Giulio Caprin i Trieste cor? 139 iíhi\ttazían/< Narodna in univerzitetna knjižnica _v Ljubljani__ 11.66952 ?rr A A j I \J 7 Contado: Chiese: Un contadino......... • • H S. Antonio nuovo..........82 Crínale deU'altipiano...... . . . 11: S. Spiridione........... 83 Villanelle.............11 — Interno............ 84 Costiera triestina: — G. Bertini: Angelí . .......85 La costa verso Duino........12 Chíesa evangélica.......... 86 La haia di Sistiana.........12 Collezione di quadri Sartorio : Lapidario : B. Montagna: La Madonna col Bambino e Monumento a L. Fabio Severo..........1 due angelí musicistí........ 94 — A C. \ ibio........... INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI 7 Aeróte rio del templo capitolino..........15 Gliptoteca..........................16 Giardino ..... ........ 17 Monumento a Winckelmann . . . ... 1« Una párete ....................19 Antefisse..........................20 Bassorilievo delle Amazzoni ...... 21 Frammenti della antica basílica.....24 Il meló ne colla alabarda ....... 30 Rosone della Jiiesa di S. Pietro . .65 La marina : 11 Mandracchio................66 Lo sbocco del canale .....-■• 77 Selva di velieri. ...................76 11 canale..........................76 Molo San Cario....................79 Kuori della lanterna..................7^ Vccchio porto...........IOS 11 porto nuovo — Ingresso al punto franco 107 I magazzini ...........109 - Una piazza tranquilla ....... 109 — II cantiere del Llovd .......110 Miramar (Castello di) ........115 — La loggetta.......... . 114 — Un salotto...........Ufa — Camera da letto.........119 — Sala del trono..........117 — Biblioteca...........120 Altro salotto..........121 — Lo studio imitante una cabina .... 122 — Sala da pranzf ......123 — 11 Castello dallo sbarcatoio . . . . . 125 II giardino...........'24 Museo di antichitá : Pavimenti romani a musaico ...... 13 Torso trovato a Barcola ....... 14 Ninfa sorpresa da satiri..............32 Polittico di S. Chiara.......56 a 62 Vaso tarentino ...........102 Rython d'arte tarentina........102 Terrecotte della Magna Grecia.....102 Coperchio di avorio.........103 Corno da polvere .......... 104 Museo di belle arti Revoltella : P. Fragiacomo : Notte di luna ..... 8/ — La campana della sera..............91 U. Veruda : Commenti............89 E. Tito : San Marco.........89 L. Balestrieri : Beethoven ....... 91 G. Bilbao : La schiava................88 D. Trentacoste : Diseredata ...... 92 P. Canónica : Sogno di primavera. ... 92 L. Bistolfi : II funerale........93 Palazzi : Palazzo del Tergesteo........80 ■ delle Poste...........81 — — Interno...........81 Fiazze: Piazza Grande nel 1854 ,.......84 — — attualmente............73 — — veduta dal mare................75 Giuseppina . ...... ... 105 Sigillo del Comune.........148 Vedute : Trieste dalla lanterna................9 I colli della città ..........11 L'entrata in porto .........71 Trieste nel sec. XVIII........72 Vie : II Corso affollato........../5 Via del Crocifisso........, 69 — di città vecchia.........70 .— dell'Acquedotto.........106 tiueste dalla lanterna. (Fot. Alinari). I. LA CITTÁ ANTÍCA. Vidi Trieste con la sua pendice, e questo nome udii che gli era dato perché tre volte ha tratto la radice. Cosi Fazio degli Uberti riel Dittamondo; raa le ricerclie della storia non consentono alia cittá adriatica la gloria di una tríplice risurrezione come ad Tlio fatale. TI nome le venne probabilmente da popoli, nella cui lingua Tergeste o Tergestum nemmeno da lontano significó quello che Fazio pretendeva: é invece molto probabile che Tergeste sia nome Céltico — alcuni vogliono che venga a diré lo stesso che Emporio — impostole dai Carni, che, prima dell'avanzata dei romani nella Gallia cisalpina, dominavano nella regione fra le Alpi Retiche e l'Albio. Cosí dando torto ad un poeta fiorentino, ci troviamo d'accordo con un geografo greco, con Strabone, che chiama Tergeste < villaggio cárnico >. Ora i Carni sono passati, senza aver lasciato memoria delle loro imprese com-piute innanzi alie grandi Alpi; raa dai resti delle loro morti, dalle necropoli, appare che i loro costumi e la loro religione erano affini alia religione e ai costumi degli abitatori della val padana. Pero né questi, né quelli avrebbero avuto forse le energie per crearsi una propria civiltá, se non li avesse pervasi la grande animatrice delle genti, Roma. Appena che, domata Cartagine, si offri la possibilità di estendere il dominio a tutta la Cisalpina, le colonie militari romane furono poste a pie' delle Alpi; e verso oriente, a guardia dei passi delle Carniche e delle Giulie, sorse, nel 183 av. Cristo, Aquileia. La grande città, che ora dorme sotto gli umidi pascoli del Natissa, fu il centro delle fortezze che dominavano le vie orientali, quella che risalendo l'I-sonzo arrivava al Predil, quella che attraversando il Carso giungeva al valico di Piro base del monumento equestre a l. fabio severo (nella ol1ptoteca del lapidario), e la terza, che costeggiando il mare penetrava nellTstria e nella Liburnia; cosí i Carni, gli Istri e i Liburni erano vigilati per la conquista che di loro inevitabilmente si preparava. E questa non tardo molto: se al di qua del'e Alpi Giulie, ove oggi è Adelsberg, i coloni Aquileiesi collocarono le Arae postumiae, ultimo termine del-l'Italia verso oriente, ben presto quel segno fu oltrepassato, ed Emonia e Pitavio, molto più addentro nelle montagne, accolsero i legionarii custodi del confine. Di questo incessante avanzamento dei romani vuole uno storico del seicento, Giacinto Filippo Tommasini, che i Carni, abitatori del primitivo borgo Tergestino, si impau- ■(UWIWU9A -h -oiHNavj iva iinaHA vino vnna moo i rissero e perció si ritirassero nella valle della Lubiana, ma più tardi, ammansati, acconsentissero a ridiscendere al mare e a costruire una nuova città sulle abbando-nate rovine della antica. A noi si presenta più verosimile la supposizione che i coloni Aquileiesi, nella loro continua penetrazione, si fermassero in una nuova colonia più vicina allTstria, di cui giovava vigilare le popolazioni turbolente, anche dopo la solenne sconfitta che nel 179 a loro e al loro re Epulo aveva inflitta il Console Manlio. Infatti fu un tempo che aile rive del Formio — l'attuale Risáno — fu posto il confine d'Italia: ne fa fede Plinio, il quale aggiunge perô che ai suoi giorni questo era stato spostato fino al termine dellTstria, all'Arsa. In quel momento Trieste dovette avere una notevole importanza militare, come fortezza di confine, destinata a far fronte alie incursioni dei Giapidi, i quali nel 53 av. Cristo le dettero un improvviso assalto ponendola a ruba; e Giulio Cesare — onde ebbero il nome di Giulie le estreme alpi orientali — racconta di averci prov-veduto, mandando la duodécima legione a difendere le mal sicure colonie della Gallia togata. Cosí pare che fin dai suo nascere la città fosse sottoposta a quel destino che, continuando attraverso i secoli, la volle sempre minacciata e pronta alia lotta. * ' * Dei coili che circondano la valletta del rio grande — la Trieste attuale la ha completamente ricoperta coi suoi edifici — la città romana occupava quelli meri-dionali di S. Michele e di S. Giusto ; il Roiano, il Farneto, il Ponzano erano ancora inabitati. Ma la marina, dai vallone di Muggia fino alio scoglio di Duino, dove le saline non la rendevano meno comoda e meno piacente, era tutta cosparsa di case e munita di porti; da quello di cui si sono trovati i moli rovinati a pie'della collina di San Sabba, fino a quello di Sixtilianum, sei ne enumera la tradizione assunta alia storia da Ireneo della Croce. E se da un lato per la via pubblica > Tergeste era congiunta ad Aquileia, per l'altro, verso mezzogiorno, si estendeva tra le colline feraci lungo la strada consolare dellTstria. Nelle vicinanze della attuale via Istriana, che corre non lontano dall'antica, sono venuti alia luce copiosi avanzi di monumento funebre di o. vibio. PAVIMENTl ROMANI A MUSAICO (NEL MUSEO D'ANTICHITA). (Fot. G. M;-rpurgo tombe, e nel luogo dove sorge il ci-mitero di Sant'Anna sono stati tro-vat! i resti di una villa romana: mo-nete (dal tempo di Augusto fino a quello di Nerva), olle cinerarie, ur-ceoli, balsamari e fibule, la consueta suppellettile della morte, stanno a testimoniare l'importanza di questo centro di vita romana. Poichè veramente pur allora Trieste si meritava l'appellativo di fedele di Roma. Al principio dell' Impero la città era stata accresciuta notevolmente : una iscrizione ed una tradizione vo-gliono che riedificatore delle sue mura fosse Augusto stesso. Unita alia Ve-nezia ed all'Istria nella X regione, Trieste tu sottoposta alia giurisdi-zione di Ravenna prima e poi di A-quileia, e fu ascritta alia Colonia Pu-pinia, colla quale prendeva parte ai comizii di Roma. I suoi soldati, che militavano nella XV legione Apellinare, non si mostrarono indegni della loro qualità di difensori dei confini ; nella rivolta dell'anno 6 combatterono in prima linea ; il nome di uno di quei valorosi, Clodio Quirinale, è torso trovato a barcola (nel museo d[ antichitá). (Fot. Aiinari). giunto fino a noi inciso in un dado. Altre iscrizioni invece conservano qualche memoria della vita interna. Quali edifici avrà curato Tedile Lucio Apuleio Taurino, di cui fa parola un' epigrafe trovata a S. Giusto? II teatro — era situato a mezza costa fra il Campidoglio e la marina, e nel medioevo a Riborgo ancora ne era visibile la forma — si sa che lo fece costruire, ai tempi di Trajano, Quinto Petronio, cittadino triestino. Ma in genere delle imprese di quei nostri avi pochi ricordi sono rimasti : gli epicedii, di cui sono ricche le lapidi aquileiesi, mancano nella collezione dei sepolcri tergestini; soltanto la gentile consuetudine romana delle tombe coniugali ci ha tra- mandato i nomi di alcune di quelle coppie: vissero un Vibio Pollione con una Flora liara, un Quinto Labieno Mollione con un' Aquilia Spuria (le loro effigie si affac-ciano a mezzo rilievo nella riquadratura della stele), un Tito Avilio Procolo ed ana Giulia Januaria, che vollero scolpite sulla loro arula sepolcrale il tralcio di vite e la coppia delle colombe, a significazione di amore e di fecondità; pochi nomi ed ignoti, ma schiettamente romani, Per la storia municipale meglio serve il decreto di benemerenza, inciso sopra la base del monumento equestre di Lucio Fabio Severo, che fu posto nel foro triestino ai tempi delFTmperatore Marco Aurelio, ed era di bronzo dorato ; dice l'iscrizione che P'abio Severo, uomo valentissimo, aspiró alla dignità senatoria per una ragione soltanto « per aver modo di conservare sicura e difesa la sua città », e quando 1 ebbe ottenuta ne fece buon uso persuadendo lTmperatore a concedere la cittadi-nanza romana ai Carni abitatori dell' agro triestino ; cosi finivano di romanizzarsi anche gli ultimi discendenti di sangue céltico annidati nell'altipiano selvoso. Di non poco ne veniva accresciuta l'importanza di Trieste, che verso la fine del II secolo dovette raggiungere il sommo della sua bellezza latina. * * * Ora gli edifici della città romana sono spa-riti quasi totalmente; ma gli scavi non cessano di ricondurne al sole gli scheletri. Nel suburbio, verso' Bagnôli, hanno trovato traccie delFantico Acquedotto che portava le acque dalla Valle della Lussandra ; a S. Sabba nel vallone di Muggia i fondamenti di una ful-lonica ; e resti di ville e di terme verso Barcola, e sulla riviera duinate, che fu prediletta anche dagli Aquileiesi, abitanti in luoghi naturalmente meno belli. Gli scavi fatti in queste ville hanno offerto alParte pa-vimenti a musaico non privi di eleganza, come quello figurante una rosa a foglie intersécate, inquadrato in una cornice a trec-cia, ed una statua di atleta, grande al vero, imitazione o variazione di qualche soggetto Policleteo, come si suppone, per una certa análoga che presenta col Doriforo. Lungo la riviera sorgevano anche tem- acroterio del tempio capitolino (nel lapidario). (Fot. G.Morpurgo). (Fot. Sebastianutti & Benque). ■(liüunv 'joj) oiavaidvi i3a ONIOMV19 pli, come qaello di Minerva, esistente fin dal tempo della Repubblica, nelle vicinanze di Aurisina; ma il tempio massimo, intorno a cui si svolgeva la vita di Trieste pagana, era collocato sul colle ove poi si elevó la cattedrale della Trieste cristiana ; il (Fot. Scba^tianutti). monumento a winckelmann, nel lapidario. colle di S. Giusto. Era dedicato aile tre massime divinità, Giove, Giunone e Minerva, già unité in un comune culto dai Greci, e divenute poi la trinità capitolina protettrice dell'impero romano, si che il trovare il tempio principale dedicato a loro in numerosissime città, a Ravenna, ad Aquileia, a Benevento, a Nola, a Tolosa e a Nîmes, ci persuade essere stata inclusa una affermazione política nella manifestazione di tale culto. Il tempio di Trieste, edificato probabilmente fin dal principio della conquista, ottenne la sua forma definitiva nel 56 dopo Cristo, per opera di un prefetto della flotta ra-vennate, P. Palpellio Clodio Quirinale ; era un tempio corinzio, maestoso di forme, per quanto ci è dato argüiré dai resti, dei quali il più importante è Tacroterio, che una parete del lapidario. (Fot. Sebastianutti & Benque). presenta nei tre specchi i simboli delle divinità venerate: l'aquila gioviale, la Gorgone, che di Minerva rammenta l'origine celeste e folgoratrice, e il pavone e il melograno, attributi di Giunone. Le altre reliquie non sono che frammenti di cornici e di architravi, più una testa di Giove, cornuta, e un bassorilievo raffigurante una ninfa sorpresa dai satiri, tutti raccolti oggi a pochi passi dal luogo ove il tempio sorgcva, nel museo lapidario. Grazioso edificio questo lapidario — formato da un tempietto corinzio e da un giardino di mortelle — che testimonia la cura dei moderni triestini nel conservare le prove della loro romanità. La prima idea di raccogliere queste cose antiche è do-vuta alla colonia Arcadica Sonziaca, la quale nel 1782 da Gorizia passô a Trieste, ma il mérito di aver loro dato una sede non indegna è di Domenico Rossetti, che le pose sotto i funebri auspici di uno dei più grandi evocatori dell'arte antica, Giovanni Winckelmann. ANTEFISSE RACCOLTE NEL LAPIDARIO. (Pot. Alinari). È noto che l'archeologo meraviglioso, tornando da Vienna a Roma, nel 1768, fu ucciso a Trieste, da un ladro livornese, che pensava di derubarlo: a placare i mani del morto ed a purgare la città dal delitto, il Rossetti si fece promotore di un monumento che nel 1833 fu inaugurate nel vecchio cimitero della cattedrale, trasfor-mato in museo lapidario : il monumento di stile canoviano, mediocre in sé stesso — è un bassorilievo in cui un uomo togato addita i simboli delle antichità ad al-cune donne raffiguranti le arti —■ acquista uno speciale significato posto dov'è — memoria di un uorao germánico serenato dallo spirito classico — a tutelare i document romani della città contesa ; documenti non falsabili, che da quel tempo si sono fatti più copiosi, per una serie di ricerche sistematiche iniziate da Pietro Kandier e da Carlo Gregorutti. La vita che anima un dado o un capitello, rinchiusi in un museo, è infinitamente meno intensa di quella che li animerebbe nel luogo ove già vissero la vita dell'edificio, di cui furono parte. Percio le antichità triestine più rivelatrici non sono combattimento di amazzoni (lapidario). (Fot. Alinari). queste che il lapidario raccoglie, ma quelle che sono rimaste nel loro suolo, per quanto alterate e trasformate dalle età diverse. Chi si aggiri per le viuzze contorte e scoscese della città vecchia, salendo per via del Trionfo, a un certo punto è costretto a passare sotto un arco di cui uno stipite c murato nell'ammasso delle casupole, l'altro libero; anche la parte inferiore è sotterrata, e la parte emergente non offre grande bellezza con le sue sagome schiacciate, senza iscrizioni nè ornati ; ma il monumento è caro al popolo che fin dal medio-evo gli ha dato il nome di arco di Riccardo, favoleggiando di una sup-posta prigionia di Riccardo cuor di leone a Trieste. * * * Più important! di tutti sono i frammenti di costruzione romana che ap-paiono nella cattedrale, massimo monumento triestino, pagano e cristiano, origina-lissimo edificio che da solo imprime alla città un carattere di luogo d'arte: appaiono i frammenti romani a San Giusto come sotto le righe di un testo medioevale le parole di un più antico testo classico; e come il prezzo della pergamcna ci dà ra-gione dai palimpsesti, cosi la scarsezza del materiale da costruzione ci spiega questa via del tkionfo coll'arco di riccakdo. (Fot. G. Morpurgo). chiesa di S. Giusto in cui ogni secolo ha trasformato o deformato il preesistente senza distruggerlo. I frammenti del sepolcro dei Barbi, le colonne corinzie del campanile, il basamento della statua di Lucio Vario Papirio, ridotto a stipite, la fascia del campanile formata di pezzi di bassorilievo romano, e la statua stessa del Santo titolare sono tutti nati pagani, ma convertit! al cristianesimo, nonostante la saldezza della loro pietra, ora molto naturalmente compiono il nuovo ufficio. Del resto la cosa non è senza esempi: e nessuno ha mai avuto da ridire su quel < vir consularis > che, ar-ricchito d'un a aureola, si fa consumare il piede dai baci dei fedeli nel massimo tempio della Cristianità. Per San Giusto poi la incongruenza é minore che per San Pietro, poiché veramente egli fu santo di origine romana, e forse, adorando la sua immagine classica, akco di riccardo. (Fot. Alinarí). i nostri avi dei tempi di mezzo meglio sentivano la romanità delle loro origini. La tradizione colíoca il suo martirio nel 289 durante la persecuzione Dioclezianea: non diversamente che di molti altri martiri, anche di lui si narra che venisse FRAMMENTI DELLA ANTICA BASILICA, RACCOLTI NEL LAPIDARIO. (Fot. Alinari). scoperto da un pretore, per la sua nota pieta; invitato a far atto di adorazione agli dei pagani, si rifiutó, e si rifiutó nuovamente dopo i tentativi di persua-sione esercitati dal suo giudice colle parole prima e colle battiture poi; allora gli furono legate le mani e i piedi e con un peso al eolio fu portato in una barca e gettato in mare. Ma qui avvenne il miracolo, che, appena giunto il suo corpo nel fondo marino, si sciolsero i legami e alia dimane la salma fu trovata gal-leggiante sulla riva, che oggi ha il norae di Grúmula. Egli con San Servolo e San Sergio forma il triumvirato dei santi guerrieri che proteggono la cittá: egli fu ed é il massimo protettore. Ma non a lui era dedicata la Basilica allorché fu costruita sulle rovine del tempio Capitolino, probabilmente nel secolo VI, quando Trieste, uscita dal dominio di Odoacre e di Teodorico e sfuggita a quello dei Longobardi, ancora prosperava sotto la signoria bizantina. La chiesa primitiva, che si puó supporre simile alia an-tica basilica Costantiniana di Roma, era dedicata a Maria. Includeva nel suo porti-cato le colonne del tempio pagano — quelle del campanile attuale — e si stendeva da occidente ad oriente, fino al santuario — ora trasformato nell'abside della navata del Santissimo _ ove esisteva ed esiste il musaico della Madre di Dio; invece non esistono piü affatto nemmeno i segni degli antichi divisorii del matroneo, del se- natorio, delle vergini e dei monaci. Qualche tino, che sono indizi del sao stile primitivo, Modesta fu dunque la chiesa che bastó pietra lavorata, qualche plúteo bizan-sono custoditi nel lapidario, a Trieste nei secoli, durante i quali da LA POKTA DEI BAKBI. (Fot. Alinari). municipio romano si trasformó in città comunale In essa le donne pregarono scampo quando i Longobardi tentarono un' invasione, e poi gli Slavi e gli Unni minaccia-rono dalle alture della Vena ; in essa pontificarono i vescovi che furono anche si-gnori feudali della città per la investitura imperiale di Lotario II; ma in essa anche FACCIATA E CAMPANILE DI S. GIUSTO. salirono gli inni di grazie e di gioia, quando ritorriarono in patria coloro che ave-vano partecipato alia vittoria di Legnano e quando, dalla stessa altura, trepidando, videro un'altra vittoria alzar le ali sanguinose dalla punta di Salvore. s. giusto — particolare della facciata. iscrlzione commemorativa del veecovo enea silvio piccolom1ni, poi papa pio ii. Frattanto, forse poco dopo la edificazione della cattedrale, alia sua destra era sorto un sacello dedicate ai martiri Giusto e Sérvelo, nel luogo dove la tradizione diceva sepolte le loro ossa; e il sacello resto indipendente dalla basilica fino al se-colo XIV, in cui la accresciuta venerazione per il martire patrono persuase un ve- scovo, forse Rodolfo Pedrazani, a riunire i due corpi in una sola grande chiesa; percio fu prolungato il sacello fino alia linea della basilica, e le due chiese, dive- s. oiusto — porta del campanile. (Fot. Alinari). ñute due navate, furono riunite da una terza navata centrale, necesariamente non molto regolare. Più tardi anche il piccolo battistero, posto a sinistra della basilica. fu incluso neH'edificio. Cosi si spiega la strana forma esterna ed interna che la chiesa offre attualmente al visitatore. * * A chi vi giunge per l'erta alberata, che sale dalla città vecchia, si presenta una costruzione che difficilmente potrebbe essere ascritta ad uno stile; il tetto è a il melone colla ai.abarda, ola es18tente sulla ouolia del campanile (ora nel lapidario). (Fot. G. Morpurgo). due pendenze, l'una maggiore e l'altra minore; la facciata, in pietra, ha tre occhi disposti senza simmetria ; quello centrale, notevolmente più grande, è arricchito da un bel rosone ad archetti acuti trilobati. Le porte, tre pur esse, nulla offrirebbero di notevole, se la centrale, la cosidetta porta dei Barbi, non avesse per stipiti le due parti di un sepolcro romano diviso a mezzo; le sei teste, somigliantissime fra loro, forse più per la insufficenza dell'artefice che per le somiglianze famigliari, fissano i fedeli con attoniti volti di mummie. Gli altri ornamenti della facciata sono lapidi e tausti che i casi dei secoli successivi vi hanno incrostato, non per mascherarne la nudita, ma per ricordare i fasti cittadini. Fasti non troppo Iieti pur troppo: che INTEKNO DEL CAMPANILE CON LE COLONNE DEL TEMP10 ANTICO. (Fot. Alinari). non moite benemcrenze ebbe verso Trieste Enea Silvio Piccolomini, effigiato e ma-gnificato nell'elegante lapide che è a sinistra della porta centrale, oltre quella di essersi interposto presso i Veneziani affinchè non abusassero della facile vittoria avuta sui Triestini neH'assedio del 1463; ma noi sappiamo che i patti furono duri lo stesso. Nè grande commozione di ricordi puó suscitare nei cittadini il busto del-l'amico di Pió II, l'imperatore Federigo III, sovra una mensoletta, nè quello di Carlo VI, che gli fa compagnia, entrambi tolti all'antico palazzo comunale e qui collocati da poco. L'altra iscrizione, senza alcun fregio, rammenta un altro momento della cronaca triestina: il bombardamento che nell'ottobre del 1813 la flotta anglo-austriaca scaglió contro i Francesi chiusi nella cittadella ; qualche ferita 1 'ebbe anche la cattedrale, ma la pietà dei cittadini si affretto a ricucirla. E di guerra più che di pietà parla il campanile, quadrato e tozzo, che si ap- NINFA SORPRESA DA SATIRI (NEL MUSEO DI ANTICHITÀ). (Fot. Alinari). poggia a sinistra della chiesa venendo più in avanti della facciata. Lo costruirono nel 1337, come afferma un' iscrizione collocata sopra la porta, ma forse più con la intenzione di farne un baluardo — non per nulla veniva a toccare le mura della città — che un banditore di preghiere: i fulmini e le intemperie gli smantellarono la guglia, e il grosso melone, insegna del comune, che era sulla vetta, fu portato altrove, si che l'attuale aspetto del campanile è più che mai simile a quello di un torrione. Fra gli archi mezzo sotterrati, e nell'interno dell'edificio le leggiadre colonne corinzie dell'antica basilica appaiono come perle incluse in un blocco di piombo: e per molti secoli, tra le grosse muraglie nere, cullata dal grave suono delle cam-pane cristiane, dormi il suo letargo una ninfa, effigiata su un basso rilievo, che TRIESTE .o JÓ sol tanto a principio dell'8oo fu messo in luce dall'architetto Pietro Nobile, ed ora è conservato nel museo cittadino delle cose antiche. Anche la porta del campanile aveva per ornamento la base di una statua romana, poi rimossa ; sopra la porta, a STATUA OI S. GIUSTO NEL CAMPANILE. (Fot. Alinari). non grande altezza, gira un fascione, e più in su, protetta da un piccolo arco, cam-peggia la statua, già rammentata, del patrono, reggente nella destra il modello della città. In alto due aperture ad arco lasciano veder le campane : meglio vi starebbero mangani e colubrine; e veramente fino ad un secolo fa c'era collocato un cannon-cino e forse il campanaro era anche bombardiere. Di contro al campanile è la camera mortuaria, dove un tempo era la chiesetta di S. Pietro, detto in Carnale, perché era inclusa nell'area del camposanto; sotto il sagrato dormono l'ultimo sonno i morti di diversi secoli, dal XIV fino al XIX : fra le lapidi di vario stile meritava specialmente uno sguardo quella che diceva di con-tenere le spoglie del duca d'Otranto, del celebre Fouché, il ministro della polizia S. OIUSTO — LE NAVATE. (Fot. Sebastianutti & Hcnquc), di Napoleone, il prodigioso intrigante del primo impero, che come altri naufraghi della tempesta napoleónica venne a lasciar le ossa a Trieste; ora non c'é la lapide e il corpo non lacrimato se lo é ripreso la sua patria. * * Entriamo nel tempio, avvolto nell'ombra sempre, anche quando fuori il cielo e il mare sono tutti una luce. Non importa essere architetti per accorgersi che la asimmetria esterna si ripete S. GIUSTO — PICCOLA NAVATA DI DESTKA. all'interno; le tre navate maggiori, e le due laterali, assai più piccole, sono di am-piezza diversa; le quattro file di colonne che dividono le tre navate principali non si corrispondono per la collocazione, come non corrispondono nè l'altezza nè il diámetro di ciascuna colonna e molto raeno i capitelli, quali bizantini della decadenza, quali romanici ; basta uno sguardo per accorgersi che la chiesa è conglobata da due edi- S. OIUSTO — NAVATA DI SINISTKA, DETTA DEL SANTISSIMO. (Fot. Sebastianutti). fici, diversi di forma e di età, e perciô è facile astrarre dalle intonacature recenti, ■che vorrebbero completarne la uniformità e ritrovare le parti antiche, vive e belle. La prima e maggior chiesa mariana è quella della navata di sinistra che oggi ■chiamano del Santissimo; avanzando lungo il colonnato oscuro (da questa parte tutte le finestre sono state chiuse) verso l'abside, par di risalire per i secoli spenti ; chè l'abside conserva intatta la sua forma originaria, quale le fu data nei tempi bizantini. E a Bisanzio e a Ravenna si ripensa ferinandosi innann al cospicuo musaico che ne copre tutta la callotta; vogliono i dotti che il grande fascione, dove sono effigiati i dodici apostoli, sia opera del secolo Vi, certo di qualcuno degli artefici che aveva lavorato nell'esarcato. Sono schierati, sei e sei, ai lati di una grande palma, l'albero del martirio, della gloria e del vangelo, che col vertice avvicina il cielo alla terra; la schiera di destra è interrotta da una finestra, arcuata pur essa, adorna di un motivo ornamentale di foglie; sono tutti vestid di abbondanti toghe riccamente panneggiate, diverso ciascuno nel volto, tutti solenni e magnifici come un consesso senatorio. La fattura del lavoro non permette di ascriverlo fra le mi-gliori opere dell' arte musiva ; il colorito non è molto vivo e lo stilizzamento, specie nel panneggiato, è veramente eccessivo; ma la proporzione e l'armonia rive-lano neU'artefice molta di quella che con termine moderno diremmo correttezza. Migliore per ogni rispetto è il grande musaico che gli sta sopra, e manda sprazzi di luce interiore dal fondo cupo della callotta; qui la ricchezza fastosa, che costituisce il primo pregio del musaico, è pari a quella delle più belle composizioni di San Marco. È un' opera che lógicamente viene attribuita al rinascimentó dell'arte musiva, quale splende a Venezia e a Torcello, opera del secolo XI í probabilmente. Raffigura la titolare della chiesa (Madre di Dio, dice la sigla greca sopra 1'aureola) col Bambino, seduta in gloria fra gli arcangeli Michele e Gabriele: il fondo tutto S. OIUSTO — MUSAICO DEGLI APOSTOLI. (Fot. Alinari)¿ S. GIUSTO — MUSAIC0 DEGLI APOSTOLI. (Fot. Alinari). d'oro risvegliava ai fedeli l'imagine del paradiso ; gli arcangeli dalle grandi ali d'ar-gento e 1'aspetto stesso di Maria, reale, adorno di tutti gli attribut! della magnificenza _ ]a veste azzurra e i sandali rossi — più che significare la teñera bontà della consolatrice doveva indicare la potenza della grande avvocata. La madre è sublimata dalla divinità del figlio, che, in atto solenne, sopra le sue ginocchia solleva la piccola mano sottile per benedire. « Regina del Cielo » la chiama il distico leonino inscritto nella zona che separa questo musaico da quello degli apostoli ; e al sommo della fascia che chiude l'arco dell'abside è effigiata la mano del Creatore reggente una corona. Tutta la composizione, completata dai sei angioletti negli scom-paftimenti e dalle colombe simboliche, vuol dunque esprimere la divinità stessa, convergente intorno alla figura della madre indiata ; i massimi arcangeli si inchinano a lei fatta sublime da tutta la potenza della Trinità. E l'arte non è inferiore aU'alto concetto: chè la sua magnificenza trova degna espressione negli atteggiamenti so-lenni delle figure, e nella magnificenza dei colori ardenti e bene armonizzati. Neirinsieme l'abside ha un carattere grandioso e severo: ma nuoce moltissimo alia vista il goffo altare barocco portatovi da Venezia nel 1826, che viene a coprire una parte del musaico degli apostoli. Ben più solenne doveva essere l'effetto quando: vi era il semplice antico altare a due mense, insistente su quattro colonnette di marmo, e l'abside era chiusa dalle transenne di marrao traforate; la restaurazione non dovrebbe esser difficile. In questa parte della chiesa non si ha nessuna traccia di martirio, o confessione, come chiamavano il luogo che conservava i resti umani di qualche santo ; perche da martirio serviva il sacello, che corrisponde all'abside della navata di destra, quella cosi detta di San Giusto. Anche qui la parte superiore della callotta è tutta ornata S. OIUSTO — MUSAICO DEGLI APOSTOLI. (Fot. Alinari). da un grande musaico, raffigurante Cristo benedícente che calpesta due mostri dia-bolici; sulla fascia orizzontale l'iscrizione termina colle parole: « ecco Cristo che cammina sull'áspide e il basilisco >; nella sinistra ha aperto il libro della vita. Ai due lati del Salvatore, incurvati colla stessa curva dell'arco, stanno i due martiri patroni: San Giusto nel manto vermiglio recante la palma del suo martirio e San Servolo nella clámide celeste a fregi d'oro, su cui è gettato un manto di porpora scLira. Cristo ha una clámide violacea e un ricco pallio celeste, in capo il nimbo coi segni della Trinità, nudi i piedi con cui preme i mostri; il suo volto è grave e pen-sqso. I martiri invece, nelle faccie imberbi, somigliano a due adolescenti di alta sta- tura. Il musaico è compiuto da fregi in parte geometrici, in parte a fogliami, tutti di buono stile, che ricordano molto da vicino alcuni del sepolcreto ravennate di Galla Placidia: il che non deve parer strano se è vero che la composizione è contemporánea alie migliori di S. Vitale. Infatti si dovrebbe attribuirla proprio all'im-pero di Giustiniano, se si vuol tener conto di un monogramma rilevato tra le foglie di un capitello nella parte inferiore dell'abside, in cui i dotti leggono il nome di Frugífero, vescovo tergestino della meta del secolo VI. In ogni modo l'ipotesi è molto S GIUSTO — MUSAICO DEQLI APOSTOLI. (Fot. Ali probabile perché da altra fonte — da Cassiodoro — sappiamo che tutta lTstria era ancora fiorente in quel crepuscolo di Romanità Cristiana che fu l'età bizantina; la quale età per Trieste si protrasse più che per qualunque altra regione dell'Italia set-tentrionale, essendo la città ritornata sotto la dominazione di Bisanzio anche dopo un effimero dominio longobardo, e rimase fedele alla seconda Roma finché l'impe-ratrice Irene la cedette formalmente a Cario Magno. Negli oscuri secoli del feudalismo le due chiese rimasero probabilmente immu-tate ; non vi si sarà aggiunta che qualche rozza colonna, o qualche finestra a tra-foro, grossolana di fattura, se si deve giudicare da quella che di recente fu scoperta dietro l'altare di S. Niccolô. L'età dei vescovi arricchi il tesoro di pochi arredi senza valore artístico. Infatti, il curioso crocifisso d'argento — opera di artefice greco, del sec. XIII — oggi conservato nel tesoro della cattedrale, era prima nella chiesetta di Caboro, dove lo adorava la confraternita dei battuti, a cui era stato donato dai pescatori, che, si diceva, lo avevano trovato nel mare. Posteriore di un secolo (i383) è l'altro crocifisso pure in argento, tutto cesellato, che parimente si conserva nel tesoro: la croce, grandissima in confronto del Cristo, è tutta smaltata di rametti, di S. OIUSTO — CALLOTTA DELL'ABSIDE DEL SANTISSIMO. (Fot. Alinari). corimbi e di rosette; notevoli nelle rosette più grandi certe figurazioni di mostri alati e di un diavolo colla testa umana, il torso d'uomo d'arme e le zampe caprine. E poi del rinascimento l'originalissima cancellata a ferro battuto, che chiude la cap-pella di queste reliquie. L'età che diede assetto alia costruzione del duomo triestino fu l'età comunale : allora avvenne la ricordata fusione delle due chiese, e circa lo stesso tempo furono chiamati artefici della nuova arte pittorica a completare l'abside di S. Giusto. Nei cinque scompartimenti, divisi da ricche colonnette di marmo, che ne formavano la parte interiore, già adorni di fregi a musaico, un ignoto pittore del primo trecento e forse di scuola vcneziana fresco l'imagine del patrono e otto storie della sua vita. Nelle quattro lunette vediamo Giusto attestare la fede innanzi al pretore Manazio, poi chiuso in prigione, invocare Dio e sognare il suo martirio, indi esser flagella'to ed MARIA IN GLORIA — I'AKTICOLARE DEL MI SAICO NELL'ABSIDE DEL SANTISSIMO. (Fot. Alitiari infine condotto in una barca per esser portato in mare e affogato; nei quattro campi inferiori appare in visione a Bastiano sacerdote per mostrargli la spiaggia su cui il mare ha gettato il suo cadavere; poi Bastiano coi maggiorenti della città ne ritrova la spoglia quasi del tutto nuda; le ultime due storie rappresentano il funerale e il seppellimento a fianco di una chiesa che pare francescana. Il pittore che ha eseguito l'affresco non offre nessun carattere molto personale; ma in tutte le sue composizioni c'è la grazia ingenua d'un'arte pia, che si propone uno scopo preciso, l'edificazione dei fedeli; la composizione è la sólita di cento pre- s. oiusto — frf.oio musivo nell'ABStDE del santíssimo. (Fot, Alinari). delle e di cento ancone di quel secolo, il disegno un poco duro, il colorito malamente giudicabile per il deterioramento generale del lavoro e per i restaari, non cattivi del resto, che questi ultimi anni vi sono stati fatti. Altri restauri hanno lasciati scoperti qua e la sotto l'intonaco recente dei resti di altri affreschi, di varii secoli; le palmette interno aH'altare di San Nicolo sono una derivazione dell'arte musiva e si vogliono far risalire al VII e aH'VIII secolo; tutti gli altri sono frammenti di nessuna importanza, eccettuata forse una testa di Cristo, frescata in un archivolto tra la navata centrale e quella di S. Giusto. La navata centrale non ostante la sua ampiezza è la meno note vole; nell'abside non sono collocati che i mediocrissimi dipinti del Panza (1704) che fino al 1845 mascheravano gli affreschi di S. Giusto: ma un tempo anche questa parte doveva S OIUSTO — CALLOTTA DEU.'ABSIDE Di DESTRA. (Fot. Alinari), esser tutta frescata. II vecchio cronista Ireneo della Croce assicura che nel 1421 « fu dipinto il volto (Tarco) d'essa cappella maggiore » e suppone che del medesimo tempo fossero le altre storie del vecchio e nuovo testamento « che da ciascuna parte abbellivano tutta la chiesa e medesimo coro » ai tempi suoi (1702). Ma la calcina degli imbiancatori ha roso bene i colorí antichi, ed i saggi, fatti un po' da per tutto, poco hanno rivelato ai desiderosi deH'antica arte. La chiesa oramai appa-risce come l'opéra collettiva di quindici secoli, e noi, ultimi venuti, se possiamo to-güere qualcuna delle aggiunte più grossolane, poco possiamo sperare di rendere i colorí della giovinezza alla chiesa che è vecchîa. Anche cosí i devoti del santo patrio possono sognare il suo martirio e la sua gloria, e tutti gli uomini nuovi della grande città moderna possono sentiré l'anima del piccolo e forte comune, annidato fra il colle e la marina. Poichè il rinnovamento avvenuto al tempo di Maria Teresa e di Giuseppe secondo ha distrutto tutto ció che manteneva l'aspetto della città antica, rifugio a chi è stanco della fragorosa vita dell'oggi non rimane che la pace di questa chiesa, il suo silenzio e la sua ombra. TESORO DI S. GIUSTO — CROCIUSSO DKI BATTUTI (SEC. XIII), (Fot. Alinari). * * Ma questo visitatore sentimentale (soltanto il sentimentale puô essere un buon visitatore) prima di uscire alla luce e al riso delTAdria, che ampio si offre alla vista TESORO DI S. GUSTO — CROCIFISSO DEL 1383, (Fot. Alinari). del colle, deve ritornare nell'abside di S. Giusto, dove è il patrono che regge in mano il modello del comutie trecentesco ; quella rozza e semplice forma gli inse-gnerà a scoprire nella città nuova un núcleo, che è quello dell'antica. II dédalo di viuzze rampanti, incluso fra via Santa Chiara, le Beccherie, il mare e risalente a S. Giusto per la via che ancora si chiama delle mura, costituiva tutta Tarea della città murata nel secolo XIV che rimase quasi immutata fino al secolo XVII. Entro questi limiti bisognerà che egli cerchi tutto quelle che riguarda la antica storia e la antica arte del Comune triestino, e percorrendo i vicoli che conservano le dire- S. GIUSTO — CANCELLATA DEL TESORO. zioni e i nomi del tempo passato, ricostruisca gli edifici distrutti. Nei verzieri, a sinistra della cattedrale, era il convento di Santa Chiara ; ad esso apparteneva il trittico del trecento, che oggi si conserva nel Museo di Antichità, e merita di essere esaminato perché presenta un carattcre intermedio fra l'arte bizan- tineggiante e quella dei primitivi veneziani. I due sportelli laterali contengono nelle faccie esterne le immagini di S. Cristoforo e S. Sergio, e in quelle interne, divise ín tre scom par time nti ciascuna, S. Chiara e la Madonna, S. Giusto e S. Servóle, S. Lazzaro e S. Apollinare, Cristo e Santa Marta, Santa Clara e Sant'Agnese, Santa S. OIUSTO — AFFKESCO NELL'ABSIDE DI DESTRA : IL SANTO PROTETTORE COL MODELLO DELLA CITTÀ. (Fot. Alinari). Barbara, Santa Margherita e Santa Caterina. La parte centrale poi è divisa in ben 36 scompartimenti, ove sono dipinti i fatti della vita, la passione e la morte del Redentore, la morte di Maria e quella di Santa Chiara. Si direbbe che il convento ordinatore volesse fare una ta vola ad economía: col mínimo di spesa imponesse al pittore di soddisfare tutti i possibili gusti agiografici delle buone sorelle clarisse. Delle dodici e più chiese che sorgevano entro le mura una sola rimane in piedi, degna di nota, quantunque sia ridotta ad un'ombra di sè stessa: la piccola chiesa di S. Silvestro, che secondo la tradiziorte avrebbe conservato le spoglie virginali di Tecla ed Eufemia, martiri triestine dei HT secolo. Dalla sua antichità sono prova le POLITTICO IJI SANTA GHIARA — INTERNO DELLO SPORTELLO DI DF.STKA : SECONDO E TEHZO SCOMPARTIMENTO. (NEL MUSF.O DI ANTICHITÀ). (Fot. Alinari). finestre di marmo a traforo di stile basso bizantino ; ma poi dovette essere restau-rata secondo Io stile románico, come appare dal portale e dall'arco. Rimaneggiata completamente alla fine del 1700, è passata al rito protestante. I cattolici fin dal secolo antecedente vi avevano innalzata accanto una chiesa più vasta, Santa Maria Maggiore, che il popolo chiama dei Gesuiti, grave e solenne nella sua facciata ba- rocca e nel suo interno, fresco di imbiancature. Antica e venerata era anche la chiesa di S. Pietro in piazza grande, che fu demolita appunto per l'ampliamento di questa: il rosone, simile a quello di S. Giusto, é stato conservato nel lapidario. Fra i monumenti, dei quali non esiste piü traccia, uno pero deve essere ram- POL1TT1CO 1)1 SANTA CHIARA — INTERNO PILLO SFORTELLO ni SINISTRA: SECONDO F. TF.RZO SCO MI" ART I MENTO Fot. Alinari). mentato, perché completa la fisionomía della Trieste comunale, il palazzo del Co-mune, che colla facciata guardava la piazza grande, e col tergo toccava le mura tarrife, da cui per tre postierle, vicinissime, si usciva al mandracchio, il porto primitivo. Per rivedere I'edificio bisogna aguzzar gli occlii nella pittura di S. Giusto; dall'affresco impallidito lo vediamo emergere come l'unione di due corpi di fabbrica, merlati alla ghibellina, di cui uno, colle finestre a semplice arco, sernbra più antico dell'altro arricchito di alcune bifore a sesto acuto: i documenti antichi ci fanno ag-giungere, nella parte invisibile sull'affresco, un porticato e una scala esterna come nel palazzo comunale di San Gimignano. Complessivamente un edificio modesto, come modesto era l'aspetto di tutta la città, e modesta la vita e le abitudini: le arti, particolarmente quelle figurative, sono fiori che nascono dal suolo fecondato di ric-chezze. * * Ma anche resasi ragione della poca abbondanza di quest'antica arte triestina, un fatto colpisce lo straniero, sovra tutto se egli giunga dall'Istria vicina, in cui ogni città ed ogni borgo offrono al piacere degli occhi qualche tratto di architettura veneziana, e ai ricordi storici i leoni dell'evangelista : Trieste non ha nè un leone di San Marco, nè in tutta la sua architettura una linea che rammenti la dominatrice dell'Adria. Da qualche resto sopravvissuto sembrerebbe piuttosto che prevalesse lo stile románico. Lo spiega la sua storia, dolorosa per alcune conseguenze, ma pur gloriosa perché nella sua secolare umiltà sembra consapevole di una grandezza futura. I reggitori della città, fin dai tempi feudali, avevano inteso che Venezia dominatrice di Trieste avrebbe assorbito tutti i vantaggi che a questa offriva la sua posizione fortunata alio sbocco dei valichi delle Alpi Giulie ; perciô Trieste oso piuttosto esser rivale che soggetta di Venezia, e quando le sue sole forze non le bastarono, ricorse a chiunque, pur di non aver distrutte le sue speranze. Triste condizione, se si vuole, ma neces-saria per chi senta la ferrea necessità delle leggi economiche della storia ! Trieste era ancora sotto il dominio dei vescovi, quando Enrico Dándolo, movendo colla sua flotta crociata verso l'oriente (1202), si presentó nel porto e le impose un tributo di vino, che voleva essere il principio di una vera e propria sudditanza. Con metodi analoghi, in quel giro di tempo, sopra lo sfacelo della signoria feudale nel marchesato d'Istria, Venezia si insediava in tutte le città costiere di questa peni-sola, e verso la metà del 300 aveva assicurato definitivamente il suo dominio. Ma Trieste, vicina ad una potenza che poteva ancora tenere in scacco quella veneta, il Patriaroato di Aquileia, fu nella sua sudditanza infedele ; appena che le galee della serenissima erano fuori del golfo, dimenticava qualunque obbedienza ; e il reggi-mento comunale, succeduto a quello vescovile, su questo punto non pensó affatto a mutare condotta. Perciô nelle lotte fra il Patriarca e Venezia, Trieste fu sempre alicata col primo; e quando la fortuna di guerra volse loro favorevole, osó anche dalla difesa passare all'offesa, come quando i suoi marinai, imbarcati sulle agili fuste, si spinsero fino a Caorle e la incendiarono. POLITTICO DI SANTA CHIARA — SPECCHIO CENTRALE: PARTE S1NISTRA, IN ALTO. VITA DI CRISTO E DI MARIA. POLITTICO DI SANTA CHIARA — SPECCHIO CENTRALE! PARTE DESTRA, IN ALTO. VITA DI CRISTO E DI MARIA. POLITTICO DI SANTA CHIARA — SPECCHIÜ CENTRALE: PARTE SINISTRA, IN BASSO. VEÍA E PASSIONE DI CRISTO. POLITTICO Di SANTA CHIARA — SPECCHIO CENTRALE: PARTE DESTRA, IN BASSO. VITA E PASSIONE DI CRISTO: MORTE Dl MARIA E DI SANTA CHIARA. Era questione di vita per il piccolo comune orgoglioso della sua indipendenza : il reddito principale della città era quello delle saline, che si stendevano nelle parti piane della costa, lungo il tratto che oggi è compreso dai porti; e Venezia impediva che di quel sale ne fosse portato in alcuna parte del suo territorio ; perciô i Triestini, ridotti a salare gli scarsi abitatori della montagna, non potendo essere mercanti, dovettero essere contrabbandieri. il periodo più acuto della lotta con Venezia — dal 1368 al 1382 — trasse oc-casione appunto da questo contrabbando ; fu quando una galeotta veneziana voile fermare una barca sospetta nel golfo di Trieste, che i Triestini la assalirono e ne uccisero il comité e diversi marinai, onde Venezia a vendicare laffronto mandó una flotta e costrinse la città a capitolare. Ma subito dopo scoppiô la ribellione e il par-tito antiveneziano, prevalente nei consigli del comune, chiese aiuto ai naturali av-versari di Venezia, al re d'Ungheria, a Bernabô Visconti e a Leopoldo duca d'Au-stria ; quest'ultimo solo ne promise, ma fu aiuto cosi fiacco che i Veneziani si impa-dronirono fácilmente della città e parve per un momento che ne avessero assicurato il dominio. A difesa di questo dominio costruirono due castelli, l'uno dei quali vi-cino a San Giusto, forse nello stesso luogo dove è quello odierno; nè mancó il símbolo della nuova signoria in un bel Ieone alato che ora è.... non a Trieste, ma a Genova, murato nella casa che fu dei Giustiniani. Infatti, appena scoppiata la cosi detta guerra di Chioggia, ultima lotta fra Genova e Venezia, Trieste si affrettô a ribellarsi, ed ebbe facile giuoco perché l'am-miraglio genovese Maruffo colle sue navi costrinse la guarnigione veneziana 1 lasciar quel malfido baluardo; allora la fiera alata fu presa e portata via dai vincitori. La pace di Torino (1381) rese l'indipendenza a Trieste; ma se i Triestini ne furono lieti, videro anche che sarebbe ben presto sfumata la indipendenza di un piccolo comune, posto in luogo da destar gli appetiti di contendenti troppo più grandi e più forti: o ricadere nelle maní di Venezia, o farsi proteggere da qualche-dun altro. lo non so quale sarebbe stata la vita della città se avesse vinto il primo con-siglio, ma i reggitori del comune pensarono, e forse non a torto, che tutte le loro energie sarebbero state annullate e assorbite dalla magnifica dominante. E non eb-bero coraggio di sacrificare le loro speranze particolari a un ideale astratto; ardeva nei loro cuori il geloso amor patrio comunale, sentimento ristretto al giudizio nostro, ma intenso oltre ogni altro amor di patria, e il solo possibile e vero in quei secoli. E poi guardarono il mare; nel suo luccicliio sotto il sole, sembró che tutte le onde si facessero d'oro; sul fulgido orizzonte videro con i meravigliati occhi della fantasia le misteriose terre dell'Oriente ; il mare, < l'infecondo », apparve loro come I'arca di tutti i tesori, l'alimento di tutti gli uomini. Quel gran mare era d'altri ad altri aveva giurato fedeltà maritale ; ma anch'essi lo amavano, e poichè non pote- vano lottare, vollero attenclero vigilando dai loro scoglio; perció i Triestini non fu-rono veneziani. Ricorsero invece un' altra volta a Leopoldo d'Austria come già altre città ita-liane aveano invocata la difesa da signori stranieri, e ne ottennero la protezione necessaria alla loro sicurezza, a condizioni non troppo onerose, chè nel patto concluso a Graz il 30 setiembre 1382 egli, in compenso della sua alta sovranità, di qualche piccolo reddito, delle multe e di « cento orne » di vino all'anno, giuró di lasciare a Trieste il suo reggimento comunale e di non darla in feudo a nessuno. Suo rappresentante, con attributi di potestà, fu un capitano, ma nessuna guarnigione ducale entró nella città. Questi patti, che furono a lungo mantenuti, ci spiegano come ancora tre secoli dopo il geografo Luca di Linda chiudesse la sua descrizione dell' Istria, scrivendo : « La città di Trieste, ancora che riconosce per signore l'Arciduca d'Austria, ha nondimeno quest'avvantaggio che si governa a suo modo ». — « Repubblica > si chiamó da sè stessa Trieste nellostatuto del 1550, e ? piccolo Stato tributario dell'Au- stria » la affermó Domenico Rossetti, sincero e sicuro narratore delle memorie patrie. * * * Sarebbe perô un' ingenuità storica il credere che col mutamento del 1382 la vita storica di Trieste fosse assicurata verso una nuova direzione. Non fu abbandonata per parecchio tempo la antica abitudine di mandare ambasciatori triestini a Venezia a congratularsi per le elezioni dei nuovi Dogi ; e tanto poco era fermo il nuovo ordine di cose, che nel secolo XV, accanto al partito del duca d'Austria si formó un partito veneziano, il quale ebbe le simpatie della maggioranza, quando un ma-laccorto castellano del Duca, mandato a Trieste, pretese di diminuirne i privilegi comunali. Sembra anzi che in questo giro di tempo, verso il 1470, per tener soggetti i cittadini malsicuri, un capitano austríaco cominciasse a edificare, nel luogo ove era il bastione veneziano, un castello da vigilare la città. Altri suppone che questa costru-zione avesse origini più antiche, e che subito dopo la dedizione il capitano Ugone VI di Duino pensasse ad elevare la fortezza, dominatrice di tutto l'abitato dall'alto del colle. Ai giorni nostri è occupato dalla guarnigione, e al visitatore non è permessa la vista se non della sua forma triangolare e dei suoi terrapieni e bastioni, dai quali, per un lato si guarda la città vecchia e il porto, per l'altro la valle ove si estende la città nuova, e per il terzo il colle di S. Vito e il Vallon di Muggia. Ebbe compi-mento solo a metà del secolo XVI; e allora i suoi quattro bastioni principali, come ci narra il cronista Ireneo, ebbero nome bastione Leopoldo — quello corrispondente all'antico fortilizio veneto — bastione Ferdinando, bastione Filippo e bastione Cinich. 'vinowHa 'oaiaid *s ia VS3IHO vnaci ' 3NOSON : oiavaidvi Certo è che la fortezza non ha avuto nella sua vita soltanto un ufficio decorativo: chè dovette prepararsi a difesa quando, nel 1470 e più volte nel trentennio successivo, i Turchi minacciarono dalla Carsia, e poi nel 1505 pati l'urto delle spin-garde di Gerolamo Contarini, che ancora una volta conquisto a Venezia la città. Ma fu l'ultima: la lega di Cambray recise i nervi della potenza veneziana, e a Trieste il partito veneto necessariamente perdette forza, perché la política di Venezia continuava ad essere di una durezza più adatta ad alimentare l'odio che a conciliare le amicizie. Era crudeltà veramente odiosa, quella di perseguitare senza IL MANDRACCHIO ; CORRISPONDENTE AL PORTO DEL COMUNE ANTICO. posa il meschino commercio del sale, che Trieste voleva mantenere; ed era prepo-tenza troppo egoística quella di pretendere, che anche gli abitatori della montagna portassero le loro derrate a Muggia veneziana invece che alla più vicina Trieste. Durante il secolo XVI, che colle scoperte geografiche e col formarsi delle grandi potenze europee per Venezia segnô la fine de! suo accrescimento mercantile e politico, sembra che la Serenissima, presaga della decadenza non lontana, si af-fanni con rabbia ad affermare e ad imporre la sua egemonia non più sicura. E per i suoi sospetti verso Trieste sono assai notevoli certe richieste che l'ambasciatore veneto fece all'imperatore nel 1523: « che li Triestini.... non possano haver saline nè fabbricar nove saline — « Che non hanno liberta di poter traficare et navi-gare sopra il mare Adriático in pregiudicio delli dazii et porti della repubblica Ve-neta,... ». A cui i magistrate triestini, che per Tappunto poco prima avevano chiesto a Carlo V il diritto di libera navigazione nell'Adriatico e nel Levante, rispondevano con orgoglio inusato : < Esser stato gran tempo prima Trieste che Venezia, haver avuto saline avanti che Venezia fosse fabbricata » e alla seconda pretesa < che la repubblica non ha titolo alcuno, nè originale né acquisito né tampoco continuato sopra il mare Adriático » col quale possano e debbano impedire il loro transito..... I destini contrastanti delle due città si incontravano sulle lucide vie del mare ; .■J ITJ ^ 4 CASTELLO m TRIESTE (DA l!NA CROMOLITOGRAFIA del 1854); e se la potenza di Venezia per lungo tempo si mantenne si valida da ridersi della minuscola rivale, questa non perció si stancô di tentar la fortuna e di seguir coloro che le promettevano aiuto: e dei suoi protettori non badô aile origini diverse e aile diverse intenzioni, perché la legge dell'interesse è più forte dei ricordi e dei presagi : a Ferdinande T, che ai privilegi dell'indipendenza aggiunse promesse di vantaggi commercial^ e, un secolo più tardi, a Leopoldo I, che ai Triestini parlo di mercati, di fiere e di libera navigazione, furono elevate due colonne pur oggi visibili, l'una nella piazza grande e l'altra davanti a S. Giusto, due colonne come due mete da cui la fortuna mercantile di Trieste voleva avanzarsi per i campi glauchi dell'Adria. Tuttavia l'incremento e la prosperità di Trieste per lunghissimo tempo rimasero sole speranze; anzi parve si affievolissero e si spegnessero prima di prender forma e sostanza. Ho sott'occhio una veduta prospettica' della città, disegnata nel 600 e vedo intatta la linea delle sue prime mura, e dentro queste ancora inabitate Ie parti che nel '300 erano vuote di case, e fuori delle porte nessun edificio aH'infuori di qualche chiesa, ma la solitudine dei colli e delle saline: quest'ultime anzi per i nuovi gra-vami imposti dall'impero erano a poco a poco abbandonate. Nè ampliata era la giurisdizione sul territorio: il vecchio sigillo che segnava i limiti dell'agro triestino fra Sistiliano, la pubblica via Romana, il dosso di Castellier e la riva del mare, poteva essere ancora adoperato dai magistrati che tuttavia si eleggevano secondo le antiche consuetudini. Era sempre la vecchia costituzione aristocrática, col consiglio maggiore e quello di Pregàdi (nome veneziano), il podestà, il giudice del maleficio; in più il capitano impériale ; e avevano autorità sugli altri cittadini i discendenti dalle « tredici casate », una specie di libro doro triestino fis-sato a mezzo il secolo XIII. Chi potesse sconvolgere il pavimento della insignificante chiesa ora dedicata alia, Vergine del Soccorso troverebbe le loro tombe: li sorgeva il convento francescano che la tradizione vuole fondato da S. Antonio da Padova, e nelle sue cripte eran le sepolture d'onore dei grandi cittadini e forestieri : alcuni patrizi veneziani pacificati nel sonno misterioso vi riposarono coi patrizi triestini. A completare questa imagine della Trieste anteriore al rinnovamento commerciale, mi piace riportare un passo del secentista monsignor Tommasíni, che ne parla con affetto bonario. ? E una bella e ricca città e la più insigne della provincia, la quale gode la sua libertà quasi picciola repubblica, riconoscendo pero il serenissimo Arciduca d'Austria per signore ed a questo ogni anno pagando un piccolo tributo di 100 orne di vino. « Ha belli casamenti e dentro adornati e la gente è di bello aspetto. Amano li forestieri e li virtuosi (i belli ingegni) e sono amorevoli e gentili, molto accostu-mati, liberalissimi anzi prodighi nel convitare e nel banchettare. Non vi è forestiero che voglia fermarvisi, il quale non trovi occasione di prendere moglie, essendo la città numerosa di questo sesso e queste son belle, rosse e bianchc.... e fácilmente ingrassano e sono feconde ed oneste. « La lingua di questi abitanti è furlana corrotta ». Ma da allora anche questo segno dell'antica vita è scomparso: al dialetto ladino che accomunava i Triestini cogli abitanti della pianura friulana e testimoniava la loro origine carnica, è sottentrato, forse per la via delITstria, il dialetto vene- ziano — già ufficialmente usato in molti atti del periodo comunale — appena ve-nato di qualche parola diversa, e un po' invigorito nella pronuncia. Cessate le cause della rivalità, questa conquista ha potuto confermare la antica signora dell'Adria. Ma l'anima della piccola città, ferma nelle sue speranze secolari, mi par che riviva tutta e si palesi completa come nel suo ambiente naturale nei brevi confini della citta vecchia, pittoresca sopravvivenza dell'antico comune murato nell'aperto emporio moderno. A me piace lasciare i soleggiati del corso e della piazza grande, per risalire IN CITTA VECCHIA - VIA DEL CKOCIF1SSO. (Fot G. Morpur^o). le viuzze erte, contorte, povere di luce, ma ricche di vita, che s'appuntano verso la cattedrale. Se la furia delle * genti nuove » ha distrutte le mura e le chiese an-tiche, i reggitori presenti con saggio consiglio hanno mantenuti i nomi delle an-drone, e delle piazzole. Le case, alte come a Genova, occhieggianti da finestre e da terrazzini disordinati, come a Napoli, fanno sentire immutato il carattere étnico della città marinara. Una folla di marmocchi giocondi, sudicetti, affabili come i loro fratelli veneziani, si rincorre per i vicoli, caprioleggia sugli scalini delle porte oscure. Nell'estate le comari stanno sulle porte ad agucchiare e a far maldicenza come nei campiellí goldoniani ; nelle osterie basse i marinari e i facchini del porto si abbandonano alie gioie violente del vino istriano. E sulla sera, quando finisce il lavoro, ad aggiungere una pennellata di grazia a questo popolo loquace e vivace ritornano alia loro umile città le « sartorelle j, che nei negozi lussuosi hanno preparato le vesti alie ricche donne dei negozianti, Ieggiadre anch'esse nelle vestine ben modellate, nelle calzature sottili. Passano a pic-coli gruppi, scherzose e provocanti, desiderate dai giovani, desiderose di feste e di amore. Qui, nelle calli semibuie e male odorate, meglio che sui marciapiedi del corso, splende la loro grazia popolana, e si rinnova la bellezza deH'antico sangue. Dalle loro gole e dai loro cuori sgorga una canzone: è Pinno di S. Giusto, I'inno del popolo nuovo che perpetua la fede del libero comune antico. UNA SCALINATA IN CITTÀ VECCHIA (Fot. G. Morpurgo). II. LA CITTA' NUOVA. Piazza grande, inclusa nell'area della città antica, ma completamente rinnovata negli edifici e ampliata fino a giungere alla riva del mare, è anche il centro della città nuova. Questa ha invaso tutta la parte piana, non molto vasta pero, che giace a nord del colle di S. Giusto; e poichè la pianura era a un certo punto interrotta dai colle del Farneto, anche la città si è da quella parte divisa in due rami, la barriera vecchia e l'acquedotto; oggi la necessità di nuovi ingrandimenti ha costretto ad aprir nuove vie, in salita, anche sulle radici di quel colle e su quelli meno dolci di Scorcola e di Roiano. Dalla parte méridionale di S. Giusto un altro ramo della città, costeggiando il mare, giunge sino alla punta del promontorio che chiude il golfo — in Istria lo dicono vallone - di Muggia, dove già ab antiguo si ergeva LANTERNA (utuHV (VIIHOIINV IQ OHSniV 13CI VdlVVJLS VNÍ1 va) IIIAX '03S 13N 3ISHIH1 '(!JBH?IV -aaNvao vzzvid la chiesetta di Sant'Andrea; più all'interno altre vie non completamente urbane al-lacciano il colle di San Vito e scendono direttamente sul vallone operoso di cantieri e di officine. Questa nuova città, sorta troppo di recente e troppo in fretta per poter già possedere un notevole valore d'arte, è figlia di un'idea mercantile; il suo nasci-mento non puó essere confrontato con quello di nessuna città italiana, all'infuori di Livorno. E una città venuta dal mare; il primo núcleo dei suoi edifici sorse per LA PIAZZA GRANDE NEL 1854 (DA UNA CROMOLITOGRAFIA DEL TEMPO). riparare le merci affluenti sui navigli, e per ospitare coloro che con lo scambio di queste merci formavano le loro fortune. Si dà mérito di aver fatto sorgere l'emporio triestino a Carlo VI, che, ben'con-sigliato da Eugenio di Savoia, nel 17 17 dette libera navigazione sull'Adriático e a Trieste, per attirare il commercio, concesse il « porto franco > : ma gli uomini non sono che i ministri del destino storico; la collocazione di Trieste nel più interno seno deU'Adria, e l'età del suo sviluppo, corrispondente a quello della decadenza di Venezia, ci insegnano che quegli uomini, accorti senza dubbio, non facevano che seguire una fatalità, a cui tutta la storia antecedente del comune era stata di pre-parazione. PIAZZA GRANDE. IL CORSO AFFOLLATO. (Fot. F. Venezian). 10 Nel primo trentennio sorsero affrettatamente i magazzini per le merci ; poi, coll'avvento di Maria Teresa, brava massaia di popoli, si fece chiara l'idea di creare una vera e propria città. Allora al Senato veneziano si presentarono relazioni, in cui con un certo sgomento si annunciava che si dava principio a un porto libero fuori delle mura di Trieste. Fortunatamente il dualismo che avrebbe potuto sor-gere fra gli abitatori della città vecchia e quelli del borgo teresiano, fu troncato in sul nascere, ponendosi la città nuova (1749) sotto la amministrazione dell'antico SELVA DI VELIERI (Fot. F. Venezian). comune ; la tradizione mantenuta da questo prevalse sulle genti nuove e giovô ad amalgamarle. Maria Teresa che questo seppe volere, dalla gratitudine dei Triestini ebbe in dono una fontana simbólica ma bruttina — è quella di Piazza Grande — ; ma mi-gliore gratitudine è quella che ogni animo sereno deve al suo spirito libérale. Trieste nuova è la figlia legittima di quel moto riformatore che è un vanto di molti principi del secolo XVIII: Maria Teresa intuí che nessun ampliamento econo-mico poteva avvenire senza libertà, e nei privilegi aggiunti al porto franco largheggio di libertà non solo economiche, ma politiche e religiose. IL CANALE. LO SBOCCO SUL CANALE. Venissero le merci e i mercanti da ogni dove, nel porto i navigli avrebbero potato soggiornare senza pagare imposte e i forestieri avrebbero potuto fermarvi la loro sede magari senza l'obbligo di render conto esatto delle loro azioni antecedenti. Sistema pericoloso, puô giudicare qualche timorato, ma buono in pratica se si pensa che ventiquattro secoli prima Io aveva applicato il padre Romolo, e con effetto non cattivo. E i bei velieri vennero nel nuovo porto ed entrarono nel canale, che FUORI DEILA LANTERNA. (Fot. Scbastianutti & Benque). tra un doppio filare di gelsi tagliava a mezzo le antiche saline. Oggi ci penetrano soltanto le paranze e i bragozzi, ma come allora dànno un' immagine della varietà delle genti che trovarono il loro crogiolo nella città sorgente: le carene dei barconi chioggiotti, romagnoli, marchigiani e pugliesi toccano le prore scolpite delle tartane greche e dalmatine; sulle rive i fichi seccati ai soli dell'Acaia si mescolano coi pomi dorati dal sole della Puglia. E di quel tempo anche il molo San Carlo, costruito sopra una fregata che nel 1740 si era tranquillamente affondata in quel punto: si protende in mezzo al vecchio porto, nitido ed elegante, come fosse costruito per il diletto degli oziosi e non per le rudi necessità del traffico. Ora non più 1 grossi velieri che portavano gli MOLO SAN CARLO. (H'ct. Sebattianu(ti). zuccheri e i caffè dall'Oriente, ma i lucidi piroscafi rccanti i viaggiatori da Costan-tinopoli, da Alessandria gli fanno siepc maestosa. Dalla sua punta il golfo è aperto e la vista corre per la costiera duinate; nelle lucide giornate d'inverno, quando la bora ha purificato il cielo, dall'orizzonte marino emergono i cristalli nevati delle Alpi Cadorine. A sinistra chiude il bacino la mole rotonda della lanterna, conforto ai naviganti dell'Adria. INTERNO DEL TF.ROESTEO (I>A UNA CROMOLITOGRAFIA DEL 1854). * * * Allora, nel periodo di formazione, non si pensava a costruire edifici se non per i bisogni puramente commerciali ; ed anche in tempi assai più vicini le necessità del commercio soltanto fecero sorgere le costruzioni più notevoli, se non per bellezza almeno per mole, che dànno alla città un aspetto opulento se non magnifico; quali il Tergesteo — convegno esclusivo dei negoziatori, che data dal 1852 — e, da poco più d'un decennio, il vasto palazzo delle poste. A un poeta veneto, a Francesco dall'Ongaro, che a Trieste lungamente visse e operô, sembrava addirittura < che il magazzino fosse la più splendida parte delle case triestine ; gli altri piani sono men vasti, meno apprezzati >. Tanto egli scriveva nel 1869. INTERNO DEL PALAZZO DELLE POSTE. (Fot. Sebastianutti). PALAZZO DELLE POSTE. ,K . <, , (t'ot, sebastianutti). Forse esagerava, chè fin da allora c'erano costruzioni abbastanza grandiose se non belle: e d'altronde anche noi corne potremmo pretendere che edifici corne la Borsa, il Teatro comunale, il palazzo Carciotti e la chiesa di Sant'Antonio nuovo, fabbricati a principio dei secolo XIX, non sieno condotti secondo gli usi dei più accademico classicismo? Per la Borsa meraviglia sarebbe il contrario, poichè in nes-suna parte dei mondo, credo, esiste tempio della moneta, da quelli di Parigi e di CHIESA DI S. ANTONIO NUOVO, VEDUTA DAL CANALE. (Fot. Alinari). Bruxelles ai più modesti, che non cerchi di dar solennità ai suoi riti ambigui, con una brava facciata di schietto stile dorico o corinzio. E, dato il tipo, è veramente bello il Teatro comunale, costruito da Gian Antonio Selva sopra il modello usato da lui stesso nella Fenice di Venezia, bruciata nel 1836, e nella facciata similissimo alla Scala milanese. Architetti triestini non ne esiste vano; e quelli chiamati di fuori, per la mas-sima parte da Venezia, erano concordi neU'unità dello stile. In fondo in fondo meglio costoro cosi metodici nelle loro fredde invenzioni, che i loro successori che hanno deturpato tante città di questo mondo con edifici macchinosi, impiastricciature di dieci stili diversi. Esempi di quest'arte senz'arte non mancano neppure a Trieste, che nel genere puó yantare il nuovo palazzo municipale e quello più costoso ma S. SPÏRIDIONE — CHIESA GKECO-ILLIKICA poco meno biasimevole del Lloyd. Maggior grazia splende in due ville, oggi mal ridotte e quasi invisibili tra gli edifici industriali, ma che in origine, quando la cittá era piú piccola, guardavano la marina tranquilla, soggiorni di riposo ad animo travagliate. L'una é la villa che daU'ultimo proprietario si chiama Villa Necker ; o al popolo ricorda Gerolamo Bonaparte, fratello di Napoleone, che eluse la vigilanza austriaca per raggiungere Gioachino Murât, e poi, reduce da Waterloo, venne qui a meditare sulla grande ep :>pea di sua famiglia; Gerolamo Napoleone e Matilde, ultimo fiore del tronco che aveva dato Paolina e Carolina, qui aprirono gli occhi alla vita. L'altra è Villa Murât e fu ospizio di Carolina dopo che suo marito Gioachino cadde sotto il piombo dei INTERNO DELLA CHIESA ORECO-ILLIRICA. (Fot. F. Benque), Borboni; il mare che non conosce interruzioni la univa col fratello relegato nell'isola atlantica e collo sposo esulato nell'isola degli eroi. Se ai due naufraghi napoleonici fu permesso il soggiorno su questa spiaggia, è évidente che Trieste era città fedele ; e veramente non vi era pericolo di ma. nifestazioni troppo vive di affetto in una città che dagli avvenimenti napoleonici non aveva avuto che danni materiali. Le due volte che i Frances! vi erano stati avevano imposto taglie in danaro e avevano tolta quella libertà di cui la città si nutriva, la libertà del mare. Nessuna meraviglia dunque se una piazza delle più co-spicue tuttora serba il nome di Lipsia, in memoria della battaglia che la liberava dall'incubo della servitù marittima. •HNOiaiaids 's ia vshihd vnaa hnoizvhoohci — hhonv ;iniin3e sddssnio In quel periodo di stasi l'amalgamazione fra la nobiltà comunale e i nuovi ve-nuti fu compléta; e ne nacque la città moderna che la rude energia dei traffico adorna di studii gentili. CHIESA F.VANOELICA. (Fot. Scbnstianutti). * * * Oltre Sant'Antonio nuovo, altre chiese furono innalzate nel corso del secolo XIX per sostituire le molte che un rescritto di Giuseppe II (1782) aveva chiuse e in parte ridotte a magazzini. Divenuta Trieste, per le sue relazioni commerciali, il punto di riunione doH'Occidente col Levante, é naturale che la confessione orientale, l'ortodossa, vi avesse i suoi templi. Cosi i Greci, che cominciarono a frequentare il porto fin dall'apertura del porto franco, ebbero la loro chiesa in S. Niccoló dei Greci, posta sulla marina; e recentemente gli Illirici aprirono alio stesso culto la chiesa di S. Spiridione, elegante e ricco monumento dell'architettura che noi sogliamo chia- PIF.TRO FRAOIACOMO : NOTTE Dt LINA. (MUSEO REVOLTF.LLA). mare russa. II Maciacchini, milanese, che la ha costruita, e il Bertini, che la ha de-corata, mostrano di avervi saputo adoperare con garbo gli elementi architettonici del-I'arte bizantina, e nel trattare la decorazione policroma si sono tenuti lontani da quegli eccessi, per cui più di una chiesa russa offende i nostri occhi latini. In queste chiese chi non abbia la pretesa di trovare ad ogni svolto un capo-1 a vor o puo farsi anche un' idea della pittura triestina, quale cominció ad essere coi-tivata poi che la fortuna economica della città fu assicurata ; è arte accademica senza dubbio, derivazione diretta dell'accademia veneziana, che mandô qui a lavorare i suoi artisti (Sebastiane Santi che fresco a S. Antonio, Giuseppe Bisson che fresco a Santa Maria Maggiore e nel palazzo Carciotti), ed ebbe Scolari alcuni giovani trie- GONZALO BILBAO: LA SCHIAVA. (MI.SEO REVOLTKLLA). stini corne Lorenzo Butti, pittore di marine, e Cesare dall'Acqua, che per la Comunità greca dipinse un « Cristo che chiama i fanciulli » e un « San Giovanni del deserto ». Se le buone energie per cui nella prima meta dell' 800 a Trieste sorse un centro intellettuale, che nella letteratura e nel giornalismo ebbe manifestazioni assai belle. •(vnanoAHH oasnw) -(--a -kmim -x -(vnanoAaa oasnw) oohvim -s : oui aaoiiH (oNvana) UNawwoo ¡voohha oiaaaron LIONELLO BALESTRIERK BEETHOVEN. (MUSEO REVOLTELLA). PIE TRO FRAGIAGOMO : LA CAMPANA DELLA SERA. (MUSEO REVOLTELLA). (vnanoAaa ossnw) 'vhhavmnžm la ONOOs :voinonv9 ou»d vivaaiMia : HisooviNrax 'a non lianno avuto la forza di creare anche un vero centro artístico, non deve me-ravigliarsi clii sippia i molti requisiti che deve offrire un luogo per essere propizio LEONARDO B1ST0LFI : IL FUNER ALE. I MliSEO REVOLTKLLA . aile arti, e quanto difficilmente possa averli una città nuova, vivente di traffici e di industrie. Verrà forse tempo che la ferrea vita di una città commerciale avrà la sua proiezione naturale nell'azzurro mondo deU'arte e le due forme antinomiche di attività umana si fonderanno, ma questa armonía non è ancora ottenuta oggi, in cui Je vie dell'arte e della vita ftiggono parallele e qua e là si incontrano solo per caso. Perciô quei Triestini che dalla natura ebbero il dono delHspirazione artística, o hanno cercato altrove luogo più conveniente alla pace del lavoro, o hanno vissuto so-litarii. La maggioranza, intesa ad al tro, ha ammirato le loro opere, ma forse più per compiacimento di cittadini che par amore e intelletto darte. Pur troppo non è più B. MONTAQNA : MADONNA COL BAMBINO E CON ANGELI. (COLLEZIONE SARTORIO), (Fot. Alinari). il tempo « che tutto un popolo era artista », e qualche maligno puó magari sup-porre che quel tempo non sia mai stato. I'ra coloro, che, pur coll'anima volta a Trieste, hanno operato fuori di Trieste non si puô tacere il caro nome di Pietro Fragiacomo, che è onore della dolce e luminosa scuola veneziana ; l'identità spirîtuale coi figli della laguna lo ha condotto a quel genere d'arte che vive delle luci e delle trasparenze lagunari. Umberto Veruda anch egli si era accostato a quella scuola, e già mostrava qualità non comuni di vi-goria pittorica, quando l'ombra della morte lo ha ravvolto giovanissimo. Poco anteriore a questi (morto nel 1884) è un artista che per la vita e per il G1R0LAM0 DA SANTA CROGE : ADORAZIONE DE! RE MAGI. (COLLEZIONE BASILIO). SCUOLA D) V. CARPACCIO : DEPOSIZIONE. (COLLEZIONE BASILIO). nome è soltanto triestino, ma che mi sembra meritevole di essere più largamente conosciuto, Giuseppe Gatteri ; disegnatore originalissimo che ha avuto come pochi T ! F. POLO : SCHIZZO FER UNA ADORAZIONE. (COLLEZIONE SARTORIO . (Fot Alinarii. la capacita delle composizioni di moite figure, e del movimento tumultuoso. Inna-morato degli effetti pittorici che nascono dalle varietà dei costumi, è stato per ec-cellenza illustratore di fatti storici : i suoi disegni numerosissimi per l'illustrazione della Sloria Venda, e della Rivoluzione Greca del Ponqueville, e quelli per la Divina Commedia fanno pensare alla fecondità e alla fantasia del Doré. Egli aveva l'anima dell'im provvisatore, e se riusciva minore di sé stesso quando trattava la pit- T1EP0L0 : SCHIZZO PER UNA DECOR AZIONF.. (COLLEZIONE SARTORIO). (Fot. Alinari). tura ad olio, nell'acquerello, che si confaceva alla sua rapidità, pochi gli stanno a Pari. Non è facile vederne uno più sicuramente composto e più vivo di colorito del suo < Laudamns Dominum in laetitia » che raffignra una pomposa e gustosa orgia di Cardinali. lali acquerelli e chiaroscuri sono un pregio della gallería darte, di cui Trieste si vanta, il Museo Revoltella. In questa raccolta., accanto ad un certo numéro di tele mediocri lasciate dal donatore dell'istituzione, si sono raccolte via via dalle esposi-zioni di ogni nazione, ma partïcolarmente dalla mostra veneziana, opere degne delle più cospicue gallerie. TIF.P0I.0 : ALTRO SCHIZZO. (COLLEZIONE SARTORIO). (Fot. Alinari). Dei quadri di Triestini fermano l'attenzione II Parini che legge il Giorno di Antonio Lonza, e la melanconica Campana della sera del Fragiacomo. Un Palizzi, U abbeveratoio, un Morelli, la Preghiera di Maometto, miracolo di luminositá, un Muzzioli, VOfferta nuziale, un Luigi Nono, Ave Alaria, un Dalí' Oca Bianca, Piena luce, un Tito, 5. Marco, vi rappresentano molto bene la migliore arte italiana di due generazioni. Gli affamati del Geoffroy, La lattivcndola del Bartels, La esclava di Gonzalo Bilbao, dan segno del buon gusto di coloro che presiedono alia scelta. Minore è la ricchezza delle opere di scoltura, ma ora accanto ai marmi decorosi se non belli di G. Capolino e del Magni, milanese, risplende l'arte gentilissima di P. Canónica nel Sogno di primavera, di D. Trentacoste nella Diseredata, e di L. Bistolfi nei Funerali, solenne meditazione di una profonda anima moderna, espressa colla T1F.POLO : DISEGNO PER IL TRIONFO DI ANF1TRITE. (COLLEZIONE SARTORIO), (Fot. Alinari). purezza di un artefice antico. Cosí si forma un'oasi d'arte nella cittá mercantile ; e il popolo nuovo, a poco a poco libera ndosi dalla dura scorza del lavoro quotidiano, davanti alie opere della bellezza ritrova la antica sua anima gentile. Del diffondersi spontaneo di questo sentimento estetico oltre che il Museo Re-voltella sono prova alcune raccolte private, che si sono formate nell'ultimo cinquan-tennio, notevolissime per la scelta se non per la copia delle opere. Viene prima la collezione del barone Sartorio, che oltre una bella serie di vasi greci, di armi, di gioielli, di bronzi, accoglie pitture di buoni maestri, a cominciare dal secolo XV. 13 Quantunque, come in tutte le gallerie prívate di questo mondo, non tutte le attri-buzioni sieno accettabili con piena certezza, va ricordato agli studiosi dell'arte che in essa ha trovato rifugio una Madonna del Da Leglio (allíevo di Gentile da Fa-briano); la firma di Bartolomeo Montagna si legge sotto un'altra gentile composi-zione della Madonna col Bambino, tra due angelí col liuto e con la viola. Di alta SCUOLA VENEZIANA DEL SEC. XVIII : LA SCUOLA DEL NUDO. (COLLEZIONE BASILIO). (Fot. Alinari). importanza per l'arte sono anche numerosissimi schizzi del Tiepolo — oltre un cen-tinaio — e specialmente un largo e vivace disegno, che ha servito per il glorioso « trionfo di Anfitrite », ora posseduto dal signor Artaria di Vienna. Di questa importante raccolta tiepolesca la autenticità è sicura, oltre che per ragioni intrinseche, anche perché è nota la sua provenienza dallTstria, dove la possedette un discendente del celebre incisore veneto Vivarini. L'altra raccolta, del signor Francesco Basilio, è anche più variata. Al grande maestro Vittore Carpaccio, gloria del quattrocento veneziano, si attribuisce una Deposi- z'tone plena di sentimento e di poesia; di Gerolamo da Santa Croce è una tavola sacra raffigurante la Madonna adorata dai re magi e da due santi. Non mancano ritratti dei migliori pennelli del secolo XVI e XVIII, ma noi scegliamo, come più preziosi, due quadri, uno della scuola del Longhi. o forse di quella del Guardi, La scuola del nado, notevole più che per il disegno, per la composizione e per le luci, e Le íilatrici di Francesco Goya, il fantasioso spagnolo, la cui gloria non è forse ancora FRANCESCO GOYA : LE FILATRICI. (COLLEZIONE BASILIO). (Fot, Alinari). giunta all'altezza del suo vaiore : questo quadro da Venezia, ove lo possedette il conte Palffy, per via di donativi, di eredità e di vendite è venuto a questa gallería, di cui a ragione è considerate la gemma più bella. In fine, per completare questi cenni sullo spirito artístico di un popolo giovane ancora e ardente nell'amore delle cose ideali, non si puó tacere del Museo di anti-chità, completamente del più antico lapidario, molteplice collezione, ove sono conservât! molti document! della città antica, che, nel comporre quest'operetta, abbiamo più volte interrogati perché rispondessero con sicura voce sul nostro passato, non MUSEO DI ANTICHIT Á — VASO TAREN TINO. MUSEO DI ANTICHITA — SCENA EROTICA. (Fot. Alinari). (TERRACOTTA TARENTINA). (Fot, Alinari). MUSEO DI ANTICHITA — TERRACOTTA TARENTINA, RAFFIGURANTE UNA SCENA AMATORIA. (Fot. Alinai i). MUSEO DI ANTICHITA. RHYTHON DI ARTE TARENTINA. (Fot. Al inari) MUSEO DI ANTICHITA — COPERCHIO D'AVORIO, DI ARTE ISTRIANA. (Fot. Alinari). tutto umile e non tutto triste. Ma indipendentemente dal suo interesse per lo storico e per il ricercatore, il Museo acquista pregio da alcuni oggetti ricchi di valore intrínseco : tralasciando anche tutti quelli che si riferiscono agli scavi di Aquileia, credo che qualunque raccolta antiquaria si glorierebbe di possedere la serie dei vasi e delle terrecotte, provenienti dalla Magna Grecia, che qui sono riunite. Fra gli oggetti meno antichi poi mi piace rammentare il curioso avorio ___ sembra il coperchio di una cassetta — raffigurante l'amore di Europa con Giove imbestiato, opera di artefici istriani. Singolarissimo poi mi ssmbra un corno da polvero, dei primi del secolo XVII, e forse un po' più antico, che proviene dali'Armería del Comune : MUSEO DI ASTICIIITÀ — COKNO DA POLVERE. (Kot. Alinari). una delle sue faccie, in legno intarsiato di avorio, presenta la storia di Andromeda legata alio scoglio, opera di artista egregio, fínissima in ogni particolare, degna di un secolo di gran fasto e di gran gusto. Sia stato il Comune o qualche privato, che abbia voluto suppellettile di si squisita fattura, certo questo oggetto testimonia che le eleganze della vita non erano ignote nella piccola città che il destino teneva separata dalle magnifiche correnti della civiltà e dell'arte italiana. Le sensazioni d'arte nascono dalla meditazione e la meditazione è figlia del si-lenzio. Ma da tutte le cose, da quelle che rombano non meno che da quelle che tacciono, emana uno spirito di poesía per gli anirni capaci di intenderlo. La ripu- gnanza di taluni a gustare la bellezza di ció che è in atto e il non saper godere se non di ció che è nella memoria è una debolezza ; ed è una debolezza il credere che tutte le forme della vita presentí sieno dissonanti ; ma, come ascoltando molto da vicino la esecuzione di una polifonía fragorosa è più difficile scoprirne subito la línea melódica, cosí si richiede uno sforzo maggiore per astrarre dalla materialità dei fatti e delle creature viventi e presentí", ed arrivare alla loro essenza poética. ! PIAZZA GIUSEFFINA. (Fot Alinari). Perció alcuno a Trieste, clopo aver, dall'alto di San Giusto, steso lo sguardo sui flutti del golfo e aver da lontano fissato il fumo del porto, non vorrà avvicinarsi a quel mondo di ferro e di carbone. Altri, meno esclusivista, scenderà sulla riva dell'antico bacino ove ancora si assiepano i velieri, e neU'intrico clegli alberi e dei cordami, nello svolazzar delle vele scoprirà un accordo di linee e di colori che gli dar à una sensazione di bellezza. H veliero è più poético del piróscafo: ho udito dei vecchi marinai, che avevano dovuto variare il modo di navigazione, parlar con rimpianto della vela che obbedisce al vento e pur lo domina, delle manovre dlfficili quando il fortúnale imperversa, e poi delle lunghe soste nei porti lontani, dove si trova sempre qualche amico e qualche lettera della patria. Il piróscafo invece che cos'è? Si sa quando parte; la rotta è sempre quella; si arriva in quel porto; si ormeggia a quella banchina e poi si torna indietro per ripartire e ri tornare ancora, fin che la direzione della società non voglia farci cambiare d'imbarco. Al mare hanno messo le rotaie ! 10 consentivo coi vecchi navigatori nelle loro nostalgie, ma poichè eravamo in porto e non in alto mare, non mi stancavo di fissare un piróscafo dai fianchi capacî e dalla prora vigorosa, e mi pareva il più bel mostro che la civiltà meccanica ci abbia regalato; nemmeno sua sorella, la locomotiva che urla sbarrando gli occhi, gli puo star a paro per la bellezza. Andiamo dunque al porto nuovo, da cui i velieri sono esclusi, per vedere e toccare il meccanïsmo che dà il moto a una grande città marinara; e ricordiamo che qui anche il vapore ha dei diritti oramai tradizionali, perché il primo piróscafo che abbia solcato il Mediterráneo parti da Trieste, e fu la « Carolina » che il 2 febbraio 1818 mosse le pale delle ruote e giunse a Venezia. 11 porto nuovo, posto aU'estremo lato settentrionale della città, ha appena venti anni di vita; costruito sovra un piano prestabilito, non offre varietà di aspetti, anzi qualunque suo punto è uguale a qualunque altro. Quattro grandi moli, includenti tre bacini, protetti dalla diga servono da ancoraggio aile navi; lungo la riva si elevano in tre file i magazzini dove sono disposte le merci sbarcate e da imbarcarsi. L'im-pressione che riceve chi si affacci ad uno dei tre stradoni che corrono tra le file VIA DELL'ACQUEDOTTO. (Fot. O. Morpurgo). INQRESSO AL PUNTO FRANCO. dei magazzini, è quella di chi entrasse in una città di giganti. A prima vista si •crede di trovarsi tra edifici che servano da abitazione; le loro forme maestose lo lasciano supporre; ma poi i lunghi carri che si inseguono carichi di botti, di casse di balle ci fanno accorgere che qui più dell'uomo conta la cosa, la merce. Più oltre •la grande via è ingombra di vagoni che si vanno riempiendo a poco a poco: più si avanza e più intenso diviene il lavoro. Ma il punto dove è più diretta la sensazione di questo meccanismo complesso •che procede automáticamente, servendosi cosi delle puleggie e delle gru come delle braccia umane, è lungo la riva ed i moli, dove le merci scendono e salgono dai piroscafi ai magazzini. Tutta la riva sembra un unico ingranaggio mostruoso; come sotto strani archi di trionfo si passa sotto le gru che colle loro gambe insistono sui due lati della strada; le loro braccia mosse per forza d'acqua e regolate da un piccolo uomo accoccolato fra le ruóte e le leve si muovono dai navigli ai magazzini, senza posa, con uno Stridore di carrucole che si ripete rítmicamente. A differenza di quello che avviene fra i grandi macchinari delPindustria, chiusi nei capannoni, ■qui, tutta questa vita meccanica che pulsa sotto il cielo aperto, accanto al sorriso ■{ubotiv -îoa) -olaoj oih003a PORTO NUOVO — UNA PIAZZA TRANQUILLA NELLA CITTÀ DEL LAVORO. (Fot. G. Morpufg-o). MAGAZZINI DEL PORTO NUOVO. (Fot. G. Morpurgo). del mare, non dà nessuna impressione né di fatica, ne di tristezza; non si sente-l'uomo sehiavo dello strumento che egli ha fabbricato e che lo costringe a contendere con esso in una energía disperata, ma l'uomo che si serve del suo mirabile artificio e con esso armonizza la propria attività. E qualche cosa anche più bella si sente : la unità degli uomini che, venuti da cento terre diverse, qui attendono alla stessa opera, spinti dalla stessa necessità; ognuno reca quello che ha di più in patria per chiedere ad altri quello che gli manca ; cosí la vita di ciascuno, da sola insuficiente, acquista forza e si completa per la contribuzione di tutti. E I'idea della fraternità umana, bella perché necessaria alla felicità dei singoli e del tutto, mostra qui le sue intime ragioni, falsate dalle malizie degli egoisti, ma non pervertite, ma non distrutte mai. Come un naviglio porta a questa riva gli aromi dei tropici per portar via gli arnesi di acciaio domati dagli uomini del nord, cosí 1' uomo offrira all'uomo l'opéra delle sue braccia e ne avrà in compenso l'aroma dell'ingegno fraterno: e l'oggetto materiale e il dono spi-rituale avranno uguale valore nell'economia della universa vita umana. IL CANTIERE DEL LLOYD. (F'ot. Sebastianutti & Benque). III. LA COSTIERA TRIESTINA DA BARCOLA AL TIMAVO. Stranamente contrasta coll'aspetto giocondo della città e coll'indole piacevole de' suoi abitanti la natura dei luoghi che la circondano : quello che Charles Nodier notava cento anni fa, che « la position de Trieste a quelque chose de mélancolique qui serrerait le cœur, si l'imagination n'était pas distraite par la magnificence des constructions et par la richesse des cultures », è una impressione che anch'oggi col-pisce chiunque voglia un momento allontanarsi dallo strepito giocondo del lavoro fremente nel porto e trascorrente per le vie. A pochi passi da questa vita attiva e godereccia, sono angoli silenziosi, che invitano alla meditazione ; e la meditazione è il preludio della malinconia. I vigneti ed i verzieri, che s'inconcrano dove fi-nisce il caseggiato, salgono poco verso il monte: basta volgere il capo in alto per vedere come la scarpata dell'altipiano abbia mantenuto la sua rígida natura carsica, pur in vista della città. Si indovina che qui finisce qualcosa, che un mondo diverso si apre al di là di quella roccia. E veramente basta salire meno di quattrocento metri sul livello dell'Adria, perché venga meno la floridezza deU'agro triestino, e, attraverso le prime selvette di pini neri, si giunga al borgo di Opicina, davanti al quale si apre l'alti-piano sconvolto del Carso, bianco di calcare e cupo in lontananza per le foreste profonde di Ternova e di Piro : chiudon la vista le vette delle Alpi Giulie, terra contesa fra due nazioni combattent!. Ma a me non tocca guidare il lettore tra il vento delle forre montane e scen- UN CONTADINO DEI DINTORNI. (Fot, F. Vcnczian) dere con lui negli abissi fantastici, dove misteriosamente si sprofondano i fiumi scen-denti daU'Albio ; soltanto lo scienziato, quando sia anche poeta, puô far intendere tutta la meraviglia di quella strana bellezza : le grotte di S. Canziano e di Postumia (Adelsberg) gli serviranno a dimostrare come la natura, quella che si vuol considerare quale esemplare perfetto di logicità e di naturalezza, si sia compiaciuta di creare fantasticando. Il regno delle fate.., e dei pipistrelli ci è conteso, poichè gli uomini che dimorano su quei massi lavorati dall'arte millenaria delle acque non parlano la lingua di nostra gente. Nostro è il dominio del mare e della costiera che dall'altipiano scende alla marina. E lungo la marina, verso nord-ovest il Crinale dell'altipiano si svolge continuo, pur gradatamente diminuendo d'altezza, fino a Monfalcone, ove le ultime roccie delle Giulie si deformano in tenui colline e muoiono nella bassura friulana. Alla foce del Timavo, che improvvisamente si riversa nel mare, termina la regione, che la natura e la storia fanno appartenere a Trieste. Ma anche questa costiera, che in certi punti puo ricordare la riviera Ligure, VILLANELLE. {I'ot. F. Venczi.m). •(UBIZ3U9A -¡où) -OMVIdinV^lHQ 31VNIH0 ha una bellezza piuttosto melanconica che gaia ; vitifera nella parte più bassa, esposta al tepido benefico del mare, acquista subito, pure nella sua elevazione mediocre, la asperità rupestre dei Carsi ; il candore della pietra è solo punteggiato dalle rade boscaglie, insufficient a trattenere l'impeto della « bora ». Usciamo dal porto in un mattino calmo d'estate : ecco il colle di Scorcola, oramai acquistato alla città, poi I'arco verdeggiante di Barcola, ove convengono i Triestini MIKAMAK — LA LOOOETTA. (Fot. Sebastianutti & Benque). a gustare il refrigerio delle onde. E uno dei Iuoghi più ameni della costa. Vallicula (onde Valcula e Barcola) la chiamavano i Romani, che vi costruirono ville bianche e leggiadre, non indegne sorelle delle ville di Baia e Pompei, come ora i Triestini vi hanno costruito case più o meno eleganti a godimento dei loro ozii. Qui, sulle colline che si avanzano sul mare, formando la lieve insenatura, crescevano le viti onde si spre-meva il vino Pucinum, di cui l'antichità vantó le lodi bacchiche e medicinali. « Giulia, moglie di Augusto, scrive Plinio, arrivé a 83 anni non usando altro vino se non il Pucino: questo nasce nel seno dell' Adriático, non lontano dal Timavo, in una collina sassosa, ove il tepido respiro del mare ne matura poche anfore ». Tutt'ora il vino cl < O Ü C¿ < S < cc s jjrodotto da questi colli, e specialmente da quello di Prosecco, più in alto, ha buona fama nella regione. Continuiamo a costeggiare : due strade per terra ci accompagnano: quella napoleónica in alto, tagliata fra le roccie, e quella che segue la riva, la strada di Mi-ramar. E Miramar è vicino ; quel promontorio grigio che dalle rive del porto ci sembrava cosí lontano, ora avanzandosi risolutamente, ci costringe a volgere al largo ; il suo castello bianco, più bianco sullo sfondo verde cupo del parco che la MIRAMAR SAI.OTTO COI. RITRATTO DI MASSÍMIUANO IMPERATORE. (Fot. Sebastianutti &. Benque). mano dell'uomo ha fatto sorgere sovra la rupe infeconda, si disegna colle sue torrette. E il castello imperiale di Massimiliano d'Asburgo, ma la terra su cui sorge triste e silenzioso, e il canto del poeta italiano, che ne ha espresso la tragica storia, lo han fatto caro ai nostri cuori ; non l'anima dell'architetto che lo costrui, ma quella del poeta che lo glorifico, lo ha consacrato secondo la religione dell'arte. Qui non si deve giungere desiderosi di pura bellezza architettonica, chè sarebbe deluso chi credesse trovarvi meglio di una composta armonia di linee all'esterno, e di un fasto comune all'interno ; bisogna essere un po' romantici per sentire la com-mozione che emana dai luogo. Non a caso, ho detto il luogo, poichè se nelle sue I^aï^wg'^i -ONOai iga V1VS V1 _ avwvaiw linee il castello rammenta molti altri castelli veduti in terra germanica, la genialità del principe che qui lo volle edificato si palesa appunto nella scelta della posizione. Sembra che nella costruzione di Miramar, più che un desiderio di bellezza abbia infinito un presentimento del cupo destino. Il castello, anche se non vi si legasse il ricordo dei suoi abitatori infelici, tuttavia avrebbe in sé una non so quale aria tragica ; esso produce a chi vi giunge per mare un'impressione simile a quella che emana dalle ville al mare del Boecklin, senza MIRAMAR — CAMERA DA LETTO. (Fot. Sebastiùnutti parlano MIRAMAR LO STUDIO IMITANTE LA CABINA DELLA mnuB^si-qas ')OJI _ oioivoavas onva onaisvo n — avwvaiw mavo misterioso, e grecamente la ha immaginata quale una ninfa sposa o figlia de bel fiume virgiliano ; come ninfa la ha raffigurata anche Pietro Magni in un marmo, un po' accademico, del Museo Revoltella. Al riparo dei venti si apre l'insenatura di Sistiana, l'antico Sixtilianum, che de. terminava da questa parte i confini del comune triestino. Una smottatura rossa interrompe qui il grigio freddo della costa: sono le cave, onde la città toglie le pietre per i suoi nuovi edifici. L'insenatura è piccola ma dolcemente arcuata, verde (Fot, Sebastiamitti & Benque). LA COSTA VERSO DUINO. nella vegetazione e verde nelle acque fra le due punte rossigne, è un frammento di dolce paesaggio méridionale nella nudità della costiera rupestre; la collina è tutta ricoperta di macchie e di frutteti, le viti ed i susini si mescolano cogli ippocastani, coi carpini, coi lauri e cogli oleandri; la madreselva li avviluppa tutti. Uscendo dalla rada di Sistiana, sopra l'ultimo sprone calcareo che le Alpi Giulie mandano verso il mare, appaiono in tutta la loro maestà i castelli di Duino. * * * Già nella antichità i Romani avevano fisse le loro aquile su questo scoglio: ne fa-rebbe fede la torre antica ancora dominante tra le costruzioni di vari secoli ; torre che vorrebbero far risalire per lo meno a Dioeleziano, cui, secondo una lapide rinve-nuta nel 1869, la avrebbe dedicata il proconsole Acilio Claro: la osservazione degli esperti è costretta a riconoscere in essa una fabbrica non più antica che medievale, ma non perció è negata l'esistenza di un presidio romano in questa vedetta naturale. Poi, quando al dominio romano e a quello dei barbari si sostitui quello del patriar -cato d' Aquileia, un centro di abitazioni si formo più in basso, nella breve pianura del Timavo, intorno alla chiesa di S. Giovanni aile Tombe (ora S. Giovanni al Ti-mavo), trasformazione del santuario pagano dedicato alla Spes Augusta ; ma allorchè la forza del Patriarcato venne meno, e in vari punti del suo territorio, che nei tempi più floridi da Bergamo si era esteso fino allTstria e alla Carniola, si forma-rono i primi nuclei di feudalesimo, anche a Duino si insediô, certo investito dai Patriarca, un signore feudale. Ignota l'origine di questi primi duinati, chè non è sicura l'esistenza di un eroe Duino di nazionalità Franca mandatovi da Ugo di Pro-venza — come è ignota l'origine del nome del luogo, che si fa variare dai greco TL ČASTEM.O NUOVO DI DUINO. (Kot. G. Weiss). 'iqojjs -îOjj) •VNviisis i a viva vi r)UIN0 _ LA JORRE ANTICA NEL CORTILE DEL CASTELLO. Àsueivoç, allo slavo Devin (rocca della donzella) e al Tivein tedesco — certo già dai i ioo doveva sorgere ed essere abitato il castello vecchio, quello che ora si eleva un poco più in là del moderno, sopra uno scoglio, che una breve cornice riunisce alla terra ferma. In tal posizione, facile ne era la difesa, poichè il suo fossato era il mare, e il suo ponte naturale cosi stretto che pochi avrebbero osato avventu-rarvisi : quand'anche poi l'assalitore fosse riuscito a superare questo ostacolo, lo aspet-tava all'ingresso del castello un ándito basso e stretto — ancora riconoscibile nello schelctro dei ruderi — ove era più facile rimanere che uscire. Il carattere di for- DL'INO — CASTELLO. tezza è tuttora evidente nelle ruine del torrione e delle arcate che lo sostengono, mentre difficile sarebbe giudicare delle forme architettoniche dell'edificio ; oggi i rampicanti lo avvolgono da tutte le parti, quasi cercando di confonderlo con le roc-cie da cui sorgeva, e nelle feritoie smantellate nidificano i colombi selvatici. Ma fu razza di avoltoi quella che vi si annidô fra il secolo XII e il secolo XV. Come tutti i feudatari, anche i duinati ebbero nella loro esistenza due intenti : di sottrarsi all'autorità deli' investitore e di impediré lo svolgersi delle forze comunali nei centri urbani. Il primo fu da loro presto raggiunto, che a mezzo il secolo XIV si erario resi indipendenti dal Patriarcato, oramai quasi annullato fra le forze prevalenti di Ve-nezia e del Ducato d'Austria: ed essi, quantunque fin dal 1234 Venezia avesse oc- •0IHD03A onaisvo 13(3 3NIAOM : oNina (Fot. Sebastianutti). cupate le foci del Timavo e vi avesse posto un fortilizio detto « Belforte >, fecero causa coirAustria, da cui ebbero nuovi territori nel Carso, in Carniola, in Carintia e in Istria, e contro la Serenissima osarono armar delle fuste per molestarne la flotta durante le imprese istriane. Soltanto per due anni, nel 1508 e nel 1509, lo stendardo di S. Marco sventoló sulla torre di Duino, ma la lega di Cambrai impedí che gli artigli del leone vi si fermassero più a lungo. CASTELLO VECCHIO DI DUINO — TOKRE DELLE KOVINE. Più varia e più lunga fu la lotta con il comune triestino, che presto ebbe a sentir l'impaccio di tal vicinato ; la limitazione dei confini fu pretesto a contese ed a violenze fin dal tempo di Dietalmo (1139) e fu appianata appena un secolo più tardi ai tempi di Ugone I, con un accordo, che a sua volta fu violato ogni volta che fu possibile. La cronaca ci presenta il suo successore Ugone II come un vero bandito di strada a danno dei Triestini; e senza fondamento non puó essere la tra-dizione che fa Ugone IV partecipe della congiura di Marco Ranfo, intesa a rendere Trieste al dominio comitale dei vescovi. Non cessó il contrasto quanrlo dai duinati il castello passó come signoria nobile fondiara in possesso dei Walsee; il che avvenne al principio del secolo XV: i nuovi signori, come dominatori del Carso, si arrogarono il diritto di creare parrochi nelle pievanie capitolari del contado triestino, e dal preteso diritto trassero occasione ad assalti, violenze, rappresaglie, cui non bastó a por fine la abilità diplomática di Enea Silvio Piccolomini, anzi quando questi si mosse per portare le sue lagnanze all'im- (Fot. Scbastianutti). DUINO LE ARCATE DEL CASTELLO RL'INATO. peratore, i Walsee gli tesero un agguato a cui pote sfuggire soltanto in grazia della sua celerità. Nè più miti furono i capitani austriaci preposti a Duino, quando anche i Walsee vennero a mancare, Giovanni Luogar e Mattia Hofer. Gli archivi di Duino — oggi riacquistati dalla munificenza della principessa Maria di Thurn Taxis nata Hohenlohe e riordinati da Carlo Malagola — ci conser-vano tutta una storia < di sangue e di corrucci », ma il testimone migliore degli awe-nimenti, il castello vecchio, è muto. Il castello nuovo, quello che oggi è abitato, quan-tunque la sua costruzione debba essere incominciata nel 1400, non conserva i ricordi se non dei signori più recenti, dei conti della Torre, che ne divennero proprietari nel 1587» e degli Hohenlohe che lo ebbero in eredità a mezzo il secolo passato. Se oggi il castello ha nella sua arte una impronta soltanto italiana, lo si deve a questi conti Torriani, ramo della gran famiglia lombarda, potente a Milano prima dei Visconti, di sceso dal celebre Raimondo patriarca dAquileia (~¡~ 1299); i succes-sori di colui, che dalla sede patriarcale aveva dovuto combattere i primi facinorosi DUINO — KOVINE DEL CASTELLO VECCHIO, VISTE DAL POKTO DI DUINO. (Fot. Sebastianutti). feudatari duinati, finirono coll'occuparne tranquilamente la sede. Ed oggi il castello di Duino è soltanto un castello Torriano : chi non sapesse deH'esistenza di abitatori più antichi non ne troverebbe alcuna traccia nelle cose ; i ritratti di famiglia, che guardano nella sala dei cavalieri, non raccolgono che immagini Torriane, lo stemma semipartito Torriano e la fenice degli Hohenlohe sostituiscono dovunque lo scudo fasciato dei Walsee. Anche il castello moderno mostra nelle sue forme di essere stato costruito più secondo un disegno di guerra che secondo un disegno d'arte. Dalla parte del mare» INGRESSO AL CASTELLO DI DUINO. /Fot. M. Strobl). •(iqojîs -pj ^o^) iaavnö 13a VIM333V9 : ONina ia 03131SV0 impervia, lo difende una sola linea di bastioni, ma dalla parte di térra oltre la cerchia di mura, che circonda tutto il vecchio borgo di Duino, lo difendono due altre linee di mura merlate alia guelfa ; da settentrione poi, un altro terrapieno domina la strada che corre da Sístiana verso il Friuli. Entro questi baluardi i Walsee si sentirono piu sicuri che i loro predecessori non fossero stati nella angusta rócca antica, co- DUINO — RITRATTO DI MATTIA IIOFER. (Fot. M. Strobl). minciata ad abbandonare fin dal 1400 e del tutto dimenticata dopo il 1600. E nella membratura la parte del castello più notevole, quella destinata a dimora, ha una fisonomía secentesca, mentre gli ornamenti architettonici, le balaustre, i veroncelli, i portali risentono del secolo seguente. Sono vari corpi di fabbrica ir-regolari che si raccolgono intorno al cortile dove sorge la torre, romana; 1'edera, cresciuta anche qui abbondantissima, ha pensato ad attenuarne le dissonanze esten- ■(anbusg * ^d) '(ONIfia id Vla3TlV0) TNVNiMO oizianviv 300a 13a giviNOiai osshmonli : (¿) onaaoiNii dendo da per tutto il viluppo del suo fogliame. NeU'insieme l'edificio ha il fasto un po' grave delle più tarde ville medicee. L'interno, tolta la scala a spirale di disegno palladiano, ha pur esso una fisonomía settecentesca, larvata dal restauro generale che vi fu fatto di recente senza unità di Stile. La sala dei conviti mantiene perô il tipo del rinascimento italiano, GALLERIA DEL CASTELLO DI DUNO — RITRATTO DEL CONTE E DELLA CONTESSA DELLA TORRE. (Fot. M. StrobI). mentre la cosí detta sala imperiale splende di tutta la frivola grazia del rococó coi suoi pastelli di Rosalba Carriera, cosí dolci oggi che il roseo delle carni si è attenuate) e gli occhi azzurri si sono illanguiditi. Ma se ogni parte del castello ha qualche interesse per le vecchie memorie che ridesta_ecco la sala imperiale ove fu ospitato Leopoldo I, ecco il busto ca- noviano di Maria Luisa, ecco i due cannoncini che portano due date repubblicane di messidoro e di vendemmiaio — l'interesse artístico è tutto raccolto nelle colle-zioni dei quadri e delle porcellane. Chi ha il gusto di questa leggiadrissima fra le arti minori qui ha modo di far confronto di tempi e di luoghi ; la vecchia Ciña e il vecchio Giappone gli si offrono in bella mostra accanto ai bizzarri vasi di Mon-telupo, alie Faentine del rinascimento e alle Viennesi e Francesi moderne. La gallería, se tutti i nomi che recano i quadri fossero sicuramente attribuiti, sarebbe di un valore eccezionale : ci sarebbero Giambellino, il Tintoretto, Rembrandt, Cima da Conegliano, il Bordone, Gherardo delle Notti; ma anche considerando diverse tele per quelle che sono veramente, cioè delle buone copie, vi rimane sempre un bel numero di Italiani e di Fiamminghi da far onore a qualunque raccolta. Più che dai dieci quadri di natura morta di Van Kessel, o dai paesaggi di Van Heist l'attenzione è attratta da un ritratto di scuola tedesca (a vederlo il pensiero corre al Holbein) raffigurante l'imperatore Federico III, meno elegante forse, ma non meno espressivo di quel cavaliere che con tanta leggiadria dà la mano ad Eleonora di Toledo nell'affresco del Pinturicchio a Siena; un altro magnifico ritratto è quello di Mattia Hofer, che ha veramente la forza e la aristocratica leggiadria di Antonio Van Dyck a cui è attribuito. Ancora più notevole è la grande tela, gloriosa per il nome del Tintoretto, che rappresenta l'ingresso nel palazzo ducale della Serenissima Morosina Morosini, moglie del Doge Maurizio Grimani ; la segue un pomposo corteo di cui fanno parte le due figlie di Raimondo VI della Torre, Ludovica e Chiara Orsa ; nello sfondo — siamo sulla piazzetta — il canale e il bucintoro. Pochi invece avranno notato un piccolo Luca d'Olanda, che è in una sala laterale, una specie di dittico raffigurante un uomo ed una donna, delicatamente rap-presentati sopra due sfondi di paesaggio fiorito pieni di dolcezza primaverile. Se alcun abile conoscitore di antichi dipinti potra negare questa attribuzione, dovrà pero sostituirla con quella di un altro artista non meno ricco di grazia e di maestria. Le grazie dell'arte e le magnificenze del lusso, per quanto barocco, dànno al-l'interno del castello un aspetto piacevole in contrasto con l'attesa tragica che vi fa nascere la corrucciata gravita deU'esterno. Ma chi proprio tenga a fantasticarc qualche po' lúgubremente, puó riudire i gemiti dei prigionieri nei sotterranei, che, invisibili, percorrono in tutti i sensi il sottosuolo del castello, o immaginare qualche pietosa storia sulla dama bianca. Non è questa la spettrale visitatrice degli Hohenzollern segnati dalla morte, ma un masso emergente sulla roccia ; bianco e striato com'è, in modo da imitare un partito di pieghe, il popolo ci ha visto una donna che pianga ricurva sullo scoglio, e raccogliendo la tradizione popolare la principessa Teresa di Hohenlohe, che fu in arte romantica seguace del Carrer, la cantó in una ballata : "(SSPAV 'O •IAH30 iaa oosoa n 3 ONina la vanivNssN^i DUINO — LO SCOOLIO DI DANTE E VEDUTA DEL GOLFO DI TKIESTE. (Fot. Sebastianutti), Ivi un di, come ancor lo ridice di recondito tempo il mistero, voile un sir la sua donna infelice da quel picco neU'onda gettar. Ma la donna dal petto affannoso volse al cielo acutissimo un grido.... ed il cielo che udilla pietoso quella donna in quel sasso impietri. D'origine dotta invece deve essere la leggenda, che ha condotto anche qui i passi di Dante esule, come lo voile cotidurre a Tolmino e a Pola, ed è con ogni probabilità leggenda derivata dall'aspetto grandioso, e perció dantesco, di questi scogli e di questo mare quando il libeccio ve lo manda ad infrangersi sopra: uno degli scogli ritiene il nome del poeta di nostra gente, e qualche erudito di buona volontà ricollega tale denominazione a una supposta visita dell'Alighieri a Ugone VI di Duino, che era stato in relazione con Can Grande Scaligero ; il popolo conserva il nome, ma quanto a Dante preferisce supporre che sia stato un gran capitano vincitore di molte battaglie. Del resto tutta questa regione è tale che di leggende e fantasie ciascuno puó foggiarne secondo le proprie attitudini, meditando sul mare solenne o errando nel bosco dei Cervi, che, folto di querci, di carpini e di lecci, giunge fino alia sponda sinistra del Timavo. Ma giunti alie rive del fiume virgiliano è la mitología classica che induce i suoi fantasmi nei nostri pensieri: si direbbe che qui l'Ellade abbia voluto affermarsi con i miti, come una nazione si afferma cogli stendardi sugli estremi confini ; e il limavo sembra essere appunto un limite fra un ideal dominio greco e il dominio romano; le grandi leggende mediterranee degli Argonauti e dei « nosti » Troiani hanno voluto assicurarci che mediterráneo è anche quest'ultimo seno dell'Adria. Gli Argonauti, risalito il Danubio fino a Nauporto, per ritornare in Grecia por-tarono la loro nave per terra attraverso le Alpi Giulie e per il Timavo raggiunsero il mare. Gli Etoli, reduci da Troia, furono dalle tempeste gettati contro queste scogliere e sulla foce del fiume eressero un tempio al loro eroe, Diomede, morto durante il viaggio, in Apulia : ma più famoso di questi passaggi e di quello di Medea, è il passaggio di Antenore, che, caduta la superba Ilio, con una schiera di Frigi si trovo a combattere con gli Euganei : è Virgilio che parla del mitico fondatore di Padova: ei non più tosto dalle achive schiere per mezzo uscio, che con felice corso penetro d'Adria il seno : entró securo nel regno dei Liburni, andô fin sopra al fonte del Timavo e la 've il fiume fremendo il monte introna, e la 've aprendo le nove bocche in mar, e mar già fatto inonda i campi e romoreggia e frange. Le nove bocche sono una amplificazione poética, non tanto grave del resto poiche anche un geografo, Strabone, ne enumera sette ; oggi non ci è dato vederne piu di tro, ma anche cosi ridotto il Timavo è fiume da ispirare versi gloriosi a glorioso poeta. Poche miglia di corso « lo saziano », ma le sue acque sono profonde e gelide, e maestose si affrettano al mare tra il bosco da una parte e il prato molle e fiorito dall'altra: e tuttavia noi non ne vediamo che una piccola parte, poiche esso è il prototipo di quei fiumi misteriosi, che si sprofondano nel Carso, e dopo aver accolto le sorgenti di un fantástico bacino sotterraneo compaiono improvvisamente vicino al mare. Sotto la collina calearea, dove incomincia la breve pianura litoranea, sono due impluvi profondi, alimentati da cento polie invisibili ; forse sono le stesse acque che tra il fragore di cento cascate vedemmo scomparire negli antri di San Canziano. Dopo breve cammino i due rami formati dai due laghetti si uniscono in un solo letto vasto e senza argini e a quattro o cinque miglia dalla sua sorgente — almeno da quella apparente — il Timavo si confonde nel mare. Dolce, verde fiume degno di non esser navigato che dai cigni e dai poeti ! Dalla sua foce la costiera triestina si svolge in tutta la sua estensione fino al Vallone di Muggia, dopo il quale l'Istria Veneta si disegna nei suoi molli contorni. A destra incomincia la pianura friulana, un' altra natura, un' altra storia ; ma se al di qua dominarono i Bizantini e i Duinati, e al di là i Longobardi, i Patriarchi (ecco sull'incerto orizzonte il campanile d'Aquileia) e i Veneziani, i Romani prima e Carlo Magno poi non vollero sul Timavo fermare le insegne delPImpero Occidentale. Cosi oggi l'anima latina, sempre varia e sempre una, giunta a questa più set-tentrionale plaga dell'Adriático, gira lungo la costa per avanzare sino al Quarnero tempestoso, dove il suo poeta le concesse di fermarsi. SIOILLO DEL COMUNE DI TRIESTE.