ACTA HISTRIAE • 26 • 201S • 1 OCENE/RECENSIONI/REVIEWS Marta Verginella a cura di: SLOVENKA. Ljubljana, Znanstvena založba Filozofske fakultete v Ljubljani, 2017, 121 pagine. Le vicende legate al periodico femminile sloveno Slovenka (slovena), avviato a Trieste a cavallo del diciannovesimo secolo, hanno dovuto attendere più di un secolo prima di ottenere il meritato riconoscimento attraverso un'opera che si caratterizza, di primo im-patto, per una veste materiale particolarmente raffinata che recupera alcuni motivi grafici della rivista originale. La storia della pionieristica rivista femminile in lingua slovena non ebbe infatti grande fortuna all'interno della storiografia e critica letteraria slovena e jugoslava, nelle quali venne menzionata in maniera per lo più episodica e non particolarmente generosa, come fece la critica letteraria Marja Boršnik che negli anni Sessanta, pur riconoscendo che "con Slovenka [...] le nostre donne hanno superato la prima pubertà e raggiunto un livello di maturità che rende possibile incidere sul reale" rilevava al contempo che la rivista fosse " linguisticamente goffa, disordinata nell'esposizione e dal pensiero talvolta infantile ed illogico" (pp. 9-10). Per un recupero più organico del valore specifico di Slovenka era evidentemente ne-cessario attendere una nuova sensibilità oltre la necessaria distanza di prospettiva. Il libro, che si presenta come una raccolta di contributi tematici, si apre con un'introdu-zione della curatrice Marta Verginella, professoressa ordinaria di storia presso l'Università di Lubiana. Della stessa autrice sono i primi due saggi, dedicati rispettivamen-te al valore di Slovenka come specchio della società femminile a cavallo del di-ciannovesimo secolo e alla biografia di Marica Nadlišek Bartol, l'intellettuale triestina, prima redattrice della rivista che vide la luce come allegato quindi-cinale del periodico Edinost. Non priva di un certo timore iniziale, Marica Nadlišek si assunse l'onere di dirigere la rivista femminile ben sapendo che per molti versi il pubblico delle lettrici "dovesse ancora essere formato, e che il ruolo di Slovenka fosse di rompere il ghiaccio" (p. 25). Seguono due contributi, anch'essi di natura essenzialmente biografica, di cui il primo, firmato da Irena Selišnik, è dedicato alla seconda redattrice di Slovenka, Ivanka Anžič Klemenčič, men-tre il secondo, scritto da Katja Mihurko Poniž, ricostruisce il rapporto con la ri- 351 ACTA HISTRIAE • 26 • 201S • 1 OCENE/RECENSIONI/REVIEWS vista di Zofka Kveder, l'autrice e pubblicista femminista che proprio su Slovenka mosse i primi passi letterari e fu inoltre legata alla Anžič da un'amicizia profonda, prima che il rapporto tra le due entrasse in crisi. Alle collaboratrici di Slovenka, e al posto occupato dalla rivista nella piu ampia scena letteraria slovena, e dedicato il contributo di Vita Žerjal Pavlin. La rivista ospitava infatti numerosi testi poetici e letterari e funse da vivaio per una generazione di giovani autrici di cui alcune avrebbero proseguito la propria carriera su altre e piu prestigiose testate. Segue il saggio con cui Petra Testen ricostruisce il profilo degli uomini che collabo-rarono al periodico, nonche, in senso lato, l'importanza della solidarietá tra i generi nella genesi e per tutta la sua esistenza. Il saggio firmato da Ana Cergol Paradiž e invece dedicato ai contenuti concreti del femminismo di Slovenka, tra cui nello specifico il diritto all'istruzione, le questioni legate al matrimonio e al divorzio, il superamento di canoni di vestiario e costume che si accani-vano sul corpo della donna e ne limitavano il funzionamento sociale e la parita retributiva rispetto agli uomini. Infine, Urška Strle dedica il proprio contributo ai rapporti tra Slovenka e le realta che, all'estero, esprimevano un orientamento simile. I riferimenti principali erano individuati nei cechi, presso cui le donne avevano conquistato una posizione relativamente avanzata e il quale esempio, trattandosi di un popolo "fratello", sembrava estendibile al contesto sloveno, e nei russi, stante anche la predilezione di Marica Nadlišek Bartol per la loro letteratura. Il rapporto con le altre nazionalita slave, "fratelli per sangue e lingua" (p. 102), tra i quali vennero prediletti i croati fu naturalmente importante. La collaborazione con ambienti culturali italiani e tedeschi, dapprima marginale, venne comunque intensi-ficandosi nell'ultimo periodo, quando le istanze femministe portate avanti da Slovenka divennero preminenti rispetto al carattere nazionale della rivista. Numerosi sono nell'opera gli elementi di rilievo nell'ambito storiografico e delle scienze sociali. Anzitutto viene opportunamente evidenziato il fatto che la prima rivista femminile slovena sia nata a Trieste, cittá che nella celebre definizione di Ivan Cankar rappresentava il polmone della Slovenia, laddove Lubiana ne era invece il cuore. La rac-colta offre una serie di spunti utili a chiarire l'importanza del porto, che, favorendo l'in-contro tra culture diverse, ha dato un contributo importante per lo sviluppo della societa slovena. Di particolare interesse le modalita attraverso cui la competizione in un'area mistilingue ha agevolato il recupero di un contributo specificamente femminile nella mo-bilitazione nazionale slovena. Questi spunti permettono di mettere a fuoco l'importanza delle questioni nazionali in un'ottica emancipatoria. Si tratta di una configurazione co-mune allo spazio ex austroungarico (e giá stato menzionato l'esempio ceco) e che trova buona corrispondenza, ad esempio, nel percorso della celebre scrittrice croata Marija Juric Zagorka, cui, in una Zagabria soggetta al dominio ungherese, fu l'afflato patriottico a spalancare le porte del giornalismo attraverso una raccomandazione del vescovo Josip Juraj Strossmayer. In seguito, nel 1925, la Juric Zagorka avrebbe pure fondato la prima rivista femminile croata, Ženski list. Merita attenzione la tensione, che nel testo emerge chiaramente, tra la duplice ap-partenenza di editrici e collaboratrici alla comunita nazionale slovena e alla collettivita 352 ACTA HISTRIAE • 26 • 201S • 1 OCENE/RECENSIONI/REVIEWS femminile. Questa situazione sembró dapprima privilegiare il programma nazionale slo-veno, con una politica editoriale più propensa ai contributi letterari e a rivendicazioni per lo più timide. Quando, sotto l'influsso di Ivanka Anzic Klemencic, la redazione impostó una linea più marcatamente femminista, fu invece il ruolo nazionale a venire sottomes-so dalle istanze di genere, il che determinó una riduzione del pubblico dei lettori e, in un certo senso, l'esaurimento dell'esperienza editoriale. Si deve anche considerare che sebbene fossero passati soltanto sei anni dalla prima uscita di Slovenka, lo sviluppo delle istanze femministe avvenuto nel frattempo e la loro politicizzazione erano sfociati in una pluralità di gruppi femministi (nel 1901 ce n'erano ormai tre nel solo spazio culturale slo-veno), mentre d'altra parte la relativa radicalizzazione delle rivendicazioni avanzate de-terminava il venir meno della disponibilità al dialogo degli ambienti politici che avevano offerto il proprio supporto nella prima ora, oltre che quella di molte donne di estrazione piccolo-borghese. Oltre ai meriti di ricerca e dibattito, il saggio ha il pregio di offrire un vivo affresco della condizione femminile negli ambienti della Trieste slovena di inizio secolo - in cui, per citare un fatto eloquente, alcune collaboratrici e la maggioranza dei collaboratori della rivista facevano ricorso a pseudonimi per non essere pubblicamente riconoscibili. È forse anche grazie al senso di straniamento indotto dalla distanza culturale che separa i tempi descritti che il lettore saprà apprezzare i risultati conseguiti nel tempo da generazioni di attivisti per i diritti delle donne che discendono da pionieri come quelli le cui vite e imprese sono descritte nel libro. Federico Tenca Montini 353 ACTA HISTRIAE • 26 • 201S • 1 OCENE/RECENSIONI/REVIEWS Dejan Jovic: RAT I MIT. POLITIKA IDENTITETA U SUVREMENOJ HRVATSKOJ. Zagreb, Fraktura, 2017, 416 pagine. Pochi libri trovano immediato riscontro nella cronaca come ¡'ultimo lavoro di Dejan Jovic, dedicato al ruolo della guerra combattuta negli anni Novanta nelle narrative ufficia-li della Repubblica di Croazia, giunto alla seconda edizione in meno di tre mesi. Laddove una parte importante dell'opera consiste nella descrizione delle pressioni esercitate affin-che il conflitto venga interpretato esclusivamente come difensivo, e di solo pochi giorni successivo all'uscita del libro il suicidio del generale croato Slobodan Praljak, compiuto nello sforzo estremo di evitare una sentenza che avrebbe acclarato il coinvolgimento dell'esercito croato nel conflitto in Bosnia. In Rat i mit- "guerra e mito" un gioco di parole che in croato allude a Rat i mir, "guerra e pace" - l'autore porta a piena elaborazione una serie di temi affrontati sia nella precedente monografia Jugoslavija - drzava koja je odumrla: uspon, kriza i pad Kardeljeve Jugoslavije (1974.-1990.) che sulle pagine di Politicka misao, la rivista trimestrale della Facoltá di Scienze politiche dell'Universitá di Zagabria di cui Jovic e redattore capo. Il testo trae l'abbrivio dalla nota tesi per cui la riforma costituzionale jugoslava del 1974 avrebbe innescato un processo di nation building nelle sei Repubbliche. La dinamica, agevolata dal fatto che la dottrina marxista dell'estinzione dello stato fosse stata in Jugoslavia interpretata in maniera piu consistente che altrove - grazie alla prassi del decentramento politico, amministrativo e produttivo - ha portato le Leghe dei co-munisti dei vari Stati a svolgere un ruolo sempre piu di rappresentanza nazionale. Nel momento in cui la caduta del muro di Berlino e la conseguente riunificazione tedesca segnalarono tanto la necessita del mondo ex comunista di adeguarsi alle forme dello stato democratico quanto la pos-sibilita di una revisione degli assetti geo-politici della Guerra Fredda, la Jugoslavia entro in crisi. Nella Federazione infatti, in virtu della mancata corrispondenza tra sta-to e nazione ovvero in presenza di significative minoranze in quasi tutte le Repub-bliche, la prospettiva di un orientamento democratico fece temere alle repubbliche piu piccole di trovarsi in minoranza rispet-to al blocco serbo, e alle varie minoranze di trovarsi prive dei diritti concessi dal go-verno comunista. Un simile timore inne-sco la secessione tanto delle Repubbliche rispetto alla Jugoslavia quanto delle mino- Dejan Jovic Potitika identiteta u suvrernenoj Hrvatskoj FUAKTU RA 354 ACTA HISTRIAE • 26 • 201S • 1 OCENE/RECENSIONI/REVIEWS ranze nei confronti delle Repubbliche (vennero creati infatti territori secessionisti a base étnica quali la Republika Srpska Krajina, la Herceg Bosna e altri). La guerra viene interpretata - in maniera convincente - come esito non scontato cui le varie elites ormai nazionali furono spinte dal mancato riconoscimento internazionale dei referendum di indipendenza svolti nel 1990/91 (pp. 181-183). Venendo allo specifico croato - l'autore stesso indica peraltro che i processi innescati in Serbia furono, almeno per gli anni Novanta, assai simili - Jovic mette in evidenza il sostanziale debito della leadership nazionalista rispetto al precedente sistema politico marxista, di cui vengono conservate sia le strutture che, soprattutto, i metodi. È questa fondamentale continui-tà di sistema a permettere l'ingresso di 97.000 ex membri della Lega dei comunisti di Croazia nell'HDZ (nell'SDP ne sarebbero confluiti appena 46.000) (p. 240), partito che si puo dunque considerare il vero successore di quello comunista. In perfetta coerenza con il principio stalinista dell'autodeterminazione, alla leadership croata, capeggiata da Tudman (che ancora nel 1989 dichiarava di essere "croato, marxista e rivoluzionario"), non rimaneva che porre la nazione a obiettivo della palingenesi rivoluzionaria innescata dalla guerra, conflitto che in Croazia viene significativamente definito "Guerra patriot-tica" (Domovinski rat), lo stesso nome con cui la Seconda guerra mondiale era nota in Unione Sovietica (p. 189). La guerra in Croazia si è risolta con il soddisfacimento di tutti gli obiettivi dell' elite croata, tra cui il riconoscimento internazionale del nuovo Stato e il reintegro dei territori secessionisti senza gran parte della popolazione serba che vi risiedeva. L'unico processo a rimanere incompiuto è quello che l'autore descrive come "transizione dalla guerra alla pace", vale a dire la creazione di una società plurale e di un sistema politico effettiva-mente democratico. Anche il motivo di questa mancanza viene ricondotto nel saggio alla persistenza di schemi mentali autoritari nell'elite politica. Come nella Jugoslavia socialista l'elite al potere aveva avocato a sè la funzione di arbitro, come conseguenza del ruolo svolto nella creazione dello Stato attraverso la guerra partigiana rivoluzionaria, cosí nella Croazia indipendente tale ruolo è stato assunto dall'HDZ e dai reduci (in croato brani-telji, letteralmente "difensori"), nella rispettiva funzione di forza politica che ha gestito il processo di indipendenza e di esecutori materiali della guerra vittoriosa, cui è garantito uno status privilegiato che ricorda per certi versi quello di cui godevano i partigiani nel periodo socialista. Il risultato di simili premesse è quella che si puó descrivere come una rivoluzione nazio-nale permanente (l'autore cita come affine l'esempio della Turchia kemalista), il cui obiet-tivo è l'illimitata omologazione ideologica e nazionale della popolazione, sia con misure destinate alla componente croata maggioritaria, come la promozione del conformismo e del purismo linguistico, sia attraverso politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze (soprattutto quella serba) di cui è incentivata l'assimilazione o, attraverso politiche discri-minatorie a vario livello, soprattutto nell'accesso al mercato del lavoro, l'espatrio. L'importante lavoro di decodifica dei trend politici e sociali in atto nella Croazia contemporanea svolto da Jovic offre una risposta convincente a dinamiche che ad un osserva-tore esterno risultano difficilmente comprensibili. In Croazia l'interpretazione della Guerra patriottica come esclusivamente difensiva e di liberazione (in croato ricorre la dicitura 355 ACTA HISTRIAE • 26 • 201S • 1 OCENE/RECENSIONI/REVIEWS cist kao suza, ovvero qualcosa di "puro come una lacrima") e infatti tutelata da un atto parlamentare, la Dichiarazione sulla Guerra patriottica approvata nel 2000. A riprova del fatto che in tempi recenti la situazione non sia migliorata, ancora nel 2014 il segretario di HDZ e all'epoca leader dell'opposizione Tomislav Karamarko ha dichiarato che "chiun-que a casa sua potra pensare cid che vuole, ma pubblicamente dovrá rispettare i valori fondamentali dello Stato croato: la Guerra patriottica, i protettori, i nostri morti, Franjo Tuáman i Gojko Susak" (p. 213). Sempre nel 2014 proprio Jovic e stato deposto dall'in-carico di Consigliere capo della Presidenza della Repubblica croata dopo aver messo in discussione, in un articolo pubblicato su Politicka Misao in occasione del referendum per l'indipendenza scozzese, il fatto che questo potesse essere paragonato a quello svoltosi nel 1991 in Croazia, con l'argomentazione che nel 1991 i cittadini croati fossero stati chiamati alle urne in un clima di forti pressioni e non completa liberta. Ancora piu recentemente, lo schema interpretativo descritto nel libro offre validi spunti di interpretazione sulla singolare protesta di un gruppo di veterani che, accampa-tisi illegalmente di fronte al Ministero dei reduci di guerra a Zagabria nell'ottobre 2014, vi rimasero per 555 giorni, ovvero fino alla formazione di un governo di centrodestra guidato da HDZ, dopo aver indebolito in vari modi la posizione del governo, proclamato "impopolare". Una situazione che rientra appieno nell'interpretazione di Jovic per cui i veterani in Croazia costituirebbero una forza "sovra politica" attraverso lo status loro accordato di creatori dello Stato, che li pone ad un livello superiore alle istituzioni democraticamente elette. Infine, l'evidente recrudescenza di fenomeni di tipo autoritario all'indomani dell'in- gresso della Croazia nell'Unione Europea nel 2013 trova un riscontro nella spiegazione per cui le politiche di omologazione nazionale ed ideologica connaturate alla leadership croata fossero state attenuate proprio con il fine di completare simbolicamente l'indipendenza nazionale con la partecipazione alla UE e alla NATO, che ha in qualche modo san-cito l'allontanamento del paese dai Balcani. Poiché la valutazione della candidatura della Croazia includeva la verifica delle sue credenziali democratiche, e proprio all'indomani dell'adesione che le politiche descritte sono state perseguite con rinnovato vigore. Dal momento che il rapporto della Commissione europea sulla Croazia del 7 marzo 2018, nel criticare "l'esistenza di categorie privilegiate come quella dei reduci di guerra" sembra quasi recepire alcune delle critiche di Jovic, sará interessante vedere come evolverá la situazione. Federico Tenca Montini 356