e non longobardica, la pristina sua costituzione, ritenendola solo obbligata ad un tributo che consisteva nella decima, e trasformando la patria autorità elettiva del maestrato dei militi, in ducato o marchesato pure elettivo, con la stessa sede in Pola. La nostra provincia così ripristinata spettava pel tributo all'Italia longobardica, che di-cevasi anche regno d'Italia, e per ogni altra ragione all'Italia civile nello stesso modo delle città marittime venete ed istriane, rimaste immuni da ogni contribuzione a Carlo Magno. Cotesta distinzione d'Italia longobardica e civile è necessaria a far comprendere come il vero dominio di Carlo Magno si estendesse ai paesi realmente abitati da Longobardi, ma che sulle Provincie esclusivamente italiane il regno suo riducevasi ad una mera Alta - Signoria. Ecco pertanto che nell'Italia, civile di quell'epoca tro-vavasi annoverata l'Istria quantunque perla maggior parte soggetta a Carlo Magno, in uno alle isole della Venezia, all'Esarcato, alla Pen-tapoli, a Roma, al territorio romano fino a Terracina, all'Abruzzo, all'Umbria, alla Toscana, a Napoli, e alla Calabria. Senza queste indicazioni, chiamate dalle eccezionali condizioni di quell'epoca singolare, mal si ravviserebbero i veri aspetti della storia nostra provinciale. Nè ciò basta a comprendere le anomalie di quell'età. Abbiamo già detto, come l'Istria fosse restituita al primiero suo ordinamento. Ma siccome a que'tempi tutta la dignità d'una provincia stava riposta nelle Municipalità e nei Comuni, così vuoisi ben avvertire, non aver tale reintegramento degli ordini veneto-istriani compreso le campagne delì'Tstria. Queste furono tosto volte al nuovo sistema dei pagi o comitati, per cui il duca o marchese governava a nome del re quale vassallo, e si dividevano le terre tra i valvassori : sistema infrenato solo da Placiti o Parlamenti, gli uni maggiori sotto la direzione dei Missi dominici, ch'erano i superiori ispettori dei vassalli, e gli altri minori, presieduti dal capo della provincia. Non tutta pertanto l'Istria era costituita allo stesso modo. Vi avevano alcune città, come Giustinopoli, rimaste libere anco dal tributo, città e comuni col solo carico di questo tributo, e campagne ripartite in distretti non solo tributari, ma soggetti altresì al governo baronale ossia dei militi, tra cui venivano divise le terre. E qui riguardo alle campagne stesse nuove distinzioni. Se il distretto tributario veniva conceduto colle regalie ossia coi poteri maggiori, dicevasi comitato la terra e conte chi la teneva. Se all'invece il territorio tributario era dato colle regalie ossia eoi poteri minori, chi lo conseguiva prendeva nome di barone o di signore. L'avere infine la semplice percezione del tributo d'un paese conferiva il carattere di padrone fondale o censuario. In poteri adunque qua maggiori e là minori e in riscossioni di tributi consisteva il governo baronale della campagna. Il duca o marchese estendeva poi la sua autorità su tutta la provincia, nominale quanto ai non tassati, e reale quanto agli altri, ma questa pure distinta quinci tra città e campagna, e quindi tra le campagne acccordate ai baroni, e quelle a rè stesso riserbate. Se non che anche di quest'ultime si affidava altrui l'amministrazione col nome di Comitato o Contea d'Istria, detta così appunto perchè composta di terre non costituenti contee di speciale denominazione. Sotto la dignità, adunque del marchese vediamo quella del conte dell'Istria. E diciamo di proposito dignità, perchè da prima e marchesato e contea erano officio a cui per elezione si perveniva, e non l'appannaggio ereditario posteriormente formatosi. Da questa condizione di cose convien partire, per farci a dividere il tempo, che ci resta a scorrere, in alcune epoche, dopo le due già riandate del dominio romano e della continuata fratellanza con la Venezia. Questa si cangia in protettorato, ed ecco la terza epoca che va suddistinta in tre periodi, vale a dire quello del marchesato elettivo fino al 1026, l'altro del marchesato ereditario fino al 1230, e il terzo infine del marchesato dei patriarchi d'Aquileja fino al 1420. Con Venezia, che subentra nel marchesato e cangia la protezione dell'Istria in signoria, principia la quarta epoca, che diremo ultima, entrando la presente, dopo la caduta della Repubblica, nella storia contemporanea. Cominciando adunque dal 1. periodo dell'epoca del protettorato di Venezia, è mestieri avvertire innanzi tutto, come in esso le città e i comuni tendessero vieppiù ad affrancarsi con propria indipendenza, sempre volgendosi a Venezia che cresceva in potere e quindi in forza e desiderio di proteggere. Quindi nulla meraviglia il vedere i detti comuni liberi od affrancati esercitare il diritto di guerra, d'alleanza e perfino di sommessione ad altro potentato, e nello stipulare quanto loro meglio conveniva, usar per forma frase che dicesse salvi i diritti del re, ma nello stesso tempo promettere di operare sciolti dagli ordini suoi (absque jussione imperatoris). Valga questa a compreudere gli avvenimenti, distrecciandoli da quelle contradizioni, in cui altrimenti si rimarrebbero avviluppati. Nella pace fermatasi l'anno 813 d. C. tra Michele imperatore bisantino e Carlo M., il franco conquistatore rinunciò alla Venezia marittima, e questa pace fu confermata con Ni-ceforo. L'Istria quantunque attribuita a! regno longobardico ossia l'Italia nei modi che già vedemmo più sopra, non era certo staccata da Venezia se continuava a contribuirle navi, vino, olio, e canape e se i comuni marittimi si obbligavano verso di essa a tener libero di pirati il mare di qua d'Ancona e di Zara. Nè questo impediva cbe l'imperatore Lodovico confermasse nell'815 d. C. agli Istriani ogni loro costume di governo. Il comune italiano era già vivo fino dall'ora nella nostra provincia, e se da un canto si piegava alle vicende del continente, non dimenticava il passato, e da questo prendeva norma all'agire indipendente, tanto più che aveva dinanzi il mare, non curato dal governo baronale, e ch'era invece il vero campo delle sorti istriane. E su questo mare la Venezia, fino allora all'Istria alleata, porgevale mano protettrice, poiché già cominciavano ad infestarlo gli Slavi, avanzatisi fiuo al Quarnaro. Difatti mentre Lottario promette contro di questi assistenza, Venezia la dà, e batte sotto il dog© Orso, spintosi nelle acque di Umago, il bano della Dalmazia, Domenico, che aveva corso le coste dell'Istria. E questa univa le sue forze contro il comun pericolo, che cresceva per nuovi nemici, i Saraceni, gli Slavi della Dalmazia, gli Ungheresi : vinti gli uni sotto Ancona (872 d. C.;, gli altri alle spiagge dalmate (887 d. C.), i terzi in faccia al porto di Albiola (906 d. C.) Mentre nella maggior parte dell'Italia correva l'età più povera di fatti veramente i-taliaui tra le contese dei Carolingi per la successione nei regni in che s'era diviso e ridiviso l'impero, e mentre succedeva un'altra età ohe a condannarla per peggiore persuade il nome di quel Berengario che fé' vassala di Germania la corona d'Italia, la Venezia e l'Istria combattevano valorose contro nuovi attentati di genti straniere e bene meritavano della patria. Ed è invero mala cosa vedere come molti de' nostri scrittori di storie, negletta la verità perchè schivi della fatica di far disamina circa le condizioni e gli avvenimenti particolari delle Provincie meno studiate, asseriscano conquiste della Venezia sull'Istria, tratti in inganno dalle ostilità del magistrato marchesale o da qualche passeggera disseuzione con qualche singolo comune: sciagure purtroppo, non già per anni ma per secoli, più frequenti e gravi nel resto d'Italia. Ond'è che mentre vediamo il marchese d'Istria Vinterio officiale del re Ugo di Provenza (926 d. C.) far uso di sua potestà per assoggettare a balzello l'antico libero commercio de' Veneti iu Istria, vediamo pure Giustinopoli, che già costituita a comune co' suoi consoli di popolare elezione offriva il primo esempio m Italia, dopo Venezia, di civico magistrato, tradurre in iscritto l'antica alleanza con la stessa Venezia, ed esibirsi spontanea a darle contributo (932 d. C.). E l'anno seguente osserviamo altro trattato fra lo stesso marchese d'Istria, (933 d. C.) i nostri comuni e Venezia, con cui si affranca nuovamente il commercio e si riconfermano le somministrazioni al doge. Anzi pattuivano gl'Istriani che ove il re comandasse di far guerra a' Veneti, ne darebbero loro contezza, affinchè a sè provvedessero. Questi sono fatti che rivelano il vero stato delle cose ben meglio che la inconludente baruffa di pochi Triestini (946 d. C.) rapitori di alcune spose veneziane, baruffa che non sarebbe degna di menzione se non avesse dato origine a famosa festa veneziana detta delle Marie. Altri fatti della stessa natura sono ricordati dalle patrie memorie in questo secolo, trovandosi nel 976 d. C. rinnovati gli accordi tra Giustinopoli e il doge Pietro Orseolo I a motivo d'incendio che aveva incenerito il primo trattato, e leggendosi ancora che nel 992 d. C. le città marittime dell'Istria riconfermarono i diritti di Venezia. E quando il doge Pietro Orseolo II mosse contro gli Slavi della Dalmazia ebbe lieti accoglimenti nella città di Parenzo (997 d. C.) _ (Continua) Poesie di Erminia Bazzochi Trieste B. Appolonio 1878. Alla "santa e dolce memoria* del padre la giovane poetessa consacra riverente i frutti del suo ingegno ; nè in guisa più degna avrebbe potuto onorare 1' autore dei suo' giorni troppo presto rapito al suo affetto. All' A. piacque dividere i suoi carmi secondo l'ordine cronologico in cui furono scritti, d'onde al lettore riesce facile lo scoprire passo a passo il di lei progresso nel breve giro di tre lustri. I primi componimenti riflettono l'incertezza e la modestia nello stile e nella lingua; le idee sono proprie di un'anima candida che non vede più in là dei sogni dorati, delle facili illusioni, delle ingenue speranze. Più presto però che non sembrerebbe credibile, la nostra A. viene posta a dure prove da fatale destino: orfana e sola, vedendosi circondata da basse invidie, da guerriciuole maligne, da calunnie, da disillusioni, non sentesi da tanto di sostenerne la lotta, ed accorda la sua lira col tono mesto e flebile onde va celebre il Recanatese. Le confidenze, che tratto tratto traboccano dal di lei cuore ambascia to, ci fanno trovare compianto sincero per i suoi casi ed ampia scusa ai suoi poetici lamenti. Con grande. conforto però di chi legge, qualche fulgida stella giugne a squarciare d'ora in ora le nebbie del dolore je del pianto, onde s'avvolge la nostra A: sono pochi canti ispirati a concetti oggettivi nobili e santi. L'amore alla patria detta la più bella canzone sul quadro allegorico del nostro Dall' Acqua, e quivi la robustezza di stile e la leggiadria di forma vanno di costa ai più fervidi e delicati sentimenti. Il canto alle allieve maestre distinguesi per elevatezza di pensiero e mostra come l'A., consacratasi all' educazione, ne intenda l'alto scopo e ne vada compresa dell' importanza. Per brevità citeremo soltanto le ottave graziose dal titolo: Gostanza, il sonetto In morte di N. Tommaseo, la Musica ed una canzone di circostanza. Nei versi a cui, troppo sovente unica Musa è il dolore, troviamo dei tratti che si fanno rimarcare per quella finezza di sentimenti tutta propria al sesso gentile; rivolta all' Usignuolo così scrive p. e. l'A: Oh ! canta, canta appassionato augello, Nel pianto, nei sospir mi sei fratello; Svanì tua speme, ma la mia, lo sai ? Non nacque mai. Il sento io pur quel duol ch'ogni altro avanza D'amar cotanto e amar senza speranza; Così trapasso sola e sconsolata La mia giornata. E all'intender tua flebile armonia Tutto m'invade il cor melanconia, Sembrami un'eco che confidi al vento Il mio lamento Più innanzi eccovi un'ottava veramente peregrina: — Ahi! perchè ratte involansi Dell' allegrezza l'ore E gravi e tardi muovonsi I giorni del dolore? Perchè il cipresso i secoli Dee triste numerar E i fiori leggiadris8imi Un giorno sol durar? — Tuttavia non possiamo a meno, dal notare, in generale, soverchio convenzionalismo nelle immagini e parecchie ripetizioni da cui 1' A, siamo certi, può sfuggire. Auche i fiori, cel permetta di dirglielo, benché prediletti dal di lei sesso, col loro lieve profumo inebbriano voluttuosamente, ma guai ad abusarne: la nostra A. è un pochino colpevole di questo abnso, che diremo gentile. Riguardo allo stile ed al verso possiamo congratularci colla nostra cara Trieste, che conta la giovane poetessa fra le sue maestre. Al pari dei capricci, delle volute, dei cirri, delle foglietto, dei viticci, delle curve fra cui il tipografo adagiava l'iniziale di ogni poesia, lo stile ed il verso sono snelli, spontanei, sempre semplici e corretti. Speriamo di non ingannarci attendendoci molto ancora da chi ci offre nei primi tentavi saggi sì brillanti. Non sembreremo indiscreti consigliandole di trasportarci altra volta in più spirabil aere, temprando le corde della sua cetra a sensi più elevati. Al resto troverà bastante conforto nel battere impavida il sentiero delle lettere: senza pur guardarsi indietro e d'attorno, ripeta il verso di sublime, sprezzo del divino Poeta. — je. L. Giornale pe' fanciulli È lamento generale che gli scolaretti a casa poco o punto si applichino allo studio. Nè la colpa è tutta loro. La massima parte de' genitori non possono offrire a' loro figli che libri di scuola; ma questi, essendo sempre fra le loro mani, non possono procurare diletto a quelle piccole menti, vaghe di novità. Daltronde ai libri scolastici va congiunta l'idea del dovere, al quale il giovane uomo, più che l'adulto, facilmente si ribella. Da ciò nasce nel fanciullo la mala voglia di prendere in mano oggetti, che, secondo lui, gli rendono penosa l'esistenza, a quella guisa che il falegname nelle ore di riposo non s'appiglia certamente alla pialla per ricrearsi. Come si fa adunqne ad esercitare in seno alla famiglia i fanciulli nella lettura, e per mezzo di questa arrichire la loro mente di cognizioni ed educare il loro cuore? Un mezzo acconcio ce 1' offre la valente educatrice signora G. B. Ghil-lini - Agapiti- nell'eccellente giornale »l'Emu- lazione", che tre volte al mese esce a Palermo. In esso il giovanetto delle scuole popolari vi trova bellissimi racconti educativi, dialoghi graziosi intorno a cose relative all'economia domestica, poesie tutt' affetto, che l'innamorano delle più belle virtù cittadine. Il dettato poi v' è si facile, che rare sono le voci e le frasi, che hanno bisogno d'. essere chiarite. Egli è perciò che non si può fare a meno di raccomandare il giornale alle famiglie ed alle biblioteche scolastiche locali. Chi desidera abbonarsi a questo ottimo periodico per tutto l'anno, mandi alla ditta tipografica Lao in Palermo, via Celso, N°. 31, lire 5 pari a fior. 2. S. Vascotti maestro superiore Picciol libretto cui la mano cela Anticamente nell'Olanda impresso, Che a rivedere tratto sono spesso Mentre in guardarlo il ciglio mi si vela; Libretto fra i più cari oggetti messo, Era del padre mio il Virgilio. — In tela Chiuso il serbo: m'inspira, m'è la vela Che lena infonde al remator oppresso. Su le fredde e annerite pergamene Memorando di lui trovai precetto Che a creder m'eccita nel Sommo Bene: Oh quale mai mi desta dolce affetto ! Quando lo bacio per amor profondo Sento la mano sua di moribondo. Pisino. Ausonio Scritti inediti di FRANCESCO PATRIZI — (1529-97) (Cont. V. i N.i 4, 5, 7 e 9) (Manca Vindirizzo,'\ma è diretta al duca Alfonso II). Ser"» mio Signore La propesta fattami per comandamento di V. A. Ser.ma è: Per qual cagione due corde di due istru-menti musici della medesima sorte, toccata l'una In uno risponde l'altra nell'altro non ancor tocca, e posta in disparte. A che io dico che l'aria percossa da qualsivoglia voce o suono fa molti giri intorno che la portano jntomo e avanti e dai lati di e dietro anrora, E questa la prima cosa che ha da sapere per risoluzione del quesito. E la seconda è che bisogna che gli istrumenti sieno così vicini che il suono della corda tocca possa arrivare co' suoi giri alla corda non tocca. La terza è che bisogna che le corde ambedue sieno simili, come a dire bassoabasso,bordone e bordone, tenore e tenore, mezzana e mezzana, mezzanina e mezzanina, e canto e canto. La quarta che quelle che hanno a rispondersi siano tirate all'unisono, perchè altrimenti non si risponderebbero. Ora presupposte queste conditioni è da dire la causa occulta del proposto effetto, la quale non è se non una sola. Et cioè la conformità anzi la medesi-mità del suono che in due corde è un solo quando ambe sono unisone, perchè allora divengono una stessa cosa di due suoni. E ciò nasce da uua certa conformità che la natura pone nelle cose simili, la qual conformità i filosofi hanno chiamato simpatia, che è un compatimento che l'una con l'altra compatisce. E questa simpatia nou solo in queste due cose si pruova, ma in molte altre di natnra come nel ferro e nella calamita, nell'ambra e nella paglia e in altre assai. Dalla quale medesima simpatia nasce ancora che non solo due corde simili tirate all'unisono si rispondono, ma molte altre d'altri simili|istrumenti posti intorno, al primo nella, debita distanza, sì che l'aria mossa dalla prima percossa corda possa co' suoi giri all' altre arrivare. E ciò faranno non solo tutti i bassi degli altri ma ancora i bordoni, e tutti i tenori, e così tutte l'altre con le sue simili pure che sieno tutte tirate unisone colla prima. Ma non faranno ciò neanche nel medesimo istru-mento quelle che non sono unisone, si come sarebbe quelle che sono accordate in terza, o quartato quiuta, o sesta o ottava, perchè se bene sono con la prima in consonanza e l'una più perfetta che l'altra, nondimeno non sono tanto fra loro conformi come sono gli unisoni. Che sebbene inquanto consonano l'una con 1' altra e perciò hanno qualche conformità, hanno però anco qualche difformità maggiore e minore secondo che più e men perfetta fanno la consonanza. Ma nelle unisone vi è una totale conformità che le. fa quasi lo stesso. E tanto importa questa conformità che la seconda voce e la settima nè tra loro souo conformi, nè con altra del medesimo istrumento, nè mai, nè tra loro, nè con altra in una fanno consonanza. E pur pare raaravìgliosa cosa che la seconda che subito segue alla prima con lei jfa disonanza, e Interza che è più lontana con la prima consonanza si perfetta. E di ciò non è altra la cagione che la già detta simpatia o compimento, per lo quale quelle che si compatiscono fanno consonanza e quelle che non si compatiscono fanno dissonanza. La quale nasce da una occulta difformità che la natura ha posto in esse, la quale con nome contrario alla simpatia si addi-manda antipatia. E questo come ho detto si sente nella seconda e nella settima. Sopra la 7,ma e l'ottava che risponde all'unisono la 9.a alla 2.a la decima alla 3.a, la Xl.a alla 4.a la Xll.a alla 5.a, la XIII .a* alla sesta, e la XIIII alla settima, e ascendendo torna al medesimo ordine. E questo è quanto io credo che sapere se ne possa, cioè tirandolo in breve conchiusione. Che alla toccata corda risponde la non toca per una occulta e compiuta conformità che hanno tra loro. Quelle che sono in consonanza hanno conformità maggiore e minore l'una dell'altra. E quelle che sempre sono in dissonanza, seconda e settima hanno una compiuta difformità o antipatia. Di V. A. Ser.ma Divot.™ e obblig.m<> Ser.'oro (Nel prossimo N.ro la fine) La Società Alpina Dall'Istria 8 Febbraio. "La nostra società alpina è pur troppo condannata all'inazione, imperciocche in quattordici mesi d'esistenza non diede quasi segno di vita. Si organizzò sullo scorcio del passato, agosto una gita al Monte Maggiore, la quale come tutti sanno, non raggiunse il suo scopo; — la direzione tenne durante tutto questo lasso di tempo tre sedute le di cui deliberazioni rimasero però lettera morta, se si toglie l'acquisto di un aneroide e di qualche altra carta geografica, non geologica. La Società non può dunque registrare il benché minimo progresso dal giorno della sua istituzione». "Rincresce dover rilevare un tanto ed a-scriverlo a tutta colpa della presidenza, la quale se non ha voglia di far qualcosa, do-vrerebbe almeno convocare statutariamente la società a generale congresso. Abbiamo detto«. Riportiamo dalla Provincia del 16 corr. questo breve ma succoso carteggio. Ecco dopo un solo anno che i fatti vengono a confermare le nostre facili previsioni. Non ci sembra però equo il riversare la colpa sull'onorevole presidenza: non dipende da lei, ma dal-l'angustacerchia in cui si trova la Società Alpina Istriana. L'„Unione" in più incontri, e con argomenti non inconcludenti nè oscuri, dimostrò la grando opportunità, anzi la necessità di fare centro nella Palestra Triestina, formando due sezioni: una a Pisino e l'altra a Gorizia. In tale senso parlarono pure con grande simpatia nel novembre 1876 VIsonzo, il Goriziano, il Nuovo Tergesteo, il Cittadino, l'Operaio, ed il Mente sana in corpo sano, organo della Società Ginnastica di Trieste, dal quale ci piace riprodurre le seguenti righe: "Mentre salutiamo con gioia codesta nuova Società, non possiamo esimerci dal rammentare che le Alpi Giulie fanno corona non solo all'Istria, sibbene a Trieste e a Gorizia. "Noi avremo desiderato di vedere istituita una Società delle Alpi Giulie, la quale avrebbe stretti in un fascio gli alpinisti delle tre Provincie sorelle, unite per tanti titoli in santo connubio.« "Codesta idea però non la deponiamo : l'Istria ha la sua società alpina, Gorizia vanta già un bel nucleo di alpinisti, Trieste ha pure una sezione Alpina istituita nel seno della Associazione Triestina di Ginnastica. Si fondino (terminava così nel novembre 1876 l'ottimo periodico) si fondino queste tre sezioni ed assumino il titolo summentovato. Neil' unione la forza, la prosperità della novella istituzione.« Illustrazione dell' anniversario (Mauro Macchi — Almanacco istorico; annoX) Raimondo Bucheron, che era maestro di cappella del Duomo di Milano fino dal 1847, è morto colà il 28 febbraio 1876. Nacque a Torino 'nel 1800 da genitori oriundi dalla Pranc'a, e fino da tenerissima età si applicò alle lettere ed alla musica. Già era per conseguire la laura di legge, quando la morte del proprio genitore l'obbligò a trarre partito dalli studii musicali ; e in breve tempo, attingendo il buono dove lo trovava, senza farsi schiavo di nessuna chiesuola artistica, emerse come ottimo compositore di musica applicata ai testi liturgici. Un lavoro che fece chiarissimo il nome del Bucheron, e che ebbe l'onore di più edizioni è V Estetica applicata alla Musica. Dicono che il Bucheron abbia scritto 5001 pere. — (La cifra è probabilmente un errore di stampa, oppure si tratta, di musica ecclesiastica Bed.) Una solenne Ufficiatura per la morte di Pio IX ebbe luogo qui nella Cattedrale af-affollatissima il giorno 16 corr. (terzo delle pubbliche preci di suffragio) con l'interveuto di tutte le Autorità. Monsignor Petronio, prevosto capitolare, vi tenne una forbita orazione. Il Tempio era addobbato maestosamente a gra-maglia. IVovelline popolari rovignesi. — Leg- gesi nella Rivista Europea vol. IV, fascicolo VI: Il professore Antonio Ive, istriano, ha pubblicato per nozze alcune " Novelline polari roviguesi «. Coloro che sanno quanto sia l'importanza della novellistica popolare accoglieranno con piacere l'opuscolo del prof. Ive, allievo della facoltà di lettere dell'università di Vienna; e dalle note da lui poste alle tre novelle riconosceranno la molta erudizione di lui in un campo di studj che ha per ora così pochi cultori. La piccola pubblicazione del sig. Ive gioverà anche agli studj dalla dialettologia italiana. Beneficenza. — Raccoltisi qui a banchetto il giorno 10 corr., nella Trattorìa del sig. Gazulli, i computisti del sig. Alessandro Genel di Trieste per festeggiare le nozze! del loro principale, fecero pervenire all'illustrissimo Podestà la somma di fior. 25 destinati per i poveri. Teatro Sociale. — Fu detto che se la verità tenesse tribunale, ella brucerebbe più e-logi che censure; ma l'elogio che oggi, interpreti della pubblica opinione, abbiamo il piacere di tributare alla compagnia Galletti esodi non verrebbe certo gettato nel fuoco. La compagnia infatti piace assai, ed anzi, come dicemmo, gode la simpatia del pubblico, simpatia procuratasi colle accuratissime esecuzioni e col dignitoso comportamento. Si compone alla guisa di quasi tutte le altre : vi sono gli artisti maggiori e i satelliti ; e l'aggregamento riesce a sufficienza armonizzato. Egli è un fatto, da tutti gli intelligenti ammesso, che alcuni degli artisti hanno tale abilità da non temere confronti, e che anche le parti secondarie sono sempre impegnatissime, dimostrando grande intelligenza e attitudine a migliorarsi collo studio. Emerge la prima attrice, la sigrora Bagnoli-Galletti, il cui nome gode bella fama in tutta la Penisola, perchè informata ad ottima scuola. Ella riscosse calorosi applausi specialmente nel «Guanto della Regina", nella «Pia dei Tolomei", nella «Messalina", nell'«Amleto" riproducendo l'Ofelia, nell' «Andreina", nella «Dora", nel „Fereol". Un neuccio però ci sem-bradi avere constatato in lei, che ci azzardiamo di esporglielo francamente, senza escludere, bene inteso, la possibilità, e forse la probabilità, di andare errati — quello cioè di non usare la voluta rapidità di parola nei momenti in cui nelle tragedie e nei drammi la violenza della passione prorompe impetuosa. Nella sua serata d'onore che fu la «Maria Antonietta", del Giacometti, ella ebbe attestati di grande ammirazione, tra gli altri quello di una orchestra privata, composta da alcuni giovani signori dilettanti e diretta dal nostro egregio concittadino Pietro Parovel valente musicatore. L'osservazioncella fatta alla signora Galletti, ci pare di poterla ripetere, colla stessa riserva, al primo attore sig. Borelli e all'attore giovane sig. Bianco : quest'ultimo, artista di vaglia, che nelle parti erotiche riesce egregiamente. La serata d'onore dei sig. Borelli fu «l'Amleto", parte da Ini disimpegnata con risultato che di molto s'avvicinava ai trioufi rossiani. Quantunque giovane ancora e non cresciuto tra le quinte, egli diede prove indubbie di carriera luminosa. Il sig. Bru-norini è un brillante nou comune: senza saperlo egli compie una missione umanitaria, poiché la cura migliore che noi potremmo suggerire agli ipocondriaci sarebbe quella di vederlo e udirlo per una stagione intera. Bravissimo attore da parrucca è il sig. Galletti, che sa spiccare nelle parti caratteristiche serie ed in quelle di genere aristocratico. Il caratterista sig. Bettini, specie nel giocoso e nel popolare riesce sempre felicissimamente: nell' „Amore e dovere", (dal francese), per e-sempio, riteniamo che nessuno lo possa superare. Con graziosissima compostezza recita la sig.a Mazzanti ingenua; e con molta leggiadria la sig .a Magistrelli, amorosa. Buoni i generici Orlandi e Simoni: quest'ultimo palesa la tendenza di divenire attore giocoso non mediocre. — Riparleremo. AVVISO Al BACHICULTORI Chi volesse fare acquisto di seme bachi nostrani a bozzolo giallo, cellulare ed industriale, selezionato al microscopio, (fior. 6 e fior. 4 ogni 25 grammi), è pregato di spedire al sottoscritto, entro il corr. mese, una semplice lettera impegnativa coll'indicazione della quantità e qualità. Capodistria, 1 febbra jo 1878 GIUSEPPE GRAVISI del fn Giannandrea Pubblici ringraziamenti L>a famiglia Zanella porge vive' grazie a tutti i benevoli ed alle inclite Autorità e Corporazioni che onorarono di loro presenza i funerali dal suo indimenticabile capo C4io vanni Battista, i. r. ricevitore superiore delle imposte, decesso il 9 corr. rendendogli così 1' ultima prova di affetto e di stima verace. Capodistria, 12 febbraio 1878 Giovanni Battista e Maria nata Gambini, coniugi Deriu, ringraziano tutti quei gentili signori che assistettero alle esequie della loro amatissima zia sig.a Domenica l>erin n. Marcolin, e che ne accompagnarono la salma all'estrema dimora. Capodistria, li 16 febbraio 1878 Trapassati nel mese di Gennaio 1878 1 Don Pietro Degrassi d'anni 55, sacerdote, da Isola. — 4 Fra Giuseppe da Bassano d'anni 79, laico Cappuccino ; Pasqua Riccoboni moglie di Francesco, nata Norbedo d'anni 37. — 7 Angiola Douajo moglie di Giovanni nata Crai d'anni 40. — 8 Simone Bre-sevaz fu Giov. Batt.a d'anni 69.— IO Giuseppe Sus-mel d'anni 71 da Corniale; — 11 E. P. (carcerato) d'anni 18 della Grecia. — 13 Orsola Ved.ade Favento nata de Baseggio, d'anni 59. — 14 A. M. (carcerato) d'anni 30 da Rovigno ; Antonia Mamola Ved.va Giov. nata Tamplenizza d'anni 67. — 16 Valentino Gallo di Pietro d'anni 15. — 17 Maria Cepich Ved. Pietro d'anni 91. — 21 N. M. (carcerato) d'anni 27 da Spalato (Dalmazia). — 22 Francesco Rosman d'anni 44 da S. Vito (Carniola) ; Elisabetta Favento, Ved.a Gius., nata Zago d'anni 99, mesi 4, giorni 21. — 23 Dott. Pietro Del Bello d'anni 69. 24 N. V. (carcerato) d'anni 42 da Spalato (Dalmazia). — 25 M. K. (carcerato) d'anni 21 da Ragusa (Dalmazia) — 28 L. 0. (carcerato) d'anni 32 da Zara (Dalmazia). Più tredici fanciulli al di sotto di sette anni Matrimonii celebrati nel mese (li Gennaio 12 Pietro Snajer - Maria Rubessa ; Nazario Derin - Domenica Busan ; Pietro Paludan - Maddalena Gregorutti. — 13 Antonio Utel - Anna Schorsh 23 Andrea Bonifacio - Apollonia Urlini. Corriere dell' Amministrazione (dal 6 a tutto il 22 corr.) Faremo. Marchese G. Paolo Polesini (III e IV anno) — Pinguente. Pietro Rozzo (III anno) — Trieste Giovannina Benco (idem) — Umago. Dr. Francesco Guglielmo (IV anno) — Venezia. Cav. Tomaso Luciani (idem) — Vienna. Elio Longo (II sem. del III anno e I sem. del IV).