Escursioni nell' Agro di Rovigno. (Continuazione — Vedi nnm. anteced.) Ed or verremo ad alcuni autori che non fecero menzione di Cissa, sebbene ne avessero occasione pro-pizia. La Tavola Teodosiana non ne fa cenno mentre novera Pullaria, Ursaria, Sepomaga (Umago); pero la tavola non e carta geografica, ma itinerana di terra e di in are, tocca quindi soltanto le citta per le quali passava la strada mililare, le isole ove le navi facevano stazione nelle luro corse misurate; Cissa poleva b-ene non essere compresa fra queste stazioni le quali non . erano ne-cessariamente disposte nelle citta medesime; siccome ve-diarno tutto giorno alla spiaggia istriana i navigli fare sosta in porti che non sono di citta, siccome Dailn, Tor-re, Veruda, Canale di Brioni ecc. L'ltinerario di An-tonino non e piu che un itinerario; 1' ornmissione in que-sto, che pochissnno tocca le cose di mare, non e di al-cun momento. Pre Guido, ossia V anoninjo di Ravenna, scrittore del secolo Vil o circa, detto una cosinografia come egli la disse, ed un Periplo, preziosi perche tralti da antiche geografie ed itfnerari, coi quali materiali compose la geo-grafia dei suoi tempi. Conviene credere che scrivendo in Ravenna, ai tempi deli' Esarcato/ quando I' Istria era dipendente dal governo Ravennate, quando 1'Istria face-va capo in Ravenna pei commercl e per la navigazione, per le cose di governo civile e militare; quando le stesso chiese ravennati ed istriane erano in contatto per possi"denza e per.altro, Pre Guido non fosse &1P oscuro dei cangiamenti avvenuti nell'Istria, come sembra Io fosse per regioni discoste. L'anonimo nell' enumerare le isole istriane cita le Pullarie, Orsera, Cervera; tace af-fatto di Cissa: cio pero non autorizza ad induzioni, imperciocche, tacendo esso delle isole nel porto di Pola, deli' isola di Parenzo, deli' isola di Umago, mostra con cio che desso non si facesse carico di q»elle isole che erano si prossiirie a qualche citta nota da considerarsi appendici di queste. L' anon mo e nel Periplo e nella geografia conosce il comune di Rovigno, e ripetutamen-te lo nomina, sicthe non dee fare meraviglia se fra le isole non mehziona quella di S. Andrea, che per indizi non dubbl esisteva a' suoi tempi, per lo ineno nello stato in cui si trova oggidi. Piuttosto dal nome di Rovigno dato a questo comune dovrebbe dirsi che Cissa non esi-stesse piu, e ci6 eoncorderebbe col tempo di cessazione dei vescovi (se di altri non si scoprisse notizia). Que-sto nome di Huven, che in celtico esprime promontorio, viene dato oggi di anche alla cittž sommersa che sta presso S. Giovanni in Pelago; pero cio non toglierebbe che quella avesse nome di Cissa: in proposilo di che citeremo la Dalmazia, nella quale all'aniica Epidauro si da nome di Ragusa-vecchia, a Blandona il nome di Zara-vecchia, ad altra citla il nome di Trau-vecchio, sebbene le citta antiche avessero tutt' altro nome che le citta moderne da cui si tolse il nome per battezzare le antiche. Ed altrettanto poteva facilmente avvenire di Rovigno at-tribuendo il noine di questa citta aH' allra sparita, il cui nome cesso nella bocca dni volgo. II dirsi Rubino-vec-chio a Cissa, non ispiegherebbe piu che 1'esistenza di altra citta, invece della quale surse Rovigno moderno. Noi collocheremtno lo sprofondamento di gran parte deli' isola di Cissa, e della citta di questo nome nella seconda meta del secolo VII; ed a questo tempo por-remmo la formazione del castello di Rovigno odierno. II caso od investig^zioni apposite potrebbero dare mi— gliore luce sulla citla sparita. Or diremo qualcosa delle isole di S. Andrea e di S. Giovanni in Pelago. Le carte Ravennati depositate nella biblioteca di Classe, pubblicata dal Fantuzzi, ci avverto>;o che lo scoglio maggiore nel porlo di Pola, il quale si disse di S. Andrea, poi scoglio grande, poi di Napoleone, avesse nell' antichita il nome di Serra. Se fossero giunte fino a' tempi nostri carte dei monasteri islriani, avremmo ri-saputo il nome deli'isola di Parenzo, deli'isola di S. Andrea di Rovigno e di altre ancora ; talvolta avvenne che il popolo conservasse il nome antico aggiungendolo al Santo, dicendo la Madonna di Pompignano, la Madonna di Gosano; di S. Andrea di Rovigno non avvenne altrettanto, il nome antico rimane ignoto. Sull'isola di S. Andrea si veggono gli avanzi del convento dei ininori osservanti di epoca recente e di e-poca del secolo XV, la qua!e ultirna si manifesta e nel genere della muratura, e nel sesto acuto edoperato nelle arcate e nelle finestn; pero quel sesto acuto, foggiato alla orientale, che fu gradito ed usitato spesso in Venezia, ed in forma che si vede al punto di transizione del semicerchio; di costruzione pili antica non vi ha che la trulla o cupola, o per meglio dire tutto il centro della croce, che e pianta della chiesa. Gli archi che esistono encora di antica costruzione e che sorreggono la cupola, sono a semicerchio perfetto, 1'opera di muratura e quale si riscontra nelle btlle opere dei tempi bizantini deli'Istria del VII e deli'VIII secolo. Se da cio che rimane e lecito di fare induzione aH' antica pianta della ] chiesa o piuttosto della cappePa, diremmo che fu ques!a a croce greca, coll' abside a semicercio, che la larghez-za della chiesi fosse internamente di quattro metri e tre decimetri. La cupola rotonda poggiava sulla pianta qua-drata che forma il centro della croce, sostenuta agli an-goli da quattro archi gettati traversalmente; la callotta perfettamente rotonda poggia ad archetti collocati ali'in-giro, soltanto per decorazione, e non piu alti che porti il mezzo cerchio. In altri edifizi questa decorazione ser-ve per finestre collocate tutte ali' ingiro, non cosi in S. Andrea di Rovigno, nel quale la luce penetrava nella cupola da quattro finestre rotonde, una delle quali esiste tuttora ed ha per chiusura una tavola di pietra lavorata a traforo coma appunto costumavasi nei tempi giustinia-nei. La cupola nell' interno mostra traccia di essere stata dipinta a fresco, nell' esterno conserva quella forma che gia aveva la chiesetta di S. Caterina nel porto di Pola e che noi segnammo a pagina 91 e 92 della secon-da annata deli' Istria. Ripetiamo che P opera sia del secolo šesto inclinante al VII, non gia chiesa abbaziale di monaci ma piuttosto cappeila. In quale concordanza stia questa colPantica Cissa, non sarebbe facile il dirlo; certo si e che Rovigno non ha avanzi o memorie di Abbazio, che questa chiesa di S. Andrea era dei Benedettini, era di ragione di un'Abbazia di Ravenna, e propriamente del Monastero di S. Maria della Rotonda, ossia del Mausoleo delto di Teodorico, e passo in proprieta dei Francescani Minori Osservanti nell' anno 1454, i quali fissalivisi fino dal 1442 per opera di S. Giovanni da Capistrano che si vuole essere stato il primo guardiano, rifecero in massi-ma parte la chiesa nello stesso secolo XV. In una cappeila laterale Ieggonsi graffiti sulPintonaco i nomi di pie persone colla nota cronica del 1466 ed altre posteriori, alcune a colore rosso, cancellate da piu J mani di calce sovrapposta. Uso questo di graffire i nomi che vedesi frequente in Istria (per tacero d' altre provincie) anche in chiese ben piu antiche, e che tramanda, se ne faces-simo attenzione, memoria di persone e di avvenimenti. Sull' isola trovammo frammenti di embrici e di cotti romani, di cotti formati per comporre volti, cose tutte dei bei tempi, mattoni di tempi bassi la di cui pasta mostrasi formata da antichi mattoni triturati, quando Parte man-cava di farne quali si fecero nei primi secolt di nostra era. Di marmi non ci fu dato di vedere che un pezzo di greco venalo adoperato per pila d'acqua lustrale. Nel giardino vedemmo adoperati per farne litostroto a dise-gno insieme a ciottoli bianchi, ciottoli neri che ricono-scemmo essere pasta di vetro colorata a nero. Seppimo da notizie certe che siffatta materia vitrea trovasi fre-quente pei campi nell'Agro Rovignese, in quello di Parenzo, in quello di Cittanova e ne vedemmo campioni simili affatto a quei pezzi che sono in S. Andrea. Entro i confini deli' odierno agro Rovignese vedemmo allra-volta traccie manifeste di antica vetriera, la notammo, e ci eravamo proposti di registrare le traccie di quest'ar-te, nella speranza di risultato eguale a quello avuto dalle investigazioni sull'antica fabbricazione di mattoni; il tempo manco. Oggi arrischiamo di dire che 1' Istria ebbe nell'antichita vetriere frequenti, al che il suolo forniva abbondante materia nella silice che di cono saldame, la quale riscontrasi dappertulto, da Salvore a Pola: Pola e Dignano somministravano questo materiale a Murano, man-dandovi anche il combustibile, e ritirandone poi i vetri per gli usi domestici, con rimproverabile negligenza di proprie industrie, si facili, si vantaggiose. Della qualle ar-te diremo come si trasportasse in Italia ai tempi.di Au-gusto, o piuttosto come vorrebbe Plinio (XXXVI, 26) ai tempi di Nerone, e che prosperasse fino ai tempi di Gal-lieno; come il bel vetro, il bianco, non fosse romano; que-sto era verdastro e di qualita inferiore,'pero gopportava il caldo dei liquori senza spezzarsi. Si usava non soltanto per gli utensili domestici, ma anche per le arti,. dacche i mosaici nelle volte facevansi con dadi vitrei co-lorati; usavasi anche nell'architettura. Ma di cio basti, avendo speranza che 1'avviso dato della presenza di vetriere antiche in Istria, verra, non gia a farle rivivere -che a cio provvedera la generazione futura- bensi a far-» ne scoperta. i S. Giovanni in Pelago mostra non soltanto gli avanzi di antico convento che dicono essere stato dei Camaldolesi cessato intorno il 1630, ma altresi rimasugli di embrici e cotti romani dei bei tempi siccome anche cotti di tempi scadenti. II che prova come nei primi secoli di nostra era, cjueste isole fossero abitate: traccie se ne veggono abbondanti. Nessuna leggenda antica: un brandello fu veduto, graffito piuttosto che inciso su pietra che spezzata o riquadrata servi ai Francescani per altro uso. Non deciframmo le sigle, perche il brandello nulla permetteva; il carattere e di tempi bassi. Le cose antiche che vedemmo nella citta di Rovigno, non sono infisse al suolo, ma tratte da altre parti o dali' agro circostante, e tra queste daremo il primo luogo ali' arca di S. Eufemia. La quale 6 propriamente un bellissimo sarcofago di marmo greco che al lavoro si mostra opera romana dei primi secoli di noslra era, e tale da poter essere la tomba di re. Dali' esame esterno si vede che non fu portato a compimento di lavoro, dacche manca interamente P inscrizione che solitamente ve-niva incisa, e vi e preparato lo specchio destinato ad ac-coglierla; mancano ai lati della leggenda due scolture che si sarebbero fatte secondo la quali(a della persona de-funta; ed anche per queste scolture il marmo e pronto e disposto. Potrebbe dirsi che questo fosse uno di quei sarco-faghi che si tenevano pronti dai scalpellini e scultori ad ogni richiesta, per portarli a compimento secondo lavolon-ta degli acquirenti. Dai lati lavorati del sarcofago si manifesta come fosse destinato ad essere poggiato con P u-no dei lati maggiori a parete o di portico o piuttosto di stanza mortuaria. In questo sarcofago, collocato dietro Paltare laterale del duomo, riposano le spoglie terrene della protettrice di Rovigno, Santa Eufemia, la quale nei tempi delle persecuzioni diede il sangue in testimonianza della fede. Gli atti di questa Santa Martire Ieggonsi in bellissimo Codice membranaceo di quell' insigne capitolo, insieme ad atti di altri santi, scrittura che giudichiamo essere del secolo XV. La tradizione vuole 1'arrivo della sacra spoglia nel-1'anno 800 e precisamente ai 13 di luglio; pero sia lecito il dubitare delle note croniche di questa tradizione. Imperciocchd, cessate appena le persecuzioni e data pace e liberta alla Chiesa nei 313 col ctlebre Editto di Mila-no, le citta che non avevano martiri propri si diedero a procurarsi reliquie traendole da altri iuoghi; pratica que-sta che fattasi generale, non pote andare esente da modi di acquisto che non sembravano adatti, da comprita cioe perdanaro. Di che abbiamo esempio in quest'Istria, sapen-dosi che certo Terenzio nobile di Capodistria navigando per affari di cornmercio in Africa in sui cadere del se-colo IV, tratto alla fede per iniracoli alla tomba d.ei Santi Fermo e Rustico, vi fe'acquisto dei Santi corpi che tras-porto in Capodistria da dove insieme a reliquie dei Santi Primo, Marco, Lazaro ed Appolinare di Trieste passa-rono nei 758 in Verona, acquistali verso danaro. Le chiese di Parenzo e di Pedena che indubbiamente furono episcopali e che non ebbero martiri propri, ebbero corpi di Santi da altri Iuoghi, Pedena il corpo di S. Niceforo venuto dali' Asia minore, Parenzo il corpo di S. Mauro che fu africano venuto da Roma. Di S. Niceforo fu notato che giungesse nell'anno 324 di nostra sa-lute, ma fu detto senza migliore argomento di credibilita fuorche. la credenza che quel Vescovato fosse stato fon-dato da Costantino imperatore e fosse il piu antico della provincia. Ma questa credenza di Costantino non e suf-fragata ne da prove ne da verosimiglianza, e forse ac-cenna a fatto memorabile ed insigne, alla fede cioč pro-pagata da S. Ermagora inedesimo, il protoepiscopo di A-quileia, che secondo tradizione rispettabile si sarebbe portato prima nelPIstrffi interna, poi a Pola a diffondere il vangelo. Le leggende di Santo Mauro di Parenzo le qua!i si conservano in pergamene di Parenzo, ed erano 0 sono in pergamene d' Isola, segnano la notizia che dal-Parrivo del corpo di Santo Mauro, la chiesa di Parenzo ebbe propri Vescovi. II tempo nei quale Parenzo comin-cio ad avere propri vescovi non e piu dubbio, cio avvenne nei 524; anno questo che concorderebbe nelle seconde cifre con quelIo di Pedena, altecata la prima pel proba-bile motivo addotto di sopra; questo stesso anno 524 potrebbe valere anche per Rovigno o piuttosto per Cis-sa, e la circostanza che P imperatore .di Costantinopoli promosse la creazione dei vescovali istriani, aggiunge-rebbe credenza che le chiese vescovili islriane furono prov-vedute di corpi Santi; il modo miracoloso con cui li ebbero non porta cangiamento al tempo ed alla circostanza. La presenza di lipsana, tanto venerata, il culto sol-lenne ed insigne, aggiunge credenza che un vescovato esistesse in quel!e parti, cioč a dire in Cissa, dacche noi potrebbe essere che il sacro corpo fosse giunto ali' isola di Cissa ; e cio non toglierebbe che intorno 1' 800 passasse da Cissa a Rovigno, o piuttosto (^uando Cissa spari. Que-ste cose pero vogliamo dette a semplice sprone di meglio ponderare la cosa; dacche il santo titolare. del-I' odierno Rovigno e S. Giorgio, in precedenza a Santa Eufemia; il che farebbe pensare che S. Eufemia non fosse la primitiva protetlrice di Rovigno. Che anzi tutte le sup-posizioni nostre potrebbero cadere, e sparita Cissa con 1 corpi santi, la novella citta di Rovigno venisse ornata di altra sacra lipsana, venuta miracolosamente dalle parti di Costantinopoli, appunto nell'800, e cosi sarebbe spie-gato perche S. Eufemia non sia il primo titolare di Rovigno, e sia invece S. Giorgio Martire, siccome e di pa- recchie altre castella istriane. Non vorremmo ne asse-rire ne negare che la Santa Eufemia di Rovigno sia quel-Ia stessa il cui sacro corpo passo da Calcedonia a Costantinopoli, da Costantinopoli a Rovigno, ma invece diremo cbe la verificazione delle vicende del sacro corpo nei Levante, varrebbero a porre questo brano di storia istriana in chiara luce. Noi limitandoci a proporre le dubbiezze, saremmo ben contenti di vedere discussa la cosa da persone meglio esperte nelle vicende della chiesa orientale. Piccolo bassorilievo di tempi romani vedemmo mu-rato in časa posla dietro Castello, scolpito in marmo gre-co: rappresenta donna a letto, seduta, ed altra figura di donna ivi presso, e fanciulla d'altro lato; presso al letto un serpente alzato su d'albero. Non potemmo rilevare da dove fosse tratto; ne ebbimo agio di esaminarlo da vicino; le macchie del marmo provenienti da mu-schi mantenuti dali' acqua piovana, non permisero che anche da lungi vedessimo in lui piu che antico bassorilievo, forse tratto da qualche monumento funebre. Dovremmo dire qualcosa delle conosciutissime leggende che segnano due templi gemelli, l'uno ali'Istria divinizzata, 1'altro alla Fortuna, incise sopra pietre che servivano di antile, che il vescovo Tommasini vide in Rovigno nella prima meta del secolo XVII, che fe' com-perare, che porto seco a Padova e che venute in potere del celebre marchese Scipione Maffei, stanno ,ora nei mu-seo di antichita in Yerona. Gli onori aH'Istria siccome deita furono usati nella provincia e se ne hanno monumenti in Pola ed in Parenzo di recente scoperta; pero noi dubiteremmo che simili onorificenze si facessero fuori pelle colonie, in Iuoghi non irisigni per altri monumenti sacri o profani, da persone non romane. Le leggende di questi due tem-pietti gemini ci avvertono che furono oominciati da C. Vibio Varo che s' intitola il padre per distinguerlo da altro C. Vibro Varo ch'era il figlio; portati a compimen-to da 0- Cesio Macrino, certamente per inearico avuto. Ambedue le genti, la Vibia cioe e la Cesia, sono frequen-ti nelle colonie, e come sembra di rango distinto; quan-d'anche avessero stanza e possidenza fuori deli'agro colonico, non e verosimile che fuori di questo ergessero due tempielti, i quali isolati sarebbero poca cosa, sareb-bero belPornamento e dimostrazione di culto in colonia, o citta di rango politico maggiore. Noi pensiamo che quei due antili venissero in Rovigno da Pola nella qua-le citta si hanno memorie frequenti dei liberti della gen-te Vibia e della Cesia, indizio questo di loro opulenza. Ne P attuale Rovigno, ne P antica Cissa possono volersi collocate fra le colonie deli'Istria, anzi devon piuttosto collocarsi fra i comuni ch' erano di rango inferiore e soggetti al tributo siccome risulta da indubbi documenti di tempi posteriori. E v'era grande facilila di traspor-tare da Pola due antili nei principio del secolo XVII, mentre Pola trovavasi nell'infimo stadio di deiezione. Presso i signori Gianelli vidimo belle cose tratte dali'agro rovignese. Presso l'uno monete d'argento con-solari, imperiali, bizantine, una del patriarca Bertoldo, alcune venete tutte di bella conservazione. Delle imperiali, vidimo Augusti, Tiberi, Galba, Nerva, Adriani, Trajani. E seppimo che monete antiche vengono frequente- mente recate a Rovigno dai viilioi circostanti, e, compe-rate, vengono usale come pasla metallica. Di che devesi fare biasimo, imperciocche il valsente delle monete puo sempre aversi dai raccoglitori, e puo trarsi di piu per la raritž o per la cons^rvazione delle monete, quand'an-che non si voglia calcolare che dal solo registramento delle monete raccolte puo trarsene argomento o per la storia della provincia o per altro. Bella lode si merita il sig. Gianelli che conserva le monete antiche le quali gli pervengono: facessero gli altri altrettant«! Nessuna moneta vidimo che non fosse anteriore ai Romani. Presso i' altro sig. Gianelli vidimo parecchie pietre incise, che gia erano di anelii, e che si traggono dal territorio; vidimo altre anticaglie in metallo e cotto, e monete tratte dalla Torre, romane, bizantine, di tempi piii bassi, utensili in cotto e metallo, tra' quali una lucerna in bronzo a due becchi ravvicinat! in modo alPestremi-ta che le due fiammelle si univano per formarne una sola, larga. Ma delle utili prestazioni di questo signore avremmo occasione di parlare piu abbasso, discorrendo della torre di Rovigno. Bol monumento di tempi bassi si e Ia chieselta di S. Trinita, della quale ebbimo a parlare nell' annata IF, p. 52, e ne deinmo la pianta. Ci venne detto che altra simile esistesse nell'interno del Castello, o della cinta murata di Rovigno. Presso al duomo vedemmo due colonne di marmo antico, ora neglette eftatto ma che certamente servirono in qualche edfizio sulla soinmila del colle; nelle mura-glie del duomo due frammenti in marmo che al lavoro si manifestano del secolo VI, ed una scoltura di tempi bassi la quale rappresenta 1'antica chiesa, colla forma del-1'antico campanile, e le mura .della quale sarebbe a de-siderarsi fossero collocate in sito piu al sicuro dalla petu-lanza di idioti che potrebbero farvi guasto. II Codice membranaceo, di cui femmo piu sopra menzione, porta il prospetto di Rovigno, disegnato a pen-na, rozzamente ed in tempi a noi vicini. Dal quale e dalle traccie esistenti si vede come Rovigno avesse dop-pia cinta di mura, P una al mare, P altra piu interna, di-stinguendo cosi la cittA dalle borgate; pero sospettiamo che nell'interno della citta vi fosse il castello, conser-vandosi cosi la distribuzione che era delle citta piu antiche. E cio darebbe ragione come nell'800 Rovigno fosse castello di conto tale da sostenere Pimposta al te-soro imperiale di poco inferiore alle citta maggiori, e prendesse sede e voce nei placito provinciale; surrogan-do nei materiale, e nei politico la Cissa sparita. Nei Codicetto sovra menzionato vedesi miniato uno stemma senza corona^ il quale sembrerebbe dover essere quello di Rovigno. E tagliato a diagonale in due campi, P uno dei quali celeste, 1'aliro aureo, colori che s'addi-cono veramente ali'Istria. Gli stemmi di Rovigno sono variati, oggi giorno ha una fascia rossa diagonale che taglia altra fascia rossa traversale in direzione orizzon-tale, in campo bianco, per modo da formare una croce di S. Andrea in posizione traversale. Abbiamo veduto lo stemma di Rovigno con croce rossa in campo bianco di-pinta nei soffitto di pubblica cancelleria. Su stemmi in pietra vedemmo altra varieta; su di che diremo poehe cose. Pensiamo che la Croce sia stata presa a stemma dai comuni secondari, in tempo di loro totale emancipa-zione, il che avvenne quando ebbero Podesta. L' eman-cipazione dei piu comuni secondari comincio a' tempi del dominio patriarcale dopo il 1200, che i patriarchi o per. genio o per debolezza furono larghi coi comuni. Nei < comuni che rimasco soggelti, i patriarchi tenevano vi-cari, i Veneti vi posero podestš ad istanza delle popola-zioni medesime. Non ebbimo a trovare notizia di podesta di Rovigno prima della dedizione a Venezia, la quale avvenne nei 1330, non prima. Rovigno era in vero tributario, spettava al marche-sato d' Istria: la decima era del vescovo di Parenzo, fu qua!che tempo dei conti d' Istria che la vollero a forza volendo cosi comprendere Rovigno nella contea; fu poi di altre persone, d'un Triestino ; dal 1258 fu dei Ca-stropola i quali vi esercitarono anche giurisdizioni, se ve-race e la farna; caduto il potere di quella famiglia, Rovigno si »Ifranco totalmente ponendosi in dominio dei Veneti; i Pola percepirotio le decime fino a'tempi nostri, delle quali furono indennizzati, ritenutele per decime ec-clesiastiche. I colori dello stemma di Rovigno, se e di questa citta quello d i p i; to a miniatura del codice sovra-detto, sarebbero quelli del marchesato o della contea che sono identici. E per dire qualcosa della pianta di Rovigno, essa e guida a riconoscere la pianta di altri luoghi islriani venuti a basse condizioni, mentre Rovigno si tenne in condizioni prospere. Fuori del castello che era in isola, si stendevano borgate lungo le strade principali anzi for-mando fitto di edifizi, la quale distribuzione e piii antica di quello che generahnente fu detto, ed e attestata dalla presenza di chiese o cappelle non di recente costruzio-ne, ma di tale che rimonta al nono secolo. E fa mera-viglia come queste borgate non fossero separate dalla campagna mediante cinta di mura, come P ebbero Pirano ed Uinago; ma di questa cinta non abbiamo fatto ricerca e ben potrebbe essere stata, se non forte abbastanza per usi di guerra, sufficiente ad impedire repentina scorreria. Cosi Rovigno avrebbe avuto tre cerchie, non calcolala 1'arce; e doppie porte di terra, altre alPestremita delle borgate ove toccavano la campagna, altre al canale che separava il maschio deli' isola dai borghi. Rovigno ha nei suo agro prezioso monumento romano, la Torre, il quale meriterebbe di essere studiato e fatto conoscere. Lo dicono la Torre, la qual voce giun-ta fino a noi, non crediamo esprima opera accessoria di fortificazione militare, che non vi sono gia mura delle quali sia parte quella torre, non esprime torre d'osser-vazione o di segnale; ma avendo 1'aspetto, e la decora-zione di edifizio urbano, quantunque atto a fare resisten-za in caso d' impeto, pensiamo che abbia avuto noine di Torre per indicare abitazione di un potente. Pauperum tabernas, regumi/ue turres, di Orazio, non lascia dubbio che turris sia anche abitazione di grande della terra. II Coppo che diede la descrizione deli' Istria, 1' aveva veduta ed aveva osservato come 1' uno dei lati fosse stato atterrato a forza; egli aveva veduto intorno alla torre un rivellino, e pen-sava che qui fosse I'antico Rovigno. Le esplorazioni fatte mostrano come la torre stia realmente entro recinto quadrato di muraglia grossa quat-tro piedi, della quale durano le fondamenta, distanti non pivi di cinque tese viennesi dal muro esterno, per cui la misura .esterna del muro di cinta nel lato minore e di tese viennesi 20, nel maggiore di 22, ossia di passi romani 25 e di 27%, misure che stanno in ricordevole pro-porzione con quelle di un accampamento romano, del quale e noto che i due lati non erano eguali. II recinto sta per entro ad un castellier di solita forma ovale sulTalto di colle che domina d' ogni intorno e sla in comunica-zione coi punti piu alti deli' Istria inferiore, e con S. Lorenzo, S. Giovanni di Sterna, Monlauro di Barato, Mon d'Apii di Rovigno, Carlenia, S. Martino di Leme, Dignano, Pola, S. Michele di Valle, Castellier dei Brioni ecc. La torre e un edifizio quadri!atero, un lato del quale misura esternamente in tese viennesi 9', 1', 6", 1'al-tro 4'; avente un'ala che sporge nel lato di ponente per 2', 6', sopra 5', 4', a linea della fronte deli'edifizio che era a mezzogiorno e che ora non e piu. Le mura-glie del corpo principale hanno la grossezza di sette piedi, quelle del corpo sporgente, quattro. L' ingresso era dal lato di mezzo giorno, la cui muraglia e rovesciata a terra, e sembra che la porta di ingresso fosse nella meta della facciata, cumpreso lo sporgente. II pianterra e ripartito in quattro Iocali pel lungo deli' edifizio; il primo sembra vestibolo, per dare ingresso da un lato nel piano superiore mediante scala prati-cata in massima parte nella grossezza del muro; dirimpetto ali'ingresso v'e la porta che metle negli altri tre seom-partimenti tulti a volta separati da muraglie nelle quali sono aperte due porte per cadauna muraglia. II primo piano e scompartito in modo eguale, nel lato verso tramontana si veggono aperte due finestre in altezza di due larghe/ze, terminate nella parte superiore a semicerchio; nel lato di settentrione vi sono finestre, ma in forma di spiragli strette assai, quasi feritoie. Ouesto piano e a volta, da questo piano si ha comunicazione collo sporgente, ed a queslo livello vi ha cisterna, e 'Sembra fos-sevi cucina. Nello sporgente vi ha apertura quasi fosse porta, ma se era, non si poteva montarvi che mediante scala a mano. Dal primo piano si sale al secondo mediante scala tutta praticata nella grossezza del muro; ed altrettanto e per salire ad un terzo piano. II secondo piano non ha scompartimenti con muri massicci, convien credere che vi fossero pareti, ora tolte; sopra il secondo piano vi e-rano travamenta, delle quali si vedono le impostazioni; cosi nel piano superiore, per cui deve dirsi che non vi fossero volte nei piani superiori. II secondo piano ha nel lato di tramontana cinque aperture, due sono porte, ed avevano i loro poggiuoli o balconi;tre sono finestre, tutte finita a semicerchio; la sommita delle porte non 6 in linea colla sommita delle finestre; le porte sono al-ternate colle finestre. II terzo piano non ha aperture da questo lato. Tutto 1' edifizio nei quattro lati, compreso il terreno, ha I' altezza di 14 tese viennesi, sicche a media ne vengono piu di tre per ogni piano. II piano che semhra essere stato destinato ad abitazione, avrebbe avuto 42 tese viennesi quadrate di superficie. Ouanto ali'opera di muro essa si manifesta romana, e propriamente di tempi anteriori ali'impero, fatto con-fronto con altre opere di questi tempi che si hanno in provincia. II pianterra e negli angoli a bozze rustiche; quelle parti ornamentali che tutlor rimangono tra i fram-menti sono di bella squadratura e di bella composizione, vedemmo capitelli e basi marmoree, capitelli corinti inta-gliati in pietra bianca, pietre riquadrate e bene tirate da lastrico, frammenti di marmi, di cotto, di colonne, ed altri avanzi che attestano l'esistenza di abitazione di lusso. La quale duro non soltanto nei tempi pagani, ma anche nei tempi eristiani, poiche vedemmo avanzi eristiani, e traccie di chiesetta che esisteva. Tra' ruderi che gran-demente ingombrano si rinvennero rnonete antiche e bi-zantine, armi da taglio, freccie in quantita, lucerne, ser-rature e chiavi, proiettili di pietra di dimensione quanto un arancio, e quantil& di pallottole in cotto, buccate che si altaccavano ad un' estremita delle freccie, fibule ed u-tensili. Dai quali avanzi dovrebbe dedursi che la Torre abbia sussistito durante i tempi romani, ed i bizantini, rotta forse quando la provincia fu conquistata da Car-lomagno. A giudicare dagli avanzi la torre fupresa, atterrando la muraglia dal lato di mezzogiorno, e la muraglia fu atterrata non per impeto di proiettili che P avrebbero forata, ma per completo rovesciamento. Non mancano gli indizi d'incendio patito; e noteremo qui a lode deli'ar-te antica di costruir«, che inserite nel grosso dei muri, travi di rovere per tenerli legati,_ fanno ancora 1' ufficio loro, divenute durissime da resistere al taglio. Noi giudichiaino smantellata la torre nel 789 di nostra era, indolti dalle monete rinvenute e dalla circostan-za che niun' altra guerra sappiamo condotta in questa parte d'Istria che meglio convenga. Le depredazioni di Attila non giunsero ali'Istria, siccome e attestato da gra-vissimi autori, dal Carli per tacere d' altri, dai monu-menti, e da altri argomenti concordi; i Goti la tennero pacificamente e P ebbero in prospero stato; le due seor-rerie dei Longobardi avvenute nel 568 e nel 753, non passarono P Istria superiore; Carlo Magno guerreggio nell' Istria contro i Bizantini cui tolse la provincia colla forza. Le scorrerie di pirati mirarono ai luoghi marini, e toccarono i luoghi minori, o aperti o mai difesi da mura ; la torre mostra di avere solferto lungo assedio se cede pel crollo d'immensa muraglia rovesciata ad arte; le guerre del medio evo r.ell' Istria furono piuttosto baruffe di baroni e di comuni; le guerre dei Ve-neziani trattate nell'Istria taciono alfatto di questa torre. Che se si preferisse di volerla distrutta nella seconda spedizione dei Longobardi, la differenza di tempo sarebbe di poehi anni, contenti di collocarla nella seconda meta del secolo VIII, sufTragati pel tempo remoto dal si-lenzio del popolo che non ha tradizione alcuna della sua caduta, dal silenzio delle carte del medio tempo. Noi pensiamo che questo edifizio servisse ad abitazione rustica del supremo Magistrato della provincia, del procuratore, poi dei maestri de'militi sotto 1'impero bi-zanlino. Da luogo non lontano fu ricuperato dal signor Carlo De-Franceschi brandello di marmo greco salino, su cui le parole PROC. AVG., perduto sgraziatamente il re-stante. Nel memorabile Plačilo istriano tenuto nell'804 si annoverano le possessioni cheformavano P appanaggio del governatore della provincia, e tra queste si annovera POIACELLVM. Ci venne detto che nelle vicinanze della torre vi sia contrada il di cui nome odierno ricorda Po- jacello; ma cio avrebbe duopo di migliore investigazio-ne, e sussidio di altre condizioni, che non ebbimo agio di fare. Della torre diremo come stia a quattro miglia di distanza dalla Val Saline, ed a meno di quattro da Vistro, luoghi che vanno segnati per 1' abbondanza di ruderi antichi, per la comodita dei porti, per la bellezza dei seni. Ouesta torre non era perd ne 1' unica abitazione del governatore, il quale per legge era tenuto a stare lon-tano dalle colonie, onde non dare sospetto alle liberta municipali; ne forse la sola di questo genere. Ci venne detto che altre ve ne fossero simili a questa, state di-strutte. Ouale fede meriti questa voce noi sappiamo; certo che fu buona ventura che venisse in mano del sig. Gianelli, il quale, portato alle cose antiche per genio, sbarazzo assai ruderi, ed impedisce quella distruzione, cui altrimenti sarebbe andata soggetta. Dicono che nei secoli addietro servisse per riparo di pirati; di che du-bitiamo, per la niuna sicurezza che offre cosi smantellata come e da antico. E per venire alla spiaggia, diremo come sulle al-ture che stanno a mezzogiorno di Rovigno, veggasi ca-stelliere bellissimo che domina quei bellissimi seni (lo dicono Montebello); come a distanza di due miglia vi sia altro castelliere che dicono Monte Rovinal, estremo confine del territorio di Pola, il quale castelliere sovrasta al-P antico luogo di Vistro, patria di San Massimiano ar-civescovo di Ravenna. Ed e in questo luogo di Vistro che S. Massimiano, allora diacono, rinvenne nell'orto pa-terno ricco tesoro nascosto, che da esso venne recato a Giusliniano in Costantinopoli, ntenuto per se cio che abbisognava per empire il ventre e le scarpe, cio che P Imperatore intese detto delle spese di viaggio, mentre indicava la riempilura della pelle di un bove comprese le gambe. Massimiano fu allora fatto arcivescovo di Ravenna e lascio in Istria testimonianze di sua pieta e li-beralitš. Le spiagge tutte sono coperte di testimonianze di antichi abitati, mosaici cotti, cisterne, mura, ol-le, monete. Nella vallata fra Vistro e Momajan (che e altro castelliere) vedemmo abbondantissima sorgiva d' ac-qua, e seppimo che da questo luogo fossersi tratti tubi di piombo di grande diametro coi bolli C. IVLII. XANTI di metallo dalmatico e di fabbrica salonitana. Ed appie-di Momajan vedemmo ripetute cisterne che dicono le Casematte, di grandi dimensioni, di bellissimi intona-chi, e dalle prossimita ebbimo indizi certo di vetriere antiche. II nome di questa localita laudimmo detta Momajan, la lessimo scritta nelle carte moderne Magnan, in-certicosi quale sia la vera dicitura.j Che se fosse la prima, come sembrerebbe, la collocazione di antica villa po-lense non sarebbe dubbia. Da questo lato non prose-guimmo oltre. Dali'altro lato di Rovigno nella terra che sta verso Leme, in quel seno di mare che dicono Saline, vedemmo eolle in promontorio sui quale e la chiesa di Santa Eufemia, tutto coperto di rovine, sulla sommita liellissima cisterna di mediocre grandezza a pastone di oiottoli mag-giori, embriei, olle, tavole di marmo greco salino; indizi certi che quel eolle fosse nell' antichita coperto da borgata, come tante altre se ne veggono in altri seni di mare deli'Istria. La chiesa di S. Eufemia ristaurata nel 1596 era altra volta maggioro assai, e se ne veggono gli indizi. Memorabile si e il rinvenimento di pietra arenaria nei muri di quella chiesa, pietra che gli antichi usarono in Pola ed in Parenzo soltanto per selciaio, traendola da altre regioni deli'Istria; indizio questo che la chiesa si ristaurasse eolle pietre da lastrico deli'antica borgata. La quale continuava anche dov' e S. Felice e S. Giovanni ove vedemmo avanzi di muraglie bellissi-me, frammento di scoltura eristiana di tempi bizantini, capitello dorico di belle inodanature e traccie di antichita di ogni genere. Da questa borgata di S. Eufemia si vede benissimo la torre, ed ha dinanzi a se un castelliere. II martirologio romano memora cinque santi dicen-doli istriani: Zoilo, Servilio, Felice, Silvano, Diocle; nomi, aH' infuori di Servilio, tutti di schiavi; quello di Servilio puo essere di affrancato. Nessuna chiesa istriana ha culto di questi santi; apparterrebbero essi mai alla chiesa di Cissa, e sarebbe di questo Felice la chiesa succitata, di Silvano quella di S. Silvasio nelVallese? Sarebbero que-sti martiri, appartenenti alla famiglia erile del governatore, conservatane la memoria negli agri rustici, dacche Cissa e f parita? Ouelli possono risolvere tali dubbiezze che conoscendo le antiche cappelle, o titolari delle chiese negli agri di Valle, Due Castelli, Rovigno, trovassero memoria di S. Zoilo, di S. Diocle, di S. Servilio. ( Cotitinua). Su d' un' inscrizione Aquilejese. II sig. conte Cinzio Frangipani ebbe la gentilezza di fornire al sig. Luigi Cigoi le indicazioni desiderate per riguardo alla leggenda in onore di Valentiniano e Valente inserita nel N. 33 di quest' anno, delle quali fem-ino inehiesta nell' occasione di divolgare quell' inscrizione. La pietra sulla quale sta incisa e frammento di roco di colonna, rastremato da su in giu, alto metri uno, lar-go nella parte superiore 99 centimetri, nella inferiore 94, 5. Ouesta rastremazione in ordine inverso dal solito delle colonne, farebbe quasi supporre che il fusto fosse gia destinato ad altro, che portasse leggenda, e che fosse poi capovolto per incidervi questa di Valentiniano e Valente; di che si hanno frequenti esempi in colonne o pietre che portano due inserizioni l'una superiore, 1'altra inferiore, in direzione del tutto opposta, per cui le lettere di una stanno col capo in giu; testimonianza di avarizia, di po-verta, o piuttosto di decadenza dei tempi. A giudicare dal diametro di questo roco la colonna dovrebbe essere stata di non comune altezza, forse destinata in origine od a segnale di confine, od a miliare; difatti fu rinve-nuta nel villaggio di Carisacco sulla riva sinistra del fiume Corno, precisamente alla distanza di dieci miglia romane da Aqui!eia suli' antica strada che mette a Concor-dia, a due metri di profondita del suolo, senza concomi-tanza di altri ruderi di rilievo. II sito di rinvenimento e precisamente distante un miglio dalla cambialura di cavalli che era ad Undecimum, e nell' unica girata che aveva la strada, la quale nella carta del Friuli del Mal-volti s'intitola Appia, ma che per fede di lapida pubbli-cata dalPabbate Berini ebbe nome di ANNIA, ristaurata da Adriano mentre fu in Aquileia. Il fiume presso il quale fu rinvenuta ha nome di Corno, nome questo frequentissimo a rivi e torrenti in tutte le alpi venete, nei monti e nel piano del Friuli, non istraniero ali'Istria, essendovi torrente presso Capodistria che dicesi Cornalunga; ma il fiume presso cui fu rinvenuta ebbe certamente altro nome nell'antichita, la cono-scenza del quale non e straniera all'argomento che trat-tiamo; e pero diremo alcun che delle acque inferiori del Friuli, prendendo a guida Plinio e cominciando dal Tagliamento. Del quale nome furono due fiumi; il Tagliamento maggiore ed il minore; notissimo il maggiore che tutto-di.ne conserva il nome. II Tagliamento minore era un ramo del maggiore, staccatosi sotto S. Odorico, (come gentilmente ce ne die notizia il Dr.. Valentino Presani) correva e corre tuttodi (un filo) verso Codroipo, accoglie le acque di altro Corno che viene dalle rive d' Arcano, col nome d'acqua agra, poi diTaglio, si unisce alla Stella, e sotto questo nome si getta nelle lagune, uscendo in mare pel porto di Lignano. O piuttosto il Corno dalle sue origini alle Rive di Arcano, e colla Stella che vi fa continuazione, e il Tagliamento minore; parallelo ali'altro, della slessa direzione, di lunghezza piu breve, co-municante col maggiore per canale naturale da Codroipo a S. Odorico. Plinio, il quale nella numerazione dei fiumi di que-sta regione segue la posizione loro naturale allo sbocco nel mare, registra 1'Anasso nel quale si getta il Varra-no, fra il Tagliamento e 1' Alsa, il nome della quale si e conservato nelPAusa che viene da Cervignano. Pensiamo che la Muzzana sia P Anasso, serbandone traceia anche nel nome con trasposizioni non infrequenti; il Var-rano ossia il Corno che scenda da S. Giorgio e che ben facilmente poteva avere comune la foce coll'Anasso; del-P Alsa abbiam detto; il Natisone col Turro e facile a ri-conoscersi, non solo pel nome di Natissa proprio del-1' arqua che scorre presso 1' odierna Aquileia, e che scor-reva anche presso 1'antica, ma per P antico letto di fiume segnato da depressione di campi. La Natissa di Aquileia, il Natisone di Cividale non sono gia due fiumi diversi, come fu da qua\cuno voluto, e Io stesso fiume che nato nei monti sopra Cividale, ed accolto il Turro scendeva da Campolongo diritto ad Aquileia senza gettarsi nel Bu-trio o come dicono Iudri, indi nell' Isonzo. Grandissime alterazioni solfri il piano del Friuli per lo sfrenato cor-rere dei fiumi avvenuto a causa del disboscamento dei monti, per cui fattisi torrenti 1'acqua, repentinamente cor-se al piano, e con grande impeto, trascinando ghiaie e sabbie, riempiendo i letti antichi, lacerando terreno per aprire letti novelli-c:6 che durante il buon governo delle selve e delle acque non avveniva, perche le acque len-tamente decubitavano, con maggiore costanza di copia, e senza rotte. La Natissa scendeva nei tempi antichi di-ritta ad Aquileia, ed e verosimile che servisse di comu-nicazione fluviatile con Cividale; non pero di navigazio-ne, per cause che qui non occorre di sviluppare. L' I-sonzo col Frigido uniti nel luogo ove ancora lo sono, scorrevano lungo le ultime eolline del Carso di Sagrado, passavano sotto il ponte di Ronchi e per Monfalcone di-rigevansi nel bacino di mare, oggidi le paludi dei bagni di Monfalcone. L' Isonzo aveva in questo seno comune la foce col Timavo, tanto con quello che oggidi conserva P antico nome, quanlo con quel filone che esce dal lago di Pietrarossa (che e veramente il lacus Timavi degli antichi) filone che ha il nome di Locaviz. Noi pensiamo che nell' antichita avesse preferenza il Frigido (il Vipac-co) perche veniente dali'antica CASTRA, che fu stabilimento romano, e conservasse questo nome anche nel tratto da Gradišča a Monfalcone; e si ritenesse P Isonzo come iufluente del Vipacco, alPopposto di oggidi, appunto per la rinomanza che hanno i fiumi per qualche citta sopra di loro od in loro prossimita. Plinio ed altri geografi ancora ommisero di farne menzione; il che crediamo fosse avvenuto per due motivi, P uno perche 1' Isonzo col Frigido aveva una stessa foce col Timavo; P altro perche ne il Frigido ne 1' Isonzo erano navigabili e venivano da regioni non distinte per qualche stabilimento cittadino, o celebrate per altre cagioni. Vi erano allre acque minori, siccome le acque gradate, o che ebbero poi nome di S. Canciano, canale o naturale od artefatto che dal mare metteva ali' odierno S. Canciano rendendo cosi facile la comunicazione colla spiaggia deli' Istria superiore, evitando il lungo giro pel canale Anfora, comunicazione che tuttogiorno sarebbe desiderata per i contatti coll' antica citta; v',era 1'Arnuncoa ponentgdel Corno, ma di que-ste acque e di altre molte non faremo menzione perche non menzionate negli scrittori dei primi secoli, e perche non d'importanza. La lapida in onore di Valentiniano e di Valente sarebbe stata rinvenuta alle rive del Varrano e se fu ivi collocata nell'antichita come tutto fa credere che cosi fosse, non deve essere seguito cio senza motivo la di cui co-noscenza tornerebbe certamente di vantaggio. Ripeteremo P inserizione che si legge sul roco di colonna di Ca-risacco. DD NN FL VALENT1NIA0 ET FL VALETE DIVINIS. FRATRIBVS ET SEMPER AV-INIS DEVOTA VENETIA CONLOCABIT. Abbiamo altra volta (N. 33 anno IV) accennato che due altre simili inserizioni sono state rinvenute alPAdda ed al Chiese. Ecco quella delPAdda veduta nella chiesetta dei SS. Cosma e Damiano presso Verdello maggiore. ///// VALENTINIANO ET • FLA • VALENTI DEVNIS FRATRIBVS ET SEMPER AVGVSTIS DEVOTA VENETIA COLLOCAVIT. L'altra fu rinvenuta a Bedizzolo presso 1'Adda ed e cosi: DD • NN ■ FL • VALENTINIANO ET • FL • VALENTI • DIVINIS FRATRIBVS • ET • SEMPER AVGVSTIS • DEVOTA • VENETIA CONLOCAV1T. Ambedue queste inserizioni furono rinvenute sopra o presso strade pubbliche; la prima sulla strada che da Verona mette a Brescia, la seconda presso la strada da Breseia a Milano, tutte e due presso a fiume di confine della Venezia, del Chiese cioe e deIl'Adda. II Chiese era il confine della Venezia propria, dacche Plinio medesimo dice che Brescia e Cremona erano sull'agro dei Cenomani non dei Veneti; il territorio fra il Chiese e 1' Adda venne aggiunto alla Venezia; e conviene dire che adonta della aggregazione ammiiiistrativa, ogni agro, ed ogni popolo, Veneti cioe e Cenomani si mantenessero di- [ stinti sebbene uniti e che non vi fosse cio che a tempi nostri si disse fusione, di che altra volta femmo cenno. E cosi sarebbe spiegato perchš la stessa leggenda adulatoria, od eucaristica che sia, venisse posta ai due < confini del Chiese e deli' Adda; duplice confine che fu poi sorgente di incertezze e di cjuestioni sull' estensione deli' antica Venezia, tanto maggiori quanto che ogni parte aveva ragioni per se. La Chiesa nel fissare la provincia Metropolitici di Aquileja che fu citta principale della Venezia, non passd il Chiese; Brescia e Cremona furono di altro Metropolitano. I motivi che persuasero di collocare la leggenda in onore di Valentiniano e di Valente al Chiese ed ali'Adda, dovrebbero essere identici per la coilocazione della leggenda Aquilejese, cioe un confine di Provincia; ma da questo lato di Aquileia, la ragione di collocarla alle rive del Varrano non si presenta tanto manifesta. Im-perciocche il confine della Vt nezia da questo lato si era il Tagliamento, siccome Pattestano Strabone parlando di Aquileia, Plinio medesimo che la dice su terreno carni-co, ed altre gravissime autorita che e superfluo citare. ■ Ma la condizione della terra fra il Tagliamento ed il Ti-mavo fu incerta quanto al dominio, poiche fu reclamata dai Romani come appendice della Venezia contro i Carni j che secondo dice lo storico Livio fondavano il loro titolo su cio, che questa terra non era tenuta dai Veneti. I Romani sciolsero la questione con modi di vincitore prepotente, il terreno contenzioso fu tolto ai Carni ed ai Veneti, e nel 180 a. G. C. fu condotta la Colonia di A-quileia, la qua!e nulla ebbe di comune per le cose di governo colla Venezia, ne fu soggetta ai Magistrati provinciali della Venezia nei tempi della Repubblica. La quale sottra-zione di Aquileia alle Magistrature ed al Governo della Venezia, e P immediata dipendenza dalle Magistrature di Roma, faceva si che Aquileia non poteva conside-rarsi spettante alla provincia, se non in senso latissimo e per quegli obblighi quasi federali, che forse ebbe per la costituzione o forma; provincia propriamente indicava nel linguaggio romano d' allora non gia uno stato od una terra, ma un'amministrazione qu*lunque per cui anche la condotta di una guerra fu detta provincia pt-r P incarico da-tone a persona. Aquileia poteva quindi a ragione con-siderarsi non facente parte del a provincia Veneta. La lapida in esame, per cio che r guarda il tempo e certamente anteriore ali'anno 367 dacche nell' inscrizione al Chiese, il Rossi vide P aggiunta. DDD • NNN • VALENTINIANO VALENTI • ET GRATIANO • PERPETVIS | PIIS • FELICIBVS • SEMPER AVGVSTIS I e posleriore ali'esaltazione al trono di Valentiniano e Valente, che e del 364. Si dovrebbe dire che venuto Valentiniano da Costan-tinopoli a Milano per la via di terra, e passato per Aqui-leia, ove fnce anche qual ;he stazione nel 364, la Venezia rallegratasi di tale avveniimmto e delle leggi date per pro-teggere i! cristianesimo contro gli effetti delle persecuzioni di Giuliano apostata, segnasse la via da lui percorsa con Ieggende onorarie ai confini. L'Istria che non iu traversata da Valentiniano venuto da Etnonia Saviana non prese parte a queste onorificenze; diciamo onorificenze, ignorando del tutto un titolo qualunque di grato animo per beneficenze in pro della provincia. In questo stesso tempo Publio Arecorio Appollinare cnnsolare della Venezia e deli'Istria alzava in Aquileia la chiesa in onore dei Santi Apostoli, il che ci-tiamo per mostrare come in questi tempi medesimi yi fosse magistratura suprema comune alle due provincie, e come le due provincie si tenessero distinte a modo da formare due corpi diversi. Noi supponiamo che considerandosi Aquileia, quale colonia esente dalla condizione di provincia'ita, tenuta inferiore alla condizione di colonia, la leggenda in o-nore di Valentiniano e Valente venisse collocaU al confine della colonia, ed ove propriamente coininciava P agro provinciale. E questa non sarebbe stata boria soltanto lo remi-niscenza di antiche condizioni; perche distinzione fra provinciali e cittadini (per abitanti di cilta libore delle antiche Ciilonie) durava nel nom*', negli obblighi e diritti fino ai tempi di Cassiodoro, di che si hinno frequentissi-me prove nel suo Epistolario, anche pel Friuli. Se cosi fu, come e verosiinile, il Varrano, ossia il Corno odierno sarebbe stato il confine delPajr t coloni-co di Aquileia, dal lato di ponente; da quello di Levante sarebbe stato il Timavo, confine della provincia d'Istria. E cio verrebbe confermato dal dominio delie acque che aveva Grado, dominio che si estendeva d.il Locavcz fino all'Anfora, dominio che venne alterato in questi ultimi tempi. In carta del patriarca Popone la quale registra donazioni da lui fatte al capitolo d' Aquihjia, si oompren-dono ville o redditi siti al di la del Varrano che fino da allora aveva nome di Corno; cio che indicherebbe che le terre al di la fossero tributarie, fossero provincia, se di decime o di simile dispose il Patriarca; nu questo non sarebbe indizio certissimo. Se cosi fu, sarebbe allora spiegabile come fra il Varrano ed il Tagliamento vi fosse territorio di citta distinto da Aquileia, e qui andrebbe collocato il vescovato di Marano, la di cui esistenza non sembra potersi porre in dubbio. Marano avrebbe surrogato quella cilta di Galli che prima del fondare la colonia di Aquileia fu distrutta, contro la volonta del Senato, a dodici miglia di Aquileia, e che noi volentieri porremmo nel sito del-1' odierna Muzzana. Non taceremo che una linea di confini ecclesiastici dura tuttora in continuazione del Corno di S. Giorgio a Mortegliano, Sclaunico, Pas-sian Schiavonesco, Nogaredo, da dirsi una sola linea. Tra la quale ed il Tagliamento venendo a collocarsi il vescovato di Marano avrebbe abbracciato il vicariatofo-raneo di Codroipo, di Mortegliano di Muscletto, e di Latisana.__(Coiitinuera).