Received: 2011-10-04 Original scientific article UDC 334.788(450)"18" RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE CAMERE DI COMMERCIO NELL'ITALIA LIBERALE Carmen TRIMARCHI Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Scienze Giuridiche e Storia delle Istituzioni, IT - 98122 Messina, Piazza XX Settembre, 4 e-mail: ctrimarchi@unime.it SINTESI Nel rapporto tra Stato ed economie locali, la vicenda delle Camere di commercio, soggetto terzo chiamato a svolgere un ruolo di mediazione fra il centro e la periferia pare emblematica del mutare di modi di inserimento e rappresentanza degli interessi nell'am-ministrazione e dunque del mutare del rapporto Stato-società. Istituite nel 1862 col compito primario di «promuovere gli interessi commerciali e industriali» e di garantire il consenso della categorie economiche al nuovo Stato unitario, esse venivano a configurarsi come enti periferici di natura privata strettamente collega-ti all'amministrazione centrale, sorta di mediatori pedagogici, diretti ad affezionare al nuovo ordine soprattutto i minori portatori di interessi economici. Nel 1910, il giolittia-no "progetto burocratico di governo" avrebbe visto una nuova legge per le Camere di commercio, trasferendo le loro funzioni dall'ambito dell'organizzazione del consenso e della rappresentanza politica degli interessi a quello della quotidiana gestione del potere amministrativo. Parole chiave: Camere di commercio, Italia liberale, mediazione pedagogica, rappresentanza d'interessi REPRESENTATION OF INTERESTS AND PEDAGOGICAL MEDIATION: THE CASE OF CHAMBERS OF COMMERCE IN LIBERAL ITALY ABSTRACT The relationship between the government and local economies, the case of Chambers of Commerce (a third party called on to mediate between the central and local levels) well exemplifies the change that occurred in the ways of integration and representation of interests inside governmental bodies, hence the change in the relationship between the state and society. The Chambers were created in 1862for the purpose of governing the economy at the local level, of «fostering commercial and industrial interests» and of securing approval Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 for the recently unified state on the part of economic operators. The Chambers became a sort of local authority of a private nature, directly linked to the central government, a sort of pedagogical mediator that aimed to foster smaller economic stakeholders ' acceptance of the new governing order. Giolitti s "bureaucratic project of government", with its forms of integration ofpolitics and administration, included a new discipline for the Chambers: their new functions involved the daily management of administrative power, rather than the organization of consensus and of the political representation of economic interests. Key words: Chambers of Commerce, liberal Italy, pedagogical mediation, representation of interests Nell'autunno del 1867, inaugurando a Firenze il primo Congresso delle Camere di commercio, il neo titolare ad interim del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, conte Luigi Guglielmo Cambray Digny, evidenziava come l'obiettivo che si era proposto il Governo, nel convocare quel convegno, fosse quello di «rispondere a quegli interessi generali d'ordine economico la cui risoluzione» richiedeva la consultazione «di quelle persone di quei corpi che per la qualità loro» si trovavano «meglio in grado di esaminarli e darne avviso». Il politico toscano avvertiva poi che quell'incontro non sarebbe stato né «un'accademia ove» si sarebbero trattate «quistioni teoriche», nè «un Parlamento le cui deliberazioni» sarebbero state «necessariamente tradotte in atto». In buona sostanza, sosteneva il relatore, ciô che si voleva creare era un corpo consultivo del regime costitu-zionale, legittimato in tale funzione dal «patriottismo delle Camere» e dalla loro «natura elettiva e rinnovabile»1. Eppure, a dispetto delle parole di Cambray-Digny, un'analisi della tipologia dei par-tecipanti e dei temi trattati, fa emergere con chiarezza proprio "l'animus accademico" di quell'incontro, che vedeva tra i suoi protagonisti oltre a "veri" rappresentanti dell'indu-stria e del commercio, professori universitari, parlamentari, nobili, liberi professionisti, spesso inviati come loro rappresentanti dalle Camere medesime, impegnati a discettare su argomenti di politica generale che oltrepassavano largamente i temi precauzionalmente proposti dalle Camere e dal Governo. Proprio quell'atmosfera, che ci riporta ai sodalizi dell'età dei Lumi e alla fiducia nell'universale ed inarrestabile progresso delle Nazioni, sembra costituire la cifra di quell'incontro: un'assemblea di Accademici, ottimisticamente convinti dell'inevitabile (grazie anche al loro contribute) sviluppo economico della società, volta ad offrire l'im-magine della lealtà dei ceti produttivi al nuovo Regno d'Italia. Quel Regno che, alle Camere di commercio, aveva affidato un ruolo di mediazione pedagogica, immaginandole come soggetti terzi, chiamati, nel rapporto tra Stato ed economie locali, a svolgere un ruolo di composizione fra il potere politico e i centri produt- 1 Congresso delle Camere di Commercio del Regno, Atti ufficiali, 1867, 21. Si trova in Mozzarelli, Nespor, 1985, 1649-1709. Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 tivi. Un compito che ben si armonizzava con il più generale "pedagogismo" della Destra storica, di quel gruppo, principalmente di piemontesi, lombardi, toscani ed emiliani che avevano appoggiato la politica cavouriana nel processo unitario e che, adesso, formavano il nucleo centrale della classe dirigente nazionale, tutti intimamente convinti di rappre-sentare la «parte migliore del Paese» (Pavone, 1976, 48). Cosi, osservava il Cambray Digny nella citata relazione, «nelle cose del traffico e delle industrie sonvi differenze dipendenti dalla diversità di luogo, o dal diverso essere o dal diverso modo di concepire un interesse delle industrie, e non sono infrequenti le dissidenze ed i contrasti, spetta al Congresso trovare gli accordi, equilibrare le opinio-ni, mettere in rilievo la risultante delle forze contrarie»2. «L'associazionismo camerale» era previsto dal comma enne dell'articolo secondo della legge del 6 luglio 1867 n. 680, istitutiva delle Camere di commercio3, che prevedeva la possibilità di riunirsi con «altre Camere del Regno in assemblee generali, onde esaminare questioni commerciali ed industriali di interesse comune». Tale legge era stata un provvedimento normativo "squisita-mente italiano", ovvero non previsto nel novero delle leggi piemontesi estese tout court al territorio nazionale dopo l'unificazione, all'interno di quel processo di State-building che avrebbe visto la nascita di un ordinamento insieme accentrato, perché diffidente nei confronti delle periferie, e debole perché incapace di esprimere una forte progettualità4. Del resto, il Piemonte costituzionale non aveva riformato le quattro Camere presenti nel proprio territorio, nonostante, fin dall'ottobre del 1848, il Ministro d'agricoltura e commercio conte Pietro di Santarosa, persuaso di quanto fosse importante «rendere bene affetti al regime rappresentativo i commercianti»5, avesse presentato un progetto di rior-dino dell'istituto camerale. Quel progetto veniva ripreso, nel 1852, dal successore Camillo Benso conte di Cavour. Per il neo Ministro, le Camere di commercio dovevano raffigurare «ruote del meccanismo governativo, come ... le aziende» o i «tribunali»6, dovevano essere rappresentanti specia-li, corpi consulenti liberamente eletti, derivati da una precisa volontà governativa. Certo, allo statista piemontese non sfuggivano i delicati riflessi teorici insiti nel concetto di rap-presentanza speciale, il fatto che legittimare la riunione e la rappresentanza di interessi specifici potesse mettere in dubbio la generalità della politica statale, addirittura la stessa uguaglianza dei cittadini, ma confidava in proposito nella possibilità di realizzare anche in questo ambito e attraverso un simile anomalo strumento l'idem sentire di governo e nazione. 2 Ibidem. 3 Legge per l'istituzione e l'ordinamento delle camere di commercio 6 luglio 1862, in Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia, 1870, 1415 . 4 Sul "centralismo debole", interpretato come la cifra del rapporto centro-periferia nelle vicende dell'Italia post-unitaria si veda, Romanelli, 1995, 125-143. Per approfondimenti sulle scelte amministrative compiute nei primi decenni dopo l'Unità d'Italia, si rinvia a: Calandra, 1978, 55-176; Melis, 1996, 15-180; Astuto, 2009, 64-137. 5 Relazione del Ministro d'agricoltura e commercio Pietro di Santa Rosa sul progetto di legge istitutivo delle Camere di commercio del 26 ottobre 1848, in Atti del Parlamento Subalpino, sessione 1848, documenti parlamentan, 174. Si trova in Mozzarelli, 1985, 1651. 6 Ibidem, 1652. Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 In ogni caso, anche il progetto cavouriano non avrebbe avuto alcun esito e le pro-blematiche relative alla rappresentanza di interessi particolari sarebbero ricomparse, in sede di discussione parlamentare, all'indomani dell'Unità, quando l'estrema varietà degli ordinamenti e delle situazioni avrebbe imposto un intervento legislativo di unificazione e riordino di tutti gli istituti camerali del Regno. La necessità di creare un luogo di sintesi in grado di fidelizzare al nuovo Regno un'imprenditoria che si muoveva oramai in un contesto nazionale allargato, e non di rado anche sovranazionale, faceva superare - o, quantomeno, accantonare (Padoa, 1868, 6) -ogni perplessità. La creazione di una rappresentanza dei ceti imprenditoriali appariva funzionale allo scopo ultimo della legittimazione concreta del nuovo Stato, del «governo politico degli interessi» (Mozzarelli, 1985, 1655). In quest'ottica, le Camere di commercio dovevano esistere più per sostenere e rappre-sentare il consenso delle componenti economiche, che per amministrare effettivamente delle attività distinte; esse dovevano ritrarre la "democrazia in azione", dovevano essere strumenti pedagogici in grado di far affezionare al nuovo ordine liberale i portatori di "interessi minori". E' questa la ratio che spiega, per un verso, l'obbligatorietà - quantomeno originale per uno Stato che si voleva improntato agli schemi del liberalismo classico - dell'aggrega-zione e, per l'altro, la cautela estrema, derivante dal timore di poter creare centri di potere esterni all'ordine pubblico statale, con la quale si affidavano alle Camere di commercio compiti amministrativi. Ispirati al modello delle Camere napoleoniche e come quelle sottoposte al controllo prefettizio, gli enti istituiti con la nuova legge sostituivano i precedenti organismi, acqui-sendone le dotazioni patrimoniali e le competenze burocratiche; ognuno di essi doveva darsi un regolamento interno e la sua autonomia finanziaria veniva garantita dalle proprie rendite e dalla possibilità di tassare certificati ed altri atti da esse emanati. Che le loro mansioni fossero intese in termini primariamente politici, lo si desume dall'esame del testo normativo. La portata dell'articolo primo della legge, infatti, che sanciva il loro compito di «rappresentare presso il Governo» e «promuovere gli interessi commerciali e industriali», veniva attenuato dal lungo articolo secondo che precisava come, ad eccezione della compilazione della relazione annuale al Ministero dell'agricol-tura, dell'industria e del commercio (al cui controllo le Camere erano sottoposte), «sovra la statistica e l'andamento del commercio, e delle arti del loro distretto» e del controllo delle Borse di commercio degli agenti di cambio, mediatori e periti, tutti gli altri compiti affidati alle Camere fossero ampiamente discrezionali. L'individuazione del coagulo degli interessi sia verso l'interno che verso l'esterno, veniva poi sollecitato, oltre che dal citato comma enne, dalla possibilità loro accordata di riunire in assemblee generali determinate categorie di elettori camerali «per l'esame di questioni d'interessi commerciali od industriali»7. Se, nel loro compito di "obbligatori rilevatori statistici", le Camere avrebbero svolto 7 Legge per l'istituzione e l'ordinamento delle camere di commercio, 1870, 1414, Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 un ruolo decisivo nel raggiungimento di un obiettivo, particolarmente caro al recente Stato italiano, quale quello di "catalogare la nazione", in almeno altri due campi previ-sti come opzionali, esse avrebbero svolto un'azione non meno incisiva. Il riferimento è alla funzione culturale-pedagogica riconosciuta dal medesimo articolo secondo, che sanciva la possibilità per gli istituti camerali di «provvedere in proprio o col concorso del Governo, della Provincia o del Municipio all'istituzione o mantenimento di scuole per l'insegnamento di scienze applicate al commercio e alle arti», invitandoli, contemporaneamente, ad incentivare la produzione del loro distretto attraverso l'utilizzo di uno dei procedimenti caratteristici della cultura industríale ottocentesca: la «formazione di esposizioni industriali e commerciali»8, 9. A questi due settori, la Camera di commercio di Messina, per esempio, negli anni compresi tra il 1876 e il 1925 riservava annualmente dei capitoli di spesa, tutt'altro che irrilevanti, dedicati all' Istruzione técnica o commerciale, alle Invenzioni ed alle Esposizioni10. Se i primi due capitoli venivano utilizzati per esaudire le richieste di sussidi provenienti sia dalle scuole per iniziative specifiche, sia da singoli soggetti desiderosi di completare la propria formazione presso scuole di altre città o di perfezionare le loro invenzioni tecniche, il terzo serviva a sostenere le spese di allestimento e partecipazione ad esposizioni nazionali ed estere, come anche a finanziare l'«invio di ... operai giovani, intelligenti e capaci di apprendere e trarre profitto»11 da tali manifestazioni, come affer-mava la giunta camerale in occasione dell'esposizione parigina del 1889. In realtà, l'Istituto messinese non si interessava alla sola istruzione "bassa": nel 1885, stanziava, infatti, la ragguardevole somma di L. 10.000 annue a favore dell'Università cittadina. Accogliendo l'appello che il rettore dell'Ateneo aveva diretto ai «corpi morali» della città, esortandoli a dare una «prova di patriottismo, di zelo e d'interesse ben inteso», attraverso la partecipazione all' iniziativa diretta a promuovere l'Università peloritana a istituto di 1° classe12, la Camera della città dello Stretto sembrava dare alla propria opera una coloritura politico-morale. Un'intenzione confermata anche dalle tante deli- 8 Ibidem. 9 Nate nel clima dell'Illuminismo, le esposizioni si svilupparono fortemente nell'Ottocento e nei primi del Novecento. Oltre a costituire un fenomeno, allo stesso tempo, economico, ideologico, politico e sociale, esse furono delle magnifiche occasioni per celebrare il mito ottocentesco del progresso, emblematicamente raffigurato dalle invenzioni, macchine e prodotti che in tali occasioni venivano presentati. Per un panorama generale sul "mondo delle esposizioni", si rinvia a: Romano, 1980; Bianco, Picole Petrusa, Pessolano, 1988; Aimone, Olmo, 1990. 10 Nella seduta del 28 aprile 1883, solo per citare qualche caso, il Consiglio camerale deliberava di concedere la somma di L. 300 «all'operaio Antonio Ranita come incoraggiamento allo stesso per perfezionare la sua macchina per l'estrazione dell'olio essenziale di limone» ( Atti Camera di Commercio ed Arti di Messina, 1883, 144). 11 Seduta del 12 giugno 1889 in Atti della Camera di Commercio ed Arti di Messina, 1889, 75. 12 Seduta del 19 febbraio 1885 in Atti della Camera di Commercio ed Arti di Messina, 1885, 58. Nel corso di quella seduta, pero, la Camera poneva come condizione essenziale, per la regolarità dei pagamenti a favore dell'Ateneo, l'istituzione di una Cattedra di chimica; sarebbe stata proprio la mancata istituzione della scuola e del gabinetto di chimica industriale, che avevano rappresentato lo «scopo precipuo e la condizione essenziale del sussidio» (Seduta del 15 dicembre 1890 in Atti della Camera di Commercio ed Arti della Provincia di Messina, 1891, 175) a provocarne, nel 1890, la sospensione. Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 berazioni prese dal Consiglio camerale a favore di cittadini bisognosi o dalla decisione, nel 1883, di risarcire i «danneggiati politici del 1848 .. per lo incendio dei magazzini di Porto Franco»13. Volgendo lo sguardo al più generale panorama offerto dalla variegata realtà delle Ca-mere di commercio italiane in età liberale, i pochi studi disponibili (al di là dei tanti scritti celebrativi o di occasione pubblicati dai singoli Enti) esprimono un giudizio piuttosto critico sul loro operato14. Ció che viene sottolineato è, soprattutto, il sostanziale distacco tra le Camere e le categorie economiche da esse rappresentate. Il compito di incanalare il consenso loro attribuito si scontrava, infatti, con il concreto disinteresse, della borghesia produttiva nei confronti degli «appuntamenti di verifica della governabilità dello stato unitario» (Ma-latesta, 1988, 281), una "freddezza" (che, peraltro, accumunava le elezioni camerali a quelle politiche e amministrative15) sintomatica non solamente dell'indifferenza dei cor-pi economici nei riguardi degli sforzi di una gestione pubblica della produzione e del commercio locali, ma anche della resistenza a contribuire direttamente a quelle forme di amministrazione attraverso la corresponsione di imposte aggiuntive. Quegli stessi studi hanno poi rilevato come, in virtù dei loro poteri rappresentativi, derivati da una legge dello Stato che attribuiva loro la facoltà di tassare, le Camere fos-sero portatrici di quella indeterminatezza rappresentata dal fatto che controllo dello Stato e decentramento amministrativo venivano a confondersi. Un'ambiguità che emerge con chiarezza quando si ascolta la "voce delle Camere", sempre pronte a respingere ogni tentativo di accentuazione dei controlli statali, e a rivendicare le proprie caratteristiche di rappresentatività e di politicità con la richiesta di "contare di più". Tipica in questo senso la rivendicazione di istituire collegi arbitrali o il loro proporsi come "consiglieri privile-giati" del Governo per i trattati di commercio. Dal canto suo, il potere centrale se, per un verso, sembrava non accogliere le istanze delle Camere di commercio, per un altro, offriva loro nuovi spazi di rappresentanza. Il riferimento è ai due decreti regi emanati l'8 dicembre del 1878 e l'11 marzo del 1886 che avevano sancito, rispettivamente, l'ingresso nel Consiglio dell'industria e del commercio di 18 presidenti delle Camere di commercio e la possibilità per il Consiglio di propone al Ministero per l'agricoltura, industria e commercio «le inchieste e i provvedimenti» reputati «utili all'incremento delle industrie e del commercio»16. In tal modo, alle Camere di commercio, in sostituzione della tribuna pubblica per le proprie proposte, spesso priva di riscontri pratici concreti quali si erano dimostrati i congressi camerali, veniva data la possibilità di collegarsi in maniera più diretta e operativa con l'amministrazione centrale, che si poneva come il più opportuno referente delle istanze camerali. In sostanza, si tendeva a vedere le Camere di commercio non più come organi per la 13 Seduta del 18 aprile 1883 in Atti della Camera di Commercio ed Arti di Messina nell'anno, 1883, 143. 14 Cfr. Mozzarelli , Nespor, 1985; Malatesta, 1988; Fontana, Magliaretta, 1997; G. Paletta, 1997. 15 Sull'alto tasso di astensionismo che caratterizzó le consultazioni elettorali dello Stato unitario, si rinvia a quanto osservato da Pombeni, 1995, 80-83. 16 Digesto italiano, 1895-98, 164 Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 formazione e rappresentazione del consenso agli ordini costituzionali e di consultazione política da parte del Governo, ma come gruppo di pressione privilegiato e come strumen-to per incanalare e regolare amministrativamente le esigenze e le proposte del mondo economico. Il problema di una rilegittimazione generale delle Camere si incrociava con quello che è stato definito il progetto crispino di amministrativizzazione della politica (Astuto, 2009, 114), vale a dire con quel progetto di governo che, in mancanza di partiti organizzati e di forti autonomie locali, utilizzava l'amministrazione dello Stato per ricercare il consenso e per assicurare al Paese la governabilità. Un programma che si svolgeva a scapito tanto del Parlamento quanto di ogni altra istanza "rappresentativa" e dunque politica, come, per esempio, i congressi camerali che, non a caso, andavano perdendo importanza ed utilità politica, tanto da cessare completamente dopo quello di Torino del 1884. Tuttavia, tale effettivo mutamento di prospettiva, per cui la Camera era riconosciuta non tanto in quanto organo rappresentativo, bensi come collaboratrice dell'amministra-zione statale, si affermava contraddicendo il dato legislativo vigente. Una realtà che mutava con l'approvazione della legge n. 121, del 20 marzo del 1910, che trasformava le Camere di commercio in enti pubblici, assimilandole ai comuni e alle province e affidando loro sia funzioni di ausilio dell'attività statale (come, per esempio, quelle tradizionali di raccolte di dati statistici), sia compiti che potevano definirsi di governo e riordino dell'at-tività di commercianti e industriali. In pratica, «piuttosto che ... organi per la formazione e rappresentazione del consenso agli organi costituzionali e di consultazione politica del paese da parte del Governo», le Camere venivano concepite come «un gruppo di pressione privilegiato» (Mozzarelli, 1985, 1664), uno strumento per canalizzare e disciplinare amministrativamente i bisogni e i suggerimenti del mondo economico17. La riforma, che si armonizzava perfettamente con la strategia giolittiana di governo che vedeva nell'inserimento all'interno dello Stato degli interessi diffusi uno dei suoi punti cardine, peró non avrebbe avuto grande esito. Lo scoppio del primo conflitto mondiale e il complesso panorama culturale e politico del dopoguerra, infatti, non avrebbero permesso di verificarne il buon funzionamento. Nel periodo post-bellico le nuove tesi concernenti la rappresentanza degli interessi (che, sarebbero ben presto diventate uno dei punti sostanziali per la preparazione dello schema dello Stato corporativo fascista), avrebbero prodotto conseguenze pesanti sulle 17 Che gli Istituti camerali fossero oramai ritenuti portatori di tali interessi lo dimostra, per esempio, il fatto che, sempre nel 1910, Giorgio Arcoleo li inserisse nel suo progetto di riforma del Senato, nucleo centrale del piano di rinnovamento della vita politica e istituzionale italiana auspicato dal senatore e giurista siciliano. Convinto che, anche per controbilanciare l'oramai imminente entrata delle masse nella vita politica, nella Camera Alta bisognasse «insinuare il germe elettivo» in maniera da renderla maggiormente rappresentativa «dei reali interessi del paese» ( Arcoleo, 1935, 291), Arcoleo prevedeva di trasformare il Senato di nomina regia in parzialmente elettivo, dando cosi nuove prospettive e più estesa rappresentatività al sistema delle categorie che presiedeva alla sua composizione. Tra le categorie che avrebbero dovuto formare il corpo elettorale, rappresentativo delle energie più vive del corpo sociale, troviamo per, l'appunto, i consiglieri ed ex consiglieri delle Camere di commercio Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 Camere di commercio, dando inizio ad un lungo e tormentato percorso, costellato da numerosi interventi legislativi, alla fine del quale gli enti camerali sarebbero risultati tra-sformati in istituzioni assai differenti rispetto a quelle previste all'indomani dell'Unità d'Italia, diventando "semplicemente" espressione dei desiderata del Governo a livello locale e delle esigenze del centro di contrallare e guidare le energie economiche perife-riche del Paese. Sotto il segno dello "Stato corporativo", e dunque della presunta attuazione delle forme di rappresentanza di interessi più vasti di quelli dello Stato liberale, si sarebbe giunti ad un capovolgimento di quello che era stato il principio base che aveva guidato la legge del 1862: da enti diretti a rappresentare presso il Governo la concordia degli interessi economici al nuovo ordine politico e sociale, le Camere di commercio sarebbero diventate "corpi di amministrazione burocratica" diretti al disciplinamento della società e dei suoi interessi. Un progetto che, peraltro, non si sarebbe certo rivelato di più facile attuazione rispetto al progetto del 1862. ZASTOPANJE INTERESOV IN POSREDNIŠKA VLOGA: PRIMER TRGOVINSKIH ZBORNIC V LIBERALNI ITALIJI Carmen TRIMARCHI Universita degli Studi di Messina, Dipartimento di Scienze Giuridiche e Storia delle Istituzioni, IT - 98122 Messina, Piazza XX Settembre, 4 e-mail: ctrimarchi@unime.it POVZETEK V odnosih med državo in lokalnim gospodarstvom je zgodovina trgovinskih zbornic, tretje strani, zadolžene za posredniško vlogo med središčem in periferijo, zanimiv pokazatelj spreminjajočih se oblik vključevanja in zastopanja interesov pri upravljanju, in torej sprememb v odnosih med državo in družbo. Trgovinske zbornice so bile ustanovljene leta 1862 za upravljanje lokalnega gospodarstva z osnovno nalogo »promocije trgovskih in industrijskih interesov« in za zagotavljanje podpore novi skupni državi s strani ekonomskih kategorij. Šlo je za periferne ustanove zasebnega značaja, tesno povezane z osrednjo oblastjo, neke vrste pooblaščenca za ustvarjanje konsenza novemu redu in nanj še posebej navezanih nosilcev manj pomembnih ekonomskih interesov. Zato je bilo v nasprotju s prakso v drugih delih Evrope, na osnovi državnega zakona, članstvo v italijanskih trgovinskih zbornicah obvezno. Po drugi strani pa so bile v strahu pred nastajanjem centrov moči izven državnega javnega reda zbornice obravnavane kot privilegirana oblika skupinskega pritiska, ne da bi dejansko izvrševale kakršnokoli upravno dejavnost. Leta 1910 je Giolittijev »vladni birokratski projekt« s svojimi oblikami integracije med politiko in administracijo vseboval nov zakon o trgovinskih zbornicah, njihove pri- Carmen TRIMARCHI: RAPPRESENTANZA D'INTERESSI E MEDIAZIONE PEDAGOGICA: IL CASO DELLE ..., 257-265 stojnosti pa je iz polja organizacije konsenza in zastopanja političnih interesov prenesla na raven rednega upravljanja administrativne oblasti. Dodelitev izključno administrativnih dolžnosti zbornicam pa ni bila namenjena disci-pliniranju in omejevanju institucije, ki zaradi svojih predstavniških funkcij ni bila povsem »podložna« državnemu aparatu in bi lahko predstavljala obliko združevanja, alternativno vladni politiki (čeprav znotraj dominantne družbene skupine). Dejansko je šlo za potrebo po javnem dokazovanju nepristranskosti državne oblasti pri vodenju družbenih sil in njihovih zahtev. Kriza liberalne Italije, razvidna takoj po koncu prve svetovne vojne, je za zbornične ustanove pomenila začetek zelo mučnega obdobja, ki se je zaključilo šele sredi tridesetih let, ko so se v okviru nove korporativne države spremenile v organizacije, povsem drugačne od zbornice iz Giolittijevih časov, in dejavne do srede dvajsetih let preteklega stoletja. Ključne besede: gospodarske zbornice, liberalna Italija, pedagoška mediacija, zastopanje interesov FONTI E BIBLIOGRAFIA: Arcoleo, G. (1935): Diritto costituzionale. 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