L'ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4. Semestre e trimestre in proporzione Si pubblica ogni sabato. II. ANNO. Sabato 11 Decembre 1847. M Dei villici istriani. Abbiamo in questo giornale toccato della nobiltà, abbiamo toccato, sebbene di volo, della cittadinanza, è debito che tocchiamo anche della contadinanza, sì perchè in mancanza di opifizi, e di commerci, propri della provincia, forma la classe principale per numero e quasi esclusiva per attività produttrice; sì perchè da lei dovrà partirsi precipuamente ogni miglioria; ed è lei che sentendo quanto i contatti colla centrale di Trieste possono divenire proficui, li ha avviati e li moltiplica di giorno in giorno a proprio vantaggio. Il movimento spontaneo che prende la contadinanza porterà naturalmente a cangiamento di condizioni nelle regioni più prossime a Trieste, perchè il villico preferirà sempre più le relazioni novelle siccome assai più proficue e più liete, vi troverà sempre più il suo conto nel ricambio di cose che a stento rinveniva nelle città o borgate cui altravolta rivolgevasi; e le relazioni di padronanza, ormai ridotte a prestazione di tributo ed a pochissimo concambio di cose, a pochissimo concambio di consigli, si ridurranno a sola prestazione di canone. Diremo adunque doppia essere la classe dei contadini; altri sono -popolani, altri villani o rustici così denominati da antichissimi tempi. Potremmo facilmente spiegare come storicamente siensi formate queste due classi distinte, e dall' origine storica dedurre la condizione loro legale, argomento frequente di dubbiezze e di questioni, ma ci porterebbe ciò a disquisizioni che non gradiscono ai più; e siccome non intendiamo di dare un trattato e di citare le leggi, ma un articolo di giornale, batteremo la via senza indicare nè da dove, nè per quali modi siamo venuti — creda poi chi vuole, che ciò nulla importa. Fino da quando ebbero origine le nostre istituzioni sociali, che non soffrirono radicale sovvertimento in tanti secoli, se non nel 1806, ma soltanto modificazioni e che poi rivissero in quel modo che poterono, l'agricoltore non fu solitamente schiavo per la sua persona: la schiavitù che non s' estinse durante l'impero romano, e che lasciò trac-cie in Istria fino al X secolo, era più nella famiglia urbana, che non nella famiglia rustica; lo schiavo era annesso alla persona del padrone; il rustico era addetto alla terra, lo si diceva servus, però servus glebae alla quale era attaccato. I popolani erano contadini negli agri delle colonie e dei municipi, e negli agri dei éomuni liberi ; erano agricoltori proprietari pieni della terra loro, della quale avevano libera disponibilità; che abitavano nelle città e nelle terre e prendevano anche parte alla cosa pubblica; erano soggetti ai magistrati urbani, però alieni da arti cittadine, ed esclusivamente dati all' agricoltura. Ogni municipio aveva tre classi, i decurioni, Jl popolo, la plebe, della quale altra era la rustica, altra 1' urbana; i municipi istriani avevano agro ristretto anzi che no, e facile era al popolo il coltivare le terre abitando le città, ed i piaceri urbani, siccome le necessità di culto specialmente dopo introdotto il cristianesimo (che negli agri municipali o simili non vi erano plebnnie, ma il capitolo ed il duomo vi provvedevano) li allettava al vivere entro mura cittadine. Dei quali agri municipali dobbiamo osservare che non formavansi questi da tutta estensione di terreno che obbediva ai magistrati urbani; perchè oltre l'agro vi aveva il distretto, almeno vi poteva essere, e le magistrature urbane avevano sull' agro municipale giurisdizione propria, sul distretto giurisdizione affidata. Già Augusto, volendo sostenere i municipi subalpini aveva loro aggiudicato molti territori distrettuali; nel medio tempo, la facoltà data di acquistare siffatti distretti portò alterazione nella estensione degli agri distrettuali delle città; vi si aggiunse la liberalità dei principi. Così i patriarchi di Aquileja, volendo alzare Capodistria a capitale della provincia in luogo di Pola che era loro troppo discosta, furono larghi nell' aggiudicare ville e giurisdT&'cfni a Capodistria per cui ebbe distretto dei maggiori della provincia; così i vescovi di Trieste alienando le loro baronie, ampliarono il territorio giurisdizionale di Trieste. Ma siffatte abbinazioni non portavano identificazione di condizioni negli agri unitari; i popolani degli agri municipali non divennero villani, per ciò che distretti tributari furono posti accanto all' agro municipale, e tutti sottoposti alle stesse magistrature, nè i villani passarono per ciò in condizione di popolani. Or diremo le massime cardinali della condizione legale originaria dei villani nei distretti. Nei distretti ogni villano riconosce per i fondi un padrone che in volgare dicesi padrone fondale. II villano non è servo del padrone, ma è servo del fondo al quale è ascritto, sia per volontà sia per nascita. Il villano che avesse meno piena la libertà personale, può affrancarsene, anche colla prescrizione. Non è lecito al padrone di vendere il fondo, e ritenere per sè i villani, ma questi col fondo passano al novello proprietario. Il villano non è tenuto che a corrispondere la quota parte dei frutti naturali del suo campo, non a prestazioni in danaro, se la legge o la consuetudine del predio non l'impone. Il padrone non può esigere dal villano più che non sia fissato dalla legge speciale; il preside della provincia veglia tutelando il rustico. Non vi ha azione civile fra villano e padrone, se non per gli eccessi del padrone; in tale caso il villano può chiamarlo dinanzi qualunque giudice gli aggrada. Il villano non può essere chiamato a muneri civili o militari, ma deve esclusivamente attendere alla coltivazione dei carnai. Non è bene certo se il fondo dei padroni consistesse nel solo diritto di esigere il tributo, od insieme anche nella proprietà diretta del suolo se il villano fosse proprietario delle terre che coltivava e ne avesse il pieno dominio, come indubbiamente lo aveva il popolano e pensiamo che non lo avesse, che fosse nella condizione di possessore senza poter aspirare alla usucapione. Imperciocché le aggregazioni all' Italia fatte da Giulio Cesare, e meglio da Augusto non estendevano come pensiamo il diritto del suolo italico secondo le odierne idee geometriche, e 11011 portava cangiamento alle condizioni legali del suolo dettate quando l'Istria fu ridotta in provincia; queste condizioni novelle s' estesero ai comuni liberi od affrancati, non all' agro tributario. Ma se il villico non aveva il dominio non perciò aveva a considerarsi come semplice utilista, perchè la legge romana distingueva i villici dagli enfiteuticiari, e tuttogiorno vediamo in Istria durare la differenza, comunque non dappertutto avvertita per quella universale tendenza di generalizzare od almeno di misurare tutto collo stesso modulo. Le terre dei rustici si ritenevano di dominio dello Stato per diritto pubblico o di quelli a cui lo stato aveva dato questo dominio, fruibili col peso del tributo, disponibili secondo alcuni ordinamenti, reversibili ai medesimi in caso di cessazione di certe condizioni o di estinzione di certe persone. Le leggi municipali di Capodistria, dettate nel XIII secolo od al principio del XIV per le ville che a lei furono date dai patriarchi, sembrano doversi considerare siccome riduzione a scrittura di antiche condizioni, che cominciavano a passare in dissuetudine. Da queste si vede che il villico poteva bensì abbandonare la villa, ma che 1' abbandono portava perdita della proprietà fondiaria; che era libera la trasmissione delle terre, però non in altri che in villico della stessa villa ; elio il villico aveva nella villa il giudice delle questioni reali, e che le magistrature urbane non avevano che giurisdizione personale o penale. Conviene credere che queste massime convertile in legge scritta per le baronie del distretto di Capodistria fossero quelle medesime clic i marchesi d'Istria tenevano in vigore nelle baronie soggette alla loro giurisdizione. Nella contea d'Istria, che tutto era un complesso di baronie, il principe fu mite, mansueti i baroni, il villico dappertutto fruente libertà individuale. Ed anzi noteremo siccome cosa singolare che nella contea entro i confini degli ultimi tempi, non vi furono relazioni feudali, ma che i baroni medesimi ebbero ed hanno la libera dispo- sizione dei loro domini, siccome 1' ebbero e 1' hanno i villici, mentre nel marchesato la condizione feudale fra principe e barone non è rara, nè è rara la condizione enfiteutica tra barone e rustico, per cui quest' ultimo è costretto di riportare l'assenso del padrone per poter alienare la terra rustica, e la terra ricade al padrone, se estinta la linea del villico investito. Queste antichissime condizioni non vennero alterate da leggi novelle, nò da cangiamenti di governo. Imperciocché la patente, che dicono di suddite/a, non è destinata a creare siffatte condizioni che dipendono dalla legge provinciale sia dessa scritta o no, ma ne regola soltanto il procedimento. La patente di sudditela non ha inteso di eguagliare in tutto lo Stato le condizioni delle baronie, nè di trasportare le condizioni da una provincia in un'altra e come non ha tolto ad alcuna baronia ciò chele pertiene, non ha aggiudicato ad altre ciò che in origine non ebbero mai. Essa ha la sua efficacia tanto sulle baronie della contea quanto su quelle del marchesato, nè monta punto se queste baronie abbiano le condizioni di vere signorie, o sieno semplici beni censuari. Il regno d'Italia non ha tolto nell' Istria che era già veneta ai baroni se non le giurisdizioni che emanavano dal potere sovrano; l'impero francese consacrava la massima che le giurisdizioni avessero a cessare, che i censi provenuti da primitiva concessione di terreni fossero conservati ; che gli altri provenienti da schiavitù personale fossero aboliti ; di questi secondi non ve ne avevano in Istria, i censi medesimi furono dichiarati redimibili. Nè di questa permissiva della legge sembra siesi fatto uso. I popolani non cangiarono condizione, nè per cangiamenti di legge, nè per cangiamenti di governi. E conchiudendo diremo che due sono le classi di villici nell' Istria, popolani che abitano le città e le terre, distinti dai cittadini soltanto per le occupazioni della vita; villani che abitano la campagna distrettuale, cioè non gli agri municipi o dei comuni liberi; distinti dai cittadini per le occupazioni della vita, e per le procedure che seguono nel pagamento dei censi infissi sul terreno. Ma questi pure sono equiparati del rimanente ai cittadini; imperciocché hanno la facoltà di testare a piacimento ai pari dei borghesi, ed hanno pari a questi la facoltà di acquisire, non solo di acquisire beni rustici, ma anche beni civici, e se qualche caso potesse essere d' esempio, hanno facoltà di acquisire beni baronali; non però di esercitare i pubblici diritti che vi fossero uniti. Antica epigrafe. SILVANO CASTRENSI Il Padre Ireneo della Croce nelle sue storie a pag. 197 registra questa leggenda, dicendola scritta a bellissimi caratteri su pietra alta un piede geometrico, larga due, esistente — nel muro della corte che corrisponde alla strada pubblica della casa del sig. Daniele Blagusich vicino alla porta —. Vi furono alcuni i quali pensarono che questo epi- ! teto di Castrense venisse dato a Silvano perchè tratto j dagli accampamenti militari dell' armata la quale traeva seco alla guerra anche le divinità; se non che sembrerebbe strano che questa sola divinità, la quale d'altronde era in culto grandissimo presso i civili, prendesse nome j da un'accidentalità, quale è quella dell'accampamento, e j sarebbe questo unico esempio non suffragato ila altra : qualsiasi autorità. Sembra più naturale che 1' epiteto provenisse piuttosto da città o borgata nel quale questo falso dio a-vesse culto celebrato o per credula santità di luogo, o per infinti prodigi, siccome tanti altri esempi se ne hanno. CASTRA fu località nella valle del Vipacco, menzionata dagli itinerari antichi, e dagli storici che narrarono le spedizioni contro Aquileja. (Itinerario Gerosolimitano — Aquileja, Ad undecimurn, Formilo s, Castra —. Erodiano Lib. VII. Vili Superatis Alpibus in Castra descende-runf). Corrisponde questo luogo all' odierna S. Croce di Vipacco, il quale ebbe già rango di città nei secoli passati; sebbene assai scaduta, conservava e tuttor conserva cinla murata, occupa colle isolato assai propizio a guardare la strada che per Podkrai attraverso il Nanos mette a Lubiana, e la valle del Vipacco che mette a Frewald. Non meno di sei strade antiche si veggono fare capo a questo punto, indizio certo d' esistenza d' antichi abitati. S. Croce coi forlalizi all' ingiro sarebbe stato antemurale assai propizio ad Aquileja, destinato a contenere, od almeno a ritardare quelle armate nemiche che avessero in animo di valicare le alpi. Ivi ancora si rinvengono avanzi antichi; e veniamo assicurati non essere rare all'intorno le antiche leggende comunque per lo sprezzo in che si tengono e che si crede ottima scusa di ignoranza, d'una sola potemmo avere conoscenza e questa pure da apografo levato da persona del tutto profana in siffatti studi. La diamo quale la ebbiino : P-PVBLIC-VRSIO-V-S-ET CONIVGI KARISSI • VOLTILIAE SATVRINE DVMIIIIIIIIIIIIIIIIfllllllllHI SALIVS ^SYSlAIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIHillU COS • CVRIO • DECADI////////////////// HOC • IN • PRIVATO • SACELLO La maestà delle vastissime boscaglie che appunto cominciavano, e per poco non cominciano oggidì nelle prossimità di S. Croce e coprono tutte le alpi di Ternova, del Nanos, di Planina, persuade che il culto di Silvano, vi fosse ben collocato; lo stesso ramo di monti del Carso che chiude a mezzogiorno la vallata del Vipacco era ricoperto di boscaglie; Erodiano nel descrivere il passaggio di queste alpi medesime parla di densissime selve poste fra Oberlaibach e S. Croce — an ullae in Alpium convallibus densisshnisque silvis insidiae delitescerent —. Non conosciamo ie superstizioni di quegli abitanti, nè dei montanari, nè dei boscaiuoli, non facili d'altronde a risapersi; ma non sarebbe strano che i più stolidi credessero ancora a qualche uomo del bosco, a qualche apparizione diabolica, scusata forse da qualche fenomeno proprio di quelle alpi, e che la semplicità loro non sa spiegare che col maraviglioso. L' epiteto di Custrensis non è nuovo fra noi. In leggenda Aquilejese abbiamo : AVGVSTAE • Bonae Deae CASTRENSI • EX • voto • f. FERONIA • L1BANI • LIB TI CLAVDIVS STEPHANVS ed in questa facilmente si supplisce la nona Dea che il diletto della lapida ha tolto. La lapida era in Aquileja, città non più distante di 31 miglia da CASTBA ed in diretto contatto di movimento militare e mercantile. Pensiamo che in Trieste distante da CASTRA meno che 20 miglia il culto di Silvano non fosse straniero od almeno ignoto; e che l'epiteto di CASTRENSI nell' inscrizione tergestina vada riferito a quel castello, o cittadella che fosse. Versi in onore di Pola di ignoto autore riportati da M. Antonio Flaminio. Pola vetus, tete posuit Jovis inclyta proles Astrigeri; nondum norant tua littora nomen, Non cultor, non messor erat; montana colebant Agrestes tantum Nymphae loca, monticolacque Immixtis Satyris Fauni, Dryadumque choreis Delia lustrabant, pharetramque, arcumque sonantem Attonìtae sensere ferae: per littora passim Nereidum cantus audiri et stertere Phocae. Progenies Jovis bue veniens, quo tempore Colchon Aesonides adiit Phryxeae veliera pellis Ablaturus ait: Comites Argiva juventus Hic memorem nostri condamus nominis urbem; Et si quos longi ceperunt taedia cursus, Hic maneant, sedemque sibi, placidamque quietem Invenient. Placuit sententia, protinus urbem Aedificant magni Pollucis nomen habentem. Hic alto primum ponunt delubra Tonantis Nec procul armiferae statuunt Tritonidis arcem, Legiferamque deam celebrant, patremque Lyaeum, Neptunique aras in curvo littore condunt. Creseit opus, longe lateque liaec fama vagatur; Sic celebrem populiš urbem, generique nepotum, Atque vetustate insignem gens Thessala condit, Ante etiam belli Trojani tempus, et ante Debita quum diris caderet gens Dardana fatis; Quam clari imperio reges tenuere vigentem Legibus et Divum cullu, et probitate viroruin. Post haec illustrem magni fecere Quirites. Cum dominae facta est Romana Colonia gentis. Sic Deus exerevit, sic ingens fama, tenetque Praeclarum in populiš per tot jam saecula nomen. Se l'autore non fosse poeta, e se non avesse a-vuto in mira di abbellire con versi antiche tradizioni di Pola, innestandovi quello che egli sapeva di antichità romana, se ne avrebbero le notizie seguenti. Prima della guerra di Troia Pola sarebbe stata costrutta da un popolo di Tessalia, avrebbe avuto nome da Polluce; sul-P alto del colle sarebbesi alzato il tempio di Giove e di Minerva (esso ignorava che vi doveva essere associata anche Giunone), altrove un tempio a Bacco, alla spiaggia un tempio a Nettuno (come a Parenzo) — ma è poeta. Brano d'un viaggio nell' Istria. (tradotto dal tedesco (Continuazione — Vedi i numeri 76-77.) Erano le dieci della sera quando mi staccai dalla novella mia conoscenza, e confesso che le vicissitudini della vita non bastarono a soffocare il sentimento di dispiacenza che provai allo staccarmi da lui. Ecco un uomo, pensava tra me, che vale per molti altri, forse m'inganno, ma quella maschia serietà, quel contegno virile accenna che potevasi fare qualcosa di lui. Avrei passato volentieri la notte sotto il suo tetto, e calcolava che nelle mutue confabulazioni familiari si sarebbe mostrato più aperto, desiderava passare un giorno sotto il tetto di un morlacco; ma aveva data parola di rientrare quella notte medesima nella casa dei miei albergatori, e mi faceva scrupolo religioso il mancare alle aspettative di quella buona gente che dichiararono volermi attendere fosse pure tutta la notte; nè aveva animo pensando che generose imbandigioni avevano apprestato per me, quella gente che mi preconizzava non avrei trovato da mangiare nella giornata. La mia guida pensava altrimenti. — Signore, mi diceva, abbiamo fatto male a non rimanere presso quel buon uomo (parlava già in numero plurale considerando me e lui soci e compagni), avreste avuto un letto pulito, mica da città, ma da dormirvi ottimamente; avreste potuto dormire all' aperto se così piaceva a voi, o nell' interno, chè la casa era spaziosa. Avreste avuto una buona cena, e non conviene lasciare il certo per l'incerto ; avreste avuto buona compagnia, chè quell' uomo avrebbe sciolta la lingua, tosto che vi avesse veduto accettare la sua ospitalità, e sarebbe stato vostro fratello in vita ed in morte, perchè quando noi diamo la parola, è lo stesso che farsi ammazzare, ritirarla inai. Ora noi andiamo a notte oscura, per vie che non conosciamo, può succedere qualche disgrazia a voi od al vostro cavallo; arriveremo chi sa quando alla casa ove siete diretto, perchè io non vedo nemmeno queste strade, di cui non ho punto di pratica; m' hanno detto bensì, a dritta, poi a sinistra, e quando trovate quel rovere, piegate a..... ma io non vedo nemmeno la terra in tanta oscurità, e quando pur arriveremo sani e salvi dove intendete---- sarà quello che sarà, Dio sa 1' avvenire, ma noi possiamo congetturarlo. Tra via passavamo spesso dinanzi a casolari di rustici ; la guida aveva mirabile abilità di tenere in rispetto i cani, e non mancava di chiedere ai viventi che vedevamo, precise notizie sulla via da tenersi. In questi in- contri due cose suscitarono la mia attenzione, l'una di trovare ad ora sì tarda contadini sulle gambe dinanzi alle loro case, e di ciò mi diè ragione la guida avvertendo che era giornata di festa, e giornata stata caldissima per cui preferivano stare all' aperto; 1' altra cosa che mi colpì fu il vestito bianco degli uomini (in camicia e calzoni, senza la giubba), ed il bianco delle donne (la sola sottogonella, ed il fasciolo sul capo) per cui sembravano in mezzo a quelle tenebre veri fantasmi. Girando all' angolo di qualcuno di silTatti casolari, ed all' apparire repentino di questi esseri bianchi, mi parve che la guida avesse apprensione, Io udiva ripetere il principio di qualche orazione, e salutarli con un saluto del tutto religioso, e pigliare voce più sonora quando gli veniva risposto in questo tuono. Sospettai che non fosse esente da superstizioni, conosceva per esperienza che l'uomo più valoroso non ne va immune, e non ne va immune 1' uomo che girò anche troppo il mondo, e volli tentarlo. — Signore, mi disse, questi discorsi rimettiamoli a domani, non conviene parlare durante le tenebre, domani a chiaro di sole ne avremo tempo per lungo e per largo, e vi darò tutte le spiegazioni che desiderate. Mi pare che in questa notte ci abbia ad occupare altro pensiero, quello cioè di giungere senza disgrazie e più presto che sia possibile alla nostra meta ; dunque affrettiamo il passo, e non occupiamoci di altro.— E mi parve vederlo muovere la destra e farsi dei segni sulla fronte, sul petto e sulle spalle. — Badiamo, soggiungeva, ad evitare disgrazie ; — ed al consiglio aggiungeva l'opera, secondo suo credere, perchè al passaggio dei crocicchi era accompagnato da parole che mi suonarono come preghiere, e da segni. Io medesimo in quell' imponente silenzio della natura in quel sensibile roteare delle stelle, sentii d' essere alla presenza di Dio, meglio che tra i frastuoni della vita, ed alzai a lui la mia preghiera, non di superstizioso timore, ma di ragionevole ossequio ed adorazione. Erano le dodici quando la casa che doveva accogliermi si presentò a noi. La guida fu primo a scorgerla, ed in tuono quasi derisorio mi disse: — Dormono saporitamente, avremmo fatto meglio di restare da quell' a-mico ; non troverete nemmeno acqua fresca. — Non poteva darmi per convinto; bussammo, gridammo, gettammo sassate ai battenti delle finestre, finalmente s' udì voce e poco stante ci fu aperto.— Siete voi? Pensavammo che foste rimasti in......., la sera è bella.... chi poteva pensarsi che foste ritornati.... e non abbiamo preparato di cena perchè nella città ove siete stato avrete certamente trovato abbondanza di ogni cosa, meglio che da noi, poveretti.... — Va bene, va bene, soggiunsi, non vi chiedo nulla da mangiare, ma spero che non avrete disposto del letto.... non intesi mai di esservi a carico, ma di pagare, nè voi l'avete intesa altrimenti; datemi luogo da dormire che ciò mi preme; domani a giorno andremo alla cerca del resto. — Ordinai alla guida che fosse pronta e pronto il cavallo all' alba, e mi gettai in braccio a sonno desiderato e profondissimo. (Sarà continualoJ