ANNO I. Capodistria -16 Ottobre -1867. N. h. LÀ PROVINCIA GIORNALE DEGLI INTERESSI CIVILI, ECOJOIICI Eli AMMINISTRATIVI DELL'ISTRIA. Esce il 1 ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno f.ni 3, semestre e quadrimestre in proporzioHe. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si ricevono gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi 5 fer linea. — Lettere e denaro franco alla Redazione. —• 'agamenti anteeipati. DELL' ISTRIA E DELLA CARSIA RISPETTO AL CARNIO. Memoria del D.r Pietm Kandler scritta per incarico della Giunta Provinciale dell'Istria. ( Continuazione, vedi n. 3,) Nella seconda metà del secolo XIV il reame d'Italia era decomposto, e le mnnicipalità, che avevano rifiutato un re comune, erano trascinate a darsi a' regoli cadauna, non soffercndo, per prevalente orgoglio proprio, di porsi suddite l5 una all'altra. Il che avvenne alla città di Trieste, che ricusando sottoporsi al comune di Venezia o al patriarca d'Aquileja, nè riuscendo di darsi ai Visconti, ai Carraresi o alla casa boema dei Lucemburgo, davasi alla casa d'Austria. Le città marittime dedicavansi in quel secolo al comune di Venezia, che dai tempi romani, e per patti fra esso e i re d'Italia, esercitava in Istria giurisdizione militare marittima. A questa non erano soggetti i conti, se non fosse per le città marittime, sulle quali avessero avuto giurisdizione civile. Trieste, Istria, Carsia erano parti disgregate, per costituzione di stato, del reame d'Italia, senza altro vincolo comune che nominale, dacché erano bensì benefizi del patriarcato d'Aquileja, ma neppure obbligati a chiedere investitura feudale, ancorché si riconoscessero vassalli deHo stesso. La casa dei conti di Gorizia, padrona anche dell'Istria contea e della Carsia, aveva pattuito colla casa dei duchi d'Austria la successione reciproca, in caso di estinzione. S'estinse dapprima la casa di Gorizia, la quale essendo divisa in due rami, come portavano le spartizioni a modo di patrimonio familiare, o, come oggi si direbbe, di patrimonio fedecommessario familiare, toccò dapprima il destino al ramo d'Istria, nel <1574, in Alberto III, ultimo dei conti, poi a quello della contea di Gorizia, nel 1500, in Leonardo, ultimo conte. Il reame d'Italia, che aveva scosso il governo del re, per risolversi in tanti municipi, corrispondenti agli episcopati, quel reame, che non tollerò principi al dì sotto del re, passato poi per le sconsiderate improntitudini del popolo e della plebe, malcoinportante governo di decurioni, cadde sotto i signorotti, che veramente furono principi more germanico, e ne ebbero il potere. Questi, quantunque non portassero titolo gerarchico di principe, pur lo adoperarono siccome epitelo indicativo di loro potestà, e principi furono veramente i Visconti, gli Scaligeri, i Carraresi, i Pallavicini, i da Polenta, gli Estensi, e tutta quella turba cfì minori, che si alternavano, traendo l'un l'altro sotto il coltello o sotto la scure. E siccome le municipalità maggiori vollero assoggettarsi le prossime, così vollero anche i signorotti; per cui i Visconti, gli Scaligeri e i Carraresi per poco non piantarono reami. In queste parti cis-giuliane furono veri principi i patriarchi di Aquileja, ancorché nessun altro titolo portassero solitamente oltre quello di patriarchi, e di rado usassero i titoli di duchi e di marchesi, come i pontefici non usarono altro titolo, e nessuno laicale. Il principato loro estendevasi su tutto il Friuli e l'Istria, ed ebbero anche il Carnio. Nell'Istria non furono principi i conti di Gorizia, nè i conti d'Istria, né quelli della Carsia, nè i vescovi di Trieste, nè il comune subentrato ai vescovi, dacché il comune medesimo, mentre era libero, circoscriveva la estensione della libertà propria coi diritti del patriarca marchese, siccome è segnato negli statuti del -1350, ed ebbe anche vicario imperiale nel patriarca medesimo, quando imperatore Carlo, della casa di Lucemburgo, li volle ristabiliti in Italia. Carsia, Istria e Metilica dalla casa istriana passarono alla casa d'Austria, senza alcun riguardo al Carnio, e sarebbero passate anche se essa non avesse avuto il Carnio, per unione personale e non per unione reale, per acquisto proprio familiare, non per annessione ad aumento territoriale di stalo già a loro appartenente. Istria e Carsia, che non sottostavano a principato alcuno, non furono sottoposte al principato del Carnio, ma al principato della casa d'Austria, che lo aveva in proprio pel privilegio fride-riciano. (*) I patii di mutua successione fra i conti d'Istria e i duchi d' Austria non furono fra principe e principe; i conti d'Istria non furono mai principi della contea o sovrani; erano semplici officiali, che tenevano l'officio di conte dai patriarchi di Aquileja, principi (*) I patti di mutua successione Stanno nel Codice diplomatico del Lunig, ed in Raccolta di diplomi a stampa per l'Austri* inferiore. , 262___12L d'Istria, ed in subfeudo dai vescovi istriani; non po-tevano attribuire altrui quel principato, che' essi non avevano. Anche dopo il 4375 i duchi d'Austria, subentrali ai conli d'Istria, chiesero investitura feudale di subfeudo ai vescovi istriani, vassalli essi medesimi del patriarca. Principe unico, in tutta quanta era la marca d'Istria, fu il patriarca di Aquileja, siccome è manifesto dal diploma di imp. Federico 11, d. d. ottobre •1238; a lui solo appartenevano le regalie. I conli di Gorizia e d'Istria erano vassalli del patriarca, suoi governatori a benefizio e feudo; e vassalli erano pure i vescovi d'Istria, dei quali poi i conli erano subvassalli. Con la Liburnia, dal Tarsia di Fiume (l'odierna " Fiumara) a Bcrscz fu altro procedimento. Dessa era comitato dei vescovi di I'ola, che ne a-vevano dato investitura feudale ai signori di Duino, ligi alla casa d'Austria, e poi ai loro successori Wal-se, e da questi passò alla casa stessa. Caduto il patriarcato di Aquileja pel dominio laico nel 4420, gli austriaci ne furono pieni dominiper assentimento dei vescovi di Pola, e principi, pel privilegio del loro casato. Nelle quali transizioni il ducato del Carnio non c'entrava per conto alcuno. Nè il ducato del Carnio esercitò giurisdizione alcuna su questi tre corpi. Non di magistrature, dacché ìiè il capitano del Carnio, nè il procuratore della camera del Carnio esercitarono poteri nè sulle robe, nè sulle persone, nè esigendo soldati, nè imposizioni, né balzelli; e mentre il Carnio aveva proprio unico capitano, - proprio capitano, dato direttamente dal principe, •vi era per la Carsia, per l'Istria, per la Liburnia. Istria, Gorizia, Carsia ebbero propria rappresentanza nelle Diete di questi paesi (non c'è noto se Liburnia), ebbero propria nobiltà provinciale, propria^ speciale costituzione, diversa dalla universale teutonica. L'ultimo conte d'Istria, sapendo che i suoi possessi passerebbero ad altro signore, e temendo, non il nuovo cangiasse la costituzione, raccolse in documento del •1565 i canoni sommi di pubblico gius, volendo che il presunto successore suo ne promettesse la osservanza. E la promisero tutti fino a Carlo VI, e lui compreso. Questa costituzione, che fu data anche a Metilica, non dubitiamo sia stata data anche per la Carsia. Ignoriamo se la Liburnia abbia avuto qualcosa di simile; però ciò avvertiamo, che il principio era municipale, divisa come era questa in comuni di castella, ancorché con tinta baronale. Sappiamo che questi corpi prestarono l'omaggio a Lubiana, perchè ivi era presente il principe ; ma lo prestarono da sè, individualmente, ed individualmente ebbero conferma del loro gius, che allora solevano dire privilegio. Non fu la rappresentanza del Carnio che lo chiedesse anche per questi corpi, o per il ducato complessivo, nel quale fossero compresi siccome parli integranti. Delle quali cose esposte facile e pronta si è la comprovazione, con quei documenti, che furono accolli nell'opera a stampa (Lubiana, Mayer 1687) che porla per titolo - Landesliandvestc des loblichcn Her-zogthums Krain: - raccolta che in italiano direbbesi - Promissioni pel ducalo. - Sono le conferme del gius provinciale pubblico^ che i principi austriaci solevano rilasciare ali atto di assumere il governo delle Provincie loro, tra le quali era il Carnio. Del quale la prima legge, e la più antica, si è »! •iihJgibonr.D dell' anno -1398 del duca Alberto, che fu data ai nobili provinciali del Carnio, a domanda di questi, non dei nobili di altra provincia o regione. Provvede a ciò che si diceva la costituzione della provincia, ai poteri delle baronie e dei baroni o signori, al gius feudale civile, penale, e, come dice l'esordio di questa legge, non solo è conferma di costituzioni precedenti, ma è legge in gran parte nuova. Questa costituzione fu confermata, siccome apparisce dalla raccolta medesima, dai principi successori di Alberto, da duca Frnesto nel 1406, da imperatore Federico nel 1460, da imp. Massimiliano l nel 1494; da imp. Carlo V nel 1520, da imp. Ferdinando I nel 1523, da Carlo arciduca, sovrano dell' Austria inferiore, nel 1567, da imp. Rodolfo II nel 1593, da imp. Ferdinando II nel 1597, da imp. Leopoldo l nel 4660. Anche l'imperatore Carlo VI confermò questa co-sliluzione, la quale, ancorché regolata e derogata da leggi generali di stato di Maria Teresa e di Giuseppe II, durò nella essenza fino alla legge parlamentare del 26 settembre 4849 e alle nuove costituzioni dell'impero austriaco di quei tempi, i di cui canoni fondamentali furono proclamati dal diploma 20 ottobre 4860 e dalle ordinanze imperiali del 26 febbrajo 4861. Ed è appunto questa costituzione provinciale, che faceva tanto diversa la costituzione provinciale del Carnio dalle condizioni della Carsia e dell'Istria nel pubblico gius, notissime a chiunque abbia dato un' occhiata soltanto agli atteggi corsi da Maria Teresa in poi. Ora tutte queste concessioni e queste conferme furono date per i nobili provinciali del Carnio, e per questo ducato, non per i nobili provinciali della Carsia e dell'Istria; e se anche fossersi domandate dai nobili provinciali del Carnio per i nobili provinciali dell' I-slria e""della Carsia, non da ciò verrebbe che i nobili del Carnio e dell' Istria formassero una e la stessa corporazione, e che i due corpi provinciali fossero uno e lo stesso corpo. La stessa Landeshandvesle, recando i documenti per la contea d'Istria, ne offre la prova. La costituzione provinciale della conlea d'Istria precede in tempo quella del Carnio, dacché è del 1365; non è legge nuova, non è legge antica con nuove addizioni, come quella pel Carnio, è l'antica legge prov inciale, consegnata allo scrillo, è legge, che,' non pel testo, ma per le dispositive, risale al secolo XI, della quale è recalo un brandello nel codice diplomatico istriano all'anno 1442. E questa costituzione, o gius provinciale, della contea d'Istria rimase immutata fino a' tempi di Giuseppe II; essa fu data ai nobili provinciali della contea d'Istria e per la contea d'Istria, siccome esplicitamente lo esprimono le parole stesse del diploma, che esplicitamente intitola la contea Land und Hcrrscliaft. Abbiamo dell'imperatore Carlo V la conferma del diploma del conle Alberto, fatta, ad istanza dei provinciali d'Istria, a loro medesimi, con diploma del tulio separato e da sé dell'anno 1520. E cosi faceva pure l'imp. Ferdinando I nel 4522. Nel diploma dell' imp. Carlo V si fa espressa menzione di altro diploma del duca Leopoldo, or miseramente perduto^ ma è facile di riconoscerne il tempo. Questo duca è il medesimo, al quale si diede Trieste nel 4382, ed a cui passò l'Istria contea nel 1374, per patto di mutua successione. Egli, nel 4374, accolse l'omaggio della contea d'Istria in Lubiana, e senz'altro / vi fe' corrispondere il diploma di conferma, poiché nuovi acquisti del duca erano Carsia, Istria, Mettlica. I Carniolici erano sudditi antichi, nò occorreva conferma, nò la Landeshandveste registra conferma per essi, nè se ne fa menzione in alcun diploma dato ai medesimi, primo cenno avendosi di un diploma del 1598 di duca Alberto, succeduto a duca Leopoldo. Ma P Istria contea ebbe con diploma del 1444 del-l'imp. Federico IH altra conferma, diversa da quella che ottennero i Carniolici nel 1-460. Questo diploma, specialissimo per la contea d'Istria, e che fu aceolto nel codice diplomatico istriano, confermava e dava ordine sicuro alla legge provinciale. Cosi arciduca Carlo nel 1567 confermava individualmente la legge provinciale per l'Istria contea; imp. Rodolfo nel 1595 rilasciava diploma cumulativo pel Carino und desueti (iitgehorióen HcrrschufteU, che si enumerano: Carsia, Istria, Metilica, ma esplicitamente si confermò a tutti questi corpi i loro privilegi, e certamente non vi fu mai comunione di un corpo coli' altro di costituzione provinciale; e così pure nel diploma cumulativo di arciduca Ferdinando nel 1597. Similmente Leopoldo 1 enumerava nel -1660 i corpi Mottlich, Istria e Carsia, e ne confermava le leggi provinciali, senza accomunare quelle del Carnio agli altri corpi e viceversa. L'Istria ha poi altra specialissima conferma, che non ebbe il Carnio, ed è dell'imp. Ferdinando III nel 1650. I quali diplomi tutti mostrano irrecusabilmente, come il corpo della contea d'Istria ed il corpo della Carsia avessero propria costituzione, diversa affatto da quella del Carnio, per tempo, per principe, per indole ed estensione, severa nel Carnio a modo teutonico, larga per la Carsia e per l'Istria. Dei documenti della Carsia non si può fare indagine, dacché tulli perirono per la sua non curanza, meno uno scudo memorabilissimo, che fu di ser Pietro Leo, ora riparato nel comune di Trieste. Ma non può porsi in dubbio, fosse la legge provinciale diversa da quella per la contea d'Istria, perchè quello stesso conte Alberto III dava identico diploma per Gorizia, per Istria, per Mettlica o Marca Vindica, che erano possessi della sua casa, e la Carsia era fra questi possessi, ned è a credersi, che quanto fece per tre corpi, non l'abbia fatto anche pel quarto. __ . (Continua) ' La Giunta provinciale ci comunica il Memoriale, da lei presentato in data del 20 seftembre p. p. al Ministero dell'interno, per l'autonomia della provincia. La Redazione si fa debito di pubblicarne qui la parte che contiene gli argomenti, non permettendo la brevità dello spazio di riprodurre per intiero quell' atto. «Il primo e più prepotente bisogno di ciascun popolo si è quello che si attiene al culto della propria lingua.» «La provincia dell'Istria riconosce l'esistenza di una sola lingua civile, che è l'italiana. » « Questa fu sempre per sei secoli la sua lingua e-d acati va; in questa lingua scrissero e s'acquistarono bella fama nelle lettere e nelle scienze molti fra'più valorosi suoi figli ; è questa la lingua del foro e di tutte le transazioni commerciali; a questa lingua perviene finalmente ogn'istriano, che aspiri a civiltà.» «Chiunque sconosce questa verità o tenta di offuscarne la viva luce, torcendola per fini men retli, induce in errore il potere, non ama la provincia e rallenta il suo intellettuale progresso.» « Primo, supremo postulato della provincia è pertanto quello, che, nelle scuole medie e secondarie, stipendiate dallo Slato, sia introdotta e conservata la detta lingua, come lingua d'insegnamento, senza di che non solo ab-bandonerebbesi un passato storico, ricco per lei di o-norale memorie, ma le scuole stesse, come lo ha dimostralo una lunga e dolorosa esperienza, fallirebbero il loro scopo principale.» «Ma siccome al minimo numero della gioventù è data l'avventurosa sorte di percorrere la carriera superiore degli studi, gli è però nella istruzione elementare del popolo laddove imporla che del suo particolare idioma si faccia anche lo strumento principale di educazione. » «D'intorno alle città, alle borgate e alle castella, specialmente del mezzogiorno, abitate esclusivamente dall'elemento italiano, convivono nell'Istria, sparse per la campagna, varie stirpi d'origine slava, con tendenza naturale, più o meno pronunciata, a fondersi in quello, secondo le porta la lontananza del tempo dalla loro rispettiva venuta in queste terre, i più facili e frequenti contatti colla popolazione italiana, o viceversa, il grado maggiore o minore di coltura, cui elleno sono arrivate. » «Partendo quindi dal principio di assoluta giustizia e rispetto verso queste stirpi slave, e nell'interesse dello stesso progressivo incivilimento popolare della provincia, nessuna violenza dev'essere fatta da nessuna parte -àìla scelta della lingua d'insegnamento nella istruzione elementare, nelle comuni di campagna da esse abitate, sia per imporre alle medesime la lingua italiana, qualora per avventura vi volessero invece preferita la propria, sia per bandirvi la prima dalle scuole, qualora l'urta o l'altra delle dette stirpi ne desiderasse la totale o parziale adozione.» «La più ampia libertà, scevra da ogn'influenza, dovendo dunque soltanto normeggiarvi la scelta, occorre necessariamente, che le comuni stesse siano fatte sole giudici inappellabili della lingua o delle lingue d'insegnamento, da usarsi nelle scuole comunali. » «Una istruzione più appropriata ai tempi e alle speciali condizioni del paese, e la più diretta influenza delle comuni nelle scuole, sotto la esclusiva sorveglianza dello Stato, non potrebbero poi che vantaggiosamente concorrervi a rialzarle a più utile meta. » «Custode vigilante e difensore imparziale di ogni lesione del suddetto diritto dovrebbe starvi infine, accanto alle autorità dello Stato, la rappresentanza provinciale, a mezzo della sua Giunta, che sarebbe da consultarsi eziandio in tutte le altre speciali disposizioni di massima, che si riferiscono agl'istituti di educazione nella provincia. » « E questo è altro dei suoi principali bisogni, il cui soddisfacimento, come corrisponderebbe appieno alle sue peculiari circostanze, assicurerebbe inoltre la conservazione avvenire di quella fratellevole unione e concordia, che ha mai sempre sinora regnato fra i suoi abitanti, tuttoché di differenti origini nazionali.» «Senonchè la prosperità di un popolo si fonda non. meno nelle saggio provvidenze pella sua coltura, che nella conoscenza e protezione dei suoi morali e materiali interessi.» «La provincia d'Istria, nella sua breve superficie di appena ottantasei leghe quadrate, offre, come forse nessun"altra provincia dell'Impero, largo campo di studio all'attento amministratore.» «A settentrione ed oriente, aspre, ripide e nude gio-gaje di monti, coperti di neve l'inverno, dominate da furiosa bora, che fanno il più grande contrasto colle ridenti spiaggie marine, rivestite di olivi e piante sempreverdi : terraferma ed isole, queste divise da quella dal tempestoso Carnero, quella allungatesi nel mare e in sèfrazionata da profonde vallate e filoni di monti, che costituiscono altrettante regioni tra loro disgregate e di fisonomia diversa per clima e suolo, qui calcare, là arenario, qui inacquoso, là provveduto di acque correnti.» «Nè la natura soltanto, ma le varie schiatte peran-co, che popolano la provincia, la diversa loro indole, coltura ed applicazione, imprimono una maravigliosa differenza di carattere alle varie parti della medesima. -Qui italiani puri, là italiani commisti con slavi, in qualche angolo rumeni, in altro albanesi; degli slavi, qui d'origine croata, là serblica o slovena; poi varia commistione di queste stesse razze fra loro; svegliato e laborioso per lo più l'italiano, molto meno in generale gli slavi; questi, dove industri, dove di preferenza dediti all'agricoltura ed alla pastorizia; queglino applicati simultaneamente al buon governo delle terre, alle arti, alle industrie, ai commerci; all'occidente, l'industria salina, la pesco, il cabotaggio; all'oriente, la costruzione navale, la navigazione a lungo e breve corso.» «Nessuno certamente potendo quindi conoscere ed apprezzare meglio degli stessi suoi figli queste tanto disparate circostanze locali, c le particolari inclinazioni* dei suoi abitanti, alfine di avviare le prime, con saggio accorgimento, a sempre maggiore incremento e floridezza, e sviluppare le felici disposizioni nelle seconde, ciascun istriano, che si dedicasse alla carriera degl'impieghi, dovrebbe per questo solo godere di un titolo di preferenza sopra qualunque altro aspirante ai medesimi, non paesano.» «Dall'illuminato patriottismo di questi funzionari il governo della pubblica cosa non potrebbe che guadagnarvi ; accrescerebbe la fede nella provincia, che le sue sorli siano affidate a chi sappia e voglia, con assiduo a-more, promuovere la di lei vera felicità; e un nuovo e fecondo campo di azione, sinora, pur troppo, scarsamente percorso per ragione dell'opposto, sarebbe infine dischiuso alla patria gioventù, sul quale esercitare proficuamente il suo ingegno. — Le vicine consorelle Provincie di Trieste e Gorizia, alle quali una lunga comunanza di vita e di benevola reciproca affezione ci lega, potrebbero sussidiariamente somministrare il personale mancante. » « Voto generale della provincia, non meno fervido dei due precedenti, e dal cui adempimento, oltre il certo conseguimento di tutti i suddetti vantaggi,dipende anche, nella massima parte, la verificazione della promessa autonomia, si è quello pertanto che, nel conferimento dei pubblici impieghi in tutti i rami dell'amministrazione, siano sempre preferiti i nazionali agli estranei.» « E atteso che, infine, sia non di rado per lo passalo avvenuto, che i più legittimi bisogni e desideri della provincia non potarono farsi strada sino alle alte sfere del potere, per essere stati tra via fraolesi o senza giusta causa avversati, essa ravviserebbe però una ulteriore idonea garanzia contro il ripetersi di simili inconvenienti nel fatto, che anche alcuni suoi comprovinciali fossero chiamati a sedere nei singoli dicasteri centrali del Litorale, e possibilmente qualcuno appresso codesti eccelsi i. r. ministeri.» MoStona e la strada postale della provincia Stava per mandarvi un mio scritto sul tema del nuovo tronco stradale Tìzzano - Canfanaro, quando mi vidi prevenuto da due articoli, inseriti nel n. 2 della Provincia. Rinuncio di buon animo alla priorità, colla soddisfazione di veder divise e sostenute da ottime ragioni le mie stesse idee nel proposito. Sopprimo l'articolo, per non cadere in ripetizioni; ma siccome quei corrispondenti non si proposero di svolgere la questione sotto tulli i suoi punti di vista, trovo che vi sia ancora qualche cosa a soggiungere, e Montona deve far sentire la sua voce, tanto più che i suoi interessi locali più specialmente si fondono con quelli dell'intiera provincia. Credo essere pienamente dimostrata l'erroneità del vantaggio dì quattro ore, che il nuovo tronco Tizzano-Canfanaro presenterebbe in confronto dell'attuale lizzano - Pisino. Questa economia di tempo si ridurrebbe in fatto a circa tre quarti d'ora, ed è lecito dubitare anche di questa, pensando al valico travajlioso fra Barato e Canfanaro. Ammesso però, che sussista un'abbreviazione di sette ottavi di lega, prima di abbracciare il nuovo partito, sarà da vedere se questo guadagno sia tanto considerevole da meritare lo scambio del sistema vigente. Il divisamento di ravvicinare la postale alla costa, ossia alla sede dell'autorità provinciale, non sembra riposare sopra solide ragioni, poiché dal porto Quieto fino a quello di Leme non esiste, sulla costa, che la sola città di Parenzo, la quale raggiunge anche in oggi la postale a Visinada, a lizzano e per Antignana, con tre belle e comode strade. E per quanto concerne le sue corrispondenze postali, se non venisse stabilita un'apposita stazione in uno dei villaggi di Mompaderno, Villanova, Baralo, essa avrebbe una più lunga e disagiata strada a percorrere, per trasmetterle a Canfanaro, di quello che per recarle all'attuale stazione di Visinada. Del resto la costa dal Quieto al Leme non presenta vermi altro centro abitato o di una importanza da reclamare l'avvicinamento della postale e da imporre l'abbandono dei paesi attualmente percorsi, dovendosi pure osservare, che mentre la costa gode il grandioso benefizio delle frequenti e facili comunicazioiii marittime, quei paesi non avrebbero verun compenso, e che, coli'attivazione del nuovo tronco postale Tizzano-Canfanaro, la provincia o i distretti interessati dovrebbero assumere il peso della manutenzione del Ironco Tizzano-Pisino-Gimino, poiché non è possibile lasciare queste contrade senza comunicazione alcuna. Le esigenze del paese litorano, posto fra le due valli accennate, non sono dunque tali da aggiungere un peso al vantaggio di tre quarti d'ora di tempo, promesso dal tronco Tizzano-Canfanaro. D'altra parte è certo, che offrire l'economia di tempo è beasi uuo degli scopi più interessanti di una strada, ma clic lo scopo suò principale è la comunicazione. Far corrispondere i due punti estremi ( Trieste e Pola ) colla massima brevità di tempo, non sarebbe che la soluzione di un problema parziale, e una strada siffatta non potrebbe qualificarsi la strada postale di una provincia. Per essere tale, e per arrecare un reale giovamento, converrebbe che la strada conciliasse colla celerità e comodità il contatto del maggior numero possibile di paesi, e in ogni caso quello dei più importanti. Non bisogna che ne percorra un lato, evitando il centro, e lasciando in disparte due terzi del territorio. Al danno gravissimo per l'arenamento delle comunicazioni, nei paesi evitati dalla strada postale, andrebbe poi anche congiunto un sensibile aumento di spese amministrative per servizi parziali, e la diminuzione d'introito per la scemata circolazione. Questi pregiudizi dovrebbero necessariamente derivare dalla trasposizione progettata, e non sarebbero bilanciati dal vantaggio di una piccola economia di tempo. Tanto è vero che per le funeste conseguenze, prevedute dal governo fino dal 1822, la stessa idea fu riprovata, ed il tronco Visinada - S. Lorenzo, già in parte costruito,, fu abbandonato. È cosa irrecusabile, che al mare si trovino in maggior numero i luoghi popolosi e inciviliti ; ma non può negarsi, che nell'interno vwne siano alcuni, i quali rimangono poco inferiori ai principali. Ad ogni modo, lasciar lutto il centro e la parte montana in un completo abbandono, non sarebbe di certo saggezza, nè, in noi della provincia, carità di patria; non sarebbe il mezzo di far progredire i paesi interni e di portarli al livello dei litorani. E questi ultimi, ascoltando la loro nobile vocazione, dovrebbero studiarsi di promovere i progredimenti delle civiltà e la coesione di lutle le parti della provincia appunto colla moltiplicazione delle strade e dei rapporti dal mare ai monti. D'accanto agli interessi morali vengono poi anche gì' interessi materiali. Non si creda che, raccogliendosi soverchiamente al mare, sia far bene i propri conti. I distretti interni possedono un territorio assai più spazioso e fecondo, e meno esposto ai danni elementari. La produzione potrebbe prendervi proporzioni assai maggiori delle attuali. Ma se le loro risorse devono languire, se le loro produzioni devono stagnare, se il diletto di comunicazioni deve porre ostacolo alla vivacità delle transazioni e all'accorrenza sui mercati, lo scoraggiamento delle attività e il letargo nei distretti dell'interno devono necessariamente diminuire gli scambi colla costa, e condurre anche questa nella generale miseria. Pur troppo, è da sospettare, che la prostrazione economica della provincia e le dissidenze, che travagliano alcuni circondari alpini, ripetano in parte la loro o-rigine dal non essersi bone apprezzati cotesti concetti. 1 due distretti di Montona e Pisino, che stendono una mano ai distretti marittimi e l'altra ai montani, e che trovansi non solo nel centro geografico, ma in quello pure degli interessi e dello scambio interno della provincia, non potrebbero essere dimenticati senza pericolo. Quanto a Montona in particolare, il suo territorio ha veramente gli elementi di una prosperità reale ed attuabile. In nessun'altra parte dell'Istria è dato ammirare una pianura di parecchie migliaja di jugeri d'inesauribile fecondità, solcata da un fiume e prossima ad un ampio e sicuro porto di mare. Nessuna quindi, co- me la vallata del Quieto, può essere chiamata a divenir campo di un'estesa attività agricola e industriale. E difatti Montona, che possiede già nella sua valle qualche saggio d'industria ( la fabbrica d'allume e vitriolo, e quella della potassa ) ed una fonte termale, è conscia del miglior avvenire, a cui è chiamata, e per non lasciarsi accusare d'inerzia, si è fatta appaltatrice, e, sola fra i vicini, è concorsa co'suoi mezzi alla costruzione della bellissima strada della Costiera, la quale corre lungo la valle, dalla Levada a ponte Porton, per raggiungere la postale veniente da Buje, mentre dalla Levada a Pingnente corre un'egual strada, perfèttamente piana. Perchè dunque la postale, venula da Buie a ponte Porton, invece d'inerpicarsi, per pigliare il tronco Tizzano-Canfanaro, non potrebbe piuttosto correre in piano fino al piò di Montona per la strada della Costiera, e da qui recarsi a Caroiba, come faceva altra volta, per proseguire a Pisino? Si avrebbe con ciò il vantaggio di toccare Montona e Pisino, e si eviterebbe il torto di fuggire due punti dei più importanti. Ma quello che non sembra avere attratto finora l'attenzione, si è che il tronco da ponte Porton, per la Costiera e Montona, a Caroiba, oltre che essere nella massima parte piano, è anche di ben cinque ottavi di lega più breve dell' altro da ponte Porlou a Caroiba per Tizzano. In conseguenza di che la strada postale, condotta per la Costiera, Montona e Caroiba a Pisino ecc, sarebbe soli due ottavi di lega più lunga di quella per Tizzano-Canfanaro. E perciò non so persuadermi, che abbreviazione così picciola, equivalente ad un'economia di 45 minati su lutto il viaggio da Trieste a Pola, possa essere cotanto considerevole da persuadere l'abbandono dei due punti vitali di Montona e Pisino, coi loro territori popolosi, e da avventurare la posta sul tronco Tizzano-Canfanaro, per una landa senz'ombra, senz'acqua, e in una paurosa solitudine. In fine quella slessa differenza dei 45 minuti potrebbe svanire del tutto. La correzione della odierna salita dalia valle alla situazione del Laco, sotto Montona, e di là per Barcaz a Caroiba, con una pendenza media non maggiore di due pollici, darebbe un risultato di comodità e di brevità, da superare ampiamente la detta minima economia di tempo. E solo che Montona sapesse di poterlo sperare, non mancherebbe di concorrervi, con tutta volonlerosità sobbarcandosi ad o-gni comportabile sacrifizio. . La scorciala postale per Tizzano-Canfanaro non avrebbe più allora giustificazione veruna. Montona, ottobre. Dignano, ottobre. (A. C.) Giacché il vostro Programma eccita ogni volonteroso ad esporre anche alla buona qualunque utile idea, prendo coraggio a farlo anch' io. , Uno dei più deplorabili difetti nell' Istria si e certo quello dell'acqua potabile. È dunque supremamente necessario non trascurare alcun mezzo, che ci possa condurre ad alleviare cotesti sventura. . In prossimità di Dignano, e precisamente sulla via maestra che mena a Fasana, trovasi un sotterraneo bacino d'acqua corrente, appellato il Varno. Quell' acqua è di una freschezza particolare, di perfettissima qualità ed in tanta copia, da sopperire al bisogno di oO dieci popolazioni d'i Diguano. Nell'anno 1860 volli appagare la viva mia curiosità di visitare quel luogo e mi vi recai, accompagnato da esperto ingegnere e da un intelligente mastro muratore. Al principale serbatojo, che è un orridissimo antro, si arriva scendendo per ben 10 metri, col soccorso di fiaccole, e non senza qualche pericolo. Là prendemmo le debite misurazioni, tanto della ■profondità dell' acqua, quanto del vuoto dal livello di ossa fino alla superficie del sovrapposto terreno; ci assicurammo che l'acqua non <> stagnante, ma corre verso il mare ; ne togliemmo quanta bastasse a chimica analisi, e risalimmo. L'analisi riconfermò pienamente la bontà dell'acqua; ci applicammo quindi a rilevare l'occorrente per l'opera d'arte, che avesse a servire ad attingerla comodamente. Questa spesa fu portata dai calcoli degli stessi tecnici a fiorini -1300, nuli'altro abbisognando, a parer loro, che aprire un foro della profondità di due metri e della circonferenza di un metro e mezzo, costruire un muro all' intorno per parapetto, ed applicarvi una pompa. Tutte queste cose, rilevate semplicemente in via privata e senza incomodare minimamente le finanze del civico erario, furono tosto portate a cognizione di chi allora era preposto al governo della cosa pubblica, perchè si volesse, con sì poca spesa, adottare un progetto di tanto facile esecuzione e di così notevole vantaggio. Ma, vedi fatalità nel beneficio della stessa pioggia, tanta ne cadde proprio in que' giorni, e così ne furono riempiute le vuote cisterne, che, dimenticando ad un tratto la patita mancanza, si lasciò riposare nei polverosi scaffali del patrio archivio la utile proposta, rimettendone la pertrattazione alla prossima siccità dell'anno venturo, e così di anno in anno fino al dì d'oggi. Altro progetto, a cui toccò la stessa sorte. — In opposta direzione, cioè in vicinanza allo stradale che conduce a Rovigno, distante appena un miglio da Dignano, esiste una seconda sorgente di acqua perfettissima, con piccolo corso, è vero, ma che per essere viva anche nelle più lunghe siccità dell'estate, mette nella sicurezza, » he in quei contorni debbasi rinvenire, nò difficilmente da esperto idraulico, l'acqua in maggior copia. Anche su di ciò vennero l'atte parecchie rimostranze alle passate civiche autorità, ma invano, a fronte di lamenti universali e della comune certezza di scoprire colà un'abbondante sorgente d'acqua. Alcuni cittadini vi presero perfino una iniziativa privata, con lavori di escavo, riusciti naturalmente a nulla, per difetto delle necessarie cognizioni d'arte. Scrivo di queste nostre colpe, non per voglia di censurare, ma. perchè si faccia quanto reclamano 5000 abitanti, che sono quasi o-gni anno per più mesi mancanti dell'acqua indispensabile, e si trovano costretti a bere, tutto il tempo dell'anno, l'acqua fetida dei circostanti laghi, con sì gran danno della salute. Perfino le famiglie civili, sebbene paghino l'acqua potabile a prezzi favolosi, sono costrette a mendicarla giornalmente pei più urgenti bisogni della vita. Possano le mie parole trovare ascolto, e vogliano gli onorevoli membri dell'attuale nostro municipio, coerenti al loro già pubblicato programma, farsi solerti esecutori dei progetti che intendono » provvedere a un tanto bisogno, certi di rendere così al loro paese il maggior benefizio. Monlona, 11 ottobre. (") (\.) Di confronto alle ragioni, secondo le quali fu discussa la questione dei nostri boschi comunali nel n. 2 della Provincia, stanno argomenti più speciali e locali, ed io penso di esponeli brevemente, tenendomi sicuro della vostra imparzialità. Il bosco, che l'erario riconosceva testé siccome nostro, non è cosa del patrimonio comunale, ma dei comunisti. Sono essi invero che lo ebbero sempre in godimento, sebbene contrastato, pei propri bisogni di legna, di pascolo e d'altro, e sono pur essi che deli- .—- (*) La deputazione comunale di Montona ci aveva fatto tenere sull'oggetto medesimo di questa corrispondenza un suo articolo, molto lungo, con altri atti. Per le ristrette proporzioni del nostro giornale, ch'esce soltanto ogni quindici giorni, fummo costretti a pregare la deputazione stessa di permetterci una riduzione di tali scritti alle parti essenziali della questione. Ma questo non ci venne consentito, e noi quindi accogliemmo la relazione, che qui pubblichiamo, d'altro nostro corrispendente, la quale, per quanto ne sembra, stringe tutto in brevi parole. Nota delia Redazione. berarono di rivendicarlo, e sostennero le spese del litigio, e presero parte alla transazione che lo definiva. IN è basta, chè la transazione stessa stipulava, direttamente per loro, l'annua somministrazione erariale di ci. 500 di legna durante un quinquennio, che fu ritenuto il periodo necessario a mettere lo stesso bosco ceduto nella condizione di fornirne tal copia. E per ciò appunto imponeva al comune l'obbligo di non coltivarlo altrimenti che a bosco, e rimette-vagli a libera disposizione un fondo di 23 jugeri, il quale, ridotto a prato, avesse a sopperire alle spese di cotesta coltura e amministrazione. Dovendo adunque il bosco servire costantemente a provvedere i comunisti dell'anzidetta quantità di legna, nè potendo esso darla, come da esalti calcoli, non v'è luogo a discorrere di vantaggi per la cassa comunale nel tenerlo indiviso in mano al municipio. Anzi ad essa verrebbe danno, perchè il reddito dei 23 jugeri non è sufficiente ad amministrarlo, senza dire dei molti fastidi nello esercitare una vigilanza, che sì male riusciva alle stesse forze, tanto meglio adatte, dell'erario, e senza dire ancora dei più spessi e più gravi furti, che ne seguirebbero, ad esclusivo detrimento dei percipienti onesti. Per lo contrario, diviso il bosco fra gli utilisti, assieme a due altri brevissimi tratti di fondo boschivo, la cui infruttuosità, così per le finanze come pei membri del comune, è indiscutibile, e acquistati per tal modo al patrimonio comunale gli anzidetti 25 jugeri. ossia una rendita annua di f.ni 1000, ne rimarrebbero avvantaggiali e la cassa comunale e il comune, raccogliendo quella, con facile percezione e nessun vincolo, il maggior provento ora accennato, e ottenendo questi quanto meglio desideravano, cioè di guardarsi da se, con quelle più opportune discipline boschive, che sarà officio del comune di stabilire, la nuova loro possidenza, per trarne il maggior utile possibile, sotto il potente stimolo del privato interesse. Se per lo addietro i più miravano a devastare, d'ora innanzi ciascuno porrebbe diligenza a conservare. E tutto questo appunto volle Montona, decidendosi per la divisione. Non si tratta dunque di perdere, ma di guadagnare; vi sono danni sfuggiti e lucri assicurati. I soli perdenti saranno quelli che perderanno l'arte del togliere l'altrui, e che sul bosco indiviso la avrebbero esercitata con più agio e fortuna. E così, lungi dall'essere qui richiesta una eccezione a quei liberali principi di economia, che vogliono sottratte le possidenze alla immobilità e generalizzato il lavoro, torna a speciale conforto potervi fare appello come ad un argomento di più in favore del preso partito, eh'è inoltre avvalorato, oltre che dal memorabile esempio della Venezia e della Lombardia', anche dalla legislazione dell' Istria e da non poche decisioni, emesse nel proposito dal governo prima e dalla giunta provinciale e dalla dieta poi. E, nuova ventura, cotesto bene non ha il suo rovescio, non essendovi ragione di preoccuparsi nè pel bestiame agrario, né pel pericolo, che le divise parti del bosco cadano nelle mani dei ricchi. Non è il difetto di un latifondo boschivo, ma il difetto di prati ehe contrasta il migliore allevamento del bestiame ;'e quanto ai temuti assorbimenti, si può mettere pegno, che una proprietà, soggetta a tanti vincoli di speciale coltura, non sedurrà punto le borse doviziose. Questo che vi h'o detto, quanto più potei in compendio, parmi che basti, e non mi rimane quindi che ad accertarvi, fuori del tema presente, che il comune di Montona non può essere tacciato di consumare il suo capitale di esonero, non essendosene fatta che una antecipazione, per la tanto reclamata opera della strada della Costiera, impresa dallo stesso comune. Amico vostro e del vostro corrispondente, che molto stimo, non sarò certo rimproverato, se, amico altresì della libera discussione, ho reso omaggio al principio dell' audiatur et altera pan. Parenzo, ottobre. (4. P.) Anche quest'anno, come al solito, fu generale il lamento, che a questa popolazione manchi l'acqua necessaria per il bere e per eslrarre le bevande dalle vinaccie, e questo secondo lamento si udiva specialmente da coloro, che speculano cogli acquisti d'uve per far vino, e avrebbero desiderato di accrescere i loro lucri col ricavato delle bevande. Mentre mi riserbo di parlare un'altra volta intorno al bisogno di un permanente provvedimento dell' acqua potabile, richiamo ora la vostra attenzione sull'uso generale di far bevande dalle vinaccie. Oltre alle buone acque nella stagione estiva, mancano a ciò altre condizioni naturali. Qui alla marina infatti la maturazione delle uve è precoce, e però d'ordinario viene data mano alla ven- ■demmia ancor durante la state. Ne segue che la commistione dell' acqua coi resti delle uve si faccia in giorni ancora caldi e quando le cantine non sono poranco rinfrescate dalle aure autunnali. Ovvio adunque che le bevande, poco dopo imbottate, subiscano una seconda fermentazione e quindi si guastino. Non conoscendosi modo di riparare a cotesto malanno, se non possono giovare nemmeno le cantine sotterranee, per l'ardore del sole, che penetra la piana superficie del suolo cavernoso, è chiaro che conviene abbandonare le bevande e avvantaggiarsi delle vinac-cie con altra industria. Buona pratica intanto sarebbe quella di sostituire l'uso del torchio al pigiare le uve co' piedi, come si fa in tutti i paesi viniferi, anche per poco progrediti nella enologia. Con questo metodo se ne trarrebbero molti vantaggi, e non ultimi quelli della sollecitudine, del risparmio di mano d'opera, e specialmente di una rego-golare pressione, dalla quale si avrebbe il mosto limpido, perchè non amalgamato, come avviene nei rimestamenti del pigiare, alle sostanze eterogenee, che contengono i grappoli. Tutti sanno, che il vino delle uve torchiate viene preferito nelle mense signorili come il più prelibato. Il torchio servirebbe ancora a meglio approfittarsi delle vinac-cie. Messe queste nuovamente a sì buona spremitura, anziché sottoporle a seconda fermentazione coli' acqua, spesso immonda, per estrarne la bevanda, darebbero ancor vino, il quale, conservato in botti, non andrebbe soggetto a guastarsi, come succede appunto della bevanda, fatta sotto l'influenza del caldo. Cotal vino poi darebbe un'ottima pozione alle famiglie, e meglio servirebbe ai bisogni delle barche che sono pronte alla vela. Unendovi infine, all' alto di adoperarlo, la quantità di acqua pura che occorre, avrebbesi una gradevole e sanissima bevanda. Anche i resti di questa estrazione vinosa gioverebbero ad altro uso domestico, se venissero impiegati alla confezione dell'aceto, con operazione, che richiede un processo semplicissimo ed è da tutti conosciuta. Urge che la migliorìa, qui aceennata, sia presa sul serio, chè la bevanda corrotta, di cui fa uso il nostro popolo per tutto il corso dell'anno, non risponde certo ai precetti dell'igiene. Rovigno, ottobre. (M.) Da qualche tempo la nostra città si andò modestamente abbellendo, in onta alle sue condizioni economiche, che non sono punto invidiabili, perchè povere furono le annate che passarono, nè ridente è la sua prospettiva dell'avvenire. La via principale, che fende la città per la maggiore sua lunghezza fu riselciata, si eresse una nuova via con doppio filare di alberi : il molo fatto più facile all'approdo : varie piazze e vie interne racconce: più case sórte dal suolo belle ed eleganti, altre ammodernate: il pio ricovero femminile ingrandito: metà dello stagno alla Trinità interrato: ordito un vivajo comunale, che forse diverrà orto agrario: più splendida la pubblica illuminazione col petrolio: infine un nuovo teatro, o piuttosto una sala teatrale, a cui si sta ponendo l'ultima mano. Desterà forse sorpresa come in mezzo alle difficili nostre circostanze siasi pur operato tanto, e si pensi tuttavia alla costruzione di una pubblica cisterna della contenenza di tremila emeri, e alla rifabbrica del monte di pietà; ma fu per venire principalmente in soccorso delle classi lavoratrici che e comune e privati fecero a gara per procacciar loro di che campare la vita, senza avvilirle colla limosina. Fra le costruzioni che meritano un cenno particolare si è la sala teatrale. L'esistenza di un edificio comunale, adattabile all'uopo, mosse vari cittadini ad offrire al comune, che vedea con ciò soddisfatto un bisogno di civiltà, i mezzi necessari. La commissione e-letta a invigilare l'esecuzione dell'opera, coli'assistenza dell'architetto comunale, se n'è sdebitata per bene, ed il paese le ne sa moltissimo grado. La sala offre nel suo insieme un aspetto grazioso ed armonico. Non vi sono ordini di logge, ma vi corre intorno una elegante galleria sostenuta da colonne, con fregi e lumiere, ed altri arredi gentili e di ottimo gusto. 11 sipario rappresenta il risorgimento della musica e del dramma, ed è di un effetto stupendo. Lo condusse il distinto pittore Casa di Venezia. — La chiusura della capo-scuola e dell'unitovi corso reale lanciò nel pubblico buona impressione. Sempre più però si fa risentire il bisogno del completamento della scuola reale inferiore. È una vera ingiustizia che non siasi pensato a restituirci il secondo corso, siccome s'avea in addietro, massime ora che tanto si fa per dare impulso agli studi tecnici, e che non si può ignorare, come dall' i-struzione tecnica, navale ed agraria attenda la nostra provincia un avvenire migliore. Col nuovo anno s'aprirà anco fra noi una scuola serale, e se essa sara informata a que' larghi principi e a que' metodi assennati, che sono garanzia di successo, abbiamo motivo a sperare che il nostro popolo ne trarra preziosi vantaggi. Della vendemmia di llovigno non si può quasi parlare, giacché il suo territorio, dopo che fu flagellato dalla crittogama, non ha quasi più vili. Si pensò peraltro e si pensa sul serio a nuove piantagioni. Di uve dal di fuori ne arrivarono sul nostro mercato, eh' era forse in addietro uno de' primi della provincia, in poca quantità, giacché quest' anno l'oidio ha menato strage, non essendosi punto solforato. La solforazione a queste parti non è solo avversata per ignavia, fatalismo, Ignoranza, ma sì anche perchè sulla nostra pia^z.1 l'uva solforata è rifletta, ucn volendosi sapere, specialmente a Po-la, di vino che odori di zolfo. ìù generosi a soccorrere le infinite miserie di una emigrazione numerosa e sprovveduta. E fu tale lo zelo e l'ardore, eh' ci pose in co testa TU'. DI GIUSEPPE TONDELLI opera di squisita carità, che il governo italìauo ne Io volle straordinariamente rimunerare, impartendo a Ini modestissimo il diploma di barone. Fattosi poscia cittadino del Regno, deliberò entrare nella diplomazia, a cui era dalle sue attitudini singolarmente chiamato. Superati felicemente li esami d'ammissione al volontariato., non fu lasciato terminare questo periodo di prova, e gli fu tosto assegnato il posto di addetto all' ambasciata italiana a Berlino. Vi stette due anni, c ne ritornò poco prima che scoppiasse la guerra del 1866. Il ministro Visconti Venosta, che Io aveva particolarmente caro, lo volle segretario al Ministero delli affari esteri e gli affidò più volte delicate missioni. E quando sull'ottobre dell' anno scorso il generale Mcnabrea recossi a Vienna a stipularvi la pace, fu F Abro, che insieme col commendatore Artom ebbe 1" onore di accompagnarlo. Ma, se Io spirito era in lui prontissimo, la carne invece era inferma. La complessione sua gracile e delicata avrebbe richiesto un metodo di vita cheto e tranquillo, ben diverso dall' assiduo travaglio delle e-mozioni violenti. Perciò la salute non gli reggeva affatto, c da molto tempo quel suo viso scarno e pro-fìlato, illuminato da un mesto sorriso, tradiva un languore crescente, una spossatezza, contro cui invano i medici tentarono di lottare. Nella scorsa estate gli avevano consigliato di tentare le arie svizzere, ed egli si era recato a respirarle, poco fidando alla loro potenza, perchè il suo male egli se lo sentiva salire e dilatarsi giorno per giorno. E fu a Losanna, che ne rimase vinto ai primi di questo mese, mentre non aveva ancora compito i 32 anni, trafitto dal dolore acerbissimo di non poter più rivedere la sua Trieste e Io splendore del sole italiano. Povero ABRO, a elle gli valsero dunque le doti gentili dell' animo, i civili propositi, la santa abnegazione del sacrificio, 1' estimazione universale, le onorificenze, che i governi a gara gli avevano accordato? A che ? A dare imitabile esempio di virtù, a mostrare come si debbano usar le ricchezze e 1" ingegno, come al sentimento del dovere ogni altra considerazione sia da posporre. La sua memoria sia sacra a tutti, e r suoi concittadini la conservino nella parte più gelosa del cuore, perocché ci fu un forte e onesto cittadino. G. B. N. 1489 AVVISO. Stante le attuali circostanze sanitarie viene sospesa la fiera di S. Orsola, la quale ha luogo ciascun anno in questa città dal giorno ai al 29 del corrente mese. Dal Municipio di Capodistria li 9 ottobre 1867 Il Podestà F. D.r de COMBI. NICOLO' de MADOMZZA Redattore;