Esce una volta per settimana il Sabbato. — Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 5. Semestrein proporzione.— L'abbonamento non va pagato ad altri che alla Redazione. CUSTODIA IN PIOMBO del "Vescovo Angelo Canopeo di Trieste, del Museo Bonacich. Al Dr. Costantino Cumano. La gentile comunicazione che mi fate del sigillo della Curia Vescovile di Trieste, mediante il periodico l'Istria CVII. 4) mi trae a rendervene grazie, per mezzo dello stesso giornale, e di ricambiarvi col disegno del suggello del Vescovo Angelo, che voi con tanta sagacia ed erudizione avete chiarito essere della famiglia Canopeo di Chioggia. Ed a fine non sia imperfetta la cosa, mando a voi che sapeste illustrare (Vedi N. 52 dell' Istria Anno VI) la custodia plumbea che fortunatamente riparò nella mia raccolta, anche il disegno delle raffigurazioni che si vedono nell' interno del coperchio e quello del vaselto. Sono intagli del noslro Magnaron che adoperò grande diligenza, e bel genio, e potete avere in questi lavori conferma del giudizio favorevole che daste della di lui abilità. Non mancano nò in Trieste gli artisti, credo piuttosto manchi loro frequente occasione di esercitare le arti nobili. Nè io mi fermerò ad inviarvi i soli disegni, ma vi aggiungerò quelle considerazioni che mi si presentano, seguendo l'esempio datomi da voi, sebbene non possa aspirare né a dirvi cose per voi nuove, nè a porgervele in quella guisa che sapete fare. Lo stemma gentilizio che vedesi duplicato nel suggello ai lati del santo protettore, esaminato con la migliore diligenza, e coli'occhio linceo del Sig. Magnaron, presenta una testa di cane; ciò che io penso vada ad alludere al nome di famiglia del Vescovo che era Canopeo, o volgarmente Canopio; la parte inferiore presenta veramente una rosa a poche foglie, canina, ma io penso che le foglie sieno poste cinque per facilità dell' artefice, che sia piuttosto una rosa di quelle che anche il volgo dice Canine. Così lo scudo in ambedue le zone avrebbe espresso con segni il nome gentilizio del vescovo. Di Giusto Santo, che fu l'ultimo dei tanti triestini a sofTerire per la fede, nei primi tre secoli della chiesa, io penso che con felice pensamento fosse scelto a protettore di questa città, in preferenza ad oltre quaranta che diedero testimonianza di sangue; imperciocché con lui terminano le persecuzioni, con lui comincia la libertà della chiesa, e quella palma che egli raccolse, non sjI campo delle giustizie, ma nei flutti marini, mirabilmente si trasportò sul colle ove stava il capo della romana colonia; le sue ossa bene riposano trionfalmente su quel terreno medesimo, ove stavano i templi di quelle false divinità, in di cui nome si martoriavano i cristiani. 11 santo nel mio suggello, come nel vostro, porta il vestito romano, nobile sia nel paludamento sia nei calzari, quali 1' esigevano la nobile condizione del giovanetto, quale la si vede nell' antico Mosaico della sua chiesa. Mirabile cosa ! il santo romano, affogato nel mare, colla cui morte ebbe libertà la chiesa tergestina, è ancor protettore della chiesa che per tanti secoli dura immacolata, della città che ancor lo dice suo cittadino, dell' emporio marittimo che crebbe a tanta dovizia. Nei tempi di decadenza delle arti, ed anche più tardi per vezzo di imitazione, non meglio si seppe indicare il patronato che collocando nella mano sinistra del santo, l'immagine della città della quale era patrono; non la veduta pittorica, ma l'immagine, con quelle indicazioni che valevano a rilevarne le condizioni precipue; quindi in ambedue i suggelli, le mura urbane che spiegavano la condizione di città, la torre che spiegava la condizione di alto dominio baronale; il tempio eminente che indicava la condizione di chiesa matrice. Vi è noto il suggello più antico del Comune di Trieste, quel suggello che usarono fino dal 1295 quando si affrancò per danaro dal Dominio Vescovile; suggello che pubblicarono il Manarutta nelle sue storie di Trieste, il Bonomo nello suo stampato sulle monete dei Vesco*i di Trieste, e che vedemmo ripetuto ad impressione sulla carta nello stampato per l'ingresso dell'odierno nostro mentissimo Prelato. In quel suggello non altro vedete che le mura turrite, la mediana delle quali s' alza sovra le altre, a chiara indicazione che il comune aveva" l'alto dominio di se medesimo. E questa torre mediana è quella medesima che vedemmo atterrarsi óra sono pochi anni sulla piazza, ed era torre attigua al palazzo municipale, e su quella torre stavano campane, non già di chiesa, ma profane,-indizio certo di dominio del comune, quand'lincile non sapessimo che quella torre, (la dicevano dell'orologio) apparteneva al comune soltanto. In quel suggello altre torri non figuravano, nè potevano starci ad indicazione di un dominio, che appunto allora aveva cessato. Ma la torre che nel mio suggello anteriore in tempo al vostro, si vede ben più alzata che nel vostro, quella torre è a mio vedere indizio di alto dominio sulla città in persona diversa dal Comune. La torre è veramente merlata, e di forma guerresca, la mia mente ricorre tosto al suggello del Comune di Gorizia, edito dallo Schwei-tzer nelle sue Moneto Goriziane 1851, posseduto dal Sig. Dalla Bcna di Gorizia, il qual, sebbene di una città che appunto allora della adozione del suggello sortiva dalla condizione di villa, e diveniva comune, mostra non sol-! tanto le mura della città, e la rocca dei Conti, ma anche la torre, alta merlata. Dai che deduco che in Trieste a' tempi del suggello del vescovo Angelo, nell'alta città, presso al Duomo vi era segno visibile che Trieste non era in propria ma in altrui signoria. Vescovo Angelo sedè fra noi nel tempo medesimo in cui Trieste davasi nel 1382 alla Serenissima Casa. Ora divenuta che fu Trieste città dei principi austriaci, le mura della città furono e per la proprietà e per la custodia dei cittadini; e vi provvedeva l'anziano dei Giudici; il castello era del principe, e vi stava un castellano o capitano. Queste cose durate fino ai giorni dei padri nostri, non ebbero origine col dominio austriaco, che per essere in mano di potenti principi, non potea dirsi dominio baronale ; ebbero origine da tempi più remoti, però da un potere maggiore di quello che esercitarono i vescovi di Trieste, mai sì potente da imporre 'materialmente al comune di Trieste; siccome lo si vidde nelle scissure fra il Vescova Pedrazzani del 1300 e Negri del 1350. La dominazione veneta su Trieste è cosa non abbastanza messa in chiaro nè per l'origine, nè per l'indole, nè per la durata; essa rimonta certamente a tempi lontani, e durava menlre la sovranità ed il dominio territoriale era di altri, di principi e baroni potenti che non lo avrebbero tollerato, se veramente fosse stato dominio territoriale. Le giurisdizioni venete sull'Istria e-rano veramente per le cose di mare, e come penso di origine sì remota che la si vuole risalita ai tempi romani, non erano estese che ad alcune delle città al, mare, non a tutti i luoghi marittimi, cosi che Isola, S. Lorenzo di Daila, Orsera, Cervera, Grisignana (allora tanto presso al mare da tenerle per comuni marittimi) Due Castelli; e consisteva nella fornitura di navigli, nella custodia di tratto del mare, nella corrisponsione di derrate e materiali. Quando Venezia poneva in mare uno stolo, o squadra di trentadue galere, una ne doveva dare la città di Pola, un'altra tutte le altre città dell'Istria soggette al servigio di mare, e dovevano essere belle e fornite di attrazzi, di munizioni e di ciurme; l'Istria dava ai Veneti 450uomini, dei quali Pola la metà; davano poi i comuni marittimi vino, olio, la città di Pola dava anche canape. Agli istriani incombeva poi la custodia del mare contro pirati lungo tutta la penisola, ed al di quà di Ancona e di Zara. I. Veneti costrinsero parecchie volte gli istriani a guesti servigi, e ne ebbero ricognizioni e promesse, ed è celebrata la spedizione del Doge Pietro Orseolo del 997; ma io penso che maggiori diritti che non questi li avessero i Veneziani appena nel 1124 quando l'imperatore bizantino Giovanni Comneno cedeva loro quei diritti sull'Istria, che desso pretendeva di avervi, non ceduti nelle paci incerte e non sincere di Irene e di Niceforo a Carlomagno, e che da tre secoli non esercitavano. Percossa Pola dai Veneti nel 1145, cinque anni più tardi tutte le città riconoscevano i Veneti e vi giuravano fedeltà. Non giunse fino a noi la carta nella quale sarebbero state registrate le promesse dei triestini, anzi il de Monacis nelle sue storie venete dichiara non avere veduto alto più antico di sommissione di Trieste di quello fatto nel 1202 al Doge Enrico Dandolo, quando, questi muoveva coi Crocesegnati a terra santa, e tra via rassodava il dominio veneto nell' Istria, ricuperava Zara, e conquistava l'impero bizantino. Vi unisco l'atto di sommissione di Trieste al Doge Dandolo, non perchè a voi sia nuovo, ma per risparmiarvi di prendere a mano i libri che lo registrano; in queslo accennandosi alla grazia del Doge perduta dai Triestini veggo conferma, che altro patto esisteva in precedenza, e che nel 1202 veniva rinnovato. A me pare ehe oltre il servizio di mare ed i tributi — facie-mus servitici ut aliae terre Hystriae, capiemus piratas a Rubino infra, et captos Duci presentabimus — o nini anno debemus solvere vobis urnas vini optimi puri de nostro territorio quinquagiuta; promettevano vera sudditanza dicendosi gli ambasciatori mandati ut nos, et terram nortram ac omnia nostra suae potcntiae facerent sub-dilos, et omnia precepta Domini Ducis jurarent. Questa promessa era del tutto simile a quella che contemporaneamente fece Muggia. Difficile è lo asserire se il Dominio veneto durasse costante dal 1203 impoi e di quale indole fosse; certo si è che il Comune di Trieste si tenne costantemente avverso alla signoria di Venezia, o perchè il nome fosse ab-horrito, o perchè non si volesse comportare dominio tale che ledesse le libertà municipali come allora le intendevano. Le cronache di Trieste sono si schive dal parlare dei Veneziani che appena menzionano le cacciate, quasi col silenzio volessero cancellare dalla storia, ciò che è avvenuto. Certo si è che il dominio loro non fu costante, o che ove mai poterono i triestini Io scossero. Se prendiamo ad esempio le altre'città istriane, dovessimo dire che il dominio veneto non s'estendesse fino a governo veneto ; imperciocché limitavasi ad avere promessa di fedeltà, esenzione o riduzione di gabelle, libertà di domicilio e di traffico, sicurezza pei veneti; le leggi, le magis!rature erano del comune, il podestà nominato da queste, il mero e misto impero esercitato da queste. Il quale dominio così esercitato non impediva che le città riconoscessero anche altro Signore, e provvedessero a propria migliore interna libertà. Il governo dei Veneziani comincia in Istria, non coi podestà di nazione veneta, ma coi podestà che si dicevano — prò Serenissimo Ducali Dominio Veneciarum Potestas — e che il Doge chiamava — De suo mandatu Potestas; e questa nomina di odestà concordava con quelle dedizioni notissime, che saccedettero ad una totale defezione degli Istriani avve- j venuta sulla fine del secolo XIII, e che si dicono volon-' tarie, e comprendo l'abbandono del mero e misto impero; Nell'anno 1281, dopo guerra generale nell'Istria fra Patriarca, Conte d'Istria, e comuni, in quel torno di tempo nel quale parecchie città s'erano date in Dominio e governo dei Veneziani, concludèvasi pace tra Venezia e Trieste, alle condizioni registrate dal Marini Y. 83. Patti fra la Repubblica Veneta essendo Doge Giovanni Dandolo ed il Comune di Trieste mediante i suo Sindici e Procuratori conchiuso il dì 12 febbraro 1281. I. Pagamento a tenore dei patti seguiti con la ciltà e Comune di Trieste di tutte le regalie che non si son pagate prima di questa guerra. II Dovrà spedire la suddetta città e Comune dai 12 ai 24 individui di quella popolazione, che saranno a piacere del Doge nominati e del suo Consiglio, per dover ad essi prestare il giuramento e dipendere dalle loro disposizioni. III. Verranno demolite tutte le fortificazioni dalla parte di mare, che si sono costruite dacché venne incominciata la guerra. IV. Tulle le macchine che si sono fatte nella presente guerra, dovranno essere spedite a Venezia nella piazza di S. Marco, per essere ivi abbruciate, o pur disposto altrimenti di esse a piacere del Doge e suo Consiglio. V. Restituzione per l'intero di tutte le possessioni e di tutti gli effetti tolti a' Veneziani, e risarcimento di ogni danno che a loro si fosse apportato. Tutti i danni e tutte le devastazioni poi, che fuori della città ai suddetti nei lor possessi apportate si avessero, vengono rimesse e donate. VI. Restituzione di tutti i mobili intromessi o tolti ai Veneziani, e tutti quelli che deperiti o guastati si fossero verranno pagati in 4 anni un quarto per anno. E verranno per ciò eletti dal Consiglio di Venezia alcuni savi uomini per l'esame e liquidazione di essi, che daranno ascolto sommario a coloro i quali volessero opporre od eccepire. VII. Hanno promesso e promettono i sopradetti Sindici e procuratori al detto Doge per nome et ut supra che daranno e sodisfaranno 4000 lire di danari per danno dato alla cavalleria nei cavalli predati da quei di Trieste, come pure soddisferanno e restituiranno a 100 lire de grossi che aveva donato il Doge a Cavalieri suoi che venner fatti prigioni. VIII. Parimenti s' obbligano di supplire al Fisco di Venezia tutte le spese quivi incontrate, si per il mangiare ed il bere, che per la custodia dei prigionieri. Il qual pagamento si farà in quattro anni nei modi come sopra, sotto pena in mancanza di pagar il doppio, obbligandosi a garantia i beni sì del pubblico che dei privati. IX. I detti Sindici e Procuratori dovranno prestar giuramento di fedeltà e di eseguire tutti gli articoli del presente trattato, e saranno a prestarlo pur obbligati i 24 ostaggi che a piacere del Doge e da lui nominati saranno spediti a Venezia. X. Verranno licenziati, e posti in libertà dall' una e dall'altra parte i prigioni; ma ì 24 ostaggi resteranno a Yenezia sino a che yì saranno giunte le ricercate macchine e saranno demolite le fortificazioni suespresse. Per la qual pace è fatto, chiaro che i Veneziani non tenevano loro podestà in Trieste; nè pare vi fosse allora castello forte, se per tema di nuovi movimenti da parie di Trieste, si volevano atterrate le mura dalla parte di mare da Cavana alla piazza, per avere facile 1' approdo dal lato di mare. Siffatto modo usarono i Veneziani anche con altre città, ma il non vedersi atterrato il castello di Trieste, come fecero i Veneziani a Capodistria, ed in quel torno di tempo, fa credere che castello in Trieste non ci fosse. Nel 1368 i triestini erano certamente in dominio dei Veneti, se malcomportando la presenza della galera che presidiava il golfo di Trieste, e riscuoteva i tributi, l'assalirono, sfregiando il vessillo ed il potere di S. Marco, ponendosi in- aperta ostilità; domati poi in prima da Cresio da Molino e Domenico Micheli,"indi da Taddeo Giustiniani e Paolo Loredan. Fecersi allora patti che il Marin autore della storia del Commercio dei Veneziani vidde, ma che fatalmente, comunica soltanto per estratto e traduzione, e che ripeto come sono da lui registrati ; avvertendo che i Veneti vincitori venivano da li a poco cacciati dai Genovesi. In quelle fazioni di guerra andarono diroccati il palazzo vescovile, il convento delle Francescane della Cella, i quali stavano appunto in prossimità all'odierno Castello entro il recinto dell'antico campidoglio; non però dell'antica arce o rocca, la quale stava più avanzata verso levante, dietro all'episcopio ed al Duomo, Patti fra Venezia e Trieste. Cominciano con un' esposizione di tutti i fatti concessi dopo la presa di un brigantino pei contrabbandi, veneto che stava a custodia del golfo fatta dai Triestini. Le condizioni della riconciliazione furono. 1. Il bastimento di contrabbando sia consegnato al Catavere per quelle disposizioni che si crederanno opportune. 2. Si confermi il giuramento di fedeltà e sommes-sionc al Doge ed ai suoi successori, o Ambasciatori o Nuncii. 3. In contrassegno di questa fedeltà riceveranno i Triestini dalle mani dei Veneti ambasciatori o Nunci del Doge lo stendardo di S. Marco, il quale dovrà essere nella pubblica piazza spiegato ad ogni creazione di Dog®, dal principio del giorno sino al suo fine; ed ogni festa di Pasqua verrà spiegato in Palazzo. 4. Saranno tenuti quelli di Trieste ad, osservare tutti i patti stabiliti dal tempo del Doge Enrico Dandolo d'inclita memoria. 5. Sia salvo e riservato al Doge e Comune ogni e qualunque jus sulle pene da cominarsi, per non essersi osservati i patti suddetti, e su ogni danno apportato, od interesse pregiudicalo, 6. Che Michele Ade e Domenico de Leo che difesero il bastimento ed il capo della sollevazione vengano dal giorno d'oggi in termine di un mese a Yenezia a pubblica disposizione, e se non verranno entro il detto termine sieno banditi in perpetuo da Trieste. In questa seconda pace vedesi confermata la promessa fatta al Doge Enrico Dandolo, ma vedesi che potestà di autorità veneta in Trieste non ci fosse, ma che soltanto nel giorno di Pasqua s'innalberasse il vessillo al palazzo del Comune; e per un giorno sulla piazza nella creazione di nuovo Doge. Il Carisini nella giunta alla Cronaca del Dandolo, dice di questo vessillo di S. Marco, che per antichi patti erano i Triestini obbligati a spiegarlo nella creazione di Doge, e nelle solennità. Il Mainati o piuttosto l'Ireneo racconta Vol. II. p. 119 che entrato il Loredan in Trieste si dispose a fortificarla costruendovi due forti l'uno nel sito dell'odierna rotonda del Castello, l'altro alla riva del mare, e che fosse allora mandato oltre il podestà un Capitano a Trieste nella persona di Andrea Zeno. E qui devo avvertire che nel 1367 mentre i Triestini erano stretti d'assedio dai Veneziani, s'erano dati al duca d'Austria Leopoldo che venne anche al soccorso, ma avuta la peggio dovette ritirarsi. Nel 1369 scosso dai triestini il giogo veneto novellamente si diero all'Austria, della quale era duca Alberto, che accolse la città, perdonandole la defezione, avvenuta per la pace coi Veneti del 1368. Il documento pubblicato dapprima dal Horma-yer nell' Archivio storico fu ripetuto in opera recente che ha titolo: Documenti per servire alla conoscenza delle condizioni legali di Trieste, che riproduco in appendice-Memorabile si è che il Duca d'Austria s'era riservato il diritto, quod in quocumque loco dictae civitatis volue-rimus, possimus castrum edificare et erigere, ipsique nobis ad hoc velint et debeant, cooperare et suffragare, vecturis et modis aliis quanto possint melius. Le quali facoltà riservatesi dal Principe austriaco, mostrano che nel Settembre 1369 non era ancor costrutto il castello; eseguito di poi dai Veneziani e che ebbe nome Castello di S. Giusto. Imperciocché anche questa seconda dedizione tornò inutile come la prima, ed il duca fu impedito di entrare nel novello suo dominio. Fino dal 1367 aveva tentato Trieste di darsi in dominio del patriarca Marquardo di Aquileja, il quale fino da allora menò vanto che potè mandare ad effetto appena nel 1379 avendo col mezzo dei Genovesi redenta la città dalle mani dei Veneziani. Allorquando il Patriarca venne al possesso di Trieste, il Castello di S. Giusto non era più, l'avevano i triestini medesimi atterrato; però nei patti col Patriarca, v'era pur quello che questi potesse fabbricare un castello nella parte più alta della città presso alla torre Chucherna, nel sito ove già stava la rocca dei Veneziani. CContinua). Anno 1202. Die V. cxeunt. Octob. Ind. VI. Tergeste. Il Comune di Trieste sottomette se medesimo al Doge di Venezia Enrico Dandolo. (Da stampe di autori) Anno Domini MCCIL Indictione VI die v. exeunte Octobris. Actum in Civitate tergestina* Dominus noster Henricus Dandulus Dei gratia Venetiarum, Dalmatie atque Croalie Dux; qui in servitio Cliristianitalis ultra mare cum copiosa Navium, Galearum, Usseriorum ac mililum multi-tudine erat ilurus, altera die post egressum ejus de Venetia Piranum applicuit. Nos vero homines Ter-gestinae civitatis qui ipsius gratiam amiseramus, misimus de melioribus viris civitatis nostre, videli-cet Vitalem Gastaldionem, Petrum Judicem, et alios plures qui de voluntate omnium hominum diete Civitatis nos et terram nostram, ac omnia nostra, sue potentie facerent subditos, et omnia precepta, Domini ducis jurarent, et sic juraverunt; et nos in civitatem ducem recepimus, "et subposuimus nos sue dominalioui et potentie. Faciemus servitia ut alie terre Hystrie, capiemus piratas a Rubino infra, et captos Domino duci presentabimus. Omni anno debemus solvere vobis urnas optimi vini puri de nostro territorio L nostris expensis ad ripam Ducalis palatii in festo S. Martini. ' J 7 ■.■■■'.■,■ . '-li'' I I : i i J5. i ' '; . • • *.< . i ■; , ■ )' :),' ' i ■ ■ . i M i i O i Anno 1369; Vienna 10 Settembre, Ind. VIL > i > ,'. > i • i r'' ' ; : . : :, Alberto Duca d' Austria perdona ai Triestini la defezione ed accoglie in dominio la città. (Hormayer Archiv. fur Suddeatchland p- 285) In nomine Domine amen* Albertus dei gratia dux Austriae, Styriae, Karintiae, et Carniolae, dominus marchiae et portus naonis, comes de Habsburg, Tyrolis, in Kiburg, et de Ferretis, marchio Burgoviae, ac Landgrafius Alsatiae. Universis Christi fidelibus in perpetuum et quos subscriptum tangit negotium, vel tangire po-terit quomodolibet in futurum, salutem sempiternam in domino cum eorum notitia quae secuntur. Li-cet, Sapientes, et discreti viri, Rectores, consilium, et commune civitatis nostrae Tergesti, quae ad nos plenodominio dinoscitur pertinere ab aliquibus iam retroaetis temporibus inobedientiae caligine ob-fuscati, quibusdam nostris progenitoribus, neque nobis, fructus et proventus debitos solverint, nec cum juribus et jurisdictionibus, nos inibi concernentibus nobis paruerint ut debebant, tamen quia cives ejus-dem civitatis recognoscentes dictae suae rebellionis errorem deliberatis animis de communi Consilio unanimi consensu et de certa scientia ipsorum omnium ac aliorum ad eos pertinentium prò se et universis suis lxaeredibus et successoribus civitatis et territorii de Tergesto nomine, nos et illustrai! prin-cipem Leopoldum nostrum germanum carissimum ducem et dominum Terrarum praedictarum, nostrosque haeredes et successores suos veros naturales et haereditarios dominos recognoscunt, ac prò dominis suis habere volunt, perpetuo quaemadmodum ad id tenentur ex debito, cum nostri progenitores ac nos ab antiquo, ipsorum veri naturales et haereditarii domini fuerimus et de jure esse debeamus et simus, dictique cives nobis et praefacto nostro Germano nostro, et omni haeredum et successorum nostrorum nomine, integre et liberaliter assignaverunt ei (et) tradiderunt dietam civitatem et territorium in Tergesto ac omnia fortalitia et castella ad eadem pertinentia, nec non personas et res ipsorum omnium habendas, ut aliorum nostrorum hominum in nostris civitatibus et castellis Austriae ac etiam jura, ju-dicia, jurisdictionem, potestates, dacia et redditus et proventus ad comune dictae civitatis Tergesti hac-tenus, levavit et tenuit in dictis civitate et territorio de Tergeslo, quibuscuinque nuncupentur nomini-bus seu de quibuscumque rebus proveniant semotis exceptionibus omnibus atque dolis. Ita videlicet quod nos dictos cives civitatem et territorium de Tergesto cum omnibus praenotatis suis pertinenciis intcgraliter et libere, teneamus, possideamus instituamus, et destituamus ac de eis disponere et ordinare debeamus et possimus, quaemadmodum do ceteris nostris civitatibus et castellis in Austria, eo solo excepto duntaxat, quod nos ipsos cives et civitatem Yenetis seu quibuscumque alliis non vendemus obligemus, nec in manu alia alienemus vel quomodolibet transferamus. Verum nos ipsos cives et civitatem Tergesti cum suo territorio debeamus, ad manus nostras perpetuo retinero cumque etiam praenotati cives sponte annuerint, quod in quocumquo loco dictae civitatis voluerimus possimus castrum edificare et erigere, ipsique nobis ad hoc velint et debeant, cooperare et suflragari, vecturis ed modis aliis quanto possint melius, sine dolo, nos de innata nobis pietate et clementia solita dictos cives ad gratiae nostrae beneficium nostro et praefati nostri germani nomine duximus favorabiliter assumendos ipsosque fructus et proventus nostris progenitoribus et nobis neglectos, usque in diem praesentem quo supra nomine remittimus liberaliter do gratia singulari. Volentes ipsos et civitatem Tergesti cum suo territorio ob ejusdcm suae recognitionis humilitatis, et obedientiae merita ex nunc in antea fìrmiter mantenere, fovere ac prosequi quaemadmodum ceteros nostro cives et castellanos in ducatu nostro Au-striae et alibi constitutos. Et in premissorum testimonium et evidentiam sigillum nostrum ducale pondi mandavimus ad praesentes. Datum et actum Yiennae quinta decima die mensis septembris.Anno nati-vitatis domini millesimo tricentesimo sexagesimo nono. Indictione septima. Dominus Dux pei' se. Haidericus de Meisau marscalcus prò Rudolfo de Liechtenstein. Vlricus de Liechtenstein, capitaneus Carinthiae. Filius suus de Puchhaim. Ekhardus (junior) de Liechtenstein de Nicolspurg Kreig, capitaneus Carniolae. -5 t.'U \ f • :i . ' ' : ' ■ ' iv^-J %t '■ ( , ** - j j. ; ! . : •.;.• ! • • ; : . . ' <■?■'■<■><.. v, - 'i-1 • ■■ ' ' ■ . lill'hin.'iVBxl i; : .11 ivj/''(-i!'.vi'