Testimonianze di scultura di eta gota e bizantina nella basilica di Aquileia e nella chiesa di Monastero. Nuove considerazioni Nove ugotovitve ob pričevanju kiparstva gotskega in bizantinskega obdobja v oglejski baziliki in v cerkvi v Monasteru Maurizio BUORA Izvleček Notranjost bazilike v Ogleju (Aquileia) so v renesansi obnovili, med drugim so se lotili novega tlakovanja, ki so ga zaključili v 16. stoletju. Pri tem so uporabili tudi dele starejše kamnite cerkvene opreme iz časa od 6. do 12. stoletja. Med odlomki, ki so jih našli med obnovitvenimi deli v petdesetih letih 20. stoletja, je del reliefa iz prve polovice 6. stoletja; ta relief lahko dopolnimo še z enim odlomkom, predelanim v 15. stoletju, in nekaj sočasnimi fragmenti, katerih izvor sicer ni jasen, vendar gre verjetno za dele iste kamnite opreme. Leta 1959 so v cerkvi v bližnjem Monasteru porušili prečni oporni zid (it. muro di spina), zgrajen v osemdesetih letih 18. stoletja, ko je samostanski kompleks prešel v zasebno last in so ga preoblikovali v kmetijo. Takrat je bilo v novo stavbo vključenih več kot osemdeset fragmentov (kapiteli, stebrički ikonostasa in pluteji), ki predstavljajo dele kamnite cerkvene opreme druge faze, časovno opredeljene na začetek 6. stoletja. Poskusi grafičnih rekonstrukcij spomenikov kažejo na močne povezave z bizantinskim kamnoseštvom in predvsem z bizantinsko kiparsko umetnostjo v krajih na severnem Jadranu. Analiza kamnite opreme dokazuje živahnost Akvileje v gotskem in bizantinskem obdobju ter njene tesne povezave z Gradežem na eni strani in s Concordio na drugi. Ključne besede: gotsko in bizantinsko obdobje, Akvileja (Oglej), Monastero, bazilika, kamnita oprema cerkva Abstract [Testimonials of sculpture from the Gothic and Byzantine periods at the basilica of Aquileia and the church of Monastero. New remarks] Embellishments were added inside the Basilica of Aquileia in the Renaissance, including a new floor, completed in the sixteenth century. Materials from previous furnishings, dating from the sixth to the twelfth century, were used for it. Among the items recovered during restoration work in the 1950s is part of a relief from the first half of the sixth century. To this can be added another relief, reworked in the fifteenth century, and some contemporary fragments of unknown origin, perhaps part of same elements. The so-called 'muro di spina' (or supporting wall) built in the 1780s in the church of Monastero, when the monastic complex was acquired by private owners and transformed into a farm, was demolished in 1959. On this occasion over eighty fragments belonging to furnishings of the second phase (capitals, iconostasis columns, and plutei), dated to the beginning of the sixth century, were incorporated into the new building. An attempt at reconstruction highlights strong ties with early Byzantine sculpture and especially with examples in the upper Adriatic regions. The analysis allows recognition of the vitality of Aquileia in the Gothic and Byzantine period, and the close links with Grado on the one hand and Concordia on the other. Keywords: Gothic and Byzantine period, Aquileia, Monastero, basilica, stone furnishings Per rendere omaggio a Slavko Ciglenečki, uno dei padri della moderna ricerca slovena sull'eta al-tomedievale, che voglio ricordare soprattutto come buon amico, attento alle indagini nell'area friulana, desidero esporre di seguito alcune riflessioni su una serie di frammenti lapidei aquileiesi per lo piu inediti che possono, credo, gettar luce su uno dei momenti meno noti della storia della citta antica. Gli anni Cinquanta del Novecento furono fortunati per Aquileia. I lavori di restauro effettuati dalla Soprintendenza per i Monumenti nella basilica e poi a Monastero, nell'ex Follador Ritter, portarono all'acquisizione di importanti testimonianze artisti-che, - mi riferisco qui ai frammenti di decorazione architettonica, - di indubbio valore storico. Tuttavia mentre i rilievi della basilica furono in parte presto pubblicati1 e poterono cosi entrare nell'ambito della storia dell'arte, quelli provenienti da Monastero - in condizioni di conservazione non altrettanto buone - hanno avuto fino ad oggi un destino meno felice. I LAVORI NELLA BASILICA DI AQUILEIA I lavori della basilica a partire dal 1954 interes-sarono varie sue parti, dall'esterno, cui fu tolto l' intonaco2, alla zona dell'altar maggiore; qui nel marzo del 1957 si scoperse il paliotto con la figura di san Tommaso di Canterbury3. Di fatto sembra trattarsi di una riscoperta perche pare che il Ber-toli l'avesse gia visto nel 17394. Nel corso di questi lavori furono asportate parti del pavimento steso a partire dal 1484, nell'ambito del grande ciclo dei lavori - iniziato nel decennio precedente - che vide tra l'altro la messa in opera della tribuna magna e dopo un'interruzione, avvenuta nel 1499 dopo 1 Una parte dei rinvenimenti effettuati durante i medesimi lavori non furono pubblicati e di essi si e sostanzialmente persa memoria. Si veda quanto scrive Pensabene 2010, 622 "al momento della sistemazione nella prima meta del XX secolo dell'area presbiteriale, devono essere state rinvenute, forse riutilizzate come lastre pavimentali della fase medievale lastre sia anepigrafi sia iscritte". 2 Su questi si vedano Civiletti 1954 e Pinarello 2006, 268. 3 La prima notizia fu offerta da Giovanni Battista Brusin 1957. In seguito se ne sono occupati vari studiosi, a partire dallo stesso Brusin (1958), seguito da Carlo Gaberscek (1981, 64-65 e 1983), da Sandro Piussi (1984) e da altri. Da ultimo si veda Bottazzi 2011. 4 Cosi Joppi 1895, 223; cfr. Piussi 1984, 387, nota 13. l'invasione turca nel Friuli, si concluse solo nel secolo successivo a opera di maestranze locali, di livello decisamente inferiore5. Il 7 gennaio 1484 il decano, Doimo di Valvasone6, e i canonici del Capitolo di Aquileia "convennero con maestro Antonio q. Bartolomeo del lago di Lugano lapicida per lavorare e mettere in opera le pietre del pavimento della navata maggiore della chiesa. Queste pietre dovevano essere quadre ed avere ciascuna un piede e un quarto di lato, e grosse almeno tre dita ne li suoi orli; meta di marmo bianco d'Istria e meta di rosso di Verona^ I camerari promettevano da parte del Capitolo di pagarle in ragione di 35 soldi al paio, cioe una rossa ed una bianca, e le mezze o meno a ragione di mezze e quelle piu di mezze in ragione di integre"7. Quanto riportato e solo uno dei documenti che si riferiscono ai lavori condotti in quel decennio e successivamente nella chiesa8. Maestro Antonio e uno dei numerosi lapicidi lombardi attivi ad Aquileia (ma anche in Friuli) nell'ultimo quarto del Quattrocento9. Per il pavimento, ma anche per la tribuna magna, essi si avvalsero forse anche di pietre tratte da monumenti allora ancora in piedi e di marmo proconnesio e altri materiali pregiati recuperati nell'ambito della citta antica. Non si fecero peraltro scrupolo di utilizzare anche parti del precedente arredo della medesima chiesa10, come per l'altar maggiore la lastra raffigurante san Tommaso di Canterbury, accostata ad altra che recava a matita la nota "taiapiera Bastiano de Poco [= da Pozzo] de Osteno del lagho de Lughano fece quest'opera. MCCCCLXXXXV", mentre la 5 Cosi Pinarello 2006, 274. 6 Sulla sua figura e la sua attivita in Aquileia si rimanda a Casadio, Buora 2011. 7 Sui dati d'archivio relativi alla pavimentazione si veda Vale 1933, 69; ne tratto in Buora 2001, 88. 8 Per altri documenti legati agli interventi tardo-quattrocenteschi nella zona del presbiterio e della tribuna magna si veda Joppi 1895. Ancora nel 1545 si incaricava il lapicida veronese Girolamo da Pozzo di ultimare la pavimentazione: cio che forse fu fatto se e vero che nel 1570 Bartolomeo da Porcia, visitando la basilica, vi notava il pavimento fatto di vari marmi bianchi, rossi e neri di bella fattura, ma disponeva anche di completarlo ubi non est integrum lapidibus ad rationem integri (Vale 1933, 81). 9 Sulle presenze dei lapicidi nella basilica si rimanda a Bergamini 1992. 10 Una simile prassi era, come e ovvio, comune; tra gli infiniti esempi possibili in cui essa e stata riscontrata ricordo, ad es., il riutilizzo delle lastre di rivestimento dei pilastri nel pavimento di Kourion (Boyd 1989, Pl. 16,b). lastra con il rilievo recava I'annotazione "Antonio so fradelo la mese in opera"11. Per far fronte all'ingente quantita di materiale necessario per la pavimentazione, i responsabili del Capitolo di Aquileia autorizzarono il riuso di parti di precedenti arredi dell'edificio e permisero anche lo smontaggio di parte del muro romano della cinta urbana che si trovava a Est della chiesa, evidentemente di proprieta del Capitolo stesso: da qui infatti si tolse meta di un'epigrafe che va completata con altro frammento scavato, presumibilmente nello stesso sito, dal Bertoli nel 172612. In teoria si sarebbero potuti usare anche elementi decorativi provenienti da altre chiese aquileiesi (peraltro non dipendenti direttamente dal Capitolo), ma giova ricordare che in quel periodo erano tutte officiate. Forse nello stesso 1957, certo prima del 1959, dunque, furono asportate dal pavimento della basilica piu piastrelle, per lo piu triangolari, che vennero deposte nel magazzino della Soprintendenza ubicato nella casa Bertoli. Possiamo riconoscere un gruppo di una decina di lastre ritagliate da plutei altome-dievali13: esse nella parte posteriore presentano per lo piu rilievi di eta carolingia, ma anche piu antichi. Tra queste un pezzo, con la raffigurazione della parte inferiore di un animale, fu dunque riutilizzato per la pavimentazione rinascimentale (fig. 1: 1)14. Per quanto l'incarico affidato originariamente ai lapicidi prevedesse una piastrella base di un piede veneto e un quarto di lato, esso poteva ammettere ovviamente altre misure, che dovevano adattarsi o alle sporgenze dei muri o alla presenza di altre strutture15. La nostra piastrella, triangolare, ha la 11 Cio e ben noto e documentato dalle lastre n. 2779 e 2780 conservate presso la Soprintendenza di Udine. Per la successiva attivita veneziana di Sebastiano si veda Foscari, Tafuri 1982. 12 Buora 2001, 87. L'iscrizione e CIL 840 = I.A., 21. 13 Si tratta di Tagliaferri 1981, n. 45 (m 0,485 x 0,45); n. 46 (m 0,47 x 0,45); n. 57 (m 0,285 di lato); n. 61 (m. 0,28 di lato); n. 65 (m 0,30 x 0,29); n. 66 (m 0,365 x 0,35); n. 67 (m. 0,39 x 0,40); n. 70 (m. 0,42 x 0,41) e infine n. 99 (m 0,45 x 0,29). L'origine di alcuni di questi ritagli e confermata dal negativo n. 3648 del 1959 conservato presso l'archivio della Soprintendenza di Udine. 14 Le misure del pezzo (m 0,42 x 0,295 x 0,08) corrispondono a quelle di una "mezza" pietra pari a un piede (veneto) e un quarto di lato (teoricamente 42,5 cm per una lunghezza standard del piede veneto di 34 cm) e tre dita di spessore, secondo quanto commissionato ai lapicidi per l'esecuzione della pavimentazione. 15 O forse negli interventi successivi, ben documentati, alcune misure dovettero essere modificate. faccia posteriore consunta, come si addice a un pavimento, e solo il lato maggiore corrisponde alla misura stabilita dal decano e dai canonici. Siamo sicuri che esso, gia edito con "provenienza originaria sconosciuta" dal Tagliaferri16, proviene dalla stessa basilica di Aquileia. Lo prova la foto ricavata dal negativo n. 3650 scattata nel 1959 e conservata nell'archivio della Soprintendenza di Udine con la chiara indicazione "basilica". Il rinvenimento di questo pezzo e molto impor-tante perche permette in via di ipotesi di attribuire alla medesima basilica altri due pezzi considerati dal Tagliaferri e da lui ritenuti parte di una stessa decorazione. Sono evidenti le affinita di materiale, dimensioni e stile. Il nostro frammento che pre-senta un animale probabilmente volto a sinistra puo essere messo in relazione con il noto cervo di ignota provenienza ora al Museo paleocristiano di Monastero (fig. 1: 2). Non e difficile pensare a due animali affrontati. Per quanto concerne il cervo ora a Monastero va notata la presenza sui bordi della figura di un solco, solco che troviamo anche nella lastra triangolare della basilica. Inoltre sembra significativa la posizione del cervo che pare quasi danzare con le punte delle zampe volte verso il basso. Questo carattere si trova appunto in eta bizantina ad esempio in numerosi rilievi dell'isola di Cipro. Notiamo ancora che nella parte superiore dell'albero, nella fascia sinistra della lastra con il cervo, compaiono i fori del trapano. Fori simili si trovano anche in un frammento con tralcio di foglie di vite che proviene dalla chiesa di Piazza della Vittoria a Grado ed e stato messo in relazione con la costruzione promossa dal vescovo Mace-donio17: si tratta dunque di una pratica usuale ai lapicidi dell'epoca. Nel bordo inferiore vi poteva essere una ma-tassa18 che ritroviamo in altri due frammenti, sia pure leggermente diversi, da Aquileia, di cui uno riprodotto alla fig. 1: 3. Possiamo forse pensare ai disiecta membra di una unica recinzione gia nella basilica e riutilizzata nel XV o XVI secolo. Il me-desimo tipo di matassa si trova su un frammento della chiesa di S.Giovanni di Duino, che ebbe interventi datati in base agli scavi archeologici alla fine del V o all'inizio del VI secolo (fig. 1: 4)19. 16 Tagliaferri 1981, 99, tav. XXI: 61. 17 Tagliaferri 1981, n. 618. 18 Adotto qui la terminologia usata da Napione per Vicenza, cfr. Napione 2001, 123. 19 Tagliaferri 1981, 135, n. 457, da lui datato all'inizio del VI secolo. Fig. 1: La Basilica di Aquileia. 1 - Piastrella del pavimento rinascimentale; 2,3 - frammenti di provenienza ignota; 4 -frammento da S. Giovanni di Duino; 5 - lastra dalla basilica. Sl. 1: Bazilika v Akvileji. 1 - ploščica, iztrgana iz kamnitega renesančnega tlaka; 2,3 - odlomka z neznanega najdišča; 4 - odlomek iz Štivana; 5 - plošča iz bazilike. (arch. Soprintendenza, Udine/Videm [1]; da / po Tagliaferri 1981 [2-5]) Una rilavorazione quattrocentesca, probabilmente nel corso degli stessi lavori di abbellimento, ebbe anche un noto frammento coevo gia attribuito dal Tavano a una probabile cattedra e da lui ritenuto di origine costantinopolitana (fig. 1: 5)20. Dunque alcuni dei frammenti che ho evidenziato - pro- 20 La vicenda critica di questo pezzo e molto interessante. Si tratta di una lastra probabilmente gia impiegata nella basilica di Aquileia: nella sua prima pubblicazione fu attribuita dal Tavano alla fine dell'Vlll secolo (Tavano 1971, 120-128). Egli pochi anni dopo si corresse attribuendola al periodo di Narsete o a quello immediatamente successivo (Tavano 1978, 29 e 74-75). Il Tagliaferri si spinge piu in la, arrivando quasi a suggerire una datazione alla fine del V, proponendo il confronto con il dittico di Sividio (Tagliaferri 1981, 77, n. 15). La lastra della basilica trova stretti rapporti iconografici con un rilievo, frammentario, rinvenuto negli scavi della basilica di San Polieuto a Costantinopoli, costruita presumibilmente da Anicia Giuliana tra 524 e 527. ll Tavano ne mise inizialmente in rilievo la stretta parentela con i due pilastri veneziani detti da S. Giovanni d'Acri, che oggi babilmente insieme con altri la cui provenienza non e stata ancora accertata - apparterrebbero al rinnovo interno dell'edificio effettuato o al tempo dei Goti o a quello dei Bizantini. Si osservi anche come la piu vasta opera di reimpiego effettuata nella basilica di Aquileia in eta rinascimentale, nota dai tempi del Bertoli e ben documentata dai restauri novecenteschi, - per la pavimentazione e la decorazione della tribuna magna - sia stata sostanzialmente trascurata da tutti coloro che si sono occupati, per Aquileia, della tematica del reimpiego. LA CHIESA DI MONASTERO E IL SUO ARREDO Il monastero delle monache benedettine, che ha dato nome alla localita oggi sobborgo di Aquileia, fu soppresso al tempo di Giuseppe II e passo in proprieta a Raimondo della Torre Hoffer e Valsassina e successivamente ad Antonio Cassis, detto Faraone a motivo della sua provenienza dall'Egitto21. Costui dopo il 1786 fece abbattere il chiostro e mantenne solo l'ala Nord che divenne casa padronale. La chiesa, sconsacrata, fu allungata nella sua parte anteriore e divenne "follador" ovvero cantina. Per renderla adatta a questa funzione il nuovo proprietario fece togliere la copertura antica e costruire una serie mediana di archi, nota come "muro di spina"; essa doveva sostenere il colmo del nuovo tetto, dell'edificio portato a tre piani. Detto muro proseguiva a Ovest della chiesa. La rimanente parte orientale del Follador e rimasta cantina fino a pochi anni fa ed e stata acquistata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici. Gia alla fine dell'Ottocento si scoperse qui parte di un mosaico di eta tarda22 e si pote stabilire che qui si trovava una basilica paleocristiana, confer- concordemente sono ritenuti provenienti dalla medesima basilica costantinopolitana. In seguito numerosi autori, tra cui la Farioli Campanati (Farioli Campanati 1982, 325-326, sch. n. 159), l'Harrison (Harrison 1986, 165) e da ultimo il Marano (Marano 2008, 200) hanno ritenuto anche la lastra aquileiese proveniente dalla medesima basilica e portata qui dopo il sacco di Costantinopoli del 1204, benche di cio non vi sia alcuna prova e soprattutto non risultino lavori effettuati in quell'epoca nella basilica di Aquileia. 21 Su di lui si vedano Philipp 1985, 40-41; Fantini 1995; Daly 1998, 65; Coller 2010, 38; D'Ottone 2013; sulle vicende del Monastero dopo la sua soppressione si rimanda al documentato studio di Franceschin 2007. 22 Maionica 1895. mata dagli scavi del Brusin del 194 923. Nel 1951 la famiglia Ritter cedette l'edificio allo Stato24 e cominciarono i lavori per la rimessa in luce della sua parte piu antica. Uno dei primi interventi fu proprio la demolizione del muro di spina, nella zona che attualmente e adibita a museo25. Dai documenti conservati presso l'archivio del museo archeologico nazionale di Aquileia si ricava che la demolizione fu eseguita dal 19 gennaio al 14 febbraio del 1959: il materiale proveniente dalla demolizione fu trasportato dapprima all'esterno dell'edificio26. Si comprese allora che esso era stato costruito con materiale di risulta: tra le macerie che lo costituivano vi erano vetri romani, cerami-che del Rinascimento e terrecotte del XVII-XVIII secolo. Quanto considerato di qualche interesse archeologico proveniente dalla sua demolizione fu depositato nel magazzino aquileiese della So-printendenza per i Monumenti e le Gallerie, ma venne poi negli anni Sessanta trasportato in uno dei magazzini del museo archeologico di Aquile-ia, dove fu inventariato27. I numeri di inventario vanno dal 59.440 al 59.644: in massima parte questi non sono oggi piu leggibili sui frammenti, ma per fortuna in epoca recente un riordino del magazzino ha radunato insieme pezzi del muro di spina di diversa cronologia. Solo alcuni furono editi nel catalogo del Tagliaferri, con l'indicazione di provenienza ignota. Lo stesso autore, ricono-scendo per una parte di essi una datazione all'eta bizantina, si riprometteva di riesaminarli e studiarli in seguito, cosa che peraltro non fece. Lo studio delle fasi antiche della basilica di Monastero, forse il piu importante, dopo la basilica maggiore, palinsesto monumentale aquileiese oggi visibile, non ha fatto molti progressi dopo il lavoro fondamentale di Brusin-Zovatto28 e soprattutto l'ampio studio di Luisa Bertacchi del 1965, cui fe- 23 Brusin 1949. 24 Brusin, Zovatto 1957, 305. 25 Su questi lavori Belluno 1966, 195; Notiziario 1966; D'Angelo, Moretti 2004, 108. 26 Nota del 16 febbraio 1959, prot. n. 59 alla Soprintendente alle antichita di Padova. Ne ho potuto avere copia, grazie alla cortesia della Direzione e del personale addetto (Adriana Comar), nel museo nazionale di Aquileia. 27 Alcuni pezzi sembrano aver avuto una doppia numerazione, la prima di tre sole cifre. Sembra che questa derivi dalla collocazione nel cosi detto magazzino paleocristiano, ove i frammenti, per lo piu di epigrafi cristiane, hanno in massima parte una numerazione appunto di tre cifre. 28 Brusin, Zovatto 1957, 306-330. cero seguito poche note di Sergio Tavano29, seguite da una nuova sintesi della Bertacchi nel 19 8 0 30. Se ne sono poi occupati naturalmente altri autori, a partire dal Caillet (1993), seguito da Luca Villa (2003) e quindi da Gisella Cantino Wataghin (2006), ma talora si sono ripresi concetti gia espressi in precedenza e perpetuati vecchi errori. Negli ultimi anni invece sono di molto progredite le conoscenze del monastero nelle sue fasi piu recenti, sia sotto l'aspetto documentale31 sia sotto quello propriamen-te monumentale32. L'approccio storico-artistico al monumento tentato da Tavano, in base al quale i capitelli della seconda fase sarebbero databili al IX secolo, ha in questo caso rivelato la sua fragilita. La mancata conoscenza delle fasi moderne dell'edificio ha impedito fino ad anni recenti di comprendere quanto sia stato determinante, per la sua storia futura, l'intervento effettuato nella seconda fase. Il dislivello tra parte absidale e zona riservata al popolo rimase in essere fino alla fine della vita dell'edificio; la tripartizione e il numero dei pilastri, sostituiti da colonne in eta poponiana, rimasero sostanzialmente immutati. Nel tempo resto invariata l'altezza del tetto a capriate sia sopra le navate sia sopra la parte presbiteriale33, comportando l'esistenza di colonne di altezza diversa: le vediamo nella pianta tardo settecentesca forse riproducente una sistemazione piu antica34. Si e ipotizzata una fase carolingia che avesse trasformato la chiesa, quando noi oggi vedia-mo benissimo che in quel tempo fu solo rinnovato l'arredo, come avvenne probabilmente anche nella 29 Specialmente Tavano 1972, 131-140. 30 Bertacchi 1980, 239-244. 31 Mi riferisco qui agli studi di Elena Vidoz (1999) e Giuseppe Franceschin (2007). 32 Esemplare lo studio di Gianpaolo Trevisan (2012) sui capitelli poponiani, che peraltro non prende in considerazione i due asportati al momento della costruzione del muro divisorio, dopo il concilio di Trento e portati da uno dei due fratelli di Montegnacco, canonici del Capitolo, nel loro castello di Cassacco (sulle questioni connesse rimando al mio Buora 2015, in stampa). 33 Ce lo conferma la veduta di Aquileia del 1693 ora al Museo diocesano di Udine. 34 Biblioteca civica di Udine, fondo principale, ms. 1368/1, riprodotta in Vidoz 1999 e Franceschin 2007. Essa smentisce I'ipotesi che "la chiesa venisse officiata [sc. dopo la costruzione del muro trasversale, al limite del presbiterio rialzato nella seconda fase] soltanto nella parte occidentale" (Tavano 1972, 140). La mancanza degli strati superiori della parte della chiesa riservata alle monache di clausura, ovvero di tutta la parte del presbiterio, dell'abside etc. rialzata nel corso della seconda fase, si spiega con le operazioni di abbassamento del livello effettuate evidentemente con la secolarizzazione dell'edificio. maggiore basilica. Lo prova la stratigrafia visibile da ogni visitatore in cui si nota - nella parte occidentale della chiesa destinata al popolo - al di sotto del pavimento cinquecentesco in cocciopesto quello lapideo romanico e sotto ancora il mosaico della prima fase. Ai capitelli che ritengo, in accor-do con la Bertacchi, dell'iniziale VI secolo venne attribuita una datazione posteriore di tre secoli con la conseguenza di falsare completamente la conoscenza dell'insieme; inoltre la fase romanica, effettivamente riconducibile al tempo di Popone e quindi da mettere in relazione con le donazioni da lui effettuate al monastero benedettino35, e stata sotto l'aspetto archeologico completamente trascurata. A questa stessa fase appartenevano capitelli posti su colonne cilindriche e almeno due ottagonali - gia posti su colonne evidentemente ottagonali in cor-rispondenza del muro trasversale costruito dopo il concilio di Trento. I resti dell'arredo lapideo della seconda fase Benche Caillet affermi che "aucune trace de meuble liturgique n'a ete relevee"36 la realta e piu complessa. Il muro di spina tardo settecentesco inglobava nella parte demolita negli anni Cin-quanta del secolo scorso almeno un'ottantina di frammenti appartenenti alla seconda fase. Molti di essi sono ridotti allo stato di frustuli e si ri-chiederebbe un attento - e lungo - restauro per poter comprendere appieno e ove possibile la loro originaria collocazione. Mi limito qui a segnalarne, tra quelli che ora si possono interpretare, una meta circa: essa comprende un frammento di capitello di pilastro, tre piccoli capitelli di iconostasi, parte di una colonnina della medesima iconostasi e i pezzi che permettono di ricostruire il disegno di alcune lastre di recinzione. E possibile che altri frammenti appartenessero al medesimo arredo, ma dai dati dell' inventario e soprattutto a motivo della quasi totale scomparsa dei numeri scritti su ogni pezzo non e possibile ricavare altro. Il materiale e la sua lavorazione Tutti i frammenti qui catalogati sono di marmo a grana grossa, in qualche caso con ben visibili le caratteristiche venature azzurrognole tipiche del 35 Su cui da ultimo Härtel 2011. 36 Caillet 1993, 162. marmo proconnesio (fig. 2: 1). Non e stata effettuata alcuna analisi scientifica per cui la valutazione si basa esclusivamente sull'autopsia. Alcuni frammenti si sono sgranati ai margini di frattura e altri presen-tano una superficie rovinata. Alcuni recano tracce di malta, forse dipendente dalla messa in opera nel muro o, in precedenza, nella pavimentazione di eta poponiana o al di sotto di essa. Spesso i frammenti sono di piccole dimensioni (circa cm 5 x 5) o hanno forma rettangolare, ma appaiono obliqui rispetto alla loro collocazione originaria nella lastra. Anche nelle lastre di recinzione di Concordia (fig. 3), cui faro spesso riferimento in questo contributo, si nota il medesimo sistema di fratture. Ritengo che tutto il materiale per l'arredo lapideo sia stato fat-to venire, probabilmente semilavorato, dalle cave dell'Asia Minore. Lo spessore dei singoli pezzi varia da cm 7 a cm 8; esso dipende dal differente rilievo delle varie parti, ma un frammento e spesso 11 cm. Tutti sono lavorati dai due lati, anche se nella parte che ritengo posteriore - quindi rivolta all'interno delle aree recintate - la decorazione e piu limitata, riducendosi essenzialmente alla cornice e a una croce a rilievo37. I capitelli Il frammento di capitello di pilastro (tav. 1: 1a) corrisponde, per misure e per disegno, ai tre capi-telli a sezione pressoche quadrata rinvenuti nella basilica (tav. 1: 1b), nondimeno si distingue netta-mente poiche qui vi e un gruppo non di due, ma 37 Potrebbero esserci stati altri elementi come un cantaro, ma non abbiamo elementi certi. Fig. 2: La chiesa di Monastero. 1 - profilo con le venature del marmo proconnesio, dal muro di spina; 2 - lavorazione a gradina del retro di una lastra. Sl. 2: Cerkev v Monasteru. 1 - presek z značilnimi žilami prokoneškega marmorja, iz sredinskega opornega zidu (muro di spina); 2 - hrbtna stran kamnite plošče, obdelana z nazobčanim dletom. 9 10 « » acm f^A^^ Fig. 3: Lastra, ricostruita, dalla chiesa cattedrale di Concordia. Sl. 3: Rekonstrukcija kamnite plošče iz katedrale v Concordiji. (da / po Croce Da Villa 1989) di tre elici, di cui quella centrale e piu alta. Inoltre lo stelo non si trova al margine esterno di ogni voluta, ma esattamente al centro38. L'accostamento di tre steli a formare un triangolo con la punta in basso si trova nella parte centrale di altri capitelli della medesima fase39; come in quelli, a ridosso della parte inferiore degli steli esterni sporgono le foglie dell'ordine superiore, qui a malapena rico-noscibili. Il disegno non e cosi estraneo all'ambito aquileiese, in senso lato: lo ritroviamo su un piccolo capitello cubico, che presenta nella parte superiore quattro elici disposte a coppie affiancate. Le due centrali poggiano su una foglia tripartita che da l'impressione della presenza di tre steli40. Il nostro frammento di Monastero, gia inserito nel muro di spina, apparteneva dunque al quarto sopravvissuto dei dodici capitelli gia esistenti, cui vanno aggiunti i quattro addossati alle pareti (orientale e occiden-tale). Come in eta poponiana, nei primi decenni dell'XI secolo41, i capitelli della seconda fase non erano dunque tutti uguali, ma mostravano delle variazioni, dipendenti dalla fantasia dell'architetto o dalla volonta degli scultori o semplicemente dalla posizione che il capitello stesso aveva all'interno dell'edificio. Possiamo pensare che le due (? O piu?) serie fossero disposte in aree diverse dell'edificio, ad esempio nella parte riservata al popolo e in quella presbiteriale, ove erano disposti quattro pilastri. La datazione di questi capitelli al periodo carolingio, proposta dal Tavano42, non spiega come questi si adattino ai pilastri in marmo proconnesio. Si potrebbe ovviamente pensare a un riutilizzo, ma i pilastri stessi, insieme con le altre parti dell'arredo lapideo, sono frutto di un medesimo intervento databile alla prima meta del VI secolo, mentre la fase dell'iniziale IX secolo riguardo in questa chiesa, come del resto nella maggiore basilica di Aquileia, solo l'arredo interno e non la struttura architettonica. I capitelli (forse semilavorati), i pilastri e le loro basi furono molto probabilmente importati insieme con le lastre di recinzione, i capitelli di iconostasi e 38 Inv. n. 59.579; l'inventario riporta le seguenti misure 18,5 X 14 X 11, mentre il Tagliaferri da 22 x 13 x 10. Non vidi. Il numero garantisce la sua provenienza dal muro di spina. Non risulta accettabile la "datazione generica al VI-VIII secolo" riportata dal Tagliaferri. Bibliografia: Tagliaferri 1981, p. 169, n. 242. 39 Si veda Bertacchi 1965, figg. 31 e 32. 40 Tagliaferri 1981, 392, n. 608, assegnato da lui a "un largo periodo situato tra l'VIII e il IX secolo". 41 Trevisan 2012. 42 Tavano 1972, 139; Tavano 1977, 207-208; Tagliaferri 1981, 196-197, fig. 299. forse qualche altro arredo lapideo dalle cave della Propontide. In teoria potrebbe trattarsi di materiale di reimpiego, recuperato nella stessa Aquileia. Peraltro le lastre della recinzione sono alquanto grandi, come notevoli sono le parti dei pilastri in uso nella chiesa altomedievale: percio pare di poter escludere un riutilizzo di materiale gia in opera in altri edifici. Le dimensioni stesse degli elementi che compongono i pilastri sono adatte a un trasporto marittimo. Non sappiamo peraltro se da la sia giunto solo il materiale, magari tagliato quasi a misura, ovvero semilavorato, o se esso sia stato lavorato o almeno rifinito dopo giunto a destinazione, come inclino a credere. Rimangono frammenti di tre distinti piccoli capitelli, con misure simili, ma non identiche (tav. 1: 2-4): sono leggermente diverse, per forma e dimensioni, anche le varie parti che li compon-gono. Il Tagliaferri ne rileva l' impronta bizantina datandoli verso la meta del VI secolo43. I capitelli aquileiesi di quest'epoca mostrano alcune varianti quanto a materiale, dimensioni e disegno, il che fa supporre che siano appartenuti almeno a quattro-cinque strutture diverse. I nostri capitelli, come ha messo in evidenza Yuri Marano, trovano confronti con quelli della basilica di Concordia nella sua fase di VI secolo, ma anche con altri della basilica eu-frasiana di Parenzo. In base alle loro dimensioni44 si puo calcolare che l'insieme capitello-colonnina-base ad Aquileia fosse alto circa 2 m e 30 cm. Non sappiamo se essi siano effettivamente appartenuti a una iconostasi: in teoria potrebbero essere stati usati come sostegno della mensa d'altare. L'iconostasi della seconda fase, pilastrino e colonnina Sappiamo che nella prima fase vi era una recin-zione nella "cappella" settentrionale, piu piccola e una seconda in quella meridionale, di maggiori dimensioni. Al momento non conosciamo capitelli o lastre di recinzione riferibili alla prima fase. Si puo solo osservare che dalla semplice fascia in marmo rosso di Verona che divide il presbiterio delle due aulle della maggiore basilica dalla parte riservata al popolo, - che quindi poteva avere una recinzione molto sottile, forse lignea, priva di co-lonne, - nella prima fase di Monastero si trova un chiaro incasso sul pavimento e una soglia segnata; 43 Tagliaferri 1981, nn. 217 segg. 44 Terry 1988, figg. 88-99. Fig. 4: Pilastri di sostegno di sostegno di iconostasi. La chiesa di Monastero. 1 - pilastrino della seconda fase, in opera; 2 - in casa privata a Terzo di Aquileia; 3 - nel museo archeologico di Aquileia; 4 - in opera nelle mura a zigzag. Sl. 4: Oporni stebri ikonostasov. Cerkev v Monasteru. Stebrički druge faze: 1 - vzidan; 2 - v zasebni hiši v kraju Terzo di Aquileia; 3 - iz arheološkega muzeja v Ogleju; 4 - vzidan v zid, ki teče cikcak. quindi doveva esserci all'inizio del V secolo una recinzione formata da lastre separate da pilastrini, di cui rimangono le basi. La Bertacchi ha osservato che l'assenza di fondazioni per la recinzione della seconda fase - che ritengo posteriore di un secolo alla prima - potrebbe far supporre che questa fosse molto bassa45. Nella navata meridionale vediamo accostate le due recinzioni: l'orientale e quella connessa alla prima fase e quella occidentale alla seconda, alla quota piu alta. Nei due casi i basamenti orizzontali su cui poggiavano le lastre sono molto simili e non presentano gli incassi della navata set-tentrionale della prima fase, quindi le lastre erano semplicemente appoggiate. Detti basamenti sono formati da pietre lisciate solo nella parte superiore, mentre e lasciato a grezzo l'interno. La base delle lastre era incavata nel pavimento mosaicato nel recinto piu antico, mentre nella seconda fase il piano superiore liscio alla base delle lastre era a livello del pavimento musivo. Nella prima fase nella "cappella" settentrionale il pilastrino che bordava l'accesso era in pietra bianca e si poneva esattamente in corrispondenza di una soglia dise-gnata dal mosaico. Nella seconda fase, nel recinto Bertacchi 1965, 98. Ma si veda infra. meridionale, troviamo pilastrini quadrangolari che salgono oltre la quota della base delle lastre. Essi sono sufficientemente larghi per sostenere una colonnina, il relativo capitello e un architrave della eventuale iconostasi; inoltre poggiano diret-tamente sul mosaico della prima fase, come del resto i pilastri che in questa nuova sistemazione vengono a sostenere il tetto. Altri pilastrini, insie-me con parti dei pilastri, tra cui capitelli e basi, furono riutilizzati nella pavimentazione del tempo di Popone. Uno di essi, precisamente il secondo da Ovest, del lato settentrionale della recinzione meridionale della seconda fase e ancora in posto (fig. 4: 1) e presenta la parte inferiore di una tipica decorazione a modanature di diversa larghezza, che racchiudevano forse al centro altra sporgente, di cui oggi nulla e rimasto. Se paragoniamo tra loro i pilastrini noti da Aquileia e dal suo territorio vediamo che il pilastro gia a Terzo in una casa privata (fig. 4: 2) e formato dalla stessa pietra bianca che si trova nelle basi di Monastero della prima recinzione. Il pilastrino e tutt'uno con la base della colonnina dell'iconostasi. Tutta l'area del comune di Terzo nel medioevo fece parte dei possedimenti del Monastero di Aquileia e nel XIX dei possessi Ritter, che vi subentrarono, per cui un'origine 45 di questo pezzo dalla chiesa di Monastero e del tutto plausibile. La parte inferiore di pilastrino in opera nella seconda fase e di materiale diverso, probabilmente arenaria (materiale che troviamo in grande abbondanza nei corsi lapidei delle fon-damenta delle mura a zigzag). Essa presenta un disegno alquanto simile al pilastrino di Terzo, con la particolarita che la decorazione, come e ovvio, non comincia dalla base, ma si trova solo oltre il piano pavimentale della seconda fase. Altri due pilastrini, uno integro di ignota provenienza nel museo di Aquileia (fig. 4: 3) e altro, spezzato, in-serito nelle fondazioni dello stesso muro a zigzag (fig. 4: 4), hanno disegno diverso nella cornice. Un frammento di lastra mostra il bordo laterale in cui le due fasce esterne sono lisce, mentre la parte interna, ora incavata, e lasciata a grezzo: qui doveva esserci la giunzione con il pilastrino. Rimane un frammento di colonnina del diametro di cm 10,2 (tav. 1: 5). Si vedono chiaramente le striature grigie del marmo proconnesio. Le lastre di recinzione Nella pianta annessa al volume di Brusin e Zovatto, del 1957, nella navata meridionale figura la base della recinzione della seconda fase, con il mosaico che poi fu asportato e applicato alla parete orientale; insieme ad essa e indicata parte della recinzione centrale (arretrata) e settentrionale della prima fase. Una doppia linea allude alla base della recinzione della seconda fase, della parte centrale, che non e altrimenti indicata. Vi e qualche discrepanza tra il rilievo pubblicato da Luisa Bertacchi nel 1965 e quello da lei proposto nel 1980. Nel primo caso sopra la recinzione dinanzi alla parte absidale vi e un doppio segno, allusivo a un muro continuo - evidentemente di base -allineato con la recinzione "arretrata" della prima cappella meridionale. Quindi la Bertacchi fa propria l'indicazione del Brusin, peraltro spostandola a Est fino a sovrapporla alla recinzione piu antica: in tal modo si sarebbe venuta a creare una rientranza incomprensibile. Invece nel rilievo del 1980 risulta indicata una recinzione con pilastrini praticamente trasversale alla chiesa, in prosecuzione della linea avanzata della "cappella" meridionale. Recinzione che, tuttavia, non e stata rinvenuta quindi e da ritenersi plausibile, ancorche del tutto ipotetica. Dunque non sappiamo come esattamente si presentasse il prospetto delle transenne che delimitavano nella seconda fase la zona orientale. Se accettiamo la ricostruzione proposta dalla Bertacchi nel 1980, che ipotizza due accessi tra la parte centrale e le "cappelle" laterali, possiamo pensare che le lastre di recinzione della seconda fase fossero quattordi-ci, distinte in piu gruppi, rispettivamente di due lastre - nei lati corti della parte occidentale delle "cappelle" laterali e nella recinzione che chiudeva la parte absidale - e di tre, nei lati lunghi delle stesse "cappelle". Secondo questo schema, fondato sulle basi esistenti dei pilastrini e la relativa lunghezza delle lastre, vi sarebbero stati 8 plutei nella parte rivolta verso il quadratum populi e sei nelle recin-zioni interne della parte presbiteriale. E possibile che queste ultime fossero piu semplici. In base ai frammenti rimasti - gia nel muro di spina - e possibile ricostruire a grandi linee il disegno di alcune lastre, anche se non le loro dimensioni esatte. La larghezza corrispondeva ovviamente alla distanza tra i pilastrini, mentre l'altezza doveva aggirarsi tra gli 80 e il 90 cm. Ho supposto che fossero alte 85 cm in base alla misura della cornice superiore, liscia -che immagino uguale a quella inferiore - piu stretta rispetto alle cornici laterali. Non conosciamo l'altezza della recinzione del presbiterio delle aule Sud e Nord della basilica di Aquileia, ma a giudicare dalla fascia in marmo rosso di base essa doveva essere alquanto ridotta. La lastra dal monastero della Beligna, che riterrei databile alla fine del V secolo, e alta m 0,6946. La lastra con il cervo - di cui si e detto sopra - ora nel museo di Monastero m 0,82, esattamente come le lastre della cattedrale di Concordia. In linea di massima si nota un progressivo incremento dell'al-tezza, nel corso del tempo47. Va detto che non conosciamo i motivi decorativi delle lastre piu antiche (che peraltro potevano anche essere lignee), della prima recinzione di Monastero: se lapidee alcuni frammenti di esse potrebbero essersi conservati e finiti in mezzo al materiale frammisto e non riconosciuto dello stesso muro di spina. Per quanto riguarda le lastre della recinzione della seconda fase si possono individuare i seguenti tipi. Lastre di primo tipo, lato anteriore: sono rimaste parti di almeno tre lastre48, ma e possibile che fos- 46 Tagliaferri 1981, n. 310. 47 Ad esempio a Grado, S. Maria delle Grazie (Tagliaferri 1981, n. 622) l'altezza e di cm 82, mentre a S. Eufemia si va da cm 86 (Tagliaferri 1981, n. 521) a cm 97 (Tagliaferri 1981, nn. 519-520) e infine a Cividale, S. Maria in Valle a cm 98,5 (Tagliaferri 1981, n. 364). Ovviamente tali elementi possono avere solo valore indicativo. 48 A giudicare dai motivi che si ripetono e che in qualche modo paiono sovrapponibili. Fig. 5: La chiesa di Monastero. Lastra ricostruita, del primo tipo, parte anteriore. Sl. 5: Cerkev v Monasteru. Sprednja stran rekonstruirane kamnite plošče prvega tipa. Fig. 6: Frammenti di lastra dalla chiesa di S. Giovanni Evangelista di Grado (da Tagliaferri 1981). Sl. 6: Fragmenti kamnite plošče iz cerkve sv. Janeza Evangelista v Gradežu. _ Fig. 7: La chiesa di Monastero. 1 - lastra di primo tipo, lato posteriore; 2 - lastra di secondo tipo, parte anteriore. Sl. 7: Cerkev v Monasteru. 1 - hrbtna stran kamnite plošče prvega tipa; 2 - sprednja stran kamnite plošče drugega tipa. sero piu numerose. Ricostruisco qui alla fig. 5 un esemplare: e possibile che altri presentassero delle varianti. Una triplice fascia delimitava un rombo, al centro del quale vi era un cerchio circondato da una corona di petali al cui interno campeggiava una croce greca con bracci espansi alle estremita. Negli angoli in alto volatili (colombe?) e in basso pesci. Lastre di primo tipo, lato posteriore: a giudi-care dal frammento di maggiori dimensioni il lato posteriore aveva al centro una parte rilevata, diversa dalla forma delle cornici che troviamo in altri frammenti. Possiamo immaginare che si tratti dell'asta verticale di una croce (fig. 7). Lastre di secondo tipo, lato anteriore: al di sotto di una croce ansata a doppio contorno rimane a destra un pavone che tocca con la cresta il braccio orizzontale della croce e con il becco l'asta verticale (fig. 8). Altro pavone doveva trovarsi dall'altro lato in posizione speculare. In un altro frammento il braccio della croce e addossato al bordo superiore. Nella parte superiore vi e una serie di elementi vegetali. Sembra che i frammenti appartengano a piu lastre, con disegno leggermente diverso, poiche gli elementi vegetali non sono disposti tutti allo stesso modo. L'inserimento del pavone - o di altri animali - entro tralci di foglie e fiori e elemento molto comune che nasce gia nella prima meta del V secolo (S. Giovanni Evangelista di Ravenna) e continua nel secolo successivo: si ritrova a Grado49 (ffigg. 8, 9) e a Parenzo. Qui nella ricostruzione dell'ambone, eretto intorno al 558-560, secondo la proposta di Pascale Chevalier nelle lastre di base Tagliaferri 1981, n. 556, di incerta datazione. 1 49 Fig. 8: Frammenti dal lapidario di Grado. Sl. 8: Okrašena kamnita odlomka iz lapidarija v Gradežu. (da / po Tagliaferri 1981, nn. 556-555) Fig. 9: Capitello a doppia mensola del lapidario di Grado. Sl. 9: Kapitel z dvojnima nosilcema iz lapidarija v Gradežu. (da / po Tagliaferri 1981, n. 604) sarebbe stato raffigurato un pavone dinanzi a un elemento vegetale50. Una decorazione a tralci spe-culari si trova ai lati di una losanga nel dittico di Aerobindo, del 506. Nei nostri frammenti al centro della croce non compare alcun monogramma: forse la prassi di inserirli entro in uso in eta posteriore. Del pavone va notato l'occhio reso da un cerchio ai cui lati vi sono due linee orizzontali. Tale dettaglio non figura ne nell'altare gradese di Probino51 ne nella lastra, parimenti gradese, di S. Maria delle Grazie52. Degna di nota nel pavone da Monastero 50 Chevalier 1995, in part. 129, fig. 9. 51 Tagliaferri 1981, n. 647. 52 Tagliaferri 1981, n. 622. anche la resa del piumaggio che distingue il bordo dell'ala dal corpo; una resa simile si ritrova anche in una lastra di Parenzo. Lastra di secondo tipo, lato posteriore: si vede con chiarezza una croce ansata con bracci lisci. Altri frammenti di piccole dimensioni sono riconducibili a lastre con croce liscia. Lastre di terzo tipo (?): a motivo della frammen-tarieta dei resti, non siamo in grado di distinguere la parte anteriore da quella posteriore. l due lati potevano presentare motivi decorativi che non sono piü riconoscibili, poiche cio che rimane e troppo poco (tav. 5: 31). In teoria potrebbero appartenere anche alla recinzione piü antica, ma materiale e tecnica di lavorazione corrispondono agli altri frammenti. Un frammento reca poi traccia di un altro motivo, probabilmente un cantaro (tav. 5), ma la lettura a motivo dello stato gravemente frammentario e tutt'altro che certa. Un cenno particolare merita il nostro frammento n. 45 che si differenzia nettamente e per misure e per decorazione dagli altri (tav. 6: 45 a-c). Lo spessore ridotto nella parte centrale lo distingue dagli altri frammenti di lastre di recinzione: esso appartenne a una struttura quadrangolare, di cui rimane un angolo. ll tipo di cornice e diverso rispetto ai frammenti di lastra di cui ci siamo qui occupati, peraltro il materiale sembra lo stesso marmo della Propontide. Sul lato un incavo verticale corre al centro della parte rimasta. Potremmo forse pensare a un altare di tipo cosi detto ravennate, sul tipo di altri diffusi nella prima meta del Vl secolo 1 Fig. 10: Profili di cornici. 1 - capitello (cat. n. 4); 2 - profilo della cornice anteriore e posteriore della lastra di recin-zione (cat. n. 6): la parte piatta, sulla destra del profilo, corrisponde al pesce [2a]; al di sotto nella medesima lastra fascia laterale del motivo a losanga (piatta, a destra) [2b] e fascia centrale (arrotondata, a sinistra) [2c]; 3 - profilo del pezzo descritto nel cat. n. 46. Sl. 10: Preseki kamnitih okvirjev. 1 - kapitel (kat. št. 4); 2 - profili okvirjev na sprednji in hrbtni strani plošče kamnite ograje (kat. št. 6): ploščat del na desni strani preseka ustreza ribi [2a]; spodaj presek iste plošče čez stranski del motiva romba (ploščat, na desni) [2b] in čez sredinski del (zaobljen, na levi) [2c]; 3 - presek odlomka s kat. št. 46. nell'area altoadriatica, da Ravenna a Pola e in altri centri della Venetia53, o ad altra struttura simile, per quanto la parte rimasta sia molto ridotta e consenta solo vaghe ipotesi. Le cornici polito e lucido come nelle lastre dell'area greca o sotto l'influsso della cultura greca. Dopo la cornice esterna compare un listello obliquo. Dai profili che qui si presentano (fig. 10) si ricava qualche variante sia nella larghezza delle fasce sia nella loro disposizione. Anche nei capitelli sotto la fascia superiore vi e una fascia obliqua, come nelle cornici delle lastre di recinzione. Gli spigoli, che ora sono rovinati e arrotondati, in antico dovevano essere aguzzi. Le cornici hanno confronti locali, dal mona-stero della Beligna54 e a Grado, in pezzi che sono stati finora generalmente datati alla meta o prima meta del VI secolo55. Una certa somiglianza vi e in una lastra della cattedrale di Santa Maria di Pola (datata verso la meta del VI secolo), ove peraltro i listelli interni sono due. Nell'area sotto l'influsso costantinopolitano esistono numerosi esempi di cornici simili, ad esempio nel museo di Varna, in Bulgaria56, nel lapidario di S. Stefano a Mesembria 57, nella Muradyie di Bursa58 e nel museo archeologico di Istanbul59. Lo spessore delle lastre Nei diversi frammenti lo spessore varia, in genere attestandosi intorno a cm 7,5-7,8 per la parte interna liscia per arrivare a 8 e poco piu (8,2) nella cornice esterna e nelle parti a rilievo. In un solo caso arriva a 11 cm, nella parte superiore del frammento che ritengo possa presentare l'ansa di un cantaro (tav. 5: 31). Un caso particolare e il frammento angolare che, sia pure con molti dubbi e molta cautela, proporrei di intendere come parte di un altare; lo spessore della parte interna e molto ridotto, limitandosi ad appena 3,2 cm (tav. 6: 46b). Dai frammenti delle lastre di Monastero ricaviamo la larghezza delle cornici esterne. Quelle laterali misurano da 11, 8 a 12, 4 cm. In un frammento l'altezza della cornice inferiore e di 10 cm, invece in altri la cornice superiore misura da cm 7,8 a cm 9,5. Cio significa che ogni lastra aveva un suo proprio disegno, non totalmente standardizzato. Il bordo superiore delle lastre aveva i margini arrotondati ed era lisciato: si vedono tre diverse fasce parallele prodotte dagli strumenti per la lisciatura, ma il bordo stesso non appariva cosi 53 Un elenco in Brogiolo, Chavarria Arnau, Marano 2005; Chevalier 2013, 47, nota 3. Il motivo della losanga Il motivo della losanga ha un utilizzo molto ampio. Nei mosaici aquileiesi va dall'inizio del IV secolo (aula Sud), fino alla prima fase del pavimento di Monastero (eta di Cromazio?) poi ancora alla 54 Tagliaferri 1981, n. 310. 55 Ad es. Tagliaferri 1981, nn. 554 (lapidario), 618 (S. Giovanni Evangelista), 623 (S. Maria delle Grazie) e 656 (pilastrino). 56 Cfr. Barsanti 1989, figg. 130 e 160. 57 Barsanti 1989, fig. 150. 58 Barsanti 1989, fig. 161. 59 Barsanti 1989, fig. 149. seconda fase dello stesso edificio. Nel VI secolo ricompare nei pannelli decorativi di San Vitale a Ravenna e di Parenzo, ove ha andamento differente della parte centrale. Nel pavimento musivo della prima fase della stessa basilica di Monastero - che oggi si preferisce datare all'eta di Cromazio60 - la losanga - o il rombo - con quattro triangoli che riempiono i vertici altrimenti vuoti forma mediante l'accostamento di quattro di essi un motivo a croce. La losanga ha i listelli interni distinti e accostati tra loro (o sovrapposti?) e quindi non presenta una fascia continua come nei rilievi lapidei di Monastero. Una serie di rombi appare anche nel mosaico pavimentale della seconda fase, disposti questa volta a cornice, quasi a suggerire una transenna. Nella decorazione scultorea l'unione di un rombo o di una losanga al centro di una lastra e l'inserimento di triangoli ai quattro lati e motivo ricorrente nell'arte bizantina dalla fine del V alla meta del VI secolo. La losanga o rombo puo trovarsi in lastre di forma quadrata, come sui rilievi della cosi detta Loggia dell'imperatrice nel matroneo della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, in uno del Bode Museum di Berlino e in altro del Museo bizantino di Atene; esso appare anche a Corinto, come pure dopo il Mille nell'iconostasi della Palagia a Salonicco. Piu comune e la pre-senza in lastre rettangolari, in cui la losanga puo allungarsi, presentare motivi decorativi ai vertici, riempirsi di fiori o animali; basti pensare ai rilievi delle basiliche A e B di Nicopoli, A di Amfipoli, A di Nea Anchialos, A e C di Filippi, all'ambone di Santa Sofia a Salonicco e via dicendo. Tale mo-tivo e comune anche nella costa dell'Asia Minore a partire dal martirion di Antiochia, variamente datato, per arrivare a Elaiussa Sebaste61 e ad Efeso. Gli artisti della prima eta bizantina sapevano usare con grande duttilita il motivo; molto spesso i lati dei rombi o delle losanghe presentano un forte rilievo, a sezione semicircolare, mentre tutta la superficie risulta lisciata con grande cura. Lastre del genere - parte di un complesso attribuito all'arte bizantina, precisamente costantinopolitana, dell'XI-XII secolo62 - sono inserite nel muro meridionale del tesoro della basilica di san Marco, a Venezia. 60 Riporto qui l'opinione che ho sentito esprimere in un incontro pubblico da parte della dott. Marta Novello. 61 Equini Schneider 2003, 240, fig. 180. 62 Cosi Zuliani 1970 con riferimento alle lastre con pavoni e grifoni affrontati araldicamente. La data e accolta da Tigler 1995, 220, che attribuisce il rivestimento della parete al terzo quarto del XIII secolo, con lastre recuperate "gradualmente" a Costantinopoli tra 1204 e 1261. Solo lo Nell'area adriatica il motivo non e affatto sco-nosciuto. Lo troviamo nella basilica di S. Apollinare Nuovo, datata all'eta teodericiana63, ma anche ad Ancona, in una fase ritenuta pertinente al periodo bizantino e forse riconducibile a Narsete64. Il con-fronto piu vicino e ancora una volta con Concordia, dove troviamo il motivo del rombo orizzontale, con simili animali agli angoli (fig. 3). A Concordia pero la lastra, di lunghezza doppia, e divisa in due parti, ciascuna con un rombo. Inoltre a Concor-dia nelle lastre di recinzione abbondano i motivi figurativi, che a Monastero sono alquanto scarsi e in posizione marginale. Si possono indicare altri dettagli, resi in maniera diversa. Ad esempio ad Aquileia le zampe del volatile sono piegate, mentre a Concordia sono diritte. Le tre fasce della losanga a Concordia hanno uguale larghezza, mentre ad Aquileia quella centrale e piu larga. A Concordia i pesci hanno forma diversa e via dicendo. Quindi un medesimo schema fu realizzato localmente con minime varianti, come del resto abbiamo constatato nei capitelli della medesima fase a Monastero. In particolare l'unione di losanga, pesci e volatili non sembra presente nell'area dell'impero d'Oriente e sembra doversi ritenere invenzione di maestranze attive in loco che ripresero motivi orientali e li resero con sensibilita locale. Ad Aquileia e a Grado il disegno della losanga e reso in maniera molto schematica, riducendo e semplificando i motivi decorativi e appiattendo le superfici, come se lo schema fosse tratto da schizzi. Ad Aquileia la fascia interna, piu larga, ha profilo curvilineo, mentre le due bande laterali sono piatte superiormente. Un confronto si ha con uno dei due frammenti gradesi che, rinvenuti in giacitura secondaria e pertanto fuori opera, sono comune-mente attribuiti alla fase della vicina chiesa di S. Giovanni Evangelista attribuita al tempo del vescovo Macedonio65 (fig. 6). Qui le bande parallele sono tutte appiattite e di pari larghezza. Occorre tuttavia fare attenzione, poiche vi e qui una doppia ipotesi, relativa alla provenienza (possibile) e alla datazione schema generale si rifa a quello antico, ma la resa degli elementi vegetali nei triangoli, agli angoli e nella losanga centrale, nonche la resa del rilievo sono completamente diversi. Si veda anche Rebaudo 2012, 154, nota 25. 63 Cfr. Rizzardi 1999. 64 Marano 2008, 166. 65 La notizie e riferita nella cronaca del Dandolo. Sui problemi cronologici che comporta il suo episcopato si espresse gia Klebel 1953, part. 339-341 proponendone una durata dal gennaio 534 al giugno 557; su questa si vedano da ultimo Cosentino 2000; Pietri 2000; Borghese 2007. (probabile) della lastra. Sembra comunque di poter ricavare da cio l'informazione che Macedonio avrebbe commissionato la costruzione di almeno una chiesa a Grado: forse non e del tutto azzardato supporre che egli possa aver provveduto alla costruzione di altri edifici ecclesiastici in Aquileia66, stante da un lato il suo stretto rapporto con l'amministrazione bizantina, rappresentata da Narsete, e dall'altro il fervore edilizio espresso proprio in Aquileia dall'erezione delle mura a salienti triangolari. La data dell'episcopato di Macedonio e attualmente molto discussa, comunque va posta nei decenni centrali del VI secolo. Abbiamo elementi cronolo-gici da fonti molto tarde. La cronica del Dandolo riporta la sua elezione all'anno 539 e questa data fu accolta dal de Rubeis, che mette in evidenza anche i suoi stretti rapporti con Narsete (evidentemente dopo il 551)67. Va ricordato che questi fu vescovo di Aquileia quando non era ancora in atto la di-visione amministrativa (e religiosa) tra Aquileia e Grado, sicche e da ritenere che tra le due citta vi fosse comunanza di intenti e di gusti. La dichiarata origine macedone di Macedonio potrebbe indurre a ipotizzare una cultura architettonico-figurativa del vescovo stesso o comunque del suo "entourage" orientata secondo i dettami dell'arte sacra di quella regione, ma secondo il Dandolo anche l'arcivescovo Marcelliano era origine Thesalonicus68, il che au-torizza a supporre che gli influssi bizantini siano venuti dalla Grecia ancora alla fine del V secolo . II rinnovo della chiesa di Monastero L'intervento della seconda fase ebbe un forte valore innovativo. Pur rimanendo l'edificio inalterato nella sua superficie, ebbe una tripartizione in navate, una diversa copertura, sostenuta da pilastri di altezza ineguale, e la sopraelevazione della parte presbi- 66 E solo ipotesi moderna che lo stesso Macedonio abbia fatto erigere il monastero benedettino maschile della Beligna. Per questo si rimanda a Menis 1970, 82 e Buora 1979, 460. E tuttavia molto significativo che dalla chiesa dello stesso monastero provenga una intera lastra di recinzione, peraltro con motivo iconografico completamente diverso (Tagliaferri 1981, 202, tav. LXXX: 310). 67 De Rubeis 1740, 189. Il Paschini nella sua ricostruzione della storia del Friuli glissa su questa figura fino al momento dello scoppio dello scisma e forse in questo fu influenzato da una visione ortodossa che (inconsciamente?) lo portava a distaccarsi dal personaggio che poteva essere ritenuto in parte responsabile della separazione da Roma. 68 Danduli Chronica, VI, 10. teriale - di superficie enorme, non paragonabile a quella di altre chiese aquileiesi - e poi ancora della parte absidale. Il presbiterio sopraelevato rimase in funzione insieme con il primitivo pavimento "cromaziano", dato che nei tratti superstiti delle pavimentazioni nella navata centrale si vede chia-ramente il cocciopesto cinquecentesco posto sopra una pavimentazione in lastre di pietra che si deve datare all'eta romanica, piu precisamente popo-niana, cui risalgono anche numerosi capitelli, che riecheggiano in piu varianti i motivi della maggiore basilica. La pianta dunque che l'edificio ecclesiastico ebbe nella sua seconda fase rimase sostanzialmente immutata, pur nella diversa articolazione della parte superiore e nella nuova pavimentazione in lastre di pietra della fase poponiana69. Tale rimase anche dopo la costruzione cinquecentesca del muro trasversale, fatta per obbedire alle disposizioni del concilio di Trento, segno che rispondeva a precise esigenze di carattere cultuale. Riteniamo che tali esigenze siano spiegabili solo con una destinazione monastica, come giustamente ipotizzato da Giovanni Battista Brusin fin dal 195770. Lo studioso ritiene che il monastero accogliesse monaci dell'ordine benedettino. Ma qui non vi fu mai un monastero maschile: esso si trovava invece alla Beligna ove, secondo la tradizione raccolta dal Dandolo71, sarebbe gia stato creato nel penultimo decennio del V secolo, da parte dell'arcivescovo Marcelliano. Ne sembra possibile parlare di ordine benedettino, la cui diffusione e generalmente posteriore. Pare piu logico pensare invece che le modifiche intervenute con la seconda fase della chiesa siano state effettuate per una comunita monastica femminile; qui le mo-nache (benedettine, questa volta) rimasero in effetti fin quasi alla fine del XVIII secolo. In Europa sono attestati piu monasteri femminili specialmente dopo la formulazione da parte di Cesario di Arles della Regula ad virgines diffusa nel secondo decennio del VI secolo, ma certo altri potevano esistere anche in precedenza. Il personale di un monastero necessi-tava di ampio spazio per le preghiere comuni e la 69 Da un resoconto dell'Asquini, di fine Settecento, vi e notizia che nella pavimentazione vi era almeno un'epigrafe antica (Vale 1950, 54; si tratta di CIL V, 7989), certamente riutilizzata al tempo di Popone. 70 Brusin, Zovatto 1957, 301 (e anche 330) ipotizzano che il monastero sia stato utilizzato prima da "monaci senza dubbio benedettini" e poi dalle monache. L'ipotesi, peraltro non documentata, contrasta con la sicura presenza del monastero della Beligna, probabilmente anteriore e certamente maschile. 71 Vedi nota 67. partecipazione collettiva ai riti sacri: si comprende molto bene, percio, come la parte presbiteriale abbia mantenuto la medesima funzione dopo il 1563, quando la parte destinata al popolo, rimasta a un livello piu basso, fu definitivamente interdetta alla zona riservata alla clausura. Datazione della seconda fase della chiesa di Monastero Se effettivamente vi fu - come sono propenso a credere - un'importazione di materiale dalle cave della Propontide, essa dovette avvenire con il consenso del potere imperiale. Cio sarebbe forse potuto accadere prima dello scoppio della guerra tra Goti e Bizantini, nel 535, e probabilmente dopo che il successore di Marcelliano si trasferi di nuovo ad Aquileia, con l'intento di rinnovarla, almeno in parte, all'inizio del VI secolo. Nel 524 la regina Amalasunta chiese all'imperatore d'Oriente marmi per le chiese che stava costruendo72: probabilmen-te la prassi era da tempo in uso. Come si e detto sopra alcuni studiosi ritengono che il mosaico della seconda fase della chiesa di Monastero sia databile entro la fine del V secolo73. Se questo e vero dovremmo supporre che i lavori nel mona-stero, molto probabilmente femminile, siano stati eseguiti in contemporanea rispetto all'erezione del monastero maschile della Beligna. Le notizie del Dandolo sul monastero maschile della Beligna sono molto precise e riferite agli anni 485-489, ovvero prima della venuta di Teodorico, nel breve periodo in cui il vescovo Marcelliano sarebbe rimasto ad Aquileia. Allo stesso episcopo potrebbe cosi essere assegnata la chiesa di S. Maria delle Grazie a Grado. Preferisco immaginare che la chiesa di Monastero - in connessione con la relativa struttura ecclesia-stica, - sia stata costruita dopo che il successore Marcellino ebbe deciso di risiedere stabilmente in Aquileia, ovvero a partire dal primo decennio del VI secolo. Piacerebbe nondimeno datare l'arredo lapideo all'eta bizantina, ovvero al secondo terzo del secolo, in coincidenza con il grande fervore che in quel tempo si ebbe in Aquileia e di cui e chiara testimonianza la colossale impresa della costruzione delle mura a zigzag. Cio si accorderebbe con una radicata tradizione che attribuisce a Narsete la ri-costruzione di molte chiese e non solo in Aquileia, ma certo non sappiamo quanto questa tradizione, spesso istintivamente respinta da molti studiosi, possa essere precisa. Inoltre le quote delle recinzioni e dei pilastri fanno comprendere che l'arredo lapideo fu contemporaneo all'esecuzione del mosaico della seconda fase. Il vescovo Marcellino viene presentato dalle fonti come seguace del cattolicesimo ortodosso. Ne consegue che, se l'opera si deve al suo tempo, va esclusa la sua appartenenza alla comunita ariana che poteva esistere anche ad Aquileia. I confronti delle nostre lastre con motivi bizan-tini sono molto stretti, ma anche generici: certo circolavano modelli, in area adriatica, nondimeno si riscontrano qui anche indubbi elementi di originalita. Tale ad esempio il caso dei capitelli completi superstiti dei pilastri, che mostrano affinita con il capitello concordiese che reca il nome di Faustiniana. II disegno delle lastre di recinzione con la croce e i pavoni si arricchiva anche di tralci laterali che richiamano in maniera strettissima modelli gia del V secolo (capitelli di S. Giovanni Evangelista di Ravenna) e vediamo riproposti in un pulvino recuperato negli scavi di S. Maria delle Grazie a Grado. Al di la del motivo iconografico, che nelle lastre di Monastero presenta alcune variazioni, ad esempio nella resa del fogliame, piu sviluppato volumetricamente e rilevato anziche incavato, sono sorprendenti le affinita ad esempio nella resa con tratti paralleli obliqui sull'ala e segni a V nel corpo del pavone, al punto da far ritenere che il pulvino e la lastra possano essere frutto di una bottega che operava in anni molto vicini. Il pulvino gradese e datato tra gli ultimi decenni del V e i primi decenni del VI dal Tagliaferri74. Se questo e vero, potremmo supporre che subito dopo la costruzione della chiesa di S. Maria delle Grazie di Grado si sia messo mano alla seconda fase di Monastero. IL RINNOVO DELL'ARREDO LAPIDEO NELLA BASILICA DI AQUILEIA E NELLA CHIESA DI MONASTERO NEL V E VI SECOLO. CONCLUSIONI Certamente la basilica maggiore di Aquileia fu oggetto di interventi anche nei secoli V e VI: di essi abbiamo un'idea relativa a modificazioni strutturali e al rifacimento della pavimentazione musiva. Gli scarsi frammenti attribuibili a quel periodo non consentono per ora una ricostruzione 72 Marano 2008, 164. 73 Cosi Caillet 1993, 192; Cantino Wataghin 2006, 308. 74 Tagliaferri 1981, 388-390, n. 604, ove peraltro intende come colombe i due volatili che dal confronto con le nostre lastre appaiono chiaramente essere pavoni. organica dell'arredo, anche se probabilmente molti dei frammenti di lastre di ignota provenienza possono appartenere a quell'edificio. Sulla base di un frammento, sicuramente proveniente dalla basilica e riconducibile alla pavimentazione di eta rinascimentale, ho tentato di accostare altri elementi di recinzione. Si tratta certo di un'ipotesi, forse meritevole di essere approfondita. Migliore e la situazione per quello straordinario palinsesto che e la chiesa di Monastero ove la si-tuazione e invertita rispetto a quella della basilica: mancano gli strati e l'arredo piu recenti, mentre si conservano parti della prima e della seconda fase. Parte della decorazione lapidea della seconda fase, coerente nel materiale, nella esecuzione e nei motivi, fu inglobata alla fine del Settecento nel muro di spina e, dopo la sua demolizione avvenuta nel 1959, fu portata in museo, dove e rimasta inedita fino ad oggi. Dei 14 pilastrini dell'iconostasi rimangono alcune parti in opera, mentre dei 14 capitelli restano fram-menti di tre; rimane pure parte di una colonnina. Infine ai capitelli noti, gia posti sopra i pilastri che sostenevano la nuova copertura, va aggiunto il frammento di un altro. Per le lastre di recinzione e forse possibile che alcuni frammenti lisci non siano stati riconosciuti e/o recuperati, benche quanto e giunto fino a noi riveli un'attenta raccolta. Si tratta di disiecta membra fortunosamente conservati e fino ad oggi non considerati, benche siano in grado di offrirci una serie notevole di informazioni. In primo luogo riusciamo a contestualizzare una serie di frammenti che finora nella letteratura specialistica erano indicati con provenienza ignota. Rispetto ai cinque finora editi dal Tagliaferri, il loro numero e di molto aumentato: qui mi sono limitato a presentare una quarantina di quelli piu significativi. Si precisa cosi l'acuta intuizione cronologica dello stesso Tagliaferri, che egli non riusci a sviluppare. Per quanto la datazione sia difficilmente precisa-bile, essa non si allontana dall'inizio del VI secolo, ovvero dall'eta di Teodorico, che pur ariano, fu anche prodigo nel favorire la costruzione di chiese. Se questo, come credo, e vero, si comprende meglio la storia del monachesimo in Aquileia. Per quanto occorra sempre grande cautela quando si ricorre a fonti molto recenti, acquista maggior peso la notizia offerta dal Dandolo circa la costruzione di un monastero maschile alla Beligna, cui conviene una lastra di pluteo gia attribuita alla prima meta del VI secolo, che propongo di anticipare alla fine del V75. Nello stesso torno di tempo, forse con il vescovo successivo, anche Monastero ebbe la sua chiesa (e forse anche la relativa struttura mona-stica probabilmente femminile, che si sarebbe poi conservata in loco fino alla fine del Settecento). I pochi frammenti consentono di recuperare il disegno di alcune lastre di recinzione. Un tipo era molto simile a una lastra della cattedrale di Con-cordia, segno della circolazione di cartoni nell'area altoadriatica. Altri frammenti presentano disegni diversi, ad esempio la croce affiancata da pavoni e da tralci o in campo libero e forse un cantaro in posizione centrale: in linea di massima sembra che le lastre siano piu sobrie rispetto alla ricchez-za figurativa di quelle concordiesi. Le lastre - ad Aquileia come a Concordia - con la losanga, le colombe e i pesci, sembrano ispirate a un modello locale altoadriatico che non ha confronti nell'area del Mediterraneo orientale. Per quanto il materiale sia, da quanto si puo valutare a vista d'occhio, il marmo proconnesio dalle cave della Propontide, l'esecuzione si deve a maestranze locali che non seppero (o non vollero?) rendere la superficie liscia e l'arrotondamento di certe parti, come si vede in molte lastre ad es. di Filippi. Ci si domanda se in un periodo in cui a capo della chiesa locale vi furono vescovi di ori-gine greca e tessala, possano essere stati importati modelli da quelle regioni, resi tuttavia da scultori locali meno raffinati. Emerge con chiarezza la grande differenza stilistica tra le lastre del primo gruppo, che ipoteticamente ho attribuito alla basilica, e quelle del secondo gruppo, certamente appartenute all'arredo della seconda fase della chiesa di Monastero. Se veramente queste ultime sono databili all'inizio del VI secolo, come sono convinto, se ne possono ricavare conseguenze non di poco conto per la conoscenza della storia della citta di Aquileia. In primo luogo emerge una cospicua importanza -anche numerica oltre che certamente economica - del clero, non solo quello secolare: infatti da quel tempo sarebbero da considerare attive e presenti la comunita monastica maschile alla Beligna e quella femminile a Monastero. Accanto al clero va ricordata la presenza di una elite - certamente fedele all'ortodossia - dotata di notevoli mezzi economici che poteva finanziare un'opera costosa come il rinnovo-rifacimento della chiesa, di cui ci rimane testimonianza solo nella superstite iscrizione musiva dei donatori nella parte meridionale del Tagliaferri 1981, n. 310. 75 mosaico della seconda fase. Entrambe queste com-ponenti della societa avevano certo buoni rapporti con Teodorico e la sua corte e anche con la corte costantinopolitana, come indicano senza ombra di dubbio i marmi importati dalla Propontide. Cio significa, credo, che anche a quell'epoca Aquileia era una citta di non secondaria rilevanza dotata di un porto cui potevano arrivare carichi pesanti e delicati come il marmo proconnesio. Presupposto di questi lavori e la presenza in loco non solo di uno o piu abili capomastri, ma anche di murato-ri, mosaicisti, scultori (forse anche pittori?) che conoscono i motivi e gli stili dell'arte ravennate e costantinopolitana, ma li sanno interpretare anche in maniera originale. Infine, e la cosa non sembri di minore importanza, nel campo artistico (ed evidentemente anche in altri ambiti come le fonti medievali ci fanno intuire) i rapporti tra Aquileia e Grado erano strettissimi. Alla buona memoria di Giovanni Battista Brusin e Luisa Bertacchi B. M. Ringraziamento Ringrazio la dott. Paola Ventura, direttrice del Museo archeologico nazionale di Aquileia, e la dott. Elena Braidotti, sua collaboratrice, nonche tutto il personale del Museo archeologico nazionale per la gentilezza mostrata nelle fasi di riscontro del materiale. * Nota: L'inventario distingue frammenti di capitello e di "capitellino" ed elenca altri frammenti di capitello che non sono riuscito a rintracciare: n. 59.446, 25 x14 x 6; n. 59.480, 19 x 12 x 7. Capitelli di minori dimensioni Ciascun capitello ha misure diverse e anche l'altezza della fascia liscia superiore varia. Alcuni dettagli, come lo stelo centrale, risultano poi lavorati in maniera diversa. In conclusione, per quanto il materiale sia identico, ogni capitello fa parte a se, sia per disegno, sia per lavorazione sia per dimensioni. In comune con i frammenti di pluteo, di cui sia parla sotto, e la resa a spigoli vivi del rilievo e anche l'andamento delle superfici oblique. 2. Inv. n. 59.599 (?); 12,7 x h totale 8 x h fascia 2,2*. Rimane solo un lato (tav. 1: 2). Bibliografia: Tagliaferri 1981, 162, n. 219. * Nota: Nell'inventario il pezzo - se effettivamente esso corrisponde a quello inventariato con questo numero - e descritto come "frammento di pietra con decorazione a treccia"; le misure grosso modo corrispondono. 3. Inv. n. 59.484; 12,4-12,6 x h totale 11 x h fascia 3 x spessore 6,5. Rimane solo un lato (tav. 1: 3). Il capitello e spezzato al centro in corrispondenza del foro superiore per il fissaggio dell'architrave. La resa dello stelo centrale, come quella delle foglie laterali, e diversa rispetto agli altri due esemplari. Bibliografia: Tagliaferri 1981, 162, n. 220. 4. Inv. n. ? (= 59.483?); 10,4-10,6 x h totale 8; h fascia superiore 3,6 x spessore 6 (tav. 1: 4a,b) foro superiore (con apertura di 2,2 x 2,2, profondita 2,8) per il fissaggio dell'architrave. Bibliografia: Tagliaferri 1981, 161, n. 218 (pero con misure diverse). CATALOGO dei frammenti significativi per la decorazione della seconda fase della chiesa di Monastero Le misure sono in centimetri: precede l'altezza. I numeri delle tavole corrispondono a quelli del catalogo. Frammento di colonnina (probabilmente per iconostasi) 5. Inv. n. non noto; 27 x diam. 10,2 (tav. 1: 5). Probabilmente si tratta del n. 59.474 le misure del quale sono riportare nell'inventario come 23 x 10. Sono net-tamente visibili le linee oblique del marmo proconnesio. Capitello di pilastro 1. Inv. n. 59.579; l'inventario riporta le seguenti misure 18,5 x 14 x 11, mentre il Tagliaferri da 22 x 13 x 10*. Non vidi (tav. 1: 1a). Il numero garantisce la sua provenienza dal muro di spina. Non risulta accettabile la "datazione generica al VI-VIII secolo" riportata dal Tagliaferri. Il confronto con il capitello in opera (tav. 1: 1 b) rivela l'appartenenza alla medesima serie. Bibliografia: Tagliaferri 1981, 169, n. 242. Lastre di recinzione Primo tipo 6. Inv. n. 59.549 (?); lungh. 58,5 x h 18,5 x 7,5-8,0.Su di essa oggi non e leggibile alcun numero di inventario. Facevano parte della medesima lastra due frammenti che appartengono alla parte centrale (qui catalogo nn. 7 e 8, riprodotti insieme al pezzo di maggiori dimensioni) e si sono staccati seguendo le linee di frattura del marmo, ancora visibili nel pezzo (tav. 2: 6a,b). Presenta sul lato sinistro (di chi guarda) parte della cornice, separata da un listello obliquo dal campo ove si vede parte di un rombo formato da due listelli tra i quali si trova una fascia piü larga a sezione curva. Nel rombo centrale compare un cerchio, circondato da petali semi-circolari: al centro vi e una croce greca con bracci espansi alle estremita. Nel triangolo inferiore sinistro parte della coda, una pinna e accenno alla testa di un pesce. Nella faccia posteriore: specchiatura liscia interrotta nella parte centrale da un'asta verticale, probabile parte di una croce. Bibliografia: Tagliaferri 1981, 178, nota 1, tav. LXlV; Buora 2015, in stampa. 7. lnv. n. 59.593 (?); (nel'inventario manoscritto riporta le misure 10 x 7 x 6); 7 x 10 x sp. 8 (tav. 2: 6a). ll numero e parzialmente leggibile nelle ultime cifre; le linee di frattura corrispondono esattamente ad altre del maggiore frammento qui catalogato al n. 5. Presenta la parte sinistra del tondo centrale. Bibliografia: inedito. 8. lnv. n. 59.620 (?, nell'inventario manoscritto le misure per questo numero sono indicate come 13 x 8,5 x 8); 11,5 x 7,8 x sp. 7,8 (tav. 2: 6a). Parte del riquadro centrale, romboidale, della lastra precedente, con parte del braccio sinistro della croce. Bibliografia: inedito. 9. lnv. n. 59.467; 24 x h 34 x sp. 7,8; definito nell'inventario manoscritto "frammento di sarcofago con sagoma di scorniciature parte di altra lastra" (tav. 2: 9a,b). Lungo il bordo sinistro parte della cornice esterna, con listello adiacente. Angolo del rombo centrale su cui poggia le zampe un palmipede (colomba?) che tiene la testa bassa, appoggiato alla triplice fascia obliqua della losanga centrale. Parte posteriore: cornice verticale formata da due listelli paralleli e campo liscio. Bibliografia: Buora 2015, in stampa. 10. lnv. n. 59.579; 14,5 x 10 x sp. 8,2-7,3 (tav. 2: 10a,b). Parte di nastro obliquo sotto il quale si trova la parte superiore di un pesce con la pinna dorsale. ll dislivello tra la parte sporgente e quella incavata e di 0,9 cm. La faccia posteriore e liscia. Bibliografia: inedito. Secondo tipo 11. lnv. n. non noto; 16 x 36 x sp. 8 (tav. 3: 11a,b). Parte centrale di pluteo con braccio sinistro della croce, al di sotto del quale si trova un pavone; molto probabil-mente altro era nel lato opposto, in posizione araldica. Nella parte posteriore croce liscia, apparentemente al centro del campo. Bibliografia: Tagliaferri 1981, 268 (in nota). 12. lnv. n. non noto; 25 x 17 x 8 (tav. 3: 12a,b). Fr. di pluteo come il precedente, con parte superiore dell'asta verticale della croce, nel lato anteriore e in quello posteriore. Bibliografia: inedito. 13. lnv. n. non noto; 16 x 16,5 x 8 (tav. 3: 13a,b). Nel lato anteriore parte superiore dell'asta verticale della croce, a fianco della quale si trova una foglia di grandi dimensioni, curva e appuntita. Posteriormente asta superiore di una croce, liscia, nel campo liscio. Bibliografia: inedito. 14. lnv. n. non noto; 16 x 9,5 x 8 (tav. 3: 14a,b). Nel lato anteriore parte superiore dell'asta verticale della croce, a fianco della quale si trova una foglia di grandi dimensioni, cuirva e appuntita. Posterioremente asta superiore di una croce, liscia, nel campo liscio. Bibliografia: inedito. 15. lnv. n. non noto; 17 x 8 x 7,3-8,2 (tav. 3: 15). Parte superiore con ala di pavone disposta sul lato destro rispetto alla croce. Bibliografia: inedito. 16. lnv. n. non noto; 18 x 9 x 8 (tav. 3: 16). Parte superiore con ala di pavone e parte del fusto del tralcio, disposto sul lato destro rispetto alla croce. Bibliografia: inedito. 17. lnv. n. non noto; 14 x 6 x 8 (tav. 3: 17). Parte di ala e corpo di pavone disposti sul lato destro rispetto alla croce. Bibliografia: inedito. 18. lnv. n. non noto; 15 x 7 x 8 (tav. 3: 18). Parte superiore di zampe di pavone. Bibliografia: inedito. 19. lnv. n. non noto; 13 x 6 x 8 (tav. 4: 19). Zampa di pavone. Bibliografia: inedito. 20. lnv. n. non noto; 21 x 14 x 7,5-8,5 (tav. 4: 20). Frammento non ben interpetabile, probabilmente ap- partenente a una lastra di recinzione del medesimo tipo con pavoni. Bibliografia: inedito. 21. lnv. n. non noto; 14 x 10 x 8 (tav. 4: 21). Frammento di pluteo con parte (probabilmente inferiore destra) del tralcio decorativo, disposto sul lato destro rispetto alla croce. Bibliografia: inedito. 22. lnv. n. non noto; 6 x 8,5 x 7,4-8,0 (tav. 4: 22). Frammento troppo ridotto per poter essere interpretato: probabilmente parte della decorazione a tralci. Bibliografia: inedito. 23. lnv. n. non noto; 10,5 x 7 x 8 (tav. 4: 23). Pur nell'esiguita del frammento si vede un elemento conico della decorazione a tralci. Bibliografia: inedito. 24. lnv. n. non noto; 10,5 x 8 x 8,5 (tav. 4: 24). Una parte curva, alquanto sottile, si distacca da altra piü larga e liscia della decorazione a tralci. Bibliografia: inedito. 25. Inv. n. non noto; 18 x 8 x 8 (tav. 4: 25). Si riconosce solo una foglia curva appartenente alla decorazione a tralci. Bibliografia: inedito. 26. Inv. n. non noto; 17 x 8,5 x 8 (tav. 4: 26). Frammento in cattivo stato di conservazione e scar- samente leggibile: si nota un elemento curvilineo della decorazione a tralci, forse vicino alla cornice. Bibliografia: inedito. 27. Inv. n. non noto; 13 x 5 x 7,9-8,3 (tav. 4: 27). Infiorescenza (?) della decorazione a tralci. Bibliografia: inedito. 28. Inv. n. non noto; 22 x 22 x 8 (tav. 4: 28). Foglia appuntita della decorazione a tralci vicina a un angolo della specchiatura. Bibliografia: inedito. 29. Inv. n. non noto; 11 x 1 x 8 (tav. 4: 29a,b). Parte terminale a doppia punta della decorazione a tralci. Nella parte posteriore il campo e liscio. Bibliografia: inedito. 30. Inv. n. 59.574 c; 24,2 x 23,5 x 7,5 (tav. 4: 30a,b). Parte terminale a doppia punta della decorazione a tralci, come nel frammento precedente. Nella parte posteriore il campo e liscio. Bibliografia: inedito. Terzo tipo? 31. Inv. n. non noto; 24 x 12 x spess. 11 (tav. 5: 31). Frammento completamente diverso dagli altri, con sulla faccia principale una cordonatura curva che si ricollega a un corpo curvilineo a sinistra. Non puo che trattarsi dell'ansa di un cantaro, che evidentemente si trovava al centro della lastra. Da notare anche l'abbassamento della superficie a ridosso del supposto cantaro, in modo da farlo risaltare. Bibliografia: inedito. 32. Inv. n. non noto; 22 x 18, 5 x spess. 8 (tav. 5: 32a,b). Dall'immagine si vede bene come le due cornici sui lati, apparentemente identiche, siano in realta leggermente sfalsate tra loro. Il "codino" che si vede nell'angolo a destra in basso di quello che riteniamo possa essere il lato anteriore non appartiene certo a nessun animale: potrebbe essere un lemnisco oppure la parte terminale di un tralcio. Bibliografia: inedito. Non determinabili 33. Inv. n. non noto; 38 x 19 x 8; (tav. 5: 33a,b). E uno dei pochi frammenti che ci danno l'aspetto e le misure del bordo superiore della lastra. In una faccia la parte liscia esterna misura superioremente cm 7,8 ed e seguita da un listello di cm 3, mentre nell'altra faccia la fascia superiore e di cm 10,5 cui segue un listello di cm 2,8. I due campi, anteriore e posteriore, presentano qui solo superfici lisce. Bibliografia: inedito. 34. Inv. n. 59.616 (il numero non e ben leggibile: nell'inventario manoscritto a questo numero e riportata la dicitura "fr. di marmo scorniciato" con le misure 13 x 13 x 7); 13 x 13 x spessore 8,2-6,7 (tav. 5: 34a,b). Ampia (cm 10,5) cornice, piu alta di 1,5 cm rispetto al campo, con affiancato listello e altra fascia che delimita uno specchio a quota piu bassa. Parte posteriore liscia con lavorazione sommaria. Bibliografia: inedito. 35. Inv. n. 59.587; 16 x 19 x 8,5 (tav. 5: 35a,b). Parte di lastra che presenta una fascia rilevata cui aderisce parte di altro motivo a rilievo (il braccio di una croce?). La fascia centrale (verticale? Orizzontale?) e larga alla sommita cm 2,7. Parte posteriore liscia. Bibliografia: inedito. 36. Inv. n. [59]._8(?)7; 7 x 8 x spess. 8 (tav. 5: 36). Della decorazione nella faccia anteriore rimane solo una minima parte, forse pertinente all'angolo interno di una losanga, con una parte centrale a linee curve, o piuttosto terminazione del braccio di una croce, scandita da un profondo incavo triangolare. Bibliografia: inedito. 37. Inv. n. 59^.; 9 x 8 x spess. 8 (tav. 5: 37). Simile al precedente, con parte di cornice laterale. Probabile terminazione di croce. Bibliografia: inedito. 38. Inv. n. non noto; 15 (largh.) x 21(h) (tav. 5: 38a,b). Rimane solo, da entrambi i lati, la cornice esterna con parte del listello divisorio. Nella parte posteriore la fascia della cornice e piu larga arrivando a 14 cm contro i 10,6 della parte anteriore. Bibliografia: inedito. 39. Inv. n. non noto; 7,5 x 6 x 8 (tav. 6: 39). Rimane solo parte del listello divisorio. Bibliografia: inedito. 40. Inv. n. non noto; 5 x 5 x spess. 8 (tav. 6: 40a,b). Rimane solo il margine del campo sia nel lato anteriore che in quello posteriore. Tra i due vi e una leggera sfasatura. Bibliografia: inedito. 41. Inv. n. non noto; 10,5 x 12 x spess. 8,4-7,9 (tav. 6: 41a,b). Fascia a profilo trapezoidale con due profonde solcature laterali. La banda laterale ha andamento curvo. Probabil-mente si tratta di parte di una losanga. Bibliografia: inedito. 42. Inv. n. 59.41?; 9,5 x 5 x spessore 8,3-7,8 (tav. 6: 42). Rimane solo traccia di una figura curvilinea (forse un pesce? Oppure una parte di tralcio vegetale?). Bibliografia: inedito. 43. Inv. n. non noto; 5,5 x h 10 x spessore 5,8-5,5 (tav. 6: 43). Parte di doppio listello di una cornice. Bibliografia: inedito. 44. Inv. n. non noto; 9, 4 x h 4,4 x spessore 6,7 (tav. 6: 44). Nella parte anteriore (?) presenta un elemento a rilievo a profilo trapezoidale, ai lati del quale non vi e nulla. Ritengo possa essere il braccio o l'asta di una croce. Bibliografia: inedito. 45. Inv. n. non noto; 7 x h 12 x spess. 7,0-7,5 (tav. 6: 45). Rimane solo parte del bordo della cornice, che delimita uno specchio liscio. Bibliografia: inedito. 46. Inv. n. non noto; 15,8 x 7 x h 6,2-3,2 (tav. 6: 46a,c). Presenta un profilo a L, con un lato sagomato con un incavo centrale di cm 1,8. La parte posteriore e liscia, mentre quella anteriore ha una doppia cornice. II campo centrale e spesso solo cm 3,2. Colpisce l'esiguita dello spessore rispetto alle altre lastre. Bibliografia: inedito. Abbreviazioni CIL = Corpus inscriptionum Latinarum. Danduli Chronica = Andreae Danduli (E. Pastorello, ed.) Chronica per extensum descripta, Rerum Italicarum Scriptores (Bologna 1938). I.A. = J. B. Brusin, Inscriptiones Aquileiae (Udine 1991-1993). Notiziario 1966 = Notiziario. Monastero di Aquileia (Udine). Restauri dell'ex Folador. - Bollettino d'Arte 51, 195 (Roma 1966). 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Med najdenimi odlomki kamnitih spomenikov, ki so jih med konservator-skimi posegi izločili, sta trikotna ploščica (sl. 1: 1) in del ograje (odkrita v sekundarni legi, kot del tlakovanja, izvedenega konec 15. stoletja). Gre za ostanek prvotnega kiparskega okrasja iz 6. st. po Kr. Isti stavbi najverjetneje pripadajo tudi drugi odkriti odlomki kamnitih plošč, njihova natančna prvotna lokacija pa ni znana. Zaradi skromnega števila odkritih fragmentov, ki jih tudi lahko pripišemo najzgodnejšemu obdobju, ni mogoče v celoti rekonstruirati takratne cerkvene opreme. Avtor poskuša z analizo fragmentov, ki bi lahko bili del istega kamnoseškega okrasa, določiti še druge dele ograje (sl. 1: 2,3). Vsekakor gre za hipotezo, je pa ta vredna nadaljnje obravnave. Drugače je v cerkvi v bližnjem Monasteru, v nekdanjem samostanu, kjer je položaj ravno obrnjen kot v oglejski baziliki: manjkajo namreč novejši sloji in kamnita oprema, ohranjena pa sta tlak in del okrasja prve in druge faze. Konec 18. stoletja je bil kompleks preoblikovan v kmetijo, del cerkvenega prostora pa v klet za proizvodnjo in hrambo vina. Pri tem je bila stavba razdeljena v tri etaže, zgradili so tudi prečni oporni zid (it. muro di spina). V zid so vključili del kamnitega okrasja iz druge gradbene faze, skladen v materialu, izvedbi in motivih. Ko je stavba prešla v last države, so izvedli številna restavratorska dela, med drugim so leta 1959 porušili prečni zid. Med odpadnim materialom so izbrali najpomembnejše kose; te so sprva shranili v skladišču, nato pa izročili arheološkemu muzeju. Med omenjenimi kosi, inventariziranimi leta 1959, najdemo fragmente iz različnih obdobij: rimskodobne steklene predmete, reliefe iz karolinške dobe, kose renesančnega pohištva in lončenino iz 17.-18. st. Konsistentno jedro je zbirka odlomkov iz prokoneškega marmorja (kot taki so opredeljeni zgolj na podlagi avtopsije), ki sodijo med cerkveno opremo druge faze. Med gradivom je bilo najverjetneje tudi 14 stebričkov ikonostasa, od teh je nekaj delov še vzidanih, medtem ko so se od prvotno znanih 14 kapitelov ohranili le fragmenti treh (tab. 1: 2-4); ohranjen je tudi del stebrička (tab. 1: 5). K že znanim kapitelom, ki so postavljeni nad stebri za podporo nove strehe, lahko danes prištejemo še en fragment (tab. 1: 1b). Verjetno nekateri fragmenti gladkih pregradnih plošč niso bili prepoznani in/ali odkriti, vendar številčnost najdb kaže na zelo natančno zbiranje. Gre za fragmente (disiecta membra), ki so se na našo srečo ohranili, vendar do danes niso bili obravnavani, čeprav nam ponujajo pomembne informacije. Amelio Tagliaferri (1981) je v svojem korpusu zgodnjesrednjeveškega kiparstva v oglejski in gradeški škofiji prepoznal pomembnost nekaterih fragmentov, vendar mu ni uspelo končati študije ter razumeti obsega in izvora te zbirke. Avtorju članka je najprej uspelo umestiti skupino fragmentov, katerih lokacija je bila doslej v znanstveni literaturi opredeljena kot neznana. V primerjavi z zgolj petimi primeri, ki jih je objavil Tagliaferri, se je do danes njihovo število precej povečalo: prispevek se omejuje na predstavitev le štiridesetih najbolj reprezentativnih primerov. Tako je avtorju uspelo natančneje določiti datacijo, ki jo je že Tagliaferri predvideval. Kljub zahtevnosti kronološke umestitve lahko odlomke najverjetneje datiramo na začetek 6. st. oz. v čas Teoderika, ki je - čeprav arijanec - zelo podpiral gradnjo cerkva. Če datacija, kot avtor članka domneva, drži, lažje razumemo zgodovino meništva v Akvileji. S tem pridobi večji pomen podatek o postavitvi moškega samostana v Akvileji (v ulici Beligna), ki nam ga je posredoval kronist Dandolo. Iz samostana izvira plošča iz pluteja, ki je datirana v prvo polovico 6. st., a verjetno izvira iz poznega 5. st. Skoraj sočasno oz. mogoče v času naslednjega škofa so tudi v Monasteru zgradili cerkev - in torej tudi pripadajočo samostansko stavbo - verjetno žensko, ki se je ohranila in loco vse do konca 18. st. Maloštevilni ohranjeni fragmenti omogočajo rekonstrukcijo nekaterih pregradnih plošč. Del plošče na sl. 5 lahko primerjamo s podobno iz katedrale v Concordii (sl. 3), kar kaže na kroženje kamnoseških šablon na območju severnega Jadrana. Na drugih fragmentih zasledimo drugačne risbe, na primer motiv križa na praznem polju (sl. 7: 1) ali pa križ, obkrožen s pavi (sl. 7: 2) in viticami, lahko tudi motiv kantarosa v sredinski legi: zdi se, da je okras plošč iz Monastera nekoliko zmernejši v primerjavi s figuralnim bogastvom na ploščah iz Concordie. Tako plošče iz Akvileje kot tiste iz Concordie, na katerih so upodobljeni romb, golobice in ribe, kažejo najverjetneje na lokalni severnojadranski model, ki pa nima primerjav na območju vzhodnega Sredozemlja. Kolikor je mogoče oceniti, je uporabljeni material prokoneški marmor iz kamnolomov v Marmornem morju, vendar je bila izvedba prepuščena lokalnim obrtnikom, ki niso znali (niso želeli?) zgladiti površine in zaobliti nekaterih delov, kot je opaziti na številnih ploščah npr. iz Filipov. Postavlja se vprašanje, ali so bile v času, ko so lokalni cerkvi načelovali škofi grškega in tesalskega izvora, uvožene iz istih krajev tudi predloge za kamnite izdelke, ki pa so bili pod rokami lokalnih obrtnikov izdelani manj prefinjeno? Jasno se kaže slogovna razlika med ploščami prve skupine, ki so hipotetično pripisane akvilejski baziliki (sl. 1: 1-3 in 5), in tistimi druge skupine, ki so nedvomno pripadale opremi druge faze cerkve v Monasteru. Če je datacija plošč iz Monastera na začetek 6. st. pravilna, dobimo pomembne podatke za razumevanje in poznavanje zgodovine mesta Oglej. V prvi vrsti je opazen velik - tako po številu kot nedvomno po ekonomski vrednosti - pomen klera, ne zgolj neredovnega: upoštevati je treba namreč, da so od tistega obdobja delovale tudi samostanske skupnosti iz moškega samostana v Beligni in ženskega samostana v Monasteru. Poleg klera je treba omeniti še elito, nedvomno ortodoksno in oskrbljeno s precejšnjimi ekonomskimi sredstvi, s katerimi je lahko financirala draga dela, npr. prenovo oziroma predelavo cerkva. Dokazi teh daritev so se ohranili le kot mozaični napisi darovalcev v južnem delu mozaika druge faze. Obe omenjeni družbeni skupini sta imeli nedvomno dobre odnose s Teoderikom in z njegovim dvorom ter tudi z dvorom iz Konstantinopla, kar nedvomno potrjuje tudi marmor, uvožen iz kamnolomov ob Marmornem morju. Po avtorjevem mnenju to dokazuje, da Akvileja v tistem času ni bila obrobno mesto, temveč pomemben kraj s pristaniščem, v katerega so lahko priplule ladje s težkimi in krhkimi tovori, kot je prokoneški marmor. Iz tega lahko sklepamo, da ni obratoval in loco le en sposoben mojster, delovodja, temveč tudi zidarji, izdelovalci mozaikov in kiparji (mogoče tudi slikarji?), ki so poznali motive in umetnostne stile Ravene in Konstantinopla ter so jih bili zmožni tudi izvirno izvesti. Ob koncu je treba omeniti še, da so bili na umetnostnem področju (in očitno tudi na drugih področjih, kot lahko sklepamo iz srednjeveških virov) odnosi med Oglejem in Gradežem zelo močni. Prevod: Elena Leghissa Maurizio Buora Via Gorizia 16 I-33100 Udine mbuora@libero.it Tav. 1: La chiesa di Monastero. 1a - frammento di capitello edito da Tagliaferri (1981, n. 242); 1b - capitello in opera nella chiesa; 2-4 - frammenti di capitelli di iconostasi; 5 - frammento di colonnina. (Fr. 2-5 nel magazzino del museo archeologico nazionale di Aquileia). Scale differenti. T. 1: Cerkev v Monasteru. 1a - odlomek kapitela, objavljenega (Tagliaferri 1981, n. 242); 1b - kapitel, vzidan v cerkvi; 2-4 - odlomki kapitelov ikonostasa; 5 - odlomek stebrička. (Odlomki 2-5 so iz skladišča arheološkega muzeja v Ogleju). Različna merila. Tav. 2: La chiesa di Monastero. 6 - frammento di plutei del primo tipo (nella foto 6a sono accostati anche i frammenti cat. nn. 7 e 8); 9,10 - frammenti di lastre del primo tipo (tutti fronte e retro). Scale differenti. T. 2: Cerkev v Monasteru. 6 - odlomek pluteja prvega tipa (na sliki 6a so pridruženi tudi odlomki kat. št. 7 in 8); 9,10 - odlomka kamnitih plošč prvega tipa (povsod sprednja in hrbtna stran). Različna merila. Tav. 3: La chiesa di Monastero. 11-18 - frammenti di lastre del secondo tipo (11-14 fronte e retro). T. 3: Cerkev v Monasteru. 11-18 - odlomki kamnitih plošč drugega tipa (11-14 sprednja in hrbtna stran). Tav. 4: La chiesa di Monastero. 19-30 - frammenti di lastre del secondo tipo (29,30 fronte e retro). Scale differenti. T. 4: Cerkev v Monasteru. 19-30 - odlomki kamnitih plošč drugega tipa (29,30 sprednja in hrbtna stran). Različna merila. Tav. 5: La chiesa di Monastero. Frammenti vari di lastre di recinzione. I nn. 35-37 presentano parti di croce liscia a rilievo (32-35,38 fronte e retro). Scale differenti. T. 5: Cerkev v Monasteru. Različni odlomki plošč kamnite ograje. Št. 35-37 predstavljajo dele reliefnega križa z gladko površino (32-35,38 sprednja in hrbtna stran). Različna merila. Tav. 6: La chiesa di Monastero. Frammenti di lastre di recinzione, i n. 41 e 44 con parte di croce. 46a-c - frammento di tipo diverso e per il profilo della cornice e per la decorazione del bordo e per lo spessore della parte centrale. Forse frammento di altare? Scale differenti. T. 6: Cerkev v Monasteru. Odlomki plošč kamnite ograje. Na odlomkih št. 41 in 44 so vidni deli križa; 46a-c - tipološ-ko neopredeljen odlomek, tako po profilu okvirja kot po okrasu na robu in po debelini sredinskega dela. Mogoče del oltarja(?) Različna merila.