T DI DEL SFXOLO XVI TRADOTTE iN LINGUA TOSCANA DAL COÄ'TE ÄTISTÄ C ED OPERE OHIGINAL! DEL MEDESIMO k .i ». Vi i '« 2ÌELLA TIPOGK. DEL SEiìilKilUO BIDGGGSI^, • v " " ■ / ^ "t? 1 • ci; k > ► i. 5* • . • J>T i ^f^ ^ i \ - ' « fi. V - ^ V. > ^ . t, J— DELLA VITA DI ANDREA REY D^ --^on si sa eli certo ^ se Andrea Rey d^Arüedä sia nato in Saragozza o in Valenza. Alcuni dico- ^ no j ch^ egli naccjiie in Yalensa 5 ma di padre aragonese 5 e d^ illustre famiglia. Ignoriamo altresì Tanno della nascita e della morte. Nondimeno dicendo egli nella epistola a D. Giovanna: Sì^ meramgUa elV è s ch'io pedul:' abbia Di giovinezza un fior ^ senza frapporre Dubbio s esame ^ consigäo s non curando I gl'avi danni suoi ^ far del suo core Candido a me ^ non ingamievol dono i A me d'anni già carco E trovandosi da lui stesso pubblicate le sue poesie Tanno i6o5 in Saragozza, si può collocare la di lui nascita intorno all'anno i54o. Fu d'anni 14 laureato iu belle lettere , e d' anni 2q nelle leggi; ma segui poi il mestiere dell'armi, e giunse al grado di capitano di fanteria nelle Fiandre, essendo governatore di quei paesi il duca di Parma, di cui parla con lode nella Epistola ad un amico sopra le cose di Fiandra. Ci fa inoltre sapere nella epistola al marchese di Guellas, eh' egli fu lettore d'astrologia in Barcellona. Sopra di che vi è chi dice, eh' egli per astrologia intende r astronomia, ma io stesso passo di detta epistola ^ ed altri di quella scrina a D. Giovanna dmiostrano abbastanza che univa F astronomia alF astrologia 5 il che non è poi strano in quei tempi. D. Nicola Antonio nella sua Biblioteca ispana accenna una di lui tragedia, che ha per titolo Gli amanti^ stampata in Valenza Fanno i58i in la quale nè a me, nè ad altri Spagnuoli mici amici fu possibile di riavenire. IL volume delle poesie, che abbiamo fra le mani, è quello da lui medesimo pubblicato, come si disse 5 F anno i6o5 in Saragozza. In questo si trovano sonetti, ottave, terzetti, ed altre poesie, coi metri nazionali, profane e sacre. Le più pregevoli sono le epistole in terza rima, delle quali ne reco due, che ho giudicato le migliori. Ad im amico sopra le cose di Fiundra a quella di Madrid tanto è diversa Quanto il settentrioii dall' ostro, o Lope, Questa corte, ov'io son. Qui la spaguuola Cavalleresca gravità s' oblia, Nè rinian die il valor. Ma cUi in amore Più torti soffrir sag qui maggior grido Di valoroso ottien. Misero, o amico, Quel capitan che '1 suo rivai non soffre, Anzi non accarezza! I caldi affetti Son cose da fanciulli ; e bendi' uom senta -Viva la fiamma in sen, libero e sano Pur è forza eh' ei sembri 5 e il piii leggiero Danno recato altrui por gelosia Tutte del suo valor le glorie annulla. Però se vuoi che il gioco duri, è d' uopo, Mentre seguon le belle i piacer suoi, Dissimular con finto riso, e fare Il sordo, il muto9 il semplice, T ignaro. Dunque allor che in tuo cor ti rodi ed Queste bizzarre indomite giumente Fan teco le modeste, e le ritrose, E te V accoccan, ben eerte che quindi Non sorgono fra noi risse e duelli. Quello che accadde a me nel breve corso Di due mesi o di tre, poi eh' io qua giunsi, VogF io narrarti y e vedi s'io fui cieco, Giunse alla corte con gran fama e pompa Donna, che tacque il suo cognome, e detta Fu qui la pellegrina. Avrai tu letto L'arte e i prestigi della vecchia Alcina^ Della lasciva Alcina. Or^ delle stesse Arti fornita è questa dama, e adorna D^li altri pregi, onde colei fu chiara. YoUi io vederla, e conobb' io per prova In mal punto per me, che il meschinellos Il qual s'appressa a lei, riman punito Con gastigo esemplar. Non cosi tosto Secca è la vena del metal lucente, Che divien ella più fredda che il ghiaccio. Com è costume delle domie ingrate, D' ogni obbligo si scioglie, e di novello Laccio con altro incauto amante avvinta I detti e V ire del primier non cura. Chi porla dir con quanto studio ed arte Architettando va fabbriche nuove L'inventrice sua mente? E come in copia Si ofTron tributi a lei d' oro e di gemme? Bello è il veder, com' ella a' suoi devoti, Che di lodi lei colmano, e di doni, Mesce Pagro col dolce, e gli unge, e punge E bendi' ella sia grinza e fronte e mani , Bench' abbia corta vista ed imperfetta, E denti in bocca fracidi e tremanti. Nessun la crederà vecchia, ne brutta Mercè gl' incanti, e le parole apprese Nella scuola di Circe e di Medea. Pon dentro il piè nella sua soglia, e desti Tien pur gli occhi, se sai, della tua mente, Nulla ti gioverà. Le sue donzelle Sono una mandra indomita di capre ^ Ma tu le avrai per innocenti agnello, E, tutto a te parrà di candor pieno, Gha s' ella poi ponsi sul grave, e iuarca Le ciglia favellando, giurerai Che il Vangelo ha sul labro, e saran tutti Bugie, favole e iugamio i detti suoi» 0 come di stendardi, e pennoneelli Le matrone moderne ingannatrici Spiegai! la pompa navigando, e tutto Spira decoro, e onori Forz'è ch^ io'1 dica, Costei con F arti sue vinse 5 e sonimise 1 miei sensi così, eh' io fui perduto -Tinti gli occhi lion fur nel primo assalto, Gh' ivi r alma facea qualche difesa, Ma per le orecchie ella si apri la via, E cosi gli occhi insiem fur presi e vinti. Quindi rimase nel mio cor dipinto Tanto bello e perfetto il suo bei viso^ Ch® io 11' ardeva d' amor. Confesso, amico, Con militar schiettezza; che quantunque Foss" ella orrenda cosa, era sì dèstra, Or sua presenza a me negando, ed ora Lasciandosi veder secretamente, Ch' io mi sentia già tutto foco, e quando ea a me gli occhi, io mi credea beato O ceckade orribile! o paszia! Tener la mente affascinata, e vile Schiava la volontà! Bla per chi mai? Per una Sara^ oimè! cui sopra il dorso 11 grave a seder va centesini' anno « quel Dio, che i suoi cari non oblia, f aperse la prigione, ov' io fui chiuso, > i tolse il vel dagli occhi, e dal suo volto La maschera strappò. Ben altra, amico, Cosa a Ole paìTe allor. S' era in Gabrina Quella sì bella Angelica conversa, E chi potea plìi ravvisarla? Ahi! quanto Fu il mio riinOE'so, la vergogna e F ira! Certo se di repente tu vedessi Cagnolina gentil, eh' ami, e accarezzi, Yoìgersi in serpe, pieu d' orror pel fiero Yoìto, e pegli occhi di veneno infetti Ti sciorresti da lei. Così quaod' io Lei vidi in fiero mostro trasformarsi Aljbandonai la corte, e in via mi posi. E poi che al suon doli' armi si dileguano I pensier vani del lascivo amore ^ Cangiai F amore in bel desio di doria, E trovai Marte in campo, a cui son caro Come ben sai, che già gridava; all'armi. Vo' dir r inclito mio duca di Parma, Il qual contro Isabella d'Inghilterra Con invitto valor già s' apparecchia. E poi noto è a te già che guerra c questa: Del loco, ove noi siam, vo' dirti i pregi» Fra Dicliismonda ed Ipii un pian si stende Vasto, felice e a meraviglia bello E qui s'accampa il fior delF armi ispane. Quanto di pan, di vino e d' ogni cosa Abbondi questo suol spiegar non posso, Nè dir saprei quanto sia beUo. e grande Spettacolo il veder F immensa turba Di soldati non pur 5 ma di garzoni Con carrij con cavalli e con bagagli« E i tanti vivandieri, ond' è che tutto Il campo con romor brulica e ferve • Là s' offre al guardo chi di sua destrezza , Fa prova lotteggiando $ e qui si scorge Chi gli altri avanza nel lanciar pesante Verga di ferro; colà i più leggieri Tale 5 che ha V ali ai piè, vince nel corso. Qui vedi gente a fabbricare inlesa Con paglia, e co^ sermenti umili all^erghii E chi sen va con la chitarra al collo Soavemente le corde toccando. Chi gioca a^ dadi, chi. alle pinte carte g Chi ponendo in oblio la lotta, il corso E il ferreo palo, a femmina di cliiasso Bizzarra e scaltra cupido va dietro» Di queste scapestrate la più bella, E la più seduttrice c la famosa Donna Maricopite. Non v' è core, Che da lei tosto non sia vinto, e quegli, Che un pocolino seco si trastulla, lìimansi concio a guisa di confetto. Altre ed altre potrei nomarli ancora Blatrone onoratissime, che, adorne Di posticcie bellezze, aman le trombej I pifferi, i tamburi e le bandiere, E con fini collari inamidati, E inanellato crin premono molti Del lungo nostro alloggiamento, e molti Talami pagliaresclii. Io non mi curo Di lor^ ne a lor m'appresso ^ elite il passato i dà spavènto ^ e liberlJi m^ è caia. Sol dell'amor di Leonarda in polio Mi resta ancor qualche vestigio, e tarda A spegnersi del tutto quella fiamma Perchè grande già fu. Così men vivo Del mio soldo contento, e in breve: amico Questa è la vita mia, tanto diversa Dalla vita di pria, quanto è diverso DaU' estinto colui, che pensa e sente. O come spezza ogni amoroso laccio n bellico fragori Come richiama Dall' osio 5 e daUa crapula all' onore Il prode traviato9 e sprona il vile! e miUe potrei dartene esempi, ritornando a questa impresa nostra, N^ udrai fra giorni quindici lo scoppio; Che attendiam d' ora in ora con Y armata H sospirato duca di Medina Per dar di mano alla spada, e pugnare. Guidi la Maestade unica e trina A lieto fine i bei nostri desiri. E popolo5 che abbatte altari e templi, Tolga dal mondo. È sua la causa, e giusti Sono i miei TOti« Ol» come il campo tutto Vittoria si promette! Ali sì^ il Ciel voglia Glie di successo prospero ben tosto Contro la figlia di Bolena io f oda Bieco congratularti. Ed a te ü*Cielo, Dolce amico, e signor, largo conceda Copia di gemme e d' or, feudi ed onori § Florida gioYentii, pace e riposo. Dal nostro alloggiamento, Artemidoro, EPISTOLA IL A Da Giovanna, dama di maschio valore^ M, IfJ-eiitre Filippo, il rege ispan, secondo Di questo nòoie 5 s' appressala al volo Per unirsi con Dio dopo già stesa La fede aver pel mondo tutto, io sciolto Da' bellici pensier Tita godea Di un dolce inenarrabile cospersa--Sideami allora di chi terre e mari Correndo ysl per sete d^ or, ridea Di chi alF are di Tenere olocausti Porge ed incensi, e di colui, che gonfio Stassi per F alto suo poter, nè vede Che gioco di volubile Fortuna L' uom precipita più, quanto più sale „ Ed ecco 5 che in quelF osio almo e beato Con suo foglio regàl scritto nelF ora Che Marte detta ^ il re m'impon di gire A Saragozza senz' iadugio , e d'ivi Bandiera alzar per me la quarta' ornai In suu servigio inalberata. Cosi quantunque io desiassi in pace -La ^àta prolungar, fu forza al primo Blestier pur fare, e al secolo ritorno. E poi mercè le penne, e gli altri fregi 11 brioso soldato non invecchia 5 Cangiai con veste di molt' oro adorna Gli scliietti panni5 il capo eressi, come üom suole a cui novo poter s' aggiugne | Ed uccellando in breve tempo io presi Senza distinzion nelle mie reti Buona non men che scapestrata gente» • Dunque inteso all' oHìzio, io mi vivea Godendo libertà: ne perch' io fossi Neir adornarmi, ed in lisciarmi un vero Ganimede gentil, driasava Amore I dardi suoi contro il mio core, ed io In si matura etade era ben lun^i Dal temer F ire sue. Bla che non ponno Gli aspetti dei pianeti? E quale opporre Schermo, quando lassù formato è il nodo? Cerio occulta cagion lìil tolse a e Tranquilla ^dta, e il vostro cor. Signora, Col mio congiunse il Ciel; che ardisco appena Volger la mente a tanta ineguagliaoaa Di cor 5 di niente, di bellezza e d' anni o Nuoce a me il yer, ma il ver fora' è eh' io Capir non so, come due cor s' uniscano In si opposti soggetti. Io non m'innalzo Sopra il coniane de'mortali, e voi Serse, Daiìo, Alessandro superate Con F alma invitta, generosa e grande | Povero io sono di consìglio, e voi Tutta senno e saper, die mai non eiTaj Yostra bellézza è talche ad uom moriale Mirar sì alto col disio non lice. Poiché un capello di quel biondo crine Vince i raggi del Sol^ voi giovin siete 5 Ed uom son io d' età matura e giwe, Si ch'io dir sento: Oh! vedi uom vecchio e stolto. Far &a tanti dissimili soggetti y ' è reciproco amore. Anna, V amica Kostra ciò spiega eoo vulgare esempio ^ Me comparando a rozxa calamita, La cpiale il ferro à se pur tira e chiama« Quindi è die a' pregi vostri ripensando ^ Ed al molto poter sulla vostr^ alma Del mio sì fido e sì pudico amora, Dico che quelle in voi vive faville Son di stelle conformi, ovver d' alcuna Mia secreta virtude opra ed effetto. Sì 9 mera^àglia eli' è, ch^ io vedut' abbia Di giovinezza un fior sensa frapporre Dubbio5 esame5 consiglio, non curando I gravi- danni suoi g far del suo core Candido a me, non ingannevol donoj A me d'anni già carco» E quanto io fui Altr' uom da quel di pria tosto 5 ch^ io vidi Quei lumi sfavillar! La forza5 il brio Di mia fiorita etade ricovrai, Novo il Gel foco nelle vene infuse 5 Nove sorger idee fe nella mente 5 E tutto io deggio a voi pupille care. Rado prima awenia 5 eh' io disciogliessi La voce al canto, e le corde di cetra Facessi risuonar | ma da che nova Ebb' io vita da voi, di suon 5 di canto TOM. II. s Vago divenni J dettai versi ^ e tali, Che furo in pregio ^ wl adornai con arte ; Profumai d' ambra le mie vesti, e al petto Uose e fiori odoriferi m'apposi» Beila fu allor, percliè da voi gradita. Quella eleganza miaj nè a me. Signora> Men cari fur gli abbigliamenti vostri. 'Ml«;ero xiie! veggendomi d'Italia "Mella parte peggior lungi dal caro Angelico sembiante, m^ aljbandona La sofferenza mia. Ma il mio gran danno È Tesser senza voi a Che se invocando Le Muse, io qui per opra lor vedessi QueM)ei lumi apparir, l'ingrato ed imo Suolo, ov'io sono, dlverria più bello Della Tempe famosa di Tessaglia 5 E delF ameno praticel, die irriga Col puro umor la fonte d'Ijìponrene • Me fortunato, se qui d'improvviso Quel Sol splendesse, come in Azuara NelF Aragona agli occhi miei rifulse ! O ventura dolcissima! Con cjuali inmingiui d' amor t' offrì, e mi sforgi A favellar di te 5 di te che sw Indegna delF olJio ! Yoi ben sapete 5 Che colà sorte fra quei della' terra ^ Ed i soldati miei discordie e risse g A servire il mio re pronto mai sempre § Posponendo aìF onor gli affetti miei • Pardi di Saragozza 5 oy' io godea Tutti i piacer con voi di mi puro amore. Io mi credeva uscir tosto d^ impaccio 5 !Ma diaci nove di corsero invano Parlando3 udendo5 replicando» Oh come Fu grave F indugiar ! Quanti sospetti ' assalir lungi dalF amato bene ! mi struggea come la neve al Sole: Che freddo è certo, o semplicetto amante Chi non sente d'Amor F amaro e F acro ? Yo' dir la tormentosa gelosia. Con tai cure nelF alma al sonno i lumi Chiudendo 5 mi parea veder nel mare Far forza aH' onde procellose, e ai venti Debil senza governo navicellai E mentre al furiar d'Euro e di Noto Già presso era a perir § nel ciel rosseggid^ La messaggiera del diurno lume Calmando i vasti fluiti 3 ed opportuna Porgendo a quella misera soccorso. Io mi desto tremando innanzi tempo; Poi fra me dico: Vuol dir forse il sogno, Ch' io son la combattuta laavicella, Quel tempestoso mar la gelosia, E la mia Diva la propizia aurora? Mentre così vo il sogno interpretando. Ecco di gente strepito mi fere L' orecchio, ed ecco dell' albergo all' uscio Sento picchiar con iterati colpi. Apre il padrou della magione, e tosto Tu con la scorta tua, del mio ben certa Puro e nobile amor, t' offri a' miei sguardi. O vista! o vista! non v'è gemma, od oslro Che gli ornamenti tuoi pareggi, e quella Teste per mano delle Grazie ordita. Vate non v' è, non v' c pittor che possa Ritrarre in carte ^ o nelle tele un solo ' Raggio degli occhi sfavillanti, un solo Raggio della beltà di tua grand' alma. Pongasi in cerchio quante il mondo ha Ijelle, E per vile guemer m'abbi, se tutte Nou fiiggoii vime al paragon. Natura Spiegò la pompa d' ogui sua ricchezza, E prodiga ver te con raro esempio Tutto il bello miglior scelse, e in te pose. Dica chi gratitudine cotiosce Quanto io debba a quel punto fortunato 5 E con che forte vincolo incateni a Donna, anzi Diva tal, che per vedermi Stassi due giorni in via, mentre il Sol ferve; Queste memorie del passato bene, E la mia lunga e dura lontananza Son due spade al mio cor. Se poi vi aggiugni La gelosia, che ognor mi preme ed auge. Puoi tu pensar quanto mia vita ò amara. Ben a te volerei, ma non ardisco5 Che tuo pur com' io sono, o Donna illustre ^ Far non debb' io giammai ciò che non lice. E. a " 1 ■ • • s 10 pregassi, e ai mio pregar tu m via Ti ponessi ver me, mi rimarrei Pieno d' alto timor, non forse avvenga, Glie tu sia preda di ladrone infame« Però se tal desio mitri nel seno. Discaccialo, mio beu^ si prezioso Tesoro di bellezza e di virtude Gelosamente custodito io voglio. Nè creder già, che cupido di gloria, O Tago di ricchezze io qui rimanga Molti e molt' anni « Al brando mio concedi Gara, quest'anno ancor: ch'io ti prometto, Ti giuro sul mio amor di non restare Sotto r italo ciel più di due verni. Tu in questo mezzo, o mio bel Sol, rispetta. Rispetta F amor mio, poi ben conosci Ch' è soimiio amor. Si, così m' ardp e struggo. Che con una scintilla del mio foco Di Tenere il figliuol poria la terrà Tutta infiammar; nò agguagliano le pene Di Tantalo e di Tizio il crudo strazio. Che fiera gelosia fa del mio core. Non esagero io no j ch^ io por non soglio Le cose in cielo, o nelF abisso, e vana Far d' amor pompa. Lo sai tu, se grandi Son le mie fiamme | e te con F altre tue Amiche semidee giudice io voglio. quai, bendi' lo lor scritto non abbia, Caro mi Ila, che i miei saluti porga. E Dio conservi, o gemma graualiua. Prospera si tua fresca giovinezza. Che tu risplenda qual regina, o Diva. Dal Cremonese il mesto Artemidoro. DELLA VITA DI MICHELE DI CERVANTES arecclii paesi di Spagna aspirano alF onore di esser patria del famoso Cervantes, e si disputano \ina tal gloria 5 come gran contesa vi fu per Omero fra i Greci. Io seguirò F opinione piii ricevuta. Blicliele CeiTantes di Saavedra figlio di Rodrigo Cei-vantes e di D. Leonora di Gortinas sua moglie nacque in Alcalà di Hanares ai 9 di ottobre del-Fanno i547? ^^ condotto a Madrid in età tenera, ed ebbe precettore delle umane lettere maestro Giovanni Lopez cattedratico nello studio di detta città. In quel tempo godeva di molta fama Lope di Rue^ da scrittore di commedie, e fornito di molta grazia nel rappresentarle- CeiTantes manifestò fin d'allora la sua naturale iucìinazloae alle opere di fantasia 5 frequentando il teatro del Rueda, e compose varie rinie, molti romanzi, ed una specie di poema pa« storale 5 intitolato la FiLena ^ lavori che furono impressi r anno 156g. Egli era povero, e non avendo favorevole occasione d^ impiego in Ispagna, passò nel medesimo anno in Italia, e si pose in Roma a gentiluomo di camera del cardinal Acquaviva. Bfa essendo egli anche pieno di ardor militare, colse r opportunità della gueiTa dèi Principi cristiani col gran Turco Seliho, si mise sotto le bandiere di •Blarc^ Antonio Colonna generale delle armi pontificie j e si distinse col suo valóre nella battaglia di Lepanto seguita Fanno 16715 nella quale rimase storpiato nel braccio e nella mano sinistra. Questa disgrazia non intiepidì punto il suo fervore per la carriera delibarmi; volle continuare il servizio nelle truppe di Napoli^ e vi stette fino all'anno iS'jB. Ma di là navigando intomo a questo tempo verso la Spagna fu fatto prigioniero dal non meo crudele che celebre corsaro Anante Marni capitano di mare di Algeri, nè perciò la di lui .fermezza di. spirito fu abbattuta o Egli tentò più volte la fuga. e quella d'altri cavalieri schiavi compagni suoi con tale industria e costanza, eh' essendosi scoperto sempre l'affare, non si seppero mai determinare que' barbari a castigarlo per la speranza di trarne gran prezzo neiroccasion di riscatto. E chi mai crederebbe che dopo ciò5 invece di rimanere avvilito, macclnnasse egli d'impadronirsi di Algeri per liberare i mari da si fatti ladroni? Pur questo è fuor di dubbio. Il di lui piano di congiura fu palesato per codardia da alcuni de' complici, ma fu trovato sì fino e si ben disegnato ^ che il re d'Algeri Aza-naga pieno di meraviglia, e nel tempo medesimo di timore si determinò di comprare da Anante Ma-^ mi il nostro Cervantes, dicendo ; » Che tenendo egli »ben custodito lo storpiato spaglinolo, rimanevano »in perfetta sicurezza la sua capitale, i suoi schiavi » e i suoi vascelli ». Quel re trattava barbaramente i suoi - schiavi, ma rispettò sempre Cervantes, ed ecco come Cervantes stesso si esprime nel suo D. Qiiisciote al capitolo xl: » Solo se la passò bene » con lui mi soldato spagnuolo chiamato Saavedra, ì>a cui non diede, ne mai fece dar colpi di ba->ì stone, nò mai disse ingiuriose parole, benché egli J) avesse fatto cose pui e piii volte per liberarsi j »ohe niuarraiuio per molto tempo nella memoria »di quella nazione ». Sollecitavano intanto il di lui riscatto in Madrid sua madre e sua sorella, e giunti in Algeri due padri trinitarj incaricati della redension degli scliiavig dopo molte difficoltà vennero finalmente a capo di riscattarlo per la somma di cinquecento scudi d'oro c Ritornato egli dunque in Ispagna Fanno i58i, si diede, nuovamente allo studio delle umane lettere, seguendo la naturai sua inclinazione y e compose la G alateci s novella pastorale mista di prosa elegantemente scritta, e di verso. Si crede che in queir opera sotto il nome di Damon ahbia egli inteso di por se stesso j e sotto quello di AmarUli D. Caterina Palacios- di Saluzar 5 d'illustre famiglia di Esquivias, eh' egli prese in moglie Tanno i584. Col peso del matrimonio si trovò piti povero che prima, e quindi si volse a procurarsi modo di vivere scrivendo commedie. Durò in questa sorta di lavori il corso di circa dieci anni, cioè fino all' anno i5g49 e compose trenta commedie, che furono dal pubblico ben accolte. Di fatto intorno al detto anno i5g4 trovia- mo già subentrato a comporre per il teatro il famoso Lope di Tega, e passato a Siviglia Cervantes non si sa perchè. Da Siviglia si trasferì nella Manclias e alla di lui dimora in questa provincia dobbiamo la celebre opera intitolata il D, Qui--scio te. Là cosa fu di tal modo. Egli fu Incaricato di un affare, che dovea essere eseguito in un paese di detta provincia chiamato Argamasilla. È da credere 5 che la commissione datagli s' opponesse agli interessi di quel paese j perchè lo maltrattarono 5 Io processarono, e posero in carcere. Bla una si fatta ingiuria fu cagione della immortalità di sua fama. V era allora in Ispagna un grandissimo trasporto per i m>ri di cavalleria, i quali riempivano di chimere e di sogni la mente dei leggitori, ed erano un ritardo agli utili studj. Si propose egli pertanto di screditare tali opere, e nel tempo stesso di riscattarsi lepidamente dalF ingiuria ricevuta da quei della Mancha, facendo eroe della sua favok uno di quella provincia, con nome però finto, e tacendo il paese. » In un luogo della Mancha del M di cui nome non voglio ricordarmi » ; cosi comin«« fjia. Essendosi trasferito Filippo in a Yalladolid F anno 1601, passò egli ancora a quella città, e ritornata la corte a Madrid, fece egli pure a Bla-drid ritorno, dóve rimase tutto il tempo dì sua vita. Si narrache vedendo Filippo in dalla finestra del suo palagio un giovane sulla riva del Man-zanares con un libro in mano, che rideva fuor di misura, disse : » O colui è pazzo, o legge il J}, Quisciote ». Si portarono tosto alcuni cortigiani dov' era il giovane, e trovarono infatti che stava leggendo il D. Quisciote. Quello era il momento di far nota al re la povertà di Cervantes, ma nulla dissero in suo vantaggio. L'anno 1613 pubblicò egli in Madrid le dodici Novelle, scritte con moka eleganza, e con gli amori meno spinti che nella Galatea. Prese poi ad imitare il viaggio del Parnaso del Caporali poeta italiano, e fece egli pure in terza rima il suo Viaggio al Parnaso ^ dov' è buona 1' invenzione, e vi s' incontrano de' buoni tratti, opera che avea per oggetto di sanare la mania di tanti, i quali vogliono essere poeti" a dispetto della natura. L'anno seguente impresse otto delle connnedie già scritte prima, e otto nuovi intermezzi per procurarsi qualche danaro. Fra i molti che ardevano d^ invidia deUa sua fama 5 e non cessavano con satire di molestarlo, vi fii un aragonese 5 di cui è ignoto il nome 5 ma che sotto quello di Alfonso Fernando di AveUaneda fece la conti« nuazione del D. Quisóiote^ e trattò nel suo prologo Cervantes da vecchio, monco, povero, invidióso , m.ormoratòre. CeiTantes pubblicò Y anno 1615 la seconda parte del D. Qiiisciote^ e conia infinita distanza, che passa tra F una opera e F altra, e con l'urbano e modesto prologo debellò in« tieramente il suo nemico. U tiltima sua fatica fu quella intitolata: Gli affanni di Persile e di Si" gismonda^ nella quale imita il celebre greco Eliodoro , che fu impressa dopo la sua morte. Ebbe egli appena condotto a termine questo lavoro, che le sue indisposizioni da qualche tempo gik gravi e moleste lo spinsero al fine della vita Tanno 1616 ai 25 d'Aprile dell'età d'anni 68, e fii seppellito nella Chiesa delle monache trinitarie di Madrid e A quest' uomo insigne fu avara la natura di doni esterni. Egli avea denti sconciamente posti, era balbo, alquanto gibboso, e tardo nel moto delle piante. La battaglia inoltre di Lepanto lo lasciò mónco. Io attribuisco principalmente a tali imper-fèzioni la sua povertà. Ma F animo suo era fornito d'ogni morale virtù, e sopra tutto in lui risplendevano la sincerità, la moderazione, l'amor del retto e la gratitudine. Scrisse 5 come si è detto, molte opere m verso e in prosa. 11 suo capo d'opera è il D. Quisciote, Egli in questo lavoro è originale sommo ed unico tanto per invenzione, quanto per vivacità e grazia di stile • Di quest' opera si veggono moltissime edizioni dentro e fuori del regno.. Essa fu tradotta in tutte le lingue colte, ed è il testo più prezioso lingua spagnuola» Keila perdita del forte, clic presso Tuuisi avea al-Ault? D. Giovanni d'Austria. a questo infortunato e steiü suòlo $ Ove il Trace spezzò muraglie e porte ^ Dì tre mille guerrier Y anime a volo Liete sen giro a più beata sorte. We fra que' prodi Ispan già V eBbe un solo 5 non rotasse il nudo aceiar da forte, Ma il brando alfin d' innumerabil stuolo Spinse i p.ocbl, e già stanchi in braccio a morte O suolo, o duro suol, nuove e prische hai Memorie, il so, di tue cittadi infrante. E conti pugne, e chiare gesta assaij non fur visti in te fermar le piante Più intrepidi guerrier, nè da te mai Alme salirò in Ciel più giuste e sante TOM. IL 5 Di Silcrio nel prcMider Biancii ]ipr moglie; nclLi Galatea di dello Autore. •ieii grazie al Ciel, però die cjuasi assorto Dall' onde, e spinto in questa parte, e in quelìa Senza la scorta di propizia stella Giunsi, nò so dir come5 a fido porto. Raccolga i lini il buon nocchiero accorto. Risaldi là . sdruscita na^dcella. Compia ciò che al mugghiar deUa procella Promise in voto sl^igottito e smorto. Sì 5 tutto al ben presente io ni' abbandono s Più non chiamo il destin crudele, avaro^ Bacio la terra^ e levo al Ciel le mani. Ed acceso di tal, eh' è del Cid dono 3 Porgo giulivo il collo al dolce e caro Giogo novely che le mie piaghe sani. EGLOGA iK«lla Galalca «lei iiiedu^iniü Autore ELICIO, ERASTaO Ambeiluc aiimnli di Galalea* ! ELIGIO 'oavemente, e non presi sospetto 5 Vinto quel giorno, ingrato Amor, tu m'hai, Gli'io vidi i ]>ei crin d'oro, e il vago aspetto Di lei che sparir fa del Sole i rai» Che tu qual serpe di veneno infetto Fossi ascoso in quel crine io non pensai, E mentre in sì beli' oro il guardo io tenni, Tutto a bere il velen pegli occhi io venni. ERASTRO Attonito rimasi, e di me fuore Qual uoni di pietra, e privo di favella. Quando la somma grazia, e lo splendore Mirai di Galatea leggiadra e bella. E m' aprìa intanto il manco lato Amore, Amor con le clorate sue qiiadrella. Onde con mano dì mia morie rea Via mi portasse il core Galatea. ELicro Com' apri il core ^ e con qual arte maga, Amor, d' ogni tuo mìsero seguace, Ciìe delle me ferite egli s' appaga, E di languir si gloria, e si compiace! Come quel danno è pro, dolce la piagai Come avvien che il morir dileiia e piace I L' alma provando ciò 5 che lue son opre Queste hen sa, ma per qual via non scopre. ERàSTPtO Tante non suole immagini offerire Un rotto i«peccliio, o cosi ad arte fatto, Che s' egli avvien, che in cjuello altri si mire Trovi in mille e più volte il suo ritratto. Quanti dall' amoroso mio martire Martiri, e pili martir sorgono a un tratto, Crudo martire, onde quest' alma è vinta, luie avrà sol con la spoglia esiiiila. ELICIO La bianca neve 9 e Ja vermiglia rosa 5 Cui uoii offende mai state, nò verno, La luce di due stelle, ove si posa 11 dolce Amore5 e rimarrà in eterno. La voce qual d' Orfeo, eh' è poderósa I Ad ammollir le furie dell'averno, E il resto che m' abbaglia, ahi ! d' amor gioco M' bau fatto, ed esca ad iuvisibil foco. ERASTUO Due mele rugiadose porporine, Glie tali a me pur sembrano due gote, E l'arco di due ciglia alte, divine. Cui stare al paragon F Iri non puote, Due folž^or, due fra bei coralli fine Fila di perle mm pria al mondo note, E cento vezzi, e centu grazie, e cento Br bau fatto innanzi Amor qual nebbia al vento. ELICIO Ardo, nò mi dissolvo, e vivo, e pero. Presso mi trovo, e fuori di me stesso, Spero a im punto medesimo, e dispero, Yo in cicl, giù piombo, in alto spinto, e 0|ipre.s.su^ Amo ciò di' odio 5 c me pori mite, e fiero Deir amorosa iVhbrc il crudo acccìsso; Fra lali opposti traendo la vita Ticiii già sono air nltinia partita. EUàSTEO Ti giuro. Elido, ch'io darle- vorrei Qtiaiito teijgli' io nel povero mio stato, Perchè rer.diila mi Tosse da lei La miser'alma, e il cor die m'ha mbato ^ E con la greggia i wiiei d tic caii darei. Detto l'uno Sparvier, F altro Macchiato. Ma sendo ella, cred' io, celeste Diva Tuoi r alma, io penso, e di tiitt' altro e schiva ELICCO Erastro, un core, al qiinle hi alta parte Locarsi il l'ai o, o la sua stella diede, Giii trar con forza, con impegno ed arte Impresa elf ò, che il poter nostro eccede, Nò scarse grazie il Cielo ti comparto j Che se muori per lei senza mercede, Per si degna cagion bella è la morte Più che d'" altri la vita in lieta sorte • VIAGGIO AL PARNASO Jfcl c»pilul3 piimo. giii ronzino misero portare Può il lievissimo peso di un poeta. Che valigia non ha. Coni' ombra il corpo Inopia il vate ognor fida accompagna j E s' anche il vedi di ricchezze erede, Nelle sue man non crescono, ma tosto5 Come la neve al Sole, si disfanno. Di ciò 5 crcd' io, sei tu sola cagione, Gran padre Apollo: tu infondi nel vate L' indole tua, tu spregevoli e vili Tutto le cose agibili gli pingij. E turpe a lui fai credere il guadagno. Quindi a serio o piacevole argomento • S' aggiri iùtorno la sua mente, ci vola 5 Kè mira «IF iit.il suo : trova il suo Jjene 5 La sua fclieitìi nel colorire Gli aspri conflilti, ed il furor di Marte, Od erbe, fior, rivi, boschetti, e colli^ E i soavi piacer dell' amorosa Venere, cU' enjpie di dolcezza il mondo « Così guerre narrando còn lugubre, E dolci amori con allegro canto. Vive, e a lui passa, e vola, come mi La vita, o come al giuocatore il tempo® Dunque poeta io pur piena la mente Sol di nobili idee 5 con esse inleso Ad alta gloria, mi posi in cammino A grave e lento passo. Un bianco pane Con poco cacio (utile insieme, e lieve Peso pel cammiaante) era la mia Dentro a rozze bisacce vettovaglia. Addio, dissi alla povera mia stanza. Addio Madrid: addio prato, addio fonti, Oüd'esce (chi noi sa?) nettare e ambrosia; Addio, croccili soavi, ed,opportuni Ad allegrare un cor pieno d' affanni, iE mille sitibondi pretendenti Poveri di favor: addio, regale Loco SI lusingbier, sì periglioso, Ove für due gigawti incenend Dal fulmine di Giove: addio teairi D'assurdi, e iuesie traboccanti^ e dove Trionfa Fignorausa; addio frequente Di san Filippo, e celebre passeggio Ritrovo d'oziosi, ove si parla Più che ne'fogli veneti del Turco j E ó! ogni affar politico d' Europa. Addio 5 fame sottil di tal clie vanta Ognor sua nobiltà; che in questo giorno Per non venire io men su lé tue porte Fi:iggo la pallia, e me da mè divido. Così dicendo 5 e seguendo la via^ A poco a poco vidi alfiii le mura Del porlo ekiuso a tutti i venti g eh' ebber li nome dalle genti di Cartagoj Porto al cui nome celelire s' inchina Ogni altro che il mar bagna^ il Sol discopre, E l'affannato navigante afferra. Cupida tosto la mia vista sopra Si spinse della liquida pianura, Che di Giovanni d'Austria alia mémmia U eroica Impresa, richiamò. Con quanto Disperalo furor Y empio Olloiiiano Ylcle r ori^oirlio suo calcalo e donuj ! OD Di quauta gloria al duce, ed ai guerrieri Fu inai quel dì! Clic dolce riuiembrauza Per me 5 cui non mancò Vidore e ])rio Nel gran conflitto, e eh'elibi (umil qùal sono) Parte nella vittoria! Ivi pertanto Giunto, coni'io dicea, pieno di speme, E spoglio di timor cercai naviglio Pel grande intento mio: quando repente Su r onde azzurre mi si offerse al guardo Legno elle al porto giugner contendea A remi, e vele. Non cred' io che mai Premesse il dorso di Nettiui più hello, Pili nohil pln : no, non ci ed' io più vago Naviglio alcun della famosa flotta, Che Giuno inesorabile disperse j flh pili rli'ca, più snella, e piìi leggiadra All' acquisto del vello Argo sen gio. Usciva dalle porte d' oriente Con le rosate guance, e coi crin d' oro ÌJ aurora allor ^ nè pria trovossi in porlo La vaga nave, che saluto e segno Diè coi fragor de'cavi bronzi, e tutto Scosse il popol dal sonno, ed a se trasse. L' acuto suou deìlc troiiibette euipiea Di soave ariiioiiia V aere d'intorno, E della ciurma 'à canto - il riso, il giubilo - ' o Rallegrava ogni cor. Quanto piii eliiaro Faceasi U di, più e pia si discopria_ La pompa del naviglio. Alfin imitiate L'ancore in porto, si fermò ; ma tosto Spinsero all' acqua i marinai capace Schifo 5 coprendo, coni' è lor costume, Con tappeti bellissimi la poppa Tutti dì seta, e di fin'or contesti; Poi mossero ver noi con liete grida, E di sLrumenti nmsicali ai suono; E giunti a riva, uscir yid'io su gli omeri Di quattro cavalier dal palischermo Persona d'alto affar; ne a ravvisarlo Molto tardai, che alla sua forma, al brio, AJie piante con V ali, al caducecj, (Simbolo di prudenza e di sapere) Qtiesti ò Mercnrio, io dissi, ii Dio che reca Gli ordini de'Celesti a noi mortali. Dunque non pria fermò gli alati piedi Su quelle arene oli! quanto avventurate D' esser tocche dal piò di sì gran Nume 5 Ch* io mille cose rivolgendo in mente Ruppi la forte calca, m" appressai, Jl a lui dinanzi umile mi prostesi. Albati tosto ^ quel facondo Dio Bli disse, e così prese a favellarmi. O padre de' poeti, o mio Cervantes, Che sou codeste lue bisacce, e vesti Degne sol d' uom volgare ed ignorante? Men vo al Parnaso, o mio Signor, risposi, £ povero qua! son, seguo il viaggio Con questo arnese, e con tal vettovaglia, O grande, o pieno d'apollineo foco Ingegno, ei replicando, il giusto Cielo D' ogni ricchezza, e d' ogni onor li colmi. Che date hai prove di guerriero antico, D' intrepido guerrier. Ben so che in dura Naval tenzon priva di moto e vita Restò la tua sinistra man per somma Gloria della tua dr^stra invitta mano: Ben so che non indarno il padre Apollo Ti diè lìieravigliosa creatrice Divioa fantasia: so che sen yanno I tuoi volumi a Rociiiante in groppa Pel mondo tutto 5 e n'ha T Invidia scorno. Segui 5 o raro inVéntor 5 segui F impresa ^ Soccoitì Apollo 5 che opportuno e valido Gli ila F ajuto tuo, pria che là giunga Di novellini informi poetuzzi Squadrone immenso. Oimè! piene le vie Sono di questa inutile canaglia, Che il sacro monte assalir vuole 1 e indegna Della cima è non pur^ ma delle falde 5 E delF omhra che getta il sacro monte, Armati de^ tuoi versi, t' apparecchia Meco al viaggio 5 e ponti alla grand' opra Di debellar sì temerario vulgo. A^IÄGGIO AL PARNASO capìtolo quarto. ^lol versi ira dettar, ma se Tirato È di stupido ingegno, informi e pessimi Saranno i versi suoi. Di me parlando Altro dir non saprei, se non che pronto A favellar col biondo Nume in versi Non men del Stilmonesc io mi trovai;, E cosi presi a dire: 11 sciocco vulgo Clii voi segue, o Signore, e chi s' appoggia Air arljur sacro doli' allor, non prezza. L'invidia e Y ignoranza ognor perseguono JJ amico delle Muse ; e quindi mai Ciò eh' egli spera, non otlien. Son io, Sou io quel che formò gli abbigliamenti, Onde sì bella G ala tea comparve. Che non teme d' oblio : quegli son io Per ciai fu la Confìisa ne' teatri Con plauso accolla iiuiversal. Io scrissi Commedie air ano non tlel lutto opposte, Dove il grave al piacevole fu misto. Nel Don Quisciota mio trova ogni afflitto E corrucciato cor gioja e ristoro. 10 con le mie Nocelle addito, ed apro All' idioma castiglian la via Di folleggiar leggiadramente. Io vinco Molli neir inventai-: nò quei cui manca I/ invenzion, speri mai fama illustre. Amai fin dalla mia tenei-a etade L' arte della gradevol .poesia, E studiai di jäacerti. Io la mia penna Non mossi pel satirico cammino, Glie guida alla rovina, o al premio infame» 11 sonetto io composi (inclita, e prima Gloria de' scritti miei) dove si parla Giocosamente degli onor funebri Che feo Si\äglia al re Filijìpo estinto. Io poesie con assonanze alterne Dettai pur senza fin, die tutto io danno Al fuoco struggitor, da quella in fuori Sopra la^ Gelosia. Ma qual mai trassi Frutto da ciò? Deserto io sono, e misero. Ed arbore non v' è che mi sostenga. Io sto per pubblicar Persile il grande ^ Opre ad opre ajjgiungendo, e fama a famaj Io celebrai con pensier casti e fini Posti ili sonetto dozzìiial per celia Tre di stoviglie niondatrìci: udirò Le selve risnonar, di File al pari. Nelle canzoni mie la mia Filena:, Ma con le varie e dolci rime insieme Le mie speranze se ne porta il vento ^ E iieir arena seminai. Fui, sono, E sarò sempre (al Ciel si dia pur lode. Che tale mi foraiò) sempre nemico l)i niacere adulando: io mai le vie. jl ^ Mai ìe vie non calcai d^^lJa menzogna, E quelle della fraude e dell' inganno, Onde ogni santa ornai virtude è spenta» Con la mia sorte avara non m' adiro, Bench' io nel contemplarmi in piò qui ritto Chiamo ben a ragion mia sorte avara, E quantunque il mio cor molto pur brami-So frenare il- desio 5 so, mio Signore \ Gol pocolino aDcor tìtcf coutento . Così sdegnoso anzi che do diss' io j E blaudaraente Apollo mi rispose: Vengono, amico mio, da si remoti Principi le sventure, ch^ evitarle Air iiom datò non è ^ ma pm' sovente L' uom del suo stalo è fabro. E die mai vale Propizia sorte a chi poi non si cura Di ritenerla? Ogni opra e studio porre I Gelosamente a conservare il l^ene Non è pregio minor che il farne acquisto. Tu stesso, amico mio (soffrilo in pace)s Sei causa del tuo mal ; che a te vid' io Yenir con aureo piò belle venture ^ Ma F imprudenza tua lungi le spinse. Dunque ora al sen di tuo valor fa scudo j Pensa eh' uom grande, cui Fortuna è avversa ^ Pili il meritar che V ottenere onorai Non ti turbar, non ti lagnar 5 t' allegra j Piega il mantello, e sopra quel t^ assidi. Ah! Signor mio, risposi, non avete Notato, il veggio ben, eh' io ne soii senza, E cosi ancora, ei replicò, mi piaci. to:»x. ir. 4 Non iien le vesti tue d'invidia oggeliu: E povertà non è mai disadorna Qiiando col uiantò di virlfx si copre, Noi capìtolo quarto- awe m questo che il giorno s^ adornasse Di nuova luce, mi giunse all' oreccLio Dolcissima armonia, poi d'improvviso Spuntar da un lato del giardino io vidi Di belle Ninfe stuol, che brillar tutto Feron di gioja al biondo Nume il volto. Ma la schiera chiudea Ninfa qual duce Di tal beltà5 che ogni altra, e tutte insieme Le superava 5 e facea lieto e pago Pienamente ogni cor. Parea nascente Fra rose e perle rugiadosa Aurora. 11 Sol parea, che le minori stelle Copre col raggio, e non più vista altrove Le discendeva al piè meravigliosa Teste di gemme, e di fin or cospersa ^ In quel drappello alla bellezza, al brio Ravvisai F Arti liberali, e al grare Aspetto le ScieDze; e tutte pronte Della Ninfa ai voler, tutte d' intorno A lei d' amor, di riverenza piene, Che parean dire in atti ed in favella: Noi vi porgiamo servigio ed onore. Ma servigio ed onor voi ci rendete. Poi che il mondo per voi più n'ave in pregio. Io per meglio ascoltar mi fei lor presso, E or ì'una, or l'altra a lei già favellando, E le dicean^ come nei vasti campi Dell' aer si forman le nubi, la j)ioggia, La grandine, la neve, il vento, e come Si forma il lampo, e il folgore tonante. Dicean da qual cagion derivi il flusso E reflusso del mar: suo sen profondo Le discoprian, da cui per vene occulte L' umor spingendo alle più eccelse cime, Ei padre divenia di fonti e fiumi. Parlavano degli alberi, dei frutti. Dei fior, deir erbe 5 dei metalli, e delle Pietre, e di rjual virtù dono lor aJ^bia Fatto natura: le lucide, immense. Le Tie proprie del Sol facecau palesi ^ E del primo gran mobile la forza. Dicean cpial era degli astri F influsso Nel destin de' mortali, e come Y uomo Legger poiea le sue venture in cielo. Mòstravauo dell' uom gli obblighi e i dritti j Che il nodo social stringono 5 e quanto Sacri esser denno, e cari 5 onde aver pace Fonte d' ogni piacer 5 d' ogni ben Ionio, E sfuggir cruda abbomiuevol guerra . E parlando d'amor, dicean che al bello Fermarci non dobbiam, che in terra appare. Ma sorgere per esso al bello eterno, E di sublime amor pascere il core. Queste. e molt' altre cose ivan dicendo Alla Kinfa bellissima 5 che V alma W empiea di gioja, e d' alta meraviglia. Ed ella udiva attentamente, come Suol chi a tutto saper, tutto ordinare Nella memoria sua cupido intende. Io mi volsi a Mercurio, e dimandai Se della Ninfa sotto il vago aspetto Celavasi alcun Nume, a cui prostrarmi Dovessi umil, però che al tìso^ agli atli^ Ai fulgidi ornamenti iiìi parea Del CitJ, iiou della terra a!)itatrice« Ed egli a me: Quanto strana mi sembra La tua semplicità ! Tu per tant'anni Segui gli studi suoi, nò in lei ravvisi La tutto animatrice Poesia? OD DELLA VITA DI GONZALO AllGOTE^ E DI MOLINA "oDsalo Argoie e di Bioliüa nacque in Siviglia Fanno 1549. breve tempo lìa potuto egli dedicarsi agli studj nella sua prima età^ per-cliè ai i5 anni lo vediamo già nella carriera militare. Scrisse nondimeno varie opere sioricLe, fra le quali la più stimata è la Storia della noljiltà di Andalusia 5 opera genealogica impressa in Siviglia Fanno i588. Coltivò egli anche la poesia. Il discorso sopra la poesia castlgliana, e le poche poesie da lui lasciale sono meritamente in molto pregio. ELC.)GIO Alla Istoria dclJp aiiLichllà dì Spagna scriHa da Ambrogio di Moralei5. Jrgi la fronte coronata, o illustre Spagna, c l allegra, uel vederti a nuova Tita risorta, qnanti; eigne e bagna L'un maro e l'altro. Qual fenice accesa Dalle fiamme del Sol, tu nel bel foco Rinasci di siilJime inclito ingegno. Ed egli a te non pur diè vita e fimia A quella egual della superba Roma, Ma vita, e fama a se chiara immortale. Yandali e Goti nel tuo seo pugnando tuoi campi felici la bellezza, E r antico splendor di tue cittadi Gloriose oscurar; poi la feroce Ed invida ancor più di tua beltade Africa, cui da le parte brev'onda, Con sua profana man tutto alfiu spense Il fulgor sacro del più vago suolo 5 Che miri di lassù V occhio del Solè Dair atlantico mar fino ai niàr indo. Ben la costanza de' re giusti e forti ^ De' quai fu sempre la memoria eterna 5 Con F alta del Gel ( che tutta umana L'opra non fu) le tue catene infranse^ E i Ijarbari cacciò.- ma di costanza Otto secoli illustri e memorandi Tutte nel tuo bel corpo non potero Le piaghe risaldar. Tu rimanesti Tanto cangiata 5 o Ciel ! da quella eh' eri Pria del gran caso5 e della strage orrenda. Che non sapevi ravvisar te stessa 5 Benché IDjera alün. Gittadi e ville Rovesciate5 combuste, e il nome loro Sepolto neir oblio; delle più illustri Incerto il loco; sordide, straniere Le vesti tue; ne più la pura, e dolce Tua favella natia; d'arabe voci S'udia confusa, e barbara favella. Certo 1' onor d' infiniti trofei, O nobile regina del ponente ^ al Ciei li venne 5 e dai tuo braccio invitto Ila di qua! gloria ancor non ti ricolma Questo grand' uom, che dall' oblio ti trasse 5 Questo nuovo Prometeo, che la prima Tua forma, e la beltà ne rappresenta, E luce e vita e lingua le ridona? Egli le ascose pietre, e i sacri avanzi Disottcrrando ridesta ed avviva Con essi la memoria delle prische Tue consunte città j come coi sassi Pirra e il consorte suo riuovellaro L'umana specie dal diluì?io estinta. E se d' Orfeo parlando e d'Anfione Meraviglia narrò F antica etadé, Questi Orfeo ed Anfione non invidia. Lascia ornai, lascia i mauri panni, e spoglia 0»ni di servitù misero sesano, o Ü3 ' Ch' or sei regina, e trionfante i il crine Cingi di lauro ; ti scenda dall' omero Di porpora regal splendido manto. Yolgan negli ampi lor seni più chiare Tago, Ebro, Douro con piacevol corso L' onde, smaltando il margine di mille Fior candidi5 vermigli^ azzurri e gialli: E d' aiubrosla Y odor F aere prol'uiiii. Ma splenda il Beti sovra ogni altro, e goda': Di fresco e verde ulivo s'inghirlandi; L^ oro 5 che l'Indo a lui tributa, intrecci Alle cliiome dei fervidi destrieri ^ Figli di madii, cui feconda e molce L'aura vital di sue beate sponde; E con porle iinissinie descriva Su la grand' urna cristallina i nomi Di Lucano g dei Seneca, di Blena^ Di Genesio j d' Eulosio, e il nome illustre Ponga fra lor del mìo sublime Ambrogio • Nè tutto è ciò; ma poi che scarsa e umile Mia lode fu, desti i suoi cigni al canto. Os INTORNO E A GUTIERE DI GETINi Baldassare d'Alcazar non troYO niemoria TeriiDa nella Biblioteca di Hicola A11EODÌO5 ma da una ottaya di Cervanies nel suo canto di Calilo--pe si raccoglie era sÌYÌgliano 5 e proljabiìmente nacque a' priucipj del secolo come a^ principj del detto secolo nacque Gutiere di Celina altro poeta parimente sivigliano 5 di cui sono riniaste po-clie cose, tra le quali mi madrigale ed una pie-eiola oda. BI BÄLDASSARE D'ALGAMK Sciogli ia benda, e va con 1' onda a tergere lì tuo d' umida cispa iiìimondo ciglio, Copri le caroi, e le Tergogue^ o sucido Tener figgilo. U ali deponi, la faretra, e F auree Quadrella 5 e F arco, e quella face ardente ^ in tuo loco altri a ciò tenga, e regoli Di sana mente» Tanne, e di questo se tua madre lagnasi^ Dì. die te non vogliam, perchè sei vano, Bugiardo, crudo, temerario, e mobile Fanciullo insano « E cL^ ella poi di clù ben sa ^ moltissimi Ebbe Anioriiij fra lauti uno ci dia Moderator dell' amoroso imperio D' alma men ria. Y. Elisero qua! li scorgi 3 e pien d' infamia Torna a tua madre, o scapestrato Amore Acciò ti vesta g eli'hai perduto, o laido. Tulio il pudore. Yanne ben tosto 5 e non far sì clie adoperi Questa mia sferasa» Äla s'io non m^inganno, Della sferza e di me ti veggo io ridere ^ Fiero tiranno. DEL MEDESIMO MADIIIGAI.E L iù pose un di (piacevole avventura!) Amor la beuda, la faretra e V arco 5 Onde più lieve e scarco Seguir per la verdura Farfalletta gentil, che già volando. Maddalena, la ninfa, il vide, e quando Piti immemore lo scorse Dell' armi sue, quelle involò, e via corse Lui nel prato lasciando Dietro al vano trastullo, Qual malaccorto e semplice fanciullo-Da indi in qua piacer non reca, o pena Amor, cLie il vero Amore è Maddalena. del ai e d e s r M o Ion suo spillo Maddalena Jer mi punse a caso un dil Dissi : Oimè ! tu m' bai ferito, Ma già punto er' io nel cor o Ride, e pronta il dito sugge Con quel labro - di cinabro jE mi cura - la puntura Dello spillo e deli' amor. To:vL n. t Di GUTIEllE DI CETIKA ODA e' tuoi sì fini e Biondissimi capelli, Dorida ingrata, e sorda Ai pianti, aHe querele, Amor formò la coi'da Dell' arco suo crudele „ . Ridi, mi disse poi, Ora di me, se puoi, E già preso uno strale, S' era a férimii accinto. Ferma, o Garzon dall' ale, Gridai, ch'io già son vin lo Con quelle tue nuov' armi Qual uom tu non disarmi? DEL M K D E S I M O MABIIIGALE cehi ciliari sereni. Se di dolcezza pieni. Com' è pur fama uairersal, voi siete, Perchè severi a me vi rivolgete? o E se quanto voi piti siete pietosi, E soavi, amorosi. Tanto più bei splendete a chi vi mira, Perchè guardate, o Cieì! me sol con ira? Ah! se vogliono i Fati - ; Ch' io sol vi vegga irati, Meco non siate almeno, occhi a me cari Neir ira ancor, del vostro sguardo avari« D' INCERTO AUTORE MADRIGALE j-f Aentre il possènte di Ciprigna figlio Coglie rosa silvestre, acuta spina Gli punge, e fa vermiglio Di sangue un dito di sua cruda mano. Gorre ei piagnendo per il verde piano In greniljo alla divina Sua madre, e mostra il dito Dalla spina ferito. Tenere allora tutta riso e gioco. Tergendo al Nume Y umidetto ciglio. Questo è poi nulla, o poco, Figliò, le disse, e di maggior ben era-Strazio degna, o erudel, mano sì fiera BELLA TITA DI FERDINANDO Dì ACÜGNA JL erdioando di Acugoa nacque in Madrid a' priu-cipj del secolo xvi di nobilissima stirpe 5 e fu personaggio de' piti riputali del tempo suo non solu per yalor militare5 e per gentilezza di costume, seguendo gli eserciti e la corte dell' iniperador Carlo v, ma ancora per cultura di spirito e buou gusto neUe umane lettere 5 come appare dalle di lui produzioni. E benché abbia egli fatto lodevole esperimento dell' ingegno suo cu las copkis casteL-laiias con l'opera intitolala: IL cm-aliere dcteimi" nato, tratta dall' ordinale francese di Oliviero della ' o Marca, la quale assai piacque all' imperadore, nondimeno fu egli ancor pìii l'elice nell' uso de' meni italiani, e fama pili illustre e pia durevole ne ri- trasse. Nelle sue poesie originali il pensiero è naturale, giudiziosa la condotta, soave e facile il maneggio del sonetto, della terza rima, ottava e stanza. Nelle traduzioni e parafrasi di alcune poesie d'Ovidio non e egli meno apprezzabile; ina gli si deve particolar encomio nella Contesa di Aface con Ulisse per le anni di AoìiiUe^ trasportata al castlgliano in versi endecasillalji sciolti i avendo egli con tal opera dimostrato, die poteano riuscire leggiadri ed armonici questi difficilissimi versi nel suo nazionale linguaggio. S'accinse ancora a tradurre in ottava rima V Orlando innamorato del Bojardo; ed i quattro canti della di lui traduzione gareggiano con roriginale. Bìorì, si dice5 in Granata Fanno 1580 5 mentre piativa in quei trDjunali per ìa contea di Buendia. eUa stagioB 5 che dolcemente all' ombra lì pianto ricomincia FiloDienaj E come il Sol la sua luce comparte Si 5 die di mille fior s' orna la terra. Così diviso Amore in mille amori De' suoi teneri effetti empie ogni core^ 11 misero Silvano a piè d' un monte, Sotto una quercia, in grembo ai fiori e alF erba Facea palese il suo dolor col canto 5 Ed a^ gemiti suoi gemer parca L^ acqua d^ alto caggendo. Era famoso Pastore, e a cui di sdì dolce e sublinie La musa rustical volle far dono. Dunque ei, temprala la zampogna, al suono Diede principio^ e come udito, e visto Pur r avesse colei, die F innamora. Silvia, dicea, Silvia crudel, che sei Pili lieta allor, die piii cresce il mio «luoló. E delle spoglie mie irioufi e godi. Osserva alnien, come a gradir fin gimigo^ Miracolo d'Amor ! si crudi afTauiii, Perchè %'eiigoii da te^ perchè diletto Senti de' mali miei; ma tu non credi Ciò eh' ogni uom yede, e creder fe' sì grande Non pilo chi fugge Amor, d' odio si pasce « O potcss^ io dinanzi a te morire, Come lungi da te viver non posso! Blorrei per appagarti, e in guiderdone Di quel piacer 5 che da' tuoi lumi io trassi 5 Quando, com' or, da me non t' involavi. Ahi! crudel Silvia, tu m'hai fatto dono Di tua presenza allor, sol per fuggire, E uccidermi fuggendo. Oimè! se colpa Era r amarti, e fui degno di pena, Quante non n' elìhe il cor misero senza Ch' io ti perdessi ? E mi sovvien del tempo, Che r afflitto Silvau narrar solea » Le sue pene amorose, e Silvia udiva^ . Sovvienmi, che i lamenli e le ragioni Di me rozzo pastor henignamente Furo accolte da le, Lench' altre incontra Tli ne adducessij e mi sovviene ancora, CIi' io vivea de' tuoi sguardi g e tu di questo Mostravi d' allegrarli, Ohne ! chi allora Presago esser potea di mia sventura? Chi detto avria che sotto di un aspetto Doglioso del mìo mal chiudevi in seno La ferità, che mi conduce a morte? E eerto ornai di me nulla ti resta Ove r odio sfogar : tutto è già spento Il mio vigor natio: bramo, e mi giova S' affretti il mio morir ; di te fia il danno 5 Che perdi uom fido, e la tua fama oscuri. Parte non v' ha di questo eccelso monte Che non sappia quant' ò mia pena acerba, E la tua crudeltà: mosse a pietade Del mio continuo lagrimevol canto Le Mnfe di Tesin^ sovra le sponde Spargon fLebUi grida, e lor fanno eco Quelle dell' Eridan famoso e altero. Da questi prati, ove armenti e pastori Godeano mi tempo primavera eterna, Sen fuggono i pastor, fuggon gli armenti. Solo qual reo, die fuor di selva inospita Uscir non può 5 qui si riiuane il misero Silvan suoi mali5 e suo cleslino a piagnere. Lasso ! (la quel eh' io son quaulo diverso Qui mi yìcF io ! Nou di tristezza e duolo Suono spargea la rustica zampogna, Ma tua bellezza, e mia felice sorte r facea risuonar ; d' ambe lo rive I più culti pastor, eh'ebber me in pregio, Moveano a udirmi,- e mi cigneano intorno^ Poi que' eh' eran d'Amor servi piii fidi Loro affanni amorosi dolcemente s Cantar solean. Dolce era udir passando D' un' onderà in altra, e d' una in altra fonte GF innamorati, che faceano a gara Qual pili lodasse la sua pastorella. Ma fu pien F aere ognor del tuo bel nome 5 Del nome tuo, Silvia crude!, che a morte Or mi condanni: e non sorge olmo, o salice, Dov' io non legga di mia mano impresso Alcun de' merti tuoij con tale istoria Semplice, pastoral lasciar qui volli Di te memoria illustre ed immortale. Onde i pastor, che dopo noi verranno, Godano in ripensar dì cjual bellezza Fu questa valle, e nostra etate adorna, Yita allor ebbi s ed or mi muojo: allora Il tuo Silvan non avesti in dispregio: Allora d' allegi^ar schiva non fosti Queste contrade col sereno aspetto Per tema di vedermi: e in te non era Segno d'ira ver me. Somino diletto Fu allora, o Silvia, il contemplar dappresso Quel tuo bel viso, il portamento, gli atti Pieni di grazia, e udir le tue parole ] )a far mille e mllF alme prigioniere ; E all' apparir di te tutti i miei mali Sparian, come dispar la nebbia al vento. Mentre d' un tanto ben ricche si videro Queste campagne, i fior, l'erbette, gli alberi Vento nemico non lemean, nè grandine j Un punto quasi era nel grembo accogliere La terra il seme, e i germi all' aurei spignere ^ Che poi come innalzati da visibile Man di natura, d' or in or cresceano ; In somma e colle, e prato, e bosco, e mareino. Ch' or senza te fuor di stagion son^ aridi, Per te fuor di slagioue allor fiorivaiio. Bla qiial lì vidi a sceglier fior da fiore Per questi prati, il sa F anima, e il sente ^ Nè può lingua narrar : io vidi all' aura Sparsi i capelli d' or : vid' io, die in mille Soavi nodi F aura gli avvolgea : E vidi al Sol 5 cui d' esser vinto increbbe 5 Un nuvolette ricoprir la faccia. Fin che raccorli con le man di neve 5 E chiuder quelli in bel velo ti piacque 5 Ond' ei rendesse la sua luce al mondo. Oh! se, perduto il ben, si dileguasse L^ amara rimembranza, un tempo ancora Lasso! vivrei: ma questa ognor più cruda Contro i miseri avanzi di mia vita, Ch'è già presso a cader, sua forza adopra» Tolse F instabU ruota empia Fortuna, Ond' io già spento ogni valor d' angoscia Tittima fossij e tu, Süvia inumana, Mobile, ingrata sei con chi ti serba . Fe' non più udita, e sviscerato amore. Ma s'uom, ch'esser tuo vuol, di morte sfidi, Chi riman pel nemico? Oimc! dal punto Che tu lungi da me yolgesli il piede 5 Quel ch'io da speme avea dolce conforto« Tutto cessò 5 poi che di speme im raggio Lasciarmi non li piacque. Oimè! dal punto Che ti. cangiasti 5 io d' ogni bene ignudo Più me medesmo non l'avYiso: e forse Per quest'ombra di vita5 che mi resta^ Poco ti sembra il mal, nè ancor sei paga» Deh! perchè mai tant'ira? Il veggio^ è somma La tua beltà, ma, se ben guardi, io tale Certo non son, che aver tu deggia a vile Da me V essere amata : il volto mio Sì deforme non è, che de' miei pari Io fugga il paragon: tu stessa lidistij Quanto i maggior fra noi teneano in pregio Silvan, che or muore, e a cui tu neghi aitai Neir arti, che a' pastor soglion dar vanto Nessun vedesti superarmi j attento Porgevi orecchio a mìa zampognai e fui Lodato sì, che più lodar non puoi La musa di Damone e Alfesibeo. Me sventurato! ogni mio merlo è nulla• E che vai fe' in amor, che gli altri fregi A pastor nato sotto «ivversa stella? Doppio anzi è il mal: che più si duole e geme Chi se cODOSce indcguamenle oppresso-Quando slanca sarai, cieca Fortuna, D' esser nemica a' buoni, amica a' rei ? In tanto eccomi a tal giunto, clic dire Altro, e pensar non so fuor questo solo, Cile sperar non poss' io veder placati Gli sdegni tuoi, nè in te spento il desio D'ir perseguendo mia vita, che fugge, E al suo fin vola, e giugneni al suo fine Prima eh' io trovi mai pace, nè tregua. O se suonar ffuesti dogliosi versi Potesser si, che tu gli udissi, almeno. Se d' ammollirti il cor fosse lor tolto, Poriano al mio tormento acquistar fede; Versi senz' arte, è ver, ma schietti, e quali Li detta Amor : Amor, che m' accompagna Tutta la notte e il dì, meco piangendo; E pietà forse desteriano. O miei Sciocchi pensieri! o misero Silvano! S' apre la via ne' duri petti il suono De' mesti carmi, ma quel di costei Duro è così, eh' ogni tua prova è vana. E già nè sperar ciò, ne tentar voglio j Nò cerco altronde aita 5 anzi la fuggo j M'ardo nel foco^ e mi disciolgo in pianto5 Ne per la fiamma il lagrimoso imiorc Scemare i' veggio, o per F umor là fiamma. Tale, o Silvia3 è il mio statoj e se piti gravi Pene brami ch'io soffra, eccoti il petto^ M'è legge il tuo voler; ma il brami invano, Che la mia doglia ogni tormento eccedei Nò mai 5 eh' io sappia, 1' amar pastorella Costò SI caro, nè vi fu più amante. Più perduto, insanabile pastore» Qui Silvan tacque: che il dolore intenso Fin pose ai versi, e die principio al pianto. Eco dal centro della gran montagna Pietosamente, come suol, risponde In basse voci, querule, tremanti. Ma quando il Sol declinò sì, che alcuna Cima non apparia di luce adorna, E s^ allegrava Endimion, che presso Fosse il momento delle sue delizie, gregge in via verso 1'ovil si mise. INTOBSO A FRANCESCO DI FIGÜEROA rancesco di Figueroa nacque intorno alla metà secolo XVI d'illnstre famiglia d'Alcalà di He-naresj dimorò molto tempo in Italia 5 oy'ebbe grandissima fama per le sue poesie. Fu di tanta ino« destia 5 e diffidò a segno del proprio merito 5 quantunque lo chiamassero divino, che essendo presso al suo fine5 le diede alle fiamme. Poche sono quelle che ci rimangono, e di esse ne fece De Ra« mon Fernandes una edizione in Madrid. T0>L Ih 6 J. Irsi pastor del più famoso rio 3 Qie dia tributo al Tago, siüle sponde Del celebre Sebeto aniava Dafne Con tale ardor, che fu ¥Ìsto più Tolte A terra steso, in doloroso pianto Vegliar la notte, ed al nascente giorno, Quand* altri tòma dal soave sonno Air opre usate, il miserel passare Di pianto in pianto, e d'una in altra pena| L' aere empiendo rosi di flebil canto « Fiero dolor, che dal profondo petto D'' uom, eh' è tuo nido antico, unqua non cessi Di trar si amara e sì copiosa vena, Allenta un poco, o dolor fiero, allenta p E in parte al men le lagrime condense, Che ofiuscano la debile mia vista. Rasciuga j ond'io con questo acni o ferro, Cke porrà fine alla mia slanca vita, Sopra quei tronco i mici laiiieuli incida: ' A quai forse awerrà che la fallaco Dafne tornando dalla caccia in cerca D' ombra, o di fonte, accesa o siti])onda Tolga Io sguardo, e legga: o se di tanta Grazia degni non sonj si rimarranno-Agli amanti pastor misero esempio«-Mentre col nuOYO Sole5 o Dafne ingrata. Stai lieta contemplando il vasto mare, 0 in piacevol giardino alle dolci aure, D' ogni cura d' amor sciolta, passeggi ^ Il tuo povero Tirsi (ahi! tuo già un tempo) In braccio ai suo dolor solo qui giace Tra queste piante^ che ne il verde prato, Ü la frese' ombra, nè 1' odoi' soave De^ variopinti fior, nè il mormorio Dolce di fonte cristallina e pura, Ma il pianto solo, oimè ! gli è dolce e caro « Quanti pastori, quante pastorelle Amorosette i miei gemiti udendo. Tennero a consolarmi, e a piagner meco! Che non mi disse mi di mossa a pleiade S* La bianca ÄIcea? Glie non mi disse dori, La bionda Glori, amor di pastor mille? Slava ella tin di dietro mi cespuglio ascosa, Quando il tuo HOme risuonare udendo Ne' versi miei, sospinta dall' amore, Glie frenar non potè, mi disse (o amare Voci, quanto il mio cor vi serba impresse!). O vago Tirsi, o non piceiola glorfci Di lue sponde natie, guai cruda stella, Qual mai cieco furor t' arma, e li spinge Contro te stesso? Tu medesmo affretti La morte tua nel piii bel fior degli anni. Tirsi, non ti vid'io (lassa! hò ben onde Ricordarmi quel di) nelle solenni Nozze d'Alcippe star qual prato in Maggio Delle vinte ghirlande in mille prove Cinto d' intorno, baldanzoso e lieto ? Che serbi ora di quel, di quel cbe tormi I A me stessa potè ? Dove n^ è ita La grazia tua? Dove il color del viso? Dov' è la forza delle tue pupille Neil' ila e nelF amor? Chi si al)battuto Ti tiene, oimè! che se tua %dva imago Da quel per me giorno fatai scolpita Non fosse nel mio seno, io' ravvisare Appena ti potrei? Mira, deh mira, O crudel Tirsi, quanto male il giusto Dovuto a Glori amor tu in Dafne poni. Ma così va: son questi i sacri arcani Di Ciprigna crildel, eli' anitìie e forme Dissomiglianti suol per suo diletto Legar con duro giogo; e quindi Alcippe Ama Damon, Damon Glori vagheggia. Arde Glori per Tirsi, Tirsi ingrato Per Dafne, o Ciel! Dafne si dona a Glauco, Che lei punto non ama. Appena udire Potei gli ultimi accenti, che le dissi Sdegnoso in vista, è più nel cor pien d'ira: Fuggi, fuggi da me, Glori malvagia, Non molestarmi più con false nuove. Ella partissi, ma pria gli occhi al Gielo Lagrimosi rivolse, al Ciel vendetta Forse chiedendo, e ben aspra la ottenne. Da quel dì innanzi non ebbi più pace. Fisso ognor nel pensier, com' esspr possa, Che per Glauco seguir. Tirsi non curi. Di secreta virtfi pianta non sorge, Non piccioF erba in questo piagge amene, Ch' io non conosca appieno, e ck' io non sappia A luogo e tempo usar. Quando mai nacque Contesa qui d'intorno fra pastori, Cile giudice non fossi? Ed in qual festa Premio non ebbi? Questo vaso, questa Zampogna, e il bello, che mi scende al petto Aureo monil, del mio valor fan fede. Che se in pregio è il cantar, lodata un tempu Pur fosti, o Dafne, ne' miei dolci versi. Le pecorelle mie, eh' io lascio in preda Al fiero lupo, non ti dier tributo Di tenereJìi parti? E non ti diero Gli orti culti da me le frutta e i fiori? Perchè vinto son io da tal pastore, Che non di te, ma d' altra Ninfa è amante, E se vile non ò, meno è famoso? In che Glauco m'avanza? Ah! Dafne ingrata, o " All Dafne disleal, spergiura Dafne,* Perche attender degg'io, che a lenti passi Giunga la morte? Benché sia vicina, Yoglio affrettarla. In così dir fa prova Di levarsi da terra: ma non iteggono Le deboli sue piante il grave peso. Bicade, e pel dolor 5 che gli sia tolto Di por fine a' suoi dì, venendo meno Lo spirito vita!5 sen corre a morte. Ma r alma suo malgrado prestamente Torna agli usati uffizi, e a! pianto amaro. pianger stanco in su la fresca erbetta D' un olmo al pie, nel mattutino albore, Ti«il con r alma neUa sua diletta o Sol co' sensi dormia Tirsi pastore. E sognando, che dolce, amorosetta Fille a lui per pietà del suo dolore Tolga il parlar, stende la man, s'' affretta Per lei stiignere al sen pieno d' ardore. il desir forte in quel punto discaccia Dai lumi il sonno, e col sonno sen vola La pastorella, e Tirsi il vento abbraccia e Allor fioco 5 piagnente ei dice : O sola Mia spenre, chi li toglie alle mie braccia? Chi 1 ben dell' alma a' miei trist' occhi invola ? hi! come da soave alta speranza Timido io passo al più meschiù desio Che mai fosse in im cor, siccome è il mio« Ferito a morte da gentil sembianza! Già di mio Imigo amor 5 di mia costanza Ben nota a Fille, e non degna d' oblio, Già del misero stato, in cui yìss' io, E trarrò 5 lasso ! il viver che m^ avanza, Altro da Fille gniderdon non voglio, Se non che nel mio viso il guardo alquanto Fermi a veder, come m^ ha concio Amore. Che se mirando non cangia colore? Ne gli occhi ha per pietà molli di pianto, Più fredda e dura ella ben e che scoglio» - S&V'r ir- Täti"^-:^ ...... ' ^ ■ ,1. m iij ' ■ te ' _ T " . ., .. f ' - - Hb,, i I r- - r • ■■r 1 4 - '.A'.r.^wv" il* ' V - . •'-■I; - ■ 1 • "SióVi D - VttJ ^ t ^ L • ■ • «^t J- T,-S « I I • i « .• »i* - ^ «, i - •, v --'1 1- . "S »«a DELLA VITA DI D. FRANCESCO DI BORGIA. E ARAGON PRINCIPE DI SQÜILACE - FraBcesco di Borgia e Aragon principe di Squilace nacque, si credè, iu Madrid intorno alFamio i58o di D. Giovanni di Borgia, e di D. Francesca di Aragon e Barreto} ebbe egli per moglie D. Anna di Borgia principessa di Squilace di lui parente, e di questo matrimonio due figli, D. Giovanni, che morì giovinetto, e D. Maria, che fu F erede d'ogni «iosa, e si maritò con Fernando di Borgia suo zìo. Ebbe anche, diccsi, un figlio naturale chiamato D. Giovanni di Borgia, che fu cappellano maggiore delle scalze reali di Madrid, e vescovo di Badajoz e di Osma. I eliiarissiml suoi natali, la sua dottrina ^ la soavità de' costiuui suoi, e la nobile sua preseasa gli facilitarono tutti gli onori della corte. Fu YÌce-re del Perii, e sotto il suo governo D» Diego Barca della Tega conquistò los majnas nel Marannon, e fondò in quella terra una città col nome di s. Francesco Borgia in onore di lui, die Favea scelto a quella impresa. Si riferisce inoltre a quel tempo la scoperta del canale alla Terra del Foco da Jacopo la Biagre, la quale fu poi confermata, e posta in tutta la sua luce da Giovanni Morel, che il nostro Borgia mandò a quella parte, e dai due capitani ßartolomnieo e Gonzalo Nadal spediti colà dalla corte» Accaduta la morte del re Filippo m Fanno 1620 so ne ritornò egli dal Perù in Ispagna. Stette alcuni anni in Valenza lontano dagli affari, non si sa perche, visse parimente li-? bero da' pubblici impieghi nell'avanzata sua età, e mori in Madrid Fauno i658 d'anni ottanta circa. Nel volume intitolato le Opere in verso^ da lui dedicato a Filippo IV, vi sono poesie profane e sacre, e traduzioni di alcuni salmi. I. tu 5 che iu questo moulej Che di lentischi è folto j Yivi a te stesso« e sciolto Dal giogo aspro d'Amor: Quanto mai lieto passi Tu della state i giorni 9 Sì lunghi ove soggiorni, E per te brevi ognori Come sicuro dormi Al mormorio delF onda 5 Mentre tra fronda e fronda Si destan ali augellin! Dei ben fugaci e vani Jfoiì t' è puf noto il nome : S'io li conosco, alii ! come Seguirli è mio deslin? V. Con qual piacer saluti Del divin Sol la luce-Che a te letizia adduce ^ Ad altri noia e duol ! YL Qui le tue pecorelle Pascon rugiada eletta, Pria che co' rai 1' erbetta Rasciughi il nuovo Sol, va Qui le intrecciate e verdi Fiorite ombrose piante Si speccliian nell' errante Ti ivo, che argento par. Yllt E degli augeij clie ai dolci StauDo lor nidi accanto 5 S' ode il giulivo canto 5 O il grato lamentar a IX. • Tutto a te ride 5 e grazie Ta rendi al Nume eterno 3 Poi che bei Soli il verno ^ La state ombre ti dà. S. Ricco e signor non chiamo Chi timor prova e duolo: Ricco 5 felice è solo Clii cura in sen non ha. XI Vivi pur sempre ignoto. Lungi dal vulgo indegno: Chi nulla brama , segno A invidia rea non è- Xlt Oro ed onori in sorte Non hai: ma tu per gli ampi Verdi fioriti campi Libero movi il pie. XIIL E mentre immensa turba D' ogoi riposo è in bando ^ Mentr'io vo sospirando. Ed infelice io son; XIV. Te cantar odo, e queste Care a te piagge amene Con pastorali avene Empier di lieto suon. 'o di che piagni, o beila Del Tago pastorella: Geniil fanciulla, al core Poni Io slral d'amore , E il duol eh' ogni altro avanza È duol di lontananza. O quanto male oggetto Fai del tuo puro affetto Chi non ti serba fede^ E volge altrove il piede! Vieni alle danze, e il riso Torni sul tuo bel viso," Che quella tua tristezza È gloria a chi ti sprezza-Non già rimedio al core, Ov' hai lo strai d'Amore. Di molte superbette^ TOM. II. 'J gs Im icle foroselle Non far traslullo c gioco 11 tuo neglelto foco-Perdendo un incostante 5 Trovar puoi fido amante. S' egli lasciò da stolto Si vago amabil volto. Stolto sia ognor, che vale? Altri non Ila già lale. Odi, ti prego, o Leila Del Tago pastorella, l'ersi che agli amorosi Affanni tuoi composi Per scior con essi alquanto Su la tua porta il canto. So lungi va il tuo caro, Cui pili di te non caL Di lontanansa il mal Sana V oblio. No, del tuo duolo amaro Non goda il disleal, E con oblio tu efiuaì D Paga F oblio. uerra luTÌclia li fa, ma iiivan pretende D'abbattere, o mio Fabio, il tuo coraggio: Te r ineolpabil tua vita difende, E la colpa sol teme il giusto, il saggio. Cieco vulgo che vai? Sua lode e omaggio igiou non segue, e chiaro aitimi non rende; il maligno suo l)iasinio ^ e 1' oltraggio JJ alto fulgor di virili vera offende. E come or brevi, or lunghe son ie vane Ombre seguendo il corpo a tutte F ore 5 E quel sempre il medesmo si rimane | Così di turba vii nè adulatore Plauso 5 uè false accuse 5 ed onte insane Fanno minor giammai Fiiom, nè maggiore. » J -a«„ »S cm -.■M m iui? - ' r i; f - • ' l Ui^i: I 1 flM:,, -t • V 'C ci i. ...i - , ---J..Ì.1 ..«■..t 1.A \ INTORNO DI BALD ASSIRE ELISIO DI MEDINILLA 'aldassare Elisio di Mediijilla nacque iu Toledo l'armo iSSS, sorti egli dalla natura un'eccellente disposizióne alia poesia § ed ebbe iu maestro il celebre Lope di Yega, da cui fu amato con giusta predilezione sopra ogni altro discepolo» Mori egli assassinato nel fiore degli anni suoi 5 -ma non si sa il tempo ^ il luogo, nè alcuna circostanza della sua morte. Ci lasciò egli un poema in ottave, che ha per titolo; La lunpia Concepcion de la F'ir^ gen nuestra Sennora^ opera da lui terminata nel-f anno trentesimo secondo delF età sua, che fu impressa in Bladi'id l'anno 16185 e due Yolumi rimasti inediti, l'uno di prose e di rime in l'altro in fol. ove tratta Del remedio de las Cosas de Toledo. Puro ed elegante e lo stile tU Mc-dinilla, vivissima la fantasia, molta la dottrina, come apparisce dalla epistola scritta al detto suo maestro, il quale non solo fa onorata e tenera menzione di lui nel suo Laurei de bipolo s ma scrisse nella di lui morte quell'affettuosa elegia,, di cui daremo alcuni saggi in seguito di questo volume. Nella traduzione di detta epistola si veggono segnati alcuni versi, cominciando dal verso; Ben altro è contemplar V alma natura i fino all'altro; Opre del suo poter^ la terra e il cielo ^ perchè da me aggiunti nel calore del mio lavoro sopra r epistola stessa, licenza da me usata la prima ed unica volta in tutto il corso delle mie versioni - EPISTOLA A Lnpe de Vega Carpio 01 con più VIVO ardor pei vostro esempio Fo, Lope amico, di virtute acquisto, M' è dolce il campo, e le cittadi abborro. Lungi dal vulgo in solitario loco Meglio vagheggiò il cielo, e con la speme Tempro le smanie del mio cor, che anela Pur'al suo Dioc Qui di sì bella, e quanto Sospirata da me^ tanto più cara Patria i sommi piacer libero e sciolto Contempla il mio pensier: sì, T intelletto Qtii vola in Ciel con estasi beata, Ed accende il disio, mostrando all' alma Di sì gran tempio le bellezze eterne: Qui d' amor s' ama in divin foco acceso, Non di profano amor; così foss'io Il rapitor di sì divino foco! iq4 Ben so, Lope, che voi de*vostri affetti Intrepido signor, serbar potrete Nella città, più eli' io non fo nel campo, Tranquillo il cor, ma tal virtute è rara. No, mai non vidi cittadin felicej Ma qui, cóme in suo centro, si ricovra Pace, dono divin, qui T uom dispoglia .D'ogni atra cura, e verso il Gel lo spinge . " O potess' io pur qui, sublinie ingegno, Con voi trar F ore ! Qual piacer sarebbe Me stesso duplicar ! Questo, eh' è il solo Bene eh' or io non ho, faria che nulla Mancasse a me fra queste amiche piante» Pur s' io qui voglio rimaner, m' è forza Talor meco pugnar; l'anima è pronta, Ma infermo il corpo, e a lei s'oppon dicendo; Dolce è pur la città; dell'uomo è degna La vita social; più gente abbonda, Più cresce il vicendevole soccorso; Che l'uomo un Dio non è; timido, vile. Rozzo, ignorante è il solitario^ in fine L'uom che fugge dall'uom, si cangia in bruto. O d' ogni vanità perpetua fonte e lo5 Gonfusion tumultuosa, dove Le sembianze del ver prende F errore | , Se in te non più 5 come solean, fra V ombre Stannosi i vizii rei, ma baldanzosi Scorrono per le viej se virtù santa. Te fatta ornai d' ogni nequisia albergo Lasciò volando alle celesti spere; Quanto è meglio lo star fra belve ircane. Che minacciano almen pria di ferire, E tu malvagia lusingando uccidi? Ah qual uom saggio, o Giel! può le cittadi Conoscere ed amar? Là vedi gente Dagli erranti desir guidata e scorta Sperar sol ciò che nuoce, e chiamar dolce La speme sua; là del saper più il vanto Si dà chi inganna più, nè pensa, ahi misero! Che, più che altrui, se stesso inganna, e meno Felice egli è dell' innocente oppresso : Là frutto vii di lunga pace, scorgi Lascivia, mostro più crudel che guerra, Le genti vendicar, che Iberia vinse. • E se non forza altrui, ma il vizio ha spento Suo valor, sue virtudi, or de' suoi mali Altri ehe se iiiedesma non incolpi. Il molle cortigian delF ozio in seno Ama che il tempo voli, e insiem desia Stabile Tita, e voluttà perenne. Quindi noiosi a lui son della state I lunghi giorni, ed i giorni del verno. Troppo brevi al piacer. Qui, Lope amico5 Sempre con passo egual corrono gli anni Con lento passo ; che dall' opre nostre Segnate van di ciascun giorno F ore, ßE il perder tempo a chi più sa, più spiane» Qui pura castitate (o virtù santa. Perchè sempre non fui di te seguace?) Tranquilla e dolce ha sovra i sensi impero. Qui aU' uom non già, ma solo sigli augelletii Tende insidie il villan : eh' ivi è F inganno, Ov'è lo stuolo adulatore qui vive Dolcemente il desio, quel venturoso Giorno aspettando che fìa sempre eterno; E a contemplare, a leggere ne invita. Ed a scrivere ancor j non F ozio nutre Quest' almo soavissimo riposo a Non altri, io credo, la campagna abborre Fuori colui che solo 5 e con se stesso Trarre i giorni non sa: quindi men grare È il vulgo a lui5 che il solitario loco, E men paventa della corte i tuoni ^ Ed il ruggito eterno allor che Invidia Gli animi accende ; io sì, pavento e fuggo ^ E benedico il campo, ove la pace, U amicizia, il candor poser sua sede. Quanto più che vedör con briglie d' oro Regger destrieri, a' quai pel duro morso- Di bava, e sangue la bocca spumeggia, Grato è vedere in bigio panno avvolto L' agricoltor che per le dure zolle Pungola il bue men pronto ! O quanto, o quanto Più che mirar còme s' affanna, e come Duolsi il potente di sua sorte, e giura La pompa abbandonar, nè T abbandona § Dolce c il mirar, come il villano innesta Nelle succose gemme i tenerelli Germi, ed i.rami inutiE recide, Com' ei con lunghi canaletti invia, E agli assetati suoi culti comparte L' acqua del rio che romoreggiaj e come Dispoii le fòsse 5 e ben addentro pianta 11 già adidto sermento, e quello appoggia A secco ramuscel, die gli fa schermo Contro Tira del ciel! Ben altro, amico. Ch'alti palagi, e scidti marmi, e tele Con immagini pinta a color mille, (Miseri sforzi d'un poter eh'è vano) »Ben altro è contemplar Talma natura o »Semplice, grande, animatrice, dove »Non fallaci apparenze il Fabro eterno »Porge, ma tutto rinascente, e pieno >iDi spirito YÌtal. Là d'erba fresca »Yerdeggia il suol, qui di novella fronde »L'arbor si veste, colà spiinta il fiore, >jQui il fruttò appar: ride d'intorno e olezza »La valle, il monte5 e in seno delle valli »Scorron soavemente mormorando »Rivi di fonte cristallina e pura. » Pascono intanto gli animai F erbette, » Guizzan nelF onda i pesci, e gli augellini . »Spiegan le piume al cielo, e sovra un ramo »Van gorgheggiando in melodie soa-^dc »Questi offre al guardo oggetti vivi e veri 13 II sommo Facitorj che T iiom compose » A simigliauza sua, perdi' ci vagheggi 5 ^Opre del suo poter, la terra e il cielo « 0 soggiorno beato! Abbiausi pure 1 molli cittadia lòr congelate Bevande a forza negli estivi ai-dori^ Che a me tempra il calor di pure linfa La freschezza natia. Siedan pur essi A mense sontuose j ove non meno Che laeU' antico caos, V umido al secco. Al grave il lieve ^ il calido alF algente 5 E gli opposti fra lor tutti fan guerra 5 Ch^ io schietto cibo, e facil condimento Qui trovo ognor più saporito e sano. Deh! perchè mai di tanto bene a parte Meco non siete, amico? Ah voi, voi solo Con raro esempio alla cittade in seno Degli aurei studi amico vi serbate. Ma chi la solitudine campestre Piii acconcia non trovò? Filosofia Amà gli ombrosi lochi ^ il romor fugge j E F ignorante popolo maligno, Cui grave è il saggio, e de'suoi strali oggetto- 5 io Geoier voi slesso udii di tal sventum, Toi stesso il campo disiar j ma iroppo * Sarei felice, e noi cousente il Cielo. Vedreste qui d'Ispane grazie adorni Li già cantati un dì del Teijro in riva Si famosi epigrammi, ed altri ancora la quel prisco sermon gravi e severi . Scrini, o Lope, da voi, cui vinta cede La sacra antichità! Quanto poi dolce Fora insieme parlar, con gli occhi al cielo^ Della prima cagion, meravigliando Come r uom .Dio conosca, e non si senta Tutto acceso d' amor ! Ne perch' io sia DI voi tanto minor, sublime ingegno, Verria già meno il conversar, ma scorto DalF amistà 3, dalla dottrina i?ostra L' ali dispiegherei con cgual volo « Talor per ricrear V anima slanca Dal lungo meditar, congiuriti insieme N' andremmo alla magion di Ponzian vostro Crisostomo spagnuol, non conosciuto Perchè adular non sa ; sì, V arte abbietta D' accento lusingbier porge la mano A chi brama salir: Poiizlau lei fugge| Quiiidi premio non ha suo grande ingegno. Bla se premio a se stessa c Yirtù bella, Se il meritar, non Y ottenere è gloria. O Ponzian felicissimo, beato! Io canto 5 amico, or qui la più grand' opra Del divino poter ^ F astro il più bello ^ Nella cui sfera immacolata e pura Quanta mai luce ayea Dio cliiuder volle« Ben so che forse un cherabin non osa Cotanto, e lascia ai serafini ardenti Si grave incarco| ma l'inclita Madi-e^ Di cui F aurora intemerata io canto, Disgombra ogni timor ; nè perch' io senta Nel volo ardito dal soverchio lume Vinto F ingegno mio, men vivo e forte 9 O men bello è il desir, nè a lei men caro» O quanto scrive il solitario! E come Della lunghessa mia tardi m' accorgo I Bla tardi non sarà, se F amor vostro Tutto, qual suole, alF ardir mio peixlona. z .i J t r '{'Ii .... t > f " '-ff- ^ - i. . ■ / f. r «k ••. > . M i it) DELLA VITA DI D. GIOVANNI Df JÄUREGÜI . Giovanni Ai Jasiregiu e Aguilar, iaiuiglia nuliile di iìiscatjlia, nacque in Siviglia intorno all'anno i5']Oc Spinto dalla naturale sua inclinazione alla poesia e alia pittura passò in Roma 5 dove fece grandi progressi ueir una e uelF altra. Stando in Roma pubblicò la celebre sua traduzione dell'A-minta di Torquato Tasso. Ritornato in Ispagna fu insignito deir ordine di Calatrava. ed ebbe F impiego di cavalieri SSO della regina 13. Isabella di Borbon, per cagion del quale condusse la maggior parte della sua vita in Madrid. Ebbe egli delle forti contese letterarie con D. Luigi di Gongora, e con D. Francesco di Queredo, e queste avranno dato motivo al di lui Discorso poetico contìxì il TOM. IL 8 parlar affettato ed oscuro. Publillcò V anno i ü i a in Siviglia le sue rime, iinliameiuc all'Aminui, oh' era giù stato impresso in Roma, corno si è dello. L'amio poi 1624 diede alla luce in Madrid r 0/'/i?o, poema in ottava rima. T^Iori verso Fauno i65o d^mni 80 eirca. saggia madrej o provida natura« E pei hm de' viventi ognora induslre, L' avvedimento tuo C( j nini endo. e F arie Della tua man « Tu nelF oscuro grembo D' aspre montagne, e dentro vivo sasso I metalli ascondesti, ovver ti piacque Di rigoglioso fiume nelF arena Involgerli cosi, che al guardo occulti Fossero de' mortali ^ ed alF avara Lor viva, ardente, inestinguUjil lirama. Bla quanto io lodo te, tanto V uom biasmo ^ Che rintracciando F or, schiavo delF oro Si feo perdendo libertade e pace. Ei con lena affannata il duro fianco, E il più riposto sen l'uppe dei monti g Dove si forma, e in vene occulte serpe Quel metallo crudel, dove nascendo xi6 Sepolto giace in cieca notte, e dove Assai peggior dell' omicida acciaro Eteniameute rimaner dovrebbe, Nò così tosto dal terren, cui misto E confuso si sta, discopre ali' avido Sguardo sua faccia pallida ilamniante Aouuuziatrice di discordia e guerra, Gli' esce dal centro cupo 5 e va orgoglioso Di sua luce ad ornar scettri e corone. E lui, eh'avea fra rupi e glebe umile Stanza, nò conoscea per padre il Sole5 Veggiam fatto monarca della terra, Superbo si che per kù poco è il mondo, O pessim^ oro, o barliaro tiranno, Che onorano qual nume i vizi rei Favoriti da te, tu fai V impuro Amor vittorioso e trioufaute Di mille petti femminili, c mille Prostesi innanzi all' are tue con turpe Offesa d' onestà ; vlgUe anela L'inganno a te, l'insidia, il tradimento; Per te Y uom cerca estranio cielo, e nuov(4 Remoto suol^ per te il furore affronta Sovra iialanie pln d* onde frementi j Per le va incontro alle nemiche spade 5 E così il mondo fia per te diserto. Si 5 tu qual rege de' metalli a danno Del? uom tutti mal sempre li rivolgi : Quindi a ferir di taglio, ed a ferire ' Di punta spingi V afiìlato acciaro Foggiato in dardi, in scimitarre, in lande ; (Quindi tromba guerriera è V oricalco, Ed a pugna crudel gli animi accende j Fulmina quindi, e tuona il cavo Bronzo Di Giove al par, ma più cruento e fiero: Tutti servono a te, tutti le vane Tue glorie, i tuoi trofei seguano a gara Gol sangue uman. Qual v' ha riposto loco Che ignori il tuo poter? Le rive il sanno Di XanLo, ov' ira si ' feroce in petto Air emule in beltà tre Dive accese 11 tuo vii pomo, che Ilion stiperbo Ne fu conibusto ; il sa Y arcade terra, Ove i tuoi pomi ancor gU occhi allettando D'Atalanta bellissima fermaro Le rapide sue piante , e fur princlpiu. Misera cionca! di sua cruda sorte e Tu il fulgido montone offristi ad Eiiei Che lei portò su per le vie de' venti, E dal cui dorso in mar precipitando Peri delle sals' onde entro gli abissi; Tragica morte, e memorando esempio^ Onde te in odio aver, non che gF infidi Flutti dell' oceau 1 Ma qua! periglio Può l'uomo spaventar? Vi fu chi a' venti La sua vita commise neUa prima Nave 5 eh" Argo chiamossi 5 e pel medesmo Vello di quel monton. Quante, oimè! quante Vite per tua cagion da quel dì innanzi I venti e V onde sen porlaro ! E quale Nuova apristi ai morir porta crudele! Chi tutte ridir può V empie tue geste? Vana per opra tua la vigilanza ' D'Acrisio fu5 vani di bronzo i muri, Ov' ei chiuse la figlia : ivi converso Nella tua pioggia lucida il Tonante Scese, e il suo disfogò lascivo ardore. Tu il frigio Mda di te sitibondo g Te solo in cibo offrendo, sospignesti Fino all' uscio di morte. Immensa voglia Di te svegliando, o Ijarljaro, nell' empio Pimmalion, da lui fu fra gli altari Il misero Siclieo trafiitò e spento. Glie di Creso dirò fatto superbo Dalle dovizie tue, cui tolse il Persa E regno e libertà? Che dell'avaro Grasso dal Parto debellato e ucciso, Mentre a^ nuovi tesor cupido anela? Ah! se costa perigli ed aspri affanni L' acquistarti, o crudel, se posseduto Privi d' ogni piacer, colmi di tema Gli adoratori iuoi^ se rechi acerbo Perdendoti dolor, se da te viene Quanto mal per lo mondo si diffonde: Misero chi di te sen corre in traccia! Beato Tuom che te paventa e fugge! :Tr š Vr-. : v*», i'rìi- •J' > . I fV, ijti. .i/. : ■ii -1 r-' 'i rr 7 J jid ^ i. 1 . ' ■ ~ 't"" ■ I J. ' . t • 1 i«; > i ^ "" ' . ,fc- ■ I t* BELLA VITA J ÜPE FELIX DI VEGA CARPIO -1.1 meraviglioso poeta Lope di Tega, chiamato dalla sua nazione monstriio de naturaleza per la prodigiosa sua vena, nacque in Madiid ai 26 di jXovenibre ddF anno 1562 5 di Felix di Vega 3 e di Francesca Fernandez, persone nobili e native di (juclla capitale. Rimasto orfano e povero si raccolse nella sua prima gioventù presso D. Girolamo Man-rique inquisitor generale j ma passò ben tosto all' Università di Alcalà g dove prese la laurea dottorale^ e ritornato in Madrid diveuìie secretano del dura d'Alba. Quivi si maritò con I). Isabella di Urbina, signora di rango, ma avendo egli ferito gravemente in duello persona ohe non cessava di Riolestorlo con la sua maldicenza, fuggì a Valenza j di dove ritoniaio fra qualclie anno alla capitale, ed alla moglie sua, vide pochi mesi dopo con grandissimo dolore la di lei morte. Abliattnio da tale perdita risolse d' imbarcarsi come soldato nella gran flotta 5 che si apparecchiaYa in Cadice da Filippo n contro r Inghilterra 9 nella quale serviva uii fratello suo col grado di alfiere di marinai e dopo aver perduto in quella sfortunata impresa il fratello, e provato i maggiori disagi e pericoli, si ricondusse a Madrid, dove si pose a secretano del marchese di Malpica, e poi lo fu del conte di Lemos, e dove passò a seconde nozze con D. Giovanna di Guardio, bellissima dama^ da cui ebbe un figlio col nome di Carlo, che morì fanciullo, ed una figliuola, che si chiamò D. Feliciana di Yega. Ma essendo egli rimasto vedovo per la seconda volta si ordinò sacerdote, entrò nella Congregazione dei sacerdoti naturali di Bladrid^ e si vide per la integrità de' suoi costumi, e per Y esattezza neU' adempimento de' suoi doveri creato ben tosto cappellano maggiore, e allora fu che Urbano vm, a cui egli avea dedicato il .poema. Corona tragica di 3faria iStuardo lo fregiò della croce di s. Gio- vanni I e gli diede ü titolo di dottore di teologia, e di promotore fiscale della camera apostolica. Egli però ne per casi avversi, iiò per mutazione di stalo aiibaiidoiiù mai le Muse, e scrisse poesie nella ca» stigliana favella eoo non più veduta incredibile facilità da' suoi più verd' anni fino alla morte, la quale seguì in Madrid per infermità acuta con universale cordoglio l'anno i655 nell'anno settantesimo terzo dell' età sua. Fu sepolto nella parrocchia di s. Sebastiano, dove il duca di Lesa, esecutore dell' ultima sua volontà celebrò F eserpiio con istra-ordinaria pompa, e con funebre orazione; nè omise l'Italia di porger triliuLo di lagrime ed onore alla memoria di così raro ingegno, come apparisce dai volume impresso in Tenezia col titolo.- Esequie poeliche s ovvero lamento delle Bluse italiane in morte del signor Lope di Kega poeta spagnuolo. Era egli alto, asciutto, agile e gagliardo della persóna, di color bruno, e d'occhi vivacissimi. Alla di lui aa^Hardia e ferma salute ò da credere, che o Ö molto abbia contribuito F esercizio delle ani cavalieresche nelFetà prima, e la di lui sobrietà. Non avea egli pedanteria, ne acrimonia, anzi era disin- volto J umano 9 gentilo, e prodigo bene spesso dì Iodi con quei medesimi che cercavano di porre in discredilo le sue poesie. I suol lavori gli frullarono pili di cento mila ducali, ma tal era la sua ID>eralità verso i poveri, che alla di lui morie D. Feliciana di lui figlia ed erede non trovò in luila ]a sua eredità se non il vrdore di ducali sei mila. Fu in somma uomo di straordinario ingegno, e nel teinpo stesso di otlinla morale, e di esemplari costumi. Ma basii il Un qui detlu delle vicende di sua vita, e delFindole sua. Veniamo alle opere, ed anmiiriamo i di lui prodigiosi laìenti. DISCORSO SÜPK-l LOPE BI VEGA E LE DI LUI OPERE IN GEAERAI.E ^ice F Ariosto nel canto settimo àe^X O riandò furioso Chi i'a lontan dalla sua patria^ t^ede Cose s da quel gK egli credea^ lontane s Che narrandole poi non sé gli créde. E stimato bugiardo ne rimane. Ed awerrebbe a me pm'e lo stesso dovendo parlare della straordinaria fecondità di Lope di Yega 5 se dicessi, c/'^Jetó a me. Ma nella Biblioteca ispana di D. Nicola Antonio vi è il catalogo di gran parte delle di lui opere co'tempi e luoghi, ne'quali furono pubblicate, ed io passar non posso per bugiardo. Scrisse egli poemi epici, sacri, didattici. giocosi. Compose inoltre egloghe5 epistole e poesie liriche d' ogui specie, e questa porzione delie sue opere congiunta a poche prose forma l'edizione di Antonio Sancha in Madrid di volumi ven-l'uno in 4«° grande o Ma questo è nidla in paragone de* suoi lavori draouiiatici, i quali ascendono al numero di miUe e cinquecento fra sacri e profani, cosa quasi incredibile, se non si vedessero per la maggior parte stampati, e se al detto de' suoi contemporanei non si aggiugnesse V ingenua asserzione di lui medesimo nelF epistola a Claudio 5 dov' egli inoltre ci fa sapere, che dovette sovente comporre una commedia nel periodo di ore venli-quàttro, e che cento e più sono le composte in cosi breve tempo. Nella stessa epistola aggiugue^ che quantunque siano in gran numero le impresse^ molte ancora ne rimangono non pubblicate ^ e che divisi i suoi lavori nei giorni della sua vita, ne uscirebbe la quantità di cinqn.c fogli per giorno ; così che attenendoci ad un calcolo di approssimazione 5 si può francamente asserire, avere scritto il jupstro Lope di Vega ventidue .milioni di versi. All' udire una sì prodigiosa quantità di lavori poetici J che occuperebbe la yìu d'un uomo solo trascriverli j e per altra parte avendo presente 5 cb'egli fa soldato, fa maritato dae volte, e fìnai-iiieiite sacerdote esattissimo nelV adempimento de^ suoi doveri, io non istupirei, clie alcuno prima di vedere le sue poesie mi dicesse; Codesto scrittore sarà vuoto di dottrina 5 dovendogli essere mancato il tempo per farne accpisto. e però le di lui opere .saranno i^ox^ i^osc^ praetereaque nihil. Ma pigliando iu mano que' suoi lavori ^ e d'uno in altro passando si trova tutto il contrariò j e primieramente si .st'urgc 5 cb' egli avea letti e studiati non solo i poeti lutti italiani e castigliani^ ma i latini ancora così^ che giunse a scrivere felici epigrammi nel latine idioma 5 de' quali fa menzione con somma lode il suo discepolo Medinüla neU' epistola da me ioserita in questo volume; si vede inoltre, ch'erano a lui üimiliaEi la mitologia, la storia sacra e profana, la lilosolia, la teologia, in una parola tutta la scienza de' tempi suoi; e finalmente ch'egli avea fatto tesoro nella sua mente dei piii bei detti e delle piii famose sentenze dei fdosofi e dei poeti di maniera, die non per difetto d'erudizione, ma per so- verchia abbondanza ed abuso possono moltissimi de' suoi lavori essere censurati. Ed avendone io scorso con attenzione non pochi, sono rimasto meravigjiato nelF iscoprire la somma pieghevolezza ed attitudine della di lui anima ad ogni genere di poetico componimento« In questo volume fo conoscere principalmente il merito di Lope nella liiicaj ndìa quale fuor d'ogni dubbio risplende. Ho letto alcuni de^ suoi poemi epici, e da parecchi tratti di essi si scorge chiaramente che avrebbe egli potuto scrivendo senza precipitazione Aere deve piros ^ martemque accendere canta: e quanto alli giocosi poemi, e ad altre scherzevoli poesie egli non ha invidia di vermi antico e moderno. Pteca poi stupore il di lui prodigioso ingegno nella poesia teatrale, malgrado là violazione di tutte le regole, e può essere certamente proficua l'immensa dovizia de' suoi materiali ai coltivatoli della drammatica poesia. Finalmente non è cosa mirabile, che avendo egli scritto tanto5 e così rapidamente, sia nondimeno eali ri|>uardato dalla sua nazione come testo di lin- gua nel Terso non meno che nella prosa? E non è altresì una meraviglia quella continua di lui felicità nel maneggio del verso 3 e di qualunque metrica combinazione? Con tali straordinarj privilegj della natura abbagliò egli la sua nazione, fece dimenticare i maestri i dell' arte ^ divenne egli Y astro e la guida in tutti i rami di amena letteratura, e regnò co' suoi scritti anche dopo la morte, nò cominciò la Spagna a dipartirsi da lai in quello ch'era ad ogni ragione contrario 5 se non a' principj del secolo ottavo. La stessa rivoluziono produsse in Italia nel medesimo tempo Giambatista Marini, e noi pure solo a'pria-cip] dell'ottavo secolo ci siamo da lui emancipati» Cliiaro però è ancora in Italia il nome di Marini ^ chiarissimo quello di Lope in Ispagna | e se chi ha già formato il buon gusto sopra i grandi maestri 5 può trar profitto dalle opere di Marini, molto maggior vantaggio trar possono gli Spagnuoli dalle opere di Lope, perchè, valutati i lavori di questi due ingegni, resta il meraviglioso Lope superiore di molto al Marini» E certamente ò un dolore 5 che Lope di Yega TOM. ir. g co' cloui dal Cielo a nessun mortale concessi, non abbia scritto meno9 e seguendo le regole dell'arte. Ma avrebbe egli potuto ciò fare , o fu egli violentemente dominato da una fantasia senza freno? U« diamo ciò eh' égli dice su questo proposito » - Nel poema didascalico intitolato ^rte nuem de liazQv comedias^ indirizzato all' accademia, che. gli avea dato a trattare dei precetti dell' arie drammatica, si esprime di questo modo, jjSembra facilé questa materia, e sarebbe tale a »ciascheduno jài voi, o Accademici, i quali avete »scritto meno, e sapete meglio di me l'arte di »scrivere commedie, e siete in ogni altra cosa pih » dotti i potendosi a me rimproverare l'averle scritte j» senz' arte. Nè ciò avvenne perch' io ignorassi ì »precetti (che la Dio mercè io lessi gli scrittori »di tali precetti prima dell'anno dechno della mia »vita), ma perchè trovai a'miei tempi la conime-»dia non come vollero gl' inventori e i maesiri Dchè si scrivesse, ma come la scrissero alcuni »barbari compositori, che avvezzarono il popuJo »alle loro goffaggini ^ e vidi si ricevuto quel mo-i>do, che chi ora scrive con arte, muore sènza I! onore e senasa premio, potendo assai più iì costu-nme che la ragione nel volgo, il quale di ragione »poco o nulla s'intende. Vi dirò anche, ch'io mi Mson posto alcuna volta a scrivere secondo le re-pjgole da pochi conosciutej ma vedendo riuscire » ciò vano, ed osservando che alle commedie piene »di apparizioni correva il popolo in folla canonis-ijzandole con la sua approvazione, mi rivolsi di »nuovo a quella barbara usanza; e quando mi ac-Äcingo a scrivere chiudo con chiavi i precetti, ed »allontano dal mio tavolino Plauto e Terenzio per »non essere da loro sgridato, uscendo assai forte »dai libri la voce deUa verità, e scrivo seguendo * o j>lo stile di coloro, che cercano l'applauso popo-*^ »lare»' che se il volgo ama tali sciocchezze, e le jjpaga, è ben giusto con quelle pascerlo e dilet-» starlo ». Fornito pertanto Lope di quella sua non più ve« duta facUith, divenne F idolo della nazione, offrendole componimenti senza fine, secondo il gusto al-lor dominante i nè lasciò di rendersi benevolo il pubblico con adulare sovente i suoi pregiüdizj j cosi ehe ben a ragione di lui si lagna il celebre signor conte di Campomaaes nel suo discorso dell'educazione popolare, dicendo ; » Si Teggono inlrodotte nelle nostre commedie massime dannose e incon-jisideratCj che tendono a lusingare rinGngardagginej*» Bla da quel tratto, e da lutto il resto dell'accennato didascalico componimento apparisce, che il nostro poeta si lasciava trasportare dalla corrente contro sua voglia. E se si domanda qual imperiosa forza a ciò lo spigiiesse, allontanandolo dalla vera immortai gloriaj a cui poteva aspirare, di rifomiator del teatro5 iisponde egli stesso nell'epistola a Claudio, la povertà^ »Se non avessi avuto sul coUo il grave giogo j> della povertà 5 io mercè F ingegno datomi dal Cie-j»lo vedrei la mia canuta chioma adorna di quel-M Y alloro 5 eh' è premio dovuto alla virtù ». Poi sog« giugne: »Sarei io stato utile alla mia nazione5 se »fortuna mi avesse, concesso im mecenate: ma fu li così avversa. che mio malgrado governò a voglia ji sna ja mia penna ». Avvenne però al nostro Lope ciò che ad altri felici ingegiii e accaduto, dt dover cioè lavorare a giornata, come fanno gli artisti meccanici, per nutrir se, la cinisortc e i figli; si troTÒ egli nella dura circoslan25a di violare lo leggi dell^ arte con la prestezza dei lavori, o di veder languire nella miseria la sua famiglia j ed è ben degno di scusa se in lui fu vinto il desideiio di gloria dalle voci della natura. Se dunque fu egli dottissimo nella scienza de' tempi suoi5 se conosceva egli le regole, s'egli stesso si duolé di aver declinato da esse per una dura necessita5 se ad onta di ciò infinite gemme s'incontrano qua e là sparse ne' suoi lavori, se innegabile ò la pieghevolezza del di lui ingegno ad ogni sorta di poema, sé finalmente è singolare la di lui ricchezza di lingua, e F armonia della versificazione j io dico 5 che, rimossa da cosi meraviglioso uomo la povertà, potuto avrebbe la Spagna con le opere di un solo autore venire a certame di gloria con gli sforzi de' più grand' uomini delle piii eulte nazioni in ogni genere di poesia. uando svegliali le corde i diti belli Della man, che all' avorio il pregio toglie * E le gioie d'Amor canti e le doglie. Ninfa de' campi onor, fra gH arboscelli ^^ Gemer non sento e mormorar ruscelli, Hè l'^am-a scherza tra le verdi foglie, E inteso all' armonia voce non scioglie Quel sì canoro stiiol de' pinti augelli o Oblian le agnelle il pasco, e i lumi al sonno Chiude il lupo tra lor vinto dal canto 5 E dal divmo suon della tua lira. Se in chi ragion non ha cotanto ponno, E ove senso non v' è, qual dolce incanto Saran d' un' alma che per te sospira ? letto pende sanguinoso a teri^ L' oniero destro del feroce e stolto Guerriero a^ diiai di Betulia Tolto 5 die pugna contro se chi al Ciel fa guerra. La nian sinistra il padiglione afferra Fra' spasimi di morte al braccio, avvolto5 Sì che al gelido tronco il velo è tolto g E F orrendo spettacol si diserra. Di vino immondo è scudo 5 elmo è lorica 5 Rovesciata la mensa allettatrice ^ Dormon le guardie g e tutta oste nemica; E sovra il muro adorno del felice Popolo d'Israel F Ebrea pudica Splende col teschio, e con la spada ultrice. ro a me V Indo nou invia, uè oscuro . Nembo fa si, che al cielo, all' onde, ai venti Chiegga con voli, gemiti e lamenti Di ricche navi Jl passo in mar sicm'o. Per me sudando con Y aratro il duro Suol non rompe il viUan, nò pingui armenti Pascono a me, ne di suddite genti Tributo ebb' io giammai, ne d' aver curo, 3Iira r edra, ben mio, come s' allaccia Cupida ai tronclii, e quasi uman disio Avesse,, anch' ella il suo marito abbraccia | E s' è pari il tuo amore all' amor mio, Ble trovi eia senü fra le tue braccia, E insieme varclierem di Lete il rio» r rde Ilio già: sorgon faville, e forl;é Nube di filmo al ciel nemico, e iataato Lieta di sue yendelte il foco, il pianto Miì'a di Giove k crudel consorte. Fuggon le genti col pallor di morte ^ Vano asilo è de* Numi il tempio santo, Tolge spume di sangue orride il Xanto^ Cadono al suol mm'a, e ferrate porte. Cresce dentro e di fuor fiamma "orgogliosa Dell' alta reggia, che giù piomba ^ e tutto Tolto in vaste ruine è il suo splendore» E la beltà, ebe diè sì amaro frutto^ Mentre Paride vinto ardendo muore ^ lu braccio al greco vincitor riposa. Cengciiäüdüsi da una duma percliè aggioruava, là in cielo ad allegrar quest' imo suolo Sorgeta il Sol co' bei destrieri ardenti. Glie qua e là gli astri a yia fuggir non lenti Premon col piè sì di' ei riman già solo. Già cìii seil vive in amoroso duolo Torna dal sonno ai pianto ed ai lamenti ^ U ape sugge i bei fior 5 dolci concenti Fanno gE augelli, e vaii per F aere a volo. Più e più rosseggia il ciel d'auree faville, Splendon, quai perle, a^ rai del biondo Dio Su r erba e i fior le rugiadose stille. Ma così bello il Sole appena uscio, Che si fe notte nelle mie pupille, Poi che all'uscir di lui sparve il Sol mio. J-J idra fiera squamosa assale, incalza E frange Alcide, in cui valor nón langìie: Ai colpi della cla^a il tronco sbaka, E il suolo è di venen lordo e di sangue- Ma dei mostro crudelg elf ei crede esangue. Germoglia il collo sette teste ^ e innalza | E Feco d'ogni grotta § e d'ogni baka Trema all'orrendo sibilar dell'angue« Yorreij misero me! vincer io pure Di mia fortuna ü mostro reo pugnando In sì varie battaglie acerbe e dure« iL mi armo« e enta alcuna cred' io di mie sventure 5 Ne sorgOH tante 5 che giù pongo il brando ietà cÜ me, che F iJlhn' ore ho pronte, O belle Niufe di sì mite rio. Che lungi dal mio ben la chieggo ov^ io Lagrime notte e di terso qual fonte. 'Alza la coronata e pura fronte, Torme famoso^ e mira ü pianto mio^ Così ti lasci il Sol F umor natio, E te ricolmi di noy' acque il monte, come alla cagion che m' addolora, Se a mescere non vai V onde con quelle Del Tago, puoi ridir, che il duol m'accora? ! di Tostr' acque in sen tornate ^ o beUe Pietose Ninfe, e tu con esse ancora, . oda il mio mal F acre e le stelle. X^marillide canta, e F alma mia Con la sua Yoce da quest^ imo suolo Porta, ove son le Intelligeuze, a Vincendo delle sfere F armonia. Canta Amarüli 5 e U dolce suon m'invia AlF Essere increato, eterno e solo : E lui 5 com' una dei beato stuolo, Loda con ineffabil melodia. Così a finire in Dio pel rapimento Va di costei, cb.' è sua gentil fattura 5 11 nuovo soavissimo concento. w Nè F estasi saria sì grande e pura 5 Se F alma d'Amarlllide, e F accento Non fossero d' angelica natura. Ad nna statua di Vcncie, tu, che seinì>ri a me spirante e vwas Marmorea imago, eterna al mondo dura 3 Cli'èj qua! tu sei5 gentil, candida e pura^ Nè di men duro cor^ Faìma mia Diva- E se 5 ov' aite non giugne 5 i corpi avtiva Con r anime motrici la Natura ^ Move il cor tua beltà 5 eh' ogni altra oscura In petto air uom 5 benché di spirto priva » Spirto non hai^ ma rapida la morte Fa in terra 5 in aére 5 e nelF ondoso regno Di quanto ha spirto e vita orrido scempio. Deh! poi che immune da si cruda sorte Questo portento è pur d'arte e d''ingegno^ Non rinnovate, o Dei, F antico esempiol Operne, che gli occhi bendi5 e occulti ü danno Aiiinia e vita d^ abbattuto ardire, Cote ove affila Amor dardi a ferire ^ Fonte di frodi per si reo tiranno | Che vai turbar miei sónni ^ e novo inganno A chi per prova ti conosce^ ordire? Io ti credei 5 ma veggio il mio fallire s Che il piacer pingi onde affrettar F affanno. Vanne de'^ sciocchi ad alleggiare i mali, I miei non già 5 che sei grave al cor Nò tacer vo' quanto in mentir tu vali. li t' odio sì, che invidio, e ognor. desio La sorte de' più miseri mortali. Ne vogKo il ben, se il ben sperar degg'io. 5» A Pietro Lignano. ìgnano, a gemme ed or non rende onore ai d' uom grande e gentil la mente accorta « pei Leni delF alma arde d' amore, E il vostro esempio, non che E dii-, m' è scorta E vile è f|ueì 5 cui povertade il core Sicm^a, onesta e libera sconforta | E cM di ciò, che appar, vinto al fulgore Grave giogo sul collo, e indegno porta- Uopo il saggio non ha che sorte arrida: Yirtìi chi toglie, o dà? NiilF altro ei chiede Ed è grande per lei vivo ed estinto. Punisca il Ciel chi in Lasso stato spinto Potenti adula, nè in .virtù confida, Ch^ è di se stessa a so fi^egio e mercede. Traduzione del Marini. .Cisca porgea di propria mano un giorno A vezzoso usìgnuol Lilla cortese 5 Quando per V uscio aperto il volo ei prese, Ed air aria natia fece ritorno. D' un amaro sospir Y aure d'intorno Tutte d' amore e di pietade accese 5 Tardi, e indarno la destra al "vento stese Scolorando le rose al viso adorno. Ove a rischio di morte in man nimica Ne vai, dicea con lagrimose note, E fuggi ehi t'apprezza e li nutrica? L' augello udilla, e in spaziose rote L' ali rivolse alla prigione antica : Tanto di bella donna il pianto puote, TO.^r, II, T o Por Ifi luoiic del duca ili Pastraiia. Dialugo fra il Püöla, la iMoite, Alarle, ci Auiore^ fili piagne qui? Siam tre. Giù il niaiilo nero. La Blorte io soii. La Biorte? E Morte plora? Si 5 elle al Cesar novel, degno d'impero, Questa segnata in Giel fu Fultim'ora. E tu, o robusto? Marte. E il Dio guerriero Sue lucid'ainie col pianto scolora? Sì, che il terror del Belga, il Sole üjero, E il mio prode pugnando awieo che mora, E tu, fanciul, chi sei? Fui prima Amore, Spente col nome oi' son le mie faville, Poicli^è già spento di bellezza il fiore. Marte, Amor5 Morte, lagrimose stille Gessate di versar, che mai non muore Chi per fama vivrà miU'anni e mille. grandi ognora e chiare note scritto U iiom mira il fallo altrui. ma i suoi non vede. Che il proprio amor5 cui pur cieco dà fede, Cancella i segni 3 ov^ è il suo error descritto, D'uom suggello è la colpa: or con qua! dritto Un reo d' altro siniil giudice siede 3 Che ingiusto più quanto men reo si crede e Ogni lie¥e fallir chiama delitto- Vivi, o Licinio5 pria candida vita. Onde il tuo cor d' ogni virtù sia tempio : Con l'opre accusa5 e a ben oprar ne incita^ Bon 5 com' ora a noi t' ofii-i, impuro ed empio r Che mal si mostra altrui la via smarrita Cui ver sul lauro, e con l'iniquo esempio.-. «he stiiol d' inìque, ov' han ì' Ombre licetto ^ JJ onda in vaglio a raccor mai sempre aspiri Che rosee poma e limpid' acque miri Tantalo, ma gustar gii sia disdetto; Glie idla rota Ission con nodi stretto Eternamente rapido s' aggiri i Che Sisifo pel monte in lenti giri Tolga il gran sasso per forza di petto ^ Glie il rapitor del divin foco assiso rfol Caucaso si stia con ferreo laccio, E ingordo augel die del suo cor nutrica j Pene tremende, o Giel ! Ma d' improvviso Vedere altr'uom della tua Diva in braccio j Se pili erudel si dia, dii vide il dica. Ad una dama che filava. ella, fiera e geutO. Parca5 del frale Filo signora di mia breve vita 5 Nelle cui bianche, fiue e molli dita è rocca d' oro, • e forbice fatale : I Bleravigliosa filatrice, e tale Che non è d' arte ugual PaUa fornita j E andria di veste con tue fila ordita Adorno Amor, ma ignudo Amor più vale; A te porga sue lane il vello d' oro, Ti dia per fuso una sua freccia Amore, E il filo de' miei dì sia il tuo lavoro. E s' Ercole foss' io ^ vorrei trar F ore Torcendo il fuso, e porre, o mio tesoro. Brando, spoglie al tuo piè, forza e valore /i E JU J un verde e bianco pioppo il pie bagnava L' onda del Tago fra' suoi giuncUi, e F alta Cima splender faceau del Sole i rai. D' alga era il tronco ricoperto, e due Viti dall' imo al sommo serpeggiando Con mille nodi lo cigncano intorno, E al suon deir acque un dolce zefiretto Lievemente feria le foglie e i rami. In quest' arbor tenea pur fisi* i lumi Belardo il miserel, però die V ombra Di quest'arbore un di fu sua delizia. Or lui colma di duol. Mirando adunque ^ Scorge che due leggiadre tortorelle Aveaii formato su la cima il nido, E in rauco suon gemendo innamorate Baci a baci rendean col gentil becco. A tal visia il pastor diè crudamente Di piglio- ad una pietra, e appien cogliendo Tortore, nido e frondi iàV aura sparse, Dicendo lieto dl quel colpo: Sciolta La vostra sia coDie la mia si sciolse Dolcissima union: ciò che Amor diemnil Invidia m involò : tolga a voi pure Invidia quel che vi concesse Amore. Si g poi che fine ebbe la mia 5 fin alibia L' amistà vostra : eh' ove io sol rimango. Non soffro eh' altri col suo ben gioisca « Sol del tuo sposo, o tortora5 mi duole, Ch' ei piagnerà la sua dolce compagna 5 E tu ben presto, come Fille, avrai Rovelli amori. In così dir seguendo Ei con la vista gl' infelici amanti, Li vide ambi posar sovra d' un pino.. Ed iterar colà baci soavi-Stupì Belardo, e serenando il volto Così riprese a dir; Chi potrà mai Dividere due cor, che insieme annoda La forza e V arte tua ^ possente Amore ? Ogni opra è vana, anzi più strigne il nodo. E poi eh' io vi disgiunsi, o tortorelle, E ricongiunte pur vi siete, io spero^ Spero che Fille a me si ricongiunga. kl le sponde gradite Di lento e chiaro fiume Tutto di salvia e di verbena adorno, Nella stagion ehe mite Fassi il cocente lume Dell'aui'eo Sol, nè più sì lungo è il giorno, Cinto io le membra intorno f D' armi, e di ghiaccio il core Libero peregrino Men già fuor del cammino, Ov' iiom trasporta il giovanile ardore 5 E al guardo mi si porge Solo g ignudo garzon, mentre il dì sorge. Intorno a quel crin d' oro, E sopra le pupille Benda con vaglii nodi s' avvolgea ^ Come ad Àrabe, o Bloro Dal bel collo di mille Dardi- onusta faretra gli pendea: Qual clii soslicu la rea Vita giiignendo sopra De' passeggieri al varco, Avea già in punto F arco. Io chieggo 5 clie il suo grado e il nome scopra j Rispond' egli arrogante, Fanciullo in vista, e nel parlar gigante; F son colui 5 che. soglio Con dilettosa guerra, Con soave dolcissimo 'martire Di Giove dal gran soglio Fino alla bassa terra Gli Dei, le genti, ogni animai ferire. Circe tant^ oltre gire Non seppe con gF incanti ^ Ch' io tal prestigio formo, Cosi muto e trasformo Col mio foco mirabile gli amanti 5 Che in altrui spoglie un' alma Vive, e senz'essa la corporea salma. Facile al seno ho il passo j S54 Difficile F uscita : Spesso pili che umüia piioie il disprezzo. Di ghiaccio Uli cor, di sasso M' addila pur, m' addita} Tedrai come hcw tosto io I' ardo ? o spezzo. Tu alle battaglie avvezzo Cinto d' usbergo il petto Contro di me che vali? Getta queir arme frali : . Tuona e folgora invan cjuand' io saetto, Ed a me rende omaggio Di sospiri e di pianto il forte, il saggio. Di quanto io possa ignaro Tu seij cieco fanciullo. Risposi allora: io son famoso in anni. jMira di questo acciaro, Unico mio trastullo, Sculte le gesta in cento bronzi, e in marnii. Come fìa che disarmi Bendato, ignudo arciero 11 braccio invitto e forte D' uom che sfida la morte, E fermo vide iimnenso strazio o fiere Di soldati e cavalli Al fuloiinar de' concavi metalli? Io ne' dì brevi algenti 5 Io sotto estivi raij Di ferro armato, e di valor costarne^ Duce d'istrutte genti, Assalitor pugnai Con sì diverse nazioni, e tante,. Che il petto ìio di dlanianle.. Però, se sai, t' arresta, O a far tue chiare prove Yannc, fanciullo, altrpve: Che ornar le porte al tempio tuo con questa Mia spada c pensier vano, E meco i vezzi, o Y ire adopri invano. Mentr' io dicea, fuor sale D' mi bosco 5 ov' edra abbonda, Beltade, che parca dal Giel discesa. Ogni suo sguardo è strale, Sì che la terra e F onda Mostrossi a me visibihnente accesa ^ Pur veglio alla difesa. Piid' egli 5 e, O tu di schiere i 36 Inclito duce g grida ^ Cieco fanciul li sfìda: Poi d' un sol colpo mi disarma e fere c Misero ! in un momento Vinto al suol cado, e lutto arder mi senio Ed ecco al verde piano Trionfai cocchio d' oro Trar due tigri domestiche vid' io e Amor prese per mano Colei5 che umile adoro, E seco il trono ad occupar sen gio. Fra i piè del cieco Dio Fui di catene avvinto | L' arme j e i vessilli miei Accrebbero i trofei. Onde il carro fatai d'intorno ò cinto, Che con la guancia smorta Ov' io viva morendo mi trasporta. Ma 1' esser vinto e a me somma vittorìa > E il mio penar fia gloria. Sol eh' ella a me si volga, e ne' suoi lumi il mio cor dolcemente si consumi« A Giovanni Paolo Bonelo secretario iVambasciotö di Spagna in Kumu. uand' io oon brevi detli in verso e in prosa Il lil)ro vostro celebrai, serbando Lode maggiore a miglior agio, il feci Da meraviglia spinto, e veramente L' opra fu degna dell' ingegno vostro 5 O d'Aragona e dell* Ibòria onore. • Nò, da voi solo in fuor, figlio d'Apollo^ Ti fit giammai fra gli uomini, cui dato Fosse F arte scoprir sì rara e nova, Ondo il muto favelli. Io'1 credo appena | E mentre voi fornite di strumento Clii giammai non parlò per celebrare I/ alta dottrina vostra, stupefatta Natura si riman: eh' ella dispone Pria la materia, e rende acconcia all' uopo > Onde quella viriate accolga in seno, Che alfin produca il desiato effelLo; E s' erra uel dispor ^ Y eflelio è nullo. Or s' ella errò, se quella porta c chiusa. Per cui la lingua il favellar riceve, Com' è questo eh' io veggio ? Ah ! direi quasi Che tal opra ò miracolo, o prestigio; Ma no, d'ingegno e di dottrina ò figlia e Pur se la penna mia, Giovanni, allora Di lodi vi colmò, fòrz' è che adesso Biasmi queir arte vostra, e ch'io mi lagni Senza fine di voi. Si, bench'io sappia, Glie inarcherete per Stupor le ciglia, Tanto vi biasmerò quanto lodai. Eagion mi spinge, e stimol di vendetta^ E se vendetta io fo di voi, che adoro, Quanta esser dee V offesa, e di qual colpa Voi siete reo ! Dicovi adunque, eh' io, Come ad immagin sacra, al vostro ingegno M'indìino, è ver, ma che doveasi al mondo L' arte non già di dar favella ai muti, Ma di torla a chi F ha, far nota in carte-Mancava forse chi parlasse? Ammiro La mento vosira, ma più grande impresa È il far tacer chi mai tacer non puote. Ah! caro amico, se quel IDjro in froDte Per titolo portasse; Arte novella TXitnpor silenzio agVimpörtuni e sciocchi^ Ed a Ungile malediche s sarebbe Libro divino: che son pochi i nmti, Infinita la schiera degli stolti E de' malvagi detrattor. L' opposto 5 Come alla notte è il giorno, a quel ch^ è scritto, E dunque ciò che a noi più si conviene. Zaja dei duchi d'Alba schiavo 3 e turco Ricusava ostinato di seguire La vera legge, che Cristo ci addita Per la salvezza nostra: a lui, ma invano« Molti aggiugnean stimoli novi, e sino I paggi, le donzelle ed i fanciulli Pregavan, che il battesmo ricevesse. Tanto diceau, ch^ ei rimanea confuso ^ E incerto ancor,- ma rispondeva allora: Vi sou Crisliani assai, che più volete? Ciò viene al caso mio, (piantunque degno Della mente d' un barbaro sia il detto : E tale or più non ò, dio alfin s' arrese j Lasciò gli errori, e al vero bene aspira« Diiuque dich' io : Poiché già parlan lami Stolli, sciocchi, ignoranti, e i baccellieri S'odon filosofar, che più pretendi? E gli scrittor, quanti mai sono, e quanto Barbari, o Ciel! Come da' nostri vati L' epistola non pur, ma ogni altro carme Scriver si suole! Come ognor più abbonda Ni Quand' è forza rimar, V oscuro e il falso ! Che dirò poi dei prosator? Non sanno Dottrina, e stil conveniente ai vari Assunti ritrovar; ad essi è ignoto Come ora lenta, or rapida con arte Eloquenza dei cor trionfi, ovvero Come insti e incalzi il ragionar conciso. Col senso letterale il metaforico Confuso è si, che nulla intendi: udrai Nulla provar con logico apparato, 0 negli scogli urtar per cammin torlo. Parlan di teorie, ma la teorica Piglian sovente in luogo della pratica^ E or bassi, or alti, or stelle erranti, or fisse Co' pedanti grammatici s' aggirano Ai vocaboli intorno, e van sognando Strane etimologie ^ poi d'improvviso Teologi li vedi, e un punto solo È il volare e cader: talor piii insani D' astrologiche fole empion le carte. O Pitagora mio, tu conoscesti Più ch'altri mai, quanto la mente offenda Del giovanetto agli aurei studi inteso Il molto favellar; quindi imponesti Ai discepoli tuoi di tener chiusi Per anni sei (difficil cosa) i labri, E quel silenzio del sajDcr fa padre c Ma dal serio al piacevole passando (Che render ben saprà più nobil suono Air uopo il plettro mio ) m' ascolta 5 e ridi. Scelto da un capitan per alloggiarvi La schiera sua d' un contadin 1' albergo, Temendo il contadino de' soldati, Ov' eran le galline in fretta corse Per porle in salvo, e quelle non sotterra5 (Ch'è luogo noto, e da color ben cerco) Ma in tini vecchi, e di vin vuoti ascose- Poi Y uscio aperto in casa li raccolse, ToiHf. n. . ss Ed essi nou cenar die pane e E male si corcaroj e a lume spento. Ma sorla appena la belF alLa in cielo Canio il vigile gallo, e F imprudenza Con la vita pagò: che colà, donde Uscia la voce si sonora, pronti Più che di iromlja, o di tamburo al suono "J'ulli sen giro, e fuor tratte quam' erano Le ben nutrite e tenere galline, Quel giorno, e V allro eh' ivi ebber soggiorno - Ebri di gioia a banchettar si diero» 11 misero villana vista la strage Delle galline sue, malediceva Quel marito cantor, gridando; O gallu' Ciarliero, cicalon, che in si stemprate Note r amica e placid^ alba introni. E fuor mandando quelF acuto suono Cotanto increspi F ale, e gonfi tanto La cresta e il mento, cui superbia ed ira Tingon mai sempre di color sanguigno | Se sapevi tacer, non saremm' ora Tu del tuo sangue, io del mio pianto asperso « Solo, sole* un maltin senza li tuo canto Salve eraii già ie misere galline, Ch^ or hau lor tomba nelF ingordo ventile Di canaglia sì rea: sarebljer tulle Alle tue voglie or. pronte, e n' andriau liete Di quercia in quercia | e lu salendo sopra I muricciuoH della villa il caso Alle vicine a te narrar potresti» Dolce, o gallo, è il parlar, qiiando l'amica Orecchia porge chi,ascollar desia, Ma se'uza freno, e intempestivo è danno « Là verso il tetto, onde la voce parte Del bigio passerin, drizza la mira II baleslrierr morte pi'ocaccia il canto Al liccio allor che sen va d' ostro tinto, E muor perchè cantò la rondinella. Così parlando la caccia spaventa L'incauto cacciator; così del topo Allo stridulo suon sagace il gatto Spiega la rapid' unghia, e quel ghermisce. Dirà taluno, o Gianni mio, che «juesti Son vili esempi^ e dol suggello indegni: Ma fosscr anche apologhi, è beli'arte Moralizzar così : eh' io ben potrei Dai sacri libri, e ilalF opro tic/ «orniut Filosofi trar ciotti a iiiillo, a ìiiille, L' aureo silenzio a celebrar, ma vasi ilecarc a Samo nou clegg' io ; voi tutto Che potrei clir^ sapete, inclito ingegno^ Anzi iu voi quel silenzio m^ innamora, E in maggior pregio sai pel vostro esempio Cosi bella virtìio Solo mi piace Quel Greco j ond' ancor vivono le gesta D' uomini illustri, ricordar : ben vide Quand'ei biasmando il favellar soverchio, Dicea che sempre ad infamar gli assenti Blira r uman discorso, e che la lingua Non rispetta amistà^ legge3 nò fede. Ma di ciò basti alfin, die sebbeii questo T aaaeo ru la cagioii che a scrivervi m accinsi. Recarvi noia non degg' io parlando A caso com' io fo. Vengo alle cose conte signor vostro^ e so ben io care vi sono, e come toslo Vi sgombrano dai sen cure ed affanni. Suo valor, sua virtute e cortesia Ogni rozzo cantar rendon facondo. Anima graude in picciol corpo ei chiude 5 Diamante di gran fondo. O con cjuai detti Da noi si congedò 3 quando sen gio Anibasciator sul Tebro, e come degno Si dimostrò de' piìi sublimi onori! Yoi lui seguiste, ed io qui mi rimasi Pieno d'invidia, e ancor me stesso incolpo Con pentimento eterno. Io Roma5 io Roma Veduta avrei, che a se mi tira e chiama Sempre eh' io leggo quelle sue grandezze YitLrici dell' oblio. Poi qual più degno Spettacolo per me, qual maggior pompa Che Y ingresso magnifico del conte Nella sarjta città? Con egual plauso Qual console roman conquistatore Del regno ispan cinto di lauri il crine Entrar si vide? Ivi con voi, mio Gianni, Fotev' io rimirar lo stuolo eletto De' sacri prenci porporati, ond' esce Splendor di maestà pin che da quello De' padri un giorno in lunga toga avvolti . Che delii^ia per me fora all' aspetto Di sì vaste rovine immaginare QikìI fu r imperio suo pria che frangiasse In nulli nave ì trionfali allori! E qiianto volle, O potewss'io, direi, VajylK^ggiarla coni' era, e contenijilare Di siaf iie 5 cV obelischi e di colonne (Spoglie del mondo soggiogato) adorne Ije innnonse vìe! Ma vi son d'arte eincora [Meraviglie in quol snol, che trionfaro Del tempo, e dei Lai barici furori. 0 per me dolce rapiuiento! lo credo, (E so ben che il mio dir vi move a riso) Io erodo, amico, che veggendu al cimo Disliarbato, canuto, flatuoso RoiiKino per la via con tòcco il capo Ad uso di Milano ricoperto. Quale nppunto Virgilio io mi figuro !)fdla mia pazza fantasia, ben tosto Col borreiiino in manoe a capo chino. Salve, direi, salve, o Virgilio, o prinìO Coronato d'allor fra i ktin vati, * Gloria immortai dell' apollineo canto ; E quegli a così strano complimento, C! .e volole, o Spngmioi? risponderebbe • è ciò d' inganno mi trarrla 5 ma visto Alcmi con ocelli lagrimosi e cispi ^ Quegli Orazio sarebbe, ed a lui volto: Scusi il mio ardir la vostra signoria. Sappia che a lei ni' inchino. come a prence De' lirici cantor 5 eh' idolo e nume È la sua musa a me, che notte e giorno L^ aureo volume suo volgo e rivolgo : Deh! non s^ arrestij e quella man mi stenda. Così dicendo, attenderei cantasse; Jam satis terris nivis^ atque dime. Bla s' uoni ved(»ssi sfacciato, impudente, Con lascivi occhi e con maligno riso 5 Ecco Blarziale, griderei, dicendo: Dove il pie volgi, o sordida palude D' ogni immondezza, che pur saporita Fai tutto empiendo de' tuoi sali? O ingegno Spagnuol sottile in ver, ma volto ad opre Degne di biasmo, benché il vulgo applauda | So che romano genliltiom ti vanti, Ma non so se tu sia satiro, od uomo. Io sono un cavalier del tuo paese, Ceniamo insieme, se ti piace, onci' io Te5 di cui spesso io parlo, ascolti e ammirL Dell! prendi questi profumati guanti, 11 cui soave odor t'ispiri e detti Pili candido epigramma; ma dirai: Hes salsa est bene olerc^ et esurirea Sì, Gianni mio, passerei d' una in altra Illusione, e quindi se adoccliiassi Un senator d' inelegante forma, Che avesse il naso schiacciato e ritondo ^ Ü Cicerone, o padre'del senato, Dii'ei pien d' umiltà, quanto mi duole Che Sallustio maledico t'annoi! Tu d' eloquenza e di filosofia Mora! sei padre e principe, ne sorse Uom più grande di te. Di quale ornasti Lode la poesia? Nessun difese Cotanto i di'itti suoi. Tu nel senato Dicesti già, che B^ulvio a ragion ToUe Mentis manuhias miisis aonsecmre^ No, non avrebbe il vaneggiar mai fine, O caro amico, e certo esser ben puoi, Che scontrandomi in uoin di faccia adusto, Il qual chiegga silenzio, e non curando t Dell' igiioraDte vulgo 5 con gentili Modi 5 e semplice favola diletti Ed ammaestri insiem, gridar m'udresti: Tu sei Terenzio: io ti saluto5 o gloria Degli schiavi african; quanto diverse Son le commedie nostre! Non si veggono Cremi5 Panfili, o Davij e si risolve In cerchi ài setacci5 in tele, in chiodi 11 teatro spagnuol. Là presso al tetto La commedia si stai denari intanto. Piti che torbido rio pesci non offre, I Paga il vulgo ignorante, ed ogni scanno Vale uno scudo, che le Muse imborsano Sol per mostrar nube di lana e d' acqua, Cui d' aceto empie il seno ascoso imbuto » Ma per oggi non più: scriverò poi: Con Terenzio F epistola si chiuda, Glie in si lieve argomento, o dolce amico Inopportuna e fredda non mi seml)ra. ^e pieno ho il sen d' amaro aspro cordoglio, Quaiid' io penso alla morie, o di spavento. Perchè il mio nidla poi più non ranmienio, E torno al fasto, ed all' usato orgoglio ? Che vo cercando, che desio5 che voglio, S' è il nascer pianto e vita, ò guerra e stento ? Come 5 cieco eh' io son, tanto amor sento Per questa polve vii, che in breve io spoglio ? Se in adornar magion, ciré si abbandona, Nessun giammai le sue ricchezze ha sparte, Qual inganno, o follia m' agita e sprona ? Tita mortai, cessi tua magic' arte : Che a chi tosto d.'d mondo si sprigiona Basta ben poco ßno al di eh' ei parte, f nanä! io m'accesi di terreno aspetto^ Come ver te, gran Dio, non mossi Tale, Se tu nel bello nman caduco e frale Ne mostri F invisibile e perfetto? Gonie il fren ruppe, e traviò F affetto, Si di' io aivenni alF idolatra eguale, Ed ebbe dal mio cor donna mortale Gli onor dovuti a te, divino òbbiètto? O cieca al sole nel meriggiò, e intesa Mia iiiàiie a delirar! Quali al gran soglio . Far puoi.giugner discolpe in tua difesa? B Deh! bencbè tardo5 o Padre, il mio cordoglio Dolce accogli, qual suoli, e oblia F offesa ; Gli'altri, fuor che te solo, amar non voglio oJce Padre e Signor 5 vani pensieri Mi danno assalto, e guerra avvicn s' accenda ; Bla non fia mai eh' io le tue leggi offenda ^ Sorgano pur più tempestosi e fieri p Kon perchè, infermo qual mi veggo, io speri Che per propria Tirlìi, che si difenda, 11 core, o F intelletto non s' arrenda • Più assai che il yeiito mobili e leggieii. se a' miei voti, a^ preghi miei s'inchina La tua pietade, o Re del Ciel, qual guerra Può spaventarmi, e qual nemico è forte? Ponmi air ombra di tua Croce divina, E sia pur contro me foco, aere, terra, iMar, ferro, invidia, frode, e inferno, e morte ITD al suolo, ove per rupi e per foreste Stuol di sozzi animai vii cibo coglie. Al tuo sen m' alzerò, Padre celeste, Al sen, cui cieco vaneggiar mi toglie. N' andrò alla reggia con bel volo, e queste, Queste sdrucite mie misere spoglie Cangeransi in regal purpurea veste ^ Che ogni uom, die chiama, quell' albergo accoglie. Confesserò dolente 1' error mio, E sebhen io pavenli il divin ciglio, Pensando qual ne' miei verd'anni io fui^ Basta a giugner colà membrar, che s'io Posi folle in oblio V essergli figlio, L' amor di padre non vien meno in lui 4 ■e lauto IO godo sol presso le soglie Di tua porta, o Signor, quali gustare Delizie mai dovrà celesti e rare Oli al tuo sen giunga, ove ogni ben s'accoglie? Benché uom mortai, tali ho pensièri e voglie. Gioie abbandono a! cor sì dolci e care. Che già & entrar dove tu sei mi pare; Ma grave incarco son uro amor perfetto: Quello del voler nostm è cieco duce ^ Questo erge al Cielo, e pasce F intelletto. Tale è5 amico5 il mio amor, sol di superno ObbiettOj amore di beltade immensaj Che r altro è ornai bassezza accoiTe in seno « Questo al tempo degg' io ^ che il bello eternò Scoprendo all' alma^ o quanto mi' compensa Di quella vita, che per lui vien meno! Qiimi bÌQiì aventura^ÌQ u felice colui, che sgombro e scicitd -Da cure il petto ambiziose a yane ^ Traendo Tita solitaria, il proprid Gampicél rompe con F aratro 5 e bagna-Della sua fronte col sudor^ Si sYeglia 0 - Ei prontamente al canto dell^ augello Ch'è sacro a Älarte ^ ed. alle membra appone Suoi ro^zi panni, poi che gli occhi alzando, Vede già luce entrar per gli spiragli Dello . sdrucito suo povero tetto. Sorge 5 s' appressa al focolar 5 rivolta La cenere soffiando nel fumoso Mezz' arso tizzo 5 é le faville desta. Dalla sua paglia, ove giacca sdraiato 5 Incurva il dosso, e sovra i pie si rizza L'animai tardo; ogni ombra intanto fugge. Dà loco ai Sülej e si fa bello il mondo Allor con faeil uondiniento appresta - L' asciolrere frugai ; dà il fieno allora. A' suoi due bovi, e ruminar li sente» Poi del novale intorno, o per la vigna, Senza invidiare altrui loggie regali, Move contento il piò, volgendo spesso Alla vicina sua villa lo sguardo; . mal concia5 è ver, ma per ciò Quivi il soldato non alloggia, e al muro Non appende armi, nò lega al presepe, Ov'è F armento iimil5 destrier superbo. Egli ne'giorni di Gennaro algenti Co' suoi figliuoli in cerchio si riscalda Ad un rovero intero, che tutt' arde ^ E va cantando ie lontane, guerre. Lieto in pensar, che alla sua patria in seno Dormo sicuro; a lui pace non toglie Debito in tempo breve, od in mar nave, O di fama desio; . F ore misura rai elei Doiej e non tem ei, ne aspetta L'incerto " de' suoi giorni ultimo istante ^ O UbcrLad prcciosa,. iiaiido col fresco rugiadoso umore Sparge l'Aurora di celesti perle La valle e ü monte 9 io della mia eapamia^ Che sorge umil di questo rio sid margOj Fuor esco 3. e guido la mia greggia ai paschi E quando ferve nel meriggio il Sole 5 Br adagio in gremJjo alle minute erbette Sotto d' un salcio 5 ower sotto d' un pino ; E al grato suon de'garruli. augelletti, E d' aurelta genLil, che F affannata Lena restaura, al ventDar soave Io m' abbandono a dolce sonno in braccio. Poi quando notte gelida col bruno Stellato manto i rai del Sol ricopre 5 E s' odon guffi 5 ed altri augei notturni Bleste voci iterar dal folto bosco, Vo numerando al piò della montagna La picciola mia greggia, e ripensane Dei guidator de' popoli agli affanni, Me capraio e pastor cliimiio beato. Qui verdi pere, qui odorose 5 di' hanno Della cera il color, qui abbondau pomi Gialli e vermigli5 .e qui morate prugne» Qui dalle viti avviticchiate agli olmij Ed in pergola tese ìq colgo F uve Più che mei dolci, e quando il Sol cocente Divide e slaccia.gFintricati rami, Sue frutta in copia m' offi'ono i cotogni, Ch'ornan di questo fiumicel le sponde. 10 le mie membra in roz^ panni a^^olgo^ E ricche vesti effemminate, indegne D' uom nobil 5 saggio, non desio. Mi pasco Di frutti e d' erbe, che produce e versa 11 campo liberal. Tu, o pura fonte, Che gorgogliando fai bollir F arena, egni la sete Biia con la frese' onda, jìChe non tempio che di venen s' E fra morbide pdili, e fra soavi • Foglie io mi corco agiatamente, e dolci Tranquilli sonni dormir soglio, quali Non han già i re fra i profumati lini. TRATTO DELLA EGLOGA Per la mode tli D, l.saLülla di XJrbiiia ih la mia fionda F agnellia non toglie Di bobca al lupo fier^ più non iùcido. Com'io solea^'degli olmi su la scorza ' Le mie venture; uom più non sono3 e meno Son^io del pastorél della mia greggia. Te al niODte chiamo e nella valle 5 e sempre Ripete il nome tuo la vaUe e il monte» Sento, s^io grido. Elisa5 Ove sei tu, mia vita? L'eco risponder: iki^ Ito se n' è il mio benviver che vale ? Deh fossi mòrto io pria ! No, non allindo in SI misero stato. Elisa mia, Altro bene che morte, c ai Ciel la chieggo. TRATTO DELLA MEDES. EGLOGA o m'era mx aiigellino iunainorato: Ble persegiiia V astor nel suol natio 3 Quindi iu monte stranier posi il mio nido : Ma' tra le fronde un caceiator spiando-Stése sua man crudele al nido, e al coUo Bèlla mia dólce lodoletta e cara. Giunsi in (juel punto io miserello, e vidi Lei vinta al laccio, e sopra il solco stesa Con le sue piume polverose e sparte 5 Segno di lutta fier, come sfrondato Biman da borea V olmo, o come rosa Che percota col piè fanciul nell'ira. Eei estc fuerte rohie iial montagna liman da noi üou corsa Con gioia egiial? Qual valle ampia cacciando Non ci lasciò con aftannaia Iena? In f|ual mai sponda del corrente rivo Con r amo i pesci non prendemmo alF ombra De' pioppi nereggianti ? E d'ira accesa Per gelosia se lei talora io vidi, Porgeale in dono i timidi conigli. O su gli arljfor frondosi inarpieando Nidi le oflria di non pennuti augeJìi, Al cui stridulo suon gemer s' udia L' usigniiol padre. Quante volle il giorno Alla sua porta mi trovò con fresche Ciliegie primadcoie a verdi fronde Intreccia le da me! Che niarlir, fjuando A lei parlare iu non polca! Le porle iS6 E le finestre allora io coronava Di seltaticlie vili, e ci' altri rami » Cosi quand' era desta, e pei cancelli Miraudo empiea di nova luce il mondo ^ Conoscea tosto j che vegliando fuori Stava V amico suo. Non Lai veduto Come gemendo il can la porla fere^ Se il suo padrone a diserrarla c lento? Tal era io pur, uè meo leale e fido^ Ed anche aUor, Montano mio, die F uscio Trovava aperto oltre alla mia speranza j Er' io pazzo di gioia, e mille io dava Segni di fido amor. Che dirò poi Di te, hen mio5 quando (e sì spesso avvenne) Ble steso al suolo ^ e a dolce sonno in Jjraccio Tra piante ombrose inghirlandar ti piacque Di rose c gigli 5 come vincitore In trionfo d'amor? Io mi destava5 E correa tosto vincitore e vinto Di te in traccia, mio ben, che t^ eri ascosa o Negar tu aUor solevi, e far V ignara, Ma su le lahra li spumava il riso, lignevi di porpora le nevi t: JLi Del Toko tuo Yergoghosetta e bella. Felici ore beate! O come or tutto Cangiò d' aspetto ! H mio crudel destino Dalla mia dolce Albania mi divide, E pili pace non lio. Montano amico j Quanto più grande è il bea5 tanto men dura. TRATTO DELLA EPISTOLA Al doMor Gregorio de Angnlo» . ensa, eh' ci crebbe sol per esser tronco D'impresa armato gentilizia 5 e trarre Immobil yita raccogliendo il frutto Delle non sue virtù; nato ei si crede Ad empier di pernici il nobü ventre 5 E di purpurei pesci j a dilettare L' odorato gentil con ambra pura , A eigner con finissime d'Olanda Tele sue carni dilicate, illustri, E d'arazzi, di marmi e di pitture, D' oro 5 d' argento e d' abbaglianti gemme A pascer gli occhi suoi: tien egli aperto L' orecchio al suon di lingue adulatrici, Suon dolce lusinghier: Signor^ tu sei .Nato solo al piacer^ tutto a te lice. Però seduto a mensa, e vezzeggiato « Da scaipestrate femmine V eroe Senz' alcali frenò crapulando ingola l'ictati cìIjÌ, ed ogni legge oblia. O tu die il senso bai giù fallo tuo nume, E senza slilla di sndor li nulri Del pili candido pane 5 e il vin tracanni Gou aroniaii misto, apri ima volta Gii occfii deirinteileito, ed il tuo nulla Vano mortale, e i tuoi dover conosci. Non ti die culla il Ciel^ die polca farli D' origine volgar, non li diè culla Nobil perchè tli tue dovizie avaro Fossi con la virtù ^ prodigo ai sensi ^ Ma ben perchè tu rasciugassi ii pianto Degl' infelici, e perchè in te ritrovi Il misero onest' uom V amico e il padre. Non è tuo merlo il nascer tuo (che tutti Saremmo cavalier), sol tue son l'opre. Però con servi a capo ignudo e chino E in mezzo a' dromedari ed elefanti Mostra fa pur di te; no, non sarai Degno d' onor, s' hai di virtude inopia ^ E le stellato d' aspre gemme, e il petto j Come lampada ia tempio, fìammeggiaate Ammiri pur de''tuoi ministri e paggi Lo stuolo adulator che ti circonda^" Noi se il tuo core in ben oprar s' appag Te iiobil chiameremo te saggio e santo^ Se no, co' bruti avrai comuii la* fama. ^ ìQÌ li- hi morto di Baldassare Elisio Mcdiuilla. ^e di duol Tersi 5 amistà pura 3 e pianto Desser vita agli estinti, i rai dèi giorno, ' I dolci rai- tu rivedresti? o mio Elisio sventurato! e questa5 o caro. Alma 5 elle sì t' amò ^ fede Leu mena » Dallo spirto divisa in poca polve Si volge 5 oimè ! la tua corporea salma : Più nou t^ ascolto, non ti veggo, e tronco È il dolce conversare Ma la crudele Blorte tutto non può. Vivo, e presente Sempre all' anima mia, caro 5 pur sei. S' offrono a me le tue si belle, e tante Virtudi ognor: no 5 di dolenti carmi La tua memoria, o sol dei nostri colli. Non rimarrà senza il dovuto onore. Ma lasso me ! D' oscura nebbia ingombra La mente ogni arte, ogni sapere olJla, Nò fo che lagrimar. Cred' io, che quanto Del mìo int(?lletto uscia, fosse tuo dono, Poi die pili senza te non s' erge a volo 3 E con incerta man tento le corde Della mia cetra. Ali! licn avrò la taccia Di barbaro cantor g ma. non già quella Di scarso duol questo mio core amante 5 Che qual figlio educò te, dolce amico. Presso di me crescesti: io fui, che vidi Fuor del tuo sen nel primo fior degli anni Celesti uscir febee faville, e meco Ti volli, Elisio mio. Con quanto ingegno, E con che dolce melodia soave Tu giovinetto ancor V arte emulando DelF arcade pastor l^artenopeo Fatto hai suonar le boschereccie avene! INe già r assiduo studio, e il grande amore Per le Muse -natie porre in nou cale Ti fov le greche e lo latine Muse, Anzi 11 conto natio da quelle avea Somma all'uopo lieltà, grazia e splendore. Tutte, qui tulle, o riuiemljraiiza amara! Empievi d' armonia le valli e i monti Col suon della tua lira; udir quel suono Del SI ricco d' umor Tago le sponde, E chi cantò Salizio e Nemoroso PaiTe allora d' udir. Quivi le belle, E più che avorio il seu candide ninfe, Tutte per te di gentil foco ardendo Stavano immote a' tuoi soavi accenti j Poi con voci alle,'e batter palma a pahna T' ergevano alle stelle, e glau tessendo Serti al tuo criu di trionfale alloro. Come r agricoltor mira con gioia 17 albero5 eh'ei piantò, fiorito e bello,. Nella stagion che il Sol col Toro alberga, žje virtù vien dalle infiammate corna, iiChe il mondo veste di novel colore; Così lieto io'men già, che si bel lauro Da folgore sicuro, e dall' oblio Del saper no, dell' amor mio foss' opra. M:i quando il plettro dal castalio coro Yolgesti a quel degli angioli sorgendo Fra noi divino Orfeo, quand' eri accinto T03I. IL . i5 A dir conceita senza macchia Impura. La Vergili santa, e incominciava il cantai , Della Bladre del Sol candida tiuroras Allor diss'io: Cbi più di me felice j Poiché più adorna di lucide stelle La lira è ornai d' Elisio mio di quella, Cui presso al Cigno T am^eo Sole indora ? 0 sublime cantor! Fur sì divini 1 pensierij le immagini, gli accenti. Che udendo celebrar la Diva loro, Grate al cantar le Intelligenze eterne Di fior colti lassù t^ offrir corone. O quante, oimè! quante speranze belle Bluoion col tuo morir! Quanti, oimè! danni Reca il subito fin del viver nostro! Spesso fra i' ombre della notte io chiamo Su le mie stanche iagrimose luci Il dolce sonno, e in seno a lui pur tento Depor gli affanni miei, ma iì chiamo invano^ Che al pensier t' offri insanguinato il petto, E si rintegrj. il duol: sovente ancora Yinio dal sonno al fin ti veggo, e sento Obe m^ additi piagnendo amaramente La ferita crudel: nè i rai del Sole Sgombran da me così funesto errore. E' talor 5 lasso ì delirando affermo, Che estinto non sei tu : m' alzo, ti chiamo 5 Ti cerco per le vie; ma il ver cHlegua Queslo inganno d'amor: tua morte è certa. Al piamo5 o.Mase5 riiornate« al pianto« TRATTO DEIXA EPISTOLA A D. Lorenzo Vaiiderhameu tic Leon. aso %^ogr io narrar, favola forse, Ma di moral non meozoguera adorna ^ r Che r uom presuntuoso a noi dipigne -Nel re di tutti gli animai silvestri Scontrossi un giorno la codarda volpe. Il vederlo, e tremar, raccapricciarsi. Restare immota singliioasando, e morte Legger negli occhi più che fiamme ardenii ., Fu un punto sol. Di ciò il leon s' avvide ^ E dello sguardo fior temprando il foco Slassi con maestade^ e lei non cura. Allora a poco a poco ricovrando 11 perduto respiro, ella di nuovo In lui s' afusa j ed ei irdte e cortese Di venire ìà suo lato le permette. A tale invito ogni timor depone. Con lui passeggia al bel pratello intorno. Ed or piena d'ardir narra suoi pregi 5 Ora del cupo insidioso Ulisse Pon r arti in opra, ed ei nulla risponde • Prende congedo alfin, ridendo in core Del re degli animali, e di sua possa. Poi che da lui partì non tocca e viva. Indi con altri vili al par di lei È lama elio vantarsi ebbe ardimento, li il leone infamar, gridando forte; Quegli è dunque il leon, che si feroce Si pigne a noi? Quegli è il leon che tuite Fa le belve tremar con T unghie orrende? Dove in lui son di regal dritto i segni? Dove le zanne invitte? Io so, ch'egli ebbe Di me timor: so che ne andammo a paro Pel verde prato favellando, o sommo Disinganno per me! Quanto minori Viste da presso son le cose! Io stolta Mi credei vile al paragon, ma in vero Di saper, d' armi e di valore il vinco. Tali Ira noi son pure i detrattori Di leone magnanimo, d' uom grande. igS Che d'ammai i^ìllssinii non ciira^ E cosi pur, cred'io, Francesco nostro Per non maccluar d'aLbietlo sangue il ferro. Alle misere volpi la perdona. TRATTO DELL- ODA II Delia Btzrckctta in morte di sua ino:! li e orse avvenne giammai che giuoto al lido Con la barchetta mia^ quando la notte D' ombra ricopre questi monti, io pronto Hon fossi ad offerirle i pesci in dono? Tutti io gli offersi a lei 5 non già ri" Entro lucido argento ^ eh' io mi sono Un poverelj ma in rustiche fiscelle. m ver 5 pur quanao msieme il cor 5 F argento è viìej E pili che gemme fra due cori auianli L'ignuda verità si pregia ed ama. Oimò! morte crudelj con egual piede Premendo5 come suol, torri e capanne^ Rapilla, e stese eterno velo sopra Le sue pupille verdeggianti e belle. Come F Iride in del : sopra quei limii ^ JAtO Il cui soave riso anima a vita Non da lloeiiza avca, ma da sdentile, Amaljlle uiifsià. Cliiikse, oimò! chiuse' Son le suo lahra lìt-l silenzio ciorno; E Fiisjgnuol. che in allò suon gorgheggia 5 Più melodie dolcissime da quella Angelica sna voc(> non impara. Io dir non so, bellissima Amarilli, Onal sia la sorte nostra, e di noi due Chi viva, e chi mori; talor mi credo Che fra noi cambio d' ajùme seguisse In quel tuo dipartir, però che panni Viver con Talma tua. Su queste arene Con occhi lagrimosi il tuo bel nome Per alleggicire il duol vo ripetendo, E m' accompagna con suo flebil eco L' onda che frange nell" opposta sponda ; Jfe v' 0 già rupe qui d' intorno, o scoglio s . Che non sappia quant' e mia pena acerba. E non senta pietà. Foche e delfini. Ergono al suon de' miei dogliosi accenti r acque il capo, ed a lor volto, io dico : Hon istupite che sospiri 0 pianga marinaio a voi sì noto ^ e cìi^ era Lieto tm tempo cosìg quel che agir studü^ Benché povero, intese5 e dalla Fama5 Come insigne cantor ^ n^ ebbe in mercede Serti d' alloro al crin, Tinto ed oppresso Or'' è dal peso de' suoi mali e eigne La fronte umil» di lugul>re cipresso. Misero! da clii tutto era il mio bene Congedo estremo ebb' io ; presente ognora Ho quel punto fatai: questo sol regna Pensier funesto, ed è il mio. viver mortec Jer la mia cara cetra infransi ad uno Di questi salci | si • quella ond' uscio Suon alto e vivo pei famosi eroi, È flebil suon per - gl'infelici amanti. Lo sepper gli altri marinai, nè senza Me con ira sgridar, qua! raccogliendo Ya i pezzi sparsi, e ricomporla tenta, (Ahi! con clic pro, spento il mio bene, a cui Sacrai le corde del sonoro legno?) Qual versi le compone, e qual per tema Non pie la calcili, T appende ad un ramo jy uno di questi gelsi, che di due Miseri aiiKiutl il crudo fin riinenilira« Ma ogni arte è Tana, onci' io ponga in oblio Così rara beltà; col pianto amaro, Gol pianto solo ai detti altrui rispondo j E pria che r alma mia si riconforti, S'miirà il Tel)ro al Tago, il mite agnello Scherzerà con la tigre, e dell'Invidia Lo strai non ferirà 1' uom dotto e saggio. Piagner tanto* vogF io, .che alfin disciolto Tutto in amare lagrime, cliiudendo Gli occhi mortali, a lei mi ricongiunga. O Sol, che mi lasciasti, e quando fia Ch'io ti rivegga, e in te si specchi e bei Questo mio spirto? Deh! a me volgi il guardo. E del tuo sposo, oimè! misero e solo Deh! ti prenda pietà. Ma che diss'io? Tu in Cielo hai pace sena'alcun affanno« E del mio vaneggiar forse tu ridi. D' A L T R I POE T.J APPARTENERTI AL SEGOLO XVI Alfonso di Hercìlla pubblicò il suo poe-^ ma deìY jdmncana in ottava rima nel i5'j7. Descrive in esso la guerra degli Spagniioli con gli Araueam, nella quale egli stesso intervenne combattendo • Il poema è per dir vero istorico 5 ma ha de' bei tratti. Fra questi si distingue il ragionamento del veccliio Colocolo per far cessare la discordia ne' Cazichi Arancani} e non è macchiato di quei difetti di stile 9 che in seguito con'uppero; la buona poesia. Giovanni di Sedenno pose in versi, e pubblicò Tanno 164o in Salamanca la famosa Celestina^ ossia, secondo il parere di Velasques, tragi-commedia di Calisto e Melìbéa, eh' era scritta in prosa. Il primo atto viene da alcuni attribuito a Gio- vanni dì Mena j da altri a Piodrlgo Cola, e tutti i seguenti a Fernando di Roxas, In quesla commedia vi sono descrizioni si vive, o tali che non si potrel)bero esporre su le scene senza offesa del buon costume. Del maestro Fernando Parez di Oliva, die morì negli anni i535 o 5/j 5 vi sono due tragedie scritte in prosa secondo le regole e il gusto greco, intitolate: La vendetta di Agamennone e la Ecuba triste. Fra Girolamo di Bermudez sotto il nome di Antonio de Silva pulAlicò nel 1577 ^^^ tragedie, Ä'ise lastimosa e Nise laiireada^ delle quali park con molta lode D. Agostino di Montiano nel suo primo discorso sopra la tragedia spaglinola. Con eguale stima parla egli di Giovanni de la Gueva, il quale nel i588 pubblicò quattro tragedie ^ e sono: Los siete Infantes de Lara^ la muerte de jijax Telanion^ la muerte de F'irginiag j Ap" pio Claudio j f el Principe tjrano, Lope de Rueda poeta comico fu il primo a dar f qualche forma alla commedia, componendo e rappresentando egli stesso commedie e colloquii, che furono pul>blirati da Giovanni di Timoneda Panno i56j} e sono: La Eufemia^ la Armelinas la de los ÉngannadoSs la Sfedora^ òd alcmii intermezzi. A Lòpo di Rueda successe Cristoforo di CastUlejo, il quale compose felicemente alcune commedie, I>en-che alquanto licenziose j e tra esse la Costanzas die si conserva manoscritta nella lil^reria delF Escurial. Contemporaneo fu Bartolommeo de Torres Na-» liarro, che compose otto non ispregevoli. comnic-die, la Serafina. la Tropliea» SoLIadecca^ la Tinelaria^ la Imeiiea^ la Jacinta^, la Calamita^ Giotaiini de la Cueya con le sue commedie pubblicate nel i588 unitamente alle tragedie migliorò F artifizio della commedia ^ e col suo dolce ed ele^ gante verso nobilitò le teatrali rappresentazioni. Gasparo Hernandez di Yelasco meritamente è stimato per. la sua traduzione della Eneide 5. e della prima e quarta egloga di Virgilio, come pure per la traduzione del poema di Sannazzaro de partii F'irgìnis. Giovanni di Guzman tradusse elegantemente le Georgiche di Virgilio, e la decima delle sue egloghe, Gonzalo Perez è assai rinomato per la traduzione dell'Odissea di Omero. Le Metamorfosi d'Ovidio sono state tradotte assai bene da Antonio Perez Sigler, da lì. Pietro Sayns di Vinna, da Luigi Hiirtado , da Filippo Mey « La Coimuedia di Dante fu tradotta prima da D. Enrico di Villena, poi da D. Pietro Fernandez di Villcgas. Remando di Hozes fece la versione dei trionfi > del Petrarca. Salusque Lusitano tradusse le poesie del Petrarca fatte in vita di madonna Laura, Dell' Orlando furioso vi sono duo traduzioni, Vuna di Ferdinando di Alcozèr, l'altra di D. Girolamo di Urrea. Del Pastor fido di Guarini vi sono altresì due traduzioni, l'una di Cristoforo Suarea di Figuerra, r altra di D. IsaLel di Correa. ' Da Giovanni di Ledenno IVi tradotta la Gerusa-lenìme di Torquato Tasso. Eccellente è poi la traduzione dell' Aniinta dello stesso Tasso di D. Giovanni di Xauregui. Cristoforo di illesa tradusse felicemoìiie le eglo-hIìc di Viridllo, e le Geori»iclìe, o foro inoltre Li Ö o ' O ' traduzione di tutta l'Eneide in ottava-rinVa- DELLA. POESIA GASTIGLIANÄ r VERSO TiA FIKE DEL SECOLO XVI S PER TUTTO EL SECOLO ra i corruttori della poesia castigliana, e spe« sialmente della lirica ^ occupa uno dei primi luoghi D. Luigi di Gongora capo della setta intitolata dei Colti, Egli nacque Fanno i56i , e guastò i! buon gusto verso la fine del secolo svi e nei se-' colo'XVII con affettata oscurità nei pensieri, sotti-giiezze, antitesi 5 gonfiezza di stile maneggio di frasi del tutto nuovo nella lingua castigliana» L'altra setta detta dei Concettisti^ benché non imitasse Gongora neUa oscurità, faceva però essa pure consistere la bellezza dello stile poetico in ricercati concetti^ affettale acutezzej metafore; a iperboli stravaganti, autkesi, equivoci, voci o dausole brillanti e sonore. Ma nella gran turba d'autori niaccklati degli accennati difetti convien fore onorata menziono di D, Luigi di Ulloa Pereira buon poeta spczialuiente nelle decime, e nelle terze rime,, e di ire altri poeti, che appartengono al secolo xvir, bencliè non immuni cìii più, chi meno in alcuni dei loro lavori lirici dal contagio del secolo. Questi sono D. Francesco Gomez di Quevedo, Stefano Manuel di ViUegas, il conte di Rebolledo,i quali tutti, benché nati verso la fine del secolo xvi, furono autori soltanto nel secolo xvn. Quevedo fu uomo dottissimo, e scrisse molto m prosa ed in verso . D. Gioacliino di Ibarra fece una bella edizione di sei tomi in 4.® delle di lui opere Fanno 1772 in Madrid, e sono ancora assai più quelle die rimangono inedite, Scrisse molte poesie liriche in varii metri, scrisse molte satire, e fece traduzioni di autori greci e latini, fra le quali si possono chiamare due poemi didascalici precettivi le felici traduzioni di Epitteto e di Fo-cilide. Vìllegas fu poeta fornito di molta grazia e ar-ìiiODÌa. Oltre alcune odi originali, ele^e e satire Yi sono eleganti sue traduzioni di Anacreontej di Teocrito, di Orazio, di Catullo. Merita poi somma stima la traduzione di Boezio mista di prosa e di verso. Tentò egli di scrivere il castigliano coi metri latini, e riuscì assai Lene in alcune odi saffiche. Delle di lui opere fu fatta una nobile impressione in due tomi in 8." da D. Antonio di Sandba Fanno 1774 ^^ Madrid. Del conte di Kebolledo, uom:o'versatissimo in ogni genere di studii, furono impresse le opere in quattro volumi in Fanno 1778 dallo stesso D. Antonio di Sanclia. Comprendono detti volumi le poesie liriche, la Selva danica ^ eh' è un poema genealogico dei re di Daniniarca, la Selva militar e politica, opera magistrale nel suo genere, essendo il poema didattico più celebre e più utile che abbia la Spagna, e finalmente le belle traduzioni dei salmi di David, del libro di Job, e dei treni di G eremia. Parlando poi del teatro spagnuolo è da notare, che verso la fine del secolo xvi, e per tutto il.se- TOM. ir. 14 colo svii la nazione spagnuola amava con irasporlò le dramniàdclie rappresenlazioni, desiderava sempre cose nuove j ed il teatro formava la sua maggiore delizia, Quindi gran numero di scrittori per il teatro 5 eh' era una fonte sicura 5 onde soccorrere alla loro indigenza. Cervantes il celebre, e sempre povero Cervantes verso la fine del secolo . xvi compose da circa trenta commedie, che non furono impresse, ma in parte con applauso, com'egli dice, rappresentate, e si dee credere, che poco si allontanassero dalle regole dell'arte. Lo stesso Cervantes nel prologo alle otto commedie impresse nel 1615 in Bladrid, tendenti a porre in ridicolo i cattivi ' autori di commedie, come avea posto in ridicolo i cavalieri erranti (secondo ciò che osserva r autore della Dissertazione sopra le opere teatrali, che ne fece una nuova edizione Fanno 1741), fa onorata menzione di Lope di Rueda, e dice ch'erano allora assai semplici è naturali le commedie: che non vi erano ingegni per macchinismo, non disßde fra Mori e Cristiani a piedi, o a cavallo, non persone che fuori uscissero, o sembrassero uscire dai centro della terra - nè discendevano allora dal cielo àuH con angeli5 o con anime. Di fatto verso la fine del secolo svi Cristoforo di Yii'ues cominciò a farsi lécito di violare tutte le regole ne' suoi drammi, e nel tempo medesimo Lope di Tega s'impadronì del teatro 9 e regnò finche visse . Fu vera-Hiente grande sfortuna per la Spagna^ che Lope di Tega5 straordinario ingegno, sia stato costretto, com'egli dice, dalla povertà per mancanza di mecenate a scrivere alla giornata con precipizio, e contro le regole, avendo egli sortito dalla natura tutti quei doni a pochi mortali concessi, che formar possono un insigne scrittore in ogoi specie di poetici componimenti. Le commedie da lui composte, che sono state rappresentate, ed impresse, giungono al numero di mille cinquecento. Furono suoi seguaci Giovanni Perez di Montalvan, Pietro Calderon, Agostino di Salazar, Francesco Canda-mo 5 Antonio Zaniara, e molt' altri. In «pesto xvii secolo non si son dati gli autori il pensiero di separare la tragedia dalla commedia. Una gran parte dei componimenti, drammatici sono una mescolanza di successi serii e ridicoli, di persone illustri e plebee. Vi sono drammi tratti dalla storia patria, da quella degli altri populi, dalla storia' sacra, dalle vite dei santi, dalla mitologia. Ye ne sono, che dipingono il carattere e i costumi della nazione^ e in tutti, o cpasi tutti interviene il così detto gra-Yi sono dranmii dove sì- veggono personificati i visii, le yìnìi, la natura, la grazia, e yarli oggetti allegorici, come negli Atti sacramentali dì Calderon, con Y intei-vento in essi pure del cosi detto grazioso. Peccano alcuni nel verisimile, o nel tutto del componimento, o nei casi ed avventure strane in esso introdotte, o nella dottrina, erudizione e sottigliezze non naturali in un dialogò, e molto meno se sono poste in bocca al Lei sesso, o alle persone Lasse e ignoranti. Peccano altri nelle tre imita di azione, di tempo, e di luogo^ ma particolarmente nelle due di tempo, e di luogo, ed in alcuni si sono notati degli errori di storia, cronologia e geografia. Ye ne sono anche parecchi, nei quali il troppo numero di personaggi produce non poca confusione. Si ammira però in'Lope di Yega la naturale facilita del suo stile, e ìa somma di lui abilità in molte commedie nel dipingere i costumi ed il caratteìre di alcune persone 3 si ammira iu Caldéroii iiüa nobile locuzione, e molta deste-ritk neir iutreeeio, spezialmente nelle commedie di Capa e Spadaj fra le quali sono degne di stima Primero soj jo ; Dar tiempo al tieinpo / Qual cosa es major perfecion^ De una causa dos éf-fectos s No hai burLas en el amor^ Los empen-nos de un acaso. Solìs non è inferiore a Galde-ron nella eleganza e nobiltà del suo stile, Di questo autore vi sono tra le altre tre belle commedie, La GitanilLa de 3Iadnd s J^l alcazar del Secreto / Uìi hobo haze dento « Meritano anche lode alcune di Moreto, e spezialmente EL desden con el desden. D. Antonio Zamora ne ha due scritte secondo le regole delF arte, e sono EL echizado per fuerza; EL castigo de la miseria, D. Giuseppe Cannizares scrisse vaiie commedie egli pure seguendo i buoni precetti, e tra quf3ste le due El domine Lucasj El musico par amor. Anche De la Hoz, e D. Francesco di Roxas ha delle buone commedie. Ma parlando in generale, il teatro spagnuolp di questo secolo e una abbondante miniera inesausta per tutti coloro, che vogliono applicarsi ai lavori deìhi draniiiialioa puOvsia - poienčiosi asserirò con verità ossero siali senili in lingna raslìgliana da dodici mille dramiiii. Di fallo i Francesi se ne valsero nelle loro protlusioni lealralij e molle grazie e lepidezze, die si lenirono per iuiniilabili in Moller, si trovano originali in Iloxas e in Morolo. La commedia D. Japhct da y/rnienìa è traila dalla spagnuola El maiyiws del Cigarmlß II Jodcdet düiY^nno criadoj Le chastiment de l'avance dal Castigo de la miseria ^ Les engageniens du ìia-zard di Tommaso Cornelio, da Los empcnnos de un -aceso j Le feint astrologue da El astrologo ßngidos 1). Bekran del Cigarral da Enlre bohos anda el suego di D, Francesco di Roxas: IJa-mour il la mode è El amor al uso di Solisi così La charme de Ut voijo h Lo fjue puede la apre-hension di D. Agostino iViorelo. Pietro Cornelio nel Cid prese da D. Guillen di Castro l'invenzi()-ne, e molti pensieri e molli^ ed in Italia ancora nel già scorso secolo decimo ottavo, per tacere dei tempi anteriori, il conte Carlo Gozzi compose sei drammi tratti dagli autori spagnnoli. E per dir rjn;dfive cosa intorno ai poemi epici 5 moki sono i poemi epici composti dagli Spragiiiioli nel secolo xvi e nel xvii, ma Farle e le regole dell' epopea non sono in essi osservate . Si è già parlato delF Arancaiia di Hercilla autore del secolo XVI. Al secolo xvrr possono appartenere 5 ed essere nominati con qualche lode il poema di Bernardo di Balbuena intitolato EL Bernardo, ossia Vittoria ih Roncespalles ^ La conquista de la Betica di Giovanni de la Cuevaj La Austriada di Giovanni Rufo I La Gerusalem conquistada di Lope de Vega. Di Lope de Tega abbiamo il poema giocoso intitolato la Gatomachia^ che supera tutti gli altri poemi giocosi composti in questo secolo dagli Spagnuoli, uj-jJj DELIA POESIA G ASTIGLIANA KEL SECOLO XVIII fome a* prlncìpii del secolo xvm comincisroiio gF ItaliaDi ad aprir gli occLi sopra la depravazione del buon gusto nelle belle lettere, e fecero ogni sforzo per liberarsi dal contagio, che aveano cagionato spezialmente le poesie del cavaliere Mari« ni, uomo che al^bagliò le menti col raro suo ingegno ^ e con la somma facilità di verseggiare j cosi la Spagna cominciò a scuotei'e il giogo, che le aveano imposto D. Luigi Gongora nelJa lirica, e Lope di Voga nella drannuatica, il qiiale per l'inesausta sua vena fu chiamato dalla sua nazione monslriio de iialuvaleza ^ ed ebbe suo seguace fra gli altri D. Pietro Galderon compositore egli pure di drammi, e violatore egualriiente di tutti i precetti dell'arte. Il primo che in Ispagna ebbe il coraggio di far la guerra al mal gusto, fu D. Iguazio Luzaii, che con riusigiie sua opera iutitolata la Poetica ^ ossia Ilegale della poesia in generale ^ e delle sue principali spezie^ impressa in Saragozza l'anno 1757^ espose con somma erudizione e dottrina tutti i precetti dell' arte, non già aridamente, ma da gran filosofo e conoscitore del cuore umano 5 e chiamando a confronto vari lavori delli sopra indicati poeti, ne dimostrò le stravaganze, e quanto si allontanarono dalla imiuizione della natura. Dopo di lui D. Blas Nassarre, nella dissertazione sopra la commedia spagnuola, che precede la edizione delle otto commedie di Cervantes fatta Fanno 174.9 si scaglia contro Lope di Yega, e Calderon 5 e con solide ragioni si adopera a ristabilire la J}uona poesia. Tenne poi il signor D. Agostino di Blontianoj il quale pubblicò neiP anno 1765 in Madrid due maturi discorsi sopra la tragedia 5 ed inoltre compose due'tragedie la Virginia e V jitaulpho. dove sì veggono esattamente osservati i precetti F arte. Anche i Gesuiti nei loro collegi fecero rappresentare alcuni piccioli drammi composti secondo le regole, come furono il Giuseppe, il Gionata, il Filottetej il I), Sancio d'Al)arca. Kè deve rimanere senza la dovuta lode V eruditissimo D. Luigi Yelazquez, ohe nella sua opera intitolata Origine delki poesia castigliana dichiara egli pure francamente la guerra al mal gusto. I lavori di letterati sì egregi non poteano rimanere 9 nè. rimasero senza frutto | ma conservandosi ancora presso il volgo in cieca, si può dire, venerazione gli Atti sacramentali di Galderon, T artifizio de' quali si riduce a formar un' allegorica rappresentazione sopra il mistero dell' Eucaristia, e si davano al publ)lico con istraordinaria decorazione, D. Nicola Fernandez di Bloratin- con tre discorsi intitolati Disingajmo al teatro spagnuolo sopra gli Atti sacramentali di CaL ìeron ne fece conoscere la strana orditura, e iì scnmo danno alla religionej e bisogna dire, die tali discorsi abbiano prodotto r effetto, perchè nò i detti atti, uè ì drammi sopi-a le vile dei santi si videro comparire ia appresso sopra le scene. L'' autore di questi discorsi fece aucìie prova di se nelle due tragedie Liicreziec^ e Ormesinclus e nella commedia la Petimetnis attenendosi alle buone regole a Gosi %ccro D. Ignazio Lopez di Ajala nella Numanùa distrutta^ e D. Vincenzo Garcia della Huerta nella Rachele. Godono ancora molta stima il D, Sancho Garzici di D. Giuseppe Cadalso. il D, Garzia di CastiUcis e V jinna Balena del marchese di Pala-ziosj così V Idoimneo s la Contessa di Gastlglia, e la Joraide di Gienfuegos ^ e il Pelagio di Quin-tano: delle quali tutte fa onorata menzione il letterato inglese, che scrisse recentemente la storia della rivoluzione di Spagna. Kè mancano scrittori di regolate commedie, fra le quali et Sennonto ìììimadò^ e la Senoriia inai crlada di D, Tommaso Yìiane, ossia il Giomne aocarézzato, e la Figlia mal educata: El Plejo y l^ Ninna^ ossia il Vecchio e la Ragazza dell'ab. D. Leandro Moratiu figlio del sópra indicato, autore di pareccliie altre conmiedie di oilimo guslo. Blolto poi sono le traduzioni in easlbliano delle tracredie francesi, ed il signor Olavidezs, già mtendeiite in Siviglia, varie ne fece tradurre, o ne ha tradotte egli stesso non solamente, ma formò una compagnia di abilissimi attori spagnuoli ^ die si fecero udire anche nel teatro della villa reale del Pardo con ammirazione generale , perchè spogliali di tutti i difetti nella voce e nel gesto, de' quali erano, per vero dire, giustamente accusati gli attori spagnuoli. Furono inoltre tradotti, e si rappresentano i drammi del Me-tastasio, e molte commedie dell'avvocato Goldoni, di Molier, e d'altri valenti comici forastieri. Hanno poi avuto^ gli Spagnuoli in passato, ed hanno ancora sue proprie, ed eccellenti le commedie in prosa di un atto solo dette Sajnetes^ nelle quali rappresentano i caratteri della classe inferiore della società con tali lepidezze, e cosi al vero, che niente di più si può desiderare. In altra spezie di lavori poetici^ cooperarono i seguenti a ristabilire il buon gusto. D. Giuseppe Cadalso sotto il nóme di Yasquez, autore della graziosa operetta lös Erudito s a la i'ioleta^ pubblicò le sue poesie liriche in continuazione do los Eni" ditos a la violeta; D. Felice Maria Samarsiego le sue fsTole morali ad uso del Seminario di Biscagliaj D. Tommaso Yriarte il Poema della musica, e le Favole letterarie s Tab. D. Francesco di-Salas il suo Ossermtorio rustico j D. Diego Antonia Re-jon di Silva il Poema sopra la pittura; D. Casimiro Gomez de Ortega professore benemerito di botanica nel giardino reale di Madrid puljblicò le sue poesie latine e castigliane di buon sapore nel-r una e nelF altra Imgua. Poeti altresì di ottimo gusto sono D. Gasparre Melchior di Jovellanos j ed il soprannominato D. Leandro Fernandez Moratin. A D. Giuseppe Cadalso^ ed al signor D- Gasparre di Jovelianos deve la Spagna il suo Anacreonle nella persona di D. Giovanni Blelendez Yaldes^ come egli stesso dichiara nel prologo delle sue poesie impresse in TaUadolid Fanno 1797$ dicendo essere ad essi debitore del suo amore aHe belle lettere 5 e del buon gusto. Finalmente il signor D« Pietro Mqutengouj già celebre per i tre ì^omanzi V Eusebio ^ la Eudoocia^ e V^ntenore^ come pure per la sua Arcadia5 per le sue odi, e per il poema epico D, Rodrigo^ lo sarà ancor più per molta altre opere inedite in prosa e in verso 5 e tra queste per due poemi epici, T uno la Perdita de la E" spannch l'altro la Conquista del Bleuoico^ e per la traduaióue della Gerusalemme liberata del Tasso. Ed ecco come le umane lettere in Ispagna riprendono quella bellezza e quella grazia, di cui erano I adorne nel secolo xyi. PREGI SINGOLARI DKLL' IDIOMA GASTIGLIAKO può dir francamente 5 che Y idioma casti-gllano è pieno di maestà, di gras'ia e di pieglie^ volezza per ogni genere di siile. Quanta siala ricchezza delle sue voci ne può far fede la real ac-eademia della lingua stessa, la quale dopo aver pTLibblicato il dizionario di sei tomi in fol., si trova per le posteriori osservazioni con una ricca suppellettile di vocaboli da aggiugnere nelle nuòve edizioni . L' autore del Poema sopra la musica nelle note al poema stesso £ xxx fa conoscere ad evidenza r armonia di tal lingua, dimostrandone la soavità e la varietà, dalle quali nasce la vera armonia . Prova egli la soavità con Y abbondanza delle vocali, poi col suono chiaro di esse, non essendovi nella lingua vocali mute, o di misto ed ambiguo suono j inoltre con le teriuinazioni delle voci ^ o in vocale, o nelle consonanti più grate| e trovo vero in fatto ciò eh* egli dice sopra la pronunzia arabica della lettera / (e alcuna volta della g e della a?), cioè che suol essere fatta soaTC da chi parla bene in Castiglia, e se ne può ancora evitar la frequenza # con molta facilita da chiunque scriva poesia per uso della musica » Prova poi la varietà col vario mimerò delle sillabe, die formano i vocaboli^ perchè cominciando dal monosillabo si va fino alle voci di midici sillabe j e le pia al3]>ondantl sono le più atte al verso, cioè quelle di due, tre e quattro, e con la varia positura degli accenti, i quali cadono su Fiddma, penultima, antepemdtima, e sopra le altre due, che precedono, essendovi per conseguenza vocaboli di quattro brevi; e finalmente con la moltitudine delle diverse terminazioni, che sono da tre mille novecento, senza contare le sdrucciole, la quale diversità di sillabe finali deve mirabilmente influire nelle sonore combinazioni del numero poetico I e quindi il sig, Yriarte ottimamente iaferisce. la grande armonia delia lingr.a casflgliaua. Infatti essa è capace di tutti i nietri della italiana, che si riguarda da tutte le nazioni come la più atta alla poesia ed alla musica: e se i Francesi e gF Inglesi confessano essere raro pregio deDa lingua italiana la nobile e graziosa versificazione senza il soccorso della rima, cioè coi verso- die chiamasi sciolto^ eli'è più atto di qualunque altro a porgere senza violenza le immagini, e ad esprimere tutti gli affetti; si accordi la stessa prerogativa aUa lingua castigliana g e se ne abbia una prova fuori d'ogni eccezione nelle belle traduzioni delF Odissea e della Eneide, e in alcune altre| anzi si tenga per certo § che il verso sciolto castigliano maneggiato da penna maestra deve riuscire più maestoso e più forte del verso toscano per la gi'ao copia delle differenti terminazioni. Chi poi desiderasse di conoscere tutti i metri, che usarono i Castigliani avanti e dopo la introduzione dei metri italiani, potrà ricorrere all'-i^/te poetica spagnuola di Giovanni Diaz ReugifOi impressa in Salamanca nel iSga, in Madrid nel 1644, e in Barcellona nel 1727. Sono tutti adattabili alla lingua italiana tanto nel numero delle sillabe di ciascun verso, quanto neUa quantità dei versi stessi^ e iieUa collocazione delle rime. TUM. II. JL Castigliaoi usano due modi diversi di rimare « Rimano coi coosonauli, e con gii assonanti. Il consonante è la rima, perfetta, cioè il vocabolo similè aU^ altro nelle ultime vocali o nelle lettere consonanti, come proLe^ ^uolßs parole s eroig pois suoi: e questa è la rima commie agli Spagnuoli^ e agli Italiani. L* assonante è il vocabolo simile alF altro nelle vocali della penultìiiia ed ultima sillaba solamente con la differenza delle lettere consonanti ^ come abìia » santa ^ sacra, amava / oro ^ torto » sposo; arte s pace 3, sale: primavera ^ fredda ^ neb-bia^ secca^ terra: e questo modo di rimare non è conosciuto dagl' Italiani g ma usotissimo dagli Spa-gnuoli con versi di qualunque misui-a, spesialmente nelle commedie col verso di otto piedi, nelle cannoni, ossia odi col verso di sei o di sette piedi, e col verso di otto piedi nei cosi detti romances^ B primo verso e il terzo d* ogni quartetto sono liberi, il secondo e il quarto hanno F assonante. Continua poi quel medesimo assonante per tutto ü tratto della composizione. Scene intere nella commedia sono bene spesso sotto un medesimo asso-aante, e le indicate odi^ e los romances conservano sino al fine F assonante medesimo, né si permette F unire insieme i consonanti con gli assonanti. Gli Spagnnoli hanno avvezzato da molto tempo F orecchio • al verso di otto piedi accompagnato dal perpetuo assonante nelle commedie, ma difficilmente si adatterebbero gF Italiani nelle loro commedie ad una legge così rigorosa, potendo far uso in essi del verso sciolto con ottimo effetto. Le composizioni però di non lunga tratta ^ come sono le odi col verso di sei o sette piedi, e i così detti romances col verso di otto maneggiati con F assonante, riescono graziosissime nella lingua castigliana quando sono scritte da penna maestra j e se a qualche Italiano, dopo aver lette le poesie iu questo genere di D. Giovanni Mebudes TaldeSy uno dei ristauratori del buon gusto nella poesia castigliana nel secolo vai, sorgesse nelF a- ninio il bel pensiero di emulare con F assonante i italiano così gentile poeta, avrebbe il singoiar merito di aggiungere ai verso nostro una ' nuova gra-tissima melodia. CANTO PROEMIALE Ad una raccoUa di poesie di Autoii iendinaresi < r che5 un secol già corso, il dolce giorao Totiyog illustre 5 e pari a quel sen Tiene ^ Che feo di serto il Simulacro adorno. Spogliatevi le immagini terrene ^ E celebrate la nostra Regina § Almi canior di queste me amene. ^ Dal Cieì discende 9 e origine divida Tanta la Poesia : mal fa chi al suolo Quel foco animator volge è declina. Ergiti ornai su V ale, amicò stuolo ^ Sopra le nubi il vivid' estro ascenda j E là5 dond'ei partì, drizzi il suo volo. Non fu dato al mortale, onde a dir prenda Di duo nere pupille, o d' auree cìiiome, E d' umana beltade i cori accenda ; Ne per le imprese celebrare, e il nome, Se ben addentro il vero si discerne^ D'ttom, che col brando le provincie Iia dome^ Bla perchè volto alle rote superne Ganti di lui, che bea gli spirti in Cielo, Svegliando amor delle bellezze eterne. E per cantar d* anime aauta il zelo Degno ben d' altro che di bronzi e Biarmi ^ • Mentre fur cinte del corporea velo. I padri antichi non gli aniori e i armi ^ Ed i vani piacer del Biondo errante Facean materia di sublimi carmi j con bocca infiammata, folgorante Risonar fero ne* lor canti Iddio Facitor, redentore e giudicante« Nè quando si struggevan di desio, Che piovcjsser le nubi in terra ü Giusto di canto senza onor sen Ch'essa, della jesséa radice arbusto. Sul labro ior fatidico, verace Fu pur sulibietto di tai carmi augusto HOf dì Pindo non irién (Grecia è mendace}, Ma dal del Poesìa s quivi è suo regno $ Quivi trionfa nell'eterna pace» E qual lassuso di salir fia degno, Yedrà che questa, onde ii mortai si yan^. Non è se non di quella un pieciol segno. Ivi la turba innumerabil" santa Dei lieti Comprensor, quanto il Cid gira, Al suon di mille e di mill' arpe canta Cantano lui, che se medesmo mira. Il Figlio, che mirando egli produce, E il divo Amore, che d^ entrambi spira; Cantan, come dai seggi almi di luce Precipitaro nel profondo esiglio Gli angiol rubelli, e il temerario duce; Come, poi che il già dato empio consiglio Schiavo ad essi fe l'uom, mosse dal Padre, E venne in teiTa a scior quei lacci il Figlio j E delle immense armonizzanti squadre NegFinni d'ineffabile dolcezza Suonar s* ode Blaria, l'inclita Madre. Dunque tu pure il basso suol dlsprezzàs, O stuol devoto alla grau Diva e fido 5 E siali tuoi versi vaghi pur d' altezza. * Risuoni, o stuolo amico, il patrio lido Delle sue lodi, ogui altro oggetto oblia^ Maria si cauti ; io già comincio, e grido ^ • Te fortunata, io grido, o patria mia, Se il caldo amor, die per lei imtri iu petto, Avvien che vivo eternamente sia! Amar tu non puoi già più illustre obbieitoj In Ciel non v' è beata creatura 5 Che sia più degna delF umano affetto e Tu Yergin ami immacolata e pura 5 . . In ciii r alte orme del divin valore Risplendon più che in tutta la natura: e figliuola in un del suo Fattore 5 DelF individua Trinitade tempio, Eccelsa Sposa dell' eterno Amore : Unica Donna al mondo senza esempio: Del misero mortai speme vivace, Terror del serpe ingannatore ed empio Questa dei Ciel meridiana face^ È da Dio tanto onorata e difetta 5 Che quanto piace a lei 5 tanto a Im piace • Il di lei volto sì a pietà F alletta ^ Che in mezzo all' ira gli cade di mano La spada akata a far di noi vendetta . He il fonte a lei, clie mai non .prega invano5 Dei divini tesor chiude, ed asconde U Onnipotente suo poder sovrano. Ma veggo io già, eh' ella a voi tutti i: Novello agitator celeste foco, O vati5 onor di queste amene sponde; Ed a' vostr' inni il canto mio dà loco. POEMA SACRO eauto li giorno ciopo anni cento 5 in cui voto si commemora dai LencHnaresi la incoronasio-226 di una Immagine di Maria Vergine seguita con istraordinaria magnificensa li 25 settembre délFan« ao 1695J fu composto daU^ Autore questo poema in quattro canti 9 in cui si rappresenta la incoro-2iazione di detto anno lOgS« Nei primo canto si mostra V origine del culto dì « V ■ n a J« 1 • TI» o o e tale lomiagme^ si narrano i di lei prodigj innanzi e dopo r erezione del tempio fabbricato F anno 16795 tra i quali quello della preservazione del paese dalla pestilensa, che nelFanno i65o afflisse F Italia 5 e che viene in questo canto descritta. Nel secondo si parla del voto d'incoronar la Immagine, che alcuni asserivano essere stato fatto iielFoccasion della peste, ed altri negavano, e della presa dcìiberasione d^ incoronarla ben tosto pel gran ierror che recarono i terremoti deW&xmo 1694 @ 1695, del quale fiagello si offre parimente k de-sciizione. Il terso rappresenta F ardore del popolo oelF adornare il tempio 5 le strade e k piazza per F oggetto di detta iiicorouasione ^ espone F apparato dei tempio s e descrive k processiooe^ in cm fix portata F Immagine. Ii quarto dipinge k forma magniSca e trionfale della piazza 9 tutta tendente a significare k santità e grandesza di Maria Tergine 5 e la sublime orditura della nostra divinissima Religione, e eliiude con la incoronasioKie del Simulacro. un porteutoso simulacro santo, Glie imuiagiii è della Sladre di Dio, E d* uoa fonte a lui tieina io canto j come m ^esto suolo* a me natio Destò con regal pompa mera¥iglia, [O incoronando il popol pio a me, gran vergine, le cigJ E il vero di tue glorie ordin m' addita Teco la debil mente si consiglia j ih seguirà, pur cae dal bieio aita Benignamente, o Vergine, le porga, riman tosto senza te smarrita. L'Adige altero, che dalF alpi sgorga, E bagna Trento, e Verona divide, Quasi brami FEridan che Io scorga Verso il mar d'Adria, e al ila del corso il guide, Da "Carpi iusino al mare gli si accostai E in lìiezzo opimo suol frondeggia e ride® Due vìyì, figli suoi5 Tira deposta (1)5 Partono la gran valle 9 e sulle tue Sponde, Adigetto, Lendinara è pòsta. Or, più che altrove, qui versar le sue Grazie di Paradiso si compiacque Colei 5 che figlia del suo Figlio fue, ■ • un simulacro santo, die si giacque Giù per molt^ anni negletto ed oscuro j Ma conósciuto5 gran culto ne nacque» Sowa mal concio, e mal costrutto muro Ne'prischi tempi umile e' si sedea Dinanzi al tetto d^ un uom santo e puro Al pio cor di costui forte dolea ^Yeder su poche pietre ruinöse Starsi r Immago della nostra Dea, E quindi pien di buon voler si pose Tal seggio a far più valido e più-hello, ggio a lui caro sovra tutte cose. Ma nel dar opra al b^o lavor novello, Ei d'acqua ih vece (o prodigio stupendo!) Attinge sangue dal vicin ruscello. Ond' el per tema indietro rifuggendo Stupì, siccome i Galüei stupirò Yolta in nero Iìcof F acqua vedendo ^ Poi qua e là corse pubMieaado il miro Couvertinientoe sì il grido ne sparse. Che venner genti, e vider ciò che udirò. Anzi trovar con laeraviglia scarse Le voci della fama^ che non solo L'umor vedeasi rubiconde farse^ Ma delF acque sanguigne a un spru^so solo , Qual nell'onda probaticaj salute Tosto aveano gF infermi a stuolo a stuolo 0 Ed era in esse tal forza e virtute , Che vista a' ciechi. e moto a' storni. e sciali Donavan lingua alle persone mute.. L^immago intanto, o Ciel! più d'una volta-. In guisa di chi senta e viva e spiri. Si fu al paese in dolce atto rivolta. Madre parea che i.caii figli miri i Taìor dagli occhi di pianto fu vhtSL Pioggia versar eoa siugulti e sospiri | . Poi farsi lieta di dogliosa e trista 5 E ìa mm porsi umilemente al petto ^ Coli gli occhi al ciels Dio nDgraziando iu vista. Sovente alzò la destra, e benedetto Ha questa patria fortunata j e dielle Mill" altri segni di materno affetto j Ed ora i lumi suoi faceansi stelle» Or un sol astro le ornava ìa fronte 5 Or scintillava per vive fiammelle, O Immagine celeste § o sacro fonte ^ Cieche sariano e stupide ie gentil Se ad onorarti fossero men pronte I lo non saprei narrar di quali ardenti Divote brame il popol s^ accendesse Verso F inclita Donna a lai portenti . Tosto d'intorno alF aequa erge ed intesse Marmoree pietre, nè il suo cor Sa pago. Fin che alla Diva un tempio non eresse. 2^0 E sorse il tempio maestoso e vago Sovra sett'archi, ove in Sacello adorno Riposta fu la portentosa Immago. Or, se tutti dal nuovo almo soggiorno Della Diva i favor vogF io far noti, Pria che il mio favellar, fine avrà il gionio. Qui dai pròssimi lidi, e dai remoli Com^engon genti, e ovunque io volga il ciglioj Scorgo intorno aUe mura appesi i voti. Quanti mai salvi da vicin periglio! Quanti, d''afflitti e miserig felici! Quanti tolti di morte egri alF artiglio ! come e quanto ella volgesse amici, O buon paese, a te suoi santi lumi. In quesle tue spiranti tele il dici. Qui fra due gonfi impetuosi fiumi Yeggo di lionde spiche adorno il piano, E r onda par che. minacciosa spumi • »gm consiglio, ogni riparo è vano. Cessa ciascun dalFopra, e sbigottito Involasi al furor del flutto insano. arte e in quella D'Italia iniqua eccidio memorando ^ Dirò, poi che il mio canto a dir m'appella3 Se quel ch'io sento al cor tremito e gelo. Non mi toglie la 'mente e la fìivella. Mentre, cheto ogni vento, il sole in cielo Ridea di luce, e neöa notte chiare Le stelle risplendean senza alcun velOj Ecco infiammata d^ improvviso appare L' aria, e per essa colonne di foco ^ Glie piomhan scintillando in grembo al mare. Indi romljo s'udì profondo e roco, Come tuono di nube, o di bombarda5 Che giunga al senso da remoto loco. loipaìlìdisce ogni uom, F im F aliro guarda, Tese !e oreccMe a que' ruggiti cupi. Che tremar fanno ogni anima gagliarda. Sentiron nelle Yaìli e nelle rupi Quel suono, e pel timor mugghiar gii armenti Latraro i cani, ed uìularo i lupi« Awieinarsi, e crescere già il senti, Simile al suono di ferrate rote Per via petrosa ed aspra discorrenti. Corre il popolo ai tempii 5 e con le gote Smorte, tremando, fra' singulti e pianti Porge prosteso al suol preci devòte. Ma le lampade pria si fiammeggianti Gittano USI fosco lume, e dagli altari Mirano torvi i simulacri santi. Più e più s'^ afforza il mnrmure, uè guari Andò 5 che F ire scoppiar del? Eterno ^ Onde il reo mondo a lui temere impari • Trema la teiTaj e pria con moto alterno Tedi or a destra, or a sinistra prono Ogni tetto dal punto imo al superno^ 9 Qual barcokniì i palischemii sono Soyra F InstaLil mare; ed interrotto Non tocchi I sacri bronzi odi dar suono- Poi le scosse inagipn forza di sotto In su sospinge, qual- gonfio e depresso Erge ed abbassa le gran navi il fiotto- t Gli abitatori allor nnran scommesso Lor fido albergo, e pi niodo cbe lampeggia^ Spesse fiate ricongiimto, e fesso. Or chi r alto terror col dir pareggia, Che i peli arriccia, e fa gelar le vene Mentre chiudesi e s'apre il tetto e ondeggia? Qiial si rimane stupido, qual sviene, Chi, Mi pento, gran Dio, perdon concedij Grida, e in piè ritto nessim si sostiene« Nulle son le ginocchia, e nulli i piedi, Per sale e stanze tuui a cader vamio Tra li confusi ed agitati arredi- (Tieche su i figli a brancolar si danna Le madri, e chiaman per nome il consorte Chiedendo aita nell'estremo afianno. Ma già Torrido appar spettro di Mortej ' E percotendo il fianco deUa terra D'impulso e d' urto immensaniente forte I! sotterraneo fulimu si disserra ^ Che rompe g squarcia, sbarbica, dissolva 5 E case e templi con fragore atterra j S' innalza procellosa onda di polye ^ Padri, sposi s german, veccbi ed infanti 5 Potenti e Yulgo una ruina inYolve» Pfè molto sta, che fra le spoglie, e tanli Di travi stritolate aridi frusti Yiye sorgoìi le fiamme e trionfanti. E degli infranti le cer%dci e i busti Ardon non pur, ma lasciano.stridendo I semivivi miseri combusti. O giorni, o notti di supplizio orrèndo! O sommo Dio, con le genti rubelle ' » Come se' mai nell' ire tue tremencio ! Fuggon qua e là discinte le donzelle, Batlonsi i vegli il bianco capo e calvo, Fuggendo a stento in queste parti e in quelle Fanciulli, adulti e donne, a cui nell' alvo Materao i frutti il gran terror conquide, Fuggono ancor, ma non già tutti in salvo. Che a fronte e a tergo il suol s'^ apre e divide, Grave di zolfo un alito diffonde 5 » Ed ammorba, impedisce, ingliiotte, uccide, E soverchiando le sdruscite sponde. Molti ne porta con la sua rapina Superbamente V impeto dell' onde. Ma volgendo lo sguardo alla marina. Vedi al ciel spinti biancheggiare i flutti j E tutto pien di strage e di raina. ' Che sparge e sbatte dei navigli tatti Sarte3 vele, governi, alberi e rostri Il fiotto fra i cadaveri distrutti. E dagli algosi inabissati chiostri Scaglia r ira del mar sul lido e awenSa Immani, orrendi e portentosi mostri. m Qual uom di forte cor, mentre rammenta, Ed offre col parlar la viva immago Dell'eccidio feral, non si spaventa? T0.11. II. X7 2bS Là si spalanca orribile Torago, Che tutte d'arte e di natura'F opre ÄTida ingoia, e si converte in lago. Qui, dove grande armento il pian ricopile . Co' suoi pastor, fuor sinica una montagna, Ch'urta, sbalza, riversa, involve e copre. Là,,dove breve spazio discompagna Due monti, vedi i lor gioghi cozzare, Poi piond>ar con le ville alla campagna. Qui lo squagliate viscere eruttare Scorgasi il-colle, e la città soggetta Sotto pioggia di pomici dispare. Aiiil quante son le guise, onde saetta, Persegue, assale, conquide, distrugge La divina giustissima vendetta! Mugge il mar, mugge il piano, il monte muggc-Ed al muggito orribile diverso Orribilmente ancor F eco rimugge. Sembra che al suo fin giunto l'Universo Tutto esser deliba da stridenti e vive Fiamme comlìusto, e in cenerò converso. Ciò che tremando il labro mio descrive Del fiero caso in carmi sì lugubri, Già Fama pubblicando in queste rive. E dicea Fama, che Tedeansi i rubri Duo cherubini, e nella destra ardenti Guizzar le spade, die parean colubri. Bfisericordia3 allor gridan le genti, Ciascun s' affretta allor, ciascun ridice Del buon servo di Dio gli ultimi accenti | Si compia il poto; più tardar non lice s Incoroniam la portentosa Innnago^ Onde noi saM da tanifira ultrlce; Che il Yecchio fu delF avrenir presago, CANTO III I secchio fu dell'allenir presago^ Suona ogni boeca^ é grida il popol folto: Con regal pompa tncoroniam C Immago. U un V altro esorta, ed ogni indugio è tolto II povero travaglia, il ricco dona; Ciascuno a proTa alla grand' opra è Tolto. Tutto in uso si poni ne si perdona Dalia tagliente scure alle vetuste Piante, e la selva al colpeggiar rintona. Cadoii con gli olmi e i salci le robuste Nodose quercie^ e di si grave e rude Gemono incarco cento rote onuste.. I fabbri a gara con le braccia i§nud(' Fanno dal ferro stridulo ' le vive Faville uscir nella sonante incude. Ferve ii ìavor: chi immagina e prescrive 5 Chi con la sesta e con la squadra ia mano Gli angoli forma s e i circoli descrìve j Chi lo scabro pedal fa liscio e piano 5 Ed appunta 9 tondeggia, incava e fora^ Offe a mano a mano^ Colà si fonde 5 s' inargenta e indora 5 Qui con industre ingamiator pennello Stuol v^ è che tele e tavole colora c à si scorge di scultor Fra più tronchi e più sassi, a' quai stan sopra Tutti di maglio armati e di scarpello. Qui di donzelle gran torma s' adopra In preparar di mille fior ghirlande, Sempre cantando, e la man sempre all' opra. An^edi preziosi invia ìa grande Città sovrana, che a nulF altra cede Per opre d' arte insigni ed ammirande : Quella che ferma in mezzo alF onde ha sede « Ricca non meno di virtù che d' oro, Della latina libertate erede» Bla coLauto è Fardor, che il bel lavoro Sorge ben tosto al gran disegno eguale Nel tempio, nelle vie, nel? ampio foro. E già la Fama dibattendo V ale Dappresso e lungi con sua tromba indice Il giorno della pompa trionfale e O giorno memorabile felice! Cbig quali e quante a noi genti traesti Dell' italico del, chi mai ridice ? ni tetto5 ogni via ribolle, e questi Iiochi propinqui ancor j nè sì gran stuolo i di stranier ne' dì famosi e festi In Elide convenne, allor che il suolo Olimpico segnar vedeansi appena Spiote nel corso le quadrighe a volo. Che qui non brama di piacer terrena Il peregrino stimola ed alletta. Ma desh' figlio di celeste vena. Braman tutti veder la benedetta Celebre Immago^ al tempio, al tempio, grida Pur ogni voce, ed ogsü pie s'affretta» Vergine eccelsa, il tuo favor m' arrida, Dammi, ti prego, di ritrarre iu carte Qual fu la pompa, ed il mio cauto guida. Quante crea la natura, e quante V arte Formar sa cose preziose e beile, Furo nel tempio a piena man cospartc^ Ma con mirabü magistero. e quelle Facean più vaglie i limpidi cristalli Tocchi da' rai di vivide facelle. Di bei vari lapilli, e di metalli Tutte eran 1' are adorne, e gli archi, il fregio Di fior bianchi, vermigli, azzurri e gialli. Le pareti coprian con splendor regio D' argento e d' oro fulgido trapunte Seriche tele di lavoro egregio. Poi sparse, c con beli' ordine disgiunte V eran pinte figure, e si devote, Che tenean tutte Y anime compunte ; Parca che Gabriel con dolci note Il decreto a Maria recasse, ed ella Di rossor tinta verginal le gote lì Impressa in alto avea questa favella; Come piace al Signor^ che a ma t* iìina^ Di me si J accia s ecco di Dio V ancella. Indi col buon Giuseppe e con Maria Gesù vedeasi in pagliaresco tetto, Che per amor la sua grandezsza oblia. Giacea nel fieno involto il pargoletto Su letticciuol contesto di vii canna 5 Ma rai vibrava dal divino- aspetto; E dentro e fuor delF umile capanna Coro apparia di Gberubiu festanti, Le iabra in alto di cantare osanna. E il cupid^ occhio sospignendo avanti 5 U astro appar che dei re di zelo accesi I piè guidò per tanto suolo erranti j Servi § destrier, cameli in ricchi arnesi Avean con doni di gran pregio, ed essi Dinanzi al Figlio di Blaria prostesi. Venia poi Simeon ^ che i dì promessi Giunti vedendo5 Or chiudo i lumi in pace, picca, dando a Gcsii baci ed amplessi^ » Cy ei nou sembrava immagine die tace • Ed ella in una man tenea pensosa Due tortorelleg e neU'akra la face. Cosi tutta seguia la gloriosa Vita più die serafica dell' alma Vergin^ che fu dei Paracìeto sposa« E lei con la purissima sua salma Dagli Spiriti alati in Giel rapita, Ov^ ha di sue Yirtù corona e palma ^ L' alta gran volta a contemplare invita 5 Che al guardo con immagini ridenti Porgea la corte santa ed infinita« Ma gli occhi alla grand'ara eran più intenti, Ch^ ivi cento lucean d' aureo nitore Lampade, e cento candelabri ardenti. Ivi ricchezza i maestà, lepore Dolce Stupor destavano, e tutt' era D' Angioli pieiì, di nubi e di fulgore « mai di tanti sul mattino, o a sera Color vivacemente il cielo tinge Del gran pianeta !a fiammante spera. Di quanti il Imiie ivi con arte cìnge Le finte nuvolette intorno intorno j E le penne degli Angioli dipinge. De' quali stuol d^ ogni bellezza adorno La portentosa Inimago sostenea. Che dir pareva; È questo il mio soggiorno« La veste sua, come a regina e dea Di così fida a lei gente felice 5 Di gemme in mille guise liluceà. Tal di smeraldo dalla sua cervice Di rubin, di zaffiro e di giacinto I color vari la colomba elice; E tal per V alte vie curvato e spinto Cangiando va mille colori e mille L' arco, onde il ciel dopo la pioggia è cinto. Fosca è F Inimago, eh' arse alle pupille La bella Sposa del divino Amante, • E lei fe bruna con le sue faville. . L^ Immago è fosca j ma non v' è sembiante Sculto, dipinto, o ver, che di quel viso Pareggiar possa le fattezze sante. in quel giorno fiammeggiò d' un riso, Come sua deità fosse presente, Che parca scliiaso al guardo ii paradiso. Scendi 5 il popoi dicea deYOtameate, Scendi, ed esci dal tempio, e del venusto Tuo volto appaga F infinita gente - A tanta ealca ogni gran tempio è angusto 5 Vieni, ove fieno in te tutte converse Le luci nell' ornarti il capo augusto. Ed 5 oh stupendo prodigio ! quand' erse Sacro ministro 5 ed appressò la mano^ Ella già mossa alla sua man si offerse. Scorrer per Y ossa il gel fe F atto umano 5 E con r Immago pien di meraviglia 11 popol scese nelF aperto piano. Quivi 5 ne aggiungo al ver, quant^ occhio piglia 5 Empier tutto vedeasi, ed ondeggiare L' immensa di devoti umil famioìia. s? Folta cosi ne' giorni estivi appare La bionda messe, c dal vento ferita Tutta ondeggiando va, come fa il mare. Uomini e donne i cari, a cui dier vita. Bei fancdiilliiìi han fra le braccia eretti, E lor ciascun la sacra Immago addita- Tutti sentiauo al cor celesti affetti, Scuotean da se compunti il grave incarco Delle lor colpe^ e si batteano.i petti. Ma tele, die seguian d* uno in altr'arcOj Formavano una via curvate e tese. Ove cliius* era a' rai del sole il varco. Per essa con le faci il cammin prese La turba eletta al gran corteggio e pio 5 E in due lunghissimi ordini si stese. Venian prima color, cui sol desio D'orare c contemplar ne'"di più santi Insiem congiugne, e d'opre grate a Dio. Di questi molte con diversi ammanti Eran le schiere, e ciascuna stendardo Ergea di Protettor scélto fra i Santi. Poscia veniano a passo grave e tardo Gli abitator di solitaria cella, Devotamente con dimesso sguardo. ir Religion 5 che il nome ha dairOHvo^ Nel manto s e più nei cor " candida e Dato era in guardia a lei, siccome a vivo Specchio di santità 5 V alto tesoro j E seco il porta in sì gran dì festivo, L'Immago5 cui cignea d'Angioli un coro. Sovr' albeggiante collinetta siede 5 E sotto baldacchin di perle e d' oro - Yenirle appresso V esemplar si vede Clero in arredi fulgidi 3 e mitrato Il buon Custode delF ovil succede j A cui sen giva edificante a lato L' almo Pretor, che la grand^ Adria iovia Di veste infino al piè purpurea ornato. E lui raccesa in vivo zel seguia Co' padri della patria eletta schiera Di cittadin devoti di Maria» Così movea la sacra pompa 5 ed era Da bei vessilli al vento sciolti, e Statue dipinte a meraviglia altera. Queste col pondo lor premean le sj Di gioYeiilii gagliarda, e fra le due File di SI gran turba enipieauo il calle, Mostravan esse, gran Diva, le tue Virtuti, e i döui che il divino Amore Versò in quel petto, che suo tempio fue. E v' erano i prodigi, che il tuo core Oprò materno in questa Immagin santa, A cui tu godi ehe si renda onore. Ma il clero a pubblicar qual fosse, e quanta In te grazia divina, e quanto puoi, una ad una le tue lodi canta. E il fren sciogliendo ai dolci affetti suoi Tutta la turba pia teneramente Alternando dicea: Prega per noi. Sì procedendo la devota gente Neil' ampio giunse maestoso foro : Di questo iò canterò; ma nuovamente. Tergine eccelsa^ il tuo soccorso imploro. NTO IV. erj^iiie eccelsa, il tuo soccorso imploro ^ Oiid' io pinger la pompa trionfale Possa dell' ampio e maestoso foro. Arco sublime era F entrata, e quale Erger si suoi dal cieco mondo al duce. Che nelle imprese belliche più vale . . Ma qui il gran nome di Maria riluce Nel sommo della porta, ed ai fulgenti Piai capovolto i\i scorgeasi tmce Di neri Angioli stuol, rotte, cadenti Bandiere ed aste, e F infernal monarca^ >ìFra se medesmo si volgea co' denti. E mentre il piede quella soglia varca, Gran circo appare, e in mezzo eccelso tempio Si che ogni ciglio di Stupor s'inarca. Ii circo è tal, che a qUei del duro ed empio Secol di maesiaie il pregio tolle, Ove piacer liei d' uomini lo scempio » E tale è pur, che quei del secol molle In beltà vince, ove a spettacol vano Piagne, s* allegra, o ride il popol foUe « Offre il rustico suo F ordin toscano, n doiìco poi sorge, indi più snello L'ionico s'innalza a mano a mano; E sopra l'alta cornice di quello Di statue il circo s'inghirlanda, e pare Di marmo ver senz' opra di pennello. Teggonsi i palchi dentro luccicare Di seta ornati porporina e pura^ Nè d' auree liste fur le mani avare j Ma le sponde al di fuor porgon pittura Di cose, a' quai Maria si rassomiglia Ne' libri santi, o fur di lei figura. Scorgasi prato, che s'infiora e ingiglia^ Fonte, che latte candido fuor spinge^ E fra gli acuti prun rosa vermiglia. Orto, cui folta siepe intorno cinge, E suggellato pozzo, -ov' unqua il vivo Umor uè greggia, uè pastore attinge. Ricco di frutta verdeggianti ulivo g E con le frutta d' or palma sublime, Platano ombroso presso a fresco rivo. ' La nave si vedea. su 1? erte cime Che ogni specie salvò, mentre il gi-an flutto La faccia inonda della terra e opprime. Yedeasi il rubo celebre, che tutto Di foco è cinto, e il verde suo mantiene. Non che sia daUe fiamme arso e distrutto: E V Arca d' alleanza al guardo viene, Che d' or contesta, e incorruttibil legno I voler dell'Altissimo contiene. Y^ era la verga, che mostrò il più degno Del pontificio onore germinando, E diè col germinar mistico seguo. E il rugiadoso velo memorando. Che vide il duce allo spuntar del giorno 5 Sì che vinse egli poi senza usar brando- TOM. u. 18 274 Di si vaghe pitture intorno intorno Siiiiboleggianti il circo si vedea^ E di molt' altre a meraviglia adorno. Fra tanti oggetti il popolo godea^ Ma riguardando in su, più si. compiacque^ Mentre fiso alle statue si tenea. Ivi prima apparia 1' uom che non nacque, ■ E quella insiem, che di sua costa fue Formata allor, che in dolce sonno ei giacque. Gustare il fatai pomo questi due Nostri progenitore poi che il serpente La femmina ingannò con F arti sue « Peccato e morte nella ìor semente Ben tosto entraro, e ne rimase infetta Tutta dai lombi lor la scesa gente. Bla la serpe da Dio fa maladetta, E Dio le disse: Da femmineo piede Tuo capo infranto di cedere aspetta. Onde di tanta speme ^ e di tal fede Que' duo primi parenti annali il core Men tristi uscir dalla beata sede. v è poi d' Abram la stirpe, a cui ì' onore (Cotanto avvien che il Giel la privilegi!) Fu dato di produrre il Redentore. Patriarchi dich' io, giudici e regi, Grandmavi di Maria per le sant'opre5 Per sapienza e per valore egregi. Indi schiera di donne si discopre, ' Sotto il cui bel misterioso velo La gran Madre del Verbo si ricopre. Abigail v' era, che umiltate e zelo Oppose air ira di Davidde - e il vinse 5 Come vinse Maria l'ira dei Cielo. V'era Giuditta 5 che il-ferro distiinse , E di Betulia misera tremante Il lier nemico nella tenda esiiose. Ed Ester v' era di beltà prestante, Che la vita de' suoi, d' Aman la morte Ottener seppe dal monarca amante; Ed ahra, ed altra antica donna e forte Immagine di lei 5 che T uom proscritto Fe salvo, e degno di Leata sorte. Veniali poscia color j die al mondo atìlilló Dal fallo originai valicinaro Ciò eh' era iu Ciel di sì gran Donna scritto Ezechiello, a cui, siccome in chiaro Specchio 5 fe noto Iddio F alto mistero, Risplendea fra costor, che profetaro. Yid' egli un tempio a meraviglia altero, Ma chiuso Tide il santuario g e tale Diè suon la voce del Dio vivo e vero: Fien chiuse queste porte ad uom mortale^ Nè giammai s^apriran^ poi che per esse Passò il Nume ùwisibile immortale ^ Nè men splende Isaia, che tutto espresse5 Dicendo : Uscirà i^erga e fiore, in quella ì lesse . f^eggo incinta d'un figlio Verginella^ Biaclre la i^eggo^ e peggo Dio con noi, Ond'è che il Figlio Emmanuel s'appella Queste le statue son^ Yergin, per v^oi Sovra una parte del gran circo erette j F altra ancora ha i sinìulacri suoi« Qui k nova'compir ciò, che promette La sacra antica Lettera 5 si scorge 5 E cessai' dell'Eterno le Yendette. Il felice di grazia ordin qui sorge; Ed in tal parte fra gli sculti segni Elisabetta al guardo altrui si porge. Quella che disse: Onde mmen mai che i^egni {i) La Madre a me del mio Signore innante s E me SI umil di 9isitar si demi? ben sei^ poi che al suonar le sante Tue voci nell'orecchio^ e il tuo saluto^ Tosto esultò nel pentre mio P infante. Secondo è Zaccaria, che non più muto Fu quando ii Precursor figlio à lui nacque ^ E cantò lieto: È il Redentor venuto. Tal figlio è terzo, il qual giammai non tacque Là nel deserto, e del divin Messia La monda umanità lavò con T acque » Poi Pier con gli altri Apostoli venia 5 Che suono udirò in Ciel gagliardo e roco. Mentre fur nel cenacol con Maria ^ E Yider pien di lingue ignite il loco. Le quai cadendo sul capo li accese^ Tutti di santo inestiiiguibii fuco» Corser quinci del mondo ogni paese j E la remota ancor barbara gente Il divin loro faYellare intese. Luca, e Blarco indi vien, che fan presente Dei Nasaren la storia, e della Bìadre, A Giovanni., e Matteo concordemente. E Paulo ancor da Dio conTerso, e padre Della Chiesa fortissimo, eh' ei prima Perseguia con la voce, e con le squadre. Tutti lungo sarìa pingere in rima, .. Tanto, ricca ne va 5 lauto si stende Di sì grand' opra circolar la chiia. Le immagini vedeansi reverende De' Santi, di' e]>ber le chiavi, e sederò Nel soglio, ov'ora il sesto Pio risplende. Ne questi e gli altri, che son ivi, il fiero Aspello de'tiranni paventaro^ . pidAlicar con fìE di subito parve giorno a giorno Essere aggiunto , come quei che puote »Avesse il Ciel à^ mi altro sole adorno- Nè tutto è ciò p ma fama è che devote Alme dilette a Dio, tenendo il viso Rivolto allora alle superne rote g Yider, schiuso repente il Paradiso 5 Gli Angioli e i Santi a questo suol conversi Sfavillar tutti di letizia e riso." E innamorate udir ben altri versi. Che questi miei, da quel celeste coro, Di dolcezza ineffabile cospersi. Così alla pompa si die fin nel foro 5 Da tui passò, già sciolto appieno il Yoto, A sua stanza di pria F alto tesoro ^ E fin pur ebbe della terra il moto» (i) Questo passo «li s. Luca: Eè undc hoc mihi^ -ut isniat ec, si smmira espresso iiel quadro dell'altare di s. Elisabetta dì Fra StìbastisHO daj. Piosnbo veneziano j juspatrou&to della casa Conti , capo d* opera deli' ar£e, esistente nella chiesa parroccliiale di s. Biagio in Leadioara« III occasione dello spoglio fatto dal Francesi in Italife delle belle opere di pittura e scultura. en puoi 5 Gallo oppressor, con nostro duolo A noi rapir delle bell'arti il fiore, aia speri invano di goder tu solo Della lor sede nel tuo ciel 1' onore- Che per Äiarte crudel dal greco suolo n Genio di natura imitatóre Fuggendo un di, spinto in Italia il Qui sta, qui regna in suo natio splendore j Alme trova qui nate al grande , al Sensi di fine tempre, e sorgeranno Nuovi Tigiani ancor, Sansii, Correggi. Ed or die Fidia col divin scarpello, E Lisippo, e Prassitele pareggi. Tu, Canova immorlal, compensi il diinno Pxesenràndo TAiUore ai sovrani di Spagna Carlo EV e Maria Luisa nati ìa Italia il iv volume delle sue tradiizioai «le'poeti spngtiuoli con gli originali a fronte Tanno 1790. --lacquer F Ispana e F ilala favella Di madre che suonò pel mondo intero, E la figlia che in sorte ebbe FIbero, DeUa geniiana sua. non è meu bella. L'una, o gran Carlo, o regal Donna5 è Cj Del loco ognor di vostra cuna altero 5 L'altra dei lidi5 ov'ampio aTete impero; E (juella e questa illustri eroi v'appella. Udite or come con parole ornate ' L' una i sensi delF altra esprime e serba, E il doppio lor poetico lavoro. E con gF ispani insiem F italo vate Ponete all' ombra dei gran gigli d* oro 5 }tSe la preghiera mia non è superba. TOM. Il, . IO ago Al cc'ebrc poeta Garcilasso ilelia Vega mono d' anni 33 alla prc« senza di Carlo v nel daru iL primo la scalata ad mia torre poco digianlc da Frejns. _TJ-arte a Lasso dicea: Mira il soprano Che ojiQV sol prezza» e vii soldato abborrei Qual gloria se poggiando al ^ento sciorre Ivi l'aquile sue può la tua mano! Febo invali prega: In te l'Omero ispano Serba a ben più che aWuccisor d'Ettorre. Sale, infiamma ogni cor5 vinta è ia torre, Ma sasso- spinge il vincitore al piano. Blarte allora del prode estinto in guerra Circonda il crìn di lauro trionfale: Febo sul vate a lagrimar s'atterra j. Poi volto a Carlo: O sommo eroe, che mie Ornar pugnando di trofei la terra ^ S'or non hai cantò all'alte imprese éguale? agi lil lode ilei cav, Emo per il Ijombardamcnto di S fax. , imi pm s àhe oppressa i cittadiri tiranni . Poi le gotiche spade ahhian la forte Superba Roma^ e sien col volger cV anni Le mura di Cartagine visorie^ - Se minacciando m gli estremi affanni. Della romana al par^ V adriaca sorte s E polto^ ingiusti Dei! di Libia a' danni Porta Scipio no9el ronne e morte? Così fra r ira e le memorie amare Diceva F ombra d'Aunibal fremendo Su le africane a lui sponde sì care- E Sfax intanto d' alte fiamme ardendo PiombaTa al suolo, e rilucea nel mare Al fulminar de' cavi bronzi orrendo,.. In lode del cav. Fraucesco Pesafo quando ottcaac di rlspiìra U commercio veneto nei porli di Spagna, cäsfudo colà ambasciatore della veneta repubblica^ mentre ardeva la gaerra contro l'Inghihen-a» r che ornai per Teder F Auglia combusta Di sangue Europa tutta il mar colora, E quella pria dell' ocean signora Trema, qual sotto scuri arbor robusta, Rammenta la natia gloria vetusta, O Bocchier d'Adria, e tua libera prora Tigil spingendo ai regni dell' aurora La riconduci di tesori onusta. Poi moYÌ in Ter F occaso, e fa che voli Del veneto leon F insegna, ot' erse Alcide invitto le superbe moli. Ma quando torni di ricche e diverse Merci e d'or colmo, il nome onora e coli Di lui 5 che al lido ispan la via t' apei'sc. Per U Qav, Alvise Pisatü nfclF ainbascialu di Fraiiuiu, il giorno 10 Agosto 1792. iiaado col saugue suo (lerribii giorno!) Tinse io stuol regal di Senna il lito 5 Ed il misero aTMSO sbigottito Scampo cercò nel sacro tuo soggiorno 5 Rapidamente ale tue mura intomo Il popolo awolse inferocito, E voci g che parean di mar muggito 5 Risuonar minacciando impeto e scorno. Bla in vederti, in udirti il fiero orgoglio Depose, e stette con ìa fronte china, Poi s' arretrò, com^ onda infranta a scoglio Che splender vide in te d'Adria regina U alto fulgor, nò, domo U Campidoglio 5 Estima ancor la maestà latina. ril loi^e del inetlebiino per la niudusini» ainliu.sriaia di Francia. tempre di' io volgo nel pensier qual era La Francia allor che messaggier tu fosti, Yeggo da notte tenebrosa é nera 15 La luna e gli astri al guardo mio nascosti Ed in vasto oceano io sento schiera Di Tenti formidabili ed opposti Destar tempesta orribilmente fiera Rimescolando i fiotti più riposti | Poscia dei lampi al folgorar frequente Nave scorgo fra V onde ornata d' oro ^ ilizie imprese e di trofei ^ Sopra cui sta nocchier, die francamente Con l' affidato a lui patrio tesoro Salvo ritornaj e quel iiocchier tu sei. Pel niaguifico giardino formalo a deii/.ia della cìuà di Furrara dcd inurchesc CamiUo Buvlluc'|ii:i. ve SOÜ ie poc' anzi iofonnl zolle questo loco 5 e gli aridi virgi Yerdi io trovo non pur bei rami aduld, E dai fior F aria profumata e molle ^ tempio5 circo, labirinto, e colle. Loggia, teatro, e calli al sole occulti. E fonti 3 e marmi in mille forme sculti, Poi superba piramide s' estolle. vate 5 onor del Po, eh' opra d'indiistre Man qui vegg' io, tal meraviglie in carte Finger solevi j e questi or n' offre il vero Oud' è di' emula ognor Ferrara illustre Del greco genioj del saper, dell'arte, Vania il Pericle in lui. se in te V Omero. agö orcasion«' cieiraiììiiv i^ìà noto di Basville in Koina* Parla Pio Vi, EjcI io prence di Roma, ed io, ehe sono Immago in terra del Dio vivo e verOj Avvilirò di tue minaccie ai suono L' onor del sacerdozio e dell' impero ? No, non fia ver: che a sostenere il trono Sorge il romano ancor spirto guerriero 5 E sul Tarpeo col folgore/col tuono Pugna ben altro Giove a pro di Piero. se nel Cielo, o Gallia ahi! cieca5 c fisso Ch' ostia io sia della fe', cadrò da forte, Gesii mirando, alla sua croce affisso. E contro il regno, cui fondò sua mone, Nulla potran le porle dell' abisso, Nulla potran dell'assemblea le pone. SITO S. Ai marciose d'Oira Imperiali tenente generale di S. M. G., egregio poeta «i duce, nel comuß desiderio di vederlo a.mniogUato. ^ea è s cred'ioj colui d'invidia degno, • Che seguendo le Bluse si diparte' Dal basso vulgo, e d' alti empie le carte Tersi immortali col divino ingegno» Nè già felice è men cbi giugne al segno D* eccelsa gloria nella beHic' arte 5 Tal che nel sanguinoso e dubbio Blarte In lui fermi sua speme il prence e il regno sommo Jicne ò pur d' aurei costumi, Di vago aspetto, e dolci atti e parole Aver consorte 5 e al sen strignere i figli Tate e guerrier tu sei; facciali te i Numi Sposo a donna gentil, padre di prole. Glie a te nel canto e r.el valor somigli. Iii lode del marchese Ercole Bevilacqua eecdlente nei giuothi sopra i cai'alli. ago iìluslre G arzoii 5 ck' hai per costume Danzar leggiadro9 come in fermo suolo, Sovra i corsier^ mentre sen vanno a volo crine al vento 3 e il fren bianco di spume; Dimmi 5 sei tu piortalej o sei tu il Di Giove messaggier sceso dal polo? Che le membra cosi librar può solb Tal cli^ abbia al tergo 5 e intorno al piò le piume Qual mai guardo segui tutte nel corso Le meraviglie 5 eh' offri agile e presto Tf uno e di più destrier sul mobil dorso ? Scordi omai Grecia ogni famoso auriga. Onde? superba va: ben altro è questo Che in olimpico agon regger quadrijja. In lode del medesimo sopra Io stesso argomentcs» ..YAentre in riva del Po tu con solema Pompa sul dorso ai rapidi cavalli Blovi le membra in sì leggiàdii ballig Come avessi alle piante e al tergo penne • Sopra col c^^ro il Dìo del giorno venne Là Ve grida .di plauso empiean le valli 5 E valor tanto dagli eterei calli Di mirar vago Eto e Piroo ritenne. volte al loco l'avide pupille ^ Blembrò povero d' arte e di consiglio Fetonte suo, die il Ciel pose in favOlei E fiso in te 5 prode Garzon, col ciglio D' amare asperso lagriniose stille 5 ■ Deh perchè non ebb' io 5 disse ^ tal figlio S. Stefano pontdice che battezza s. Lucilla, e le clona la vista: pit« tura dell'egregio Sciacca all'aitar magglort^ della caUedralc di Hovigo. iracol d' arte ! Io scorgo il grau pastore Che versando sid capo di Lucilla D' onda battesinial vitale umore Tutto di santo spirito sfavilla j Splender veggo in lei fé', speranza, amore^ Grazia, che ad inimortal palma sortiUa^ Teggo quai desta tremiti nel core L" ora 5 e non pria dal sol tocca pupilla} E mentre gli occhi suoi, cui tolto è il velo-L' alta bellezza di natura assale, Dir sembra cohna di Stupor, di zelo; • Gran Dio, lavoro è di tua man, nè vale A far che ogn'uom t'adori, e terra e cielo? O ben più eh' io non fui, cieco moriale ! Nel trasporto delle ceneri di Lodovico Ariosto dalla ehiesa di s^ Benedetto di Ferrara alla biblioteca dello studio pubblico » apristi Le luci al giorno Fur tutte intorno Le Bluse a te. Dicea ciascuna Con gentil gara: Quest^ alma rara per a air prese: Tra Toi contese Non più 3 lìon più Igne e Tutte sarete.-E cosi fu. ^ » ■ * T T ii'Af Ä^mxmm-, T. //Ci:;'' i • f f . > V t ^ . - ^ » Ir. Ai * J ■ • ^^ r-ti P J L' i / t •• .j C* -'»v - ■ INDICE Compendio della vtta di Andrea Ret d* An*^ tieda .... « Pag. 5 di Michele di CejìVANTex Saavedra «... » as di Gonzalo Argote e di Molina ■ b ■ • e ^ tì'j di Balbassaiìe {U Alca zar e di GtlTlERE diCETINA^ Öl äi Ferdinando diAcucNA » 69 di Francesco diFiGUEROA » 81 di Francesco di Borgia e Aragon principe di Squi- ZACE......« 94 di Baldassare Elisio di MeDINILLA • . . . »101 di Giovanni di Javregui » 115 {li Lope Felix di Vega CaR'- p/o . . . . . . . » 12 e lìiscorsQ sulle di lui opere >» ia5 yotizie d\iltri poeti del secolo xyi ...... 2o5 della poesia cast/gliiina verso la fine del secolo xFi e per tutto il xrii .... » 207 del secolo xviii .........« 216 Qualità e pre^i :;ingolari deW idioma casligliano . » Dell'assonante ..o 22G SONETT! Da questo inforèimaio e steril suolo . • . Sien grazie al del ^ pero che quasi assorto Di pianger stanco in sulla fresca erhetla o Ahi! come da. soave alta speranza • - < Guerra Invidia ii fa ^ ma iman pretende Quando sveglian le corde i diti belli . . Dal letto pende sanguinoso a terra . . . Oro a me VIndo non invia, ne oscuro . . Arde Ilio già: sorgon faville j e forte . . Già in cielo ad allègrar cjuesčimo suolo Vidra fiera squamosa assale, incalza » . Pietà di me, che V ultivf ore ho pronte Amarillide canta, e Fahrn mia c . . -O tu, che sembri a me spirante e viva Speme, che gli occhi bendi, e occulti il dannò Lignano^ a gemme ed or non rende onore Esca porgea di propria mano un giorno Chi piagne qui? Siam tre. Giii il manto nero A grandi osnora e chiare nota scritto , . Che stuoi d^inique, ovohan l'Ombre ricetto Bella, fiera e gentil Parca, del frale . • Se pieno ho il sen cV amaro aspro cordhglùì Quandi io m'accesi di terreno aspetto . . Dolce Padre e Signor, vani pensieri . » Dal suolo, ove per rupi e per foreste . » Se tanto io godo soL presso le soglie « . Gran Dio, se all'ombra del tuo corpo santo Se quanto il sen m'lui tla prim^ anni acceso IJuom deW insanno suo lardi s'accoì'^j^e Fantasia di natitra al vario aspetto . » . S5 tf 34 » 88 » % J) 09 » i34 » i55 ■ 3) i56 » 137 » i58 » i5<) f} i4o D i4i )> i4» » i45 » i44 » 145 )) 140 » 148 » ' 149 » 170 n 171 w 172 ìì 175 iì 174 175 » 17(5 » 177 Ö 178 CANZONI Sciogli la benda, e va con If onda a tergere » w De^ tuoi sì fini e belli e » « » « » i « » a G6 O tu, che in questo monte . . . «. e . . B » 97 O felice colai ^ che sgombro e sciolto e = . » ^79 Quando col fresco rugiadoso umore . e e . » i8i Forse a-venne giammai, che giunto al lido » ELEGÌE Se ili (hiol versi^ amistà pura, e pianto n IQl Soavemente ^ e non presi sospetto e « « e Nella stagioiij che dolcùmenie aWomhra . Tirsi pfisior del pìà famoso rio . » « . ìf un verde e hlunco pioppo il piò hagnam Più. la mia fionda U agnellin non toglie » « Io rn era un augellino imuimorato . • * Ouid monùigna riman da noi non corsa EPISTOLE Da cjuelLi di Madrid tanto è diversa « « Mentre Filippo, il rege ispan^ secondo ^ « Poi con pià vivo ardor pel vostro eseìnpio e Quanuio con brevi detti in verso e in prosa Pensa, eh'ei crebbe sol per esser tronco a Caso vogF io narrar, favola forse - « -TO.II. II. ») 53 ì> 71 » 8?. » IÌ)0 » iB3 184 » i85 C » B » . » loS . a iSy . » i88 . » 19Ö HUDlilGJU Giù pose un fpùìcvvoìc asreiuuralj » . . . Con suo spilio Maddalcmi Occhi chiarì sereni.......... . HfeiUre iì possente di Ciprigna figh'o ■ • B 67 68 POESIE VARIE Os^ni ronzino un\<:ero portarti • . » - . Suol {'ersi ira dettar^ ma se Virato . - . » 40 Pan'e in tjuesio che il giorno s'adornasse . . n 5i Ergi la fronte coronata^ 0 illustre . . . . » 56 0 saggia madre ^ 0 provida natura. . . . 115 POESIE ORIGINALI DEL TRADUTTORE CATETO PROEMIALE Or che^ nn secol già corso ^ il dolce giorno . . « 229 POEMA SACRO D^ un portentoso Siwfdncro santo ..... SONETTI » Ben puoi^ Gallo oppressore con nostro duolo Nacfpie U ispana a r itala favella .... Marie a Lasso dicea: Mira il sovrano . . Qual pro che oppressa i ciltadiii liraimi . Or che ornai per veder V Anglia comhusia . Quando col sangue suo (terrihil giorno]J . » 288 289 2qo J) 291 « 29 ft « 295 Sempre cJi io volgo nel pensier (jual era Ove san h poc'anzi informi zolle . . Ed io prence di lìomtij ed io^ che sono Ben è j cred* io ^ colui d'invidia degno » f^ago illustre Gtéi'zon , di imi por costume Mentre in riva del Po tu con soleime . Miracol d'arte! Io scorgo il artm pasture 5> tiQi » ag5 » 296 « 297 » 298 299 5öo ANACìlEOh'TICA fonando tu. apristi a oox 5oS KOTE DEL TllADUTTOilE Lope tU Vega nel soaelto iv Ai'd^ Tih ^ià si prende i'arLItrio •U lar morire Paride nel giorno dell' incendio di Troja, Lanche i pr^c'li ei dicano, ehe Klena dopo la morie di Paride ebbt; in suo Tuo|[:ct DeìFobo, c ({nesti in quel giorno fu massacralo da Menelao. L'^« äleifiäö Lope "uel sonetto xv£ Balìa, Jicra e gentil Parca. con r unir troppe cose ši allontana dal buon gusto delie sue poesie in questa raccolta prodotte. E nella epistola a Giovanni Boneto pag. i6S verso Sei) s'ix»-gannd prendendo la faccia di Socrate per quella di Cicerone. Tomo primo pag, £79 verso g leg. il riso iei pianto 2S6 SüS i/j Torno sscondü i vescilli adora La terra è centro di voslr'alme? 2D. 7 H^ncarcs 62 7 altri ciò tenga; e regoli 7L 6 de'suoi teneri «fletti 167 9 Sion s* arretri 170 6 s'c il nascer pianto, e vita h guerra ^74 6 gioje abbondano 2I4 9 dall'amo criado de un acaso i4 anda ci jitego 2^5 20 KcngiPo t