Manifestazioni dell'aldilà attraverso le testimonianze dei resiani Roberto Dapit Številna pričevanja dokazujejo, da je v Reziji verovavje v onstranstvo še živ pojav. Uvodna raziskava te študije predstavi gradivo, ki je porazdeljeno v več tematskih sklopih. Raziskani so glavni motivi in vsebine tovrstnih sodobnih pripovedi. Bogato gradivo je zapisano v rezijanskem narečju. I. Introduzione 1. Osservazioni generali Lo scopo di questo studio è di mettere in rilievo un aspetto ricorrente nella narrativa popolare contemporanea dell'area resiana, ossia le rappresentazioni e le manifestazioni del mondo dell'aldilà, ottenute esclusivamente attraverso testimonianze recenti raccolte sul campo. Per narrativa si intende qui un complesso di racconti che, dal punto di vista dell'intento comunicativo, sono da considerare non tanto come elaborazione estetica di unità di intrattenimento ma come espressione di credenze e soprattutto di esperienze individuali o collettive. L'epoca della narrazione dettata da intenti didascalici o di intrattenimento è tramontata nell'ambiente resiano dove tale mezzo espressivo ha perduto quasi totalmente la propria funzione. Qui infatti la struttura socio-economica di tipo rurale è praticamente annientata e simili esigenze, anche a livello domestico, vengono soddi-sfatte ora da altri mezzi. Tuttavia la comunità resiana conta ancora circa 1.300 abitanti e numerosi sono i resiani residenti nelle località di lingua friulana situate fra Resia e Udine, per non parlare di quanti abitano in altre regioni italiane o in paesi stranieri. Lo spiccato senso di identità dei resiani e il loro attaccamento alla terra d'origine permettono a quanti si interessano della loro cultura di accedere ancora ad aspetti quantomai interessanti su tutti i piani della tradizione di cultura materiale o spirituale. Attraverso le generazioni più anziane, quindi, è possibile ricongiungersi a una fase in cui la visione del mondo puo, sotto vari aspetti, definirsi mitica e si riescono ancora ad ottenere varie sfaccettature del com-plesso esistenziale dei resiani, ricostruibile sia negli aspetti materiali che simbolici. E' stato scelto espressamente questo materiale contemporaneo anche per mettere in evidenza il livello di conservazione di questo aspetto della cultura spirituale, nonostante si abbia a disposizione presso l'Istituto di etnologia slovena di Lubiana (ISN ZRC SAZU) un importante archivio di testi resiani raccolti da Milko Maticetov dal 1962 che comprende circa 4000 unità di vario genere. Se il mondo dell'aldilà rappresenta, comunque, uno dei temi preferiti della cultura popolare, sia come elaborato di carattere narrativo sia come espressione di un semplice atto comunicativo, pare che le relative entitá ancora presentí nella tradizione resiana siano diffuse in misura piuttosto elevata. Degno di nota e inoltre il fatto che le testimonianze qui raccolte, il cui numero di 80 non ci pare esiguo, sono state per la maggior parte narrate nella piü profonda convinzione di veridicitá. Da questo punto di vista, e importante mettere in evidenza fin d'ora che numerosi racconti ci sono stati narrati come esperienza diretta e li definiamo quindi autobiografici. Fra i racconti riporta-ti, tuttavia, sono rari quelli a carattere leggendario o fantastico, quindi solitamente privi di riferimento a persone o luoghi noti. In ogni caso, bisogna tenere presente l'importante distinzione fra il racconto di natura autobiografica e la narrazione di esperienze indirette, ossia riportate, che, a mio avviso, rappresenta di per sé un dato molto eloquente. 2. I motivi narrativi Nell'intento di analizzare il materiale raccolto e nell'operazione classificatoria, del resto molto difficile a causa dell'intrecciarsi di motivi che si possono osservare da diversi punti di vista, e stato scelto il criterio dello "spirito" del narratore, ossia raggruppando le unitá in base ai motivi e contenuti visti alla luce del loro effetto come espresso dal narratore stesso. Un secondo criterio potrebbe essere quello di analizzare specificamente i motivi classificandoli in base all'indice internazionale. Tale operazione tuttavia non verrá effet-tuata in questa sede ma in un momento successivo, quando sará stato raccolto materiale proveniente dall'intera valle. In questa prima fase di osservazione viene anche riportato del materiale comparativo dall'area etnica friulana, germanica di Sauris/Zahre e veneta. Da questo punto di vista non si e potuto realizzare uno spoglio sistematico delle fonti comparative, ma sono state prese in considerazione principalmente alcune raccolte di letteratura di tradizione orale e vari studi specifici. I risultati di questa ricerca sono tuttavia da considerare a carattere provvisorio per quanto concerne l'analisi interna e comparativa del materiale. In questo momento la nostra intenzione e di rendere accessibile quanto piü materiale possibile, sperimentando un criterio di classificazione. Nelle fasi successive, con l'aggiunta di nuove unitá, si prevede di ampliare l'aspetto comparativo dell'analisi, estendendolo al resto del mondo sloveno, anche tenendo conto, possibilmente, delle culture piü vicine: oltre a quella romanza e germanica, quelle degli altri paesi slavi. I testi, che sono stati raccolti presso informatori di Korito/Coritis e Učja/Uccea, linguisticamente appartenenti al gruppo di parlate di Oseacco, ossia l'area linguistica piü a oriente della Val Resia, vengono qui pubblicati in forma integrale. Oltre a contenere nuovo materiale linguistico, essi costituiscono una preziosa testimonianza a cui ci rincre-scerebbe rinunciare1. A questo proposito e opportuno tuttavia ricordare che determinate 1 Per quanto riguarda i criteri di trascrizione dei testi resiani sono stati adottati dei segni grafici il più possibile fedeli all'ortografia resiana come proposta da H. Steenwijk, Ortografia resiana/To jost rozajanskë pïsanjë, Padova 1994, a cui si rimanda. Le tipiche vocali scure del resiano vengono indicate come ï, ü, ë, o, a per Coritis/Oseacco, mentre per Uccea appare di solito à in luogo di a. Se in una parola compaiono due vocali scure è la prima a portare l'accento. Se compare solo una vocale scura nella parola quella è sempre accentata a meno che la sillaba tonica non venga indicata con un accento. Anche è, ô e é, ó oltre a rappresentare la vocale accentata riflettono rispettivamente la vocale aperta e chiusa; se e, o appaiono nei monosillabi riflettono la qualità di vocali chiuse, in posizione atona sono da considerare invece come vocali medie; la vocale indistinta che nella varietà di Coritis/Oseacco appare in diverse posizioni, non viene indicata nei casi di parole di origine slava in cui si manifesta assieme a r sillabico, ad es. mrzla. A Uccea è attestato il suono corrispondente alla interdentale sonora nella parola flà 'io'. La spirante [y] viene trascritta sempre con g, nei casi in cui si unità raccolte, nonostante l'elevato interesse, sono state omesse perché toccano, in maniera ancora più profonda di quelle qui pubblicate, la sfera personale del narratore2. Emergono dalla prima fase di analisi alcuni interessanti aspetti di cultura spirituale che certamente oltrepassano le soglie della comunità resiana per ricongiungersi a testimo-nianze molto antiche e in certi casi diffuse in vaste aree culturali. Un esempio eloquente, da questo punto di vista, è il motivo del fidanzato morto che ritorna a prendersi la ragazza, motivo che viene ricordato dal famoso verso: "Da káko lëpo lüna gri, dan zïvi nu dan mrtvi wkwop" (Kf), nella versione friulana "Oh, ce biel lusôr di lune plene, il muart e il vîf a van insieme"3. Per quanto riguarda gli aspetti culturali di carattere religioso, emerge con una certa frequenza la concezione delle anime in pena assimilabile all'immagine cattolica del purgatorio. Numerosi racconti resiani mettono in evidenza lo stato di anima purgante che si manifesta attraverso forme innocue in cui chiede ai vivi suffragi o aiuto al fine di liberarsi dalle pene e sfuggire all'inferno. In cambio, il vivo ottiene solitamente una ricompensa. In altri casi tali manifestazioni si verificano in forma anonima, invisibile ma minacciosa "strâsanjë", assumendo caratteristiche demoniache "ti donáne", ossia i dannati. Non si percepisce nel corpus una netta distinzione fra le anime in pena e quelle dannate. Sembra che le prime appartengano più spesso a persone identificabili in parenti e conoscenti men-tre le seconde si manifestano in varie forme anche come strepiti o fuochi. Simili concezio-ni dell'anima dopo la morte riflettono il riposo negato e l'idea di espiazione delle colpe, manifesta il suono [g], lo si indica con g in grassetto. Si e cercato inoltre di mettere in riliero le interferenze dal friulano e dall'italiano evidenziando in corsivo solo le parole o strutture non integrate né a livello fonologico né morfologico nel resiano. Cfr. invece la parola suwdáda, dall'italiano 'soldato' o friulano 'soldat', adattato sia dal punto di vista fonologico, ol^uw, che morfologico con la desineza -a dell'accusativo. Tale problema appare piuttosto complesso poiché in certi casi si manifestano degli effetti fonetici di interferenza anche in parole sentite dal parlante come vera e propria citazione dall'italiano. Si e scelto anche in queste situazioni di evidenziare questi casi con la grafia italiana cosí come pronunciati dall'informatore, rendendo solamente certi suoni con la grafia resiana, per esempio scüsimi per 'scusami', dove ü sta ad indicare il suono della vocale scura resiana. Per ulteriori dati sui criteri di trascrizione delle parlate di Coritis e Uccea cfr. DAPIT 1995 e 1998a. 2 Alcuni informatori hanno espresso il desiderio che le testimonianze qui pubblicate rimangano anonime. Rispettando la volonta dei narratori abbiamo deciso di indicare in margine alle unita unicamente la sigla del luogo di origine degli informatori, K per Korito e U per Uccea, e il sesso degli stessi, con m o f; si indica A se si tratta di racconto autobiografico, O se esperienza onirica. Si specifica infine la data di raccolta del documento. I titoli resiani dei racconti vengono spesso tratti da frasi o strutture contenute nei testi stessi e di conseguenza la versione italiana appare talvolta relativamente libera. Tutto il materiale dialettale e registrato su audiocassetta. La scelta degli informatori non e avvenuta tramite campionatura, ma in forma occasionale fra le generazioni piu anziane. 3 Cfr. JOB, p. 545. Il motivo del morto che ritorna a prendere la sua promessa sposa risulta ampiamente attestato. In questa sede tuttavia non viene presentato alcun racconto inerente a questo tema specifico ma e ricordato attraverso un famoso verso conosciuto da un'informatrice di Coritis. Numerosi riferimenti bibliografici al riguardo si trovano in MAILLY, pp. 178-179, a cui si rimanda. Ulteriori attestazioni appaiono in AQUILEIA, p. 176, n. 162: "El moros danat" (San Vito al Torre), p. 204, n. 190: "El muart e 'l vif' (Porpetto), dove il verso ricompare: "Oh ze biel lusor di lune plene, un muart e un vif a spas insieme!" e n. 191: "Il muart tornat" (Castions di Strada), dove pure si legge: "Oh ce lusor di lune plene, un vif e un muart e' cjamínin insieme!", pp. 208-210, n. 195: "El pat di sposasi" (Chiopris). Nelle prime tre unita non appare espressamente il motivo della promessa di matrimonio, mentre nella quarta viene stretto il patto di legarsi in matrimonio da vivi o da morti. Il testo inizia infatti con il seguente avvertimento: "Ragazze, non fate nessun patto con il fidanzato, di sposarvi da vivi o da morti; non si fanno questi patti. Un ragazzo e una ragazza lo fecero un tempo...". Ancora in MILANI, p. 378 "El moroso morto" si confronti il dialogo tra i fidanzati: "Maria, senti: al lustro de luna i mort camina. No te ha paura ti, Rosina?" - "Eh no, eh, che son insieme de ti. No ho paura." quindi lo stato di dannazione4. Secondo la credenza locale l'anima non trova posto in nessuno dei luoghi preposti, ossia l'inferno, il purgatorio e il paradiso, ed è quindi costret-ta a vagare. Esiste tuttavia la possibilité di ritornare a chiedere intercessione ai vivi che possono discolparla, mettendo fine alle pene. Ci sembra opportuno inoltre mettere in evidenza la tradizione dell'Esercito furioso, o Caccia selvaggia, che puo forse essere messa in relazione con diverse unità narrative qui presentate (n. 44-48) e che solitamente viene considerata da storici e folcloristi come antichissima. Testimoniata in varie forme fino ai nostri giorni ritroviamo allusioni all'Eser-cito furioso già nella Germania di Tacito e il nome della Masnada di Hellequin viene indicato per la prima volta nel XII secolo dal monaco anglo-normanno Orderico Vitale (1075-1142).5 Altro aspetto di rilievo nella nostra antologia sono le manifestazioni oniriche. Il sogno rappresenta il mezzo più diffuso e privilegiato nella comunicazione fra vivi e morti e risulta 4 L'anima dannata del purgatorio risulta in qualche modo sospesa e in questo tempo e costretta a sollecitare le preghiere dei vivi ed espiera le sue colpe sia con il suo "maledetto errare" sia con supplizi piu precisi (ARIES, p. 542). Nelle sacre scritture non esisterebbe alcun fondamento dell'intercessione dei vivi per i morti e tale pratica affonderebbe le proprie radici nella tradizione pagana. In base al Canone romano le anime dei giusti attendevano la resurrezione alla fine del mondo ma gia nel V secolo gli autori dotti non ammettevano piu la concezione dell'attesa della resurrezione alla fine del mondo: le anime venivano raccolte direttamente in paradiso o respinte all'inferno. Nonostante ció la massa dei fedeli e rimasta attaccata all'idea tradizionale di attesa che, fino alla riforma di Paolo VI, costituiva la piu antica congerie di elementi liturgici relativi al rito funebre (ARIES, p. 167-168). Dal secolo XVII al XX le preghiere per le anime del purgatorio diventano la devozione piu diffusa e popolare della chiesa cattolica (ivi, p. 544). Per uno sguardo storico sulla questione del purgatorio si confronti l'ampio studio di J. Le Goff citato in bibliografia. Riguardo al periodo tra riforma e controriforma cfr. invece il contributo di G. Zarri, Purgatorio "particolare" e ritorno dei morti tra riforma e controriforma: l'area italiana, Quaderni storici, 50, a. XVII, n. 2, 1982. Cfr. inoltre ARIES, pp. 540-546, VOVELLE, pp. 260-265. 5 Cfr. il capitolo V "La masnada di Hellequin", dedicato a questo tema, in SCHMITT, pp. 127-165. Testi in latino e volgare provenienti da numerosi paesi del continente europeo parlano dal secolo XI di apparizioni dell'Esercito furioso o Caccia selvaggia in cui si individua la schiera dei morti, talvolta dei morti anzitempo, come soldati uccisi in battaglia o bambini non battezzati. Alla guida della schiera si alternano personaggi mitici o mitizzati. Il tema dell'apparizione minacciosa dei morti implacati - reperibile in culture fra esse piuttosto distanti - viene in seguito interpretato in senso cristiano e moraleggiante in relazione all'immagine del purgatorio che in quell'epoca si stava elaborando (GINZBURG 1989, pp. 78-80). Interessante appare quindi il legame tra caccia selvaggia e purgatorio. Nel XIII secolo si intravede l'interpretazione religiosa e morale del tema, ossia la demonizzazione della schiera come punizione di chi usa la violenza e ne fa il proprio mestiere. All'esercito furioso e indomito degli "spiriti maligni" si oppongono le anime in pena chiuse individualmente nel purgatorio. Predicatori e confessori dal Concilio Laterano IV (1215) diffondono tra il popolo cristiano attraverso gli exempla nuove concezioni di teologia morale, atteggiamenti penitenziali e angoscia della morte di sé. Mentre nei racconti precedenti il tema riguardava allo stesso tempo le strategie secolari e l'idiologia monastica, ora il re Hellequin-Artu viene associato al diavolo, sovrano dell'inferno (SCHMITT, pp. 163-165). A partire dall'anno mille inoltre nelle testimonianze (molto piu numerose di prima) si combinano vari tipi di apparizioni: talvolta si tratta di una specie di processione di morti penitenti, ombre pietose che invocano preghiere, in altri casi l'esercito si manifesta in forme spaventose come una furia nel frastuono delle armi, dei cavalli e dei cani (ivi, p. 137). Le diverse unita presenti nel nostro materiale, e rapportabili forse al tema dell'Esercito furioso, presentano la schiera caratterizzata dall'opposizione di cui sopra: a Coritis la schiera di soldati che vagano pregando il rosario e a Uccea la furia dei cavalli e dei soldati che passano chiedendo miniacciosamente 'libero passaggio'. La bibliografia riguardante l'argomento dell'Esercito furioso e piuttosto vasta. Per quanto riguarda il Friuli cfr. la testimonianza in RPF V, n. LXXXV p. 205: "La cjazze dal gjaul no la sintin duc'. 'A e 'ne gran confusion di musiche, di cjadenaz: ai dolore, ai berghele. 'I va-ju lusórs a uso fücs..." . Qui appare anche la figura del fuoco fatuo. In ambito veneto cfr. MILANI alle pp. 387-390, "La cazza selvarega", dove sono raccolte 12 unita che testimoniano della Caccia selvaggia, quasi sempre rappresentata come una muta di cani. spesso come comice per i racconti autobiografici relativi alle apparizioni dei defunti6. Rispetto alla questione dei sogni come cornice narrativa, assume importanza il fatto che nel nostro materiale le apparizioni in sogno spesso rappresentano il contenuto di racconti autobiografici. Le apparizioni e visioni in stato di veglia sono invece meno numerose nel genere autobiografico e sono piuttosto frequenti nei racconti riferiti7. Nel complesso dei motivi attestati in questo materiale, sono individuabili due rag-gruppamenti principali: da un lato le manifestazioni di rapporti fra defunti e relativi paren-ti o amici stretti vivi, dall'altro le manifestazioni dell'aldilà, solitamente anonime ma spesso inquietanti e minacciose, attraverso visioni di figure umane, di animali oppure di ogget-ti, percezione di rumori, identificazione di elementi naturali (luce, fuoco). Gli ultimi rag-gruppamenti, con un numero assai esiguo di unità, sono rappresentati dalle premonizioni e segnali negativi e infine dall'identificazione degli spiriti con il maltempo. Presentiamo qui di seguito uno schema riassuntivo di tutti i racconti con il relativo numero e l'indica-zione del carattere autobiografico A e/o onirico O. A. Rapporto con i propri defunti che si manifestano nei modi seguenti: a. vengono in aiuto ai parenti vivi oppure li proteggono sia volontariamente sia perché viene loro esplicitamente chiesto: aiuto nei momenti di pericolo O (n. 1), madre che ritorna ad allattare il figlio (n. 2), soccorso durante il parto O (n. 3), o la figliatura di animali (n. 4), i nonni accudiscono i nipoti (n. 5), qualcuno rimbocca le coperte A (n. 6), spirito custodisce la casa A (n. 7), protezione da eventi naturali O (n. 8), protezione da persone AO (n. 9); b. predicono il futuro e comunicano ai propri cari: di aver ricevuto l'offerta dei vivi AO (n. 10), il sesso del figlio AO (n. 11), il ritorno del marito dalla guerra AO (n. 12), di ritornare a casa dal luogo di sfollamento AO (n. 13), il luogo dove è nascosto il denaro A (n. 14), la morte del figlio (n. 15); oppure: di essere accanto ai vivi O (n. 16), chiedono di far cessare i lamenti O (n. 17) o le invocazioni (n. 18), ammoniscono in seguito alla pro-messa di ritornare a riferire sull'aldilà (n. 19); c. si manifestano per ottenere suffragi, servizi e oggetti come nella vita terrena: messe di suffragio (la zia in miseria O, n. 20, suffragi per la madre O, n. 21), corona del rosario (n. 22-23), calzature (n. 24), pettine AO (n. 25); 6 Il tema dell'apparizione dei defunti è presente nella letteratura cristiana sin dai primi secoli ma durante tutto l'alto Medioevo i documenti di origine ecclesiastica rivelano una certa prudenza rispetto a tale questione. Simili racconti si moltiplicano invece dopo l'anno Mille in seguito a vari motivi fra cui la valorizzazione del sogno personale nella coscienza di sé e lo sviluppo della memoria dei parenti carnali e spirituali (SCHMITT, pp. 49-50). Nel XII secolo parecchi autori mettono in evidenza la novità e l'elevata frequenza delle apparizioni dei morti, fatto che viene giustamente collegato con il culto dei defunti (ivi, p. 83). Il sogno è strumento fondamentale per lo scambio tra vivi e morti anche nella tradizione napoletana secondo cui in varie chiese viene praticato il culto di rendere servigi a un'anima, dopo la scelta di un cranio che si trova in determinati punti della città come il camposanto delle Fontanelle. Nell'ambito di questo culto delle anime purganti l'anima prescelta appare in sogno chiedendo preghiere e suffragi, oppure si puo anche essere chiamati direttamente senza che il devoto abbia compiuto la sua scelta. Il sogno diventa il modo di farsi riconoscere, quindi comunicazione con l'aldilà, ma anche di diffusione poiché i devoti raccontano i sogni nella comunità dei fedeli formatasi attorno a questi luoghi specifici di culto (DE MATTEIS e NIOLA, pp. 20-21). Il sogno permette dunque di instaurare questo scambio di servigi tra vivi e morti: l'anima sconosciuta viene rapidamente liberata dal purgatorio e un giorno dal paradiso potrà ricompensare il suo benefattore (ARIES, pp. 545-546). 7 Nello studio di SCHMITT il racconto autobiografico sulle apparizioni di morti sarebbe rappresentato per lo più dal sogno (p. 50). Inoltre, viene messa in evidenza la frequenza delle apparizioni oniriche nei racconti autobiografici e delle apparizioni in stato di veglia nei racconti riportati (p. 79). d. chiedono di riparare le ingiustizie commesse durante la vita e di essere quindi liberati dalle pene: prendere i soldi o quant'altro di valore occultato O (n. 26-27), offrire il burro promesso AO (n. 28), rendere il fieno sottratto ai vicini O (n. 29), l'uomo che ha spostato il confine (n. 30), spirito scongiurato sul Canin (n. 31); donna che libera un'ani-ma penitente A (n. 32), soldati che si vendicano a causa della morte violenta (n. 33). B. Altre manifestazioni attribuite a spiriti o fantasmi: a. percezione di rumori o voci riconducibili all'azione o alla presenza di persone, animali, diavolo e spiriti: - passi in chiesa A (n. 34), rumori in malga (n. 35 A, 36), viandante che scongiura lo spirito (n. 37-38), piantare chiodi (n. 39), rumore di oggetti metallici A (n. 40), il diavolo e il dannato (n. 41), un mulo urta la baracca (n. 42), il mulo di un soldato defunto demo-lisce la baracca A (n. 43); - compagnia di soldati o soldati a cavallo (n. 44-48); b. visioni in stato di veglia di figure umane: il soldato nella trincea (n. 49), l'uomo vestito da soldato A (n. 50), il soldato seduto A (n. 51), l'uomo vicino all'albero A (n. 52), l'uomo gigante (n. 53), parente sul prato A (n. 54), parente che cammina A (n. 55), la donna avara (n. 56), quattro maschere ballano (n. 57), due maschere ballano (n. 58), la donna in nero (n. 59), uomo che cammina davanti (n. 60), oste imbroglione (n. 61-62), le mani del figlio ladro (n. 63); c. trasmigrazioni: serpi A (n. 64), il rospo nel campo (n. 65); d. visioni in stato di veglia di fuochi fatui, luci, candele accese: fuochi fatui e candela accesa A (n. 66), la candela sotto il Tufo (n. 67), l'aereo precipitato (n. 68); e. percezione di rumori o spostamento di cose e persone: caduta di candelabri e oggetto che rotola A (n. 69), rumori presso la chiesa di Carnizza (n. 70), le brande vagano A (n. 71), la porta si apre da sola (n. 72); caduta di pietre (n. 73), bambino battezzato cade a terra (n. 74). C. Premonizioni e segnali negativi: sognare fiori O (n. 75) o la chiesa vecchia di Uccea O (n. 76), il baule che scricchio-la A (n. 77), rumore dalla stufa A (n. 78). D. Identificazione di spiriti con eventi atmosferici: temporale (n. 79), vento (n. 80). Nel primo raggruppamento (A) e attestato un discreto numero di racconti autobiogra-fici (11 unitá) e la comunicazione con i defunti avviene spesso sul piano onirico (16 unitá). La relazione, in senso lato, si instaura anche attraverso segnali o l'invocazione dei defunti. Le esperienze autobiografiche riportate nel secondo raggruppamento (B) sono piut-tosto numerose (13 unitá) ma la manifestazione avviene generalmente attraverso l'udito oppure si tratta di visioni in stato di veglia (7 unitá) e non di esperienza onirica. Per quanto riguarda la natura dei racconti, si evidenzia l'opposizione tra "verosimi-glianza", che caratterizza le unitá autobiografiche, e "fantasia" che permea determinati racconti riportati. Alcune unitá rivelano quindi un contenuto fantastico oppure rappresen-tano un bagaglio familiare o collettivo come per esempio: la compagna, come promesso, ritorna a riferire sull'aldilá; il fantasma dell'oste imbroglione riappare sulla botte del vino; la madre morta ritorna ad allattare il figlio e riacquista la vita. Il primo motivo e piuttosto diffuso a Resia ed è attestato più volte nel materiale di Milko Matičetov; il secondo è attestato da due informatori mentre il terzo appare anche in ambito friulano. Anche i rumori presso la chiesa di Carnizza sono testimoniati da diversi informatori di Uccea e i motivi inerenti all'Esercito furioso sono attestati in ben cinque unità. 3. Credenze, usanze e rituali Intorno alla credenza delle anime e al culto dei morti a Resia, abbiamo raccolto diverse testimonianze che in parte vengono qui pubblicate. Vale infatti la pena ricordare in questa sede almeno alcuni fra i numerosi aspetti inerenti a tale complesso di tradizioni come testimoniate a Coritis e a Uccea. Fra quelle più diffuse, anche altrove, appare la credenza che i defunti ritornino nelle proprie case la notte dei morti. Per questo nelle case si preparava un secchio d'acqua per le anime dei propri defunti e si accendeva loro una candela; hanno bisogno dell'acqua per bere e della candela per vedere: "Ti mrtve za Sasvaté, wsak prháa ta-h svëj h'iše. Alora sa jin wnácalo no svíco anu sa díwalo no bándo wodá, ka ko ni so prháale, so mëli mët za pèt. Wsak pršow ta-h svëj hïse" (Kf). Se l'acqua serve ad alleviare la sete delle anime, anche alcuni riti relativi al cibo sono da considerare come suffragio per le stesse. Il giorno di Ognissanti, alcune famiglie di Coritis un tempo preparavano per l'intero paese una minestra, chiamata šijošt, i cui ingre-dienti principali erano zucca, patate, fagioli e panna. La formula di ringraziamento di chi prima di mezzogiorno andava a prendere la sua porzione era "Buh pranasïtë ta-prad wsa wáSa düSa!", ossia 'Che Dio faccia giungere questo a tutti i vostri defunti', formula che viene ancora usata quando si riceve qualcosa in dono, sia cibi che abiti. In tal modo tutte le anime defunte della persona che ha donato godono del beneficio derivato dagli oggetti offerti, in quanto le stesse li ricevono. Per assicurare l'efficacia del gesto è tuttavia necessa-rio fare il segno della croce sul dono, che solo in questo modo puo raggiungere le anime dei defunti: "Zawoo jtoga sa naréalo jti šijošt, da ni so naréale krïs da to pranasë ta-prad wsa düSa, ka so bíla Sasvaté. Nu pa ti otrocïci ka so hodïli ôku dur, gô, mátara so Mila, da ko ni wan dáaó bódi gorëh, bódi kroh, tô ka to cë, mata narédit rüdi krïS nu racèt, da: 'Buh pranasïtë ta-prad wáSa düSa!', perché onè so kontènt wsíga. Ma ti maš racèt rüde da ta-prad wsa, ši në dnè jiô nu dnè glédaô, ni nïmaô wsè" (Kf). Risulta inoltre che una donna anzia-na di Coritis offriva di tanto in tanto caffelatte e pane alle altre anziane del luogo poiché sapeva che i parenti, dopo la sua morte, non avrebbero offerto nulla per la sua sopravvi-venza nell'aldilà. La stessa persona ha inoltre donato degli oggetti di un nipote defunto ad un altro nipote affinché possano giungere al primo. La testimonianza di una visione onirica riferita da una conoscente confermerebbe infatti che questi oggetti sono giunti all'anima, come dal racconto n. 10. Quanto appena esposto permette di delineare una concezione delle anime nell'aldilà caratterizzate da qualità e abitudini prettamente umane, assoggetta-te agli stessi bisogni fondamentali per la sopravvivenza dell'uomo. Riguardo ai riti di trapasso, era abitudine a Coritis, quando una persona moriva, lasciare le porte di casa aperte affinché potessero entrare i defunti e portare con sé l'anima: in quel momento si puo solo pregare e non tentare di fare ritornare in vita quella persona. Sembra quindi che il trapasso rappresenti un momento difficile che i vivi devono cercare solamente di facilitare. Nella preparazione alla sepoltura, inoltre, la vestizione della salma deve essere effettuata con i migliori abiti e calzature che il defunto portava in vita, in quanto si crede che debba poter camminare anche nell'aldilà. Nella bara vengono messi determinati altri oggetti come cappello, fazzoletto, sigarette e fiammiferi per un uomo: "Anu mata sa vërwat nu mata vëdët, da ko dan mrjë, mata mu gat wsë tô ka mu gre: mata lëpo ga obot, hláca críwja anu ci an püli klobük mata ga gat nú h njamo anu ci an fifá, mata mu gat pa spunjulëta, ka dópo an jïscë, nïma anu mata mu gat pa glomïk, ka an ma pa sa časat" (Kf). A Uccea tale usanza appare ancora più marcata e oltre a scegliere i migliori abiti e calzature per la vestizione, con la salma rimangono pure determinati oggetti personali come la fede nuziale, gli orecchini, la scatoletta per il tabacco da fiuto, kúfica, e un coltellino da tasca, pokarica, per le donne, per gli uomini la fede e se fumava le sigarette, ad entrambi del denaro. Le ossa dei morti devono essere raccolte e non abbandonate perché, se manca loro qualcosa, ritornano indietro a cercarla. Altrimenti succede come sul monte Canin dove è precipitato un aereo provocando molte vittime e si vedeva sempre un lumino girare (racconto n. 68). Lo stesso si crede quando uno muore, per esempio cadendo da una rupe, e le sue spoglie non possono venire raccolte interamente: l'anima ritorna sul posto per cercare quanto le manca. Determinate manifestazioni dell'aldilà solitamente definite stràsanjë 'spaventare (attraverso strepiti)' provocano reazioni di paura e naturalmente di difesa presso gli indivi-dui che sono soggetti a simili esperienze. Ne consegue che, al fine di scongiurare queste manifestazioni, si ricorre a determinate pratiche. Tali sono la benedizione delle stanze di una casa dove a lungo non si ha dormito oppure dove si avvertono strepiti o altro. La benedizione, che deve essere compiuta con un preciso rituale, viene effettuata anche dalla persona che abita quella casa aspergendo, con un ramoscello d'ulivo, l'acqua benedetta da sacerdoti ritenuti validi e capaci a tal fine: "Tu ka ti na spïs kàrë tïmpa tu-w ni hïse, tu-w ni cánibe, ti maš owdëla' jtô dëlo, ka sa na vi da ko prháa nú pod jérprga, viš, da ko prháa sa ritiráwat anu jtu ti žigneš, to gre, anu ši në t'ë jto, tadí to ta štrášë" (Kf). A questo rituale puo seguire una breve formula di scongiuro se viene percepita la presenza di un'anima dannata: "Tacè tu ka Buh ta gaw", ossia 'Vai nel posto che Dio ti ha assegnato!'8. E' interessante notare che, come per il rituale appena descritto, tale formula è prerogativa della persona che ritiene di doversi difendere da simili presenze minacciose e viene quindi pro-nunciata dall'individuo senza la mediazione di sacerdoti esorcisti, a cui invece ci si rivolge se le manifestazioni sono molto pesanti o perdurano. E' attestata anche la credenza che quan-do un'anima purgante si manifesta è sufficiente rivolgerle la parola per liberarla dalle pene. Esistono inoltre dei rituali di prevenzione soprattutto per quanti si trovassero al di fuori delle mura domestiche nel lasso di tempo fra il suono dell'avemaria della sera e quello del mattino. Un tempo si sconsigliava di uscire dopo l'avemaria senza copricapo e, prima di lasciare la soglia di casa per recarsi in un luogo un po' più lontano, i resiani si facevano il segno della croce con l'acqua santa: "Ko zwonï vimarïja mèj ún züna čènče tana gláve anu pa prit núku vilëst ta-pot kápan za tèt na ta, jnjan pa mï na uzámó, pero, ti stári so rüdi sa žagnüwale, ko ni so mëli sa špartèt nu tèt, pa vilëst za tèt magari kan" (Kf). Tale credenza, diffusa non solo nell'ambiente resiano, caratterizza molti racconti diventando la cornice temporale dell'evento. Si evidenzia non solo in racconti legati agli spiriti ma anche in altri riguardanti altri esseri mitici, in particolare demoniaci. In una variante del racconto n. 41 "Il diavolo e il dannato" una voce grida: "Din ë twôj nu nuc t'ë ma!", sottolineando la classica spartizione temporale della giornata secondo cui è destinata all'uomo la parte di 8 Simili formule di scongiuro sono attestate anche in ambito friulano: "Anime serene, contimi la to pene - sta pur sore di te - e no sta tociâmi me" (San Daniele), oppure "... conte il to peciât - e s'ciampe tal to sagrât" (Feletto) (D'ORLANDI, p. 47); lo stesso riporta CICERI 1992, p. 297: "Anima terena - contimi la tô pena -conta il to pecjât - e torna tal to sagrât". luce mentre alle forze del male quella delle tenebre. Le ore attorno alla mezzanotte sono considérate le più pericolose e vengono infatti definite ta slába óra 'le ore cattive'9. E' inoltre credenza comune che solo determinate persone possano essere soggette, per esempio, a fenomeni quali le visioni in stato di veglia. Si tratterebbe di una caratteristi-ca che una persona avrebbe dalla nascita: 'sono nati cosi e quelli che hanno gli occhi cosi, vedono' (Uf). Il contatto con queste persone, stringendo loro la mano per esempio, per-metterebbe anche ad altri di vedere fantasmi. E' interessante notare che da Uccea proven-gono tutti i racconti autobiografici relativi a visioni in stato di veglia. 4. Conclusioni Da una prima osservazione delle credenze e dei motivi rilevati nei racconti resiani qui raccolti pare che un nucleo importante attorno al quale si sviluppano le concezioni dell'anima nell'aldilà, viste come riflesso dell'immaginario collettivo, sia l'esigenza di giu-stizia che, se non durante la vita, deve inevitabilmente avere il sopravvento dopo la morte. Anche il proverbio resiano "Wsë prháa wrácano, tej múka ta posójana"10 illustra il senso di giustizia universale che caratterizza i messaggi trasmessi attraverso i racconti. In questo senso i vivi sono in grado di soddisfare questa propria esigenza conscia o inconscia non solo attraverso servizi resi a un'anima ma anche, quando è il caso, scongiurandola in luoghi sperduti. Viene sottolineata in tal modo la capacità dei vivi, prerogativa concessa tra l'altro non solo a determinate persone, di influire sulla propria e altrui sorte nell'aldilà. La relazione con i defunti rappresenta inoltre un grande potenziale benefico per i vivi e spesso traspare la caratteristica della solidarietà. Senza dimenticare gli intenti didascalici che permeano numerosi racconti riferiti, si possono ancora intravedere in alcuni motivi i riflessi del senso di colpa individuale, anche nei casi di morte ingiustamente sopportata, traducibile forse come paura del trapasso senza l'espiazione delle colpe. La credenza dell'immortalità dell'anima, visibile per esem-pio nel bisogno di protezione ultraterrena che viene offerta dagli spiriti tutelari oppure nel timore dovuto all'incombenza della dannazione, è naturalmente il nucleo aspettuale che permea l'intera antologia. Come ci si puo attendere, la rappresentazione del mondo dell'aldilà appena traspare in alcuni racconti e in ogni caso illustra una condizione di grave difficoltà riferita sia al passaggio tra questo e l'altro mondo, sia all'esistenza delle anime che devono conquistarsi la pace eterna11. Si percepisce che l'idea è quella della separatezza dei due mondi e il mistero dell'aldilà viene preservato attraverso i tabù che ne vietano qualsiasi interferenza umana. Abbiamo inoltre a disposizione diversi elementi per poter affermare che i resiani considera-no l'altro mondo, ta krèj na ta, come un luogo dove alle anime è concessa un'esistenza che rispecchia quella che conducevano in vita: hanno infatti bisogno non solo di cibo, ma anche di begli indumenti, di scarpe per camminare, di denaro e possono addirittura soddisfare desideri 9 D'ORLANDI, p. 40, riporta da Mersino (Benecia): "Quando le campane suonano l'ora di notte, tutte le sere le anime vanno in chiesa e la mattina all'Ave tornano in processione in cimitero. Un uomo che vede gli spiriti ha chiesto ad uno di essi dove andava la notte. Questi rispose: La notte è mia come il giorno è tuo". 10 "Tutto ritorna indietro come la farina data in prestito". 11 Nel materiale non si fa espressamente cenno alla suddivisione fra pakatórih 'purgatorio' e paklo 'inferno', ma secondo un'informatrice di Coritis l'anima per raggiungere il paradiso, paravïz, dovrebbe passare attraverso l'inferno e il purgatorio. In base alla gravità dei peccati o all'assenza di questi l'anima si fermerebbe in uno di questi tre luoghi. quali il fumare sigarette o fiutare tabacco. Constatiamo quindi che nell'aldilá avviene la ricostituzione dell'immagine della persona, con caratteristiche umane ben definite, che tutta-via è inserita in un quadro quasi inesistente dal punto di vista della rappresentazione. Indubbiamente il mondo resiano ci offre testimonianze di un intenso rapporto con l'aldilá, esplicitato anche attraverso le ricche manifestazioni inerenti al culto dei morti. Tale rapporto è tenuto saldo da innumerevoli implicazioni di natura storico-sociale, culturale ed etnica che come vedremo, si manifestano talvolta a diffusione "universale". Sarà la concezione del mondo dell'aldilá a rivelarci aspetti ancora una volta specifici di Resia -come spesso si puo evincere dagli studi resiani - oppure contribuirá a inserire questo spazio in un contesto, che lentamente si va definendo, di specificitá e allo stesso tempo di relazioni di ampio respiro? La risposta a tale quesito verrà fornita, ci auguriamo, nel momento in cui l'analisi avrá tenuto conto di tutti i microsistemi culturali ancora presenti nel territorio studiato, le cui dimensioni e complessità presentano fortunatamente a Resia, e probabilmente anche altrove, un alto grado di imprevedibilitá. II. M a t e r i a l i A. Entità rapportabili al mondo dei defunti a. I defunti vengono in aiuto ai vivi o li proteggono 1. "Máte ka na dm róka ta-pod nogáme od hcará / La madre sorregge la figlia con le mani" Una donna ha l'abitudine di andare nel bosco a raccogliere legna. Una notte le appare in sogno la madre defunta che le mostra le mani insanguinate perché, quando la figlia passa in un punto pericoloso su una roccia, gliele tiene sotto i piedi affinché non cada. La prega di non recarsi più in quel luogo (Kf-O). Ë bíla na žaM ka n'ë hodïla w göst jta-gorë na Hliväc, ta krèj na tä, káko to ma jïmë: ta-ziz Moroncän. Alora jsa hcï ta-dö za Kalïšcän ë hodïla nu dópo n'ë praháala ta-na Hlíwci tä, ma mä be' bi' rop. Alora ko n'ë praháató tä, ka bi' jsi rop, n'ë rawnáté báb^ pot, ma pero ë bi' rop ta-zdolá, poticä na mája anu biw rop pa na won. Ko n'ë š^ s kórbo onä n'ë mëla sa díwat na krèj, ma onjapöwk ka to bëšë bílo o gnjïlo káki ománek o kèj, na gardëšë dö wb duw. Alora n'ë vïdala wûsnë nji mátor, n'ë raklä da: "Jnjän ti si spet š^ w göst gorë w Moroncän, ma na stüj tè' vèc," - na ë raklä, na ë raklä da - "le me róka," - n'ë raklä - "ni so krvava, ta krèj ka tï ti praháäš ta-z rop, ko tï ti praháaš ta-s ta rop ä män ti držat róka ta-pod nogáme, da ti ba sa na wálitó anu jnjän na stüj jtè' vèc!" - na ji pokázala róka. E dópo na na bo bíla pa šla vèc, ko máte ji pokázala róka (...); mïsli se tï, si mïslet, da tu ka diwän ä nögo, ë mátara róka ka mi drži! Questo racconto è stato narrato più volte e, in una versione identica dal punto di vista contenutistico, appare anche in DAPIT 1998a, pp. 205-206. Il motivo del parente defunto che ritorna per soccorrere un parente vivo è variamente attestato dal materiale riportato in questa sezione. A Sauris risulta in RPF XVII, p. 149, nota 35, che un uomo aggredito dalle streghe viene liberato da un defunto. 2. "Ta žara ka ë prháa^ dojèt to májë / La madre che ritorna ad allattare il figlio" Una donna muore poco dopo la nascita del figlio. Di notte il marito sente che il bambino viene allattato. Va dal prete a riferirgli il fatto e questo gli consiglia di gettare la stola sulla culla per far ritornare in vita la moglie. Cost accade e la donna rimane sempre chiusa in casa. Dice pero al marito che non avrebbe dovuto fare ció e anziché morire di nuovo ingoierebbe un "toro ungherese"con tutte le corna (Kf, 7.10.1996). Ë bíla pur ta ka si ti právila (...), ka n'ë bíla mwíla žana anu otrocèc t'ë bi' da' máje, májo tïmpa, na dvi nadëje, trï, libôj, vi onô da muc, máji otrôk, anu n'ë prháala rüdi tu-w nocè dojèt to májë, n'ë rüdi wárwala tu-w nocè to májë, to ni mwèj ôkalo anu ë cow fïn da to pusá. Alora jsi muš an na mëse tèt ta-h ëro racèt da ko to ë. Alora ë sow anu jsi ëro mu dow stólo jsamo múžo. Ë rëkow: "Ko ti boš cow da na ë, da to puSá to májë" - n'ë prháala mu da' ëst, búžica - "ti maš navija' Stólo ta-ziz zibílo." Anu un navijow Stólo ta-ziz zibílo anu o jèw: n'ë bíla spet žïwá, ë bi' o jew ano ëro na mëSë owbdëlat jtoga, mëSë naháat, na mu wrédila otrocïca, na ga wárwala tu-w nocè, da búžac - to mi prháá da ôcën pa á - alora dópo na se ožrnla ma na ni hodïla mwèj nikac, n'ë stála rüdi ta-par hiše anu n'ë rakla - šiša, ka ni so vëdale jüdi da n'ë wmíla, na tëšë spe' hodèt atór po vasè? - alora ona n'ë rakla tu-w njaga, n'ë rakla: "Ti na mëšëš mwèj owbdëlat ina-táka racá ka" - na ë rakla, da - "jnjan a," - na ë rakla - "rejši núku spe' wmrit, a ba tëla požrit naga wógorskaga wola zi wsémi rogáme, rejši núku spe' wmrit!" Interessante in questo testo è l'arcaismo wógorski 'ungherese', il cui significato oggi non viene più percepito. Il motivo della madre che ritorna ad allattare il proprio figlio è molto diffuso e in ambito friulano risulta attestato nelle seguenti fonti: OSTERMANN, p. 397, riporta un racconto di Osoppo che rivela lo stesso motivo. Qui la madre resta un anno e poi scompare; a Moggio appare il dettaglio relativo all'affermazione della madre secondo la quale sarebbe stato meglio inghiottire un bue con tutte le corna piuttosto che ritornare in vita. Tuttavia si arrende e continua a lavorare in casa come faceva da viva. A quanti le chiedono notizie sull'aldilà si limita a rispondere: "tal si fâs e tal si spiete" (letteralmente 'tale si fa, tale ci si aspetta'). Anche D'ORALNDI, p. 42, annota diversi luoghi dove tale motivo risulta attestato in Friuli e riaffiora il particolare del bove: "pesa più ringhiottire la morte che inghiottire un bove con sette teste" (Ciago di Meduno); oppure a Cesclans: "Al sarès stât miôr che tu mi vès fat glutî un ciâf di bou che no fâ chesta part uchi". Cfr. infine JOB, p. 544: la moglie defunta viene trattenuta dal marito che la afferra per la vita e rimane un mese e un giorno ad allattare il bambino; cfr. inoltre RPF XVII, p. 149 nota 35, e p. 150 nota 36. 3. "Ta črna škorca bogajïmë / Le croste della polenta per la nonna defunta" Una donna nell'alpeggio Klen presso Coritis muore in seguito al parto. La nonna defunta appare in sogno ai familiari dicendo che se in quel momento avessero offerto bogajïmë per lei almeno le croste della polenta, anche quelle più abbrustolite, avrebbe potuto salvare la nipote, ma a causa della fame non ha potuto continuare a pregare (Kf-O, 7.11.1997). Bè, tèj jta ka ë bíla ta-gorë w Klïno - ma na vin ce ti si bíla ti rakla - ka n'ë mëla mët mládje jsa ta mláda ta-gorë w Klïno - mlë to mi parjá da t'ë bílo ta-gorë pr T. Al ora jsa ë bíla ji mwíla bába ano mwíla bába anu jsa ë mëla mët mládje jsa ta mláda (...) anu n'ë mwíla anu ni so vïdale wûsnë bábo. "Ëh," - n'ë rakla - "da jte din ba bëštë mi dáli šk0rča ta cína bôgajïmë, ta cína šk0rča ba bëštë mi dáli bôgajïmë, a tëšën bíla o šaMla, ma" - n'ë rakla -"si bíla mása lácna, nïsi mogla vèc prosèt." Videš, ta cína šk0rca ona tëšë bíla o šaMla, šlovëká, anu n'ë bíla mása lácna, n'ë rakla, na ni mogla vèc prosèt anu tadíj n'ë mwíla. 4. "Jnjan si sam, pomágita me! / Ora sono solo, aiutatemi!" A Coritis una mucca sta per figliare ma il padrone si ritrova da solo. La notte precedente a questa persona è apparso in sogno un parente defunto a cui era molto legata. Nel momento cruciale della figliatura l'uomo chiede aiuto alle anime dei defunti e riesce a portarlo a termine da solo. Normalmente tale operazione richiede l'intervento di più uomini (Kf-O, 7.11.1997). Ábe M. ta-gorë na Korïtë, ka mu zdëlala inïca - jnjan ti ce regištrat pa jsô. Alora ë mëla mu zdëla' inïca anu staw Š. ta-gorë. Anu Š. ë rëkow, da: "À, puw óra, cu be' dô na Súbico, cu tèt anu cu pa spe' prît." Š. sa špartèw, ta drügi ë š ow dô w hliw: kráwa zdalüwala, t'ë bílo wsë jt o. Ë rëkow M.: "Jnjan si sam, ko man dëlat?" Anu vïdow wûsnë Bépina to nuc prit, da ë šow küntra h njamo, da ë pršow ga nalëst jsi Bépo, ka ë biw rüdi pa ôku njaga. Alora ë rëkow, da ë wézow worco anu paracow wsë ë anu rëkow, da: "À si rëkow, da pomágita me jnjan!" - ë rëkow da - "Pomágita me jnjan!" Ë rëkow da talá da' momènt ë bílo ta-na svëto. Viš ka kada to cë pa štiri pet mužúw za liberat no kráwo anu t'ë bíla inïca nu no valïkë talá anu èršt ë o kístew; ë vas biw anu na črna wüha. À si ga bárala, da: "Káko bèj ma jïmë?" - "Eh" - ë r ëkow, ma popolédow le-táko - "viš káko si mu rëkow jïmë? Da Katerïnica!" Il protagnista del racconto ci ha personalmente confermato il fatto che sarebbe accaduto proprio come è stato qui narrato. 5. "Žuwdma basída / La richiesta esaudita" Una donna va a lavorare nel campo portando con sé il figlio piccolo che piange continuamente. Invoca lauto dei nonni defunti affinché vengano ad accudire il bambino che viene posto in una coperta nel campo; subito si tranquillizzapermettendo alla madre di terminare il lavoro. Un simile evento viene definito iuwdlna basída, letteralmente "parola esaudita" nel senso di desiderio o richiesta (Kf 7.10.1996). Dna to-gorë w vasè anu n'ë mëla tèt prdáat tu-w njïwo (...), inšoma n'ë mëla tè' prdáat jsa ano otrôk rüdi ôkuw, rüdi ôkuw nu n'ë mëla za prdáat anu na ni mogla prdat. N'ë rakla da t'ë bílo o ribijálo, n'ë rakla: "Kë twa bába nu twôj dët za prït ta glédat, da morëj prdat!?" N'ë gála otroka nú w razôr ta-nú w no kóco anu nï vèc zahôwknuw anu ë staw jtu dárdo ka n'ë prdála njïwo. Alora ti stári ni so gáli da ë 'žuwdma basída'. Ko n'ë rakla jtáko ë bila žuwdïna basída, so prslè nünave, da na morëj prdat (...). Ti stári ni so rüdi gále: wsè vimô kèj, pa tï, pero ti na viš da kada ë minot, ka še në, ci ti ba vëduw da kada ë minot ta práve, ba báraw na vin da koj, ti ba báraw tô ka ti ba tëw. 6. "T'ë parslú së, t'ë ma lëpu ma pokrïlu / Qualcuno mi ha rimboccato le coperte" Una donna di Uccea va a dormire assieme ai fratelli più piccoli e sente che la porta della camera si apre. Qualcuno le rimbocca le coperte e crede sia il padre. Ma non si tratta del padre bensi dello spirito della persona che viveva prima in quella casa e che ora protegge quanti vi abitano (Uf-A, 7.10.1998). Alora dâ bon bila mëlâ na dânest lit, kô semô spále, ko ma máte n'ë hodïla nútor h Bábe, semô spále wsè tu-w ni cánibe, zatô ka si mëlâ, ci bëšë sa sucëdinalu kèj, semô bili wsè wkwop, nïsi mëla problém za jtèt tu-w ta drüga cániba vïdët da ko ni mëô me sastrá nu koj an mâ môj brátar. Alora nu nuc so sa ogála dúre anu sa č&a stópa ta-na plumíntu, pero dâ si kapïlâ da t'ë bi' môj ocâ, a si ga klïcalâ: "Papà! Papà! Papà!", dan glas ë rëkuw da: "Šššš!" T'ë parélú së, t'ë ma lëpu ma pokrïlu anu t'ë mi lëpu gálu, káku sa di, kücina ta-pod matarač anu so spet šla stópa won po dùrëh. Spet da: "Papá! Papá! Papá!" - "Šššš!" Drügi din, dâ si rüdi kapïla da t'ë biw môj ocâ, da ë š ow spat ta-w to drügo cánibo, invezi drügi din miga ocâ ga ni bílu, wse dúre so bíla zagána; dâ prosüminân, da vin da du t'ë biw, da ë jsa parsùnâ ka n'ë stála tu-w ^ši Mše, pero dâ sa na bojïn proprio fès nicár perché jsa parsúM pa ko dâ hôdin dô w mo Mšu, o čüân da n'ë jtu, pero na wuardijá môju Mšu, na mi glédâ, probabilmente, pa mi gléda môje genitôrja, quindi dâ sa na bojïn, anzi o ringracjáwân. 7. "Ta žank ka na mi glédâ hïsu / La donna che protegge la mia casa" Una donna di Uccea percepisce la presenza dello spirito della precedente proprietaria della casa, che ora la custodisce, e le dice che se l'edificio crolla con il terremoto, deve abban-donare quella la casa (Uf 7.10.1998). Nu jso parsúnu si o cûlâ pa ko ë biw paršow taramotti dellundicisettembre; a si slâ gorë w h'išu, si cüla da dna parsúna n'ë šla won, won po štiglih, ma si kapïla da t'ë biw moj ocâ, a di corsa won, dúdu won na čâšt; e inveci ni bilâ nína düša, ë bíla rüdi jsa parsùnâ, rüdi jsa žanâ, ka t'ë bíla na žaM, cheprobabilmente n'ë wardijáwala hïšuperché ni so spádla wsa h'iša, te ka so bíla oku no oku, ma ta n'ë bíla ostâlâ na nogâh. (...) "Ci na spáde jsa h'iša, vi matë vilëst won s hïša." 8. "Wsak ta-h svëj hïse bránet sve jüde / Ognuno pretegga i propri cari" Una donna, in sogno, vede uscire dal cimitero di Oseacco una defunta che dice di dover ritornare indietro a chiamare le altre anime affinché si rechino ognuna nella propria casa a proteggere i propri familiari che vivono in paese (Kf-O, 7.11.1997). Jto nuč prit núku potrés, jto nuč ka t'ë mëlo strest, ka da n'ë pršla dárdo gorë h satmtéëriho, ë o vïdala wûsnë na ža^, da na o vïdala vilëst zis satmtéëriha nu n'ë pršla gorë dárdo tu ka ë bíla ta stára církow anu jsa mrtwa, rüdi wûsnë, na ë rakla da: "Ojmë, ko čë prït!" - na ë rakla da - "Man spe' tèt do w satmtéëreh anu man tè' dolu da wstánite wsè, ka ni mëo prït wsè, wsak ta-h svëj Mše bránet sve jüde!". Si tratta di un sogno premonitore verificatosi la notte prima del terremoto del 6 maggio 1976. L'informatrice ha sottolineato che infatti a Oseacco le perdite umane sono state minime. 9. "Ti mrtvi ni so ma bránile / I defunti mi hanno difesa" Una donna sogna che sta scendendo a piedi da Coritis ed è seguita da un gruppo di persone che la vogliono uccidere. Fra queste e la donna ci sono dei parenti defunti che la vogliono difendere. A un tratto la donna per mettersi in salvo si alza in volo (Kf-AO, 30.1.1999). Pa a si snûwala wos Črno pëM, pero si prháala s Korïta dolo anu a si bíla ta-prít, trïji mrtve so bíli ta-za mlu anu ta-zát so bíli ti nore, ka ni so tëli ma jet anu da ni mëo ma wbwèt. Alora a si došla nu májo bo nùtër, si počala lastèt. Ma káko lëpo t'ë latlo! Anu si jin bwížalá. Ma viš t'ë lëpo mi latlo! Ti mrtvi ni nïso naháale prajtèt tih norih ta-zát, so bránile anu dópo a si wlatla. b. I defunti riferiscono o annunciano eventi futuri, ritornano a salutare 10. "T'ë to ka mi dála ma máte / Ecco ció che mi ha dato mia madre" Una donna di Coritis ha due figli ma entrambi muoiono in guerra. Uno di essi lascia a casa un anello da alpino e dei calzini azzurri. La madre offre questi oggetti del figlio a un parente giovane. Il figlio morto appare in sogno alla narratrice - con l'anello al dito e i calzini azzurri ai piedi - dicendole che è quanto sua madre gli ha dato. Bisogna dare durante la vita perché cio che si offre lo si ritrova nell'aldilà (Kf-AO, 5.10.1998). Si pur ti právila da káku jsa žana ta-gorë na Korïtë, ka n'ë mëla dwa sïno tu-w wére anu t'ë ji wmworlo obadwá anu ë mëw prstan ta alpínske ka bi' püsti' ta-par Mše anu na lípa celeste h^ča anu a si ga vïdala (...), jsï so bíli tu-w jti dworë, jsa žana, anu hodïli sa grët rüdi na no lïndico jtu-wnë, anu si ga vïdala wûsnë. Alore jsa žana n'ë dáala jštës numu nipote, numu kužmu, numu simču, numu sïno, n'ë mu dála prstan anu n'ë mu dála pa h^ča. Anu a si vidala bíla wüsne jsaga, ka mew jime da M., e sídow tu-wne na štigleh, e mew jsa kalcíne ta-na nogah anu prstan ta-na roke. Alora e rekow da: "T'e to ka mi dála ma máte." Videš ka to bo došlo! E mew kalcína ta-na nogah, na tij no azzurro, anu prstan ta-na roke (...). Ci ti daš kej pri' núku wmrit, ti ci met ta-krej na ta, anu ci ti na daš, ti nimaš nikár, ti na boš mew nikár. Sa ma dat, sa nima glédat da ne dat, sa ma dat, ka ko ti boš na ta, ti ce nalest wse. Viš, ti moreš dat tamo ka ti ce, tej ti si raeš, tej ti maš two gláwo, twoj pensír. 11. "Si vidala wüsne mo mátor / Mia madre mi e apparsa in sogno" Una donna é in attesa di un figlio e le appare in sogno la madre defunta: si trova in chiesa davanti all'altare maggiore, é vestita molto bene e attorno alla testa ha tre farfalle bianche. Le annuncia che avra una bambina e che dovraportare lo stesso nome della nonna. Il colore bianco delle farfalle viene interpretato come buon auspicio (Kf-AO, 7.11.1997). Á si o vidala wüsne mo mátor, ko si mela me' a ^šo A. del cinquantadue ganárja, dvíste nu sedan dnuw ganárjapo, ta-do w crkve n'e klicala ta-prád ti valiki gowtárjan anu e mela oblacaná ta kotula ka ni so uzále prit, na lípa črna kotula, da' facolet ta-na gláve n'e mela lepo wézan na dolu anu n'e mela tri prapalica ta-na gláve ma, viš da káka dna, le-na táka: dno le-zde, dno le-zde anu dno ta-na gláve. Na e rakla da: "T'e na hci, maš ji race' jime da A.!" Koj jtáko n'e rakla: "T'e na hci." N'e klicala ta-prad gowtárjan, n'e rakla: "T'e na hci, maš ji race' jime da A.!" Anu n'e mela jse prapalica ta-na gláve, bíla tej snih, bíla, šiša, bíla, bíla to pride race' jošt. Ce ti snüwaš črno t'e slábo, t'e noro, ti maš kej slábaga tu-w hiše, ma bílo t'e jošt, go go. 12. "Si bíla snüwalá mígá dedá / Ho sognato mio nonno" Una donna di Uccea sogna il nonno che le annuncia il ritorno del marito dalla guerra sano e salvo. Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e dopo alcuni giorni la donna riceve la notizia che il marito si trova allospedale di Udine, da dove viene poco dopo dimesso e ritorna cosí per sempre a casa (Uf-AO, 2.11.1997). Il testo e giá stato pubblicato in DAPIT 1997, pp. 60-62. 13. "T'e ásno, tasta won h hiše! / E' sereno, ritornate a casa!" Una famiglia resiana é in parte sfollata dopo il terremoto del 1976 in un'altra regione italiana e, nella casa ospitante, la madre sentendo ogni notte scricchiolare il como ne ha paura. Una notte sogna la madre defunta la quale le ricorda che non si tratta del como ma che é lei stessa. Le chiede di ritornare a casa perché non riesce piu a proteggere tutti i suoi cari, dal momento che sono sparsi in vari luoghi. Dice inoltre che t' e ásno 'é chiaro' e tutto é pacifico (Kf-AO, 7.11.1997). Il testo e giá stato pubblicato in DAPIT 1997, pp. 58-60. 14. "Beč ti na moreš ga skret / I soldi non si possono occultare" Una vedova trova del denaro, nascosto dal marito defunto, in una stufa non in funzione. Nonostante abbia controllatopiu volte la stufa, non vi ha mai trovato niente. Un giorno qualcosa la spinge ad andarvi a prendere deipezzetti di legno (lüc) e vi trova i soldi in un vaso di vetro che si rovescia quando apre il portello. I soldi rappresentano la tentazione e non si possono nascondere. Chi li occulta é costretto a rimanere in quel luogo fino a quando una persona non venga a prendere quei soldi. Ció accade tuttavia solo quando il defunto decide di indicare a un vivo il momento adatto perprenderli (Kf-A, 7.10.1996). Dópo tri mísca ka bi' jsi špohert ta-züna jtó - e biw tu-w baráke, tu ka samo stále ko biw teremdt - anu dópo un e wmr anu jsi špohert somo gále ún züna ta-prad dan b0kš anu pokrili z da' nájlon pa, ano staw jtó, kan mešen ga gat, ko si wže mela - anu si šla núter stu čas vižitat a jsi špohert, ma ni bílo nikár anu, pur din, jsi din pojütreh si šla ta-h oknó anu t'e tej mi rakló da: "Tace wó züna, tace wón špohert jtu-w kasele ta-zdola e lüč ta brinawa, ti ci me' za wnit ogónj!" - viš ti wse pradíwa diškórs, ne, to ti na rače jóšt. Si šla wón, bi' din, ko si rivála ogát jto kaselo, jtó zdolá, ka bi' da' valiki špohert, e sa obrátew le-dan táke mugúw, ti ka meo za zagát z gómo ta-zorá, e sa obrátew na se. Ma ke e biw prit, ko si hodila núter, ka ni ga bílo? T'e mew prit minót, óra nu minót anu e mew racet da ke to e. Si šla núter, e po, bi' dan milijún nu puw ta-nútre w mugúlo. Si vigála wón, si šla pokázat: "Ke si nalezla?" Ma prit minót perché beč t'e tantacjún, beč ti na moreš ga skret, ka tu ka ni skrio béča, jtu ni stojio fin ka dan an na pride jih vigát, peró an ma ti kwázat ta mrtve da ti maš te' ga punj, ši ne ti jih na naMžaš (...). Perché beč e tentacjún, ni meo wrátet, ni na morao, ka béčave to so od governa, ni meo girat. Appare in quest'unitá il tabü di nascondere il denaro, fatto che diventerebbe causa di danna-zione o perlomeno di pena per l'anima che e costretta a chiedere l'intervento umano per essere salvata. Tale motivo appare in diverse unitá di questa raccolta. Vari racconti in MAILLY conferma-no la credenza che lo spirito rimanga o ritorni sul luogo del peccato: "Il crocevia del maledetto", p. 120-121, n. 72; "L'infanticida", p. 121, n. 73; "Il commerciante ucciso", pp. 122-123, n. 76; "Il rapi-tore di fanciulle", p. 123, n. 78; "La figlia scellerata", p. 124, n. 79. 15. "Máte n'e sa ji nasmejnula / La madre defunta che sorride" Dopo il parto in ospedale la madre ritorna a casa, ma senza il bambino. In una fotografía sul comodino la nonna defunta le sorride e in quel momento il bambino muore (Kf, 2.11.1996). Alóra e bíla dna, ka ti na račen, n'e bíla dna ka n'e mela to máje, naga sinico, anu máti e bíla wmwrla; peró jsa n'e mela taga májaga, nú z M. ni so bíle. Anu ni so ni ji dáli taga májaga za nastet ta-h hiše, ko n'e vilezla tópadáw ona, ni so ga naháale jtó, ka da ni meo ga kontrolat šce nu májo nu videt. N'e šla ta-h hiše ona anu ko n'e ogála cánibo, n'e mela mátor ta-na comodino anu n'e sa ji nasmejnula, máte, ma n'e bíla mwrla. Nu ko n'e sa nasmejnula, jtadej n'e ji nasla taga májaga, n'e pršla se hiši ka bi' zdrów ta máje, j^št, anu pur ti din, n'e sa nasmejnula anu jtadej e wmr ta máje ko n'e sa nasmejnula, ano bi' zdrów. 16. "MI sumo jzde na tin svetu / I defunti sono in questo mondo" Una donna di Uccea sogna il padre defunto e gli chiede notizie sull'aldila. Il padre rispon-de che i defunti sono in questo mondo accanto ai vivi, ma questi non li vedono (Uf-O, 22.3.1998). Tadej ko e wmwar det tu-w Kuriteh, náju det, na vin ce dópo (...) tu-w timpih áliboj subitopraticamente, ma máti ga bíla snüwala anu ona n'e vedala da e wmwar: "Ojme," - n'e rakla - "oca," - n'e rakla da - "ste paréów?" - Da: "Go." - "Cüjte," - n'e rakla - "oca, káko to e ta-na ti drügin svetu?" Alóra un e mew questa espressione: "Ho, boga šffipet!" - e mew questa espressione - "Km ta drügi svit? Mi sumo jzde na tin svetu jzde, koj ka vi vi nas na vidite, ma mi smo rüdi ta-par was!" 17. "TalIku čas ka ti ti ma očeš, dá si rüdi tu-w ude / Mi ritrovo immerso nelle tue lacrime" Una donnapiange continuamente un familiare defunto che le appare in sogno dicendo che, quando leipiange, si trova immerso nell'acqua a causa delle lacrime versateper lui (Uf-O, 22.3.1998). Be poslüsej! Na zana - na vin ce e biw ji mwar s'in, áleboj ce biw ji mwar muz - jsa zana ta-nú w Ucí, ma na vin da ko za dna t'e bíla, ne, anu n'e rüdi okala, na rüdi okala, rüdi okala, rüdi okala, na rüdi iliment gore pu njamú anu e bíla ga snüwala da: "Tal'iku cas ka t'i ti ma oces, da da si rüdi tu-w ude, da si rüdi tu-w ude, da wsa ta súwza ka t'i ti si prolila, da da si rüdi tu-w ude, da ce e súwza, da si tu-w ude!" Si bíla cüla jtáko právit da, ma na vin da ko za dna t'e bíla, sa na rikordán jnjan. Il motivo del defunto che si manifesta chiedendo di far cessare il pianto dei vivi e molto diffuso. Nei racconti generalmente si tratta di un figlio morto che comunica con un genitore, la madre, e lo esorta a smettere poiché il pianto arreca dolore all'anima (CANTARUTTI 1986, pp. 180-181, n. 91/I e 91/II; RPF VI, p. 201; apparizione in sogno in MAILLY, p. 56, n. 2, sui paralleli friulani sloveni e croati d'Istria cfr. nota a p. 177), oppure il figlio appare in sogno al genitore o viene intravisto nella processione delle anime defunte la notte dei morti all'ultimo posto perché non riesce a procedere a causa della veste inzuppata di lacrime (D'ORLANDI, p. 39-40; CANTARUTTI 1960, p. 88, fonte ripresa in CIMITAN, p. 126, n. 597; AQUILEIA, pp. 196-197, n. 183) o perché deve trasportare un cjaldír, in friulano 'secchio', pieno di lacrime (CANTARUTTI [1985], p. 425, Fagagna) o semplicemente a causa del pianto e della mancata rassegnazione dei vivi (AQUILEIA, pp. 183-184 n. 169, Chiopris, p. 186 n. 170, Campolongo al Torre). Secondo D'ORLANDI, p. 40, sarebbe concesso vedere queste processioni alle madri, e non ad altri, e i luoghi dove passa il corteo delle anime sono i crocicchi. A Sauris in RPF XVII, pp. 77-78, troviamo il racconto del padre dannato che appare su un cavallo al figlio prete minacciandolo di morte se non smette di pregare per lui. Il prete in seguito muore. Le preghiere per un dannato aumentano i tormenti e sono di refrigerio solo per le anime del purgatorio. Il motivo del pianto per un defunto intrecciato con il motivo di riportare in vita la moglie (cfr. unitá n. 2) e presente inoltre in RPF XVII, pp. 99-100, n. 36, e p. 150, nota 36. Simile appare il motivo rivelato dalla nostra unitá succes-siva: l'eccessivo invocare un defunto, ossia la mancata rassegnazione di fronte alla morte. 18. "Na e rüdi klicala nji múzá / Invocava continuamente il marito defunto" Una vedova di Uccea invoca continuamente il marito morto in guerra. Una notte la donna si mette in cammino per Pradielis e sente come se qualcuno le tenesse la gerla. Cid accade fino a quando suona l'avemaria del mattino. In seguito la donna si ammala di esauri-mento. Pare che il marito le abbia chiesto di essere lasciato in pace (Uf, 22.3.1998). Jta na bo bíla rüdi klicala nji múza, ka n'e zübila múza tu-w wére, ta-w Rüsije. Alora na e mela jte' damúw, na e mela prit dolu w Ter (...), n'e se spartila tu-w nuce (ben, si sa, prima del giorno logicamente). Ko na e dusla prit núku prit gore pod Starmac, to o jélo za kórbo nu to o darzalu dúdu tu ka t'e glóngnulo avemarijo (...); da si bíla na carica ko da si cüla romonet; ona n'e bíla jéla dan esaurimento ka t'e bíla na ric. Anu tu ma bi bi bílo pa ji rakló kej, perd da na vin, vis, ka si bíla otrok, na moran, da na vin ci bi' ji rekuw nji muz da na ga nahej opás (...). 19. "Te dvi kompánje ka t'e bílo se obacálo / La promessa fra due compagne" Due compagne si promettono a vicenda che la prima a morire ritornera a raccontare all'altra cosa ce nell'altro mondo. Una muore e comepromesso ritorna ma dice che saranno loro due le prime e le ultime persone a farsi una simile promessa, perché per ritornare ha dovuto passare attraverso l'inferno, sopra fuoco, coltelli e serpenti (Kf, 11.2.1994). Tej ta dvi kompánji ka t'e bílo si obacálo, t'e bílo fes dvi kompánji ka t'e si telo dobro. Alora t'e si rakló da ta ka mije prit, na ma pri' racet da káko to e ta-na ti drügin sveto, ne. Alora ta ka e mwila ta piwa, n'e mela prit racet ti drügej da káko to e ta-na ti drügin sveto. Perd n'e rakla da: "Bódiwa midví ta dvi pive anu ta dvi zádnje, ka sowa si obacála za prît racèt da káko to ë jtan, ka" - n'ë rakla da - "skúza paklá, skúza ognjá, skúza spïca, skúza nožîča, sarpînta!" - za prît ji racèt da káko to ë jtan, za prît na së. Il motivo della promessa fra due persone di riferire sull'aldilà è molto antico e diffuso sia in area resiana che altrove. Risulta attestato in De vita sua del monaco Guiberto di Nogent (ca. 1055 - ca. 1125) che riporta un sogno piuttosto complesso della madre dove è presente anche questo motivo: due amiche intime che hanno vissuto insieme si promettono che la prima a morire sarebbe apparsa all'altra per informarla della sua sorte nell'aldilà. Una delle due donne vede l'ombra dell'al-tra che viene trascinata da due demoni neri (cfr. SCHMITT, p. 69). In area friulana cfr. RPF VII, p. 108, "Le doe amighe" (Zona di Budoia), racconto in cui due amiche si promettono di rendersi visita dopo la morte; RPF XV, pp. 105-107, "Ze che i toce a di chel che 'l ul savê ze che 'l é dopo muarz" (Cormons 1908), dove marito e moglie giurano vicendevolmente di tornare dopo la morte; AQUILEIA, p. 208, n. 194, "Un muart che 'l torna" (Fiumicello): marito e moglie stringono il patto e il marito dopo la morte appare alla moglie ma puo solamente dirle che se farà bene troverà bene e se farà male troverà male; cfr. inoltre "Il pat di dî ce che 'l è di là", Chiopris, pp. 210-211, n. 196, dove la narrazione contiene tutti gli elementi riscontrati nel racconto resiano: due amici stringono il patto e quello che muore ritorna e dice all'altro di non fare promesse poiché ha faticato enormemente per ritornare: è dovuto passare attraverso la cruna di un ago. c. I defunti chiedono quanto loro manca nell'aldilà 20. "Bogajïmë za miša / Offerte per le messe di suffragio" Un giovane vede in sogno la zia in condizioni di miseria e lo comunica alla madre. Vanno al santuario di Sant' Antonio di Gemona a fare una offerta per le messe di suffragio (Kf O, 5.10.1998). T'ë bílo tadèj ka naš P. ë biw ta-dô w O. anu vîdow wûsnë mo konjádo - somô mëli dan bokš le-sën - ta ka ë mworla ta-w B. anu pršow indavant ta-h Mše, ë pršow së mi racèt. Ë rëkow: "Máma, si vîdow tato M. anu na ë rakla da na ë tu-w bokš anu na rüdi stojî tu-wn bokš ka da na nîma fès nikár, da na nîma fès nikár," - ë r ëkow - "máma, grémô ún Santatúnih nu cémô ji dat za miša!" Pero ë r ëkow da bôgajîmë an dáa rüde ta-prad wsá, da to prajdè ta-prad wsá anu ni maô wsè. Il motivo della richiesta di aiuto da parte delle anime purganti in forma di preghiere o suffra-gi (messe) è molto diffuso. Esistono dei riscontri in ambito friulano: CANTARUTTI [ 1985], p. 426; RPF XVII, pp. 89-91, n. 31, e p. 146, nota 27; AQUILEIA, p. 212, n. 198 (Bagnaria Arsa), pp. 213-214, n. 199 (Joannis), pp. 214-215, n. 200 (Bicinicco); RPF XIII, p. 362, n. CCXLIX. Semplice invocazione di aiuto: RPF XIII, p. 77, n. L. 21. "Zdëlej mi racè' miša / Messe di suffragio" Un giovane di Oseacco deve partire in guerra e vicino alla chiesa del paese vede una donna che poi scompare. La stessa notte sogna la madre defunta. Gli dice che con i soldi guadagnati da lui stesso lavorando, prima di partire deve far celebrare per lei delle messe di suffragio. Gli annuncia infine che ritornerà vivo dalla guerra (Kf-O, 18.10.1996). Ë bi' dan ta-gorë w vasè ka ë mëw tè' sowdát anu máte ë bila mwíla anu un, a na vin da kë ma tèt, dô pr crkvè, anu vîdi jsa žana ka na ë šla na gorë anu dópo n'ë mu sa zübila jsa žana. Pero dópo ko ë šow spat ë snüwow, da t'ë bila njaga máte anu un ë mëw tè' sowdát: "Perd" - na ë rakla - "pri' núku tè' sowdát, ti maš tè' widinjá' béca anu ti maš mi zdëlat racèt jtalîku miš, ma ti maš tè' na dëlo, maš tè' ga widinjá' béca anu zdëlej mi racè' miša anu" -n'ë rakla - "ti če tèt tu-w wéro, pero ti če prît na ^zët, ti če spet prît!" - na mu rakla. Lo stesso motivo risulta attestato in un racconto (ambientato a Oseacco e raccolto da Milko Matičetov presso un'altra informatrice) pubblicato in DAPIT 1998a, pp. 208-209. 22. "Máncalá kurúná / Mancava la corona del rosario" A Uccea una donna sta portando il latte e vede il fantasma di una defunta che la segue. Ad un certo punto questa le passa davanti. L'altra si fa coraggio e le chiede cosa le manchi. Allora risponde che le manca la corona del rosario e le chiede di avvisare la sorella affinché gliela faccia avere. La donna in seguito si sente molto male. Alla sorella della defunta viene tuttavia raccontato il fatto e le viene rammentato che la corona si trova in casa sotto una scodella. La sorella afferma di aver guardato sotto tutte le scodelle e di non aver trovato niente. Cerca nuovamente e sotto una scodella si trova infatti la corona. La stessa donna ha visto anche altri fantasmi, fra cui quello di un ragazzo defunto sul monte Chila (Uf, 29.1.1998). Eh nu so nu so, nu pa ta martva, nu so ga v'idale, eh orpo (...). T'e bíla dna ka n'e gála n'e propi ga vidala, da t'e romunilu tu-w njeh. T'e bíla dna, ka n'e gála da e bíla parnaslá mlíku - so bíli ta-na ti Tófih, eh, da si bíla, si bíla wže jzde ko nu so právile - parnaslá mlíku anu gore zis... po póte e paršla dan tant gore, e nalezla no žano ka n'e bíla mwarla. Anu e vidala da na gre ta-za nju anu šla anu n'e paršla dan tant gore, t'e bílo za prit gore na ta Tófa, na won. Ko n'e paršlajtu ka e bi' il sentiero za jtet won z brih, e prašla ta-prit, n'e mela jime da P., ka n'e bíla wmwarla, n'e prašla ta-prít jsa ta martwa anu dópu bwížala buj na won di corsa jsa ta M. - na e šcale žiwa - anu e vidala da na gre spet ta-zát nu e paršla dan tant, prit líku prit won ka so hiša, n'e ji prašla ta-prít, ta-prad njú. Tadej n'e mela korágu ji racet da: "Kogá ti mánca?" Na e rakla da: "Rače mej sastre, da na mi dej kurúnu!" Anu tadej n'e se zübila ta martwa. An n'e stála káre káre slábu dópu M. (...), eh orpu, bi' mážuw jti gore pa eru jtadej, eh si eh, n'e stála slábu káre. Edopo bo bi' ji daw káko benedicijún, da na vin, dópo n'e dála di qua, ma n'e bíla káre slábo; n'e šla vide' pa ma máte, n'e bíla šla o videt. Anu dópo ka n'e parélá a sé, tadej na e rakla, da kogá t'e sa owdelalu (...). Alore ko n'e parélá a sé, tadej n'e rakla mátare da kogá na e ji rakla. Tadej n'e šla ta-h sastre, ta-h jsej, ka n'e mela jime da G., na e rakla, da: "G. to e jtáku nu jtáku, da n'e rakla M. da e vidala P. anu na e rakla, da ti maš ji dat kurúnu, ka da na e ta-gore pod no šálicu." Ta drüga e rakla da: "Si obrátila wsa šálica, da ni nicár." Šla ta, obrátila šálica, tej ti maš tet ún s pulicu jtu, e šla gore pod šálicu, e bíla kurúna ta-gore. Eh si si, ma šce n'e vidala pa šce jeh, pa naga sinu n'e vidala nu pa no drügu hci na e vidala, si s i, tá ta hci e vidala káre račL Pa naga sinu, ka e bi' mwar, e bíla ga vidala; e šla po tráwu ún po Kile, e bíla vidala ta-gore na Kile. 23. "Ni so zábili ji ga' korúno / Hanno dimenticato la corona del rosario" Una donna defunta ritorna a chiedere la corona del rosario che i famigliari hanno dimenticato di metterle nella bara. Ilprete consiglia di fare un buco presso la sepoltura e di mettercela (Kf 7.10.1996). Anu dópo e bíla šce dna, na žana ta-gore, pa jto to bo bílo gore z Rézijo, ke ba meše, go, jzde dolo? Alora da jsa žana n'e wmwíla anu ni so zábili ji ga' korúno - perché ti nimaš zábit gat korúna, go, maš gat! - so zábili j ga' korúno anu báštá n'e rüdi prháala anu da: 'Kej i mánca anu da kej ji mánca, da kóbej mánca, da kóbej máncá?' E alora fin ka dná na e raklá da bo máncala korúná, ka da korúná e ta-pr hiše anu ni niso ji ga gále. E alora ero e rekow da: "Jnján mata te' do na grop anu mata zworta' no ámo anu matá gat korúno núter!" Ni so gáli korúno, na ni vec prélá: máncalo jto, máncala korúná. 24. "Na žana ka n'ë jïskala críwja / Una donna ritorna a cercare le scarpe" Nella casa dei vicini muore una donna anziana e il giorno stesso i familiari sentono dei passi in casa e odono pure accendere e spegnere la luce, come se qualcuno stesse cercando qualcosa. La figlia della defunta riferisce ciô alla narratrice che le consiglia di mettere nella bara le più belle scarpe che aveva in vita la defunta e anche delle ciabatte perché pure nell'aldilà le anime camminano. La narratrice racconta inoltre un fatto simile successo alla propria famiglia (Kf 7.10.1996). Be t'ë tej jzdë, në dalëc, ka na racën da kë, ka to nï pa mue tïmpa në, t'ë frešk. Bèh, máte ë mrla pojutrëh ôku na na pe' or, në, anu ko t'ë bílo pôpudnë, heï sa gála spat gorë po divano anu n'ë čula da hôde, na hôde ta-po hïse - anu to nï mue tïmpa viš jsô - n'ë hodïla tapo hïse anu jïskala nu ta druga spála, ma n'ë čula! Anu dópo, drugo nue, so spála ta mája tu-w ni eánibe anu ta druga ë bíla lïbër ka ë spála jsa bába, ta mája so wstála pojutrëh, ta mája..., valïka, ôsanest, dëvatnest lit pa vèe, anu ni so wstála, ni so raklè mátare da: "Máma, samô čule bábo wso nue hodèt tu-w eánibe, n'ë jïskala, n'ë jïskala, n'ë jïskala anu samô čuli fin wnáea' luč nu luč spe' gwasnuwat nu n'ë jïskala. Alora a si šla gorë anu n'ë mi rakla, tu ka to ë, si šla ta-h jsëj anu n'ë mi rakla, n'ë rakla da: "Viš bèj, da ë hodïla ma máte ta-po Mše, n'ë mwrla dáve anu pôpudnë n' ë wžë hodïla ta-po Mše jzdë, n'ë j ïskala kèj, n'ë j ïskala!" Be si rakla: "Čuj, si j gála čriwja?" N'ë rakla da në. Anu si rakla da: "Pa mï samô pogále dnoga, ka to t'ë ni bi' naš ma inšoma ë bi' rudi ta-pr nan anu ë pršow nan raeèt da samô zábile mu ga' no rič, da koj an eë?" Ë gaw: "Stë mi zábili ga' glomïk, në da nïstë tëli mi ga gat, stë mi zábili ga' glomïk." (...) Alora ë mëla jti ta kupi' glomïk anu dat numu bôgamu da to pranasëj ta-prad njaga: ë nï vèe pršow da mu mánea glomïk, t'ë mu došlo. Alora jsëj si rakla da: "Dëj te niliwča čriwja ka n'ë mëla anu dëj pa ta škateta ka n'ë pulila ta-po Mše." Alore n'ë wzéla wsë jtô. Si rakla da: "Ti maš tè' gorë pri' núku j zadiô bank anu lëpo dëj nùtër." Ma na nï čula vèe dópo. Ko to jin mánea, ni p^aô viš. Jzdë, vï na uzáta obot ti mrtvih, ma sa ga obuwa ta mrtva ka ni hôdiô, gô, ti maš ga obot, ni hôdiô ti mrtve tu-w noeè, ni na stojïô anu ni na môraô hodè' bus, ni mëô bè' obute anu sa ma jin gat tô ka to bô jin pMá, tô ka ni so rudi pulile. I motivi legati al ritorno di un'anima a causa della mancanza di oggetti umani si collega alle usanze funebri di cui si è parlato nell'introduzione. 25. "Samo bíli zábili gat glomïk / Abbiamo dimenticato di mettere il pettine" I parenti hanno dimenticato di mettere il pettine nella bara di un uomo che in vita aveva l'abitudine di pettinarsi spesso. Questo appare in sogno a una parente e le fa notare questa dimenticanza. In famiglia si decide allora di regalare un pettine a una persona bisognosa e in seguito il defunto non appare più in sogno. Si ritiene sia necessario fare il segno della croce sopra le cose offerte, altrimenti non tutte le anime approfittano del dono, ma solo una (Kf-AO, 7.11.1997). Samô bíli zábili gat glomïk B. mï, ka samô ga vïdale wusnë ka ë rëkow: "Në da nïsta tëli mi gat," - un ë rëkow - "ma sta zábile, mata mi gat glomïk!" Ka un râdë sa časow. A. ^ša, bè, ë ji pršow wusnë njëj. Alora ë rëkow da, ë rëkow tu-w nju: "A., në da ti nïsi tëla mi gat, ti si zábila mi ga' glomïk!" Alora a si rakla da sa ma wzet jsi glomïk anu dat numu bôgamu, šinkat, narédi' kriš, sa ma narédi' rudi kriš (...), ši në to na valá nikár, ei ti na narediš križa, maš narédi' rudi kriš da 'Buh pranasïtë ta-prád wsa duša!', në kôj ta-prad dno, ši në koj dna ma, te druge në, ta druga ga glédaô (...). Samô dále, dópo ni nïsamô vïdale vèe jïskat, da ë pršow wusnë, nikár. d. I defunti chiedono di saldare i conti in sospeso, di riparare le promesse mancate e le ingiustizie commesse durante la vita 26. "Dan muž e biw skrew rowbo / L'uomo che ha occultato dei valori" Un uomo di Coritis piuttosto agiato, ma senza eredi, appare in sogno a una giovane donna. Le dice che riapparira ancora e dopo la terza volta lei dovra recarsi nel luogo da lui designato a prendere quanto ha nascosto (forse dei soldi oppure oro). L'uomo pero non é piu riapparso in sogno. L'anima di coloro che nascondono soldi é destinata alla dannazione e rimane in eterno in quel luogo se qualcuno non l'aiuta a discolparsi. Un tempo i soldi e ipochi preziosi, che la gente di Resia possedeva, venivano talvolta sotterratiper evitare che venissero rubati, per esempio durante le guerre (Kf-O, 5.10.1998). Alore jsi muš t'e biw dan ta-na Korite, bi' oženjan peró a nimew otrúk anu rüdi po štiri kráva tu-w hlive anu rüdi njiw rat za kopat nu za met anu nimew kíramu da' est anu e rüdi delow, rüdi delow anu, báštá, dópo jsi šlovek e mwr anu e delow rüdi ta-nú pr Bile prit. Ta-nú pr Bile ta-strán wodá e dan tof anu jtu gore stran e bi' plancún, ka so prháala drwa ta-gore w Áme dolo, anu dópo jsi šlovek e mwr anu ko e mwr e prš ow wüsne ni mládej anu jsa ta mláda n'e rakla da: "Zakó bej mle ti maš prit mi právet, da a man tet punj to ki si zakopow jta-nútre, rači pa tvej nječe da na pide!" - "Ah," - e rekow - "ne mej nječe, ma ti, a cu ti pri' wüsne dárdu ta tretnji vijač, ko bon pršow ta tretnji vijač, ti maš tet, ti maš tet punj." Ma a ma šce prit jsi tretnji vijač, a ni vec pršow ano ni vec rekow nikár, t'e ostálo jto. Tad ej sa na vi. Alora e rekow da: "Si skrew tu ka si gaw" - e rekow - "tu ka si zakopow jso rowbo, a si gaw no valike žalejzo žalizne, sanjáw da ke to e." Anu jsi muš a ma bi bi' skrew o béča o áwar. Alora un e skrew zato ka bila wéra anu dópo a ni dorivow vec vigát, t'e ostálo jto. Tadej jsi šlovek, ci kiri bo mogow mu pomágat, alore an ce bet diskolpan, an ce be' liberan, ci bo kire za mu pomágat anu ši ne an ma sta' jto, zato ka beč to ni na práwa rič, beč to e od governa, an ma girat, nišci na more ga skret, ka tu k'an skrije, jto ma stat pa ta mrtve fin ka ma racet dnamo da: "Tasta punj jto nu jto anu ko ni bóta vigále, a cu bi' liberan, cu bi' šalvan!" O béča o áwar bi' zakopow, perché, ko maš nastet krompir nu bobica núter!? (...) Magari nu májo ni so mele pa ta áwrava orláa ni so mele, pa ci t'e bilo no májo to e jin dišplažálo, da nase ta Niške, alora ni so zakopále, o prstana ka ni so pülile w wére prit. Prit to ni bilo, peró ko ni so sa žanili, ni so mele na lipa široka prstana anu rincina ta lipa, pa ta niška sjórta (...) túdi won e alora ni so sa báale, ni so gále nú w kej, ni so diwali rüde nú w dan pinját rámave anu pokriwale anu ni so zakopáwale. Mišliš da ni rowba gore na Korito zakopáno? Divi muc e rowba, viš, da divi muc ga e, ka nišci na vi ke da to e! In questo racconto si evidenziano motivi quali il tabü di occultare il denaro, attestato anche in ambito friulano ad Ara di Tricesimo nel racconto "Chei ch'e sapuliscin i bes" in RPF VIII, pp. 145-146: due ricchi fratelli muoiono ma non si trova traccia del loro denaro. Un giorno appare a un uomo uno scheletro che chiede di cercare i soldi, altrimenti i due fratelli saranno dannati. Un'altra volta appare una serpe con in bocca la chiave del tesoro nascosto: chi seppellisce il denaro, si danna. Accanto a questo appare il particolare della richiesta da parte di un'anima in pena a un vivo di intervenire per salvarla ottenendo in cambio un notevole compenso in denaro o fortuna in generale. Solitamente al vivo si chiede una grande prova di coraggio (cfr. anche D'ORLANDI, p. 40) che nella maggior parte dei casi risulta insuperabile, per esempio recarsi da soli in un luogo ad una determinata ora della notte oppure in un luogo dove nessuno vuole andare a causa della presenza di spiriti (cfr. "Al spirt in glesia", RPF II, pp. 128-131), affrontare animali come serpenti giganteschi (motivo diffuso a Resia e attestato anche in MAILLY, p. 124-125, n. 80), rivolgere la parola a fantasmi. Quest'ultimo aspetto appare in MAILLY, pp. 121-122, n. 74, dove il vivo riesce a parlare a tre fantasmi liberando l'anima in pena. Il motivo di saldare i conti in sospeso è attestato anche in CICERI 1992, p. 296: una donna muore di parto lasciando un piccolo debito e trova pace solo quando puo dire ai vivi di restituire dôs mizinas, ossia due misure di farina. 27. "Bécave ta-nú w pojstrjo / Il cuscino pieno di soldi" Una donna riempie un cuscino di soldi e chiede che alla sua morte venga messo nella bara. Dopo la sepoltura appare in sogno chiedendo che venganopresi i soldi dalla bara. Vanno a scavare ma trovano la salma rivoltata con la schiena all'insù e non possono prendere i soldi (Kf-O, 2.11.1996). Ábi dna ta-gorë, ka n'ë bíla narédila pôjstër anu n'ë bíla gála béca nú w pôjstër anu na ë rakla da jti pôjstër ni mëô ji gat ko na mwijë, e so ji gáli jti, ni so bíli bécave ta-nûtrë. Anu dópo n'ë prháala wûsnë, da ni mëô tè' vïdët anu vigá' won ka t'ë tantacjún, në. Ni so šle onè vïdët, pero n'ë bíla na tribûsë, në vèc na hrtë, bíla sa obrátila, n'ë ëdla béca ta-nú w pôjstrje, ma ni nïso moglè ji vigát. Du ma vigát? Kucë maš tè' vigát? 28. "Sa nïma mwèj obacat nu në dat! / La promessa è un debito" Una donna promette di offrire del burro per la chiesa ma muore prima di fare il dono. Appare allora in sogno alla narratrice affinché comunichi alla figlia di offrire alla chiesa un chilo di burro (Kf-AO, 30.1.1999). Pur ti din, da si bíla... bíla dna ta-gorë w planïne. Alora jsa zdë n'ë rakla da ko to bo za ségro, na ë obacála mast za nastè' dô w církow, ma ona jse máste na ni mwèj bíla ga nasla, n'ë kôj obacála. Anu dópo ka n'ë wmíla si o vïdala a wûsnë. N'ë rakla da: "Racè mëj hcarë, da na mëj nastè' dan kûô máste za církow ta-na Korïtë!" - ka ona bíla si obacála ma na ni bíla mwaj ga dála - "Racï je da na nasè dan kûô máste." Si bíla o snüwala a, gô. Anu n'ë rakla jtáko (...). Sa nïma mwèj obacat nu në dat! Ti maš obacat, ma ti maš pa dat! L'inadempimento di un voto o di una promessa provoca la pena per l'anima. Si confrontino i casi seguenti: il voto inadempiuto induce l'anima in pena a ritornare manifestandosi attraverso strepiti, oppure, un'anima del purgatorio, per mezzo di un bambino, fa conoscere il suo desiderio di liberazione a causa di un voto non adempiuto (rispettivamente in RPF XVII, pp. 87-88, n. 28, nota 28, p. 146, e p. 88, n. 29, nota 29, pp. 146-147); nel racconto "El moroso morto" (Marostica - VI) una fidanzata promette al suo innamorato, ormai in fin di vita, che non si sposerà venderá con altri e che avrebbe venduto la dote per poter celebrare messe di suffragio per la sua anima. Non mantiene queste promesse pero sente degli strepiti e mentre sporge il dito fuori dalla finestra, le viene strappato. Dopo questo fatto non sente più alcuno strepito ma diventa calva dalla paura (MILANI, p. 379). 29. "Mata wrátet jitalïku nu jitalïku sëna! / Dovete rendere il fieno!" Nella planina Hlívac di Oseacco, una donna, per abbreviare il cammino, calpesta il prato dei vicini invece dipercorrere ilsentiero. Dopo la morte appare in sogno aipropri familia-ri e chiede loro di rendere alla famiglia da lei danneggiata una certa quantità di fieno (Kf-O, 7.11.1997). Anu dópo jštës na drûga ta-gorë na Hlíwce, ka jsô mi právila fès ^ša tata. Alora a man tarènj jzdë, në, tï ti maš le-jtan anu mmaš prajèt së z môj tarènj, ti maš tèt le-ta-dô zdolá ka ë pot nu wsë. Šikome t'ë bílo káre dôlu jsa, ta ka ë bíla jtan, n'ë narédila pot së s tarènj anu dópo n'ë mwíla anu na jin pršla wûsnë. Na ë rakla da: "Mata wrátet jitalïku nu jitalïku sëna jtëj famèje, ka a si narédila pot së s tarènj anu onè ni nïso moglè vèc sëc, tu ka a si paštála, mata ji wrátet jitalïku sëna!" (...) N'ë pršla wûsnë ti Mšnen judín: o hcarë o sïno, na vin, tën tu-w Mše, inšoma n'ë pršla wûsnë (...). 30. "Kráduw di zïw anu mwâr: ë mëw wrátet / Deve restituire da morto quanto ha rubato da vivo" Uno stagnino ambulante di Resia si reca in Slovenia, vicino a Tolmino. Di notte sente la voce di un uomo che da vivo ha spostato il confine dellaproprietà e che ora deve rendere quanto ha sottratto. La voce chiede dove deve porre il segno del confine e l'uomo risponde di metterlo dove si trovava prima. In questo modo l'anima è stata liberata dalle pene (Um, 21.9.1996). Alore ë biw dân tu-w Usuânëh, ti ke so hodïli: klánfarje, ni su mële ta krösma ún z hárbát, na bo bíla tazëla cinquanta chili (...). Alore del cinquantadüe dâ si dëluw ta-w Jugozlávije prit núku dö w Tumïn, di front Matajürjá le-tako tu-w guzdë, alora jsi klánfár zis krösmu, invëce narédit gïr, dan valïki gïr ë mëw narédet za prît ún pajïs, ni su ga znále ta-po pajïzu, ni so hodïli scalë, du bej vi kalïku lit, ni su bíle tódí-tá ka ni so hodïle klánfát nu komadáwát nu brüzet. Alora ë jew nu putïcu won ziz tarènj, la scorciatoia won z dân tarènj anu biw tu-w nucè d ët. Alora ko ë dosow dân tânt won, si capisce bi' trûdân, pocèw, pa pëjs, pocèw, da ë cow da to ë zapïlu da: "Kan man ga gat?" Cow, múcuw, bi' si mïslew, da ë rüdi kíri ator, dópo da t'ë spet zapïlu, da: "Kan ga dëj mírniku!" Mírnek po búske t'ë mërâ, kunfïn, tej ti právis tï ziz rüpu. Dan ë zapwèw, da: "Dëj ga tu ka ti si ga wzew mirnikâ!" Jsi dëd a bo biw rüdi krádow, kráduw di zïw, mwâr anu ë mëw wrátet, alora jsi dët bi' ga diskolpow. Tad èj ë práviw tu-w pajïzu, da káko se mu sucëdinalu. Riguardo al tabù di mutare i confini della proprietà cfr. anche l'unità n. 65 nonché D'ORLANDI, p. 44. 31. "Tu-w Canïno nï mësta za pïknut no jïglo / Sul Canin non c'è più posto" Lo spirito di una donna defunta ritorna sempre nellapropria casa. Devono scongiurarla sul Canin, ma si rifiuta poiché su quel monte non vi è più posto nemmeno per infilzare uno spillo, tante sono le anime scongiurate (Kf, 30.1.1999). (...) Dnä nú s dula le-túdi nùtër. Alora n'ë bíla rüdi ta-pr hïse, n'ë prháató ^zët (...), n'ë bíla rüdi ta-pr hïse anu da ni mëô skongurät. Alore ni so raklè da ni céo o skongurät taw Canèn. N'ë raklä da: "Në, köj në ta-w Canèn, ka nï mësta za pïknut no jïglo, talïko ka ë ti skonguránih tu-w Canïno!". La tradizione secondo la quale le anime dannate vengono confínate sulle vette dei monti e in particolare sul Canin è diffusa anche nell'area slovena del Torre ("Su klenúwale te slábe dúse orè w Canín, súwse te slábe dúse su be orè w Cenínu wklénjane", Pia Lovo ta-za Wárhan/Villanova delle Grotte) e in vari punti del Friuli come dalle seguenti testimonianze. In PERCOTO, pp. 25-33, il racconto "L'ucelut di Mont Chianine" parla dell'anima dannata di una fidanzata infedele che scon-ta il suo peccato fra le nevi del Canin. VIDONI raccoglie alle pagine 12-18 "Le leggende del monte Canin", in particolare sulla presenza di demoni e dannati sul Canin alle pp. 14-18: "La bolgia infernale", "Tregenda mattutina", "Il tesoro nascosto", "Il diavolo a casera Canin". MAILLY ripor-ta due racconti "Le pene dei dannati", tratti da Ostermann, a p. 126, n. 82/I e 82/II, nota p. 219220, e uno da C. Percoto a p. 113, n. 62, nota p. 213, con il titolo "L'uccellino del Monte Canin" già citato. In AQUILEIA, p. 177, n. 163, si racconta di due donne cattive che, dopo la morte, vengono relegate sul Canin, dove stanno i dannati (Cervignano del Friuli), mentre alle pp. 144-146, n. 134: "... Dopo il Concilio di Trento, i dannati e gli spiriti maligni vennero mandati sul monte Canin. Là dovevano sfogarsi sulle pietre, legati con grosse catene, nelle caverne che si trovano lassù...". Si confronti ancora quanto viene riportato da OSTERMANN, p. 97: "Sulle vette nevose vengono confinati, dopo morti, gli usurai, i truffatori e gli spergiuri, dannati a lavorare continuamente, cosi nelle rigidissime notti invernali come sotto gli afosi solleoni d'agosto, per demolire i torrioni che sorgono sopra le nevi eterne. 'Non v'ha monte in Friuli (...) che più del Canino dar potesse origine a tali credenze'. (...) E' credenza generale che sull'altipiano del Canin lavorino nella notte i danna- ti, e chi stia in ascolto sente le loro grida, i colpi di piccone e lo squassar delle catene, a cui s'accompagna il muggito del vento che infuria." 32. "To gre dö po póte na valïka nöga / Passi pesanti giù in strada" Una donna a Resia durante la notte sente un rumore dipassi che dalla strada salgono sul terrazzino e sentepoi grattare tre volte sugli scuri della camera. La donna dice di sapere di chi si tratta e dal momento che lei si trova sul suo, si rivolge allo spirito con uno scongiuro, ossia mandandolo nel luogo destinatogli da Dio. In questo modo l'anima viene liberata dalle pene, altrimenti sarebbe destinata a vagare spaventando i vivi, perché, avendo commesso del male, non trova posto in nessun luogo (Kf-A, 5.10.1998). Alora j^tës t'ë bílo tu-w Rézije, ë dän par h'iš anu so bíla ščë na famèa tu-w dworë pero jta famèâ ni so bíli šte damúw, nï bi' nišč^ anu ä si mëla to májo ta-pr mlë anu sowa š^ spat, bo bíla dësa' or žvëčarä, ma dësa' or satèmbarja ë wžë káre nöce. Ä čüën da to gre dö po póte na valïka nöga, tej rèjnikagâ Ki^Cä, na valïka valïka nöga, anu dölo nu wún na lïndico anu t'ë šlo ta-w šMrja anu tu-w šk&jeh t'ë pograbálo trïkrât dölu nu won anu ä si wromonïlâ, ä si raklä da: "Ta znän da čij ti se," - ä si raklä da - "jzdë si ta-na min anu tï tacè tu ka Buh ta gaw!" Anu ë šow anu pa ni pršow vèc na ^zët, nïsi pa mwaj vèc čülä. Videš, pršlä momènt, órä, ka ä si wromomlä anu dópo ti disko^š no parsúno jtáko (...). Zakój? Ni mëšëö dëtët Hwcë, nïmäš dëla' slábo judín: alora un nïmëw mësta tu-w nínin krájo jsa parsúró, ni tu-w paklë ni tu-w paramë ni tu-w nínin krájo ë mëw bèt, gö, jzdë, jtáko. Alora či dän diskolpá, an gre dópo jošt tu ka ti račëš; ä si raklä da an pidè tu ka Buh ga gaw anu jto bo bi' šow, perché ši në ni so rüdi ator, tadèj to rüdi gre nu št^še, eco, ka ni nïmaô kän tèt, viš. Ni so bíli j^tës pa tu-w ni planïne anu j^tës gö, t'ë bílo tu-w nocè, t'ë owbdëlalo j^tës jtáko tu-w oknö, tej t'ë mi owdëlalo mlë tu-w šMrja anu t'ë bílo rüdi jta parsúna jto. 33. "Suwdádje ta-na Karnïce / Soldati a Sella Carnizza" A Sella Carnizza sono accampati dei soldatipresso la chiesetta di Sant'Anna dove sono nascoste delle munizioni. Il nemico le fa esplodere e i soldati accampati periscono. E' per questo che le anime di questi soldati, in quel luogo, si vendicano finché non saranno discolpate (Uf, 2.11.1997). Alora möj dët, jzdë par h'iše dâ si mëla ščë žïvagâ dëda jtadèj, ka ë mwâr dët dópo po mátare, alora dâ jzdë par h'iši si právila, në. Alora möj dët ë právew, ë rëkuw da: "PošMšita ma!", ë rëkuw da dal mila e otocentu (...) sessanta, ka ë bûâ wérâ ziz..., pocïj, ko za ni štat dân... Juguž^viju? Koj vin dâ! Inšoma ë bíla wérâ dal mileotocento - vï ka laáta böj lïbrina bóta pa vëdale, ma dâ, certo dâ nïsi š^ (...) - sotto otocento bi' sa ^šinuw, gö gö, ka an bo bi' vëduw, bo bi' čow právet në, ë bûâ wérâ, an di, ta-gorë w ti valáde ka ë, ta-s konku, ka ë na valáda jta-gorë nùtrë s carkvá, küntrâ dö h nân, jti krèj na to hüdo róku, në na to döbro róku, na to hüdu, ka ë ta valáda ka hödiö pa naréat griglio ko to ë Sántâ Ánâ jtódi dölu, jtu, káko sa mu di, ni su bíli bwïle un regimentu difanteria, ciw regimènt fanterïja, ka ni su bíle ga škoprile - tu bo bíli ti Láške, ni bo bwïle ta Mška, na vin dâ, ni su bíli škoprili da ni mëö municjún tu-w carkvè, ti Láške, ma ti Búške su mële municjún, në ti Láške, ti Búške ni su bíli šlè jta-gorë, su sa bíli inkampále tu-w to valádo jtu ka biw un poç, inšoma ni bílo ne gozdâ ne nicár, ni su sa bíli inkampáli jtu anu ni su mële municjún tu-w carkvè, tëj ta-na Karnïce, anu ni su mëli wárdiju. Ni su bíli ti Láške wbwïli wárdiju anu tadèj ni su bíli wníli církuw. Alora jte, wsa jte búmba ka ni su mële tu-w carkvè, wsa municijún ka ë škopij^la, t'ë bílo bwïlu jse ka ni su bíle di notte tempo, ka ni su bíle jtu pu tmdâh. Mlë bi' mi rëkuw möj dët jtâku. Tadèj ë rëkuw ka za jtö tadèj ta-gorë to rüdi dilaö vandétu, ë rëkuw, sïn ka sa na diskolpäö. B. Altre manifestazioni attribuite a spiriti e fantasmi a. Udibili relative a persone, animali, dannati, diavolo 34. "Stopa ta-w carkvè / Si odono passi nella chiesa di Carnizza" Padre e figlio di Uccea, ritornando indietro dalla Val Resia, si fermano sotto la loggia della chiesa di Sant'Anna di Carnizza perché fa già buio. Sentono dei passi nella chiesa ma dentro non cè nessuno. Allora si rimettono in cammino ma la civetta si mette a cantare. Il padre prega il figlio di non rispondere perché crede che quel canto sia un cattivo segno premonitore (Um-A, 11.6.1994). Alore si biw dâ nu möj ocâ, sowa parslâ damüw, tékoj sa gre po spéžu, anu t'ë bilu ta-ziz zïmu, bilu snëgâ na quaranta cinquanta centimetri snëgâ, ma ë bi' târt. Anu prît na nâzët, certamente snih ë se zmoljow; kö sowa parslâ gorë na Karnïcu nï bilu pote tèj k'ë jnjân, ë bila pot ta-dö zis Silimünava. Alora sowa parslâ jtu h Madonici, ë bila nue anu sowa slâ sédnut ta-pot küwo - ta-pot... kâku sa di - anu möj ocâ ë sow ta-h türanu, pöcuw höwkat (...), da vïdi ci an gre kire kwintrâ. Alore si čuw ta-w carkvè 'klik-klak, klik-klak': stopa! Alora sowa raklâ da mawa ogât düre: nicâr. Sow spe' nâzët, sow gorë na gowtâr. Tana gowtârju ë sow spet dölu. Alora si sow glédat sküza oknö: nicâr. "Ocâ!" - "Kogâ ë?" -"Pitë së!" Alore si rëkow: "Kogâ ë?" Si ga jew za no roko, da ma vïdët narédi' contat, ti ka cûë anu tagâ ka na cûë (...), ë čuw, ë zadanow ta-na poprogu korbo anu ë sow dö s ta garnjâsa jtüdi dö po tumu plânu ka kumoj ka si sow za njïn anu nâju ë zajélâ kuwïcicâ. "Ta prösin T., në rispundât!" - ka ë vëduw da dâ si rispundâwow kuwïcicân - "Në rispundât, ka tö nï to prâvë!" Ma ë sow! Anu kö sowa parslâ dölu, dö w Loh, ka dimö dö w Loh, tej ka sa ma jti ntaër za jte' woh Hliwu, ka somo stâle ta-par Hliwu - ë biw scalë žïw rèjni dët. Alora kö sowâ rivâla prajtè' wödu, kuwïcica zawrjuvëla, ka nânce (...) tö ka n'ë zawrjuvëla kuwïcicâ, ma t'ë sparëlu wsë. Ë rëkuw möj dët, ë rëkuw da: "(...) Buh ka t'ë sa rivâlo!" Anu sow jto ka somo mëli dân furnâs, kühali cuwcïnu, ë sa wzrâti' dölu anu ë rëkuw: "Jnjân mân pocèt." 35. '^t^anjë ta-na Kâlë anu ta-na Puluzih / Strepiti nella malghe Kal e Pulög" Nella malga Kal di Uccea la notte si sentivano strepiti: pareva che nella stalla le catene delle mucche cadessero a terra come se qualcuno le avesse slegate e volesse rubarle; nella casera pareva che qualcuno facesse il formaggio. Andavano a vedere ma tutto era a posto. Anche nella malga ta-na Puluzih, sempre a Uccea, accadeva lo stesso e quando si sentivano questi strepitiperfino il cane andava a nascondersi dietro il focolare. Qui sentivano anche dei passi all'esterno oppure il battere degli zoccoli di un cavallo. Uscivano a controllare cosa stava accadendo ma tutto era normale (Um, Uf-A, 21.9.1996). Ta-wnë na Kâlë - ke sawâ si prâvila prit - ka ni su mëli krâva jta-wnë, ni su cüli tu-w nucè spuscüwa' krâva, ni su bila wézana krâva s këtine, ko ti odvéžëš, spâda këtinâ. Ni so cüli spadüwat dölo këtina anu ni su wstâale vïdët, da kogâ a ë, da kire ni čéö krâdet, ni čéö nastèt kèj. Nu pa ta-ziz mâlgu, ko ni so mëli sër nu mast ano to-tâkë: t'ë rüdi kluntinâlu, t'ë rüdi misalu, ta kotlâ, ta bânda, ni su wstâale, ni bilo nicâr. Pa ta-na Puluzih, Plan di Mangis, pa jta-wnë t'ë spuscüwalu këtina anu dâ nu ma sastrâ sowa wstâale vïdët, krâva so l^âla. T'ë spuscüwalu, t'ë rükalu prâscje anu ni bilu nicâr. Sowa wstáale: niente. T'e hodilu ta-züna, ni bílu nicár, a pas e bwízow gore za ognisce. S'e cülu kunjá hodet: ni bílu nicár, kunjá pudkova, kunja hudet. Sle ún-züna, ni bílu nicár. La percezione di attivitá (di solito casearie) svolte nelle malghe da spiriti risulta attestata anche in CIMITAN p. 123, n. 578-580 (in due casi: dannazione per aver imbrogliato nella vendita del latte), e in RPF XVII, pp. 78-80, n. 21, nota p. 144; pp. 84-85, n. 26; le unitá n. 23-25 parlano invece della fuga di chi intende pernottare in una malga perché disturbato o minacciato da spiriti. In ambito veneto cfr. MILANI, p. 371, "Il malgaro" (Segustino - TV). 36. "To stráse ta-na Kále / Strepiti nella malga Kal" Nella malga Kal di Uccea sentivano strepiti e rumori dipassi sul tetto durante la notte (Uf). Il testo e stato pubblicato in DAPIT 1998a, p. 201. 37. "Parsow dán Buwcán / Il viandante di Plezzo" In una casa di Uccea, un tempo, si sentivano strepiti, pareva che di notte le mucche nella stalla muggissero e che le loro catene si staccassero. Quando pero andavano a vedere nella stalla, le mucche giacevano pacifiche. Anche alle persone succedeva che durante il sonno le coperte venissero tolte dal letto ma la gente vi era ormai abituata. Un giorno in quella casa si presenta un uomo di Plezzo/Bovec che chiede di essere ospitato. Gli viene offerto un giaciglio per una notte nel fienile con l'avvertimento che si odono strepiti e accadono fatti strani. Il viandante accetta e dalla quella notte non épiu successo niente di simile in quella casa (Um, 20.9.1996). T'e ostrásilu másimo tu-w Zagráde ta-par nas jtu-w hisu, tu ka man da, na düecento anni fa, mettiamo un'ipotesi, eh, ti nisi moguw spat. E biw koj hliw, ma ta-zorá t'e bílu senu, nu su spáli jüde, ni su spáli tu-w sene, tej ni su spáli prit tu-w sene, anu (...) so bíla láta migu daska, láta tej tu-w (...). Dorante la note so rúkala kráva ta-dole, t'e odwazüwalu, t'e howkalu. Ti si sow dolu, kráva so lazála. Ti ni ti delalu nicár tabe. Dopo koj so spále, ka ni so spále ta-na hlíve, t'e pa riskriwalu, t'e tézalu kúcina, ne da t'e howkalu, t'e koj riskriwalu kúcina nu...: strepidapo t'e delalu, ne. Alora (...) oramai so vedale jti ka so stáli jtu, da kogá e, kogá ni, t'e tékoj bese nicár. Nisu meli stráha ma pa da ni su vedale kogá a e, di májaga gore ti si veduw, kogá e bílu. Alore e bi' parsow dan Buwcan, dan z Búskaga. Alora e bárow za spat míga deda, anzi míga bazawúna deda, da ci an ma za spat, da káku nu tadej bi' rekuw, da go, un an ma za spat ta-na hlíveperó t'e ovizálu sámu: "Durante la notte na stüj sa báat ka to díla strépida, tu rúce o kráva to díla, káko sa di." - (...) e mislew da to ni rísan, t'e koj delalu strépida. "Ah, da ce t'e koj jto, to ni nicár." - "Bon." Drügu nuc, ka un durante il gorno sa wzew nu sow, drügu nuc, ko e parsow, ga ni bílu strépiduw vec: ni kráva rúkala, ni ka t'e kluntinálu níne, níne... pa tézalu kúcin ne vec. Ud jtadej ni nicár vic. Ma koj t'e biw ti zde, vis ti? Tu ma bi biw o Buh o ka t'e biw un divotu za diskolpat ta jüde ka su bíli culpevole. Un motivo molto simile a quello del viandante che chiede alloggio in una casa dove si odono degli strepiti e attestato anche a Illegio ed e riportato in JOB, p. 546. Qui si racconta che una donna chiede alloggio in una casa dove sente una voce che pone la domanda 'chi veglierá questo morto?'; la donna allora risponde assumendosi questo compito. L'indomani gli strepiti si calmano e viene trovata la bara piena di soldi. In una variante viene trovato il morto d'oro. La nostra unitá successi-va rappresenta una variante di Coritis. 38. "Gospoden e gaw spat brüzarja tu-w stalo / Il padrone mette a dormire l'arrotino nella stalla" Un arrotino di Resia (il fratello di chi narra) va in Slovenia e chiede alloggio presso la famiglia di un contadino benestante. Questo gli risponde che nessun viandante é mai riuscito a dormiré nella sua fattoria. L'arrotino decide di fermarsi ugualmente e va a dormiré nella stalla. Di notte sente dei rumori come se qualcuno mungesse le vacche, trasportasse il letame o muoves-se la paglia. Allora l'uomo si arrabbia perché non riesce a dormire, afferra la forca e inizia a battere sulla paglia finché spezza l'arnese. Da quella notte non é piu accaduto niente e la fami-glia gli é in seguito molto riconoscenteperché é riuscito a liberare il dannato (Kf 7.10.1998). Alora e bi' möj brätär, ka e mwr, anu e bi' šow ta Búske pa un brüzet, ne, anu jsa fameä t'e bíla na bogáta fameä, ni so meli káre beštej: kráva, wolá, konjá, k0kuše, wse. Bogáte! Alora un bárow za spät: "He, he" - gospoden e rekow - "ke be män te ga' spat, ka t'i ka pr'idaö jzde spat, nidän na möre spät." - e r ekow tu-w njagä. "Be," - e rekow - "ke bej män te' jiskät, dejta ma jštes!" E ga gaw tu-w štálo. Ko t'e bílo öku na na dänest tu-w noce, ne, t'e pöcalo dáät est kráwän, t'e pöcalo mlest kráva, t'e pöcalo k'idät, t'e pöcalo slät slámo anu t'e prháalo po slámo, tu ka e bi' un z v'iwmwe, tu ka e bi' un. Alora un s'e ribijow, wzew na drüga v'ilä, ne, nu e tal'iku lüpow jsö, an ve tal'iku lüpow, to ni mu bwižalo, ma e rekow da e tal'iko lüpow ma e taliko lüpow, ka e rekow da bi' zlomew pa vilä, fárca di lüpät, ka to bílo ga ribiálo da na möre spät anu viš ti, da ko e gaw. Drügi din un wstow, ni so ga bárale anu un e rekow da ko e owbdelow. Anu báštä, one ni niso vedale pa da ko ni meö mu da' ne, da káko un e owbdelow gö, da pomlátew šce nu... gö. Alora e šow, ko e pršow spet, pa jtadej ni niso vedale da kö ni meö mu dät. Od jtagä timpä ka dópo un bi' zmlátew rat, ka bi' zlomew vilä, to ni delalo vec, eco, e biw diskolpow, ma ši ne nidän ni möguw spät tu-w jtej štále, nišci. Ci e rekow, da t'e prháalo po slámo öku njagä, tadej njagä t'e ga ribiálo, wstow nu pöcuw lüpät za grábje, z viwmwe, e rekow da e lüpow fin ka e zlomew vilä, eco, videš. 39. "To zabiwa žrebja ta-dö pr crkvé / Qualcuno pianta chiodi vicino alla chiesa" Un uomo rimane da solo a Coritis dopo il terremoto del 1976 perché non ha altro luogo dove possa abitare. Due parenti vengono in visita ma il pomeriggio, quando se ne vanno, l'uomo sente piantare dei chiodi presso la chiesa. Crede ci sia ancora qualcuno, pero non vede anima viva. Poi sente cadere dellepietre su un prato ma non vede niente. Sono dei segnaliper spaventarlo e indurlo ad abbandonare il luogo (Kf, 30.1.1999). Alora so bila dve mi kužina, ka ni so stála ta-dö w vase ko bi' pršow potrés anu ni so šla gore na Korito, be, ni so šla w planino, ni so šle vide' da káko to e. Anu, benk, ni so stála väs din ta-gore nu öku na na tri ni so sa špartila anu ta-gore e biw sam möj bráter, staw jto. Alora ni so tela te' j racet 'pide pa ti!', perd ke meše tet, e staw ta-gore. Alora ni so šla. Ko ni so šla, ka ni so bíla apena nú z BrMnico, e cow da to zabiwa žrebja ta-dö pr crkve, ta-dö na Br^žnice. Alora e rekow, da jnjän gre videt: "Bo pršow B., cun met kompanijo." Eh, ko e došow dölo, e vidow, glédow: ni bílo nína düša. E alora e šow spet gore hiši, ko e došow gore hiše, ka e došow tu-w dwör, so prlácala pence tu-wne na ti Meji núter, so spadüwala pence ma ni ih viduw, ni bílo nikár, e čow köj, da ni spadüwaö. Alora jsö t'e telo da an pidí wkrej, ka da ma sta' sam ta-gore. E bi' kíre ka inšoma, ni niso tele da an stuji ta-gore sam. Alora e staw rüdi sam un ta-gore, ma, t'e ga št^šilo, ma kárje šce. Jsö t'e racanö. 40. "T'e bíla na slába óra / Era una brutta ora" Rientrando a casa verso la mezzanotte da una veglia funebre a Uccea, tre persone sento-no scuotere dei fusti di ferro vicino al punto dove stanno passando. Si spaventano perché in quel luogo a quellora nonpuoproprio esserci nessuno (Uf-A, 29.1.1998). Sa na vi da kogá e bílu, su bíla na čert óra, somö meli prajte' jti krej anu verso le undici, undici e mezza, mezzanotte. Jtadej sumö bíli šle rac et rožárju ka bíla mwärlä dnä, na hcarica. E racet rožárju quando era mezzanotte (...) anu sumo šli do hiše nu t'e bíla na slába óra, somo šle, somo cüle, da so bandúne, ke ni dílao ziz bandúne ta-stran nas a mezzanotte, du e deluw z bandúne a mezzanotte? Somo bíli triji nas: máte nu dwa brátra nu da si bíla. Moj brátar e kuj praškočew ta-strán, šow bo ta-prít. 41. "Hudič anu dan donáne / Il diavolo e il dannato" Il diavolo con l'aiuto di un dannato cerca di catturare un uomo di Uccea che si trova sul monte Chila di ritorno da Prato. Il diavolo comanda al dannato di afferrarlo ma non é possi-bileperché in mano tiene la corona del rosario, é battezzato e aipiediporta i ramponi che sono a forma di croce. Allora si vede un fuoco che va attraverso il bosco (Kf, 30.1. 1999). E alora t'e biw dan Ucjár anu jsi Ucjár e sa špartew pujütreh nápret ta-nú w Ucí, pero so bíla na dwa métrina snega, pa tri bo bíla. Na won e pršow won po Krnice anu se na Rávanco po špézo anu na núter e dow gore po Súbice nu won s Črno penc anu won po Hlíwce anu ko e došow won w Kilo ga jéla núc anu ga jéla nuc anu tadí t'e počalo ga št^šet. Alora dan bi' ta-pr njamo anu ta drügi e biw do s ta gost, howkow, e gaw da: "Jimi ga za róka!" - "Ne, ka an ma korúno!" - "Jimi ga za gláwo!" - "Ne, ka an ma krst!" - "Jimi ga za noga!" - "Ne, ka an ma grifa!" Anu tadej t'e rüdi šlo w ognj e do s ta gozdá. T'e bi' ta non, t'e biw ta non. Alora un bi' liber anu tadej si šow spet pocáso pocáso nu šow nú w Ucjó (...). Ta non, hudic! Eh, hudic, ko bej? Ka dópo t'e šlo w ognje dópo do s ta gozdá (...). So bíla dwa glása (...), bo biw káki amik, káki kompanj njaga, viš ti, káki donáne, káki donáne ka e mew oku njaga, perché hudic e dan, ma ti pur viš ka un tantá, ci mew kákaga donánaga za njin šce, eh, kak donáne go, ne drüge. Alore hudic bo bi' howkow túdi-dolo, da ko ma delat anu ti ka biw donan an meše owdela' jto delo ma ni mogow, perché ta drüge e mew wse. 42. "E prašow sowdát ziz mülu / E' passato un soldato con il mulo" Dei boscaioli di Uccea che dormono in una baracca presso Plezzo sentono di notte il rumore provocato dagli zoccoli di un mulo. L'animale, urtando con il carico la baracca che é stata costruita troppo vicino alla mulattiera, la fa tremare e sveglia tutti (Um, 21.9.1996). E biw moj oca ta-gore w Lávedniku, ta-gore w Slátniku, tu-w Slátniku, rüdi ta-pod Itáliju jtadej, man racet, kwažüwa Tálija, ta-gore w, a Plezzu, ta-gore w Buwce, ni su delale ta-wne w Slátniku, ta-wne na ni gore, t'e m elo jime Slátnek won z na áma, won ziz nu goru. Anu gospoden, con ti racet pa kíri to e, ka e biw jštes ziz Vincúna, V. e mew jime (...). Alore ni su bíli nárdile, e bílu káre tih Ucjárskeh - ka cu pa ti racet da kíre, te ka vin, ma moran pa múcat jštes, ti jh ne znaš - alora so bíli nárdile baráku ta-na ni wünce, e bíla muletjéra, le-ta-wne su bíli valiki combattimenti dal quindice. Alora moj oca anu H., eco fes oca T. ta-nútre, ka právew jsi O. T'e spálu wkwop tu-w lódarju, ni bílo brand jtadej, ti viš sáma, t'e spálu wkwop: e bíla luna dopo mezzanotte, t'e cülu ta-nútre won, da gre na müla, potkowa won - so bíla muletjera padrána, pejce, t'e klontinálu (...), na beštja ko na gre. Alora moj oca e múcnow z nin láhtan taga drüzaga, da ci an cüe. E rekuw da: "Múce, ke da cüan!" Ma e bílu šce jeh, ma ti ni niso cüle, ma únadvá t'e cülo apena. Alora ko n'e paršla woh baráke, ni su bíli nárdile mása ta-na wünce pot anu dópu bíla na kaškáda nútor, ka ni bílo mesta boj líko jtaliku za sa wgnat. Ko n'e prašla won müla, n'e jéla z bremanan tu-w cantún ud baráka, da t'e stréslu wso baráko: wse su se zbüdile z pejzan, ben bašt anu kása, ka na bo bíla mela, to ka... n'e mela jte' indavant anu jtadej na e prašla anu ni so cüli šce dan tant won da to cowkliná nu na gre. Tadej ni so (...) da: "Sta cüle? Da jnjan e prašow won sowdát, ziz mülu, da jnjan e šow won!" Jso mi právew moj oca. In questa unitá traspare il tabü di erigere abitazioni o altre costruzioni piü provvisorie su un sentiero. Tale motivo appare piü nettamente nell'unitá successiva e viene reso esplicito da un'informatrice nel racconto n. 72. 43. "Sowdát e bi' wálew baráku / Un soldato che demolisce la baracca" Una baita per boscaioli é stata in parte costruita sulla mulattiera. Una notte un soldato defunto passa con il mulo e demolisce la baracca perché ostacola il passaggio (Uf-A). Il testo e gia stato pubblicato in DAPIT 1998a, p. 214. Compagnie di soldati 44. "Kompanija sowdádow / Una compagnia di soldati" A Berdo disopra (Coritis) un uomo la domenica udiva sempre un'intera compagnia di soldati chepregavano il rosario mentre camminavano (Kf, 21.9.1996 - 5.10.1998). Benk, si mu právila pa njamo, ta-goré w nási Bidé viš, ta-gore w nási Bidé tu ka é staw M. N., alore rüdi mi právew M. jsi, ko é prháow w nadéo, ka é prháow s kráwmwe ta-do w ti Gozdé Láškin na gore, e rüdi čow celo kompanijo sowdádow ta-zdolá racet rožárjo ka ni so šle, nu t'é bílo ta-goré w ni gozdico, mi somo meli prajtet za tet po wodo: si taliko sa báala, si taliko sa báala ka ma obliwalo, ka jto ni méo bíli wtasáne sowdádje. Á si taliko téško hodila jti krej. Ma a si téla zmiznot ko si došla jto, nisi nánce tela hodet jti krej, ni so bíli w táse sowdádje, w táse ni so bíle, ka dívi muc jh e wmwilo túdi gore, búžace. M. di Venčonk t'é biw ma, t'é bílo opuwdné mica tu-w noce, opuwdné ko é prháuw w nadéa, ka é hodew gnat ka é prháuw. Ah, e gaw, ta-nútre, ta-po Maje ta, ta-za Wodó ta, ta-pot Kot ta: céla kompanija sowdádow, é rékow da ni so šle nu rakle rožárjo, búžace, ka dívi muc jih e ostálo ta-gore. To mi prjá da so meli prima linia jtúdi-gore, tu-w Canino (...). E čow čow, e čow fes broca, críwja, da ni gréo ta-s prot, fes čow go, anu rakle rožárjo, eh go, búžace. Le cinque unitá di questa sezione rivelano racconti e particolari diversi ma potrebbero forse rappresentare un adattamento dei motivi inerenti all'Esercito furioso o Caccia selvaggia. Tutte le unitá rispecchiano comunque la presenza di anime di soldati penitenti, che passano come in pro-cessione oppure come soldati a cavallo, mentre alcune la percezione di un folto gruppo di persone che passa su un sentiero e di una voce che chiede alia donna li seduta di lasciare libero il passaggio. 45. "Libero passaggio!" Una donna di Uccea si trova neipressi del monte Chila eper riposare si siede stendendo le gambe sul sentiero. Sente passare per quel sentiero un folto gruppo di persone e qualcuno dice 'liberopassaggio!'(Um, 21.9.1996). Mi é právila K., ta stára, é bila šla won na Pardúliné, ta-na Kilu won na Pardúliné n'é bíla šla po tráwu. Alora n'é wbrála anu n'é paršla do na muletjéro, ka parháa pur muletjéra (...), na gre dúdu do h Poču nu tadej nú po Hlíwce nu bon. Alora n'e počila jtu nu n'é sa gála spat, n'é počila nu n'e sa natégnula le-táko noga ta-zis pot - jso n'é právila, ni so právili ti stári, K. da káku t'é bílu - alora da n'e č^a da to gre ninkej da t'é raklú da: 'Libero passago' anu potégnula koj noga názet anu da n'e č^a, na ni vidala nicár, ma n'e č^a da to praháa, ma da t'é praháalu káré timpa, na vin da kogá. 46. "Libero passaggio!" Una donna di Uccea si trova di notte nei pressi del monte Chila e per riposare si siede stendendo le gambe sul sentiero. Sente a lungo il rumore dei chiodi agli scarponi dei soldati e dei ferri agli zoccoli dei muli chepassano per quel sentiero. Una voce dice 'libero passaggio' (Uf, 22.31998). Poslüsitä, da si bíla cülä právet právica gore pod Zormí nása máte. N'e bíla šla A. P. na damúw anu da n'e parélá ún s Kilu, da ko na e paršla won na Bísko K'ilu (...), da bíla nuc (...) ta-na Bíski Kile anu da n'e sédnula dö zdolá anu da n'e gála nöga ta-zis pot anu da n'e cülä suwdáda, prit ko ni so mele bröca anu da n'e cüla müla, ka nu so mela potköva ta-zdolá anu da t'e rakló da 'libero passaggio!'. Anu da ko t'e paršl0 gore h njej, da ona na e mela, ritirála nöga anu da n'e cákala káre timpa prajtet ta suwdáda jtu anu dópo tadej ko ni so šle, tadej ni so wstávile, tadej n'e šla ta-wne na Bíski Kili. E právila jtáku ^ša máte ta-gore pod Zormí. 47. "Kavalarijá ta-na Kile / Soldati a cavallo sul monte Chila" Una donna di Uccea si trova sul monte Chila e si sta riposando seduta sul muro di una trincea. Distende le gambe e sente passare una compagnia di soldati a cavallo. Una voce le comanda di lasciare libero il passaggio (Uf, 7.10.1998). Mentre nur mi právila A. P., ta stára A.P., da ona n'e bíla došla won na Kilu, da na vin ce ziz Rézja won, álb0 ziz Učje won za jtet tu-w Rézijo, n'e bíla pučila ta-na ni míru od na trincea, ma n'e bíla pa, káku sa di, zdúgila nöga. N'e č^a prit na jüde, tej nu kavalariju, anu dan e zaporkow anu e rekuw, da na diliberej pot, t'e bílo, inšoma, za prajtet, n'e bíla natégnula nöga. 48. "Kavalarijá dö po Maje / Soldati a cavallo a Tanamea" Madre e figlio, ancora bambino, partono da Uccea e, diretti a Pradielis, si trovano prima ancora dell'alba a Tanamea. La madre tiene in mano un lumino che cadendo si spegne. In quel momento sentonopassare un'intera compagnia di soldati a cavallo. Idue si spostanoper lasciarpassare la cavalleria. Questi soldati a cavallo sarebbero stati uccisi in tempo di guerra e le loro anime sono rimaste in quel luogo (Uf, 2.11.1997). Alora dópu ka da, dópu ka si se öm^ila šce, da si právila mímu múžu, si rakla da káku mle to mi se sucedinalu jtadej anu da káku da si sa báala. E rekuw da: "PošMšej," - e rekuw da - "jta-döle da ma máte sowa bíla šle dölu po Maje, prit núku din...", sumo mele jti pri' núku din, ce ne nisi doháwuw andata e ritorno. Alora t'e bílu prit núku din. Alora sumo mele lumina, tékoj ni so mele tóátóu ún z Rezijo, ta luminčica ka ni maö, ta luminčica, anu smo mele tadej ta-nútre le-no táke ta-nú w kúftéicu anu tadej so díwali núter öe anu puvír anu smo unámjale z jtin. Alore ku un nu njagá máte t'e bílu šlu dö po Maje, jštes jti a Pradielis, t'e melo jtet pri' núku din anu ko t'e parélú jta-dö ka si právila da, e rekuw da - du ba vi káku, ci bi küwnula kan álM káko ji se owdelalo insoma - ji e spáduw lumin ún z rukú anu ji vilatla kúfica, wgwásnula anu na ni bíla kopac nalest a škür jtáku, n'e wnámjala fulminánte, na ni bíla kopác ga nalest. Tu-w jtin e rekuw, da e čuw jtet dö s Palüda, tej ka t'e šlo dölu po gráve, e čuw jte' kavaleriju. Alora da njagá máte - viš ka nima bi biw valek pa un ne - ko njagá máte e ga jéla za róku anu n'e sa wgnüla ún stran póte, dívi kaliku čas t'e č&o, ma na ni tela mu racet, anu t'e sa wgnülu ún stran póte, anu ko e prašlá jta kavalerija, ka na e prašlá dö prad njima, ka na e šla dret, alora n'e spe' wníla fluminánte anu t'e nalezlu kúficu anu t'e wnílu. Dópu ka e paršow din, ka t'e bílu wže a Pradielis, e rekuw: "Cüjti máte," - (ka su ji gále da máte prit, ne máma tékuj jnjan) e rekuw da - "čujte, kan su bíli šle ti kunjöve?" - "Eh," - na e rakla da - '^žac, dívi ke ni su bíli ti böge kunjöve!" Na ni maj raklá koj za ni kunjöve, to su bíli kavalarija, ni bo bi bíle ga bwile ta-döle, salacor bil kak trucu, tempo di guerra anu ni su ostále anu t'e sa č^u. b. Visioni e apparizioni di figure umane (visioni in stato di veglia) 49. "Suwdát tu-w trincée / Il soldato nella trincea" Una donna di Uccea si ritrova da sola in uno stavolo in montagna fra Uccea e Žaga. Appare in una trincea un soldato che lavora continuamente con il badile in mano. Il soldato le mostra sempre la schiena. Una donna di Žaga chiede allora consiglio al prete di Srpenica. Questi le spiega che se il soldato si mostra di fronte bisogna chiamare ancora una persona per prendere coraggio e chiedergli cosa desidera, mentre se mostra la schiena deve lasciarlo in pace perché non rispondera. Dice tuttavia di non preoccuparsi perché é innocuo. Ogni notte dal suono dell'avemaria della sera fino ai rintocchi del mattino il fantasma riappare (Uf, 2.11.1997). (...) T'e bíla me mátara sastra, alora n'e bíla káre am'ik zis Buwcáne, be, n'e bíla rüdi túdi dolu pékjat, povera, ko na ni mela kej, n'e mela hode' pékjat, na e mela otroká jtáku, ma na ni bíla oženjana, n'e se omužila dópo ka na e mela wsa otroká gore. Alora n'e d elala, e bíla paršla se na Buškica, ce na ba tela ji delat ta-na Fúmu, ce na ba tela ji delat senu, na ce ji parnastet gore špézu, ka da muža na ma tu-w tópadále, buwnaga, anu ta-na 2áge na na more püstet živina anu utrúk, da ce na ba mela jtet jto, ka da na ce ji dat wse ščin, ser nu mast nu skütu nu jto-táke. Alore e mela bizünja pa ma tata, ne, anu da na bo spála jtan, k'e bi' hliw, ni su mele no štálicu, ma no májicu, taliku za stat ta-zorá, ka tadej ni su meli narédit kopu, peró su bíla tri^éa pa jto fuoriper fuori jtúdi won, so trinčéa. Alora pa ma tata n' e mela máju dno ti májeh, ma na vin da kíru, tu bo bi bíla E., na vin da, dal trentanove... Alora n'e rakla da: "Viš koj," - n'e rakla da - "viš koj," - n'e rakla - "glédi mi to máju, na e šcale mája, ka" - na e rakla da - "da hodin na delu, ko ti na moreš jti na delu tu ka (...)". An ni hode' na delu un, ka e biw tisico. Na se wzéla anu šla. Anu bílo žvečara anu si snítila ogonj anu t'e mela si narédit to za est ka e ji parnasla gore Buškica, na e rakla, da e stála polédnot tu-w trinčéo (...) dur tri^éa ta, ne muc daleč, nánca cento metri ne, e biw dan suwdát ún tri^ée, e nabašüwuw materjál ta-na lopátu, ma e biw z hartan tu-w nju, ne ž vištu, ma t'e bi' dan suwdát, monagoteh, čenče güpa, koj srákicu anu bragésa, anu e rüde deluw, rüdi njagá delu. Certu pa ona e sa báala, šce sáma, jtu e izolánu, ni bílo nína düša tu-w nínin kreju, ni bo bíli ti drüzi jtódi won, su bíli šce hliwúw, ma kaliku daleč? He! Ben bon. Drügi din, ka e paršla Búškica gore ke n'e ji parnaslá spet wsákaga nu máju gore za est, na e raklá da: "Ma ža^ bogawa," - na e raklá da - "ce bo jso-táke delaw in continuo..." - na e raklá da na bo stála sáma, na e rakla, da to pasáwa jtáku nu jtáku. "Orpu," - na e rakla - "Dio buono" - na e rakla - "to ba telo mi dišplažát, mášima maš dujtet gore w Ucjó, tu ti ce no óro prajtet anu drügi din spet dolu nu káku maš pragnat?" - "He," - na e rakla da - "pa jzde sáma." - na e rakla da - "Ma," - na e rakla - "ci tu bo melu bet za, be go, za ga diskolpat taga človeka bon anu ce ne!" - na e rakla. "Ben," - na e rakla da - "(...) gren do na Zágu," - na e rakla da - "gren do na Sarpanicu," - na e raklá - "grin bárat era, da ci more ga diskolpat za ga na videt." Bon e šla (...). Alora e šla anu drügi din n'e paršla gore. Alora n'e rakla da: "Káku ste kumbinála?" Na e rakla: "Pušlüšej," - na e rakla da - "tu ka an díla, da kíri krej a e obrácan, a e ziž vištu áleboj an e s hartan?" Da e rekuw eru ta-dole, da na nahej, ka da ji na díla nicár, da na na stuj sa preokupáwat. Ci a e ziž vištu, da na si wzome šce dnoga za korágu, za met korágu anu da na ga báraj da kogá an ce; piró ci an e zis hartan ne, ka na na stuj ga bárat, ka da a ji na rišpundáwa. Peró da na na stuj sa prokupáwat, ka da na ji na díla nicár. "Eh," - n'e raklá - "t'e na basída racet: to mi na díla nicár!" - na e rakla - "Tu ni to za mi na dela' nicár," - na e rakla da - "t'e jto ka to mla mi naréa prišijun mle sta' sáma!" Alora da na vi káku, ka tadej na ni mela, da na e rakla da žvečara, da na zadíwij dure, peró da na nahej rüdi ogonj, da na rüdi tičej ka n'e mela darwa, da na rüdi tičej za met ogónj, za met un po' di piu coragiu. N'e stála koj tri dni n'e šla, n'e rakla, da ni tela sta' vec. Notte per notte: ko e zwonila vimarija, dópo ka n'e zwonila avemarija dárdu pujütrih, ko e zwonila avemarija, celo nuc dárdu pujütrih, ko e zwonila avemarija ta zde w Ucjí, ka to s'e čülu, ka s'e čülu zwone, alóra an e máncuw, e ga ni bílu vec, anu žvečara dópo ka e zwonila avemarija e spet. 50. "Dán muš oblačen suwdát / L'uomo vestito da soldato" Degli ucceani lavorano in montagna e una ragazza, che all'alba trasporta da sola l'ac-quaper gli operai, vede camminare davanti a sé un uomo vestito da soldato. In quella zona ci sono trincee e si trovano anche ossa umane. Chiama l'uomo credendo sia uno della compa-gnia ma non le risponde e continua a camminare senza girarsi. Una volta raggiunti gli altri le viene riferito che non si tratta della persona che lei immaginava e quindipensa di aver visto un fantasma. Da allora nessuno vuole piu rimanere per ultimo da solo (Uf-A, 2.11.1997). Pa sumo delali le a Plezzo mi, tu-wne a Slátnek, ka sumo bíle, a Plezzo wón n'e na gora, sa stuji tre ore za vilest wón. Alóre sumo bíla ža^, ža^: da si bíla quindici anni, figürati, ka to ni wčérá, a si mela quindici ani, ka tu-wne, ko e mew bet un brutto tempo alóra t'e zvizgalo, t'e zvizgalo di notte, zvečara, sotto sera t'e wpilu, t'e zvizgalu, condipiu da si bíla pa ga vidala naga suwdáda. Eh si, peró da nisi si nakwárginala, da é una persona morta, per niente. T'e bílu ka sumo mele vilest wón na no goro, tékoj jzde ún na Bargin, za delat, anu sumo wstále pujütreh alle tre, viš alle tre pujütreh, cara mia, altri che nuc, anu sumo meli noset wodu za wsa, smo bíla dodici di noi, smo meli no dimigánicu di venti litri. Alóra ta ka e mela naste' wodu, alóra jta e cákala din ta-nú par baráke anu ta drüga so šla ta-prít, tadej ka n'e dušla n'e dušla, wsáki din e wstála dna, smo meli a türno a türno. Un giorno t'e ma tócinalo pa mla za naste' wón wodu. Oná so šla pojütreh nu ko bíla álba, si si nalila wodu ka smo meli mláku anu tadej si zadanüla nu si šla. Peró jtódi wón ka sumo meli jtet, t'e bílu wse púróiko triróéj, tu ka su sa bili del quindici nu wón nu wón nu wón - peró sumo naMale pa gláva, smo naMžale koste tu-w tri^éa per dir la veritá, pur da na bo tažilu tamú ka romonin ka, Dio, ni nisu bíli gáwge pa one,poveri. Alóra ko da si paršla un tánt wón tékoj od jzde le-ta-wón, wón ka e mulitjéra, ne, ka si pučila, da si vidala naga múžá prad mlu, ma si ga vidala tu-w harbat, e šów prad mlu tékoj jzde ún na dwor, e šów prad mlu. Ma sikóme e biw oblačen suwdát, moj kunját e biw rüdi oblačen suwdát, rüdi to suwdáške ko e biw ta-na delej, anu si kapew da t'e wun, ma mica pinsat - cosa vuoi, quindici ane, cosa vuoi da pinsej tadej, da kogá to e. Maj pinsa' da da, ko bi' din nu wse, e šów prad mlu anu e si komadáw bragésa le-jtáku, tékoj da an beše šów na swoj bizónj, si komadáw, biw munagoteh, koj srákicu nu bragésa, wse to suwdáške (...), e biwprecis tékuj moj kunját. Si šce zawpila za njin, si rakla: "Ti ba ma na čákuw!?" Ma e rüdi šów indavant, piró t'e bílu za jtet wón anu tadej t'e bílu za jtet le-jtáku ta-za dan drügi brih na núter nu máju na nútor za dujtet ú h njen. Alóre (...) da e wstów ta-zát, da si šów na swoj bizónj, ma t'e bílo mása pozde za jte' na swoj bizónj, da one ni na bešao wže dušle gore wže kadá wón na delu. A ni mi daw rišpošta, ni ka sa obrátew ni nicár, alóra a si šla dret da, ne. Ko da si paršla wóh kompanije, da si bárala jtu dnó, be go, ti ^še, so bíla wsa ta Mša, si rakla: "Du ba bi' ostów nas ta-zat?" Na e rakla da: "Niščí, zakój?" A si raklá da, bi' mew jime da M. moj kunját, ma jtadej nismo bíli šce kunjáde dacordu di no, si mela pétnist lit da, si rakla da: "Ni biw ostów M. taza nas?" - "Go, ko" - na e rakla - "M. e šów májo di sarna!" - na e rakla da (...) - "Ko si vidala?" - "Ma," - si rakla - "nicár!" - "Da to na mori bet!" - n'e rakla. "Be," - si rakla da - "e šów dan prad mlu, tekoj M." - si rakla - "oblačen suwdát" - si rakla - "an bo bi' šów na swoj bizonj anu" - si rakla - "si obličiw bragesa..." - "Ke?" - n'e rakla - "Ma da ke?" - "Be," - si rakla - "le-sa-dole w ti trinčeah." (...) N'isu tele stat vec po dno ta-zit, ni su sa biala,perd da nisi sa biala, Dio, pur nisi mu owbdelala pur ničir. 51. "Ta-pot potju e siduw dan suwdat / Il soldato seduto" Tre persone di Uccea si trovano sulla strada di ritorno da Pradielis dove hanno venduto dei vitelli. Fra esse ce anche una giovane che vede, non lontano dal sentiero, un soldato seduto, come stesse riposando, con la testa china fra le mani senza lasciar intravedere il viso. Un attimo piu tardi la ragazza guarda di nuovo in quel punto ma non vede piu il soldato. Si spaventa e quella notte non riesce a prendere sonno. Fa parte della compagnia anche il nonno a cui riferisce di averprovato molta paura. Questi risponde facendole capire che sa tutto e che questo le servira da lezione. Al nonno erano gia successi fatti del genere e se usciva di notte, portava sempre con se il cane, animale chepercepisce talipresenze (Uf-A, 2.11.1997). Anu pa nur le-sa-dole za jtet. Perd jtadej, tadej si mela una tema, ma ne jtadej ka da nisi vedala, da kogi to sa trati. T'e bilo in primavera, alore sumo meli wbwet no tali, alore mi smo nosili a Pradielis prodat, ka za prit di Tarcento gore z woze, jtadej certo poti ni bilo, scusimi, eh, si mela un sedici, dicisete ani. Alore moj det e wbwew tali tu-wne w planine anu e nabisuw wos korbu, su meli, diwale na prilica, le-tiko won, dolo nu won, anu tadej ni so nabisale ziz nogime won, da to ti nase boj visoko, da to ti liwči nase. Anu sumo meli naste' a Pradielis, sumo meli proda' taleta anu tadej sumo meli kupit to ka sumo meli est. Alore so paršle ti zis Tarčeta, kontratile, su dile jštes to ka su tele une, d'acordu, anu bi' šce da' sin ta-par nima, ka e mew pa un tali sam, un e mew dvi lete vec nuku da, un e mew sui diciotu, dicinove ani. Alore paršle nu prodale taleta nu wzele rowbu, migi nu stat jtu: nabisale, se wzele nu šle. Eh, ko mi sumo došle un na Meu (...) tunel jnjan, jtu-wne e bila na barika, e stila na žana, ka n'e delala koga, ka ni so wže delale gore po Maje, ni so nareale wže cestu. Alore e rekuw tu-w jso žano, e rekuw da: "Ti maš nan skuha' jit ka sumo lične!" - e rekuw moj det. "Go, go," - n'e rakla -"be, zakoj da ne!?" Šla ta nu n'e gila gore nu n'e skuhala jit, n'e mela špolert, e skuhala nan jit nu nan dila ser nu sumo edle. Eh, certo, e bila nuc anu nisumo paršle pu mulitjere, sumo bile paršle po binirihu, ka ni su bili nirdile wže binirih, ka su wudili darwa. Alore e rakla, e rekuw moj det tu-w nju, e rekuw da: "Ti si nan dila est, ma jnjan mešeš nas gila pa spat!" -"Po," - na rakli - "man pa za was ga' spat!" Ko si vedala da, da ke ma nas gat spat anu jti nizet! Prit nuku mešemo paršle un na Meu, ne, sikome ka t'e bilu il mese di aprile, e biw šcale marake kak blakec snega anu (...) su počiwale, ka su parhiale gore zis Paluda, ka sumo parhiale ta-dole gore po Plinu, su bila pučuwilca, sa znilu tej su pučiwale. Alora moj det e biw ta-prit nu da si bila tu-w sride anu jsi sin e biw ta-za mlu, bisan eh, d'acordu, (...) bi stila polednut gore, jtu ka sumo meli počet, ta-pot potju e bi' dan garnjaš šcale ot snega, e siduw dan suwdit, siduw monagoteh, klabuk e mew ta-na ni kulene anu e si daržuw gliwu le-jtiku. Tadi si si pomislila ka su bile alpine ta-gore w Buwce, pa ti niše, ne, si mislila: 'le, poveru, bo bi bi' trudan, e šow fes ta-pot pot pučet'. E pociwuw anu, pur din, ma a nisi ga vidala tu-w vištu, koj ka e daržuw pargnuto gliwu, ka si daržuw jtiku gliwu. Ko somo paršle gore na (...) nisi mogli gledat suwdida, a si gledala do na pot dopu, d'acordi di no, ko mešemo paršle gore ka mi somo počile, ga ni bilu suwdida tu-w ninin kreju. Si rakla tu-w miga deda, si rakla: "Kan bi' šow ta suwdit?" Alora e rekuw un da: "Ke si ga vidala suwdida ti?" - "Be," - si rakla - "lejt-jtu pot potju na ti garnjišu." - šce pokizala z roko - "lejt-jtu pot potju na ti garnjišu." Jtadej sunce e šlo za goru ta-z urhi. Alora a ni bi' daw rišpošta det, ni mi daw rišpošta, un e wže veduw zato ka un e čuw šce čas, ka e hodew di notte tempo, ka t'e mu propi brinilu pa pâsu i primi anni dopo della guerra, t'ë mu bránilu ko ë biw tékoj po Majè, ka si wudèw pâsa za njîn. Ko pâs ë sa obrátew, ka ë šow ta-prit, ka ë sa obrátew Mzët k'ë šow ta-za njîn, ë pa vëduw, da njân an vîdi kèj pâs, ka pâs vîde. A nî mi daw rišp0šta. Dópo ka somö mëli jtèt, ka somö bili parëlè ún na Mëu, ka smo bili ëdle nu wsë, ka sumö mëli jtèt, ë nas paála spat jtu dö stran ka so ta hiša, ka su ta brájda, ka jnjân ë ta seguvijâ, ni su bili nárdili won za sa pùzët, jtu ë bilâ na hïšâ, prit su bila štála, su bila hliwje. Jta-dôlë ë nas paála, ë bilu sënu, t'ë bilu tu-w vîlažej, bilu görku, inšome jta-dölu: tüta la note dâ nîsi wsanülâ, tüta na note dâ nîsi bila wsanülâ! (...) Zajtö ka t'ë mi parjálo rüde to odiwa dúre, rüdi da gre kèj nútor. Inšoma si sa báala, bila na rič, nîsi bila kopác wsanot. Drügi din pojutrëh si raklâ: "Cë bèt la prima e la ultima volta!" Certo, sa nî mëlo lüce, sa nî mëlo lampadin jtadèj, ti si mëw šcugni sta' tu t'ë zajéla nuc anu nuc ë bilâ anu dö po binárihu jtèt: negozi jt è' dö w duw anu šcë básane, nîsamo muglè dojtè' dö w hîše, ma ci bëšemö šlè drët cénca cákat da nan skühej, ma möj dët ë rádë jiduw, tadèj tëšë tèt cènca ëst? Alora si raklâ drügi din, si raklâ: "Dët, to cë bi' la prima e la ultima volta ka vî (...) wstávi' dö na Majè za spât!" - "Zakój bèj?" - "Zatö ka dâ cîstu nuč dâ si sa báala, t'ë bila na rič, t'ë mi parjálu rüdi tu udiwa dúre." Ë rëkuw, da: "Ti ce sa naüce', da káko se právi da kë ë suwdát!" 52. "Dân valïki valïki dët / Un uomo grande grande" A Uccea madre e figlio piccolo vanno una sera in cantina a prendere le patate. Il bambino vede un grande uomo vicino a un albero. La madre per evitare dipassare H vicino decide di entrare prima nella stalla. Quando ne escono l'uomo non cè più. La madre sa che si tratta di fantasmi, ma non vuole rivelarlo al figlio per non intimorirlo (Um-A, 20.9.1996). Nur somö bili tu-w Zagráde, (...) tadèj da mamö jtè dölu po krampir, dö w cánibicu (...) nu somö rüdi (...) dworë njèh dö ziš štig^, dópu dö w hliw, dö s hliwa so bila na drüga štig^ ka somo mëli dojtèt dö w cánibicu tu ka sumö mëli mliku nu krampir nu wsë .^o^kë. Infra questo tempo somö bili tu ka ë vi^žaw won gnuj, somö tünkali gnuj skúza ámu w kop, ë bila na valîka hraška le-nâ tákâ anu n'ë mëla dwa (...) za hraška korác. Alora na ë raklá da: "Man jti dö po krampir, da pidè, kompanjè ma!" - ma máte. Eh, ce t'ë máte t'ë máte, anzi. Kö somö parëlè dö w štig^ ta-prád dúre dö w ta štiglaca jtu, ta pârva (...) tu-w štálo, dâ si vîdow naga dëdâ ta-dö par hraške, ka dâ si sa dârâuw rüde za mátur, si bi' máje, alore si vîdow jsagâ dëdâ anu máte tadèj na ë evitála, ka n'ë vîdala, n'ë evitála, n'ë šla tu-w hliw; dâ si rëkuw: "Ka bej rétë, máte?" - somö gále da 'vî' mátare, genitörjan - "Da kë bej rétë, máte?" - "Ah, man tè' vîdët (...) kráva." Šla tâ nu na vîde kalîku tîmpâ na mâ stat za, káku sa di, anu ogála dúre (...) koj nu májo lîstja (...) nu vilëzla won, zagála dúre anu. Ko sowa š^ dö ta drüga štig^ za jte' dö jsëj hraške, eh, ni bilu dëda vèc, ë bi šow. Anu somo wzéli ta drüga štíglacâ, somo šte won w cánibicu, wzéla krampiir nu šla won. Ko sowa parëlè won, tadèj n'ë raklâ da: "Köj si vîduw T. ta-dölu pud tîmplinân," - somo gále - "ta-dö pud tîmplinân?" Alore si rëkuw: "Dan valîki, valîki dët tu-wnë w korác ut črišnja!" - ma t'ë bilu pasa düe metri za jtèt ún korác. "Ah, da si ga vîduw pa tî?" - "Gö, si ga vîduw. Bè, kan ë šow?" - "Ah, da bo vëduw un." Ka tadèj na nî tëla racèt, da to so bili špiritave, za sa na šMšet. La storia contenuta nell'unità successiva si riferisce alle stesse due persone di questo raccon-to ma viene narrata da una loro parente. Le unità presentano infatti situazioni simili. 53. "Dân valïki valïki dët / Un uomo grande grande" A Uccea un ragazzo sente che la madre sta parlando ma non vede nessun interlocutore. Le chiede allora con chi stiaparlando. La donna glielo spiega e dice che se lo desiderapotrà vedere di persona di cosa si tratta. Una volta càpita allora che la madre inizi a parlare e prenda per mano il figlio che in questo modo vede un uomo di dimensioni fuori dal normale. Si spaventa e non vuole piu saperne. Le persone che possiedono determinate proprieta vedo-no le cose normalmente, mentre gli altri che stanno accanto a queste le vedono alterate (Uf, 7.10.1998). Moj oca e mi právew, da un nur e biw ji rekuw, bi' báruw njaga mátor, da zis kírin na rumuni. Alora ona n'e rakla da s kírimi na rumuni anu da la prossima volta ci an ce, ona na ce mu pokázat. Alora t'e bílu nur ka t'e bílu ta-dole put, ta-gore w Zagráde, t'e bílu ta-do prat cánibicu, ka da vin, sa rikordán benissimo da káko t'e bílu náret. Alora n'e se wstávila, n'e počala romonet anu n'e ga jéla za róku: il contatto ka ona n'e nárdila, e viduw pa un, koj ka un e rekuw da un, da e biw se taliku wšt^šew nu bi' se taliku wšt^šew che da quella volta ni tew vec assolutamente, perché un bi' videw naga valikaga valikaga deda. Perché, alora jtu funcjoná, ka ci da rumunin, a vidin nu parsúnu normál, mentre d an drüge, ka nima le stesse - káku sa di - proprieta za videt, an vide le cose molto alterate. 54. "Si vidalá míga téstá ta-do s tarínja / Il suocero defunto appare sul prato" Una donna vede in stato di veglia il suocero defunto sul prato (Uf-A, 7.10.1998). Nur invessit a si bíla do s cámpa, ka si delala, eco, jtaga vij^ča da si bíla vidala míga tésta,perchéspesso e volentieri t'e mi parjálu da nisi mej sáma, nisi mej sáma, nisi mej sáma: a si sa obrátila anu si ga vidala míga tésta ta-do w cámpo, ta-do s tarínja. 55. "Na žaná ka na gre na dolu po póti / Una donna che cammina per la strada" Una sera una donna dopo aver munto le vacche lava il secchio e lapezza in un ruscello. Allora vede passare sulla strada la zia, ancora viva, che cammina tenendo la testa girata. Parendole un fatto strano va a casa e chiede se la zia fosseper casopassata di ll, nessunopero l'ha vista (Uf-A, 22.3.1998). Pošftšej njan, man ti právit šce dno njan. Alore sumo bíli gore par Támoru mi, anu ta-gore par Támoru da, žvečara si šla dolu w duw mwet bándu anu bülu, ka si cídila mlíku, ne, anu si wmwet noga, nu ko si paršla do w (...) si mwila noga nu si mwila bándo nu si navijála gláwu tej gore po póte, ne; da si vidala no žano ka na gre na dolu po póti zis kórbu anu daržala nu máju na krej gláwu. "Ben kíra ma bet jta?" - si mislila. Si spet dópu navijála gláwu, ma bo dópu ni bílu nicár. Ko si parélá gore h hiše, gore h ^šen, si rakla da: "E bíla tatá Vergínija prašla jti krej?" Da: "Ne." Da si rakla da: "Go, vedita da tatá Vergínija si da o vidala, ta-do w (...) ka si si miwala noga, da si navijála gláwu gore po póte anu tadej da ona n'e prašla gore po póte ka n'e mela kórbu, ka n'e daržala rüdi no májico na krej gláwu." - sa riko^š ti tatá Varginija, ka e daržala nu májicu na krej gláwu? Ni so rakle da ne. Jtáko ta-gore par Támoru se mi sucedinalu bílu mle. 56. "Ta žana ka ni dáala mwej nikár / La donna che non ha mai offerto niente" Quanto si da in questo mondo, lo si ritrova nell'aldila. Una donna che in vita non ha voluto mai offrire niente é stata vista, dopo la morte, vagare con il sacco in mano a chiedere la carita (Kf, 5.10.1998). Ci ti daš kej jnjan, kar ti si žiw, tamo ka ti ce nu to ka ti ce, ti naMžaš wse ta-krej na ta, ci ti daš, ti ce me' kej na ta, ci ti na daš nikár, ti nimaš nikár. Ti račen, M. žana ka ni dáala mwej nikár, mwej nikár, mwej nikár, pa ta mrzla wodá ne, ko n'e wmworla ni so o vidale, ka na e šla proset. N'e mela wrece tu-w péste nu šla proset. Ti moreš dat to ka ti ce, ka ko si na ta, ti maš ta-krej na ta. 57. "Štiri maškira ni so plésala / Quattro maschere che ballavano" A Uccea in una notte d'inverno al chiaro di luna, un uomo, mentre si reca al ballo, vede che sulla neve stanno ballando quattro ragazze con il costume di carnevale. Si avvicina per afferrarne una ma scompaiono (Um, 21.9.1996). Ah, jtân ka t'ë plésalo, (...) bi' dân dët k'ë mëw jïmë da T., ë wmwâr ka ë mëw novantadüe anni, dâ ga znan, no, novantanne, ë staw ta-nûtrë pod must ta-nûtrë w Uči, ta-zdolâ ka so ta Mša. Alora, ma bi' süh muš, ma to biw dân dët! (...). Alora da ë sow tâ pa un dopu pu cene plésat, le-jti tu-w ka ma D. barâku, e jtü t'ë plésalu, ta-wnë ka ë sariwnek par latarïje, ta-wnë par latarïje, ka dilamö fjëstu za Santantüneh, tân k'ë sariwnek, baârc ditë vï (...). T'ë bilu ta-zïme, ë bi' snih, anu lëpo grëlâ lûnâ; ë paršow ta-par hïSe së, da ma jtè' tâ, jtu-par sariwniku ta-wnë zorâ ë koj tarènj, bè, ta-wnë štiri mâSkera so plésala - viš kogâ t'ë mâSkerâ, ni so sa naréala s timi trâki, ta hcëre - štire ni so plésala jta-wnë anu un jnjân, da ma jtè' won, viš mlat, woh hcarân, so mâškera. Eh, ë rëkow da ko ë došow won, da ma jet dno, da su šparela wsa štire, wsa štire da su šparela. Gö, jsö, jsö ni so prâvili anu dâ eu... ni so pa mi pokâzale, da kë ni su plésala. (...) Ta-na snëgo ni so plésala. 58. "So bila dvi maškere ka t'ë plesalo / Due maschere che ballavano" Due uomini di Uccea escono di notte al chiaro di luna e camminano sulla neve ghiaccia-ta suonando la cïtirâ (violino) e il bas (viloncello). Vedono due maschere che ballano. Si spaventano e scappano. Uno dei due addirittura abbandona sul posto il violoncello e vi ritorna a prenderlo il giorno seguente (Um, 21.9.1996). Anu ti maš bâra' le-tan T. ta-w M., nji wûjâ. T'ë bilo un anu dân drüge. Alora t'ë bilu šlu tu-w nucè, jtâku mlâdu t'ë bilu, ma në mlâdu utrucè. Ta drügi citirow s cïtiru, G. ë mëw jïmë (...), ta-wnë w Zagrâde, da to ma jtè' gorë po ti Bârdë, gorë par Vargilico, ta-wnë na ti Bârdë, ka staw pa Marcël Simün Wurdijân (...). Alore prit nüku prït (...) ta-gorë ë dân göst, ka göst ë fès ta-nad latarïjo won, ta-nat carkvjo won, jta-wnë zorâ. Jštës bi' snih, ma bi' srinj, anu grëla lûnâ. Se špartilu tu-w Zagrâdë par njëj anu t'ë šlu gorë citirâlu... Ko to došM ta-gorë, so bila dvi mâškere, ka t'ë plésalo. T'ë sa bilu wšt^šilu: tï s cïtiru bi' nësuw cïtiru, t'ë sa obrâtilu nâzët. Te drüge, T. ë biw püstew, spüstiw bâs, bünkalicu anu šow dö po srinju nu drügi din t'ë šlu vïdët, da kë an ë. Jsö t'ë prâvilu. Anu ti jtân a möre racèt, ka ë šcaK žïw. Tadèj, ce t'ë zlâgalu ünadwä, ^ën pa dâ. Ninkinür ni so vïdale. 59. "Na cârna babâ / Una donna in nero" Un uomo di Uccea vede sempre una donna vestita di nero camminare davanti a sé quando la sera va a trovare lafidanzata. Lo accompagnasia allandata che alritorno. L'uomo racconta il fatto alprete il quale lo rassicura che non la vedràpiù (Um, 21.9.1996). Ë biw E., mi sastrâ A. muš (...), alora ë parhâuw w vâs tu-w Borcë ta-h nân, ta-h ti stâri carkvè jtu A. - jsö ë nan prâvew vèc čas ün po Tamže tu-w guzdâh. Alora ë parhâuw tu-w nucè jtân së, si capisce, öku le nove, le dieci, e bon, ë rëkuw da ko ë parhâuw tu par latarïje, ke dilamö fjëstu jtu tâ, da bila rüdi na bâbâ ta-prit prad njïn, wézanâ, na čârna bâba, n'ë mëla na bila h^ča anu wézana na dölu, tej ta stâra bâba ka so sa wažüwala prit, anu un šow za o dujtèt ma onâ n'ë bila rüde böj indavânt anu da ë šow nu da niente da fare, nï biw kopâc ga dujtèt, düdu ta-h carkvè, jtân da ni bilu vèc, špare^, woh A., woh mi sestrë. Bè, t'ë stâlu jtu nu t'ë stâlu nu ë gléduw un won na ora, da muc so or, bo bila dnâ, na bo bila puwnöce, ma onâ na bo bila čâkala da an cë jtèt, bè ë vëduw: "Bè, da E., da tacè, da lé, muc so or, man tèt pa dâ spat!" PošKšej, ni tëw nawâdet, m^uw nu šow. Ko ë došow Mtër nü h cerkvè n'ë bíla ta-prít, spet ga kompanjála ta-h h'iše, na dwákrat trïkrat jtáku, dópo bi' ji rëkuw nur, ka bi' sa wšt^šew, bi' ji rëkuw, da un an na gre, da an cë cákat din jzdë, cë sta' sam nu da tacè spat ke da un an na gre. Ë ji nawádew da káku. Tadèj ë rëkuw, da ë bi' rëkuw don V., da káku tu ë, ëru, mu kuntow fât. Tadèj ë rëkuw ëru da: "Tacè anu da hodè, ka da ti boš vïduw da ti na boš vïduw vèc!" Anu dópu ni bílu vèc, ë rëkuw da ni bi' ga vïduw vèc. Jsô ë nan právew un, môj kunját ë právew. 60. "Dân dët ka hode ta-prít / Un uomo che cammina davanti" Icani sentono lapresenza degli spiriti e i vecchiportavano sempre con sé il cane quando andavano da qualcheparte. Un uomo (ilpadre del narratore) la mattinapresto sulla strada da Uccea per Sella Carnizza, vicino a Máli Kuk, vede davanti a sé un uomo che sta camminando. Cerca di raggiungerlo per fare la strada in compagnia, ma vede che l'uomo si allontana sempre di più ad una velocità troppo elevata per un essere umano. Cerca ancora di raggiungerlo ma non lo vede più (Um, 21.9.1996). Ta p ârvi ka vïde ë pâs. Ti stári ni su wudïli pâsa ko ni su hudïli kân (...). Pâs tu-w nucè, ko ti hôde nú mi nogáme, jtadèj an vïde, almanco so gále ti stáre; mlë to ni maj mi kapitálu. Ma ti stári ni su právile, ku pâs an hôdi nú mi nugáme, da an vïde anu t'ë pâs ka vïde; ni su gále ti stáre, da an vïdi prit líkuj dân drüge. Môj ocâ, nur, bi' šow damúw, ún Rézijo anu ta-gorë na Cârcu, tu-w Ucjí gorë, za prït gorë pod Máli Kuk. Ë šow pujûtrëh apènâ nápret zwùdâ, pôpowdnë ce ni so mëli tèt ščë damúw nu bi' snih nu to^kë (...), so hudïli zwúda za dojtèt nápre' won, ka tu-w kumûnë, su bíli pa ti drüzji tu-w kumüne, ma mï sumô bíli dalëc (...), trïste nu šëjst kilometruw ta-nú w Ucí ún Rézijo nu prït ^zët. Alore ë vïduw ^gâ dëdâ ta-prít, ta-gorë na ni wünce, da sa zavèw ta-za wüncu. Alore ë (...) pâs za ga dujtèt, za mët kumpanïju. Ë došow jta-gorë, t'ë bílu drët, ë glédow (...): to na môrë bèt, k'ë wžë došow gorë za to drügo kürvo. Ë šow, ë rëkow - jsô ë pravèw môj ocâ anu ë nï lâguw, jsô posso credere - ë šow un, ma šow, ma dëda dópu nï bílu vèc. 61. "D ân uštir ka ë kráduw dúdu rat / L'oste imbroglione" Un oste che durante la vita ha sempre imbrogliato muore e subito dopo il funerale lo trovano in piedi sulla botte del vino in cantina. Chiamano un prete ma l'oste dice che questo prete ha la camicia più nera di lui. Chiamano allora un prete più giovane di Moggio a cui l'oste chiede di essere scongiurato sul Canin perché sul monte Amariana ci sono già talmente tanti dannati che non sipuó nemmeno infilzare uno spillo. Viene infine scongiurato sul Canin (Um, 21.9.1996). Alora bi' dân ta-wnë w Rézije, ni su právile ka biw mwâr. Alora ni su mële ga škongurat ka bi' paršow ^zët, anze, jnjân cu ti racèt da kë, poš^šej, tu-wnë par M. ë biw mwâr, ë mëw ušteriju, a ma bi bi' krádew dúdu rat, ál^j dúbej vi da káku, alora ni su nárdile funerál anu ni su šte. Nárdile funerál, ni su parëlè ^zët dôlu fra i parente dô w ušteriju wsi le-táko. Alore dân, sïn ál^j hcï, ni su šte dô w kantïnu, da ni céô popèt dan litru vïnâ in compania: bi' ta-na karatélu ko^ški ta-s karatèl, nu ni nïsu moglè vigát ún vïna. Si cüla pa tï? Alora ni su šte won: "Bè, da kë mâ vïnu?" - "Da ë ta-dôlë, ta-s karatèw ko^ške!" Jïska' ërâ. Paršow dôlu ëru, šow dô w kantïnu, da (...) škongurat; ë rëkuw ti ta-na karatélu, ë rëkuw da: "Tï ti na vaMš, da tï ti maš te' wkrèj, ka da ti maš bô cârnu srákicu tï líku dâ!" -tu-w ërâ, (...) dobrô ëru ma niente da fare, tadèj ë staw ta-na karatélu. Tadèj da ni su šte dô w Mtëâc, pu nága mtëdagâ da ë paršow gorë. Tadèj da mu ë rëkuw, da: "Gô, da tï gô, peró da gorë w Marjánu da ti nfmaš ma gnât, ka da jta-gorë jih ë, ka da nï mëstâ za wpïknut na jígla, da žam ma ta-w Canèn!" (...) Tadèj da ë biw ga škongurow ta-w Canèn. Tadèj dópu t'ë sa bílu kalmálu. Il motivo del sacerdote indegno che ha la camicia più sporca dell'anima dannata viene sotto-lineato anche da D'ORLANDI, p. 41, e fra dannato e sacerdote si verificherebbe spesso una lotta serrata: "Non ho paura di te perché sei peggio di me. - Io sono ancora nel mondo e posso ancora salvarmi, mentre tu non ti puoi più salvare" (Valle). Si confronti pure il racconto veneto "Il malgaro" (Segustino - TV) riportato in MILANI, p. 371: un malgaro dopo la morte ritorna a fare lo stesso lavoro di quando era vivo, ossia a mezzanotte viene a fare il formaggio e poi sparisce. Il prete si reca alla malga per scongiurarlo ma viene respinto dal malgaro che dice: "Ti tu pol 'ndar via tu, perché tu ha la camisa pi sporca de mi". Allora va alla malga un altro prete e riesce a mandarlo via per sempre. A questo proposito cfr. anche RPF XVII, p. 142, n. 16, in cui si sottolinea il fatto che l'esorcista per avere successo deve essere senza colpe, infatti se il dannato riesce a rimproverargli anche il minimo peccato, l'esorcismo fallisce. L'intervento del sacerdote esorcista è quindi frequen-temente documentato in questo genere di racconti. Secondo la credenza popolare inoltre questi sacerdoti devono possedere un carisma e solamente taluni avrebbero il potere di esorcizzare. In CANTARUTTI [ 1985], pp. 424-425 e 432, la credenza popolare viene messa in connessione con il fatto che la Chiesa dà questa facoltà "soltanto ai sacerdoti distinti per pietà e prudenza, mediante un'espressa licenza...". L'unità successiva rappresenta una variante di Coritis. 62. "Dan uštir ka ë mišow wodo nú w vïno / L'oste che mescola il vino con l'acqua" Un oste di Resia per tutta la vita ha mescolato il vino con l'acqua e quando muore, al funerale, sembra che la sua bara sia vuota. Dopo la sepoltura i parenti ritornano a casa e ritrovano infatti il fantasma delloste su una botte in cantina: la sua anima è dannata e l'unico mezzo per liberarsene è di scongiurarla (Kf, 30.1.1999). T'ë biw dan tu-w Rézije nu ë d ëluw uštir wso njaga vïto, ma, ë míšow wodo nú w vïno, wodo nú w vïno anu ko ë wmr, ni so mëli nastèt do w satmtéërih ma ni so č&i da to na tažï, da nï nikár, bi' koj bank. Ko ni so prëlè ta-h Mše, eh, dan tu-w famèji ë bi' šow do w kantïno da ma tè' po no májo vïna za pèt, bo bi' mëw da' pèt ti ka so ga naslè, vi' a da koj. Ko ni so došte dolo ë biw ta-na karatélo. Bi' donan pa jti. Eh, ko ni so nárdile, ni bo bíli mëli ga škongurat, ti maš koj škongurat, koj maš dëlat? Ko ti vidiš da t'ë jto, an gre koj na jti krèj, ši në ti ga maš rüdi jto. Eh, n'ë stára jsa, n'ë stára prastarëta, dívi muč čanta^rjow lit na ma, ni so si právili dan tumu drügamo. Alora míšow vïno nú w wodo nu un bi' sa donow. Tantacjún gála rüdi da ščë nu da ščë. 63. "Dan sinèc ka ë krádow / Il ragazzino indotto a rubare" Una donna induce il figlio a rubare degli oggetti per cucire dal cestino di lavoro di una vicina. Il bambino muore e la madre vede le mani del bambino che spuntano dalla tomba. Il prete le consiglia di percuoterle con una bacchetta finché non si ritirino e cosí accade (Kf, 7.10.1996). Alore n'ë bíla na žana - na vin a, da tu-w kíri vasè, inšoma, gorë s to Rézijo to bo bílo - anu n'ë mëla jsaga simčo, sëdan, osan lit, pa vèč, anu ë hodèw, bo bi' hodèw ta-h káki žaM, ka n'ë mëla dan platenčèč anu n'ë mëla ta-nûtrë to za šïwát. Alora jsi si^č ë parnësuw ta Mše, pri' ë prnësuw škárja. "Ah," - na ë rakla - "tu kë so bíla škárja, ë bi' pa vinjarúw." Alora šow, ë prnësuw pa vinjarúw. "Ah, si prnësow pa vinjarúw? Alora ë bíla pa nèt." Anu ë šow anu prnësuw pa nèt. Anu t'ë stálo ka jsi si^č ë mwr anu ko ë mwr jsi si^č, ko n'ë hodïla ta-na grob o mu püli' r0ža o kèj, ë mëw rüdi rókica won, anu dèj nas dèj zütra, n'ë bíla štof vïdët jtáko anu n'ë šla ta-h ëro ano n'ë rakla, da káko to ë. "Ah," - ë rëkow ëro - "ti si sámä gáwgë, ti si slábo ga Milä, ti si slábo ga üčilä! Injän ä ti dan le-jso bakético anu ti maš tèt ta-na grob anu ti maš rüdi š^pa' jta rókica jto, dárdo ka ni spet sa ritirá0." Anu n'ë rüdi štepa^, dárdo ka dópo rókica ni so bíla sa ritirála, ih ni bílo vèc. Nel racconto "Il crocifisso sanguinante" riportato da MAILLY, p. 122, n. 75, nota pp. 217218, si manifesta il motivo di chi lancia una pietra su un crocifisso e viene inghiottito dalla terra. Solo la mano destra rimane protesa e, sebbene intervenga il prete per salvarlo, scompare pure questa. c. Trasmigrazioni 64. "Nïmata wbwèt káče! / Non uccidete le serpi!" Non si devono uccidere le serpi (i carboni), perché sono le anime dei defunti (Uf-A, 29.1.1998). Mï ko smö vïdale no valïku káču nu nïsu tële za wbwèt. Ma máte na nï tëla da ma wbwèt, da ko so bíla ta valïka káča, nu so gále ka so ta dušfca. "Nïmata wbwèt káče, ka to so ta duš'fca!" (...) Ta valïka čârna su bíla, čârna. La credenza relativa alla trasmigrazione di anime in animali (farfalle, serpi e altro) è ampia-mente attestata anche in territorio friulano (cfr. D'ORLANDI, p. 42, CICERI 1992, p. 460 e segg.) e veneto, nonché a Sauris. Si intravede nella serpe, frl. magne, un'anima penitente oppure semplice-mente l'anima di un defunto (CANTARUTTI [ 1985], p. 422, Fagagna; RPF XVII, p. 151, n. 38 e nota 38, pp. 102-103). Anche casi di dannazione rivelano la trasmigrazione in serpe cfr. CANTARUTTI 1960, p. 93: l'anima dannata di una donna appare come magne; cfr. inoltre MILANI, p. 381, Marostica. A proposito della serpe, magne, cfr. anche JOB, pp. 548-550, e in particolare il testo in cui si riscontra il divieto di uccidere la serpe, presente anche nella nostra testimonianza di Uccea: "Me agne a copave liparas, ma nus diseve: - No sta copâ las magnas ch'a podint jessi un vecjo di chei passâz.", p. 548 (mia zia uccideva le vipere, ma ci diceva: non uccidere le serpi che possono essere un vecchio di quelli defunti). Su questo tema in ambito resiano cfr. ancora DAPIT 1998b. 65. "Ta žába ta-pod rüpo / Il rospo nel campo" Una donna di Coritis zappa sulla striscia d'erba che segna il confine fra due campi appropriandosi di terra altrui. Dopo la sua morte vedono sempre in quel punto un rospo, ma è lei stessa. I vecchi dicevano che sul confine bisogna piuttosto tenersi più indietro che appro-priarsi di terra altrui (Kf 21.9.1996). Ë bíla ta-gorë na Korïtë dnä ka ä o znan, alora so bíla dvi njïve tu-w krèj anu tu-w krájo ni so rüdi naréale no valïko rüpo za mëro anu jsa bába, wsáki vpč ka n'ë š^ kopät, n'ë rüdi kopáté pa rüpo, n'ë rüdi kopála pa rüpo fin che onä rivátó rüpo anu dópo, ko na ë mwrlä, ë spet bíla rüpa jto anu bíla žába ta-nú pod rüpo, jsa valïka žába, ka t'ë bíla onä: ë spet prälä rüpa anu onä n'ë bíla ta-nú pod rüpo. Ta žába t'ë bíla onä. Perché n'ë kopátó..., ti stári so gáli da ta-na ni mëre, ti mäš püstet, ma në wzet, rejše sta' bö Mzët. d. Visioni di fuochi fatui (vëdowci), luci o candele accese 66. "Vëdowci / I fuochi che volano" Un uomo di Coritis decide una sera di andare a prendere un fucile in un luogo dove erano state abbandonate delle armi alla fine della seconda guerra mondiale. Dopo averlo preso lo nasconde sotto un grande tufo dove sarebbe ritornato a recuperarlo di notte. Quando vi ritorna vede pero che gli vengono incontro dei fuochi volanti, i vëdowci, che sono degli spiriti pericolosi. Si dice inoltre che sotto il tufo ci sia una candela accesa e un paiolo ma quando l'uomo vi giunge non vede niente. Riesce allora a vincere la paura, prende il fucile e ritorna a casa. In seguito si sente molto male e non vuole più saperne del fucile (Km-A, 15.8.1995). Il testo è gia stato pubblicato in DAPIT 1997, pp. 55-58. La credenza dei fuochi fatui risulta estremamente diffusa anche in Friuli. OSTERMANN, p. 61, riporta: "Fûc voladi (fuoco fatuo). Sono le anime dei morti che girano per fare intendere che hanno bisogno di preghiere. Il fûc voladi insegue chi lo vede, e ne cagiona la morte. Esso cerca talvolta di entrare nelle case...". Si confronti-no inoltre le attestazioni in RPF II, pp. 294-295, n. LXXVI; RPF VI, p. 199; RPF VII, p. 131; RPF VIII, p. 62; RPF IX, p. 264, n. CVI; RPF X, p. 235, n. LXXII; RPF XII, n. 30; RPF XIII, p. 61, n. XXXIV, p. 71, n. XLIV; RPF XIV, p. 118, n. LVVVI, p. 226, n. CXXXVI, p. 239, n. CXLV, p. 264, n. CLXIII; MAILLY, p. 59, n. 8, nota p. 181. Cfr. anche le testimonianze in AQUILEIA, dove nei racconti dal n. 135 al n. 143 i fuochi fatui sono considerati anime del purgatorio che devono purgare i peccati; in altri casi invece hanno bisogno di preghiere o suffragi: pp. 148-149, n. 137-138, p. 150, n. 140, p. 151, n. 143. I fuochi fatui se cadono sulla biancheria stesa fuori di notte la macchiano o la rovinano, oppure bruciano la pelle a chi la indossa e provocano malattie (cfr. anche OSTERMANN, p. 61). L'unità successiva appartiene alla stessa tradizione secondo cui sotto il tufo sarebbe occultato un tesoro. 67. "Svíca ta-pod Tôfân / La candela sotto il Tufo" Nei pressi di Coritis sotto un grande tufo vedevano sempre una candela accesa. Qualcu-no vi ha sotterrato qualcosa, ma solo chi ne è degno viene chiamato a svolgere il difficile compito di dissotterrare quanto è stato occultato. Di solito la persona viene chiamata nelle ore peggiori, ta slába óra (Kf, 5.10.1998). Ta-nú pot Tófan ni so vïdale rüdi, ë rüdi lüc jta-nútre, pa ä si cüla šišä, da ni so právili, ë bíla rüdi na lüc jta-nú pot Tófin, pero ti mäš bi' dènj, ti mäš bi' dènj za tèt punj, ma öpownöče, ti ba mëw tè' tï? NèMe ba bílo pa na valïka kása bécow! (...) Svtöä ë büä (...). Ä tu-w nočè nïsi š^ maj túdi ntaër (...). Pa jtu ni so zakopále kèj, viš, t'ë bíla strihä, t'ë bi' dan tof, ni so zakopále kèj, to ë jto. Ma tï ti mäš bèt dènj, ti mäš bè' dènj, ni mëö ti račèt tabë, da tací punj, alora ti či nalëst. Ma ni ta šéaö mása no slábo óro: puwMče, no óro, te nipjëjs óra. Bè, du an čë jtè' ntoër. Ti ka ë zakopow, da jti vidëj! (...) Ma viš da ko ba tëlo prït öko tabá anu èrët to čë da ti maš be' sam, ma kucë, ti na mörëš paät kompanïja, be alora? Kë män tèt, náróe tu-w wüsM na ba š^ ún pot Tófa, hèj stoj'tö jto! 68. "Ë spádow oropláno tu-wnë w Canïno / L'aereo precipitato sul Canin" Durante la seconda guerra mondiale un aereo americano precipita sul monte Canin causando la morte di tutti ipasseggeri. Dalla planina Klen vedevano sempre una luce e udiva-no strepiti, rumori provocati da lamiere (Kf, 5.10.1998). (...) Ko samö došte gorë, da ë spádow oropláno tu-wnë w Canïno. Ni so hodïli wún Canèn, so bíli tï ta-na Korïtë s kórbe won, le-na táka hrtá amerikánave, le-na táka hrtá ta-na kórbe wézano, pokrïte s plahüte, ka ni so mëli nagát ún nat kórbo za prnastèt tu-wnë w Canïno ntaër, e gö, anu dópo jto, ko t'ë bílo tu-w vflažej, da mamö jti won vïdët (...) ma, ko ni so gnáli gorë w Klèn ta-gorë ka stojï A., nji očä ë rüdi vïdow won, ë bíla rüdi na lüc tu-wnë, rüdi lüc jtu-wnë jtu-wnë, ni so cüli pa klontonät bánda jtu-wnë od oroplárn nu wsë .^o^kë, t'ë rüdi šMšilo tu-wnë, ka ma bi' bílo šlo káre judí jto, sa bwïle. Anu dópo t'ë bílo, vi' ä, öko máä jtáko, šte won da mamö pa mï jtè' vïdët. Slè, šte, šte, eh, t'ë dobrö rozonálo pa jtadèj (...). Ma ni so cüle rüdi šMšet tu-wnë, viš, anu rüdi no lüc tu-wnë, rüdi lüc bíla tu-wnë ka bílo šlo káre judí jto (...). e. Percezione di rumori o spostamento di cose e persone, non assimilabili all'azione umana 69. "T'ë zdëlalu rumör ta-nutrë w carkvè / Strepiti nella chiesa di Carnizza" In un giorno di maltempo due donne di Uccea vanno a riscuotere la pensione a Resia. Al ritorno si fermano a mangiare qualcosa accanto alla chiesa di Sant'Anna di Carnizza. Sento-no dei rumori dentro la chiesa come se i candelabri sull'altare cadessero. Stando fuoriguarda-no dalla finestra ma in un primo momento non vedono niente. Subito dopo vedono all'interno una cosa che sembra una vecchia moneta da cinque lire rotolare sulpavimento della chiesa. Spaventate riprendono immediatamente il cammino per Uccea (Uf-A, 2.11.1997). Vis kogâ, ta-gorë na Karnïci, jta-gorë t'ë ma wspigâlu, eh si, ta-na Karnïci w ti carkvè (...). Dâ si mëla dicioto ani, alore ma mâti ë tézala pizijün od miga ocâ anu sumö moglè jti pö pa dan drüge, bâstâ narédi' firmu - ma mâti ë mwëla sa fermât, naréat firmu. Come una delica somo mëli, ma somo mëli hodè' pö ün Rézijo anu suwa bila dâ anu jsa mâte M. (...), n'ë mëla jïmë da R., anu somo hodïle spës ün Rézijo, be gö, po pizijün midvi, dâ anu onâ. Bè, suwa hodïle pojutrëh, alle tre, alle quattru, alle cinque, na nâzët prahâale a mezzogiornu, parhâale ala una, alle due: nïsi cüla mèj nina rëce. Njendin su bili temporâlave, ë sow snih, eh, t'ë lïlu, ma nïsi cüla mèj ta-gorë na Karnïci w carkvè. Ko somo parslè na won, somo sa wstâvile jtu, sumö si snëdle kak panin, ko somo parslè na ntaër sumö sa wstâvili spet, sa wstâvile jtu: nïsi cüla mèj nicâr, mèj nina rëce. Una volta sumö bili slè jstës jtâku, dâ nu onâ. Slè da mamö jti won po pizijüne njèh anu ë talïku sow snih ko sowa slè na won, ë talïku sow snih, ë talïku sow snih ka t'ë bilu na ric anu, bè, midvi, lumïne sowa mëli e jtè' di notte, su bila., sa spartèt jzdë verso le quattro di mattina. Alle quattro di mattina il mese di dicem-bre, di ginnaio, cara mia, altri che note! Sowa bili slè ko ë zwonïla vimarïja, sowa bili a Gniva, imaginarti! Anu sowa bili nalëzli scë no žano po pote, sâmu, ka n'ë sla jstës pa onâ za nji oco won w Rézijo e na nâzët msamö parslè wkwop, sowa parslè sâme, dâ nu onâ. Anu ko sowâ parslè jtu, sowa sa wstâvile, come il solito, dnâ sédnula na tâ anu dnâ sidala na së nu swa si vigâle wsâka swöj kroh, kogâ bèj mësës si vigât?! Dan frégul krüha sühagâ, altro niente. Apene che sowâ sa gâli jist, t'ë zdëlalu rumör ta-nütre w carkvè che tu non avrai una idea. 2vèlt öbidvi ta-na okina vïdët kogâ ë: ni bilu nina rëce. Bè, sowa mücile, sowa gâle da to bo kak kustrïs, vis ta (...), sédnale spet, spet sa gâli jist: so wdârili candalirje tu-wnë dölu na guwtâr, da si kapèw da s'ë wsë zlomïlu. 2vèlt wstâvili spet, wsâka ta-na swö oknö glédât: tuttu un silenziu. Candalirje su bile gorë anu nina rëce jta-nütre. Alora sowâ sa spopalédnule: "Ma," - n'ë raklâ onâ tu-w mla, na ë raklâ da - "ma kâku t'ë ta ric jzdë?" Fra questo moment ka sowa raklè da kâku t'ë ta ric jzdë, ë sa skukurüknula na ric dö po zamjè, tékoj ti navijâs dân di cinque lira, ka an gre anu tadèj an sa wstâve. Tèj dân bec, gö, di cinque lira prit, ka su bili tï di cinque lira. Ah (...), swa zadanüli koj wsâka swo korbu nu sa wzéle nu slè, ka bi' jti krèj, ë bila mulitjéra, ka sumö hodïli jti krèj. Anu talïku cas ka sowâ sa wstâvili, nïsmo cüli ni prit ni dopu vèc, koj jtadèj. 70. "Ni so sa bâale un par Madone / Paura presso la chiesa di Sella Carnizza" Vicino alla chiesa di Sant'Anna e nella zona circostante di Sella Carnizza la gente di Uccea aveva delle visioni e sentiva degli strepiti. Avevapaura dipassare in quel luogo e chi era costretto vipassavapossibilmente accompagnato (Um, 21.9.1996). Ta krèj todi won ni su rüdi vïdale anu t'ë rüdi dëlalo kèj, ün par Madone ni su sa bâale ün par Madone anu pa gorë na Karnïce: ni su vïdali rüdi jüde nu t'ë rüdi dëlalu susür anu ni bílu nicár, ma pa čiz din ka nu su sa báale, ko ni su hudïle ti ^še tu-w Uč^ ni so rádë hudïle kadâ, ti ka mëw tèt pa ta-na Súbicu ni nïsu šte narédi' gorë po Karnïce anu vâs gir, ni su šlè won pu Kïle anu tadèj nú po Hlíwce anu na Súbicu aliböj nú na Kurïto nu tadèj pa, tadèj magari dö w Réziju, wsèj owdëla' kèj dö w kumün, ben, anu parëlè gorë po Karnïce, ni su gále da ni su sa báale anu pa po dwa trïji njèh so hodïle, da ni so sa báale. Tadèj t'ë rüdi rozonálu nu pa ta-gorë na Karnïci w carkvè, ni so gáli rat čas, ni so parháali z Rézja ta-zïmë, tu-w snëgu nu so sa wstávile ka ni bílo cësta jtadèj, so parháale dölu za Ispïcu, dö pu muletjére anu dö w Učjo, ni so sa wstávile jto pod küwu par carkvè, da t'ë klontinálu ka da ta-nútre da t'ë dëlalu, da ni su se köj pöbrale anu via (...), ni su gále da n'ë bílâ târdâ. Ni su gále da bi' rëkuw da' ëru, da ba në vëdali tï tu-w TOí da ko na tažï Karnïcâ, da nídân na ba hodèw jti krèj. An nï tëw racèt vèc líku jtáku ma bi' rëkuw jtáku. Pero gorë po Karnïce t'ë bíla târda, kapïjma. 71. "T'ë tézalo bránda ta-po cánibe / Le brande che vagano per lo stanzone" Tre donne di Resia vanno a raccogliere castagne a Sedilis di Tarcento e la sera vanno a dormire in uno stanzonepieno di brande dove non cè iUuminazione. Sentono allora vagare le brande per la stanza attorno a loro e, spaventate, si mettono tutte e tre in un letto. Questo si protrae per tutta la notte. Probabilmente in quella stanza sono state uccise molte persone (Kf-A, 7.10.1998). Anu pur ti din ta-dö w, káko to ma jïmë jto (...) Sedilis, alora ë bi dän pecoraio ka p^äw gorë na Korïto anu jsi pecoraio ë rëkow da an vë zis Sedilis, pastír gö, prháow kupüwä' öwca. Anu bè, t'ë bílo tu-w jasanè, ortbrjä: "Bè" - ë rëkow da - "prïdita po kostánja dölo!"- ka un mä na lípa lóta, an cë näs naháat pobrät. Bè, mï, wsë dan bot, samö, gö, sa jéli nu sa šporfili: ä anu S. M. anu ma kunj^dä: prëlè, ga nalëzli dëdä. Ë bi' nas gaw spat nú w no valïko valïko cánibo, nú w no valïko valïko Mšo anu so bíle wse pútóiko brant öko no ökow anu èrët nï bílo Mče. Sa gále mï tu-w wsáko kovico dnä, ma tu-w nocè t'ë pöčalo št^šet, t'ë tézalo bránda ta-po cánibe anu bèn, da ko mamö dëlat? L^e ni bílo, tadèj a na vin da kucë samö bíla sa správila wsa wkwop, spála wsa trï ta-nú w ni bránde. Ma ti mëšëš čot da ci t'ë dëlalo, ka dívi muc ni so wbwïli judí tu-w jti cánibi, dívi muc ni so jh obësili, dívi muc ni so wbïli partigánow, ha! Ko ti viš da ko to díla, zakój mäš tè' ga gat ntaër jüde, ka. gö! Bránda so hodïla öko nu ökow, te ka so bíla šcë. Alora mï, ka samö spále tu-w wsáki kovici dnä, ha, samö mële sa správit wkwop, ka samö sa báale, bè, káko mäš spat tu-w ni bránde le-no tákë? Trï na küpo somö bíle sa gála, he, ma t'ë dëlalo wso nuc, viš, wso nuc. Bè, ko mëšëmö spät, bè, ko mëšëmö spät, ko samö poš^šale da ko to díté, ma intanto samö bíla wsèj sa správila wkwop. 72. "Tu-w nocè so sa odíwala dúre / Di notte la porta si apriva da sola" In una casa di Uccea ad una certa ora della notte la porta della camera sempre si apre. La camera è stata costruita sul sentiero e si dice che non è bene costruire case dove passa un sentiero, perché di li, forse, passano di notte le anime dei morti (Uf, 7.10.1998). Ta-nú par Zormí, ta-nú par Dríkacaveh sa di, dlmö mï da ta-nu par Dríkacaveh, tu ka si sa ^šina^ dâ, tu-w Mše od míga dëdâ, jtu no čèrt ora tu-w nocè so sa odíwala dúre ud cániba, za jtö ka jtu möj dët ë bi' náredew cánibu ta-na póte, ë bíla na pot anu sa di, da sa na nareaö mèj Mš tu ka praháa na pot, jtu praháató na putïcâ libö na pot, na putïcâ, anu probabilmente so praháala ta düša tu-w nocè anu tu-w jti cánibi jtu, nu čèrt óra so sa odíwala dúre, pero nu nïso mèj dëlale nicár, so sa odíwala köj dúre. 73. "Pëjce so spadüwale / Pietre che cadono" Una mattina, prima dell'avemaria, un uomo di Uccea (il marito della narratrice) sta camminando per la strada e sente cadere delle pietre fra gli alberi e sulla strada ma non ne vede nessuna. L'uomo, che prima era scettico, ora crede all'esistenza degli spiriti (Uf, 22.3.1998). Pa möj muž a nî sa vërwuw, da to št^še, ma to bilu ga wst^šilu ta-gorë na Lótu, gö, ka ë šow damúw pujütrih nápret nápret prit núku vimarîjo - ka ni dijö ka ni cüaö prit núku vimarîjo, po vimarîji në - an nî sa vërwuw anu ë šow damúw ta-gorë na Lótu Kilácaven, ë paršow ta-nútre, ë bila pot jtúdi nútor, pëjce so spadüwale po hrastâh anu so spádle dö na pot, ma jih ni bilu ta-na póte. An nî sa vërwuw, ma dópo sa vërwuw dópo tadèj. 74. "Ni so bíli šte kârstet nu hčaricu / Dopo il battesimo di una bambina" Tre persone di Uccea, dopo aver battezzato una bambina a Resia, stanno ritornando a casa a piedi. Cè molta neve e fa buio. Sono costretti allora a fermarsi in uno stavolo. Quando vanno per uscire, quello che trasporta il bambino nella gerla cade sulla neve, come se qualcuno lo avesse afferrato e gettato a terra, e non riesce a proseguire il cammino. Gli altri due vanno allora a chiamare in aiuto altre persone e a prendere qualcosa per far luce. In questo modo tutti riescono a raggiungere Uccea (Um, 21.9.1996). Ë bi' T. tu-w Máli Kúwce (...), bi' B., G. B. anu ë bi' möj woj T. tu-w ti Rávancih, kunját mi mátara. Ni su bili šte kârstet anu, nu hcarîcu, nu kužmu ka na ë le-ta-dö^ (...) ožënjanâ ka n'ë dal ventiquattru. Bi' snih, trîje su šte, ë bilo káre snëga. Ni su šte damúw, ni so kârstile to máju, ni so parëlè nâzët, ga jéla nuc. Ko ni su parëlè, prit likuj dö za Ispîcu, ë dân hliw gorë stran - ka mâ jnjân L. hliw ta-za Ispîcu F. - gorë zorá ún stran póte, da ni céö sa ritirât nu máju jta-won. Su bili pa trüdne, ë bilo naga snëgâ le-jzdë, ta mája tu-w kórbe, ni so mu pülile mliku tu-w ni butîlje, ni bilu tèrmusuw tej njân, tu-w ni butîlje závitu tu-w káki blakâh ka da to bóde görku. Bè, da ko ni su vilëzle hliw, ti ka ë mëw to máju, da t'ë ga jélo, da t'ë ga navijálu nú ziz snih anu da ni möguw jti indavânt; ta dwa dmgâ to ë ju naháalo, to ni dëlalu nicár: "Be, da T., da köj diMš?" (...) Koj to ma dëlât? Ni so stále jtu káre tîmpâ tu-w hlivë, da to cë sa kalmât, ni so vëdale ti stári da to ë kèj, da ko to ë: niente da fare. Ta dwa drüga t'ë raklú da: "Stüj jzdë tî anu da midwá gréwa dö h Mše anu da jta-döK da céwâ vijét, cémö wzet šcë kiragâ anu céwa nastèt pa lüc."- ka nu nîsu mëli lüce. Ni so parëlè gorë ščë z ni trîji njèh, ni so mi raklè pa da kiri, ma na vin: dët, möj woj ë biw ta-gorë w hlivë par ti máji, ni su parëlè gorë anu ni su zadanüle anu ni su šte anu ni bilu nicár vèc dópu. (...) Ko bilu vèc kompanîja to bo bilu ga püstilu tadèj, na vin. C. Premonizioni e segnali negativi a. Attraverso manifestazioni oniriche 75. "Snûwât da ni lëpu stojïjô / Sognare che qualcuno sta bene" Se si sogna che in una famiglia tutti sono ben vestiti oppure ballano e stanno bene, queste persone saranno colpite da sventura, sono destinate a morire. Una donna di Uccea sogna che in una casa ci sono molti fiori e una persona tiene delle patate in mano. Poco tempo dopo in quella casa muore qualcuno (Uf, 22.3.1998). Pero sanjále, E., poš^šej! Ko ti snüwâš kèj pa, tu-w ni Mše, da ti vidiš lëpu oblacanè, da ni p^aö, da ni lëpo stojüjö, jtî mmaö fartüna ka márjra. Ta-nútre G., n'ë raklâ (...) prit núko ë wmâr G., snüwató fès káre káre káre roš, da ni bilâ kopâc nánce ogát dur në, ta-nú par G., anu krampir ka ë bi' šow krampir un tadèj ta-w kantînu, onâ ë nosîla krampir ka n'ë mëla wsjat, n'ë mëla trï krampír tu-w péste V., da dwa n'ë stoknula nú w zëmjo anu da dân da ni bíla kopâc stoknut, da su bíli wzë gnále ta-h ti drúzin krampír. Tadèj ë jstës stoknula ta pa jti. Mue tïmpa tadèj ë zïvew, ka ë mwâr G., ka bi slâ tu-w kantïno po krampír za sküha' njúka. 76. "Snûwât církuw ta-nú w Ucí / Sognare la chiesa di Uccea" Quando una donna di Uccea sogna la chiesa vecchia delpaese allora muore qualcuno del posto (Uf 22.3.1998). Mi ë právila ta-nûtrë gôtra A. (...). Na ë raklâ, ko onâ na snüwa ta-nú w Ucí tu-w ti stári carkvè, da na (...) eë wmrit kíre (...). Ta-nú w Ucjí tu-w ti stári carkvè, ko n'ë snüwala tu-wn carkvè, da káko to ë anu da n'ë bíla tu-w carkvè, tadèj da n'ë vëdala da eë wmrit kíri tëh ta-nú w Ucí. b. Attraverso rumori 77. "Ta bajúw jtu ë pocuw karcët / Il baule che scricchiola" A Uccea un vecchio baule, costruito da un antenato, quando scricchiola, annuncia la morte di qualcuno del paese. Una volta madre e figlio si trovano in cucina e il baule si mette a scricchiolare. Il figlio si guarda intorno ma non vede nessuno. La madre allora dice che qualcuno è morto (Um-A, 20.9.1996). Kôj kô ë mëw za wmrit kíre, sumô mëli dân bajúw (...), tï ka ni mëô pukrôw kugulát anu bajúwcie jtu në, anu somo mëli múku ta-nútre (...), ma sa sadnüwalu pa gorë na ta bajúw jtu, nï bílu skánjuw (...) anu sumô mëli ta-par míru blïzu spolérta jsi bajúw, ka sa sadnüwalu, tï ka nimëô za kan sédnut. Alora kadâ, kë bi' kíri za wmrit, jsi bajúw ë karcëw, ë dëluw: krrr, krr, krr, tékuj dân ë ta-na bajúlu sadï. Alora sa vëdalu, da un giorno, due, ë mârtvâc, ei në tu-w ti hïse, jïndëper tutta la frazione, në, pa jïndë, ti dálo avvisu, da ë dân mârtvâc in corso (...). Ta bajúw jtu ë mëw môj dëd bazawún bi' náradew. Alora jsi bajúw bi' ustow pa tadèj ka t'ë dëlalu strépida, ka ë biw jtu, dân stári bajúw. Álibo vis tï, ei t'ë bílu rüdi un segno di antenati, ti ka náredew ta bajúw forc jti ë trazmétinow tu-w bajúw da ë dân mârtvâc in corso za prït ta-h njèn. Gô pa dâ si cuw propi dâ, (...) si bi' ta-par spolértu, ma máte ë bíla tékolé jtu an ta bajúw jtu ë pôcuw karcët; dâ si polédnuw, ni bílu nmagâ. Ma máte n'ë raklâ, da: "Eh, ë kak mârtvâc." 78. "Ë poknulâ làstrâ ta-na spolértu / Rumore dalla stufa" Il rumore scaturito dalla lastra di una stufa a legna rappresentaper una donna di Uccea un presagio di morte. Qualche minuto dopo arriva la notizia della morte di una parente (Uf-A, 22.3.1998). Beh, non è di recente, dallotantacinque, ko ë wmwârlâ nása M. ta-za Slátinu, ta mtëdâ, sowa bíla dâ nu môj muz jtu, sowa stáli sa-dôle zdolá, perché somô mëli náso tato, sowa stáli sa-dôlë zdolá, sowa wstála pojûtrëh, ë poknulâ lástra ta-na spolértu, si raklá da: "G. c'è qui la novitàl" Ma t'ë ma ôblilu, ostála (...) anu pa un veramente; eco, neanche due minuti dopo ë mi talafonâlâ C., da ë wmwârlâ nása kuzïnâ (...). D. Identificazione di spiriti con eventi atmosferici 79. "So sa gnüle ti donáne / Si muovono i dannati" Il maltempo era generato dagli spiriti e per questo era necessario scongiurarli (Uf, 22.3.1998). Ko bi' káre slâp tèmp, alore ni so gále da so, so sa gnüle ti donáne, šprnte, alore ni so gále da: Buh wâs žanM ta-w Canèn, tu ka nï nína düša za dëlat vèc slábo! 80. "Vïhâr I Un vento dannoso" Bisogna tenere la bocca chiusa altrimenti questo vento puo entrare attraverso la bocca nella persona perché si tratta di una manifestazione degli spiriti (Kf-A, 13.11.1994). Si bíla vïdala ä jzdë nur, somö mëli njïwo jzdë, š^eje - ma ti na boš sa vërwow - ma le-ta-dö zdolá, ä si eüla da to šum'i: "Ko hudïc a ë?" - si gála ä - "Ko hudïc a ë?" Trï líha sírka t'ë jélo nu ë šow dän vïhâr gorë z njïwo, ma köj jse trï líha, vftër, míšow nu šow nu šow; ë pršow le-jto, ë šow rtdi-tä anu dópo t'ë šlo wsë le-no^kë, t'ë šlo lé-túdi gorë: lïstjë, brüšča, wsë šlö túdi gorë. Ti stáre so gále da t'ë vihär, vïhär, anu ko sa vïdi jtö, viš, ko ti Vdiš da to göni le-táko, viš, lïstjë, ka to hödi öko tabá, ka to mlëe öku nu öku, ni so gále da sa ma zagát grlo, ka to so špmtave nu ba tëlo wlëst nú w tabá. Vihär, dan vftër nöri jtö, to stëbë t'ë jtö. Determinati eventi atmosferici come vento, mulinelli d'aria, grandine, fulmini e tempesta vengono attribuiti a spiriti e a dannati. Tale ruolo tuttavia viene assunto a volte da esseri demoniaci come streghe; cfr. il racconto resiano in DAPIT 1998a, p. 210, dove tre streghe vogliono portare la grandine a Oseacco ma sono costrette a ritornare indietro a causa del suono della campana piccola. A proposito dei dannati che portano la tempesta si è occupata in ambito friulano Lea D'Orlandi in uno studio intitolato Usi popolari Friulani. Maltempo, Ce fastu?, V-VI (1948-49), Udine, p. 133 e segg. Anche CICERI 1992, p. 317, nota 176, riferisce in ambito friulano: "A Forni si riteneva che sul Pian delle streghe (m. 2128) convenissero i dannati a 'battere tempesta'. Tutte le malignità dell'aria e del sottosuolo (terremoti) si riteneva fossero causate dalla congrega di diavoli, streghe, dannati che si scatenavano in forme turbinose, quando moriva un dannato..." (Treppo Carnico). Ancora in ambito friulano si crede che i fulmini e la grandine siano mandati dagli spiriti maligni. Si diceva che il fulmine o la folgore contenesse gli spiriti maligni, cfr. AQUILEIA, p. 140, n. 128, p. 143, n. 130; a p. 144, n. 133, si registra invece la credenza che nei mulinelli d'aria che si formano prima del temporale sia nascosto uno spirito. In Veneto (Domegge di Cadore, BL), nel racconto "I ricchi dannati" si legge che durante i grandi temporali uscivano i dannati relegati sulle montagne per aver fatto del male ai poveri; uscivano con l'ombrello (MILANI, p. 372). A Sauris invece i cambiamenti di atmosfera possono rivelare se l'anima è salva o dannata; se l'anima è dannata diventa simile ai demoni e in RPF XVII, p. 141, nota 16, oppure a p. 74, n. 17, troviamo un dannato che provoca il maltempo con tuoni e fulmini; si abbatte cosi una catastrofica tempesta e alluvione. Bibliografia APPI E. e R. - 1969, Racconti popolari friulani. II (Cordenons I), Udine, Società Filologica friulana. [= RPF II] - 1971, Racconti popolari friulani. VI (Cordenons II), Udine, SFF. [= RPF VI] - 1972, Racconti popolari friulani. IX (Aviano), Udine, SFF. [= RPF IX] APPI E. e R., SANSON U. - 1971, Racconti popolari friulani. VII (Budoia), Udine, SFF. [= RPF VII] - 1972, Racconti popolari friulani. X (Polcenigo), Udine, SFF. [= RPF X] - 1973, Racconti popolari friulani. XII (Mezzomonte), Udine, SFF. [= RPF XII] APPI E. e R., CESSELLI A. - 1975, Racconti popolari friulani. XIII (Azzano X), Udine, SFF. [= RPF XIII] APPI E. e R., PARONI-BERTOIA R. - 1978, Racconti popolari friulani (Montereale Valcellina), Udine, SFF. [= RPF XIV] ARIES P. - 1980, L'uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Mondadori. CANTARUTTI N. - 1960, Morti, dannati, tesori, Ce fastu?, XXXVI, Udine, pp. 85-97. - [1985], Memorie narrate, in: Fagagna. Uomini e terre (C. G. Mor, a cura di), Udine, pp. 409- 433. - 1986, Oh, ce gran biela vintura!... Narrativa di tradizione orale tra Meduna e Mujé. Presentazione di Gian Paolo Gri, Udine, Centro Studi regionali. CICERI (NICOLOSO) A. - 1969, Racconti popolari friulani. V (Cercivento), Udine, SFF. [= RPF V] - 1971, Racconti popolari friulani. VIII (Ara di Tricesimo), Udine, SFF. [= RPF VIII] - 1992, Tradizioni popolari in Friuli, Reana del Rojale (Udine), Chiandetti. CIMITAN L. - 1988, Repertorio della narrativa di tradizione orale della Carnia, Udine, Società Filologica Friulana (Racconti popolari Friulani XVI). DAPIT R. - 1995, Aspetti di cultura resiana nei normi di luogo. 1. Area di Korïto / Coritis e Solbica / Stolvizza, Gemona del Friuli. - 1997, Tri sodobne rezijanske pripovedi, in: Trinkov koledar za leto 1998, Čedad - Špeter, Kulturno društvo Ivan Trinko - Zadruga Lipa, pp. 53-62. - 1998a, Aspetti di cultura resiana nei nomi di luogo. 2. Area di Osoanë / Oseacco e Učja / Uccea, Gemona del Friuli. - 1998b, Verovanje in mitično-simbolične predstave o živalih v Reziji, in: Jadranski koledar, Trst, Devin - ZTT, pp. 47-53. DE MATTEIS S. e NIOLA M. - 1993, Antropologia delle anime in pena, Lecce, Argo. D'ORLANDI L. - 1953, Un po' di "aldilà" popolare. Credenze e leggende in Friuli, Ce fastu?, XXIX, Udine, pp. 38-47. GINZBURG C. - 1989, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino, Einaudi. JOB D. - 1998, "Oh, ce biel lusoôr di lune plene, il muart e 'l vîf a van insieme!". Riti di morte a Illegio: usi, credenze, leggende, in: Tumieç (G. Ferigo e L. Zanier, a cura di), Udine, SFF, pp. 531-557. LE GOFF J. - 1996, La nascita del Purgatorio, Torino, Einaudi. MAILLY (von) A. - 1993, Leggende del Friuli e delle Alpi Giulie pubblicate con la collaborazione di J. Bolte. Edizione a cura di Milko Matičetov, Gorizia, Editrice Goriziana. MILANI M. - 1994, Streghe, morti ed esseri fantastici nel Veneto, Padova, Esedra. Miti, fiabe e leggende del Friuli storico. 1. Tiaris di Acuilee / Terre di Aquileia (de Pelca M., Puntin M., Del Piccolo L., a cura di) - 1997, Udine, Chiandetti. [= AQUILEIA] OSTERMANN V. - 1940, La vita in Friuli. Usi - costumi - credenze popolari, Udine. SCHMITT J.-C. - 1995, Spiriti e fantasmi nella società Medievale, Bari, Laterza. SCHNEIDER F. - 1993, Memorie di racconti che oggidi si chiamano leggende e superstizioni (Sauris / Zahre). Edizione del manoscritto a cura di Domenico Isabella, Udine, SFF (Racconti popolari friulani XVII). [= RPF XVII] VIDONI R. - 1933, Leggende delle Alpi Giulie, Udine, SFF. VOVELLE M. - 1993, La morte e l'Occidente. Dal 1300 ai giorni nostri, Roma-Bari, Laterza. ZORZUT D. - 1982, I racconti del popolo friulano, Udine, SFF. [= RPF XV] Prikazovanje onstranstva skozi pričevanje Rezijanov Roberto Dapit Mnoga pričevanja dokazujejo, da je verovanje v onstranstvo v Reziji še živ pojav. Uvodna raziskava te študije predstavlja gradivo, ki je porazdeljeno v več tematskih sklopov. Raziskani so glavni motivi in vsebine tovrstnih sodobnih pripovedi. To so predvsem ljudske predstave o trpljenju duš v vicah, ki jih je mogoče primerjati s podobnimi predstavami na furlanskem etničnem ozemlju in tudi drugod. Zanimiva je opozicija motivov, ki po eni strani predstavljajo odnos med živimi in njihovimi rajnimi, po drugi pa govore o najrazličnejših oblikah anonimnih strahov. Osebne pripovedovalčeve izkušnje nam predstavljajo pripovedi avtobiografskega značaja, v katerih je stik z rajnimi vzpostavljen prek sanjskih vezi ali previdov v budnem stanju. Bogato gradivo, ki obsega 80 enot, je zapisano v rezijanskem narečju.