ANNO VI—N. 19. Sabbato 10 Maggio 1851 Esce una volta per settimana il S&bbatO. — Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 5. Semestre in proporzione. L'abbonamento non va pagato ad altri che alla Redazione. DEI POPOLI CHE ABITARONO L'ISTRIA. (Continuazione V. N. 18.) E delle immigrazioni avvenute in queste regioni a noi prossime é memorabile, che ii nuovo popolo slavo sorvenuto, occupò le terre, ma non s' alzò sopra condizione di villico tributario, nemmeno alla condizione di colono, meno a quella di urbano, per cui nè la proprietà nobile fu mai delti Slavi, nè presero stanza nelle città o castella murate, escluso cosi da ogni partecipazione al reggimento municipale, suddito o delle Municipalità medesime, nel territorio delle quali aveva preso violentemente stanza, o suddito di baroni che erano di altra stirpe. E perfino dalle cariche di chiesa sarebbe durato escluso ; se la chiesa madre comune, e che abbraccia lutti senza distinzione di stirpi, di lingua, di condizioni politiche, non li avesse accolti nel sacerdozio per gli agri rurali ; ma alle dignità non sì facilmente vennero ammessi, perchè le dignità od erano di opzione dei collegi medesimi che conservavano l'indole loro, quasi (se è lecito dire) di municipi ecclesiastici nei capitoli, od erano di opzione dei corpi municipali laici. Le diversità che si veggono nelle tribù slave, quand' anche affini, o di comune origine, noi crediamo appunto per la conservazione degli antichi agri, provenuta dalla commistione dell'antico col nuovo popolo delle campagne; in quel modo medesimo che gli odierni dialetti d'Italia provengono dalle antiche lingue parlate, sebbene oggidì una sola sia la lingua comune a tutti, e nella quale furono assorbiti, mentre le lingue di singoli sor-venuti sparirono del tutto e sollecitamente. Lo storico formarsi dell' attuale popolazione nell' I-stria, può solo, a nostro avviso, spiegare la svariata condizione delle razze umane che ancor si veggono manifestamente; può solo spiegare perchè fra gli abitanti del Carso di Duino si veggano e vestiti ed usi e disposizioni interne di casa diverse da quello di altri slavi contermini; perchè quelli della Piuka formino tribù propria, perchè nel distretto di Castelnovo si veggano due razze del tutto diverse, con tipi che di-rebbersi opposti; perchè gli abitanti delle spiaggie o-rientali del Montemaggiore diversifichino dagli altri abitanti dell'Istria, perchè i Savrini si manifestino come razza del tutto propria; e così Jquelli slavi dell'interno che hanno e da lungo il nome di istriani, perchè essendo i più antichi, si considerano e furono considerati come affigliati alla provincia; perchè negl'italiani vi sia diversità fra quelli della spiaggia e quelli dell'interno; perchè nello stesso dialetto italiano degli abitanti della spiaggia durino ancora assai voci e modi del romano volgare, per le quali peculiarità si mostra erronea la voce di colonizzazioni venute da Venezia, mentre all' invece l'Istria diede abitanti a quella città, e le diserzioni della provincia per peste, furono comuni sempre a Venezia. I dialetti, le razze sono monumenti al paro degli altri trasmessici dall'antichità, ed al paro di quelli scritti o figurativi svelano le antiche condizioni, alle quali è necessità di risalire, a chi voglia portare sicuro giudizio della provincia. Agli investigatori noi suggeriressimo di prendere a tipo Capodistria, Isola, e sopra tutti Pi-rano per riconoscere il popolo più antico della provincia come riuscì per la fusione del iracico col latino; Di-gnano e le ville prossime, per riconoscere il popolo secondo, il romano che venne in colonia; non Pola perchè dalle rovine risorse nuova e l'antica razza è piccola; non Trieste, perchè il popolo antico è ridotto a poco numero di confronto ai novelli, ed anche quel poco numero (di confronto al complesso dell'odierna popolazione) ha insiituzioni che non sono sue; non Parenzo e Ciitanova che ridotte nel 1630 a pressoché nulla, appena hanno traccio sincere dell'antico popolo; additeressimo Buje, Grisignana, Montona, a preferenza di altri luoghi per le cose interne. Non diamo ad argomento certo di studio i romanici della Valdarsa; le indicazioni tutte dovrebbero far ritenere per antica quella popolazione, non trasportata nei secoli vicini, siccome fu dei Dalmati e dei Croati, ma preferiamo di attendere più sicure notizie, che le investigazioni altrui od il caso, saranno per portare a giorno. Ma non deporremo la penna senza toccare di volo alcun che delle popolazioni -dell' odierno Goriziano, col quale l'Istria è unita per condizione politica di provincia, e col quale fino al 1850 fu unita Trieste ; però dobbiamo premettere la dichiarazione che quella regione non ci è nota per minuziosità di studi, come la patria penisola. Aggiungeremo altresì che quella Contea o Circolo non ha disposizione fisica a formare provincia da sè, ma è appendice di altra tìsica. Era quella regione paese dei Carni, prima che i Romani la soggiogassero; le spiaggie del mare erano tenute dai Veneti, ma, come pensiamo, non durevolmente. Conquistata la regione dai Romani, Aquileja fu loro colonia o grossa popolazione romana o latina vi fu mandata che occupò il tratto da Aquileja ad Udine, un quarto di tutto il piano del Friuli fra la Torre ed il Tagliamento; poi fu condotta colonia in Cividale. Il rimanente della regione fu dei Carni; che si tennero in condizione di soggetti; però due comuni durano, ed in condizione di Municipi, l'uno Gemona, l'altro Monfal-cone, che però aveva altro nome; altro stabilimento romano era a S. Croce nella Valle del Vipacco. Le montagne del Goriziano ebbero due comunità carniche, precipue, Caporeto, ed Idria ; altre minori fra cui Salcano al quale apparteneva l'odierna Gorizia, che surse nel medio tempo, e fu opera baronale. Il linguaggio Carnico come osservammo del Celtico di cui è specie, facilmente s'innestava al latino per cui nacque quel dialetto che dicono friulano, e che simile riscontrasi nella Provenza francese, ove fra Galli si fissarono colonie romane; quel dialetto provenzale o romanico cho aprì la via alla poesia italiana. È a sospettarsi che Aquileja, Monfalcone, mai avessero adottato il dialetto provinciale; se le testimonianze dei tempi più tardi valgano, e dei tempi moderni nei quali vediamo e Monfalcone e Grado ove ripararono i profughi Aquilejesi usare altro dialetto che non il friulano. Il Friuli che primo era a provare l'impeto di guerra di chi movesse contro Italia, molto sofferì nelle emigrazioni dei popoli, e non fosse altro quella distruzione che vi recò Attila nel 452, durevole ancora a più che altre nelle tradizioni popolari; Aquileja fu spiantata, fugati gli abitanti, maltrattato Cividale. Aquileja ricomponevasi quando venne Alboino, e del Friuli fece colonia Longobardica, della quale niuna traccia più rimane. I Longobardi ebbero alla loro volta a sopportare gravissimi travagli dalli Slavi che tutte occuparono le montagne del Goriziano e del Cividalese e fino alla Telia, comprendendo la Resia. E fu da quell'epoca che li Slavi fissaronsi nelle montagne, e vi durano; le loro colonie avanzate nel piano del Friuli svanirono tutte, perchè corpi isolati fra mezzo ad italiani. Allorquando col secolo XII presero radice le in-stituzioni baronali in queste regioni alpine del Goriziano, e la casa carintiana degli Eppensteìn prese stanza e formò castello sul colle di Gorizia, per loro residenza a-marono circondarsi di minori baroni, che al pari della famiglia del Conte, vennero di Carintia, non solo circondare la loro persona, ma il loro castello, colle abitazioni per cui surse la città alla di Gorizia, ed appiedi di questa nel piano aperto la città borghese che nel materiale conservava quell'ordinamento che era nel civile; il gran barone solo sull' alto, sottoposti a lui i baroni minori, più bassi di assai i borghesi; ai quali nel 1300 davasi carta di comune, non però municipale, ma piuttosto baronale. Fino a che durò lo stato di Gorizia con proprii Conti che fu sino al 1500, non avevano i Conti possessioni nella pianura del Friuli, nè sui colli al di là dell' Isonzo più che Cormons, nè Caporeto e Tolmino erano di loro, per modo che la Contea di Gorizia era ristretta entro brevi confini; lo maggiori possessioni erano nella Carintia, e loro residenza ordinaria era Lienz, solevano passare qualche tempo dell'inverno a Gorizia. Diremo di uno degli ultimi Conti quali fossero le abitudini ; cam- minava nelle più rigide e burrascose giornate a capo scoperto a petto nudo, dormiva all' aperto, preferiva il girare pei boschi ed il mangiare carne cruda; passava le notti bevendo vino, di notte vegliava improvvisamente i fanciullini suoi figli, e li forzava ad empirsi di vino; delle doti di spirito non occorre parlare; nè della scienza di governo. Queste cose diciamo non perchè da questo mentecatto si abbia a giudicare che così fossero anche gli altri conti; o così modellata la nobiltà; cho anzi fra questa vi fu fiore di gentiluomini, non solo di tedeschi, ma anche di italiani, spesso profughi che fuggendo le loro patrie a causa di rivolgimenti di governo, riparavano in questo estremo angolo. La lingua aulica della nobiltà si era in allora la tedesca, siccome la era anche di altra classe inferiore di popolo; Gorizia al tempo in cui venne in dominio dell' Austria, poteva dirsi città tedesca ; la campagna era tutta slava, meno pochi lembi di Cormons che stavano in pianura. Quanto stava al di là dell'Isonzo era dei Veneziani che l'avevano preso ai Patriarchi d'Aquileja fino dal 1420, e che avevano costrutto Gradisca a fortezza di confine. L'Austria conquistò sui Veneti Aquileja, Gradisca, Tolmino, creò lo stato di Gradisca, ora abbinato, ora fuso, ora staccato da Gorizia, però sempre in libero contatto, e con saggezza di governo che potè prosperare il novello stato, e formarsi di Gorizia, città non per l'agglomerato di cose soltanto, ma pel centro di movimenti, e di elementi cittadini; tratti in gran parte dal Friuli e dal Veneto. Cosi avvenne a nostro avviso, che per la composizione di quella provincia con parti che erano abitate da razze diverse, nè uscì un complesso che non sembra giudicato a dovere, da chi crede che le odierne confina-zioni sieno naturali od antiche, e che ravvisa conglomerazioni di elementi disparati, e non facilmente fondibili. Imperciocché la parte piana, comechè tratta dal Friuli è popolata da italiani che usano il dialetto friulano, o gli elementi slavi che isolatamente si stavano dispersi, si fusero nella maggioranza ; i comuni al mare, Monfalcone cioè ed Aquileja, hanno dialetto veneto, i monti sono abitati da pretti slavi; la città è il centro di queste svariate popolazioni e conserva traccie dell' antica condizione. Nelle montagne dell' alto goriziano che confinano colla Carintia, vi ha piccola colonia di tedeschi, siccome ve ne hanno anche nella Carnia, nel Vicentino, nel Trentino. Di queste colonie, specialmente dei Sette Comuni, molto si è detto, molto si è scritto, troppo si vaneggiò con cimbri di Mario, con sassoni di Ottone, con svevi di Barbarossa; mentre sono minatori fattivi venire da quelle città nel duodecimo o decimo terzo secolo; quando si volle far rivivere in Italia un'arte che da secoli era tralasciata. Già Plinio avvertiva dell' Italia nel Libro III, 24 delle Storie naturali = Metallorum omnium fertilitate nullis cedit terris. Sed interdictum id vetere consulto Patrum, Italiae parci jubentium. Non sappiamo nò in qual tempo, nè per quale occasione passasse questa colonia di tedeschi nelle montagne del Goriziano. Carni erano certamente gli antichi abitanti delle Montagne del Goriziano, ai quali subentrarono li Slavi. L'antichità calcolava Italia propria, cioè cho giungeva fino alle radici delle alpi, ma a questo principio di na- turale geografia di allora, altro era subentrato, quello della politica amministrazione la quale altrimenti si regola; nel quarto secolo il confine politico aveva valicato la catena dell'Alpi Giulie, e quell'altra che sta a settentrione del bacino «ideila Sava superiore, ed il limite fra Italia e Norico stava presso l'odierno S. Oswald, ove ancora è confine tra Carriola e Stiria; che tutti i Carni alpini sottostavano ad Aquileja. Ma queste aggregazioni, che non erano però mai identificazioni, mai divennero naturali, e quando i Longobardi vennero alla conquista d'Italia sembra che non avessero pensiero di sì estesi confini, ma fossero venuti all'altro che faceva dell'Isonzo limite, per cui Austria dissero il Cividalese, che per la estensione d'Aquileja aveva preso luogo di questa; lasciando 8d altri popoli, alli Slavi, le appendici montane dell'antica Venezia, nel significato più ampio che ebbe l'amministrazione romana dei tempi imperiali. Quali trac-cie delle antiche popolazioui carniche, oltre i nomi adulterati anche questi, rimangono fra li Slavi, non è di noi il dirlo, perchè la conoscenza ci manca. Diamo a chiusa un prospetto cronico dei movimenti delle popolazioni. Anni a. G. C. .........Celti abitano la penisola istriana; Giapidi la Corsia, Carni Catali la Piuka; Liburnil'agro Albonese, le pendici orientali del Monte Maggiore. 508. Traci, giungono dalle foci dell'Istro nel Mar Nero, e per via fluviatile giungono alle Alpi Giulie, le valicano e prendono stanza alle spiaggie marittime, togliendole ai Celti. 178. Guerra dei Romani, l'Istria è domata, e presidiata da soci latini. 128.Ribellione dell'Istria, è domata; trasporto di coloni romani negli agri tenuti dai Traci, che si fondono coi romani. 118. Aperta colonizzazione di Trieste per opera di S* Mercius Rex. Notizia dubbia. 35. Coloni romani trasportati in Trieste, Capodistria, Pirano, Emonia, Parenzo, Pola, nella Valdarsa. Dopo G. C. 14.1 Catali assoggettati al Comune di Trieste. 44. Notizia certa di colonia sulla Karsia nella terra dei Giapidi, forse coloni in Albona. 14... I Catali ed altri popoli dell'Istria ammessi alla cittadinanza romana ed alle cariche delle colonie. 568.1 Longobardi diroccano Trieste, scorrono l'Istria superiore; gli abitanti spaventati fuggono nelle isole Istriane, e Venete. 604. Slavi entrano nell'Istria pel Montemaggiore, uccidono le guarnigioni, prendono stanza nella Signoria di Marenfels, Bogliuno o Finale cade in loro mani. 753. Longobardi muovono contro l'Istria, 'molte famiglie abbandonano le città e riparano in Venezia ove prendono stanza. 789. Conquista di Carlo Magno; i Savrini occupano l'agro giurisdizionale di Capodistria, l'agro soggetto di Trieste, si allargano per la provincia. Dopo G. C. 804.Gli Istriani protestano contro l'immigrazione degli 1 Slavi; il duca d'Istria promette di tenerli soltanto • sulle terre deserte. 820. Croati si allargano fino all'Arsa. 840. Gli Slavi si dilatano. Lottario promette assistenza ai Veneti contro li Slavi. 876. Scorrerie di Narentani alle coste dell' Istria. 960. Nuove scorrerie. 1112. Contea d'Istria fatta ereditaria nella famiglia dei duchi di Carintia. 1120. Conti di Gorizia della Casa degli Eppenstein prendono stanza nella Contea e sono ereditari. 1173.11 Marchesato d'Istria passa nella Casa degli An-dechs. 1248. Peste grandissima. 1300. Colonia di Cremonesi trasportata a Servola. 1320. Dante in Istria riconosce i dialetti che vi si parlano. 1330. Peste. 1347. Peste, quella stessa che fu per Firenze narrata dal Boccaccio. 1360 e 61. Peste orribile, l'agro Polense è travagliato. 1397. Altra peste. 1413. Pesto di nuovo. 1427. Altra peste. L'Istria da Salvore a Pola è scarsa d'abitanti periti dai contagi. > 1463. Coloni Dalmati trasportati a Salvore. , 1467. Un quinto della popolazione di Trieste perisce da peste. C Continua). DI IMA LAPIDA VERONESE IN CUI SI MENZIONA LA G1APIDIA E LA LIBURNIA. Nell'anno 1850 diroccandosi in Verona un tratto delle antiche mura Galleniane, le quali nel 265 eransi all' infretta rialzate adoperando come materiale ogni sorta di pietre fossero poi scritte od ornamentali, venne tratta una lapida, alta e larga 0,88 misura metrica, sopra due facce della quale vedesi incisa a bei caratteri la medesima leggenda, che così è ripetuta. BATONIANOPRAEFVIT IAPVDIAI • ET • LIBVRN SIBI • ET • LIBERTIS T • F • I Questa leggenda venne fatta di pubblica ragione ed illustrata da quel Bibliotecario Municipale D. Cesare Ca-vattoni, in lettera diretta al Conte Bonifazio Fregoso. Noi la ripetiamo in questo foglio, perchè ci parve di non lieve momento, esponendo altresì ciò che ne parve al primo leggerla. Questa è leggenda funebre apposta già a stanza mortuaria ordinata per testamento dalla persona che vo- leva esservi sepolta, e la quale concedette ai suoi liberti il diritto di sepoltura nella stanza medesima. Questa disposizione del testante fa ritenere che egli non avesse • nè moglie, nò fi<*li, od almeno non avessero domicilio in Verona al tempo" della morte del testatore, il quale non aveva vicino a sè che schiavi, persone di suo servigio, ai quali aveva data la libertà. La persona che volle a sè alzata stanza mortuaria non era romana, nè italiana, perchè altrimenti avrebbe mostrato coi nomi, che apparteneva a popolo il quale aveva l'istituzione delle famiglie e delle genti, avrebbe fatto uso di nome personale, di nome gentilizio, di cognome; uso che era interdetto a chi non era italiano o romano. Esso era un provinciale, e dal nome BATO si manifesta per Dalmata, fosse egli della Dalmazia Cisardiana, o della Transardiana unita poi quanto al governo colla Panno-nia, e considerata come incorporata a questa. Era uso di tutti questi popoli fra la Sava e l'Adriatico, fossero Celti, fossero Dalmati, fossero Libami, d'indicare la persona col nome personale e quello del Padre indicando colla voce filius, la relazione di paternità, talvolta però ommettendo la voce o sigla che esprimeva figlio. Noi volentieri leggiamo BATO • NIANOnis filius, PREFecfus Wlellici IAPVDIAE . ET . L1BVRNIAE. Non possiamo persuaderci che in leggenda dettata in Verona e dettata nella lingua epigrafica si esprimesse il ministero pubblico sostenuto da Batoue, colla voce Praefuit, alla quale poi mancherebbe H sottointeso qui, mentre si aveva la voce Prae(ectus non solo di lingua, ma anche di curia ed anzi tale che costituiva oltre carica anche una dignità che non doveva ommettersi in lapida mortuaria. Noi pensiamo che il VIT segni l'imperatore pel quale fu Prefetto, e fosse quel Vitellio che perdette l'impero e la vita, nel 69 appunto presso Verona nelle sollevazioni che portarono al trono imperiale Vespasiano. Non fa meraviglia uhe un indigeno o quasi fosse prefetto di provincia secondaria; anche la prefettura dei comuni Cozziani in Italia venne data ad indigeno, anzi a quel medesimo che ne era regolo, e che per ciò appunto avrebbe potuto essere allontanato, ed è ben possibile che qualche Dalmata o Pannone di migliore lignaggio fosse fedele e devoto agl'imperatori di Roma, il raago di Prefetto mostra che in poco conto si tenessero quelle due provincia, lo quali sarebbero state abbinate, e quanto alla Giapidia v' aggiungeremo, dopo che varie pani ne erano state avulse ed incorporate ad altre Provincie. Non ci è noto che su altro marmo che non il Veronese comparisca scritto il nome di Giapidia, se se ne eccettuino i fasti Consolari; il marmo anzi viene in conferma che la retta lezione sia IAPVDIA, anzi che IA-PYDIA. Siamo tratti a credere che queste due Provincie fossersi abbinate in prefettura da Augusto, e che appena da Vespasiano fossero abbinate al governo della Dalmazia. Plinio il vecchio che dettò la Geografia a tempi di Tito, ed anzi a lui dedicò i Libri della Storia naturale nei quali si contiene, parlando dei Libumi e dei Trieste, Tipografia del Lloyd Austriaco. popoli che vi appartenevano soggiunge: nunc tolum uno nomine Illyricum vocatur generatim, e mentre accenna che i Giapidi ed i Liburnj avevano comune in Scardona le loro radunanze provinciali e Tribunali; parlando di Narona dice che era sede del terzo convento ; .il quale numero (.terzo) non sarebbesi indicalo, se tutti e tre i Conventi, cioè lo Scardonitano, il Salonitano, ed- il Na-roniano non fossero stati di una medesima provincia amministrativa. Quel nunc usato da Plinio sembra accennare ad avvenimento dei suoi giorni, a misura presa dall'imperatore vivente, che quando scrisse era appunto Vespasiano. Uu passo di Svetonio nella vita di Vespasiano, 8, accenna a qualche misura che non sembra aliena al personaggio della lapida: Sedet provinciae civilatesque liberete nec non et regna quaedam tumultuosius\inter se agebant. Quare Vitellianorum quidem et exauctoravit plurimos et coercuit. È verisimile quindi che il Batone della lapida, o seguendo le parti di Vitellio, riparasse in Verona, o fosse fra gli esecutorati da Vespasiano, e confinato in Verona, vi morisse. E non potendo dirsi Prefetto di Provincia che non era più Prefettura, o dalla quale fu dimesso, nè volendo ommettere nel monumento funebre la carica che sostenne, la indicò nominando l'imperatore di cui fu prefetto specie di indicazione che non è rara anche in altre lapidi. Nè fa meraviglia che il quadratalo Veronese, incaricato dell'incisione non comprendesse il dettato del primo verso, perchè con nomi stranile lo scrivesse senza punti, e che i liberti di Batone, poco esperti del latino, collaudassero la scrittura della leggenda, come la si vede scritta; e venisse collocata come è, nel monumento alzato ad un barbaro, in città nella quale era sconosciuto. Gli altri versi hanno i punti che separano l'una lettera dall' altra, e quell* AI in luogo di AE non ci fa meraviglia, perchè in altre leggende veronesi si riscontra di simile in tempi, nei quali simili arcasmi e-rano usitati in Roma; locchè trarrebbe secondo noi origino dal dialetto che parlavasi in allora in Verona, "ove tale maniera di segnare i dittonghi non fu rara, e che usavano contemporaneamente all' altra di buona latinità. Quale fosse quella provincia Liburnia, di cui si fa cenno, è noto, stendevasi dall' Arsa al Tizio o Kerka, ed era provincia di mare, alla quale apparteneva anche la costiera croatica, siccome è, fatto certo da inscrizione che indica VARVARIA o 1' odierno Bribir nella Liburnia; ed abbraccia oltre le isole del Quarnero l'agra Albonese dell'Istria, il Contado di Zara fra la Zermagns e la Kerka, con termini talmente fissati da natura, che impossibile si è 1' errare. La IAPVDIA abbracciava tutto quanto è paesp compreso nella diocesi di Segna-Modrussa-Cor-bavia (meno la spiaggia di mare