Received: 20l7-03-l9 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 DOI 10.19233/AH.2017.17 "UNA SCABROSITÁ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E GIUSTIZIA VENEZIANA IN MAINA (XVIII SECOLO) Marco ROMIO Via Udine 22, Torri di Quartesolo, Vicenza, Italia e-mail: romiom91@gmail.com SINTESI La regione della Maina, nel Sud del Peloponneso, fu conquistata dai Veneziani in seguito alla Prima Guerra di Morea, e fu formalmente amministrata dai due provveditori delle fortezze di Chielefà e Zarnatafino alla riconquista turca del I7I5. Nonostante questo apparente stato di sudditanza, essa era in realtà un'area giuridicamente particolare: per tutta la durata della dominazione veneta, la limitazione del sistema vendicatorio e la sua parziale incorporazione all'interno del sistema giuridico veneziano costituirono una delle principali preoccupazioni degli amministratori locali. Parole chiave: Venezia, Morea, vendetta, XVIII secolo, sistema consuetudinario, giustizia "UNA SCABROSITA GIURISDIZIONALE". CUSTOMARY LAW AND VENETIAN JUSTICE IN MAINA (XVIII CENTURY) ABSTRACT The region of Maina in the Southern Peloponnese was conquered by the Venetians during the First Morean War and was formally administrated by the provveditori ofKelepha and Zarnata until the Turkish reconquest of 1715. Although this apparent subjugation, the Maina district was indeed an area with his own juridical system: throughout the Venetian domination, the limitation of feud and his partial integration within the Venetian state law represented one of the most relevant challenges for the Serenissima's local officers. Keywords: Venice, Morea, vengeance, XVIII century, customary system, justice 335 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 LA MAINA FRA VENEZIA E I TURCHI Di più, progredendo il camino per quel tratto di Mare, che da capo Malio s'estende a Capo Matapan s'entra ne ' confini della Maina, che divisa in Alta e in Bassa, viene la prima regolata dalla piazza di Zarnata, e la seconda è soggetta alla giurisdizione di Chiefalà, l'una e l'altra irregolare e di poca conseguenza. Queste due fortezze furono fabbricate da Turchi per solo freno alla licenza dei Mainotti, e per verità quei popoli mai assoggettati dalla forza ottomana, come non sono capaci di tutta la servitù, cosí derivassi haver mira di non lasciarli in possesso di tutta la libertà. Pare che ritenghino qualche reliquia della ferocia dei loro auttori, scoprendosi nelle stesse lor femmine un non so che di maschil ardimento. Li passati li mostrano d'indole procline alla novità. Vogliono costantissimamente manutentione de' loro privileggi, et il governo d'una mano delicata a differenza degl'altri, che incalliti ai rigori della sferza, non sentono gli impulsi della suavità, e per tal causa con ogni talento sarà aggiustato a quella veggenza difficile, che richiede tutto il senno, e tutto il consiglio (BMC, Cic. 947). Con queste parole nell'anno 1691 Fabio Lio, segretario del Provveditore Generale di Morea Giacomo Corner, descriveva la penisola della Maina, situata nel Peloponne-so meridionale. La regione, chiamata in greco Mani (Mávrj) è a tutt'oggi delimitata a Nord dalla catena del monte Taigeto, e a Sud da Capo Matapan, il secondo punto più meridionale del continente europeo dopo la città di Tarifa in Spagna. Questo territorio, perlopiù montagnoso, arido e privo di spazi coltivabili, e a tutt'oggi diviso dai suoi stessi abitanti in tre sezioni: il Mani esterno (EÇa> Mávrj), il Mani inferiore (Kázm Mávrj) e il Mani interno (Méoa Mávrj); a livello amministrativo, la regione è attualmente divisa in Mani Messenico e Mani Laconico, grosso modo corrispondenti agli antichi termini di Alta e Bassa Maina. La popolazione totale risulta assai inferiore a quella presente fino alla fine del secolo XIX, raggiungendo a malapena le ventimila unità, per più di un terzo concentrate nel centro più popoloso della regione, Gytheio; altre località di una certa rilevanza sono Areopolis, l'antica Tsimova, e Kardamilis. La zona del cosiddetto "Mani Messenico", assai più fertile e verde rispetto al resto del territorio, consente la coltivazione di vari alberi da frutto, fra i quali predominante è l'ulivo; nel Mani Messenico scorrono gli unici due fiumi della zona, il Santavas, probabilmente l'antico Choirios menzionato da Pausania, e il Milias, identificabile con il Pamisos nominato da Strabone, che costituiva l'antico confine tra Messenia e Laconia (Eliopolou-Rogan, 1973, 1-2). Il "Mani Laconico", assai più brullo e montagnoso, è diviso a metà dalle propaggini della catena del Taigeto, ed è quasi totalmente privo di acque. Nel corso della sua storia, la Maina seguí un percorso parzialmente diverso rispetto al resto della penisola peloponne-siaca: pertinenza spartana fino alla conquista romana, non fu probabilmente travolta dalle invasioni slave del VI-VII secolo, rimanendo una delle poche zone della regione in mano all'Impero d'oriente. Rimasta bizantina fino alla caduta del despotato di Morea, passé per un primo breve periodo a Venezia, per poi essere definitivamente ceduta ai Turchi nel 1467, sotto il cui dominio rimase fino alla riconquista veneziana del 1685. Durante la dominazione ottomana, la Maina godeva di una posizione speciale rispetto al resto 336 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 della penisola, dovuta in gran parte alla natura bellicosa degli abitanti e alle difficoltà riscontrate dall'impero nel contrallare una regione cosi montagnosa e periferica: fino al 1670 infatti non vi era acquartierata nessuna guarnigione turca, né vi venivano praticati regolari tributi. Nel 1659, durante la guerra di Candia, il primate più importante della regione, Luca Medici, accolse il Capitano Generale Morosini, con il quale strinse una vera e propria alleanza conclusasi con un nulla di fatto1. Sebbene questi tentativi d'intesa non costituissero un serio pericolo per il controllo turco della Morea, la Maina si trovo comunque attaccata dalle truppe ottomane. Nel 1663 il Capitano delle Navi Pietro Diedo invio in soccorso alla popolazione sotto attacco due navi e rifornimenti di polvere da sparo, il massimo che Venezia potesse in quel momento concedere; nel dispaccio inviato dal Diedo al Capitano Generale si parlava per la prima volta del progetto turco di erigere tre nuove fortezze nella penisola al fine di contrallare l'attività militare dei manioti (ASV, PTM, 899, f. 21). Il progressivo spegnersi della forza economica e militare veneziana ebbe pesanti conseguenze anche sulla capacita di resistenza della penisola, che a partire dal 1667 non poté più impedire l'inizio della costruzione dei tre forti di Chielefa, Zarnata e Passava; nel 1670 un'imponente spedizione turca, guidata dal Gran Visir in persona e fortunatamente descritta dall'attendente e grande intellettuale ottomano Evlyia Celebi, portó alla definitiva sottomissione della Maina (sull'argomento Wagstaff, 2009), e all'affermazione del giovane maniota Liberio Geracari, detto Liberachi. Originario del villaggio di Vathia, era figlio di Antonachi, uno dei principali vecchiardi di Vitilo, il porto più importante della Maina; suo fratello Michalachi viene citato nelle carte del Capitano Generale Morosini come uno dei più importanti comandanti di galeotta della regione (ASV, Cariche da Mar, Processi, 65). Sembra probabile che Liberachi venisse imbarcato nel 1659 come remigante proprio dal Capitano Generale, il quale secondo alcune tradizioni sarebbe stato addirittura il suo padrino2; catturato dai Turchi nel 1667, strinse legami con le autorità ottomane, al fine di accrescere il suo potere nel caso di una sempre più probabile sconfitta veneziana. La più importante conseguenza della riconqui-sta della Maina fu l'imposizione del makhtu, una tassazione forfettaria piuttosto inedita all'interno dell'apparato contributivo ottomano, nel quale era ancora largamente diffuso il cift-hane, basato sulle proprietà della singola famiglia: se da una parte l'ammontare fisso del nuovo sistema era spesso inferiore al totale della cift-hane, dall'altra il rischio che gli ufficiali governativi incaricati di estrarre il tributo si rivalessero sulle comunità era assai maggiore (sul tributo del makhtu Inalcik, Quataert, 1996). Quest'ultima situazione fu probabilmente sperimentata dai manioti nell'anno 1670, tanto da spingere gli abitanti a mandare due ambasciatori alla corte ottomana per ridiscutere i termini del pagamento3: i 1 La miglior descrizione della breve prima campagna peloponnesiaca del Morosini ci viene da Battista Nani, storico ufficiale della Repubblica (Nani, 1720, 429-430). 2 La tradizione di Francesco Morosini come padrino di Liberachi e testimoniata dal poema epico di Marco Rossetti, La Sacra Lega: "Liberacchi e di Grecia, e lo sostenne, il prence Morosini al sacro fonte" (Ros-setti, 1696, 335). 3 Gli inviati manioti furono incontrati a Costantinopoli dall'ambasciatore francese De Nointel e dal suo segretario, inviati alla corte ottomana per riannodare i rapporti franco-turchi dopo la guerra di Candia (Galland, 1881, 101-102). 337 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 due inviati riuscirono ad ottenere di poter raccogliere da sé il tributo attraverso l'elezione di due primati che avrebbero avuto il compito di fissare l'importo della tassa in base alle possibilità di ciascun villaggio. Liberachi, essendo particolarmente gradito ai turchi, venne immediatamente eletto, estendendo enormemente il suo potere. A prova di questa autorità sulla Maina si deve citare la lettera inviata dal Geracari il 25 ottobre 1672 ad Antonio Valier, Provveditore generale da Mar, per questioni di pirateria; in questa missi-va, egli si presenta come "Comandante di tutta la Maina", ed "Elitto come comandante dall'auttorittà del Gran Signore Ottomano, per comandar per sempre in queste parti, anzi che l'eccellentissimo Signor Capitan Bassà mi ha mandato con l'occasione" (ASV, PTM, 620, f. 110, 25 ottobre 1672). Questo dominio sulla regione, ratificato dai Turchi, era pero contrastato dall'importante famiglia degli Stefanopoli, i quali si appellarono ai Maltesi, in lotta perpetua con gli ottomani nonostante la resa di Candia: il 21 settembre 1673 una flotta di 4 vascelli e 7 galere arrivé a Chitres, nell'Alta Maina, per aiutare i rivoltosi manioti a conquistare la fortezza di Zarnata (ASV, PTM, 620, f. 66). Nonostan-te l'aiuto degli ospitalieri, la rivolta si concluse con un nulla di fatto, obbligando una parte del clan Stefanopoli ad emigrare verso Occidente: rifiutati da Venezia, timorosa di eventuali rappresaglie turche4, vennero accolti da Genova, che li stanzio in Corsica (sull'argomento Nicholas, 2005). Nonostante il suo atteggiamento filo-turco, nel 1682 Liberachi venne portato a Istanbul e incarcerato; nel frattempo, dopo lo scoppio della Guerra di Morea, la Maina si schiero in massa con i Veneziani, inviando Pietro Medici (traduzione del cognome maniota Iatranos) a Santa Maura, appena conquistata dal Morosini, per supplicare l'intervento dell'armata veneta nella penisola, nuovamente attaccata dagli ottomani (Locatelli, 1691, 101). L'anno successivo la regione fu conquistata dal Capitano Generale, e nel giro di poco tempo l'assetto della provincia venne rivoluzionato: vennero creati due provveditorati non straordinari a Zarnata e Chielefà, e si nominarono dei soprintendenti, spesso di origine greca, con il compito di mantenere l'ordine e di presiedere alla formazione delle cernide. LA SOCIETÀ DELLA MAINA VENEZIANA E IL SISTEMA VENDICATORIO La popolazione della Maina durante il dominio veneto (1685-1715) viene normalmente calcolata in circa ventimila unità, concentrate prevalentemente nel Mani esterno (sulla demografia della Maina Komis, 1992) ; il cosiddetto Mesa Maní, famoso per essere l'area di provenienza del clan Mavromichaelis, era all'inizio del Settecento assai meno fondamentale per l'equilibrio socio-politico della regione rispetto a quanto sarebbe dive-nuto all'inizio dell'Ottocento. La comunità più importante era rappresentata dal porto di 4 "Per lettera dell'Illustrissimo Provveditor di Zante resto avvisato che nel porto di Chieri fossero capitate quattro barche di famiglie mainotte, che fuggono dal giusto rigore dei Turchi. Che le medesime avevano scritto, a quel magistrato di Sanità, perché gli fosse dato ricovero; ma con somma prudenza quel Signor Provveditore non hapermesso che siano ricettate; sicuro che haverà incontrato nell'oppinione dell'Eccel-lenze Vostre che comprendono quanto si conviene l'esser necessario di non dar alcun'ansa di prettesto ai Turchi, trattandosi particolarmente di raccogliere sudditi ribelli, che effettivamente hanno portato le armi contro il proprio principe" (ASV, PTM, 620, 21 gennaio 1673 m.v.). 338 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 Vitilo, l'attuale Oytilon, che all'epoca contava una popolazione stabile di circa ottocento abitanti: descritta addirittura come "Grande Algeri" dal viaggiatore francese De La Guil-lettiere a causa della non infrequente incidenza del commercio di schiavi e ostaggi (De la Guillettiere, 1676), essa rappresentava un vero e proprio polo d'attrazione sia per le popolazioni delle zone più interne, sia per i numerosi corsari ponentini che frequentavano le acque del Mar di Sapienza (Slot, 1982). Uno degli aspetti peculiari della città e di tutta la Maina era rappresentato dall'importanza che l'istituto della vendetta ricopriva nelle dinamiche costituzionali della comunitá5. Lungi dal rappresentare una semplice esplo-sione di violenza fine a se stessa, l'atto vendicatorio era in realtà parte di un complesso sistema volto a regolamentare e mantenere l'equilibrio della societá locale: l'antropologo Raymond Verdier, nel suo studio sulla vendetta nelle società extra-europee, la definisce come un vero e proprio sistema giuridico basato sui concetti di reciprocitá, solidarietá e distanza. La faida6 poteva difatti avvenire solo fra gruppi che condividevano un universo di valori e simboli comuni: la solidarietá instauratasi attraverso lo "scambio" vendicatorio rendeva impossibile l'autodistruzione reciproca, mentre il criterio della distanza limitava sia socialmente che spazialmente l' escalation della violenza (Verdier, 198Q). Per lo studioso francese il fine ultimo del sistema era dunque costituito non dall'annientamento della parte avversa, bensi dalla pacificazione fra i due gruppi contendenti. Il paradigma verderiano, pur con tutte le contestualizzazioni del caso, si adatta come vedremo assai bene alla realtá maniota dell'XVII-XVIII secolo, la cui struttura era ancora lontana dall'essere sconvolta dall'introduzione del diritto moderno. La miglior definizione della vendetta maniota fornita da un ufficiale veneziano proviene dalle carte del provveditore Generale di Morea Antonio Nani: nell'agosto del 17Q3, un maniota venne ucciso a Calamata, provocando la reazione degli abitanti, che si raccolsero in numero considerevole per rivalersi della perdita sulle comunitá della Mes-senia meridionale. Non era la prima volta in cui questi meccanismi tradizionali venivano messi in moto a danno delle comunitá vicine: nel 1691 il ferimento di un maniota a Mistrà durante la fiera di San Giovanni provocó l'assembramento di un gran numero di suoi compatrioti, che bloccarono immediatamente i passi montani dell'Alta Maina e della Messenia, esigendo un tributo dai mercanti di ritorno dal capoluogo lacone7. L'anno 5 Sulla vendetta in Maina non molto è stato scritto, e di quel poco ancor meno riveste qualche intéressé per la nostra ricerca: si citino, a titolo d'esempio Mirambel (1942-1943), Wagstaff (1975). Sulla società maniota si guardi A^eÇdKnç (1980), Seremetakis (1991). Per un approccio generale al problema della faida Povolo (2015). 6 A scanso di equivoci, in ambito mediterraneo i termini faida e vendetta vengono considerati equivalenti, essendo faida una parola di origine germanica inesistente all'interno del vocabolario giuridico dell'Europa meridionale. (n.d.a.). 7 "Incidente successo alla Fiera di San Zuanne in Mistrà origginato dalla pretesa de datiarii di essigere datio di pocca .seta da alcuni Mainotti, pretendendo questi che nel tempo di Fiera come pure tra Turchi si pratticavano, non potessero essere costretti ad alcuna contributione, sostenendo la franchiggia li datiari dall'altre parte con il viggor de Capitoli del Sindicato, che sopra questo punto niente esprimono, impugnando il pagamento, vennero dopo altercationi di parte all'armi; da che ne derivo grande il tumulto; la moltitudine del popolo in confusione con svaleggi di botteghe, e malamente ferito un mainotto. Inasprita quella furiosa natione si unirono dopo qualche giorno molti d'essi, prendendo li porti confinanti a questa 339 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 successivo fu la volta di Calamata, costretta a pagare un piccolo tributo in seguito alla mobilitazione di 1700 manioti per l'offesa ricevuta da un abitante della penisola durante una compravendita di maiali (P.T.M., 568, 11 luglio 1692). Nel dispaccio che il Nani invio al Senato in data 4 agosto 17Q3, il provveditore spiego che a muovere i manioti era un "loro sacrilego, et empio instituto, solenizato co'giuramenti, e co' voti, d'esiggere in una determinata somma di denaro ilprezzo del sangue sparso o di pratticarne la vendetta con egualpeso d'offesa" (P.T.M., 573, f.5). Questa definizione, ancor oggi validissima e che perfettamente calza con il modello proposto da Raymond Verdier, evidenzia l'aspetto retributivo proprio del sistema vendi-catorio; assai più difficile e complesso risulta cogliere il suo significato costituzionale. In tal proposito, conviene chiamare in causa uno dei più grandi intellettuali e osservatori dello Stato da Mar veneziano, Giacomo Nani8: in un breve pamphlet, scritto probabilmen-te negli anni immediatamente successivi alla rivolta di Orlov e conservato alla biblioteca Querini Stampalia di Venezia, egli delinea le strutture che regolavano la società maniota da lui osservata nel corso di una visita durante l'anno 1758 (BQS, Cl. IV, Cod. 447). Il Nani, sbarcato a Pagania (l'attuale Marathonissi) e accompagnato da Giovanni Mavromi-chaelis, colse perfettamente il valore giuridico costitutivo del sistema vendicatorio: si deduce che in tutte quelle popolazioni in cui non esiste legislazione acconcia, o in cui la legislazione se anche esistesse, viene male amministrata, devono necessariamente verificarsi uccisioni per mano privata, che sebbene sempre illegali, tengono perd il luogo di quella giustizia legale, che non viene o non ha potuto essere amministrata. (BQS, Cl. IV, Cod. IV, Cod. 447, f. 189) Il riconoscimento del valore intriseco della pratica della vendetta come elemento regolatore dello "ius dei mainotti" viene ribadita confrontando la giustizia "privata" della Maina con quella pubblica di grandi città della Terraferma come Verona o Brescia, i cui morti erano proporzionalmente di gran lunga maggiori rispetto a quelli della penisola peloponnesiaca, dove il conflitto, sebbene molte volte dilungato nel tempo, era altresi assai poco sanguinoso; d'altra parte, continuava il Nani, era la faida stessa a consentire la sopravvivenza dei manioti, i quali non avrebbero potuto conservare le loro liberta senza la "militarizzazione" provocata dal sistema fazionario. A cio si aggiunga che le già nominate incursioni contro le comunità vicine in seguito all'offesa recata ad un membro delle comunità, costituivano, oltre che una naturale reazione a quella che veniva percepita come un diretto attacco all'esistenza stessa del clan, anche un'indubbia fonte di sostenta-mento per le comunità maniote: per usare le parole dell'autore del manoscritto, "E' quasi un diritto nazionale della Maina rubbare per vivere agiatamente". terra, per vendicarsi delVoffesa, e fermarono pure li primi mainotti, che di la passarono, estorcendo da essi per la liberta contributione di danaro; si che in certo modo rimanesse interdetto il libero transito a viandanti con evidente rischio di pernitiose conseguenze" (ASV, PTM, 567, 16 aprile 1691). 8 Sulla vita di Giacomo Nani Del Negro (1971). 340 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 "PER NONSENTIRE UN VESPERO SICILIANO". IL CASO DI PANAGIOTI GERACARI Durante la guerra di Morea, la riconquistata Maina venne lasciata sostanzialmente libera da qualsiasi interferenza veneta: il provveditore di Morea, quello di Laconia e quel-li locali di Zarnata e Chielefà si preoccupavano solamente di raccogliere l'imposta del makhtu, i cui pagamenti venivano peraltro regolarmente ignorati. Il primo provveditore generale a manifestarsi fisicamente nella regione fu Antonio Zen, futuro (e sfortunato) Capitano Generale da Mar9, che fra il 169Q e il 1691 visito due volte la turbolenta regione, raccogliendo le suppliche degli abitanti e riscuotendo le contribuzioni. Il provveditore, in un dispaccio indirizzato al doge Morosini, cosí descrisse l'origine della makhtu: Questa sorte d'impositione in altri tempi ignota hebbe recente origine dai ricorsi de Mainoti alla Porta che reclamando contro l'estorsioni de ' rapaci esattori impetra-vano facoltà di contribuire quel tanto che da due Primati della Provincia compassato il potere di cadaun villaggio fosse liquidato di convenienza; Furono anco ricevute da Turchi con poca ripugnanza le istanze, poiche di rado trovandosi il loro conto dalle formalità delle prime corrisponsioni crederon per utile di non avversare al partito e render a titolo d'indulto un ripiego di necessità. Fù trascielto Liberachi con altro Mainoto al giuditio di questa istanza, in cui egli regolatosi con le norme della pas-sione quando rapito dalle suasioni della parzialità e quando dalle istigationi dell'odio minorava à congionti l'aggravio per caricarlo alle ville contro le quali imperversava di mal talento, à segno tale che Calisi e Carea alli habitanti delle quali fu inputato l'homicidio della sorella furon obligate pagar con rigore la Mactù sopra l'importar della Decima (ASV, PTM, 567, 29 Aprile 169Q). L'elezione di questi esattori, stabilita probabilmente dai principali primati della regione, se da una parte rispondeva alla necessità dei manioti di limitare la pressione fiscale esercitata dai turchi, dall'altra permetteva agli ottomani di esercitare un controllo indiretto sulla regione attraverso i due amministratori. Questo sistema, teoricamente per-fetto, presentava pero una carenza strutturale fondamentale: gli eletti, per quanto fossero legati al potere turco, erano in realtà emanazione un'emanazione della feuding society mainotta, e quindi costituzionalmente portati a seguire quelle "norme della passione" (una felicissima espressione dello Zen per indicare il sistema vendicatorio della regione) che portarono poi Liberachi a utilizzare il makhtu come vero e proprio strumento di lotta fazionaria interna. Per i sette anni successivi, le alterne sorti della guerra e le continue e profonde scor-rerie dei Turchi in Morea allentarono il controllo veneziano sulla Maina e impedirono l'esazione regolare del makthu, non essendo sufficienti gli scarsissimi mezzi militari dei provveditori di Zarnata e Chielefà a garantire il pagamento del tributo. La situazione 9 Lo Zen, incriminato per la sconfitta di Scio, morirà poi in carcere; sarà riabilitato post mortem. Vista la mancanza di pubblicazioni recenti sull'argomento, ci si riferisce a Romanin (1858). 341 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 cambio drasticamente nel 1698, quando fu eletto provveditore di Morea Francesco Grimani, una delle figure più emblematiche del primo Settecento veneziano. Nato nel 1659 in una delle famiglie più importanti di Venezia, venne bandito nel 1684 a seguito della ricusazione della carica di Capitano di Vicenza. Rifugiatosi a Vienna dallo zio Federico Cornaro, ambasciatore alla corte cesarea, partecipo alla campagna d'Ungheria e all'assedio di Budapest del 1686, guadagnandosi l'anno successivo la liberazione dal bando grazie alle sue imprese militari e ai buoni uffici dello zio. Nominato provveditore in campo dal Generale di Dalmazia Girolamo Corner, scalo rapidamente le gerarchie, diventando nel 1692 provveditore straordinario a Cattaro e in Albania, e tre anni dopo Provveditore straordinario in armata (1695-1697). Nel 1698, fu nominato Provveditore Generale alle armi in Morea, la più importante carica militare e civile del Peloponneso veneziano, sostituendo Paolo Nani, morto prematuramente. Grimani si dimostro probabilmente il miglior amministratore veneziano della Morea: instancabile viaggiatore, durante i suoi tre anni di "regno" percorse tutta la penisola, preoc-cupandosi di dare un nuovo assetto al territorio dopo la pace di Carlowitz, promuovendo il primo catastico generale della regione e presiedendo ai lavori di fortificazione e manteni-mento delle opere difensive. Nel 1698 egli passo anche in Maina, riuscendo inoltre a rac-cogliere il makthu con una certa facilità, rifacendosi all'esempio di figure già conosciute dalla popolazione locale come Antonio Zen e Lorenzo Venier10; per i due anni successivi, non potendo essere presente fisicamente, decise di avvalersi per la riscossione di elementi delle elite locali. Fra questi "esattori" manioti, le cui figure non dovevano essere in fondo molto differenti da quella di Liberachi, si distinse Panagioti Geracari, originario di Vathia nella Bassa Maina. Capitano di galeotta, egli aveva prestato servizio sotto i veneziani durante la guerra di Morea, meritandosi l'elogio del Provveditore Generale Zen per la difesa delle coste della Maina dalle invasioni turche11: agli occhi del Grimani dovette quindi 10 Lorenzo Venier, già nominato come Capitano delle Navi durante la "crisi maltese", venne mandato a soc-correre i manioti nel 1686, fatti oggetto di un contrattacco turco, e nominato provveditore straordinario (Locatelli, 1691, 193). 11 "Il capitan Panagioti Gieracari di Maina, rese sotto il comando glorioso di Sua Serenità all'hora capitano Generale negli incontri più ardui delli inimici, non solo inimitabili le proprie coraggiose operationi, ma niente curando agli azzardi della vita a gara degli altri, tracciando l'apertura d'insanguinarsi, seppe con distintione e frutto riportar il freggio della pubblica spetiosa gratia. Compresa nei primi periodi dell'in-gresso nostro al sostenimento di questa carica la di lui habilità e fede autenticata nello sbarco fatto l'anno decorso da Legni corsari nelle rive della Bassa Maina nel luogo detto Assomato, riuscirono cosí valevoli li di lui comportamenti anco in tale stretto cimento, che unito a quelli habitanti, convennero i Turchi profugamente darsi a bastimento o con discapito loro scioglier battuti da quelle rive, rimanendo in potere dei nostri tre di loro e una testa recisa dà motivo tale; e negli oggetti massime per riparar le molestie che dalli privati soprastavano alla quiete di quei popoli, incaricato lo stesso Capitan Gieracari unito un qualche numero di Mainotti per rintuzzar gli attentati nemici, invigilar alla salvezza dei sudditi et ancora ove stringessero le premure, corrispose cosi perfettamente alle nostre aspettative che non si dimostrô punto ineguale nei numeri tutti della puntualità et devotione. Ritratte perciô per il periodo tutto della passata campagna vive le testimonianze verso le Publiche glorie e perché habbi maggiore vigore di proseguire le proprie commen-dabili incombenze, uniformandosi alle intention dell'Eccellentissimo Senato espressa in Ducali 3 marzo 1691, devenimo in deliberation in virtù dellepresenti e con l'autorità del Generalato nostro, d'assignare allo stesso Capitan Panagioti oltre ogni altra paga che goder potesse, ducati otto al mese per esserli corrisposti dalla Cassa Pubblica di Chelefà, nella sicurezza che da cosi speciosa dimostranza sempre più 342 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 apparire come il candidato ideale per un compito cosí delicato, essendo necessarie doti di mediazione non indifferenti12. La riscossione del makthu presentava infatti delle difficoltà oggettive, dovute sia alla conformazione fisica della Maina stessa, sia alla natura forfettaria del tributo, che teoricamente lasciava nelle mani dell'esattore la decisione dell'ammon-tare da addurre al contribuente. Come si puo ben immaginare, i contrasti sorsero quasi immediatamente, in particolare all'interno della fiorente comunità di Vitilo. L'uomo più importante della Vitilo dell'anno 17QQ era Michiel Stefanopolo, capo della più importante famiglia della città e direttore dei meidani locali: era stato lui, nel 169Q, a presentare una supplica (non esaudita) a Giacomo Corner affinché cambiasse lo status della cittadina da semplice abitato indipendente soggetto ai tributi a borgo della vicina fortezza di Chielefà. La nomina di Geracari doveva aver scosso non poco l'assetto costituzionale della comunità: il potere di determinare la somma del makhtu poneva "l'esattore" in una condizione di manifesta superiorità rispetto ai vecchiardi e ai capitani della Maina, rendendolo de facto arbitro della vita politica locale. La reazione degli Stefanopoli, clan dominante a Vitilo, fu immediata: nonostante il Geracari avesse "contrata parentella et congiuntione carnale colMichalachi", la fazione facente capo agli Stefanopoli cerco in ogni modo di scacciare l'avversario dalla cittadina; constatata la ferma volontà del Geracari di mantenere la sua posizione all'interno della comunità, si decise di "privarlo di vitta, all'usanza mainotta". Il 6 marzo l'agguato ebbe luogo mentre la vittima stava tornando coi figli da Chielefà: assalito con sassi "alla mainota", riuscí a scampare alla morte, tornando alla fortezza e presentando una supplica al provveditore. Il contenuto del testo fatto scrivere dal Geracari riveste un'importanza particolare per la comprensione dell'universo politico-giudiziario della Maina: l'offeso, ben lontano dal tenere un atteggiamento remissivo nei confronti dei suoi avversari, si metteva a disposizione del "pubblico servitio" per "spargere il sangue ai suoi comandi'; sappiamo inoltre da una missiva scritta dal provveditore di Laconia Marcello al Grimani stesso che il Geracari si era già procurato l'assistenza degli Iatrani, un'altra potente famiglia di Vitilo desiderosa di inserirsi nel conflitto13. La situazione era potenzialmente esplosiva: se il provveditore avesse agito in modo troppo violento ban-dendo i responsabili del tentato omicidio, probabilmente si sarebbe innescato un conflitto difficilmente controllabile anche attraverso i meccanismi tradizionali. Il sistema di alleanze claniche della Maina, le cosiddette sintroñes, era difatti basato su un complesso sistema di regolazione su base locale: l'irruzione di Venezia attraverso la persona del Geracari, aliena infervorar .si possa nel servitio, devendo la presente esser humiliata ai Publici sovrani riflessi per la sua approvatione" (ASV, PTM, 567). 12 Nel 1696 risolse una pericolosa situazione creatasi fra alcuni manioti e il capitano di un petacchio genovese, da loro preso in ostaggio; il Geracari sborso di tasca sua il denaro per il riscatto, meritandosi le lodi del Provveditore Generale (ASV, PTM, 570, 16 Aprile 1696). 13 Il gia precario rapporto fra le due famiglie principali di Vitilo era stato ulteriormente turbato da un tentativo di ratto da parte degli Iatrani: "Segui li giorni passati a Vittulo rissia tra Giatrani e Stefanopoli a causa d'una putta, che li Steffanopuli non volevano dare alli Giatrani, e mentre detta figliola era alla fontana, per abeverar li suoi animali, gli Giatrani l'assalirono et d 'una sassata rimase la medesima ferita nella facia, dal che preco mattino li Steffanopuli vennero alle mani con li Giatrani dove rimasero feriti due Giatrani da siabole, di poco momento, per il che fui obbligato per reprimerli stante che non vi sono forze sufficienti di miliciefargli due tiri di cannone, per acquietarli" (ASV, Grimani, 25, 14 agosto 1700). 343 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 alla realtà giuridica di Vitilo poco meno del provveditore di Chielefà, avrebbe scatenato una faida che si sarebbe conclusa quasi sicuramente in modo disastroso per la comunità. Per comprendere ulteriormente quale fosse la vera natura del conflitto è necessario porre la nostra attenzione all'informazione inviata sempre dal provveditore di Laconia Marcello al Grimani in data 14 novembre, dove viene indicato chiaramente come principale oggetto del contendere la pretesa del Michalachi di "dominare la villa di Vittulo facendo unione in casa sua, giudicando e condannando lisudditi' (ASV, Grimani, 25, 2 novembre 17QQ). In realtà, la rottura dell'equilibrio costituzionale di Vitilo, basato sull'esistenza di un consiglio di vecchiardi (ierontikí) rappresentato proprio dalla "conventicola" presieduta dallo Stefanopolo, era la naturale conseguenza dell'attribuzione di poteri amministrativi ad un ufficiale proveniente da un'altra comunità della penisola. In questa prospettiva, il rifiuto dei "vecchi habitanti" di riconoscere il potere giuridico del rappresentante si poneva non come semplice rifiuto dell'autorità veneta, quanto piuttosto come reazione naturale volta alla difesa del diritto consuetudinario esistente: se difatti i primati si fossero ade-guati alle imposizioni del Geracari, questo avrebbe provocato un terremoto costituzionale dalle conseguenze imprevedibili per il futuro della piccola comunità di Vitilo. Il pericolo per la stabilità dell'intera regione era tuttavia avvertito dagli stessi ufficiali veneziani: la proclamazione dei rei a Chielefà nel settembre 1700 si configurava, nelle intenzioni del provveditore Marcello, più che come un preludio al bando, come un vero e proprio avverti-mento alla fazione degli Stefanopoli al fine di concludere la pace al più presto. Il principale obbiettivo del governatore veneziano era, anche considerata l'impossibilità di intervenire materialmente nella contesa, proprio quello di non "sentire un vespero siciliano, che pud facilmente intuonarsi da queste forti, ed ostinate fazioni" (ASV, Grimani, 25, 2Q agosto 1700). La pacificazione era inevitabile: in un dispaccio inviato alMarcello, Marco Zane, provveditore di Chielefà, affermé di essere riuscito a convincere il Geracari a rinuncia-re all'estrazione del makhtu, al fine di consentire la pacificazione con i suoi avversari: tuttavia, per formalizzare definitivamente l'avvenuto accordo, era necessario stipulare una pace vincolante. Purtroppo, nonostante nei dispacci Grimani si parli espressamente dell'avvenuta pacificazione fra le due fazioni, non rimane traccia dell'accordo originale, probabilmente andato perduto; per poter comprendere quali consuetudini regolassero il rito della pace nella Maina è necessario rifarsi ad un'altra faida, praticamente contemporanea a quella sopra descritta. "CIFACCIAMO COMPAGNI, ETFRATELLIINDIVISIBILI". PACE E CONSUETUDINE NELLA MAINA Nell'anno 1698 Francesco Grimani, appena nominato provveditore dopo la morte di Polo Nani, era sceso in Maina per la prima volta e vi aveva trovato una situazione assai critica: oltre alle difficoltà legate all'esazione della makhtu, il provveditore locale si trova-va impossibilitato anche a istruire processi, poiché nella maggior parte dei casi gli accusati semplicemente non si presentavano. In questo contesto, le inimicitie non facevano altro che aggravare il già pesante quadro generale, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di stabilizzare l'influenza veneziana sulla regione. Il Grimani, con il consueto pragmatismo, 344 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 decise di intervenire cercando di pacificare "gli odi delle fattioni [...] senza haver punito alcano"; seguendo una direttiva ducale, il provveditore obbligö tutte le comunità a "pieg-giare", inserendo nell'accordo come contro-pieggi i parenti degli uomini più influenti della Maina, garantendo in questo modo il rispetto dell'obbligazione (ASV, PTM, 571, 26 Febbraio m.v.). Uno dei conflitti più pericolosi che erano stati temporaneamente sedati dal Grimani coinvolgeva i già nominati Iatrani e gli abitanti delle comunità di Langada e Coutifari, situate al confine dell'Alta Maina e sottoposte all'autorità del provveditore di Zarnata. Il sistema dei pieggi, per quanto funzionante, basava la sua efficacia sulla possibilità del potere veneto di intervenire nel caso di mancanze nell'adempimento delle obbligazioni: in altre parole il suo valore era legato alla presenza nella regione del Provveditore Generale. Due anni dopo la situazione era tornata prevedibilmente critica: i Langaditi e i Coutifariani avevano ripreso i loro raid contro le proprietà degli Iatrani, i quali si appellarono nuovamente a Venezia per proteggere i propri beni; la difficoltà di risolvere questo conflitto era acuita dal fatto che il provveditore di Zarnata, al quale le due comunità di Langada e Coutifari erano teoricamente sottoposte, era molto più lontano dai villaggi rispetto a quello di Chielefà, il quale perô aveva enormi difficoltà ad operare al di fuori della sua giurisdizione. La risoluzione del conflitto avvenne in data 13 agosto 1700, a Chielefà, alla presenza del Provveditore di Laconia Marcello: Quest'hoggi col presente scritto palesiamo noi sottoscritti Cutifariani, e Giatriani, e Zacutiani le nostre intentioni, et il contratto sopra le differenze tra et inimicitie che sono corse tra noi nel tempo passato in conferenza dell'agiustamento che ci ha fatto l'anno decorso l'eccellentissimo Provveditor Generale Francesco Grimani, e noi credendo che quei de Langada non preservano la stabilita pace per li continui danni che vanno facendo ai Giatriani, oltre questi ricevano di farli assai più danno insidie su la vita loro, et accompagnati con diversi altri vitulioti con la medesima intention di sopraddetti cativi fini, cosí noi altri quest'hoggi con nostra buona volontà tutte due le parti con giuramento di Dio, noi Cutifariani e Giatriani ci facciamo compagni, e frattelli indivisibili come ch'erimo nel tempo passato, e s'occorresse ogni bisogno, tanto l'una parte come l'altra nelle nostre raggioni tanto appresso la Giustizia, e similmente in quanto potemo frà noi; e per questo mettemo per nostri commessi il Signor Pietro Bozzi et Alfier Borolia, come nostri amici e parenti tanto per l'una parte, quanto per l'altra, come appare dalle piaggerie prestate per Noi nella Cancellería dell'Eccellentissimo Provveditor Francesco Grimani; et essendo passato, d venendo qualche differenza tra noi, et non potendo noi giustarsi le rappresentaremo ai sopraddetti nostri eletti commessi, e quello conosceranno loro, e termineranno siamo contenti, senz'altre parole et sopra questa scrittura stabilimo la nostra nuova amicitia, e sottoscrivemo e chi haverà altra intentione, Iddio lo fulmini e noi stessi lo paleseremo alla Giustizia, perché sia condannato in ogni danni, et interessi (ASV, Grimani, 25, 13 agosto 17QQ). La cartapacis stipulata fra le tre parti (compresi gli Zacutiani, aderenti vitulioti degli Iatrani) escludeva esplicitamente i Langaditi: essi, ignorando volutamente gli avvisi del 345 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 provveditore avevano di rifiutato di presentarsi a Chielefà, rimanendo contumaci e di conseguenza estranei all'accordo. Oltre a rinnovare i termini delle piaggerie stabilite dal Grimani, le parti si impegnavano in caso di futuri conflitti a rimettersi all'arbitrato di due commessi. Le radici di questa particolare pratica, nella quale i due "mediatori" si legavano ad entrambe le fazioni in modo da garantire l'equidistanza del giudizio, de-vono ricercarsi nella Maina stessa: Marcello, parlando di questa singolare istituzione, la definisce come "adattata agli antichi lor usi". A questo sistema duale di mediazione, simile a quello che porto trent'anni prima all'elezione di Liberachi come ambasciatore presso la corte del Sultano, il rappresentante veneziano conferisce una nuova dimensione giuridica, legata non solo all'ambito consuetudinario "puro", ma anche e soprattutto alla regolamentazione dei rapporti fra comunità e potere veneto. A tal proposito, si consideri la provenienza dei due mediatori: sia l'Alfier Borolia che Pietro Bozzi, abitanti in Maina, sono indicati come ufficiali delle cernide locali e quindi dipendenti dal provveditore di Chielefà (ASV, Grimani, 50), che in questo modo si poneva indirettamente come giudice di pace fra le parti in lotta. CONCLUSIONI I tentativi del Grimani e dei suoi sottoposti di condurre il sistema consuetudinario maniota attraverso binari paralleli a quelli della giustizia veneta non ebbe vita lunga, spegnendosi di fatto già dopo la fine del suo generalato. I fattori che impedirono una completa "ibridazione" giuridica sono vari e complessi: in primo luogo, la debolezza e lo scarsissimo peso militare dei rappresentanti locali imped! sempre il pieno rispetto degli accordi presi nelle ininfluenti corti di Chielefà e Zarnata. La stessa concezione dell'autorità, era nell'immaginario politico maniota legata non tanto ad un astratto potere pubblico, quanto piuttosto ad una rete di amicizie, di aderenti e di rapporti interpersonali: a questo proposito, sembra che l'evidente rassegnatezza dei manioti alla presenza del Provveditore Generale debba imputarsi non tanto ad una effettiva (ed indubbiamente esi-stente) maggiore forza contrattuale del Grimani, quanto piuttosto ad un riconoscimento dell' autorità del singolo, come nel caso dei frequenti riferimenti a Lorenzo Venier e ad Antonio Zen. Se i fattori materiali e la mancanza di una concezione di autorità pubblica dovettero avere la loro parte nelle difficoltà dell'amministrazione della Maina, non si puo dimenticare lo sconvolgimento costituzionale che Venezia porto nella penisola anche solo con l'istituzione dei due piccoli provveditorati, i quali, nonostante la loro debolezza, ebbero una notevole influenza nella ridefinizione interna delle regione, provocando squi-libri tali da portare, come nel caso di Panaioti Geracari, a veri e propri "Vesperi siciliani". D'altra parte, non tutti gli ufficiali veneziani possedevano il pragmatismo ideologico del Grimani: per la gran parte degli amministratori successivi della Morea, la Maina rimase, per dirla con le parole di Marco Zane, provveditore di Chielefà, una "scabrosità giurisdi-zionale". 346 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITA GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 " UNA SCABROSITA GIURISDIZIONALE" OBIČAJNO PRAVO IN BENEŠKO PRAVOSODJE V MAINI (18. STOLETJE) Marco ROMIO Via Udine 22, Torri di Quartesolo, Vicenza, Italija e-mail: romiom91@gmail.com POVZETEK V času beneške prevlade na Peloponezu (1685-1715) je območje Maine, s sodnega vidika, predstavljalo pomembno izjemo. Medtem ko se je v drugih delih Moreje osmansko pravo združilo s cerkvenimi normami in lokalnimi običaji, je v Maini pomanjkanje neposrednega turškega nadzora omogočilo ohranitev prava, na katerega močan vpliv so imeli običaji. Prihod Benečanov je sovpadal z začetkom nove faze endemičnega konflikta zaradi zakonskega neravnovesja, ki je nastal zaradi ustanovitve dveh novih proveditoratov v utrdbah Chielefa in Zarnata: kljub omejenim sredstvom lokalnih rektorjev je politika naslanjanja na mainske elite, zlasti zaradi plačila davkov, povzročila notranja neravno-vesja v skupnostih. Primer vasi Vitilo, najpomembnejšega središča Maine med 16. in 18. stoletjem, osvetljuje tako analizo družbeno-političnega življenja malih mainskih naselij, kot tudi novo beneško politiko v odnosu do Stato del Mar, zato je Moreja predstavljala neke vrste "laboratorij". Ključne besede: Benetke, Moreja, maščevanje, 18. stoletje, običajni sistem, pravo 347 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Marco ROMIO: "UNA SCABROSITÀ GIURISDIZIONALE". SISTEMA CONSUETUDINARIO E ..., 335-348 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV, Grimani - Archivio di Stato di Venezia (ASV), Fondo Grimani ai Servi (Grimani). ASV, PTM - Archivio di Stato di Venezia (ASV), Senato, Dispacci, Provveditori da Terra e da Mar (PTM), 568, 620. BMC, Cic - Biblioteca Museo Correr (BMC), Fondo Cicogna (Cic). BQS - Biblioteca Querini Stampalia (BQS). AXs^âKnç, E. (1980): Ta yévrç Kai n oiKoyéveia cx^v rcapaSoaiaKq Koivœvia xnç Mavnç, A0rçvai. De la Guillettiere (1676): Athenes ancienne et nouvelle, et l'estat present de l'Empire des Turcs. Paris. 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