Pregledni znanstveni članek (1.02) BV 70 (2010) 2, 185-193 UDK: 1Hegel G.W.F.:27-31 Prejeto: 05/10 Piero Coda Il Cristo di Hegel e il grido della fede Nei duecento anni della Fenomenología dello Spirito Riassunto: L'articolo, stilato in occasione dei 200 anni della Fenomenología dello Spirito (1807), tocca tre punti: un breve quadro storico per delineare il kairos storico dell'hegelismo, il suo »momento«; la focalizzazione del tema centrale della cristologia hegeliana - l'uomo-Dio, Cristo, e insieme il Cristo senza Dio; un confronto fra il Cristo di Hegel e noi, guardando al grido del Crocifisso, »Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?«, espressione paradossale ed estrema della liberta della fede che vince la seduzione di una ragione che si vuole assoluta. Parole chiave: Hegel, Fenomenología dello Spirito, Christo, Dio, kairos, fede, ragione Povzetek: Heglov Kristus in krik vere. Dvesto let Fenomenologije duha Članek, napisan ob priložnosti dvestoletnice izida Heglovega dela Fenomeno-logija duha (1807), se dotika treh točk: kratek zgodovinski okvir, ki oriše zgodovinski kairos heglovstva, njegov »trenutek«; obravnava središčne teme heglovs-ke kristologije - človek-Bog, Kristus in skupaj Kristus brez Boga; soočenje med Heglovim Kristusom in nami ob pogledu na krik Križanega »Moj Bog, moj Bog, zakaj si me zapustil?«, protislovni in skrajni izraz svobode vere, ki premaga zapeljevanje razuma, ki hoče biti absoluten. Ključne besede: Hegel, Fenomenologija duha, Kristus, Bog, kairos, vera, razum Abstract: Hegel's Christ and the Scream of Faith. Two Hundred Years of The Phenomenology of Spirit The paper written on the occasion of the 200th anniversary of The Phenomenology of the Spirit (1807) deals with three issues: a short historical framework to outline the historical kairos of hegelism, its »moment«; focusing on the central theme of Hegelian christology - man-God, Christ and together Christ without God; confrontation between Hegel's Christ and us watching the scream of the Crucified, »My God, my God, why have you forsaken me? «, a paradoxical and extreme expression of the freedom of faith that overcomes the seduction of a reason wanting to be absolute. Key words: Hegel, The Phenomenology of Spirit, Christ, God, kairos, faith, reason Non tratterô in generale di Hegel e il cristianesimo, ma più concretamente della figura di Cristo nella filosofia di Hegel, assumendo come punto discriminante di lettura il grido della fede lanciato da Gesù sulla croce: »Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?« - vera pietra d'inciampo per la ragione e insie-me per la fede. Questo tema mi occupa da anni: da Il negativo e la Trinità (1987) al recente La percezione della forma. Cristologia e fenomenología in Hegel (2007)1. Perché? perché mi pare che la figura di Cristo in Hegel rappresenti una tappa cruciale nel cammino del pensiero occidentale che, bene o male, ha sempre di fronte a sé, o dietro di sé, o davanti a sé, a seconda dei casi, la figura di Cristo. L'interpretazione che Hegel ne ha dato è senz'altro figura discriminante del pensiero occidentale dal punto di vista teoretico, sin quasi a trasformarsi in un archetipo psicologico e sociologico. Basti pensare all'umanesimo antropocentrico di L. Feuerbach, all'ateismo postulatorio di K. Marx o alla rivolta lancinante di F. Nietzsche, ma anche a numerosi esiti della teologia contemporanea, esiti da una parte radicalmente demitizzanti, come quelli della teologia della »morte di Dio«, che ha fatto furore all'inizio degli anni '60 del secolo scorso, dall'altra più schiet-tamente teologici, come quelli della teologia del Crocifisso di J. Moltmann ed E. Jüngel. D'altro canto, sul piano storico-politico, il Cristo di Hegel è paradossalmente sullo sfondo dei totalitarismi, di diverso e persino opposto segno, che il XX secolo ha crudelmente sperimentato. I lager e i gulag hanno segnato l'ambiguo trionfo di un Anticristo che subdolamente ha succhiato il sangue dalle vene della cultura occidentale, passando anche attraverso l'interpretazione che di Cristo ha dato Hegel. Ma allo stesso tempo, la figura di Cristo tracciata da Hegel ha suscitato anche una critica opposta a quella totalitaristica, anti-ideologica e libertaria: come in E. Bloch, per altri versi in G. Lukásc e nella Scuola di Francoforte. Questo per dire che il Cristo di Hegel, con un'evidenza difficilmente contesta-bile al leggere gli esiti contraddittori del suo pensiero, è strutturalmente un Giano bifronte: Cristo e Anticristo, dialetticamente, liberté e seduzione insieme. Libertà, innanzi tutto, perché Hegel ha voluto pensare una filosofia della liberté, inveramento teoretico e prassistico del verbo cristiano, o meglio del Verbo che carne si è fatto (Gv 1,14), in quell'evento che - per tanti versi, ma senza esclusivi-smi - è senz'altro all'origine della cultura occidentale. Il Cristo di Hegel vuol esse-re la figura di quest'origine e di qui la norma, il criterio, il cuore di una filosofia e di una prassi di liberté. »Religione della liberté« ha definito Hegel la religione di Cristo. Nello stesso tempo, il Cristo di Hegel è anche seduzione. Perché l'interpretazione che Hegel ha offerto di Cristo ha dato origine alla seduzione più insidiosa e Il negativo e la Trinità: ipotesi su Hegel. Indagine storico-sistematica sulla »Denkform« hegeliana alla luce dell'ermeneutica del cristianesimo (Roma: Città Nuova, 1987); La percezione della forma. Fenomenología e cristologia in Hegel (Roma: Città Nuova, 2007). A questi due testi rinvio per le citazioni con-tenute nel presente articolo; mentre, per una contestualizzazione, mi permetto rinviare alla voce Cristologia da me redatta per il Dizionario del Cristianesimo, edit. P. Coda - G. Filoramo, vol. I (Torino: UTET, 2006). anticristiana del XIX e del XX secolo: la seduzione della ragione che fagocita la fede, dell'umanesimo che umanizza senza residui Dio, del tutto, l'anonimo tutto, la collettivita, lo stato etico, che schiacciano il volto ogni volta irripetibile dell'uo-mo, di questo, di ogni uomo. In una parola, la figura di Cristo in Hegel e anche figura dell'Anticristo, del dragone dell'Apocalisse che mentre lo riconosce vuol inghiottire il Dio fatto uomo. Cerchiamo allora di capire il Cristo di Hegel, per capire quanto di questa figura c'e stato e c'e ancora nella cultura dell'Occidente contemporaneo. Tocchero tre punti soltanto: 1) un brevissimo quadro storico per delineare quel-lo che direi il kairos storico dell'hegelismo, il suo »momento«; 2) la focalizzazione del tema a mio avviso centrale della cristologia hegeliana - l'uomo-Dio, Cristo, e insieme il Cristo senza Dio; 3) un confronto fra il Cristo di Hegel e noi, guardando al grido del Crocifisso, »Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?«, espres-sione paradossale ed estrema della liberta della fede che vince la seduzione. 1. Il kairos storico dell'hegelismo Quando parlo di un kairos storico dell'hegelismo, intendo dire che Hegel e il suo pensiero si collocano in un tornante sociale e culturale per tanti versi decisivo dell'età moderna. Siamo alla fine del '700, agl'inizi dell''800, in anni gra-vidi di eventi spirituali e sociali, basti pensare alle due rivoluzioni che avvengono in questo periodo: la »rivoluzione copernicana« del Kant della Critica della ragion pura e pratica (il soggetto umano al centro del cosmo scientifico ed etico) e la rivoluzione francese. Entrambe le rivoluzioni sono figlie dell'illuminismo, ed en-trambe, proprio nel momento in cui, alla fine del '700, celebrano i loro massimi fastigi, recano in sé il principio del loro subitaneo capovolgimento. L'illuminismo che s'esprime in questi eventi, da una parte, è la reazione della ragione al principio di autorità e tradizione, a una verità intesa e vissuta dogmaticamente, è emancipazione da ogni tutela che impacci dall'esterno la libera rea-lizzazione dell'uomo - per dirla con Kant: è l'uscita dalla minorità per giungere all'età adulta. Ma proprio per questo, dall'altra parte, la ragione illuminista ricaccia ció che non è catturabile dalla ragione ai margini del pensiero e del vivere sociale. Cos! è anche della figura di Cristo. Nel migliore dei casi, dalla ragione illuminista egli è ridotto a figura d'insuperabile maestro della morale illuminista e borghese, ma niente più. Ed è per questo che l'illuminismo puó rischiare persino di banalizzare l'uomo, il mistero ch'egli è a se stesso, spingendo, mentre lo nega, nella direzione della ricerca e dell'apertura all'ulteriore. Basti pensare alla Religione nei limiti della pura ragione, dove lo stesso Kant, alla fine, s'arrende di fronte a quel qualcosa che non è catturabile dalla ragione: il »male radicale«. E allora esplode dal cuore dell'esperienza illuminista, alla fine del '700, esplode e diventa sempre più prorompente via via che ci avventuriamo lungo i sentieri dell''800, l'interesse per la figura di Cristo in tutto ció che ha di diverso e non ri-ducibile alla razionalità dei lumi: Herder, Fichte, Schelling, Hölderlin, Schleierma- eher, Hegel appunto. Dall'entusiasmo per la rivoluzione francese, con l'episodio dei giovani Hegel, Schelling e Hölderlin, che studiano nel seminario teologico luterano di Tübingen e che alla notizia dello scoppio della rivoluzione erigono l'al-bero della liberta nella cittadella universitaria e per questo son messi a pane e acqua in cella; da quest'entusiasmo per il »verbo illuminista« che si fa carne in Kant e nella rivoluzione francese, in un batter d'occhio si passa a una ricerca per-sino spasmodica per ció ch'e mitico e religioso, per ció che e tradizione e storia rispetto al razionale e al concettuale: gli occhi si concentrano sulle insondabili, misteriose, contraddittorie profondita dello spirito e della storia dell'uomo. In questi anni, assistiamo cosí all'incontro e allo scontro di illuminismo e ritor-no alla grecita, di razionalismo e poesia, di fede e sentimento, di cristianesimo ed esoterismo. Incontro/scontro che costruisce il pensiero di questi pensatori, non in tutti raggiungendo, certo, la profondita lancinante di un Hölderlin, con la sua esperienza di lucida follia: ma in ogni caso l'opzione che questi uomini si sentono chiamati a dover fare di fronte a Cristo, segna il loro pensiero e la loro ricerca, e segna anche il corso successivo della storia dell'Occidente. In proposito scriveva il pensatore italiano Sergio Quinzio, nel suo La croce e il nulla: »La tragedia di quegli uomini sta nel fatto che l'Assoluto e inattingibile per loro, e insieme il relativo e invivibile. Due pazzie sono veramente profetiche: quel-la di Hölderlin che non poté attingere l'Assoluto, o che solo cosí poté attingerlo; e quella di Nietzsche che non poté vivere o solo cosí poté vivere, il relativo.« Ebbene, Hegel vive e interpreta precisamente questo kairos storico ed epocale, cosí intenso e cosí gravido di eventi. Sin dai primi scritti, egli e alla ricerca della chiave che permetta di coniugare l'assoluto e il relativo, l'infinito e il finito, l'im-mutabile e la storia. Potremmo riassumere la sua riflessione attorno a due parole: da una parte, »separazione«, »scissione«, Trennung, concetto in cui Hegel sinte-tizza tutto ció che il reale ha di contraddittorio, d'irriducibile alla ragione illuminista - un altro nome per dire quello che Kant chiamava »il male radicale«; e, dall'al-tra, »riconciliazione«, Versöhnung, che esprime l'anelito dell'uomo alla pacifica-zione e l'intuizione dell'Assoluto come il luogo, anche storicamente efficace, di essa. La parola »riconciliazione«, di cui Hegel fa uso, e in realta parola tipicamente cristiana, usata spesso da Paolo: Cristo e per l'Apostolo il riconciliatore, e l'annun-cio cristiano e annuncio appunto della riconciliazione, della ricapitolazione anzi in Cristo. Ma l'anelito alla riconciliazione e presente in ogni universo religioso e come tale lo qualifica. Cito solo un'espressione di un mistico indiano, Kabír, che ne de-scrive l'anelito come il cuore dell'esperienza religiosa e metafisica dell'uomo: »A chi lo confideró, Signore, se non a Te! lo ho ricevuto una ferita dolorosa, il pugna-le della separazione da Te ha trafitto la mia anima; notte e giorno mi tormenta; chi puó conoscere il dolore che io soffro? Non c'e medico piu grande di Te, né ammalato piu grande di me. La sofferenza mi possiede tutto. Come posso soprav-vivere separato da te?« 2. Separazione e riconciliazione: l'uomo-Dio e il Cristo crocifisso in Hegel Hegel avverte la durezza e la drammaticità della separazione, della scissione, non solo a livello metafisico e religioso, ma a livello storico, etico, sociale, dove la separazione intacca e piaga la realtà della vita quotidiana dell'uomo. Da schietto spirito speculativo qual è, egli sa pero che la separazione presuppone per definizione l'unità - come alfa e come omega. E allora quale cammino imbocca? Rigetta la »vacuità« dell'Illuminismo, com'e-gli stesso la chiama; ma rigetta anche quella che chiamerà poi, nella Fenomenología dello spirito, »la via della coscienza infelice«, la coscienza religiosa di chi, affidandosi a un Dio trascendente e beato nell'iperuranio, fugge dalla storia e attende la liberazione per l'aldilà, mentre nell'aldiquà non puo che invocare e ge-mere. E allora quale strada? Come Hölderlin, come Schelling, sia pure in forma cia-scuno originalissima, persino contrapposta, Hegel sceglie la strada di Cristo, e, sin dall'inizio, della sua morte di Croce. In questo Hegel è certamente erede di Lutero, il grande riscopritore, nell'età moderna, della Croce; ma anche di Meister Eckhart (»da haben wir ja, was wir wollen« - confesserà Hegel a Franz von Baader che lo incontra a Berlino), e più ancora, direi, di una tradizione gnostica sotterranea, sempre presente come un torrente carsico nella cultura occidentale, che ha in Jacob Böhme uno dei suoi maggiori rappresentanti nella Germania della Riforma protestante: per Hegel il »philosophus teutonicus« per antonomosia. Nella morte di Dio in Cristo Hegel, sin dall'inizio, scorge quello che chiama (sia-mo nel 1802, nel saggio programmatico Glauben und Wissen, Fede e sapere), il »venerdi santo speculativo«, che definirà poi, nelle Lezioni sulla filosofia della re-ligione: »l'intuizione speculativa«. Ecco il »Dio è morto«, Gott ist tot, Gott selbst ist tot, parola che spezza il cammino del pensiero moderno, parola che precede Hegel e che riprenderanno Nietzsche, Heidegger, Altizer, Sartre, ma che in Hegel, per la prima volta, vuol assumere dignità »speculativa«. Nel »venerdi santo« Hegel vede il paradosso dell'epifania di Dio, la manifesta-zione della »storia« di Dio nella storia dell'uomo e, per questo, la chiave di volta della riconciliazione di Dio e dell'uomo, dell'assoluto e del relativo, dell'uno e del separato. Cristo è questa riconciliazione in quanto è il Figlio incarnato, il Dio-uomo, la congiunzione di infinito e finito; ma lo è in quanto crocifisso: quando - scrive Hegel in Fede e sapere - egli sperimenta la durezza dell'assenza di Dio, »die Härte der Gottlosigkeit«. Per Hegel, la riconciliazione scaturisce da questo: dal fatto che l'Assoluto, l'uno e l'identico, si fa l'altro e il diverso, si cala nella separazione, la assume, anzi è la separazione e percio è la riconciliazione. È interessante - e per questo rapidamente lo faccio - leggere due o tre passi dove Hegel spiega la sua »intuizione speculativa«. Prendiamo ad esempio la pre-fazione alla Fenomenología dello spirito, in cui scrive: »La vita di Dio e il conoscere divino potranno ben venire espressi come un gioco dell'amore con se stesso [il Dio trascendente, immutabile, eterno], ma questa idea degrada fino all'edificazione e addirittura all'insipidezza quando mancano la serieta, il dolore, la pazienza e il tra-vaglio del negativo.« O ancora, piu avanti: »La vita che sopporta la morte e in essa si mantiene, e la vita dello spirito [lo spirito e l'assoluto, il Geist]. Esso [lo spirito] guadagna la sua verita solo a patto di ritrovare sé nell'assoluta devastazione; esso e questa potenza, ma non alla maniera del positivo che non si da cura del negativo, come quan-do di alcunché diciamo che non e niente o che e falso, per passare molto sbriga-tivamente a qualcos'altro; anzi lo spirito e questa forza solo perché sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui; questo soffermarsi e la magica forza che volge il negativo nell'essere.« E questo, in realta, il filo rosso di tutto il pensiero hegeliano, che affonda ap-punto le sue radici in un'originale interpretazione della figura di Cristo. Possiamo leggere, parafrasandola, ancora una pagina in certo modo finale del percorso di Hegel, che troviamo nelle gia citate Lezioni sulla filosofia della religio-ne: »La morte di Cristo e l'intuizione dell'unita nel suo grado assoluto [dell'unita - l'assoluto e l'uno - che ha assunto in sé la separazione e ha superato in sé la separazione]. La morte di Cristo e la piu alta intuizione dell'amore poiché l'amore consiste nel rinunciare alla propria personalita, ai propri beni ... La morte di Cristo e l'intuizione stessa di questo amore assoluto, la divinita e appunto in questa identita universale con l'alterita, con la morte. Questa e l'intuizione speculativa.« Si comprende perché Hegel possa dire con convinzione, sempre nelle Lezioni sulla filosofia della religione, che la morte di Cristo e »il punto centrale intorno al quale ruota il tutto«. Oppure ancora - ed e un'affermazione strettamente colle-gata alla precedente che ritroviamo nelle Lezioni sulla filosofia della storia -, che »colui che non sa di Dio che e Trinita non ha capito niente del cristianesimo, perché questo principio e il cardine su cui ruota la storia del mondo«. Per Hegel, Croce e Deus Trinitas sono indissolubilmente congiunti. Perché la riconciliazione e reale appunto in quanto l'Assoluto stesso si fa, »e« la separazione. Cristo sulla Croce e l'evento della separazione e della riconciliazione. Ció e possibile, e dunque reale, perché l'Assoluto e l'identico, il diverso e l'unita dell'i-dentico e del diverso: quelli che, nella »rappresentazione« (Vorstellung) religiosa, si chiamano Padre, Figlio incarnato e crocifisso, e Spirito. Di qui la domanda fondamentale: secondo Hegel, la riconciliazione e avvenuta ephápax, »una volta per tutte«, come scrive la Lettera agli Ebrei? Gia nella pagina che prima citavo di Glauben und Wissen, del 1802, con senti-mento quasi di trionfo, nelle ultime righe del saggio, Hegel scrive: »E solo da questa durezza [dalla durezza di Cristo che si fa il separato e quindi sperimenta la lontananza da Dio], e solo da questa durezza che la suprema totalita, il reale in tutta la sua serieta e dal suo piu riposto fondamento, abbracciando tutto contemporaneamente e nella piu serena liberta della sua figura, puó e deve risuscitare.« Ecco il venerdi santo speculativo! il portare a consapevolezza speculativa l'evento del venerdi santo storico accaduto in Cristo e realizzare la riconciliazione. Questo risuscitamento del reale, questa risoluzione delle sue contraddizioni, a livello teoretico, è il sistema di Hegel; a livello pratico, è la storia universale. Ma proprio queste conseguenze, che Hegel deduce dall'interpretazione ch'egli dà della figura di Cristo, ne rivelano immediatamente la dialettica insormontabile e persino tragica, a dispetto della possente volontà riconciliatrice dispiegata teoreticamente da Hegel. Da una parte, Hegel è il filosofo moderno che forse più seriamente ha voluto tener conto del negativo, della separazione, e per farlo ha preso sul serio la croce di Cristo. Anche teologi di peso affermano che non dobbiamo temere di riconosce-re - lo afferma ad esempio E. Jüngel, che forse è il teologo evangelico contemporaneo più rigoroso - che abbiamo imparato proprio da Hegel a centrare cosí deci-samente la Croce di Cristo come rivelazione della »storia« trinitaria nella storia dell'uomo. D'altra parte, pero, Hegel interpreta la croce di Cristo in modo tale che la separazione, il negativo, il dramma, la contraddizione, la lacerazione reale che piagano la storia dell'uomo sono dissolte o, peggio, giustificate nella loro stessa datità. Basta rifarsi alla nota affermazione della prefazione alla Filosofia del diritto: »Ri-conoscere - dice Hegel - la ragione come la rosa nella croce del presente [cioè la giustificazione a priori della contraddizione del reale] e godere di questa, tale ri-conoscimento razionale è la riconciliazione con la realtà che la filosofia consente.« Ecco l'Hegel Giano bifronte: la libertà è necessità, il male è momento di Dio, Cristo s'identifica con l'Anticristo, il negativo è assorbito dall'Assoluto, anzi l'Asso-luto si identifica col negativo e dunque ... si nientifica come assoluto! Da una parte, l'assolutizzazione della storia, dello stato, della classe; dall'altra, lo spalancarsi del baratro del nichilismo sotto i piedi d'argilla del panlogismo hegeliano o del panprassismo post-hegeliano. 3. Il Cristo di Hegel e noi, di fronte al grido dell'abbandono Ma perché questo? perché quest'ambiguità indecidibile nella figura di Cristo proposta da Hegel? perché quest'identificazione, alla fine, tra Cristo e l'Anticristo? sí, Cristo per Hegel è l'Anticristo: perché è il massimo della separazione (il diá-bolon, il separatore, l'Anti-Cristo), il massimo del rifiuto dell'Assoluto ... qual'è, in definitiva, il significato dell'avventura hegeliana? il Cristo di Hegel dissolve per sempre il Cristo della fede? il Cristo di Hegel è solo Anticristo? Un grande teologo, uno dei più grandi del XX secolo, Karl Barth, ha detto di Hegel, nella sua Storia della teologiaprotestante: Hegel è in fin dei conti »un grande problema, una grande delusione, ma forse anche una grande promessa.« Problema, perché? perché è questo Giano bifronte. Delusione, perché? perché l'he-gelismo intrinsecamente addirittura si dissolve. Promessa, perché e di che cosa? Barth non lo dice, chiude l'esame della filosofia di Hegel con un punto interrogativo. Io direi che la promessa che c'è in Hegel è la stessa promessa che c'è, in modi diversi, in Hölderlin e Schelling: è una promessa di cui siamo ancora alla ricerca, è un'esigenza che portiamo anche noi dentro. È l'aver voluto prendere sul serio il negativo guardando al Cristo crocifisso, l'aver voluto prendere sul serio il silenzio di Dio nell'evento della Croce del Figlio: l'imprescindibile della fede cristiana come chiave di lettura, nella luce del Risorto, dell'esistenza e della storia. Se questa è la promessa, l'esigenza che c'è al fondo dell'interpretazione di Cristo offerta da Hegel, quale ne è l'ambiguità decisiva? In una parola, direi che è l'aver catturato Cristo nella ragione, in una certa ragione, già data, presupposta all'incontro con lui. In Kant, nella Religione entro i limiti della ragione, restava fuori dal confine del razionale il male radicale. In Hegel, il peccato delle origini, il diavolo, il rifiuto di Dio, l'Anticristo, sono gnosticamente l'altra faccia dell'identico Cristo. E questo perché? perché la ragione hegeliana non fa spazio all'a(A)lterità. Non, dunque, la figura di Cristo è la misura di verità del pensiero hegeliano, ma la ragione hegeliana si erge a misura di verità di Cristo. E cos! lo dissolve nel momento in cui si confronta con quella profondità dell'e-vento di Cristo che forse non era stata cos! tematizzata dalla precedente tradizio-ne cristiana. In conclusione, dall'avventura hegeliana che cosa possiamo imparare, in riferi-mento a Cristo? Prima di tutto possiamo imparare che se la ragione si fa misura totalizzante della verità di Cristo, Cristo e Anticristo, paradossalmente, non sono più scindibili. Ma soprattutto, Hegel ci pone cos! di fronte a due domande inelu-dibili: la domanda su che cos'è la fede, e la domanda che scaturisce dal grido di Cristo in croce: »Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?« Due domande inscindibilmente coniugate nel kairos storico del nostro tempo. E - dobbiamo riconoscerlo - al fatto che queste due domande siano intimamente congiunte nella carne del nostro pensiero, nella carne della nostra fede oggi, ha certamente contribuito proprio l'avventura hegeliana. La domanda della fede, innanzi tutto. E prendo due definizioni di fede abboz-zate da un pensatore italiano di oggi che si vuole non credente, e che ben conosce Hegel, Massimo Cacciari: non possedere Dio, ma essere da Lui posseduti; non avere un saldo fondamento, ma essere »appesi« - come dice Agostino - alla cro-ce. Se la fede è un essere posseduti che va di pari passo col farsi possedere, la fede è proprio il contrario della ragione hegeliana. Per questo, Hegel ci pone la domanda della fede: perché la ragione hegeliana è cattura dell'A/altro, non essere posseduti, ma voler possedere l'A/altro. La fede si mostra come l'altra possibilità di approccio alla verità da conoscere e da fare che Cristo propone (ed è); è l'esperienza che il Nuovo Testamento chia-ma agape, l'esser posseduti perché ci si apre e ci si fa possedere. L'essere posseduti - meglio - che è identico al farsi possedere. È proprio qui la specificità, l'ori-ginalità della fede cristiana: l'essere posseduti non è il contrario di possedere! Se il possedere della ragione hegeliana è il fagocitamento dell'A(a)lterità, il farsi pos- sedere da Dio, nella fede, non e alienazione di sé nell'A(a)ltro, ma e quell'essere posseduti che nasce dal farsi liberamente possedere e che porta al libero e gratuito dono di sé che nasce dall'accogliere l'A(a)ltro in sé. Nell'evento della fede (che e credere e vivere dell'amore, come spiega San Gio-vani nella sua lettera prima), essere posseduti e possedere sono suscitati l'uno dall'altro, e sono direttamente proporzionali . Ed ecco la seconda domanda con cui Hegel c'interpella: il grido di Cristo, il »Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?« Per Hegel e la riconciliazione della separazione, in un gioco dialettico che finisce col dissolvere il reale in ció che e presunto come il razionale tout court. In realta, questo grido, per Cristo, non e rivolta che giustifica la contraddizione, ma fede pura, massima espressione della fede. Perché? perché e farsi liberamente possedere nel momento in cui crolla e sparisce nel vuoto, nell'abisso, ogni spinta e ogni appoggio che possano giustifi-care l'affidamento. Per questo e fede pura. E - come scrive Chiara Lubich - »la fede«. Per usare un'immagine, il grido di Cristo e rivelazione che il baricentro del proprio essere non e piu in sé, ma nell'Altro, nel Padre. Perció il grido della croce, nel momento in cui sembra manifestare la lacerazio-ne dell'unione del Figlio incarnato e crocifisso con Dio/Abbá, e invece il momento che manifesta tale unione a partire dalla massima distanza tra i due. E liberta ed e amore. Ma ancora - e concludo - il grido della croce e anche attestazione che Dio, il Dio di Gesu Cristo, si e fatto separazione. Per dirla con Agostino, il Dio di Gesu Cristo e entrato nella »regione della dissomiglianza«; si e fatto - e qui lo dice Nietzsche - la »dissonanza«, o, per dirla con Paolo, e stato trattato da »peccato«, da »maledizione«. Ma ció non perché non potesse fare altrimenti, perché allora torniamo ad Hegel, e non sarebbe vero né il peccato né l'amore di Dio che si fa peccato, perché tutto e necessita. Ma si e fatto separazione, si e fatto peccato, perché Dio e in se stesso essere posseduto e farsi possedere, essere in sé ed essere fuori di sé, e per questo puó liberamente farsi separazione, distanza ... puó farsi uomo. Non per assorbire integristicamente l'altro in sé, ma per trasformare la separazione in via alla riconciliazione: nella distinzione, nella liberta. Il grido della croce e allora identico con l'atto della fede vissuta nella storia, alla sequela di Cristo. Non e cancellare la separazione, non e fuggire dalla separazione, dalla distanza, dall'abbandono, dalla contraddizione, ma e, in Cristo - parlo da credente -, vivere e assumere la separazione, la distanza, l'abbandono, la contraddizione per gridare di li, dall'abbandono assunto, verso il Padre il grido degli abbandonati facendolo proprio per sanarlo in unione con Cristo. Ed e sperimentare il dono invocato e accolto dello Spirito. Il grido di Cristo in Croce non solo e l'atto di fede, ma e lo stato permanente della sequela cristiana e la porta d'accesso, sin d'ora, alla profondita del Regno, che e riconciliazione donata e pagata nella storia concreta degli uomini, sotto gli occhi del Padre, nel cam-mino drammatico del tempo. »E che voi siete figli - attesta l'apostolo Paolo - ne e prova il fatto che lo Spirito del Figlio in noi grida: Abbá, Padre!« (Gal 4,6)